Il
bastardo e il bandito Con un movimento della
falce Francesco recide le ultime spighe. Si passa una mano sulla fronte per
asciugare il sudore. Anche sul petto gli scorrono rivoli, che scendono fino
ai pantaloni. È esausto, per quanto sia
abituato a lavorare duramente. Hanno incominciato a mietere all’alba e ormai
è quasi buio: il sole è tramontato da un pezzo. Francesco ritorna
all’altra estremità del campo, raccoglie la camicia che si è tolto nel tardo
pomeriggio, quando il sole si è abbassato in cielo e non era più necessario
ripararsi dai suoi raggi. Se la mette sulla spalla. Prima di indossarla vuole
lavarsi un po’. Gli piace la pulizia, un’abitudine che ha conservato da un
altro periodo della sua vita. I braccianti raggiungono
l’edificio dove dormano, uno dei tanti della grande proprietà dei Russo,
posta ai margini del paese. Francesco e alcuni altri si danno una lavata al
pozzo. Si spogliano e poi si rovesciano i secchi d’acqua sulla testa: la
giornata è stata molto calda e a tutti fa piacere un po’ di frescura. Michele guarda Francesco e
gli dice: - Hai proprio un bel culo. Francesco non risponde. Ha
già notato l’interesse di Michele. Ha vagamente coscienza di essere
considerato bello, ma non gliene importa. È Rocco a rispondere per Francesco: - È inutile che ci provi. Michele non dice nulla. Sa
che Francesco non è interessato ai rudi giochi del sesso tra uomini e
d’altronde il suo apprezzamento non mirava a niente: come tutti, dopo una
giornata di lavoro intensissimo, è esausto. Ma il padrone, don Lorenzo Russo,
è implacabile e il suo sorvegliante frusta chiunque cerchi di riposarsi un
momento. Di frustate se ne sono prese tutti, anche Michele e soprattutto
Francesco, che il sorvegliante sembra odiare e su cui infierisce spesso:
sulla sua schiena ci sono alcuni segni, per quanto Francesco non batta certo
la fiacca. Francesco si stende a
dormire con gli altri braccianti. Da molto tempo è uno dei tanti lavoratori della
proprietà dei Russo. Fa di tutto: bracciante quando è la stagione del
raccolto, uomo di fatica, sguattero, carrettiere. Non riceva la misera paga
che viene data agli altri: non gli danno nulla. Il padrone dice che fa già
abbastanza a tenerlo presso di sé. Francesco si stende e
scivola in fretta in un sonno popolato di sogni. Gli appaiono immagini di un
altro tempo della sua vita. Francesco non è sempre
stato un uomo di fatica trattato come una bestia. C’è stato un tempo in cui
era il figlio del padrone, don Andrea Russo, fratellastro di don Lorenzo.
Fino a nove anni era cresciuto negli agi di una famiglia ricca, amato dai
genitori. Aveva potuto giocare, aveva studiato. Tutto era cambiato un
giorno. Suo padre aveva ammazzato sua madre e poi si era tirato un colpo. La
grande proprietà dei Russo, in larga maggioranza portata in dote dalla madre
di Francesco, sarebbe dovuta passare a lui, ma lo zio, che l’amministrava,
aveva incominciato a dire che Francesco era un bastardo, che Andrea aveva
ammazzato la moglie perché aveva scoperto di essere stato tradito. Nel giro
di un anno Francesco è passato dal letto della sua camera ai pagliericci su
cui dormono i braccianti, tenuto in casa “per carità” dallo zio. Francesco non sa che
potrebbe rivendicare l’eredità: nessuno tra coloro con cui è a contatto
glielo ha mai detto. E anche se qualcuno glielo dicesse, Francesco non
avrebbe nessuna possibilità di farsi valere: la giustizia a San Domenico di
fatto dipende dai conti di Roccascosa e il loro
uomo nella cittadina è culo e camicia con Lorenzo Russo, che sa come ungere
le ruote per farle girare nel verso giusto. Tra i pochi che conoscono
la vera situazione, nessuno intende mettersi contro Lorenzo Russo, che è un
uomo potente e pericoloso. Il giorno dopo è domenica e
gli uomini riempiono la chiesa di San Domenico. Francesco non possiede certo
un vestito per la festa, ma pulito e pettinato attira gli sguardi delle donne
e di diversi uomini. Non se ne rende conto, ma spesso suscita negli altri un
desiderio ardente. La sua è una bellezza fuori dal comune. Il viso ha
lineamenti molto regolari, la pelle scurita dal sole e il nero corvino dei
capelli e della barba contrastano con gli occhi chiari, di un azzurro
intenso, e le labbra di corallo, entrambi eredità di sua madre. Il corpo,
snello, forte e muscoloso, ha un’eleganza naturale che è raro trovare persino
tra i nobili. La giacca e la camicia consunte, i pantaloni logori, le scarpe
che quasi perdono i pezzi non offuscano la sua bellezza, ma sembrano
esaltarla. Le donne dicono che è bello come l’arcangelo Michele. E anche
diversi uomini pensano che con quest’angelo potrebbero conoscere il paradiso.
All’uscita dalla messa,
gli si avvicina don Vito Barrese, un ricco proprietario di Ruvo, che possiede
diversi terreni anche a San Domenico. Francesco si stupisce che quest’uomo,
che conosce solo di nome e con cui non ha mai avuto modo di parlare, si
rivolga proprio a lui. Ciò che don Vito gli dice, lo stupisce molto di più,
lasciandolo senza parole. Se l’uomo non apparisse molto serio, direbbe che
vuole prendersi gioco di lui. Tre sere dopo don Vito si
presenta a casa di don Lorenzo Russo. Dopo i convenevoli, don Vito spiega il
motivo della sua visita. - Volevo dirvi che sabato
vostro nipote Francesco sposerà mia figlia Lucia. Se don Vito si fosse
improvvisamente trasformato in un elefante a tre teste, don Lorenzo sarebbe
rimasto meno sorpreso. In famiglia esiste un altro Francesco, oltre al figlio
di Andrea: è l’unico figlio di un suo fratello morto da poco, ma il ragazzo
ha appena dodici anni. Superato il momento di
smarrimento, don Lorenzo reagisce: - Voi volete scherzare,
don Vito. Certo non dareste mai vostra figlia a un bastardo. Don Vito agita le mani
grassottelle, come a scacciare un insetto fastidioso. - Non usate quella parola,
don Lorenzo. Francesco è figlio legittimo davanti alla legge. Gli atti sono
tutti in regola. Le voci che corrono sono solo voci. I documenti sono a
posto. Mia figlia l’ha visto e dice che senza di lui non può più vivere.
