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   Lezioni di lotta 
 Fino a sette anni fa
  abitavo vicino a Rionero in Vulture,
  in Basilicata. Nei primi quattordici anni della mia vita avevo lasciato il
  paese quasi solo per qualche breve vacanza estiva e, in terza media, per un
  soggiorno a Roma, organizzato dalla scuola. Conoscevo Napoli e la Puglia,
  dove vivevano due fratelli di mio padre, ma non ero mai stato a nord di Roma.
  Quando mia madre parlava del suo viaggio di nozze a Venezia, l’ascoltavo
  incantato: Venezia l’avevo vista soltanto in televisione. Un giorno di maggio, dopo
  un periodo in cui in casa i miei erano sempre tesi e preoccupati, mio padre
  mi comunicò che ci saremmo trasferiti a Milano. La notizia mi spaventò: per
  quanto potessi essere contento di conoscere altre città, mi angosciava l’idea
  di lasciare i miei amici, quasi tutti i parenti e l’ambiente in cui ero
  sempre vissuto.  Non c’era comunque nessuna
  scelta. L’azienda per cui lavorava mio padre avrebbe chiuso il suo
  stabilimento in Basilicata a fine luglio e gli aveva offerto un posto nella
  sede vicino a Milano, una proposta che pochi dei suoi colleghi avevano ricevuto.
  Tra rimanere disoccupato e cambiare regione, mio padre scelse la seconda
  alternativa e io non potevo dargli torto.  Il trasferimento a Milano (o,
  più esattamente, in uno dei tanti comuni della cintura) si rivelò un incubo.
  In Basilicata a scuola andavo bene, ma in prima superiore, all’istituto
  tecnico, mi scoprii indietro in tutte le materie. I professori davano per
  scontati argomenti che io non avevo mai studiato. Le difficoltà scolastiche
  furono aggravate dallo scontro con una realtà del tutto diversa da quella in
  cui ero nato e vissuto fino a quattordici anni: da un paese della Basilicata
  a un sobborgo di Milano, il salto era enorme. Ebbi grandi difficoltà a
  inserirmi nella classe, tanto più che arrivai alla fine di settembre, dopo
  l’apertura delle scuola. Parecchi compagni si conoscevano già dalle medie o
  almeno conoscevano qualcuno in altre classi e nei primi giorni avevano fatto
  conoscenza. Io ero appena arrivato e non avevo uno straccio di amico,
  conoscente o vicino.  Mi ritrovai molto isolato
  e credo di non essere stato preso di mira dai soliti bulli da quattro soldi
  solo perché ero già allora nettamente più alto della media e fisicamente
  piuttosto forte. A questo aveva contribuito la mia vita in campagna: fino al
  trasferimento avevo avuto modo di stare spesso all’aria aperta e di svolgere
  diversi lavori manuali, per aiutare i miei zii e i miei nonni, che gestivano
  un’azienda agricola. Mio padre era l’unico che aveva scelto una strada diversa,
  ma era rimasto molto legato alla famiglia e abitavamo nello stesso paese.  Nonostante il mio impegno
  e le tante sere passate a studiare, il primo anno scolastico finì con il
  prevedibile disastro e una crisi molto forte da parte mia. Fui sul punto di
  rinunciare ad andare a scuola. I miei però non ne vollero sentir parlare. Trascorsi
  due mesi dai nonni in Basilicata e a settembre ripresi la scuola. Questa
  volta conoscevo l’ambiente e ritrovai alcuni dei compagni che erano stati
  bocciati. Mi inserii più facilmente e feci amicizia con Corrado, anche lui
  ripetente, ma proveniente da un’altra sezione. L’anno scolastico
  incominciò assai meglio: nell’anno precedente avevo colmato alcune delle mie
  lacune e in quanto ripetente conoscevo già in parte gli argomenti trattati. I
  risultati erano discreti, a volte anche buoni, e i miei genitori,
  soddisfatti, mi lasciarono una maggiore libertà. D’altronde ero già grande: a
  marzo avrei compiuto i sedici anni. Frequentavo molto Corrado.
  Suo padre era un appassionato di lotta greco-romana, un’attività di cui fino
  ad allora avevo ignorato l’esistenza. Aveva anche attrezzato uno spazio in un
  capannone dismesso nel cortile della casa in cui abitava, un po’ per
  esercitarsi, un po’ con l’idea di dare lezioni. Il progetto dei corsi di
  lotta greco-romana era stato abbandonato, ma il padre utilizzava lo spazio
  nel tardo pomeriggio e la sera per gli allenamenti. Anche a Corrado piaceva molto
  lottare e spesso guardava gli incontri su Internet, a cui io avevo un accesso
  molto limitato: a casa nostra c’era un unico computer, gestito da mio padre.
