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   Il duello 
 Dalla baronessa Mésange si
  parla del duello, come in tanti salotti di Parigi. - Ma siete sicuro di quel
  che dite, conte? - Certamente. Il duello
  avrà luogo domani mattina. - Ma il barone Paul de Bouilhet…
  contro il comandante Gorgedours? Non è possibile! Il conte scuote la testa e
  sorride. - Così è. - Ma il motivo? Qual è il
  motivo della sfida? - Nessuno lo sa. Il
  pretesto è un presunto sgarbo da parte del comandante. Il vero motivo dev’essere
  altro. - Sì, dev’esserci ben
  altro. E nel piccolo cerchio di
  dame e gentiluomini riuniti del salotto della contessa d’Espard, molti
  incominciano a formulare ipotesi. Ci dev’essere senz’altro una donna di
  mezzo, una donna amata da entrambi. Non c’è nessun’altra spiegazione.  - Ma da parte del tenente
  Bouilhet… con tutto quello che il comandante fece per lui… - Se il comandante gli ha
  rubato la donna amata… non c’è riconoscenza che possa contare. - Ma chi può essere questa
  donna? Il marchese Rivière,
  ritornato in Francia da pochi mesi dopo tre anni di assenza, chiede maggiori
  informazioni sui due militari, che ha sentito nominare, ma di cui non sa
  quasi nulla. Il conte spiega: - Si tratta di due
  militari che si distinsero nella guerra contro la Prussia. Se ci fossero
  stati più ufficiali come loro durante il conflitto, non ci sarebbe stata la
  sconfitta di Sedan e l’Alsazia e la Lorena sarebbero ancora francesi. Ma io
  divago e lei vuole sapere chi sono i due uomini di cui si parla. Il marchese sorride: - Non si preoccupi, conte.
  L’ascolto molto volentieri. - Il comandante Gorgedours
  è senza dubbio uno dei nostri migliori ufficiali. Pur essendo di umili
  origini, ha dimostrato in più occasioni un coraggio e una determinazione che
  ad altri, assai più alti in grado, sono mancati in momenti cruciali. Difese
  la città di Beauséjour e la consegnò solo quando la Francia si arrese. Potrei
  raccontarle alcune delle sue imprese, ma non è questo ciò che mi chiede. Se
  la Francia fosse stata difesa come lo fu Beauséjour… Il marchese annuisce. Si
  dice che forse è meglio riportare il suo interlocutore all’argomento. - Sì, certo. E Bouilhet? - Il tenente Bouilhet
  discende da una delle famiglie più nobili della Nazione, ma questo non
  occorre dirlo a voi, lo sapete benissimo: non devo certo spiegarvi che un
  Bouilhet era al fianco di Francesco I nella sfortunata battaglia di Pavia.
  D’altronde basta guardare il barone per riconoscere nel suo viso la purezza
  dei lineamenti e l’innata superiorità della nazione francese, di questo nostro
  sangue in cui il coraggio e l’ordine degli antichi Romani si unirono alla
  forza virile dei Franchi. Non è certo la rozza nazione tedesca a poter
  competere con la nostra sul piano morale. Il marchese incomincia a
  disperare di riuscire ad avere le informazioni che desidera. Prova a dire: - E che cosa fece il
  tenente in guerra?  - Il giovane Bouilhet, davvero degno dei
  suoi antenati, condusse una serie di azioni coraggiose contro i prussiani in
  Normandia, beffandoli più volte. Sembrava che riuscisse a essere in mille
  posti contemporaneamente e i prussiani avevano una tremenda paura delle sue
  truppe, nonostante fossero assai meno numerose. Potrei raccontarvi
  dell’imboscata di Clermont, ma è un episodio troppo noto. Il marchese annuisce,
  anche se conosce l’accaduto solo vagamente: preferisce evitare ulteriori
  divagazioni. - Certo, certo. Il conte riprende. - Il barone venne infine
  catturato e il maggiore prussiano, che si era sentito umiliato dalle imprese
  di Bouilhet si vendicò su di lui. Non sappiamo molto, il tenente non raccontò
  mai ciò che successe, ma non fu certo trattato come un prigioniero di guerra:
  sappiamo che fu seviziato, in spregio di tutta la tradizione militare,
  frustato, lasciato senza acqua e senza cibo, umiliato.  - Ma questo non è possibile! - Vi dirò di più: anche
  dopo il trattato di pace, il tenente rimase prigioniero. Il maggiore
  prussiano, che aveva legami con la corte imperiale, si rifiutò di liberarlo,
  adducendo come scusa qualche delitto che Bouilhet avrebbe commesso. Si parlò
  persino di un possibile processo, di una condanna alla pena capitale.