Francesco è d’accordo e io mi sento onorato a legarmi con la vostra famiglia. Don Lorenzo ragiona in
fretta. Non crede a una sola parola di don Vito: Lucia sposerà l’uomo che suo
padre ha scelto e se don Vito ha deciso che il marito sarà Francesco, non
l’ha certo fatto per la bella faccia del nipote. Quello che don Vito dice è
vero: i documenti sono in regola, nessuno ha mai contestato la legittimità di
Francesco e se oggi tutti dicono che è un bastardo, perché così sostiene il
potente don Lorenzo, domani che Francesco sarà il genero di don Vito Barrese,
tutti diranno che è solo una voce ripetuta tante volte. E don Vito ha i soldi
e le conoscenze per far valere i diritti di Francesco. Questo significa che
oltre nove decimi delle terre che ora Lorenzo considera sue passerebbero al
nipote, cioè di fatto a Barrese. Merda! Vito Barrese sa benissimo
che Lorenzo Russo ha capito il suo gioco, ma sa anche che non ha molti mezzi
per impedirgli di ottenere ciò che vuole. Ci sarà una battaglia, senza
dubbio, ma alla fine Russo dovrà cedere. Lorenzo mastica amaro, ma
sa che è meglio dissimulare. È furente, ma il tono con cui si rivolge a don
Vito è cordiale. - Se siete convinto della
vostra decisione… non sarò certo io a oppormi, anche se sono molto perplesso.
Un bracciante che sposa la figlia di don Vito Barrese… La gente mormorerà. - Lasciate che mormori
finché vuole. Ci sono ancora un po’ di
convenevoli. Lorenzo Russo non insiste sul fatto che Francesco non possiede
neanche un abito per la domenica: don Vito lo prenderà così com’è. E di certo
poi cercherà di prendersi anche tutta la terra dei Russo. Merda! Dopo un po’ di frasi a
vuoto, Lorenzo Russo assicura che parteciperà al matrimonio. Vito Barrese
provvederà a far fare un abito per Francesco: sa che sono soldi ben spesi. Don Vito si congeda. Don
Lorenzo rimane pensieroso. Di certo Francesco non sposerà Lucia Barrese
sabato. Lorenzo non ha ammazzato il fratellastro e la cognata, facendolo
passare per un omicidio-suicidio, solo per vedersi soffiare la proprietà. Francesco ha ricevuto la
visita del sarto: per la prima volta avrà un abito nuovo e non i panni smessi
di qualche servitore. Dorme nel fienile e non con gli altri braccianti, anche
se continua a lavorare. Ma il sorvegliante non lo frusta più e Francesco è
meno impegnato. La proposta di don Vito lo
ha lasciato stupefatto. Non ha mai visto Lucia Barrese e non sa come lei
abbia fatto a vedere lui, visto che va a messa a Ruvo e non a San Domenico.
Ma tutto questo non ha molta importanza. Un bracciante che entra nella
famiglia di un proprietario. Francesco non sa immaginare quale sarà la sua
condizione, ma di una cosa è certa: non tratterà mai nessuno come è stato
trattato lui, come vengono trattati i braccianti. Come sarà Lucia Barrese? Giuseppe
l’ha vista e dice che è una bella ragazza, prosperosa. A Francesco le donne
non interessano molto, ma farà la sua parte. La sua vita cambierà
radicalmente e nelle condizioni in cui vive ogni cambiamento è positivo. Il giovedì Don Lorenzo
convoca il nipote. - Francesco, don Vito ha
deciso che tu vada a Ruvo questa sera, per preparare la cerimonia. Noi
verremo sabato in chiesa. Ti porterà Lucio. Francesco è stupito,
perché gli accordi erano diversi, ma se il futuro suocero ha deciso così, non
resta che obbedire. Francesco si lava, si mette l’abito per il matrimonio e
sale sul carretto, condotto dal servitore Lucio. Accanto a lui si mette anche
Angelo, un altro servitore, che scenderà a metà strada. Quando hanno percorso
appena un miglio e si trovano ad attraversare un bosco, da dietro gli alberi
spuntano quattro uomini armati, alquanto massicci: sono certamente briganti. Lucio e Angelo non paiono
né spaventati, né sorpresi e Francesco si dice che dovevano già essere
informati dell’incontro con i banditi. Uno dei quattro fa un
cenno del capo guardando Francesco e gli dice: - Tu, scendi. Francesco guarda un attimo
i due compagni di viaggio, che sono indifferenti. Gli sembra che Angelo stia
sorridendo. Su di loro non può contare e anche se fossero disponibili ad
aiutarlo, che cosa potrebbero fare? Scende. Il bandito ha un
ghigno, mentre gli punta il fucile addosso. Francesco intuisce: la sua vita
finisce qui e ora. Perché, non lo sa e non avrà il tempo di scoprirlo.
Attende il colpo, ma un altro dei banditi si avvicina a quello che gli sta
puntando il fucile addosso e gli dice: - C’è tempo. Guarda che
bel ragazzo, Carmine. Possiamo sistemare la faccenda dopo. E senza dare all’uomo che
ha chiamato Carmine il tempo di rispondere, si rivolge a Lucio e Angelo: - Dite al padrone che
glielo facciamo ritrovare tra due giorni. Prima ci divertiamo un po’. Poi si rivolge a
Francesco: - Vieni con noi, muoviti. Francesco obbedisce. Gli è
chiaro che don Lorenzo si è messo d’accordo con i banditi perché lo
uccidessero. E che la sua esecuzione è solo rimandata. Perché don Lorenzo
vuole la sua morte? Francesco non riesce a darsi una risposta. Che cosa
vogliono fargli i banditi prima di “sistemare la faccenda”, cioè ucciderlo?
Francesco non lo sa con sicurezza, ma lo sospetta. E di colpo capisce chi
sono i banditi: gli uomini di Vito Torretta, che hanno fama di stuprare i
maschi che gli piacciono prima di ucciderli. Vito e Carmine Torretta, due
fratelli. E l’uomo che gli puntava il fucile addosso si chiama Carmine. Pensava di cambiare vita e
va a morire, per volontà di don Lorenzo. E prima di morire sarà di nuovo
stuprato. È stato un servitore dello
zio a stuprarlo, quando era ragazzino: si chiamava Oronzo ed era di Lecce.