  Io potevo usarlo, ma con parecchie restrizioni, perché mia madre era molto
  diffidente e i miei avevano deciso che avrei avuto un mio computer solo
  quando fossi stato “abbastanza grande”. Al paese andavo a casa di qualche
  amico per girare liberamente su Internet, ma a Milano non avevo amici:
  Corrado fu il primo compagno che mi invitò a casa sua. A differenza di suo padre,
  Corrado non si interessava a una forma di lotta in particolare, ma un po’ a
  tutte. Incominciò a farmi vedere alcune mosse, che provavamo nel capannone. Non
  sapevo niente delle tecniche, anche se al paese mi era capitato di azzuffarmi
  con qualche coetaneo.  Corrado era un maestro
  paziente: era contento di potersi esercitare con me e di provare movimenti e
  tattiche che suo padre non prendeva neanche in considerazione, perché non
  rientravano nel tipo di lotta che praticava. Io imparavo in fretta:
  Corrado mi diceva sempre che ero un ottimo allievo. Riuscivo a dargli filo da
  torcere, anche se credo che in questo contasse più la forza che la padronanza
  delle tecniche che lui mi stava insegnando. Una delle prime volte il
  contatto fisico prolungato, durante uno scontro a terra, mi provocò
  un’erezione. Dopo le esercitazioni, ci facevamo la doccia, ma questa volta ero
  imbarazzato, anche perché quella testa di cazzo del mio cazzo non voleva
  saperne di abbassare il capo. Ci lavavamo sempre insieme, ma le docce erano
  molto spartane,  senza nessuna
  separazione: non potevo lavarmi senza che Corrado mi vedesse.  Corrado però si era
  accorto della mia situazione e quando si calò i pantaloncini osservò, con la
  massima naturalezza: - Ti è venuto duro. Capita
  anche a me, spesso, quando lotto. Soprattutto nella lotta a terra.  La sua frase mi aiutò a
  superare l’imbarazzo. Mi spogliai anch’io. Mentre ci insaponavamo, Corrado
  osservò: - Certo che ce l’hai ben
  grosso, Massimo. Risi, un po’
  vergognandomi, un po’ orgoglioso.  Corrado aggiunse: - Ma con te non hanno mica
  risparmiato sul materiale. È vero. A nemmeno sedici
  anni avevo raggiunto il metro e ottantacinque. Corrado era meno alto, pur non
  essendo certo piccolo, e aveva un fisico più snello. Ma era agile e
  costituiva un avversario temibile.   Mi capitò diverse altre
  volte che mi venisse duro, ma in effetti succedeva anche a lui, per cui non
  ci davo peso. Osservavo volentieri il suo cazzo teso: era diritto (il mio è
  leggermente incurvato) e di tutto rispetto. Quando ce l’avevamo tutti e due
  duro, Corrado spesso scherzava e questo fugava ogni preoccupazione da parte
  mia. Non mi dispiaceva sentirlo accennare all’argomento, soprattutto se
  faceva qualche battuta sconcia, come: - Con quel cazzo da
  cavallo che ti ritrovi, puoi infilzare l’avversario e tenerlo ben fermo.