  Stupidaggini, ma era chiaro che il comandante voleva provocarne la morte. La
  vicenda destò scandalo, ma eravamo stati sconfitti e umiliati, lacerati dalla
  guerra civile, divisi su tutto. Il governo e gli alti comandi avevano ben
  altro a cui pensare. Bouilhet avrebbe senz’altro trovato al morte nelle mani
  del maggiore prussiano.  - Capisco. Ma ciò non
  avvenne. - No, non avvenne. Fu il
  comandante Gorgedours, che conosceva appena Bouilhet, a insistere presso gli
  alti comandi perché pretendessero la liberazione del tenente, in base agli
  accordi di pace. Di fronte alla sua ostinazione, furono infine compiuti i
  passi necessari. Bouilhet fu liberato e tornò in Francia, duramente provato:
  egli stesso dice che se fosse rimasto ancora in mano al suo aguzzino, non
  sarebbe sopravvissuto. Da allora Bouilhet e Gorgedours sono sempre rimasti in
  ottimi rapporti, anche se non fanno parte della stessa unità. Voi forse
  avrete avuto modo di vedere Bouilhet, che frequenta talvolta le riunioni
  mondane. Il comandante Gorgedours invece non partecipa alla vita di società,
  ma non è nobile, non è un artista, a che titolo potrebbe essere invitato? E
  poi, sia detto tra di noi, è il miglior uomo del mondo, ma non ha quell’eleganza
  naturale e quella distinzione che possiede il barone Bouilhet. Né certo
  quella capacità di sostenere una conversazione brillante che è indispensabile
  nella vita sociale. Il marchese vorrebbe
  osservare che per un militare forse sono più importanti altre doti, che
  Gorgedours a quanto pare ha dato ampia prova di possedere, ma in questo
  momento è altro a interessarlo.   - Quanto mi raccontate
  rende ancora più difficile da comprendere la sfida, lanciata proprio dal
  tenente Bouilhet all’uomo a cui deve la libertà e la vita stessa. - Non so che dire. Anch’io
  non riesco a spiegarmelo. Fosse stato il contrario, forse… Gorgedours
  potrebbe  giudicare Bouilhet un ingrato
  per qualche motivo, forse potrebbe essere geloso di lui, inferiore per grado
  nell’esercito, ma superiore per nascita, ricchezza, bellezza, eleganza. Ma
  così… * Léon guarda l’amico e
  scuote la testa. - Paul, questo duello è
  un’assurdità. Sfidare l’uomo che è riuscito a salvarti, per un motivo così
  futile… Con la pistola, poi… Paul non risponde. Léon insiste: - La tua decisione ha
  sconcertato tutti. Quello che ti sto dicendo io, lo dice tutta Parigi. Paul fissa Léon e
  risponde, secco: - Se vuoi rinunciare, mi
  cercherò un altro testimone. - Mi sono preso questo
  impegno, Paul, e non mi tiro indietro, ma per l’amicizia che ci unisce… - Per l’amicizia che ci
  unisce, ti prego di non dire altro. Léon scuote la testa,
  esasperato. Non capisce, non riesce a darsi una spiegazione della sfida
  lanciata da Paul. Si è trovato molto a disagio nella sua parte di testimone.
  Un duello, con le pistole, per di più. 
   - Se domani tu dovessi
  ferire Gorgedours o, peggio, ucciderlo… - Non succederà. - Tre colpi, Paul. Tu sei
  un buon tiratore e Gorgedours lo è, dicono che sia infallibile. Se non lo
  colpisci, sarà lui… Paul lo interrompe: - Non intendo colpirlo. Léon ammutolisce. Poi
  dice, quasi sottovoce: - Intendi farti ammazzare,
  Paul? - Lasciami in pace, Léon. * Hector Gorgedours finisce
  di vestirsi. Sa che con ogni probabilità oggi sarà l’ultima volta che si veste.
  Hector è abituato a rischiare la vita: è un militare e non si è mai tirato
  indietro davanti al pericolo. Non lo spaventa l’idea di morire. Lo sgomenta
  sapere che è Paul de Bouilhet a volerlo uccidere. Non riesce a capire perché.
  Il pretesto addotto, una stupida questione di precedenze, è talmente futile
  che non può nemmeno essere preso in considerazione. Un uomo che Hector
  reputava essergli amico. L’uomo che… Hector scaccia il pensiero. Hector ha
  preso la sua decisione. Va alla morte. La carrozza lo accompagna.
  Jules, il suo testimone, dice due parole, ma Hector risponde appena e Jules
  non insiste. Jules è angosciato. Gli sembra mostruoso che Hector rischi di
  essere ucciso in duello da un uomo che ha salvato e a cui è legato da una
  profonda amicizia. O almeno così Jules ha sempre pensato. Giunti sul luogo del
  duello, Hector scende. Paul de Bouilhet è già sul posto.  Mentre prende l’arma che
  gli viene porta, Hector ripensa al vecchio detto popolare: “Pistole per due,
  caffè per uno solo”. Il caffè è per Paul de Bouilhet. Hector spera che almeno
  uccidendolo Paul riesca a ritrovare un po’ di serenità, ma ne dubita.  Hector e Paul raggiungono
  le loro posizioni. Al segnale potranno camminare l’uno verso l’altro,
  avvicinandosi fino a quindici passi. Hector avanzerà verso Paul, per offrire
  un migliore bersaglio. Possono tirare tre colpi a testa, ma Paul è un buon
  tiratore. Il primo colpo gli basterà. Hector avanza. Paul si
  muove anche lui avvicinandosi. Paul alza il braccio. Hector mira e spara.
  Hector sa maneggiare una pistola in modo eccellente: la pallottola passa
  vicino alla testa di Paul, senza ferirlo, come Hector voleva. Hector attende
  il colpo. Paul lo guarda con un’espressione rabbiosa. Paul fa fuoco, ma anche
  questo colpo si perde. Non è possibile che Paul lo abbia mancato a questa
  distanza. Hector alza di nuovo la
  pistola e spara. Questa volta il proiettile sfiora il braccio sinistro di
  Paul. Paul prende la mira. Hector vede chiaramente che al momento di sparare
  Paul sposta un po’ l’arma. Il colpo si perde. Hector digrigna i denti.
  Mormora: - Merda! Stiamo facendo
  una figura da coglioni. Hector punta l’arma
  mirando al cuore di Paul, che a sua volta solleva la propria pistola. Hector
  attende, per dargli il tempo di tirare e ucciderlo. Paul questa volta mira
  davvero a lui. Ma nessuno dei due fa fuoco. Hector sposta appena
  l’arma e il colpo si perde. Anche Paul spara nel vuoto. Hector sibila: - Merda! Tutta Parigi
  riderà di noi. Il duello si è concluso. I
  testimoni si avvicinano, sorridenti. Non si aspettavano che la sfida finisse
  senza spargimento di sangue e sono contenti: hanno troppa stima di entrambi i
  contendenti per non essere soddisfatti dell’esito del duello. Paul invece
  appare cupo e Hector non nasconde la propria irritazione. Léon osserva: - Vi siete battuti con
  valore.  Hector lo guarda e scuote
  la testa. Fa per dire qualche cosa, ma poi ci rinuncia: non servirebbe a
  nulla. Fissa Paul, ma questi evita il suo sguardo. Hector gli tende la mano.
