Lezioni di lotta

 

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Fino a sette anni fa abitavo vicino a Rionero in Vulture, in Basilicata. Nei primi quattordici anni della mia vita avevo lasciato il paese quasi solo per qualche breve vacanza estiva e, in terza media, per un soggiorno a Roma, organizzato dalla scuola. Conoscevo Napoli e la Puglia, dove vivevano due fratelli di mio padre, ma non ero mai stato a nord di Roma. Quando mia madre parlava del suo viaggio di nozze a Venezia, l’ascoltavo incantato: Venezia l’avevo vista soltanto in televisione.

Un giorno di maggio, dopo un periodo in cui in casa i miei erano sempre tesi e preoccupati, mio padre mi comunicò che ci saremmo trasferiti a Milano. La notizia mi spaventò: per quanto potessi essere contento di conoscere altre città, mi angosciava l’idea di lasciare i miei amici, quasi tutti i parenti e l’ambiente in cui ero sempre vissuto.

Non c’era comunque nessuna scelta. L’azienda per cui lavorava mio padre avrebbe chiuso il suo stabilimento in Basilicata a fine luglio e gli aveva offerto un posto nella sede vicino a Milano, una proposta che pochi dei suoi colleghi avevano ricevuto. Tra rimanere disoccupato e cambiare regione, mio padre scelse la seconda alternativa e io non potevo dargli torto.

 

Il trasferimento a Milano (o, più esattamente, in uno dei tanti comuni della cintura) si rivelò un incubo. In Basilicata a scuola andavo bene, ma in prima superiore, all’istituto tecnico, mi scoprii indietro in tutte le materie. I professori davano per scontati argomenti che io non avevo mai studiato. Le difficoltà scolastiche furono aggravate dallo scontro con una realtà del tutto diversa da quella in cui ero nato e vissuto fino a quattordici anni: da un paese della Basilicata a un sobborgo di Milano, il salto era enorme. Ebbi grandi difficoltà a inserirmi nella classe, tanto più che arrivai alla fine di settembre, dopo l’apertura delle scuola. Parecchi compagni si conoscevano già dalle medie o almeno conoscevano qualcuno in altre classi e nei primi giorni avevano fatto conoscenza. Io ero appena arrivato e non avevo uno straccio di amico, conoscente o vicino.

Mi ritrovai molto isolato e credo di non essere stato preso di mira dai soliti bulli da quattro soldi solo perché ero già allora nettamente più alto della media e fisicamente piuttosto forte. A questo aveva contribuito la mia vita in campagna: fino al trasferimento avevo avuto modo di stare spesso all’aria aperta e di svolgere diversi lavori manuali, per aiutare i miei zii e i miei nonni, che gestivano un’azienda agricola. Mio padre era l’unico che aveva scelto una strada diversa, ma era rimasto molto legato alla famiglia e abitavamo nello stesso paese.

Nonostante il mio impegno e le tante sere passate a studiare, il primo anno scolastico finì con il prevedibile disastro e una crisi molto forte da parte mia. Fui sul punto di rinunciare ad andare a scuola. I miei però non ne vollero sentir parlare. Trascorsi due mesi dai nonni in Basilicata e a settembre ripresi la scuola. Questa volta conoscevo l’ambiente e ritrovai alcuni dei compagni che erano stati bocciati. Mi inserii più facilmente e feci amicizia con Corrado, anche lui ripetente, ma proveniente da un’altra sezione.

L’anno scolastico incominciò assai meglio: nell’anno precedente avevo colmato alcune delle mie lacune e in quanto ripetente conoscevo già in parte gli argomenti trattati. I risultati erano discreti, a volte anche buoni, e i miei genitori, soddisfatti, mi lasciarono una maggiore libertà. D’altronde ero già grande: a marzo avrei compiuto i sedici anni.

Frequentavo molto Corrado. Suo padre era un appassionato di lotta greco-romana, un’attività di cui fino ad allora avevo ignorato l’esistenza. Aveva anche attrezzato uno spazio in un capannone dismesso nel cortile della casa in cui abitava, un po’ per esercitarsi, un po’ con l’idea di dare lezioni. Il progetto dei corsi di lotta greco-romana era stato abbandonato, ma il padre utilizzava lo spazio nel tardo pomeriggio e la sera per gli allenamenti.