Gli piacevano i ragazzini e per due anni lo aveva preso, poi si era stufato,
perché Francesco era cresciuto. Francesco non è più stato stuprato: ora è
forte ed è in grado di difendersi da un tentativo di violenza. Non ha neppure
avuto rapporti, lui stesso non saprebbe dire perché: le occasioni non gli
sono mancate, perché uno come lui attira donne e uomini. Camminano fino a una
radura, dove i banditi hanno lasciato i cavalli. Vito Torretta fa salire
Francesco davanti a lui e gli lega le mani dietro la schiena. Mentre
cavalcano gli dice: - Sei proprio un bel ragazzo.
E devi avere un culo fantastico. Francesco non risponde. Evitano le strade. Dopo
circa un’ora sono ai piedi di un’altura. In cima si scorge un castello.
Francesco ha già avuto modo di vederlo da lontano, ma è un posto che la gente
di solito evita, perché è spesso rifugio di banditi. Salgono fino al castello.
È la prima volta che Francesco ha modo di vederlo da vicino, con le sue otto
torri. La luce del tardo pomeriggio dà ai muri una tonalità molto calda. Entrano nel castello,
passano in cortile, rientrano da un’altra porta e salgono al primo piano. Si
fermano in una stanza ingombra di diversi oggetti: vecchi mobili,
pagliericci, assi di legno. Vito si guarda intorno,
poi dice, irritato: - E dove cazzo è finito
Menico? - Sarà al cesso. - Va’ a vedere, Nando. L’uomo si esce da una
porta laterale e rientra quasi subito. - No, non c’è. - E dove cazzo è finito? Carmine scuote la testa: - Che ce ne fotte? Tutto è
a posto, nessuno ha toccato niente. Tornerà. Noi intanto possiamo gustarci
questo bel bocconcino. Tutti guardano Francesco e
sorridono. Vito incomincia a spogliarsi, imitato da Carmine e poi dagli altri
due. Gettano abiti e armi su un vecchio cassone. - Non so perché don
Lorenzo ti vuole morto, ma sarebbe un vero peccato ammazzarti senza aver
assaggiato il tuo culo e la tua bocca. Vito ride. Francesco è
rimasto immobile. Ha ancora le mani legate dietro la schiena e non può certo
difendersi. Ma anche se fosse libero, che cosa potrebbe fare? Sono in
quattro, i due fratelli sono colossi e anche quello che si chiama Nando è un
Ercole. Quando Vito si cala le
mutande, alquanto sporche, emerge un cazzo inquietante per dimensioni.
Carmine, che non porta mutande, non è da meno. Francesco rabbrividisce.
Ha sentito parlare di alcuni uomini stuprati per ore dai fratelli e dagli
altri uomini della banda prima di essere uccisi. Carmine ghigna e dice: - Comunque don Lorenzo ci
ha fatto un favore a consegnarti a noi. Noi glielo ricambiamo, restituendogli
il tuo cadavere, come vuole lui. Ma un bocconcino così… Non c’era bisogno di
pagarci per farti fuori… Francesco chiede: - Perché don Lorenzo mi
vuole morto? È una domanda assurda
nella situazione in cui si trova. Ma prima di essere stuprato e poi ucciso,
Francesco vorrebbe sapere. Carmine ride, poi alza le
spalle e risponde: - Non glielo abbiamo mica
chiesto. Ma di certo è per la proprietà. Vito interviene: - Non perdiamo tempo.
Questo voglio fotterlo tutta la notte. Istintivamente Francesco
fa un passo indietro. Vito e Carmine ridono. Il riso si interrompe
improvvisamente quando sei uomini appaiono tra i mobili, con i fucili puntati
sui banditi. A parlare è un uomo alto, con un colorito scuro e un gran
barbone nero che gli dà un aspetto truce: - Alzate le mani o
spariamo. - Che cazzo… Alle spalle dei banditi
sono apparsi altri tre uomini. Nando scatta di corsa
verso i fucili. L’uomo che ha parlato spara e Nando crolla a terra, gridando.
Sul pavimento si contorce, lamentandosi e bestemmiando. È sempre lo stesso uomo,
che evidentemente è il capo, a intimare: - Non muovetevi o fate la
stessa fine. I tre sembrano esitare un
momento, ma obbediscono. Sanno che con ogni probabilità li aspetta la morte,
ma non hanno fretta di morire e sperano di poter scampare. Francesco guarda incredulo.
Non sa chi siano questi sconosciuti, non sa se per lui siano dei salvatori o
dei carnefici. Spera di non essere cascato dalla padella nella brace. Il capo dà un ordine: - Legateli. Tre uomini prendono delle
corde, che avevano già pronte, e passano dietro ai tre banditi. Prima gli
legano le mani dietro la schiena, poi passano le corde intorno al petto e le
braccia, in modo da bloccare ogni movimento. Un altro uomo si è chinato
sul bandito ferito, che singhiozza, si lamenta e impreca. - Che ne facciamo di
questo, Orso? Non credo ne abbia per molto. Il capo, che evidentemente
viene chiamato Orso, risponde: - Lega anche lui. Francesco non dice nulla.
Ha paura di attirare su di sé l’attenzione di questi sconosciuti. Orso ghigna e dice: - Preparateli. I tre banditi legati
vengono trascinati ai mobili e costretti a piegarsi in avanti. Vengono
legati, con il busto proteso in avanti e il culo sollevato. Gli uomini
ridacchiano. Intanto Orso si è
avvicinato a Francesco. Lo guarda, curioso. - E tu chi sei? - Mi chiamo Francesco,
Francesco Russo. Mi hanno rapito… volevano uccidermi. - Sì, ho sentito, per
conto di Lorenzo Russo, quel figlio di puttana. Ma se ti chiami Russo anche
tu sei un suo parente… aspetta… sei il figlio di Andrea Russo, vero? Ora è
tutto chiaro. Orso sembra cordiale e
Francesco osa osservare: - A me non è chiaro
niente. Orso ride. Ha una bella
risata, che gli illumina il viso, rendendolo meno truce. - Certo. La storia è
semplice, ma tu non puoi saperla. La tenuta dei Russo è tua, quel figlio di
puttana di tuo zio non ha nessun diritto, ma ti ha tolto tutto. E poi ha
deciso di farti ammazzare: deve aver paura che tu rivendichi quello che ti
spetta. Francesco è rimasto
sorpreso. Ha sempre pensato di essere davvero un bastardo. - Rivendicare… - Senti, ne parliamo dopo.