  Magari c’è qualche tipo di lotta in cui è permesso anche questo. Nel corso dell’anno
  facevamo la lotta due volte alla settimana, non di più: dovevamo fare i
  compiti e studiare, perché i nostri genitori non avrebbero accettato un’altra
  bocciatura. Studiavamo spesso insieme e alla fine dell’anno fummo entrambi
  promossi, io con una discreta media, lui con una maggioranza di sei, ma senza
  debiti. Quell’estate rimasi a
  Milano: sarei tornato in Basilicata solo con i miei genitori, all’inizio di
  agosto. Contavo di dedicare gli ultimi giorni di giugno e luglio alla lotta,
  che ormai mi stava appassionando. Essendo in vacanza, potevo
  trascorrere l’intera mattina con Corrado: i suoi genitori lavoravano entrambi
  e la mattina avevamo il vecchio magazzino tutto per noi, senza timore di
  essere disturbati. Oltre ad esercitarci, guardavamo video su Internet, per
  impadronirci meglio delle tecniche. Ne avevamo visti tanti insieme. Mentre
  guardavamo i filmati, di solito Corrado commentava, criticando e spiegando
  alcune cose che da solo non avrei capito. In futuro contavo di poter
  girare liberamente su Internet anche per conto mio: avevo tanto insistito per
  avere un mio computer, che alla fine i miei, stremati, avevano ceduto. Me ne
  avrebbero comprato uno all’inizio del nuovo anno scolastico.  Un giorno, Corrado mi
  accolse con un sorriso ironico e mi disse: - Adesso ti faccio vedere
  un filmato di lotta. Un po’ particolare. - Va bene, vediamo un po’. Corrado aveva già
  preparato tutto. Sullo schermo c’era la scritta Naked
  Kombat. La cosa mi incuriosì. I due avversari si
  affrontavano prima in pantaloncini, poi in jock-strap,
  ma in entrambi i round finivano nudi, con i cazzi in tiro. In questa lotta,
  alquanto diversa da tutte quelle a cui avevo assistito, erano permessi colpi
  che non avevo mai visto: ad esempio si afferravano il cazzo e cercavano di
  sculacciarsi. Dopo il terzo round,
  Corrado mi disse: - E adesso il quarto
  round, dove il vincitore si prende il premio che vuole. Il lottatore che aveva
  vinto mise le mani sulle spalle dell’altro, costringendolo ad abbassarsi, e
  si fece succhiare il cazzo. Io guardavo la scena, semi-paralizzato. Le mie
  esperienze non solitarie con il sesso erano state minime: qualche
  masturbazione collettiva o in due, giù al paese, e tante chiacchiere. Non
  potendo girare liberamente su Internet (mio padre aveva impostato il Safesearch e io non potevo disattivarlo), avevo
  scarsissima conoscenza di tutta l’industria della pornografia e non avevo mai
  visto né foto, né filmati, in cui un uomo succhiasse l’uccello di un altro.
  Non avevo mai visto neanche quello che venne dopo, quando il vincitore si
  mise a fottere di gusto l’altro.  Mi accorsi che Corrado mi
  guardava, alquanto divertito. Cercai di darmi un contegno. L’uomo che veniva inculato
  era a quattro zampe, ma quando l’altro venne, si distese sul pavimento. Il
  vincitore gli passò il piede sul corpo, in particolare sul cazzo, poi gli
  ordinò qualche cosa che non capii. Corrado mi spiegò: - Gli ha detto di farsi
  una sega. L’uomo eseguì e quando
  venne, il vincitore con il piede gli sparse lo sborro sul ventre e sul petto.
  A me era venuto duro. Ero un po’ spaventato, non sapevo che cosa avesse in
  mente il mio amico e non osavo dire nulla. Corrado chiese: - Allora, che ne dici? Cercai di minimizzare. - Be’, questa non l’avevo
  mai vista… - Neanch’io,
  l’ho scoperto solo ieri. Dopo un attimo di pausa,
  Corrado disse: - Adesso facciamo la
  lotta, ma senza il finale. Le sue parole mi
  tranquillizzarono.  Lottammo e mi tornò duro,
  ma Corrado non disse o fece nulla di diverso dal solito. La mattinata
  trascorse senza che succedesse niente di particolare, ma tornai a casa
  turbato. Due giorni dopo, Corrado
  mi propose di lottare con solo i pantaloncini, come nel filmato che avevamo
  visto.  - E se uno riesce a
  toglierli all’altro, guadagna un punto. Che ne dici? - Va bene. In effetti ce li togliemmo
  a vicenda. Alla fine dell’incontro avevamo tutti e due il cazzo duro, ma
  Corrado si limitò ai suoi soliti commenti e non accadde altro. Nei giorni successivi
  lottammo sempre con solo i pantaloncini addosso e poi nudi. Ormai non c’era
  incontro in cui non avessimo tutti e due il cazzo duro. Mi rendevo conto che
  la nostra lotta stava cambiando e il pensiero mi rendeva più difficile
  concentrarmi. Corrado riusciva a bloccarmi molto più spesso del solito.  - Bada, Massimo, se ti fai