Anche a Corrado piaceva molto lottare e spesso guardava gli incontri su Internet, a cui io avevo un accesso molto limitato: a casa nostra c’era un unico computer, gestito da mio padre. Io potevo usarlo, ma con parecchie restrizioni, perché mia madre era molto diffidente e i miei avevano deciso che avrei avuto un mio computer solo quando fossi stato “abbastanza grande”. Al paese andavo a casa di qualche amico per girare liberamente su Internet, ma a Milano non avevo amici: Corrado fu il primo compagno che mi invitò a casa sua.

A differenza di suo padre, Corrado non si interessava a una forma di lotta in particolare, ma un po’ a tutte. Incominciò a farmi vedere alcune mosse, che provavamo nel capannone. Non sapevo niente delle tecniche, anche se al paese mi era capitato di azzuffarmi con qualche coetaneo.

Corrado era un maestro paziente: era contento di potersi esercitare con me e di provare movimenti e tattiche che suo padre non prendeva neanche in considerazione, perché non rientravano nel tipo di lotta che praticava.

Io imparavo in fretta: Corrado mi diceva sempre che ero un ottimo allievo. Riuscivo a dargli filo da torcere, anche se credo che in questo contasse più la forza che la padronanza delle tecniche che lui mi stava insegnando.

Una delle prime volte il contatto fisico prolungato, durante uno scontro a terra, mi provocò un’erezione. Dopo le esercitazioni, ci facevamo la doccia, ma questa volta ero imbarazzato, anche perché quella testa di cazzo del mio cazzo non voleva saperne di abbassare il capo. Ci lavavamo sempre insieme, ma le docce erano molto spartane,  senza nessuna separazione: non potevo lavarmi senza che Corrado mi vedesse.

Corrado però si era accorto della mia situazione e quando si calò i pantaloncini osservò, con la massima naturalezza:

- Ti è venuto duro. Capita anche a me, spesso, quando lotto. Soprattutto nella lotta a terra.

La sua frase mi aiutò a superare l’imbarazzo. Mi spogliai anch’io. Mentre ci insaponavamo, Corrado osservò:

- Certo che ce l’hai ben grosso, Massimo.

Risi, un po’ vergognandomi, un po’ orgoglioso.

Corrado aggiunse:

- Ma con te non hanno mica risparmiato sul materiale.

È vero. A nemmeno sedici anni avevo raggiunto il metro e ottantacinque. Corrado era meno alto, pur non essendo certo piccolo, e aveva un fisico più snello. Ma era agile e costituiva un avversario temibile. 

Mi capitò diverse altre volte che mi venisse duro, ma in effetti succedeva anche a lui, per cui non ci davo peso. Osservavo volentieri il suo cazzo teso: era diritto (il mio è leggermente incurvato) e di tutto rispetto. Quando ce l’avevamo tutti e due duro, Corrado spesso scherzava e questo fugava ogni preoccupazione da parte mia. Non mi dispiaceva sentirlo accennare all’argomento, soprattutto se faceva qualche battuta sconcia, come:

- Con quel cazzo da cavallo che ti ritrovi, puoi infilzare l’avversario e tenerlo ben fermo. Magari c’è qualche tipo di lotta in cui è permesso anche questo.

 

Nel corso dell’anno facevamo la lotta due volte alla settimana, non di più: dovevamo fare i compiti e studiare, perché i nostri genitori non avrebbero accettato un’altra bocciatura. Studiavamo spesso insieme e alla fine dell’anno fummo entrambi promossi, io con una discreta media, lui con una maggioranza di sei, ma senza debiti.

Quell’estate rimasi a Milano: sarei tornato in Basilicata solo con i miei genitori, all’inizio di agosto. Contavo di dedicare gli ultimi giorni di giugno e luglio alla lotta, che ormai mi stava appassionando.

Essendo in vacanza, potevo trascorrere l’intera mattina con Corrado: i suoi genitori lavoravano entrambi e la mattina avevamo il vecchio magazzino tutto per noi, senza timore di essere disturbati. Oltre ad esercitarci, guardavamo video su Internet, per impadronirci meglio delle tecniche. Ne avevamo visti tanti insieme. Mentre guardavamo i filmati, di solito Corrado commentava, criticando e spiegando alcune cose che da solo non avrei capito.

In futuro contavo di poter girare liberamente su Internet anche per conto mio: avevo tanto insistito per avere un mio computer, che alla fine i miei, stremati, avevano ceduto. Me ne avrebbero comprato uno all’inizio del nuovo anno scolastico.