  Paul esita un attimo e la stringe. Hector la tiene un momento di troppo nella
  sua, come se sperasse di trovare in quella stretta una spiegazione al
  comportamento assurdo di Paul, poi la lascia andare. Hector risale sulla
  carrozza con l’amico che gli ha fatto da testimone. - Jules, sinceramente, che
  cosa ne pensi? - Del duello? Non so
  perché Paul de Bouilhet abbia deciso di sfidarti, ma di certo non aveva
  nessuna intenzione di ucciderti. E tu di uccidere lui. - Sì, ma perché… questa
  sfida… per poi sparare a vuoto. - Non lo so, Hector. Mi
  sono chiesto… Jules non conclude la
  frase. - Di’. - …se non volesse farsi
  uccidere da te. Hector medita un momento,
  poi dice: - Forse è così. Hector non dice più nulla
  sull’argomento. Jules fa qualche tentativo di riprendere il discorso, ma
  vedendo che l’esito del duello non ha reso l’amico più loquace, ne rispetta
  il silenzio. Solo al momento di separarsi, osserva ancora: - In ogni caso, se
  Bouilhet ha intenzione di morire, può farlo da solo, senza provocare un
  duello con pretesti assurdi. Un’arma non gli manca. Hector lo guarda. Annuisce
  lentamente. Poi si riscuote e dice: - Grazie, Jules. A presto. - A presto. Rientrando nel suo
  appartamento di ufficiale, Hector ripensa alle parole dell’amico. Jules deve
  aver indovinato. Solo così si può spiegare il comportamento di Paul. Paul
  voleva farsi uccidere, certamente. Da lui. Perché proprio da lui? Avrebbe
  potuto trovare tanti altri disposti a raccogliere una sfida e a uccidere
  senza esitazione. Ma un altro pensiero si
  sta facendo strada in Hector. Come ha detto Jules, Paul può uccidersi. Se
  intende morire, è probabile che lo faccia, magari questa sera stessa. Merda! Hector non sa che fare.
  L’idea che Paul si uccida lo angoscia. Per tutto il giorno Hector
  de Gorgedours è inquieto, poco concentrato nell’eseguire i suoi compiti.
  Verso sera l’agitazione è tale che Hector non riesce più a reggere. Raggiunge
  l’appartamento di Paul de Bouilhet. È Paul stesso ad aprirgli.
  Non si aspettava una sua visita, che evidentemente non gli fa piacere. - Hector?! Perché… Paul non completa la
  domanda. - Ho bisogno di parlarti,
  Paul. Mi fai entrare? Paul è sull’ingresso e non
  sembra intenzionato a spostarsi. Si limita a dire: - Perché sei venuto qui? E mentre lo dice si volta
  e lancia un’occhiata verso l’interno della stanza. Hector si chiede se non ci
  sia un ospite che Paul non vuole fargli vedere. Magari una donna? In questo
  caso Hector non può insistere, ma sapere che Paul non è solo lo
  tranquillizzerebbe. - Non sei solo? Paul si morde un labbro. - No, non c’è nessuno. - E allora? Non possiamo
  parlare dentro? Non vuoi neanche farmi entrare? Perché di colpo mi odi? Paul lo guarda. La bocca
  si deforma in un sorriso amaro, quasi un ghigno. - Non ti odio, Hector. Ma
  vorrei che tu te ne andassi. - No, Paul, non me ne
  vado. Ho bisogno di porti qualche domanda e credo di aver diritto a una
  risposta. - Diritto? Sono tenuto a
  risponderti? Mi sei superiore di grado, ma non sono ai tuoi ordini. - Dei gradi me ne fotto,
  Paul. È una questione tra me e te, i gradi non c’entrano. Mi fai entrare o mi
  lasci sulla soglia fino a domani mattina? Perché io rimango qui, non me ne
  vado, anche se mi chiudi la porta in faccia. Paul si sposta e sibila: - Entra. Hector supera Paul. La
  pistola sulla scrivania è il motivo per cui Paul non lo lasciava entrare. Una
  pistola sulla scrivania di un ufficiale non significa niente, Paul potrebbe
  semplicemente voler controllare e pulire l’arma, come ogni militare è tenuto
  a fare. Ma Hector è sicuro di non sbagliarsi: Jules aveva ragione. Hector non è abituato a
  menare il can per l’aia. Va direttamente al dunque: - Paul, perché volevi
  farti uccidere da me? Paul lo guarda un momento
  in silenzio, poi china il capo e dice. - Scusami, Hector. Ho
  sbagliato, hai ragione. Non avevo nessun diritto di farlo. - Non mi hai risposto, Paul. - Preferisco non
  spiegartelo, Hector.  - Come ti ho detto prima,
  credo di aver diritto a una spiegazione. Paul alza lo sguardo e lo
  fissa. Paul ha occhi di un azzurro quasi verde. Paul è bello. Hector non ha
  mai dato importanza al proprio aspetto fisico, ma di fronte a Paul è
  dolorosamente conscio del proprio corpo massiccio, del collo troppo grosso
  che la barba nasconde appena, del viso largo, privo di eleganza, della
  stempiatura precoce. Gli sembra che tra loro ci sia un abisso. Anche se
  Hector ha un grado superiore, Paul è barone e la sua famiglia è molto ricca,
  Hector non è nobile e non ha grandi mezzi. E la bellezza di Paul gli sembra
  mettere tra loro un muro invalicabile. Le parole di Paul lo
  riscuotono: - Hector, sono stato un
  coglione. Ma adesso vorrei che te ne andassi. Ti garantisco che non ti darò
  più fastidio. - Perché ti sparerai un
  colpo quando me ne sarò andato? Paul si tende. Il viso è
  una maschera impassibile. - È meglio che tu vada,
  Hector. Hector fa fatica a
  controllarsi. Vorrebbe saltare addosso a Paul e picchiarlo. O forse... Di
  colpo si sente privo di forze. China la testa. Respira a fondo.  - Paul, credevo che
  fossimo amici. Paul lo guarda e nei suoi
  occhi Hector legge una sofferenza infinita. - Lo pensavo anch’io. Hector esplode, rabbioso: - E allora perché? Perché