Adesso vogliamo sistemare questi. Non sarà un bello spettacolo, per cui è
meglio che tu venga con me. Orso fa strada e Francesco
lo segue. Si spostano due stanze più in là. Francesco nota che la stanza non
comunica con la successiva, per cui per uscire dovrebbe ritornare dov’era. A
meno che non ci sia un passaggio nella torre. Orso passa dietro Francesco e
con il coltello gli taglia le corde. - Rimani qui. Sentirai un
po’ di urla, ma non ti preoccupare. Non ti consiglio di andartene per conto
tuo: correresti troppi rischi. Domani mattina, dopo che abbiamo regolato
alcuni vecchi conti, ti accompagniamo da qualche parte. Orso si volta e fa per
andarsene. Dopo due passi gira la testa e dice: - Il cesso è nella torre. Poi si ferma e dice: - Certo che sei proprio un
bel ragazzo. Il complimento non fa
piacere a Francesco, anche se il sorriso di Orso non è cattivo: ha paura che
il capo decida di stuprarlo. La stanza è spoglia: ci
sono i resti di due mobili sfasciati e un grande pagliericcio. Francesco si siede su uno
dei mobili. Ha una grande confusione in testa. Una bestemmia urlata lo fa
sussultare. Seguono altri suoni: grida, risate, imprecazioni, bestemmie,
lamenti. Francesco si alza in piedi di scatto. Si chiede se non farebbe
meglio ad andarsene. Ma è quasi buio, non conosce i sentieri e rischia
soltanto di perdersi e magari di fare qualche altro brutto incontro. Imprecazioni e bestemmie
smettono presto. Si sentono ancora alcuni lamenti e soprattutto risate. È passata circa un’ora e
la stanza è ormai avvolta nell’oscurità, quando risuona il primo sparo,
seguito da un urlo acutissimo. Seguono altri tre spari. Qualcuno geme. Altri
ridono. Francesco ha paura. L’arrivo di Orso con una
lanterna è un sollievo. - Adesso ci mettiamo a
dormire. Io e te dormiamo qui. La scala è bloccata, per cui stiamo
tranquilli. Gli altri dormono nella camera a fianco. Orso illumina il grande
pagliericcio steso a terra. Non certo un giaciglio comodo, ma non peggio di
come Francesco è abituato a dormire. Orso si spoglia
rapidamente. È alquanto villoso e Francesco si dice che forse è quello il
motivo del soprannome. È anche alquanto dotato. Francesco ha paura. Si toglie
l’abito, che non vuole rovinare, e la camicia. Si chiede se tenere le
mutande, ma si rende conto che non cambierebbe molto: se questo Ercole vuole
stuprarlo, lo farà e non saranno certo le mutande a impedirglielo. Orso ha gettato i suoi
abiti su un mobile sfasciato. Francesco lo imita. Poi si stendono entrambi. Orso lascia la lanterna
accesa. - Hai voglia di
raccontarmi un po’ di te, Francesco? A Francesco pare di non
avere molto da raccontare. Parla della vita che conduceva, ma che cosa c’è da
dire sulla vita di un uomo di fatica? Orso ascolta, attento. Pone domande.
Francesco si trova a parlargli di quel poco che rammenta della sua infanzia
felice. Sono ricordi che gli fanno male. Francesco si rende conto di avere le
lacrime agli occhi. - Mi spiace, Francesco,
non volevo farti soffrire. Orso gli accarezza il
viso, una carezza leggera. Le lacrime scendono copiose. Orso lo prende tra le
braccia, gli fa appoggiare la testa sul suo petto e ancora lo accarezza, con
molta delicatezza. Lentamente il pianto si calma. Francesco è in imbarazzo,
ora, ma la sensazione di calore che gli trasmette questo corpo è piacevole. - Hai un’idea di perché
tuo zio ha deciso di farti ammazzare ora? - No, non so. Forse per il
matrimonio. - Il matrimonio? E certo,
eri vestito come per un matrimonio. Spiegami un po’. Francesco racconta quel
poco che sa. Orso scoppia a ridere. - Certo, ora tutto è
chiaro. Mica scemo, don Vito Barrese. Orso spiega a Francesco i
motivi che devono aver spinto don Vito a combinare il matrimonio. Francesco
ascolta. Si rende conto che le cose stanno senz’altro come dice Orso. C’è un momento di
silenzio, poi Francesco chiede: - E tu? Tu chi sei? Orso rimane un momento in
silenzio. Francesco si dice che ha fatto male a chiedere. - Non ne parlo mai, ma non
c’è motivo per non dirtelo. La mia famiglia non era ricca, ma stavamo bene:
una piccola proprietà che rendeva abbastanza per vivere senza problemi. Un
possidente della zona si mise in testa di prendere la terra di mio padre. Era
protetto dal barone e contava di poter ottenere tutto ciò che voleva. Mio
padre si oppose e alla fine quel figlio di puttana mandò un uomo a ucciderlo. Orso tace un momento. Poi
riprende. - Io avevo vent’anni.
Tornai a casa che mio padre era ancora caldo. Presi il fucile e segui le orme
lasciate dall’assassino. Conducevano a un grosso trullo che serviva come
riparo per gli attrezzi. Si erano dati appuntamento lì, il possidente e il
sicario. Li uccisi tutti e due. Poi naturalmente dovetti scappare. Accusarono
mio fratello e volevano impiccarlo, ma riuscii a liberarlo e fuggimmo
insieme. C’ un nuovo momento di
silenzio. A Francesco spiace aver destato ricordi tristi. Orso riprende: - Sono diventato un
brigante, ma è una vita che non mi piace. La lascerò presto. Prima però avevo
un conto da regolare. E oggi l’ho fatto. - Che cosa intendi? - Mio fratello fu catturato
dai Torretta. Era un bel ragazzo. Lo stuprarono e poi lo ammazzarono. Giurai
di vendicarlo. Oggi l’ho fatto. Francesco pensa alle urla
che ha sentito prima. - Sono morti? Non ha spiegato a chi si
riferisce, ma Orso ha capito benissimo. - Non credo. Ci metteranno
un po’ a crepare… Non volevamo che crepassero in fretta. C’è nuovamente un momento
di silenzio, poi Orso aggiunge: - Questo è quello che sono
diventato, Francesco. Un ladro e un assassino. Ma non me ne pento. Ho rubato
solo a quei nobili bastardi che succhiano il sangue a tutti i poveri e ho
ucciso soltanto assassini. Ma non è una bella vita. Rimangono immobili.