Un giorno, Corrado mi accolse con un sorriso ironico e mi disse:

- Adesso ti faccio vedere un filmato di lotta. Un po’ particolare.

- Va bene, vediamo un po’.

Corrado aveva già preparato tutto. Sullo schermo c’era la scritta Naked Kombat. La cosa mi incuriosì.

I due avversari si affrontavano prima in pantaloncini, poi in jock-strap, ma in entrambi i round finivano nudi, con i cazzi in tiro. In questa lotta, alquanto diversa da tutte quelle a cui avevo assistito, erano permessi colpi che non avevo mai visto: ad esempio si afferravano il cazzo e cercavano di sculacciarsi.

Dopo il terzo round, Corrado mi disse:

- E adesso il quarto round, dove il vincitore si prende il premio che vuole.

Il lottatore che aveva vinto mise le mani sulle spalle dell’altro, costringendolo ad abbassarsi, e si fece succhiare il cazzo. Io guardavo la scena, semi-paralizzato. Le mie esperienze non solitarie con il sesso erano state minime: qualche masturbazione collettiva o in due, giù al paese, e tante chiacchiere. Non potendo girare liberamente su Internet (mio padre aveva impostato il Safesearch e io non potevo disattivarlo), avevo scarsissima conoscenza di tutta l’industria della pornografia e non avevo mai visto né foto, né filmati, in cui un uomo succhiasse l’uccello di un altro. Non avevo mai visto neanche quello che venne dopo, quando il vincitore si mise a fottere di gusto l’altro.

Mi accorsi che Corrado mi guardava, alquanto divertito. Cercai di darmi un contegno.

L’uomo che veniva inculato era a quattro zampe, ma quando l’altro venne, si distese sul pavimento. Il vincitore gli passò il piede sul corpo, in particolare sul cazzo, poi gli ordinò qualche cosa che non capii. Corrado mi spiegò:

- Gli ha detto di farsi una sega.

L’uomo eseguì e quando venne, il vincitore con il piede gli sparse lo sborro sul ventre e sul petto. A me era venuto duro. Ero un po’ spaventato, non sapevo che cosa avesse in mente il mio amico e non osavo dire nulla.

Corrado chiese:

- Allora, che ne dici?

Cercai di minimizzare.

- Be’, questa non l’avevo mai vista…

- Neanch’io, l’ho scoperto solo ieri.

Dopo un attimo di pausa, Corrado disse:

- Adesso facciamo la lotta, ma senza il finale.

Le sue parole mi tranquillizzarono.

Lottammo e mi tornò duro, ma Corrado non disse o fece nulla di diverso dal solito. La mattinata trascorse senza che succedesse niente di particolare, ma tornai a casa turbato.

Due giorni dopo, Corrado mi propose di lottare con solo i pantaloncini, come nel filmato che avevamo visto.

- E se uno riesce a toglierli all’altro, guadagna un punto. Che ne dici?

- Va bene.

In effetti ce li togliemmo a vicenda. Alla fine dell’incontro avevamo tutti e due il cazzo duro, ma Corrado si limitò ai suoi soliti commenti e non accadde altro.

Nei giorni successivi lottammo sempre con solo i pantaloncini addosso e poi nudi. Ormai non c’era incontro in cui non avessimo tutti e due il cazzo duro. Mi rendevo conto che la nostra lotta stava cambiando e il pensiero mi rendeva più difficile concentrarmi. Corrado riusciva a bloccarmi molto più spesso del solito.

- Bada, Massimo, se ti fai bloccare ancora una volta oggi, faccio di te quello che voglio, come a Naked Kombat.

Risi, per nascondere il mio turbamento, e mi impegnai al massimo. Questa volta riuscii a bloccare io Massimo e gli dissi:

- Adesso ti ho bloccato io. Devi fare quello che voglio.

Non avevamo stabilito nulla del genere e la mia era solo una battuta, anche se di certo non una battuta innocente. Con mio stupore, Corrado non si sottrasse:

- Va bene, Massimo. Farò quello che mi ordini. E tu farai quello che voglio io la prossima volta che ti batto.

Deglutii, preso in contropiede. Non sapevo bene che dire.

Mi alzai, lasciando che si liberasse. Lui si mise in ginocchio davanti a me.

- Allora, vincitore? La bocca, il culo? Che cosa vuoi?