  cercare di farti uccidere da me? Perché rifiutarti di darmi una spiegazione? Paul risponde, senza che
  la sua voce tradisca nessuna emozione: - Perché ho capito che mi
  sbagliavo. - Che cosa ti ho fatto,
  Paul? Perché questa ostilità? Paul si alza e si dirige
  alla scrivania. Per un momento Hector teme che prenda la pistola e si spari
  davanti a lui. Paul si appoggia alla
  scrivania, dandogli la schiena. - Sei sicuro di volerlo
  sapere?  - Sì, Paul. Paul annuisce. - Va bene, dopo mi
  lascerai in pace. Paul prende fiato, poi
  incomincia: - Sai benissimo che cosa
  successe durante la guerra. Io ero molto giovane. Paul scuote la testa. Si
  rende conto anche lui che sono passati solo tre anni. Ha appena ventinove
  anni. Ma gli sembra di essere vecchio. - Beffare i prussiani mi
  divertiva. Li odiavo per quello che stavano facendo al nostro paese e non mi
  limitavo a colpirli: facevo di tutto per umiliarli. Allora mi sembrava di
  fare il mio dovere di cittadino. Oggi valuto diversamente quelle azioni,
  temerarie e inutili, ma non è di questo che stiamo parlando. Il maggiore
  Eisenarm, che era il responsabile nella zona, mise una taglia sulla mia
  testa: era assurdo, eravamo in guerra, io non ero un bandito, ma lui mi
  odiava. Era, è tuttora, un uomo molto ricco, con conoscenze alla corte del re
  di Prussia, l’attuale imperatore. Poteva fare quello che voleva. Venni
  catturato, forse per un tradimento, non lo so.  Paul si ferma. Guarda
  Hector. Scuote la testa. Riprende: - Il comandante mi fece
  rinchiudere in una cella, dove veniva tutti i giorni a frustarmi, mi prendeva
  a calci, a pugni. Continuava a ripetermi che non sarei mai uscito vivo da
  quella cella. E forse sarebbe stato meglio così. Paul si ferma nuovamente.
  Continuare gli costa fatica. Hector non dice nulla. Ha paura di interrompere
  la confidenza di Paul. - Ogni giorno che passava,
  Eisenarm sembrava odiarmi di più. Progressivamente perdeva ogni freno. Alle
  frustate e alle botte si aggiunsero altre umiliazioni. Mi fece spogliare. Avevo
  le mani legate dietro la schiena e dovevo mangiare così. Non potevo pulirmi.
  Non uscivo mai dalla cella. Ogni giorno… pisciava su di me, mi sputava
  addosso, mi insultava. Desideravo solo che la morte venisse per liberarmi da
  quell’inferno. Ma tutto quanto faceva non serviva a sfogare la sua rabbia:
  sembrava invece aumentarla. Certi giorni mi portava personalmente la scodella
  con la brodaglia che era il mio cibo e me la rovesciava in faccia. E poi… Paul chiude gli occhi. Si
  appoggia alla scrivania, dando la schiena a Hector. - E poi prese a infilarmi
  oggetti… in culo… bastoni… la canna della pistola… minacciava di sparare. Io
  gli gridavo di farlo. Lo volevo, Hector, lo volevo davvero. Desideravo solo
  uscire da quell’inferno e non c’era altra via. E infine… Hector ha intuito.
  Vorrebbe fermare Paul, dirgli che non è necessario andare oltre. Ma Paul ha
  bisogno di parlare. - Infine mi prese. Mi
  prese su quel pavimento lurido, in una pozza di piscio e brodaglia. Non mi
  prese una volta sola, Hector. Mi prese tante volte, tutti i giorni mi
  prendeva e mi insultava. - Mi spiace, Paul, non
  immaginavo… Paul lo interrompe
  rabbioso: - Non ho finito. Volevi
  sapere, no? Allora ascoltami. Quel bastardo mi stuprava, ma non gli bastava.
  Voleva di più, voleva umiliarmi. Un giorno decise di spostarmi. Ebbi una
  cella pulita, cibo regolare, possibilità di lavarmi. Lui mi prendeva, ogni
  giorno, e mi… Hector, mi faceva venire, lo capisci? Giorno dopo giorno mi
  faceva venire, mi diceva che mi piaceva prendermelo in culo e io… era vero,
  Hector. Mi odiavo, ma era vero. A un certo punto il suo corpo incominciò a
  trasmettermi piacere, contro la mia volontà. Una volontà che pezzo per pezzo
  si sgretolava. Io…  C’è un momento di pausa,
  mentre Hector riflette: ciò che Paul ha raccontato spiega la sua sofferenza,
  la sua volontà di morire, ma non l’ostilità che sembra improvvisamente
  provare nei suoi confronti. Non è questo ciò che conta, adesso. L’importante
  è evitare che Paul si uccida. È Paul a spezzare il
  silenzio, dicendo: - Hai capito, Hector?
  Questo è ciò che sono. Ora puoi andare. Paul tace. Hector non sa
  come far sentire a Paul il suo affetto. Si alza e si avvicina. Cedendo a un
  impulso mette una mano sulla sua.  - Mi spiace, Paul. Io… Paul volta la testa verso
  di lui e lo guarda. C’è una sofferenza infinita nei suoi occhi. - Vattene, Hector. Hai
  voluto sapere, ma ora che sai, preferisco non vederti più. Hector ignora le parole di
  Paul. - Paul, grazie per avermi
  raccontato tutto, per la fiducia che mi hai dimostrato. Mi spiace per quanto hai
  dovuto subire. Quell’uomo è un infame. Paul non dice nulla.
  Hector prosegue: - Adesso ti chiedo una
  promessa. Paul guarda Hector, senza
  dire nulla. - Promettimi che non ti
  ucciderai prima che io sia di ritorno.  Paul aggrotta la fronte. - Che significa? Parti? - Sì, devo andare via,
  forse per una settimana o due. Ma conto di tornare. - Perché dovrei
  prometterti qualche cosa? Hector sorride. - Come indennizzo per la
  figura di merda che mi hai fatto fare con quel duello del cazzo. Paul scuote la testa. Un
  leggero sorriso è apparso sulle sue labbra.  - Va bene, Hector.