Francesco sta bene con la testa sul petto di Orso, di questo ladro e
assassino che gli ha salvato la vita. Ne sente la sofferenza. Istintivamente appoggia la mano destra sul
corpo di Orso, in una carezza. Si blocca subito, conscio della loro nudità,
del contatto dei loro corpi, del proprio desiderio. Orso gli passa una mano
sulla guancia. - Mi piaci molto, Francesco. - Anche tu mi piaci Orso. Orso prende la testa di Francesco tra le mani, la
solleva, si sposta in modo che i loro visi siano vicini e, con molta
delicatezza, lo bacia. Francesco non se l’aspettava. Nei rapporti tra
braccianti di solito non c’è molto spazio per la tenerezza: si cerca la
rapida soddisfazione di un bisogno. E nessuno ha mai baciato Francesco, che
ora si dice che è bello essere baciato da Orso, essere stretto e accarezzato
da queste braccia vigorose. Non è abituato a essere accarezzato. Le loro
bocche si incontrano più volte e le mani di Francesco si muovono, scivolando
sul petto di Orso, sulla schiena, prima incerte, poi più sicure, cercando il
corpo che ora aderisce al suo. Orso gli accarezza il viso, poi le sue dita
scendono lungo la schiena, ma non sotto la vita. Per il momento c’è solo
tenerezza: Orso capisce che Francesco ha bisogno dei suoi tempi e non vuole
forzarlo. Per quanto ora il desiderio sai fortissimo, se il giovane gli
dicesse di smettere, Orso si fermerebbe. Orso si stende su Francesco. Si baciano ancora a lungo
e si guardano. Francesco è turbato. Non si aspettava quello che sta
avvenendo, non pensava che qualcuno avrebbe destato il suo desiderio. Orso ora lo bacia sul collo, poi si solleva un po’, le
sue labbra sfiorano un capezzolo, poi lo succhiano avidamente. E dopo averlo
di nuovo baciato, Orso passa a succhiare l’altro. Poi si sposta, allarga le
gambe di Francesco, si inginocchia nello spazio così creato e gli bacia la
cappella, poi l’avvolge con le labbra e la succhia avidamente. Francesco geme, mentre le sue mani accarezzano la
testa di Orso, gli solleticano il collo, si perdono tra i peli della fitta
barba. Intanto le mani del guerriero gli solleticano i capezzoli, scorrono
sul petto, mentre la bocca avvolge il cazzo e lo stuzzica. Il piacere cresce,
fino a che Francesco sente che sta per venire. - Orso! Ora. Il brigante non si ritira: continua a succhiare e
accoglie il fiotto che gli riempie la bocca. Succhia ancora, ma più
delicatamente, fino a che è Francesco ad allontanare la sua testa. Francesco chiude gli occhi, mentre lentamente il
respiro si calma. È stato bellissimo. Orso si stende su di lui. Lo bacia sulle palpebre e
sulla bocca, gli morde un orecchio, gli accarezza le guance. Poi si sposta, mettendosi
di fianco a lui. Non sentendo più il peso sul proprio corpo, Francesco apre
gli occhi. Orso gli sorride. Il giovane guarda il grosso cazzo teso. Esita,
allunga un braccio, ma si ferma. Allora Orso, sempre sorridendo, gli prende
la mano e la guida fino alla cappella. Francesco si lascia condurre e le sue
dita percorrono il cazzo, fino alla base, poi scendono a stringere i
coglioni, grossi e duri. Orso lo guarda negli occhi, serio: - Te la senti, Francesco? Francesco lo fissa senza dire nulla, poi, lentamente
annuisce. Si abbandona a quest’uomo e, voltandosi sulla pancia, gli offre i
fianchi, che nessuno hai mai più posseduto da quando era ragazzino. Orso gli allarga le gambe. Si china in avanti e la sua
lingua scorre sul solco tra le natiche, più volte. Francesco geme. Sente
dentro di sé una tensione crescente. Vorrebbe dire a Orso di fermarsi, ma gli
sembra di non avere più una volontà propria. La lingua scorre ancora, poi i
denti affondano nella carne, in piccoli morsi al culo che strappano altri gemiti
a Francesco. La lingua ritorna sul solco, indugia sull’apertura, preme. E poi
il brigante sente il corpo del guerriero pesare su di lui e una pressione
crescente contro il buco del culo, che si apre ad accogliere il cazzo che
avanza vittorioso. Orso accarezza, bacia, mordicchia, mentre il suo cazzo
affonda nella carne, fino in fondo, fino a che i coglioni battono contro il
culo, e poi si ritrae, in un movimento continuo, che rallenta quando Orso è
sul punto di venire e poi riprende. E sente che il corpo che possiede sta
vibrando, che la tensione cresce anche in Francesco. Allora passa un braccio
sotto il corpo che stringe e si gira di lato, in modo da poter afferrare il
cazzo di Francesco, nuovamente rigido, e guidarlo al piacere. Vengono insieme, Orso versa il suo seme abbondante nel
culo di Francesco, che sparge nuovamente il proprio sul pagliericcio. Orso si gira sulla schiena, portando Francesco con sé
e lo accarezza, dolcemente. La sua mano scorre sul viso, sul petto, sul
ventre, sul cazzo e sui coglioni. E quando il cazzo perde vigore ed esce dal culo che lo
ha accolto, chiede: - Ti ho fatto male,
Francesco? - Va bene così, Orso, è
stato bello, molto bello. Sono stato stuprato da ragazzino, ma poi… nessuno
mi aveva più preso. Orso bacia Francesco sul
collo. - Adesso mettiamoci a
dormire. Francesco si rannicchia
accanto al corpo di Orso, che lo abbraccia. Si addormentano così. A svegliare Francesco sono
le carezze di Orso. È bello destarsi così. - È ora di andare. Per noi
non è saggio rimanere qui di giorno. E nemmeno per te. Francesco annuisce. Guarda
Orso e gli sorride. Orso lo bacia. Francesco ricambia e nuovamente i loro
corpi si stringono. Quando hanno saziato il
desiderio, si alzano e si rivestono. - Francesco, noi dobbiamo
scomparire. Ti possiamo accompagnare fin quasi a Ruvo. Così potrai andare dal
tuo futuro suocero senza correre rischi. Con il suo aiuto rientrerai in
possesso delle tue terre. Francesco annuisce, ma
dentro sente un peso. Non vorrebbe separarsi da Orso. Ma che cosa potrebbe fare?
Diventare un brigante? Non sa se Orso lo prenderebbe con sé e in ogni caso
non se la sente. Orso continua: - Fa’ attenzione. Tuo zio
potrebbe cercare di ucciderti ancora. Francesco annuisce. Non trova parole per
dire quello che ha dentro e si sente male. Orso coglie la sua sofferenza. Lo
accarezza e gli dice: - Ci rivedremo. Francesco annuisce, ma sa
che non si ritroveranno: Orso sta solo cercando di consolarlo. I briganti ai avviano.