Corrado era tranquillo e sorridente. Io nascondevo a fatica l’agitazione. Avrei voluto chiedergli entrambe le cose, ma non osavo. Mi limitai a dire:

- Fammi una sega.

- Tutto lì? Io non sarò così buono.

Corrado mi afferrò il cazzo, ormai duro, e incominciò a muovere la mano verso l’alto e verso il basso. Sentii la tensione crescere, fino a diventare insopportabile. Non ci volle molto perché venissi. Il piacere fu fortissimo e mi stordì. Chiusi gli occhi e riaprendoli vidi che il mio seme era schizzato sul petto di Corrado.

- Il vincitore vuole altro?

Scossi la testa. Mi sembrava di non riuscire a parlare.

Corrado si alzò, mi diede un buffetto sulla guancia e disse:

- Su, Massimo, mi sembri un po’ scosso. Non è successo niente. Hai vinto e ti ho fatto una sega. La prima volta che ti batto, sarà molto peggio.

E dicendolo rise. Risposi solo:

- Stronzo!

Nella lotta ci insultavamo spesso: era tutto un susseguirsi di “Bastardo!”, “Pezzo di merda”, “Figlio di puttana”, che ci dicevamo di solito ridendo e qualche volta un po’ più convinti, il tutto alternato a parolacce e qualche sonora bestemmia da parte di Corrado. Era il nostro modo di parlare, di sentirci grandi. Avevamo sedici anni.

Ci mettemmo sotto la doccia e Corrado incominciò a parlare dei lottatori turchi, di cui avevamo visto di recente un filmato. Io cercai di rispondere a tono, senza lasciar trapelare il mio turbamento. Poi ci separammo. Spesso mangiavamo insieme, a casa mia o a casa di Corrado, quando sua madre lasciava qualche cosa di pronto. Ma quel giorno io dovevo uscire con mia madre, per cui ognuno di noi avrebbe pranzato a casa propria.

 

Fino ad allora ogni incontro durava fino al momento in cui uno dei due riusciva a immobilizzare l’altro: non c’era un arbitro e non c’erano vittorie ai punti. In una mattinata facevamo parecchi incontri, che potevano durare un tempo molto variabile. Capitava che uno dei due riuscisse a bloccare l’altro in pochi minuti, mentre altre volte lottavamo a lungo senza riuscire ad avere il sopravvento, fino a essere esausti.

L’indomani Corrado esordì dicendo:

- Per stabilire il vincitore, contiamo le volte che ognuno dei due riesce a bloccare l’altro.

- Va bene.

Corrado non aveva detto altro, ma sapevamo tutti e due benissimo a che cosa serviva stabilire un vincitore.

Corrado riuscì a bloccarmi diverse volte nella prima parte della mattinata, ma poi io recuperai. Mi chiesi se Corrado non mi stesse lasciando vincere, ma accantonai il dubbio come assurdo.

L’accordo era che avremmo combattuto fino a mezzogiorno: poi avremmo solo concluso il round avviato. Grazie alla mia rimonta, arrivammo in parità a mezzogiorno meno dieci. L’ultimo incontro fu alquanto impegnativo, ma alla fine riuscii a bloccare a terra Corrado.

- Ti arrendi?

- Va bene. Mi arrendo.

Mi alzai. Corrado si mise in ginocchio e mi sorrise.

- E oggi, che deve fare lo sconfitto?

Avrei voluto dirgli di succhiarmelo, ma mi vergognavo. Corrado proseguì:

- La bocca? Il culo? O magari deve metterlo in culo al vincitore?

Corrado ghignava, mentre mi provocava.

Feci un passo avanti. Ora il mio cazzo era davanti alla bocca di Corrado, che annuì.

- Allora è la bocca. Va bene.

Corrado aprì la bocca e accolse il cazzo. La sensazione delle sue labbra calde intorno alla cappella mi tolse il fiato. Corrado incominciò a succhiare. Ogni tanto mollava la preda e passava la lingua.

- Lo sconfitto sta facendo un buon lavoro?

- Non parlare e datti da fare, stronzo.

Corrado mi appoggiò le mani sul culo e riprese a succhiare. A un certo punto la tensione divenne talmente forte, che gli afferrai la testa e incominciai a muovere il culo avanti e indietro, spingendo il cazzo a fondo nella sua bocca. In breve gli venni in bocca. Non mi passò per la testa di avvertirlo. Corrado inghiottì senza battere ciglio, poi pulì con cura.