  Aspetterò. Poi il sorriso svanisce. - Solo perché te lo devo,
  per tutto quello che hai fatto per me. Non ti odio, Hector, non potrei mai
  odiarti. - Grazie, Paul. * Friedrich Eisenarm cammina
  sulle dune. Da quando ha lasciato la vita militare, la sua esistenza si
  trascina a Kessin, in questa tranquilla cittadina di provincia, che solo in
  estate si anima per la presenza di villeggianti. Ma adesso è autunno, il
  vento del mar Baltico spazza la costa e non si vede nessuno. A Friedrich va
  bene così. Cammina a lungo, anche quando piove. Le giornate scorrono tutte
  uguali e vuote. Friedrich non si preoccupa di riempirle. Evita di far visita
  ai vecchi amici e ai conoscenti. Gli abitanti di Kessin hanno ormai capito
  che il maggiore Eisenarm vuole rimanere da solo e non lo cercano. Quando Friedrich rientra a
  casa, il servitore gli comunica che un ufficiale francese lo attende. A
  Friedrich manca il fiato. Rimane un momento fermo, poi, quando è sicuro di
  aver recuperato il controllo, entra in salotto. L’uomo che si alza in
  piedi al suo ingresso è uno sconosciuto. È naturale che sia così. Di sicuro
  Paul de Bouilhet non verrà a trovarlo. Ma Friedrich ha subito pensato a lui,
  si è illuso per un attimo che il suo bel prigioniero fosse tornato, mosso dal
  desiderio di vendicarsi. Sarebbe stato bello vederlo ancora una volta e poi
  essere ucciso da lui. Friedrich sarebbe andato incontro alla morte con gioia. Friedrich guarda l’uomo,
  che si presenta come il comandante Hector Gorgedours. L’uomo non gli porge la
  mano. È chiaramente ostile. - Ditemi che cosa
  desiderate. - Sono venuto a regolare
  un conto in sospeso. Friedrich lo guarda. - Non mi risulta di avere
  nessun conto in sospeso con voi. - Con me no, con il
  tenente Bouilhet sì. Quello che voi avete fatto è indegno. Ve ne chiedo
  ragione. - Non ho spiegazioni da
  darvi. - Lo immaginavo. Non mi
  rimane che sfidarvi.  Friedrich annuisce.
  Quest’uomo lo sfida per Paul de Bouilhet. Perché? A che titolo? Non sarà che…
  Sì, dev’essere così. Sul viso di Friedrich
  appare un ghigno. - Così siete voi adesso a
  godere del suo bel culo. Il comandante lo guarda.
  Friedrich legge nei suoi occhi un disprezzo infinito.  - Voi non meritate un
  duello. Siete un infame.  - Non mi dite che mi
  sfidate senza neppure avere avuto qualche cosa in cambio. Eppure al bel
  Bouilhet piaceva molto prenderselo in culo. Ogni volta godeva. - Il mio padrino aspetta
  una visita del vostro. - Comandante, vi ucciderò.
   - Potete farlo. Di questo
  almeno non dovrete vergognarvi. Friedrich accetterebbe ben
  volentieri la morte. È quello che desidera. Ma non può sopportare l’idea che
  il comandante Gorgedours possa un domani diventare l’amante di Bouilhet,
  sempre che non lo sia già. Avrebbe dovuto uccidere Paul de Bouilhet quando
  era ancora nelle sue mani. Voleva farlo. Prenderlo un’ultima volta, ucciderlo
  e poi uccidersi. Gliel’hanno portato via inaspettatamente, non ha avuto il
  tempo per farlo. Possederlo, sparargli in culo e poi spararsi in bocca. I due
  cadaveri uno accanto all’altro, uccisi dalla stessa pistola. E adesso
  quest’uomo, dall’aspetto rozzo, che lo sfida in nome di Paul! Come se Paul
  fosse una donna e lui il marito che la difende. Ma Paul è stato suo, nessun
  altro lo aveva mai posseduto prima. E se questo figlio di puttana di
  comandante non lo ha preso, non avrà più modo di farlo. Sì, uccidere questo
  bastardo e poi andare a Parigi, cercare Paul e ammazzare anche lui prima di
  spararsi un colpo. Friedrich sa che non lo
  farà, ma sa che ammazzerà volentieri Gorgedours. Hector rientra
  nell’albergo dove ha preso alloggio. Sa che Eisenarm è un avversario molto
  pericoloso. È probabile che domani il prussiano lo uccida, ma non ha
  importanza. L’unica cosa che conta è che Eisenarm muoia. Se sarà uno di quei
  duelli in cui entrambi i contendenti trovano la morte, a Hector va bene.
  Purché Paul ritrovi la pace. Dopo cena Hector fa una
  passeggiata, anche se è freddo: rinchiudersi subito nella camera d’albergo
  gli peserebbe. Quando rientra, si ferma
  un momento per prendere da bere. Al tavolo di fianco al suo c’è un giovane,
  un bell’uomo che deve aver superato da poco i venti. Questi si rivolge a lui,
  in un francese perfetto: - Siete voi il francese
  che è arrivato oggi? Hector lo guarda,
  perplesso. Che cosa vuole quest’uomo da lui? - Sì, sono io. - Scusate se vi importuno,
  mi chiamo Christoph Schneider, sono studente. Ho saputo che era arrivato un
  francese e ho pensato che forse avrei potuto scambiare due chiacchiere con
  voi, tanto per tenermi in esercizio con la lingua. Ormai di francesi qua non
  se ne vedono. Neanche prima della guerra, non è che ne venissero molti, ma
  adesso se ne trovano pochi anche a Berlino. - Voi parlate già
  benissimo francese. - Scusate, non volevo
  disturbarvi. Hector si rende conto di
  aver risposto in modo poco cortese. - No, non mi disturbate.
  Parlo volentieri un po’. Sedetevi qui. Christoph chiede come mai
  Hector è venuto a Kessin, ma Hector parla genericamente di un conto da regolare.