Quando sono giunti nei pressi di Ruvo, Orso indica a Francesco al strada. Poi
se ne vanno. Francesco li guarda allontanarsi, un peso sul cuore. Quando sono
scomparsi, Francesco si mette in cammino e in meno di un’ora arriva a casa
del futuro suocero. Gli racconta ciò che è successo, omettendo alcuni
elementi. Dice che i briganti volevano stuprarlo e ucciderlo, ma sono
arrivati altri banditi che li hanno affrontati e uccisi e poi lo hanno
lasciato libero. Seguendo i consigli di Orso non accusa lo zio, ma riferisce
ciò che i Torretta hanno detto quando lo hanno rapito. I soldati inviati trovano
ai piedi del castello i cadaveri dei cinque banditi, che sono stati gettati
da una finestra. I corpi vengono caricati su un carro e trasportati a Ruvo.
Sono nudi e mostrano il segno delle violenze subite. Francesco viene interrogato,
ma racconta di non aver assistito all’uccisione degli uomini della banda,
perché lo avevano portato in un’altra sala. Ha solo sentito delle urla. Il ritorno di Francesco e
la sua testimonianza sono l’avvenimento del giorno, di cui tutti parlano.
Nessuno accusa apertamente don Lorenzo, ma tutti sanno che è lui il mandante
del rapimento. Lorenzo Russo sente la
terra mancargli sotto i piedi. Non sa a chi altri rivolgersi per eliminare
Francesco e ormai manca il tempo. Il sabato il matrimonio si svolge regolarmente:
don Vito ha fretta, sa che don Lorenzo potrebbe cercare nuovamente di
uccidere il genero. Una volta che Francesco avrà sposato Lucia, in caso di
morte lei sarà la sua erede. La chiesa è strapiena e
fuori molti aspettano per vedere gli sposi. Tutti osservano che sono una
bella coppia e che Francesco è davvero il più bel giovane che si sia mai
visto. Bello e ricco, Lucia è davvero fortunata. Qualcuno osserva che la
ragazza non sembra così contenta ed è davvero strano: dove lo troverebbe un
altro uomo così, che sembra un angelo? Anche Don Lorenzo non appare molto
contento, ma di questo nessuno si stupisce. Molti si divertono a vedere la
sua faccia e don Lorenzo costituisce l’argomento principale della
conversazione che si svolge sottovoce in piccoli gruppi. Dopo il matrimonio, don
Vito si fa avanti per rivendicare i diritti del genero. Don Lorenzo si
oppone, si intestardisce a non voler cedere, ma ormai è isolato e anche se in
sua presenza molti fingono di dargli ragione, non appena si allontana tutti
dicono che ha torto e che la tenuta dei Russo appartiene a Francesco. Un tentativo di rivolgersi
al tribunale non ottiene effetto e don Lorenzo deve trasferirsi con la sua
famiglia in quella che era la masseria dei Russo prima che Andrea si sposasse
e andasse ad abitare nella grande casa ai margini di San Domenico, portata in
dote dalla moglie. Lorenzo Russo non può
accettare questa situazione. Invano la moglie e gli amici gli dicono che si
deve rassegnare, che non c’è nulla da fare. Nove mesi dopo il matrimonio
Lucia dà alla luce un bimbo, che viene chiamato Andrea. Francesco si occupa della
gestione della proprietà. Ha portato diversi cambiamenti, in particolare
nelle condizioni dei lavoratori. L’aumento delle paghe e i miglioramenti
nell’alloggiamento e nell’alimentazione hanno irritato gli altri proprietari:
temono che i braccianti si mettano strane idee in testa. Don Vito cerca di
convincere Francesco ad abbandonare queste iniziative assurde, ma il genero
non lo ascolta. Il giovane ha anche creato una scuola perché i figli dei
lavoratori della sua tenuta possano imparare almeno a leggere e scrivere. I
genitori mandano i figli più che altro perché è un’iniziativa del padrone e
perché al termine delle lezioni i bambini ricevono un buon pasto abbondante,
ma molti pensano che sia solo una perdita di tempo. Francesco vive sereno, ma
la sera, al termine di una giornata di lavoro, il pensiero va spesso alla
grande stanza di un castello, a un corpo villoso, a mani forti che sanno
essere delicate. È un passato che non tornerà, lo sa benissimo. Ed è un
dolore che non passa. La relazione con la moglie
è cordiale, ma distaccata: tra di loro non si è mai stabilito un vero legame
affettivo. Dopo la nascita del piccolo, hanno molto di rado rapporti
sessuali: quando Francesco si avvicina, Lucia dichiara spesso di essere
stanca o di avere mal di testa. Francesco non capisce il vero motivo di
queste ripulse, ma non se ne preoccupa. Sono altri i corpi che lo attraggono.
Talvolta qualche servitore o un bracciante accende il suo desiderio. Menico,
uno dei servi di casa, è un gigante nerboruto e a volte Francesco si accorge
di fissarne le braccia villose. Ma non prende nessuna iniziativa: in qualche
modo vuole mantenersi fedele a un uomo che non rivedrà mai più, un uomo di cui
non conosce neanche il nome, ma solo il soprannome da brigante. Francesco è molto solo.