- Ora posso alzarmi?

Annuii.

Quel giorno mangiammo da Corrado. Corrado non sembrava minimamente turbato da quanto era successo e parlammo di argomenti diversi. Io ero agitato, ma vedendo Corrado così sereno, recuperai la tranquillità. Corrado aveva ragione, non era successo niente di particolare.

Nel pomeriggio ci dedicammo ai compiti delle vacanze di matematica. Ogni tanto rivedevo davanti ai miei occhi Corrado che mi succhiava il cazzo, ma cercavo di scacciare l’idea. Però passai metà del tempo con il cazzo in tiro.

Anche nella notte Corrado ritornò nei miei sogni e mi svegliai con il cazzo duro. Mi dissi: “Oggi lo batto e glielo metto in culo”. Ma in fondo non ci credevo neanch’io: mi sembrava che non avrei mai avuto il coraggio di farlo.

Il giorno dopo fu Corrado a battermi, nettamente. Il cuore mi batteva forte. Feci per rialzarmi e lui mi disse:

- Rimani pure a terra. La prima fase è così.

Mi distesi e lo guardai. Corrado sorridendo mi passò il piede sul torace e poi in faccia, premendo.

- Ti ho battuto e questo è solo l’inizio.

Tornò a poggiare il piede sul mio corpo e lo passò più volte sul cazzo. Mi resi conto che l’avevo duro e che ormai ero sul punto di venire.

Corrado si stese su di me. Ci guardammo negli occhi. I nostri cazzi premevano contro i nostri ventri. Mi sembrava di sentire due tizzoni.

Corrado mi sputò in faccia. Chiusi gli occhi ed esclamai:

- Bastardo!

Mi sparse la saliva sulla faccia, poi sputò di nuovo e ripeté l’operazione.

- Adesso alzati e succhiamelo.

Si alzò. Io mi misi in ginocchio davanti a lui. Guardai il suo cazzo, vicinissimo alla mia bocca. L’aprii, avvolsi la cappella e incominciai a succhiare. Non sapevo come procedere, ma cercavo di darmi da fare. Mi faceva senso e nello stesso tempo mi piaceva.

Corrado mi mise una mano dietro la testa e ogni tanto muoveva il culo, spingendo il cazzo a fondo nella mia bocca.

- Ora basta. Voglio venirti in faccia.

Si tirò indietro. Lo guardai, senza sapere bene che fare.

- Stenditi.

Obbedii. Si sedette sul mio torace e con pochi movimenti decisi raggiunse l’orgasmo.

- Chiudi gli occhi.

Lo feci e sentii in faccia il suo sborro. Mi strusciò il cazzo sul viso, spargendo il seme. Lo sentivo ancora duro sbattermi contro le guance, sugli occhi, sulla fronte. Gli dissi:

- Fottuto bastardo.

Scoppiò a ridere, una risata fragorosa.

- Ora puoi aprire gli occhi.

Lo guardai. Stava ancora ridendo, ma silenziosamente.

Si spostò, in modo che il suo culo posasse esattamente sul mio cazzo e incominciò a muoversi avanti e indietro. Sentii la tensione aumentare e infine il piacere esplodere, violento.

Corrado si alzò, mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi.

- Che ne dici, eh?

Ridacchiai anch’io, più che altro per nascondere la confusione che avevo in testa.

- Che sei un bel figlio di puttana.

Annuì.

- Sì, direi di sì. Ma la prossima volta sarà peggio. Sarà il tuo culo che mi gusto.

- Vedremo chi se lo prende in culo.

 Ci lavammo tutti e due. Io ero frastornato, ma Corrado non sembrava dare nessuna importanza  a quanto era successo. Per lui sembrava essere solo un gioco e anch’io lo consideravo tale, un gioco pesante, tra maschi, ma niente di più.

Tornando a casa mi chiedevo se davvero una delle prossime volte Corrado me l’avrebbe messo in culo o se l’avrei fatto io a lui. Quello che stavamo facendo mi turbava, ma mi piaceva, era inutile che lo negassi. L’idea di prendermelo in culo mi spaventava. Quella di metterlo in culo a Corrado invece mi stuzzicava. E anche se avevo paura, non avevo nessuna intenzione di dire a Corrado di lasciar perdere con quel tipo di incontri. Perché avrei dovuto? Ci divertivamo tutti e due, che male c’era?