  Passano poi ad altri argomenti. Christoph chiede di Parigi, dove è stato più
  volte prima della guerra. A un certo punto osserva: - Parigi è una bellissima
  città e anche la gente è molto più aperta, c’è più libertà. Hector non sa bene come
  intendere le parole di Christoph, che prosegue: - I francesi sono molto
  più aperti come mentalità, più disponibili a concedersi ciò che desiderano.
  Qui da noi… A Kessin poi… Meno male che tornerò presto a Berlino. Hector ha un sospetto. Non
  è la prima volta che qualche giovane lo avvicina. Hector non è un bell’uomo,
  ma c’è nel suo portamento militare, nella sua forza, nella sua virilità,
  qualche cosa che attira i giovani. Hector sa che domani potrebbe essere
  morto. Perché no? Hector sorride. - Sì, è vero, noi cediamo
  volentieri alle tentazioni. Il sorriso di Christoph è
  una conferma di aver visto giusto. - Avreste voglia di
  cedere? Hector annuisce. Paga la
  consumazione e, con un cenno al giovane, si alza e sale in camera. Christoph
  lo segue. Hector chiude a chiave la porta. Alla luce della lanterna
  Christoph incomincia a spogliare Hector. Dopo avergli aperto la camicia,
  passa la mano sul petto villoso del comandante, ne stuzzica un po’ i
  capezzoli. Poi sfila l’indumento e slaccia la cintura. Cala pantaloni e
  mutande con un unico gesto e fissa il cazzo di Hector, che già si protende in
  avanti. Christoph si inginocchia e lo prende in bocca. Incomincia a
  succhiare. Hector chiude gli occhi. È bravo, Christoph, ci sa fare. La
  sensazione della lingua che scorre lungo il cazzo e accarezza la cappella,
  delle labbra che avvolgono, della bocca umida che accoglie l’arma, tutto
  trasmette a Hector un brivido di piacere. È bravo Christoph, molto bravo.
  Hector gli è grato del piacere che gli trasmette e gli accarezza il capo,
  sorridendo. Quando il cazzo di Hector
  è perfettamente teso, Christoph lo contempla. La sua mano accarezza ancora i
  coglioni, poi Christoph si alza e con gesti rapidi si spoglia. Guarda ancora
  Hector e si stende prono sul letto, allargando le gambe. - Fate piano. Siete…
  alquanto dotato. Hector sorride. Guarda il
  culo che gli si offre. Fianchi stretti, glabri, sodi. Un bel culo, giovane.
  Hector lo afferra con le mani. Probabilmente l’ultimo culo che avrà nella sua
  vita. Va bene così. Ancora una volta il piacere, poi la morte. Hector si
  stende di fianco a Christoph. Lascia cadere un po’ di saliva sull’apertura e
  la sparge. Entra con molta cautela, come è abituato a fare: sa di avere una
  buona dotazione e non vuole fare male. Ma la carne cede senza fatica. Hector
  non se ne stupisce: è evidente che Christoph ha un’ampia esperienza. Hector
  avanza fino in fondo, poi si ritrae e inizia a muoversi avanti e indietro,
  con un ritmo regolare. Christoph geme, piano, più e più volte. È bello
  spingere a fondo, penetrando in questo culo caldo, è bello sentire la
  tensione che cresce. Un momento di piacere puro, una pausa, in cui il mondo
  tutt’intorno arretra, il futuro è avvolto nella nebbia e il passato scompare. A lungo cavalca Hector e
  Christoph fa fatica a non urlare per il piacere. E infine Christoph viene e
  subito dopo di lui, Hector, con le ultime spinte.  Christoph chiude gli
  occhi. Di rado ha goduto così. Hector esce da lui e si
  stende al suo fianco. Christoph deve andare. Si alza, si riveste. - Grazie. Vi fermerete
  qualche giorno? Hector scuote la testa. - Conto di ripartire
  domani. Grazie a voi. - Mi spiace, davvero… uno
  come voi non è facile trovarlo. Christoph saluta, apre la
  porta ed esce. Hector si alza per chiudere, poi si stende nuovamente. Ora che
  il bisogno è stato soddisfatto, si chiede che senso ha avuto. Ha provato
  piacere, sì, questo è vero, ma è stato solo l’incontro di due corpi. Fare
  l’amore con qualcuno che si ama sarebbe ben diverso. Ma c’è un solo uomo che
  Hector ama e sa che non l’avrà mai. L’uomo per cui forse morirà domani. È una giornata di vento,
  un vento gelido, anche se si è solo ad ottobre. La carrozza si ferma accanto
  all’altra. Prima di scendere Hector consegna al suo padrino una lettera
  sigillata. - Se dovessi morire,
  farete giungere questa lettera al tenente Paul de Bouilhet. Il padrino annuisce. È un
  funzionario dell’ambasciata francese a Berlino, a cui Hector si è rivolto con
  una lettera di presentazione di un suo superiore. L’uomo non conosce i motivi
  del duello, ma ha accettato volentieri di fare da padrino al comandante
  Gorgedours, che conosceva di fama. Friedrich Eisenarm è in
  attesa, con l’arbitro. Non ci sono testimoni, solo i due padrini, l’arbitro e
  il medico. Il vento spazza le dune e crea piccoli vortici di sabbia. Il mare
  mugghia e grandi onde si infrangono contro la riva. A ogni ondata, qualche
  goccia d’acqua gelida raggiunge gli uomini sulla riva. Seguendo le istruzioni
  dell’arbitro, i due duellanti si dispongono schiena contro schiena. Al primo
  segnale fanno dieci passi in direzioni opposte e al secondo si voltano: ora
  possono sparare.  Friedrich spara subito:
  non vuole lasciare all’avversario il tempo di ucciderlo, vuole essere sicuro
  di poter colpire. Hector avverte la fitta alla spalla sinistra, ma stringendo
  i denti riesce  a riprendere la mira e
  a tirare il colpo. Poi barcolla e cade in ginocchio. Friedrich Eisenarm sente
  il dolore violento al petto, mentre l’impatto della pallottola lo spinge
  indietro. Si avvita su se stesso e cade con il viso sulla sabbia. Sa che sta
  morendo, ma va bene. Gorgedours gli ha tolto un peso di dosso. Spera solo che
  anche la ferita del comandante francese sia mortale. Il medico si avvicina a
  Friedrich. Può solo constatarne la morte. Poi raggiunge Hector. Gli fa
  togliere la camicia. L’ufficiale perde molto sangue, ma non sembra essere in
  pericolo di vita. * Hector è tornato a Parigi.