Non si intende con gli altri proprietari, che disapprovano le sue scelte e
con cui si sente a disagio. Gli sembra di non far parte del loro mondo, sia
perché ha altri valori, sia perché è conscio della propria ignoranza: ha
imparato a leggere e scrivere, ma dopo i nove anni non ha più ricevuto
nessuna forma di istruzione e ha dovuto lavorare tutto il giorno. Ora cerca
di recuperare, ma si vergogna di non essere in grado di partecipare a una
conversazione politica o culturale. L’unico con cui si capisce è il maestro
che dà lezione ai bambini, un uomo anziano che ha molta stima di Francesco e
che lo aiuta ad ampliare le sue conoscenze. Il farmacista, che ha simpatie mazziniane,
apprezza le iniziative di Francesco, ma si rende conto che il giovane non ha
una formazione politica e non riesce a stabilire un dialogo con lui. Una sera alla masseria di
San Giovanni, una delle proprietà di Francesco, scoppia un incendio. Vengono
a informare Francesco che si allontana, dicendo alla moglie che non tornerà
fino al mattino successivo: ci vogliono quasi due ore per raggiungere la
masseria e, dopo aver visto la situazione e fatto il possibile, non avrebbe
senso tornare a casa: conta di dormire alla masseria stessa, se non è stata
completamente distrutta, altrimenti lui e gli altri si accamperanno da quelle
parti. Francesco e gli uomini partono armati: tutti sanno che don Lorenzo ha
giurato di vendicarsi di Francesco. Una mezz’ora dopo Lucia
manda la sua cameriera personale in paese. È notte quando una figura
scivola per le strade e raggiunge la fattoria dei Russo. Bussa a una finestra
e la cameriera la apre. L’uomo scavalca ed entra nella casa. La serva
richiude la finestra. La luna è sorta da poco
quando un’altra figura si avvicina alla casa. Cercando di tenersi all’ombra,
saggia due finestre e forza la seconda. La apre, entra e si muove al buio
nella casa, che evidentemente conosce bene. Sale al primo piano. Si ferma
davanti alla porta di una camera. Accende la lanterna cieca che porta con sé. Con cautela spinge la
porta ed entra. Posa la lanterna sul cassettone e dirige il raggio verso il
letto, su cui ci sono due corpi, un uomo e una donna. Prende il fucile e
spara all’uomo, che ha appena un sussulto. La donna si desta e si mette a
sedere di scatto. L’intruso ha già ricaricato e spara anche a lei. La donna
urla e si accascia sul corpo dell’uomo. L’assassino ricarica il
fucile. Gli spari hanno destato i servitori, che accorrono. Si trovano
davanti don Lorenzo, il viso deformato in una smorfia di gioia. Mentre punta
il fucile addosso ai domestici, perché non si avvicinino, grida: - Quel bastardo non si
godrà la mia roba! Ghigna, li guarda e
aggiunge: - Il primo che si muove,
lo ammazzo, come ho fatto con loro. I servitori rimangono
immobili: nessuno vuole rischiare la pelle. La cameriera personale di Lucia,
barcolla e cadrebbe a terra se gli altri non la sostenessero. Don Lorenzo
esce dalla stanza per avviarsi verso le scale. Non si accorge di Menico, uno
dei servitori, che non è entrato nella stanza, ma si è nascosto dietro
l’uscio e non appena don Lorenzo esce, gli salta addosso. Lottano, ma il
servitore è un gigante e altri due vengono a dargli manforte: l’assassino
viene facilmente bloccato. I domestici si avvicinano
al letto, dove ci sono due cadaveri: quello di Lucia Russo e quello di
Alfonso de Robertis, un giovane conte che prima del
matrimonio le faceva la corte. Don Vito gliel’avrebbe data volentieri in moglie,
ma Alfonso non aveva nessuna intenzione di sposarla: voleva solo divertirsi. Don Lorenzo è annichilito:
era convinto di uccidere il nipote e invece la sua vendetta è sfumata. I
soldati arrivano e lo portano via. Sulla via del rientro
Francesco viene raggiunto da un servitore che gli narra l’accaduto. Altri
dettagli emergono in seguito. La cameriera in lacrime racconta che il conte
veniva a trovare Lucia quando Francesco era assente. Due giorni dopo si
scopre che ad appiccare l’incendio alla masseria è stato un uomo di don
Lorenzo. Costui pensava che Francesco avrebbe mandato i servitori della casa
alla masseria e questo avrebbe ridotto il rischio di essere scoperto e
fermato prima di poter compiere la sua vendetta. Non gli è passato per la
mente che il nipote potesse andare di persona. Il processo si conclude
rapidamente: l’assassino è stato colto sul fatto ed è reo confesso. I De Robertis vogliono vendetta per Alfonso, don Vito per sua
figlia. Lorenzo Russo non è più nessuno. La condanna a morte viene eseguita
subito dopo la conclusione del processo. Un anno è passato.
Francesco Russo non ha nessuna intenzione di risposarsi, anche se un uomo
bello e ricco come lui avrebbe solo l’imbarazzo della scelta. Vive nella
grande casa con il piccolo Andrea. Il bambino non conserva ricordo della
madre, che ha conosciuto solo per tre mesi e che non era mai stata molto
affettuosa con lui. Rimane con la balia e il papà lo fa giocare spesso. Don
Francesco è molto amato da coloro che lavorano alle sue dipendenze ed è mal
sopportato dagli altri proprietari, che non frequenta. La gestione delle
proprietà e il figlio occupano le sue giornate. La sera dedica molto tempo
alla lettura, cercando di istruirsi. La solitudine è la sua compagna più
fedele. Un’altra giornata giunge
alla fine. Il sole sta tramontando. Come tutte le sere, Francesco è nel
cortile davanti a casa. Guarda il panorama e lascia che i pensieri vaghino.
Gli succede spesso, a quest’ora, quando il sole cala dietro le colline
lontane su una delle quali sorge il castello dalle otto torri. Ricordi
affiorano e a Francesco sembra che una grande tristezza salga dall’ombra che
ormai ha inghiottito la valle. Lungo la strada che sale
al paese c’è un uomo che cammina. Francesco non ci bada, ma quando l’uomo
prende il bivio che porta alla fattoria, il suo sguardo indugia sulla figura,
una piccola sagoma scura. Capita spesso che lungo la strada si muova un
contadino o un viandante, ma qualche cosa turba Francesco. L’uomo sale verso la casa
e man mano che procede e si avvicina, Francesco ha l’impressione che il fiato
gli manchi. Vorrebbe muoversi, andargli incontro, ma si rende conto che le
gambe non lo reggerebbero. Orso raggiunge l’albero
sotto cui è fermo Francesco e gli sorride, un po’ sornione. - Buona giornata, don Francesco.
Posso parlarvi un momento? Francesco lo guarda senza
dire una parole, poi, di colpo, incomincia a piangere. Orso è sconcertato: non si
aspettava la reazione di Francesco. Il sorriso lascia il posto allo stupore e
a una certa preoccupazione. - Francesco, che succede? Ma Francesco non è in
grado di parlare. Si limita a scuotere la testa, mentre le lacrime continuano
a scorrere. Orso è disagio. Vorrebbe
abbracciare Francesco e calmare il suo pianto, ma dalla casa qualcuno
potrebbe vederli. - Francesco… stai male?
C’è qualche problema? Francesco riesce a
calmarsi. Si asciuga gli occhi e dice: - Andiamo dentro. Si volta e si dirigono in
casa. Orso lo segue, in silenzio, turbato. Vedere il pianto di Francesco è
stato doloroso. Francesco sale al primo piano,
nella stanza che usa come studio. Chiude la porta e riprende a piangere. Orso
lo abbraccia, stringendolo forte. Gli accarezza la testa, con molta dolcezza.
Lentamente le lacrime si calmano. Quando Francesco appare
più tranquillo, Orso si stacca e gli sorride. Anche Francesco sorride, ma è
incerto, sperduto. Fa due passi indietro, fino ad appoggiarsi alla scrivania.
Si
guardano. Il sorriso di Francesco scompare. Anche Orso smette di sorridere.