 

Il giorno successivo vinsi io e feci a Corrado esattamente quello che lui aveva fatto a me. E dopo essere venuto e avergli sparso il seme ben bene sulla faccia, strusciai il culo sul suo cazzo, finché venne. E mi piacque sentirlo grosso e duro premere sotto di me.

Corrado era visibilmente soddisfatto che gli avessi reso il favore e mi annunciò che il giorno dopo me l’avrebbe messo in culo. Le cose non andarono come previsto, perché l’indomani perse. Io però non osavo prenderlo, anche se lo desideravo, per cui feci un bis del giorno precedente, con qualche piccola variazione.

Corrado invece non si tirò indietro. Quando mi sconfisse, il giorno seguente, mi disse:

- Adesso mi faccio la doccia.

Lo guardai, stupito. Che rinunciasse a prendere il premio mi sembrava impossibile. Lo accompagnai alla doccia, ma quando feci per lavarmi anch’io, mi bloccò:

- Eh no, mio caro, tu rimani lì. Ti laverai dopo…

Corrado si lavò bene, in particolare il culo. Per un momento pensai che volesse farsi inculare, ma mi sembrava strano. Non mi sbagliavo completamente, ma questo lo scoprii dopo.

- Vieni con me.

Tornammo nello spazio in cui lottavamo e lui si voltò, dandomi la schiena.

- Leccami il culo.

Rimasi un attimo interdetto: non mi aspettavo niente del genere. Corrado non aveva mai fatto cenno a questa possibilità.

- E muoviti, stronzo! Hai perso. Tira fuori quella fottuta lingua e datti da fare.

 Obbedii. Incominciai a leccargli una natica, ma Corrado rise e disse:

- Che cazzo hai capito, razza di coglione? Leccami il buco e la zona intorno.

Mi sembrò che mi mancasse il fiato, ma misi al lavoro. Mi faceva un po’ schifo, ma Corrado si era lavato bene e man mano che passavo la lingua, devo ammettere che incominciai a prenderci gusto.

Corrado si mise le mani sul culo e divaricò un po’ le natiche.

- Lecca bene. Spingi quella fottuta lingua a fondo.

Obbedii. Tre volte Corrado si voltò e si fece succhiare il cazzo, che aveva ormai duro, poi tornò a farsi leccare il culo. Infine mi disse:

- Adesso a quattro zampe, cavallino, che andiamo al galoppo.

Avevo paura e credo che Corrado me lo leggesse in faccia. Mi disse, con un tono di voce del tutto diverso:

- Non ti preoccupare, Massimo. Farò piano.

Annuii e mi misi come richiesto.

Corrado aprì un armadietto e prese un tubetto. Non capii.

- Per un maiale arrosto, ci vuole un po’ d’olio.

Corrado si versò dal tubetto sulle dita un po’ di lubrificante, che incominciò a spargere intorno al buco, poi infilò un dito ben bene dentro. Sussultai. Non era doloroso: aveva lubrificato bene l’apertura. Ma non ero avvezzo ad avere qualche cosa in culo. Ripeté parecchie volte i movimenti, finché non mi abituai a questa presenza. Poi infilò due dita, dilatando ancora di più. Posò il tubetto.

Si mise dietro di me e mi morse con forza il culo. Emisi un gemito.

- Che cazzo fai, stronzo? Non puoi mica mangiar…

Non completai la frase, perché era entrato dentro di me. Chiusi gli occhi, incapace di parlare, di pensare. Mi faceva male, ma non era niente di terribile. Corrado mi diede il tempo di abituarmi, poi incominciò a muoversi, con grande delicatezza.

- Ti ho vinto e adesso ti fotto, Massimo.

Annuii. Non sarei riuscito a spiccicare mezza parola.

Si stese sopra di me e incominciò la sua cavalcata. Andò avanti a lungo, finché lo sentii stringermi più forte e accelerare il ritmo. Per la prima volta sentii il seme di un uomo nelle mie viscere. Il suo cazzo perse consistenza e volume e ora non mi faceva più male. Mi dava solo un po’ fastidio.

Corrado rimase un momento su di me. Mi passò la mano sulla faccia in una specie di carezza. Poi uscì.