  Ha dovuto rimanere due settimane a Berlino, in convalescenza. Ha ancora la
  spalla fasciata, ma può muovere il braccio. Da Berlino Hector ha
  scritto una breve lettera a Paul, raccontandogli del duello. Ha concluso
  ricordandogli la sua promessa. Aveva paura che con il protrarsi della sua
  assenza Paul decidesse di mettere in atto il suo proposito. Hector bussa alla porta di
  Paul, come ha fatto alcune settimane fa. Sa che questa sera si gioca una
  partita importante: ne va della vita di Paul. - Hector! Entra. Paul non sorride. Hector
  non sa leggere nel suo viso che cosa prova. Hector si siede. Paul si
  siede davanti a lui. - Non avresti dovuto
  farlo, Hector. Non era una faccenda che riguardasse te. Paul scuote la testa. C’è
  un momento di silenzio. Poi Paul prosegue: - Avrei dovuto fare io
  quello che hai fatto tu, lo so. Ma non me la sentivo di rivederlo, di
  trovarmi faccia a faccia con lui. - Lo capisco benissimo,
  Paul. Dopo quello che avevi passato, incontrarlo ancora… no, non era
  pensabile. Per quello ho deciso di farlo io.  - Hector… avevo paura,
  paura che… Quell’uomo aveva un potere su di me… Non so che cosa sarebbe
  successo…  - Paul, è finita.
  Quell’uomo è morto, Paul. Ha avuto quello che si meritava. Adesso puoi
  riprendere a vivere e lasciare che i fantasmi del passato svaniscano. Paul sorride, un sorriso
  triste. Scuote la testa. - Ti ringrazio, Hector,
  anche di questo. Hector coglie benissimo
  ciò che è implicito nelle parole di Paul. - Paul, perché? Ciò che
  hai subito è stato terribile, ma è dietro le spalle. Sono passati quasi tre
  anni. Non puoi dimenticare? Fino a un mese fa vivevi la tua vita serenamente. Paul annuisce. Poi dice: - Ho mantenuto la promessa
  che ti feci. Adesso però è ora che tu vada. - Perché tu ti possa
  ammazzare? È questo che farai dopo che sarò uscito da questa stanza? Ma
  perché? Che senso ha? - È meglio che tu non lo
  sappia. Sai già troppo. Conserverai di me un ricordo migliore. - No, non posso
  accettarlo, Paul. Paul scuote la testa.
  Hector riprende: - Paul, eravamo amici, ci
  parlavamo francamente. Perché adesso non vuoi spiegarmi? Paul si alza di scatto. - Hector, basta! Lasciami
  tranquillo. - Paul, “lasciami
  tranquillo” significa “lasciami morire in pace”. No, non ci sto. Voglio
  capire. Paul si volta, dandogli la
  schiena. China la testa. - Mi rendi tutto più
  difficile. Vorrei poterti ringraziare per tutto quello che hai fatto, dirti
  addio e sapere che conserverai un bel ricordo di me. - No, Paul. Non ci sto.
  Non puoi pretendere che io me ne vada, sapendo che vuoi ucciderti. Perché non
  mi vuoi raccontare? Eravamo amici, Paul. - Lo credevo anch’io,
  Hector. Quando ti ho conosciuto, ho pensato di aver trovato in te l’amico che
  avevo sempre desiderato. Ti potevo raccontare sogni, preoccupazioni,
  ambizioni, liberamente. Non ti ho mai parlato di quello che mi era successo
  durante la prigionia, perché non volevo che tu mi disprezzassi. Ma per il
  resto non avevo segreti. Tenevo moltissimo a te. Per me eri il miglior uomo
  del mondo. Ero felice di avere la tua amicizia. - Che cosa ho fatto perché
  tu ti allontanassi? In che cosa ti ho deluso? Paul scuote la testa,
  senza voltarsi. Hector vorrebbe gridargli di guardarlo, di non continuare a
  parlargli senza nemmeno vederlo. - Non mi hai deluso,
  Hector.  - E allora? Paul scatta. Si volta e lo
  fissa negli occhi. - Merda, Hector! Non puoi
  andartene e lasciarmi in pace? - No, non posso. Non posso
  andarmene sapendo che tu ti sparerai un colpo. Paul sorride ironico, ma
  la tensione nel suo corpo rivela che fa fatica a controllarsi. - Pensi di fermarti qui a
  lungo? Hector apre la bocca per
  replicare, poi la richiude e decide di ricorrere anche lui all’ironia.
  Sorride e dice: - Perché no? Mi sembra che
  il tuo appartamento sia piacevole. Un po’ piccolo per due, forse, ma mi posso
  adattare. Sono un militare, sono abituato a dormire in tenda, anche per
  terra, possiamo dividere il letto senza… Hector si è interrotto: lo
  sguardo di Paul lo ha bloccato. Che cos’ha detto? Perché Paul ha cambiato
  faccia? Perché lo ha guardato così quando ha detto “Possiamo dividere il
  letto”? Paul si siede. Sembra che
  non riesca più a stare in piedi. Hector lo guarda, paralizzato. Non è
  possibile, non è possibile. È quello che ha pensato? Può esserlo? Hector si alza e si
  avvicina a Paul. - È per questo, Paul? È
  questo il motivo? Paul lo guarda. Non ha
  capito. Hector si rende conto di non aver spiegato.  - Paul, tu ti sei messo a nudo
  davanti a me. Ora è il mio turno. Ho anch’io un segreto che non ti ho mai
  rivelato. Hector si ferma. Se ciò
  che ha intuito è la verità, Hector non sa che cosa succederà, ma Paul non si
  ucciderà. Se invece sono stati la sua immaginazione, il suo desiderio, il suo
  amore a fargli credere qualche cosa che non è, allora potrà solo tornare a
  casa e tirarsi un colpo. E probabilmente Paul farà lo stesso. Ma esiste
  un’altra via d’uscita? Non può fermarsi da Paul all’infinito. Paul non ha detto niente:
  è rimasto seduto, come se non avesse le forze per alzarsi. Hector lo fissa
  negli occhi. - Mi sono innamorato di
  te, Paul. Molto in fretta, quando abbiamo incominciato a frequentarci. Ti ho
  sempre nascosto il mio amore, perché avevo paura che tu mi disprezzassi. Come
  vedi anch’io… Paul si alza. Scuote la
  testa. - Non è possibile, Hector.