Il desiderio è una morsa che gli stringe i coglioni. Orso
avanza fino a che i loro corpi sono di nuovo vicinissimi. -
Francesco… Francesco
annuisce, senza dire niente. Orso
gli mette le mani sui fianchi. Lo attira a sé, lo volta. I loro corpi
aderiscono. Attraverso la stoffa Francesco sente contro il culo il cazzo di
Orso che si irrigidisce e cresce. Gli sembra di non riuscire a reggersi in
piedi. Si appoggia alla scrivania. Chiude gli occhi. Una
mano di Orso passa davanti, scivola sul petto, si infila nei pantaloni e
scende ad accarezzargli il cazzo e i coglioni. Francesco sente il desiderio
dilatarsi. Orso
slaccia la cintura e abbassa pantaloni e mutande a Francesco, poi preme su di
lui, forzandolo ad appoggiare il petto sulla scrivania. Gli sputa sul solco e
sparge la saliva in modo da inumidire bene l’apertura, poi si cala i
pantaloni, si inumidisce la cappella e si stende su di lui. Francesco
sente il cazzo premere e poi entrare. Fa male: Orso è molto dotato e
Francesco non ha più avuto occasione di scopare. Eppure, nonostante il
dolore, la sensazione di questo cazzo che entra e prende possesso del suo
culo è bellissima. Orso si muove piano, spingendo lentamente. Poi si ferma.
Francesco assapora il momento, la presenza del cazzo di Orso dentro di lui,
che gli dilata le viscere, che lo riempie. Gli piace sentirsi preda di
quest’uomo forte. Orso
incomincia a muoversi lentamente e intanto la sua mano gioca con il cazzo di
Francesco, lo stuzzica, lo accarezza, lo stringe, a tratti scende ai
coglioni, li strizza un poco. La bocca di Orso morde l’orecchio di Francesco.
È bellissimo. Orso
accelera il ritmo. Il dolore cresce, ma il piacere è ancora più forte.
Francesco geme, due volte. Orso spinge più forte, il dolore cresce ancora, ma
il piacere esplode. Il seme schizza in avanti. Le spinte di Orso squassano
Francesco, il dolore è forte. Quando infine Orso viene, Francesco sente che
il cazzo perde consistenza e volume. La sensazione ritorna piacevole, ma il
culo fa male, parecchio. Orso gli accarezza il
capo. - Ti ho fatto male,
Francesco, lo so. Scusami. Lo desideravo troppo. Non sono riuscito a
controllarmi. Sono una bestia. Francesco sorride. - Va bene, Orso. Va bene
così. È stato bellissimo. Orso lo accarezza ancora,
poi si stacca. Si tira su i pantaloni. Francesco fa altrettanto.
Poi dice: - Aspetta, vado a dare gli
ordini per la cena e per la notte. - Un attimo, ti rassetto
un po’ meglio. Orso sistema la camicia di
Francesco, poi lo attira a sé e lo bacia, ma lo lascia subito: sanno tutti e
due che se rimanessero abbracciati, continuerebbero ad accarezzarsi, baciarsi,
stringersi. Francesco dice che
l’ospite si fermerà a cena e a dormire. Fa preparare la camera di fianco alla
sua: non è quella matrimoniale, in cui dormiva con Lucia. Dopo l’omicidio, ha
preferito stabilirsi in un’altra stanza. Non ha chiesto a Orso che cosa
intende fare. Non lo lascerà andare via. Piuttosto andrà via con lui. E
mentre lo pensa, gli viene in mentre il piccolo Andrea. No, di certo non può
portarlo con sé in una vita di vagabondaggio. E non intende separarsi da lui.
Orso dovrà fermarsi. Francesco sorride al
pensiero di aver deciso per Orso. Sa benissimo che non può imporgli nulla, ma
non può accettare l’idea di perderlo, ora che l’ha ritrovato. Francesco ritorna nel
salotto. Orso è in piedi alla finestra e guarda fuori. - Ho dato ordini per la
cena. Per la notte ti preparano la camera di fianco alla mia. Va bene, vero? Orso si volta e sorride. - Se hai deciso che mi
fermo a dormire… Francesco nasconde il
turbamento che gli provoca la risposta di Orso. Sorride e dice: - Sì, per un po’. Ma la voce gli trema. Orso sorride, scuote il
capo, poi torna serio, di colpo. - Dobbiamo parlare,
Francesco. - Sì, certo. - Ero venuto per
chiederti… se volevi assumere me e altri tre della banda come sorveglianti o
braccianti. La banda si è sciolta, io non ne potevo più di quella vita e
anche alcuni degli altri vorrebbero avere una possibilità di cambiare.
Abbiamo sentito parlare di te e delle cose che stai facendo. Ci piacerebbe
lavorare qui. Francesco è rimasto
spiazzato. China la testa, senza dire nulla. - Che c’è, Francesco? Se
non ti va non ha importanza. Francesco solleva il capo
e fissa Orso. C’è un dolore infinito nei suoi occhi. - Solo per questo sei
venuto? Orso sorride. Ha capito. - Francesco, ho pensato a
te quasi ogni giorno in questi due anni. Ma tu avevi la tua vita ed ero
sicuro che ti fossi dimenticato di me. Francesco fa per parlare,
ma Orso lo blocca con un gesto. - Lasciami finire. Tu eri
ricco, sposato, eri diventato padre. Magari avevi cancellato dalla memoria
quello che era successo. Francesco scuote il capo. - Ho pensato che forse per
gratitudine ci avresti aiutato. Ma in fondo, speravo che tu non mi avessi
dimenticato. E che magari, stando al tuo servizio… avremmo avuto ancora
occasione… Lo desideravo. Poi, quando sono arrivato, hai incominciato a
piangere. Non ho capito perché, sono rimasto disorientato… ma adesso credo di
averlo capito. Orso si interrompe. Si
avvicina a Francesco e lo abbraccia. Francesco si abbandona
all’abbraccio, poi guarda Orso e dice: - Ti ho pensato ogni giorno,
Orso. E desiderato. - Anch’io non ho mai
smesso di desiderarti. Francesco sorride. - Quando mi hai chiamato
“Don Francesco”, mi hai dato del voi… mi sono sentito morire, Orso. - Scusami. Pensavo che
potessi avermi dimenticato. Francesco scuote la testa,
poi dice: - Assumerò i tuoi uomini,
certamente. Ma tu non puoi essere un sorvegliante. Per il momento sei mio
ospite, un mio cugino che si fermerà qui. Poi vedremo. Non voglio perderti,
Orso. Orso sorride. - Neanch’io voglio
perderti. Orso lo abbraccia ancora.
E Francesco, per la prima volta dalla sua infanzia, si sente felice. 2023 |