Mi guidò a stendermi sulla schiena. Si sedette sul mio ventre. Io non ce l’avevo duro. Mi schiaffeggiò leggermente, mentre mi prendeva per il culo, vantandosi di avermi vinto e fottuto. E intanto strusciava il culo sul mio cazzo, che finì per riempirsi di sangue. Allora prese il tubetto, che aveva lasciato lì vicino, si versò un po’ di lubrificante sulle dita e si sollevò. Si unse il buco del culo, che io avevo già lubrificato con la saliva. Poi mi afferrò il cazzo con la mano, lo mise in verticale e si abbassò leggermente fino a che la cappella non toccò il suo buco. Allora, lentamente, si impalò sul mio cazzo. Io ero stupefatto, ma la sensazione era troppo forte. Sentire la sua carne calda che avvolgeva il mio cazzo era meraviglioso. Lo guardai, ma Corrado aveva gli occhi chiusi. Doveva fargli un po’ male, come aveva fatto a me, perché c’era una smorfia sul suo viso.

Corrado si fermò due volte prima di riuscire ad accogliere tutto il mio cazzo in culo. Quando infine si fu impalato, mi guardò, mi sorrise e mi diede un buffetto.

- Sei solo uno strumento nelle mie mani. Posso fare di te tutto quello che voglio, anche questo.

Annuii.

Corrado prese a sollevarsi e abbassarsi. Si muoveva piano, perché doveva fargli male. Io avrei voluto che accelerasse il ritmo, ma avevo perso ed era lui a stabilire che cosa e come avrebbe fatto. Sul suo viso apparvero goccioline di sudore.

Corrado andò avanti a lungo, finché il piacere esplose dentro di me. Versai il mio seme nelle sue viscere e pensai che non avevo mai goduto tanto. Ero esausto.

Corrado si sollevò e si stese di fianco a me. Mi strinse la mano e io ricambiai la stretta.

Rimanemmo a lungo distesi, guardandoci ogni tanto e sorridendo. Poi ci alzammo e ci lavammo. Non dicemmo quasi nulla.

Tornai a casa con il culo dolorante e una sensazione di immenso benessere. A tratti, durante il pomeriggio, ripensavo a quello che avevamo fatto il mattino. Era stato bello.

 

Nei giorni seguenti al termine dei nostri incontri, il vincitore lo metteva quasi sempre in culo all’altro e poi lo faceva sempre venire, con la mano, con la bocca oppure prendendoselo a sua volta in culo. Corrado diceva che era un modo di umiliare l’avversario: costringerlo a godere dopo essere stato sconfitto e inculato. Sapevamo tutti e due che le cose non stavano così. Ma era un buon modo per fingere che fosse tutto un gioco tra maschi e niente di più.

Non prendevamo nessuna precauzione, nonostante a scuola avessimo partecipato a due incontri sulla prevenzione delle malattie veneree e dell’Aids. Corrado non correva rischi con me: non avevo mai avuto rapporti sessuali. Io avevo l’impressione che Corrado avesse un po’ più di esperienza. Non era esattamente così, come scoprii più tardi. Le sue conoscenze erano esclusivamente teoriche: aveva avuto la possibilità di scoprire su Internet molte cose e le sperimentava con me.

Non mi ponevo problemi perché in qualche modo, per quanto possa sembrare assurdo, per me quello che facevamo non era davvero sesso. Se qualcuno mi avesse chiesto se avevo mai avuto rapporti omosessuali, avrei risposto di no, senza avere coscienza di mentire: un rapporto era un’altra cosa. Per me eravamo due amici che si divertivano lottando e nel nostro legame il sesso era solo un elemento della sfida. Mi rendo conto che era un modo per negare la realtà e in fondo lo sapevo anche allora, ma mi andava bene così, mi evitava di dovermi porre domande a cui preferivo non dare una risposta.

Luglio volava: i giorni passavano in fretta e si avvicinava la data della mia partenza per la Basilicata. L’idea di non vedere Corrado per un mese mi pesava moltissimo, anche se per tanti aspetti ero contento di tornare al paese, dove avrei ritrovato i nonni, gli zii, gli amici di sempre. Mi rendevo conto che anche Corrado era dispiaciuto per la mia partenza. Lui avrebbe fatto quindici giorni di vacanza a Riccione, nella seconda metà di agosto.

Arrivò il momento di congedarsi. Vinsi l’ultimo incontro ed ebbi la netta impressione che Corrado mi regalasse la vittoria. Risi mentre gli dicevo:

- Oggi ti spacco il culo, così non mi dimentichi.