  Non è possibile che anche tu… Io… tu… “Anche tu”. Il cuore di
  Hector corre all’impazzata. “Anche tu”. Hector vorrebbe stringere Paul tra le
  braccia, baciarlo, accarezzarlo, ma non osa. Ha ancora paura di non aver
  capito bene. Hector prosegue: - Ti desidero, Paul, e mi
  sono sempre vergognato di questo mio desiderio. Mi piacciono gli uomini, ma
  non volevo che tu pensassi… Quello che provo per te è molto di più. Quando mi
  hai raccontato di Eisenarm… l’ho odiato con tutto me stesso. Io… Hector tace. Ha detto
  quanto doveva dire, in modo confuso, se ne rende conto, ma ha l’impressione
  di essere ubriaco. Ora tocca a Paul. Se ha capito male, se Paul non lo
  desidera, c’è la morte per entrambi. Ma Paul mormora: - Hector, amore mio. E allora Hector lo
  abbraccia, lo tiene stretto a sé, poi gli prende il viso tra le mani e lo
  bacia. Dopo che si sono baciati, Hector guarda Paul e dice: - E per questo volevi
  ammazzarti? Sei… Scuote la testa. Paul sorride: - Non ce la facevo più,
  Hector. Ti sognavo ogni notte, ormai. Ma non potevo dirtelo. Dopo quello che
  Eisenarm mi aveva fatto…  Hector lo bacia di nuovo,
  lo attira a sé, lo abbraccia stretto. E il contatto accende il desiderio dei
  loro corpi. Hector sussurra: - Paul, lo vuoi? Lo vuoi
  davvero? - Come non ho mai
  desiderato altro.  Hector si stacca. Con
  gesti lenti incomincia a spogliare Paul. Gli sbottona la giacca, gli apre la
  camicia. Ha spogliato altri uomini, che ha desiderato, ma non amato. Non
  pensava che un giorno avrebbe potuto stringere Paul tra le braccia. Ora la giacca e la camicia
  di Paul sono sulla scrivania. Hector si inginocchia, stringe a sé Paul e gli
  appoggia la testa sul ventre. Sente che l’uccello si sta tendendo. È vero, è
  vero: Paul lo desidera. Gli sembra ancora impossibile. Si stacca e solleva la
  testa a guardare Paul, che ora gli accarezza i capelli e sussurra: - Ti amo, Hector. - Me, Paul? Me? Com’è
  possibile? Tu…, tu…  Gli sembra che la distanza che li separa sia
  enorme: Paul è bello, elegante, nobile. Ma Paul scuote la testa. Hector si alza. Si baciano
  ancora. - Spogliami, Paul. Paul annuisce. Lentamente
  le sue mani incominciano a sbottonare la giacca, poi sfilano la camicia. Ora sono
  a torso nudo tutti e due e ancora si abbracciano. - Quanto l’ho desiderato,
  Hector! Ma mi sembrava un sogno impossibile. E non reggevo più. Volevo
  cancellarmi, per non soffrire più.  - Già, volevi farti
  cancellare da me, con un duello. Sono sicuro che mezza Parigi ne ride ancora.
  Testa di cazzo! E dopo aver detto questo
  Hector bacia Paul.  - Perdonami, Hector.
  Soffrivo troppo. Hector accarezza i capelli
  di Paul. - Sei sicuro di desiderare
  un bestione come me? - Adesso la testa di cazzo
  sei tu. Hector ride.  - Non l’ho mai negato. Paul sorride, poi mormora: - Andiamo in camera. Hector annuisce. In camera da letto Hector
  finisce di spogliare Paul. Poi fa un passo indietro e lo contempla. È bello,
  Paul: un corpo armonioso e snello, un viso dai tratti maschi, ma molto
  regolari.  - Siediti, ti aiuto a
  toglierti gli stivali. Hector annuisce. Paul toglie gli stivali di
  Hector, poi lo fa stendere sul letto e lo accarezza, interrompendosi per
  togliergli gli ultimi indumenti. Il cazzo di Hector è ormai teso e Paul lo
  contempla.  - Nessuno mi ha mai preso…
  dopo Eisenarm, intendo. - È morto, non esiste più. Paul annuisce. Hector
  continua: - Paul, se non vuoi…
  facciamo solo quello che desideri tu. Non voglio forzarti. - Ti ho già detto che lo
  desidero. Non mi disprezzi per questo? Hector fa una smorfia. - Ripeto: sei una testa di
  cazzo. E con queste parole Hector
  attira a sé Paul, lo bacia sulla bocca e si stringono. Poi Paul mormora: - Prendimi, Hector. Voglio
  che tu mi prenda e cancelli tutto quello che c’è stato prima. Sei il primo a
  cui mi offro. Hector annuisce. Volta
  Paul sulla schiena e le sue mani accarezzano a lungo la schiena del giovane,
  dalla nuca al culo. Poi Hector appoggia le mani sulle natiche e le divarica,
  fa scendere un po’ di saliva e la sparge. Al pensiero che sta per
  possedere Paul, prova un senso di vertigine. Si stende su di lui e lentamente
  spinge il cazzo nel culo che gli si offre. Avanza fino in fondo. Poi stringe
  Paul tra le braccia e gli sussurra nell’orecchio: - Ti amo, Paul. - Anch’io ti amo, Hector. 2017  |