Corrado sorrise, rispondendomi:

- Non ti dimentico certo. Mi mancherai, Massimo.

Di colpo mi sentii angosciato. Corrado se ne accorse e mi disse:

- Un mese passa in fretta. E riprenderemo da dove abbiamo finito.

Mi feci forza per nascondere ciò che provavo e risposi:

- Allora riprenderemo da me che ti spacco il culo.

Ma quel giorno non ci fu nessuna violenza: lo presi con dolcezza e poi lasciai che lui mi prendesse.

 

In Basilicata ritrovai gli amici e i parenti. Soprattutto ritrovai la libertà di correre per i boschi e girare per la campagna. Ma per quanto sentissi che quella era la realtà in cui mi ritrovavo pienamente, per tutto il mese sentii la mancanza di Corrado. Con gli amici si parlò molto di Milano. Loro davano per scontato che la città offrisse grandi possibilità e mi chiedevano se avevo fatto grandi conquiste. Io rimasi sul vago. Qualcuno capì che con le ragazze avevo combinato poco. Antonio, che era stato il mio migliore amico, colse che c’era stata qualche esperienza importante, di cui non volevo parlare. Ma proprio le conversazioni con gli amici, le loro vanterie, i racconti di avventure più o meno reali, mi portarono a pormi una serie di domande, a cui cercavo di dare risposte. Incominciavo a vedere quello che avevamo fatto io e Corrado in una luce diversa. E a capire che non desideravo le ragazze a cui pensavano ossessivamente i miei coetanei. Io desideravo i maschi. E soprattutto un maschio: Corrado.

 

Io e Corrado ci ritrovammo il primo settembre, nel pomeriggio. Sua madre era in casa e noi parlammo nella stanza dove dormiva Corrado. Ci raccontammo le nostre vacanze, senza entrare nei dettagli. Io guardavo Corrado e nella mia testa lo rivedevo nudo durante le nostre sfide. A tratti la conversazione si interrompeva: avevo l’impressione che anche Corrado inseguisse altri pensieri.

Ci demmo appuntamento per il mattino seguente, per riprendere i nostri incontri.

Quel giorno si lacerò completamente il velo dietro cui avevamo cercato di nascondere la realtà. Quando ci fummo spogliati, lo guardai e provai un desiderio fortissimo di abbracciarlo, ma non osai farlo. Mi parve di cogliere in lui lo stesso desiderio, ma anche lui si frenò. Lottammo e per la prima volta le parole forti di Corrado mi parvero suonare false. Io non riuscivo a dire quasi nulla. E non ero concentrato.

Quando arrivò mezzogiorno, Corrado aveva nettamente vinto. Mi fece stendere a terra, sulla schiena. Si stese su di me e si mise a prendermi per il culo, come avevamo sempre fatto a luglio.

- Sei stato sconfitto e adesso ti fotto in bocca e in culo.

Il suo viso era vicino al mio. Mi guardava ghignando. Ma poi successe qualche cosa che non avevo previsto. E che certamente non aveva previsto neanche lui. La sua espressione cambiò. Mi guardò, serio. Lentamente avvicinò il viso al mio e mi baciò sulla bocca. Fu un bacio delicato. Io rimasi paralizzato. Corrado sollevò il viso e mi guardò. Era anche lui disorientato.

Si alzò di scatto, senza dire una parola. Ansimava. Mi sollevai anch’io. Mi avvicinai a lui. Gli presi la testa tra le mani e lo baciai. Il mio era un bacio incerto, ma Corrado aprì le labbra e mi infilò la lingua tra i denti. Ero disorientato, ma non mi sottrassi. Ci baciammo a lungo, mentre ci stringevamo. L’assurdo castello di carte che avevamo costruito crollò. Ero completamente frastornato. Tutto quello che avevamo fatto mi appariva ora sotto un’altra luce. Ma sapevo, con assoluta certezza, che era quello che volevo. E che anche Corrado voleva.

Quel giorno non ci fu un vincitore che si prendeva il premio meritato. Ci furono due ragazzi che facevano l’amore. Non ci eravamo detti di amarci, non eravamo bravi con le parole. Gli insulti e le parolacce ci venivano meglio delle dichiarazioni appassionate. Ma sapevamo tutti e due che cosa provavamo.

 

2016

 

 

 

 

 

 

 

 

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