  bloccare ancora una volta oggi, faccio di te quello che voglio, come a Naked Kombat.  Risi, per nascondere il
  mio turbamento, e mi impegnai al massimo. Questa volta riuscii a bloccare io
  Massimo e gli dissi: - Adesso ti ho bloccato
  io. Devi fare quello che voglio. Non avevamo stabilito
  nulla del genere e la mia era solo una battuta, anche se di certo non una
  battuta innocente. Con mio stupore, Corrado non si sottrasse: - Va bene, Massimo. Farò
  quello che mi ordini. E tu farai quello che voglio io la prossima volta che
  ti batto. Deglutii, preso in
  contropiede. Non sapevo bene che dire. Mi alzai, lasciando che si
  liberasse. Lui si mise in ginocchio davanti a me. - Allora, vincitore? La
  bocca, il culo? Che cosa vuoi? Corrado era tranquillo e
  sorridente. Io nascondevo a fatica l’agitazione. Avrei voluto chiedergli
  entrambe le cose, ma non osavo. Mi limitai a dire: - Fammi una sega. - Tutto lì? Io non sarò
  così buono. Corrado mi afferrò il
  cazzo, ormai duro, e incominciò a muovere la mano verso l’alto e verso il
  basso. Sentii la tensione crescere, fino a diventare insopportabile. Non ci
  volle molto perché venissi. Il piacere fu fortissimo e mi stordì. Chiusi gli
  occhi e riaprendoli vidi che il mio seme era schizzato sul petto di Corrado.  - Il vincitore vuole
  altro? Scossi la testa. Mi
  sembrava di non riuscire a parlare. Corrado si alzò, mi diede
  un buffetto sulla guancia e disse: - Su, Massimo, mi sembri
  un po’ scosso. Non è successo niente. Hai vinto e ti ho fatto una sega. La
  prima volta che ti batto, sarà molto peggio. E dicendolo rise. Risposi
  solo:  - Stronzo! Nella lotta ci insultavamo
  spesso: era tutto un susseguirsi di “Bastardo!”, “Pezzo di merda”, “Figlio di
  puttana”, che ci dicevamo di solito ridendo e qualche volta un po’ più
  convinti, il tutto alternato a parolacce e qualche sonora bestemmia da parte
  di Corrado. Era il nostro modo di parlare, di sentirci grandi. Avevamo sedici
  anni. Ci mettemmo sotto la
  doccia e Corrado incominciò a parlare dei lottatori turchi, di cui avevamo
  visto di recente un filmato. Io cercai di rispondere a tono, senza lasciar trapelare
  il mio turbamento. Poi ci separammo. Spesso mangiavamo insieme, a casa mia o
  a casa di Corrado, quando sua madre lasciava qualche cosa di pronto. Ma quel
  giorno io dovevo uscire con mia madre, per cui ognuno di noi avrebbe pranzato
  a casa propria. Fino ad allora ogni
  incontro durava fino al momento in cui uno dei due riusciva a immobilizzare
  l’altro: non c’era un arbitro e non c’erano vittorie ai punti. In una
  mattinata facevamo parecchi incontri, che potevano durare un tempo molto
  variabile. Capitava che uno dei due riuscisse a bloccare l’altro in pochi
  minuti, mentre altre volte lottavamo a lungo senza riuscire ad avere il
  sopravvento, fino a essere esausti.  L’indomani Corrado esordì
  dicendo: - Per stabilire il
  vincitore, contiamo le volte che ognuno dei due riesce a bloccare l’altro. - Va bene. Corrado non aveva detto
  altro, ma sapevamo tutti e due benissimo a che cosa serviva stabilire un
  vincitore. Corrado riuscì a bloccarmi
  diverse volte nella prima parte della mattinata, ma poi io recuperai. Mi
  chiesi se Corrado non mi stesse lasciando vincere, ma accantonai il dubbio
  come assurdo. L’accordo era che avremmo
  combattuto fino a mezzogiorno: poi avremmo solo concluso il round avviato.
  Grazie alla mia rimonta, arrivammo in parità a mezzogiorno meno dieci.
  L’ultimo incontro fu alquanto impegnativo, ma alla fine riuscii a bloccare a
  terra Corrado. - Ti arrendi? - Va bene. Mi arrendo. Mi alzai. Corrado si mise
  in ginocchio e mi sorrise. - E oggi, che deve fare lo
  sconfitto? Avrei voluto dirgli di
  succhiarmelo, ma mi vergognavo. Corrado proseguì: - La bocca? Il culo? O
  magari deve metterlo in culo al vincitore? Corrado ghignava, mentre
  mi provocava. Feci un passo avanti. Ora
  il mio cazzo era davanti alla bocca di Corrado, che annuì. - Allora è la bocca. Va
  bene. Corrado aprì la bocca e
  accolse il cazzo. La sensazione delle sue labbra calde intorno alla cappella
  mi tolse il fiato. Corrado incominciò a succhiare. Ogni tanto mollava la
  preda e passava la lingua. - Lo sconfitto sta facendo
  un buon lavoro? - Non parlare e datti da
  fare, stronzo. Corrado mi appoggiò le
  mani sul culo e riprese a succhiare. A un certo punto la tensione divenne
  talmente forte, che gli afferrai la testa e incominciai a muovere il culo
  avanti e indietro, spingendo il cazzo a fondo nella sua bocca. In breve gli venni
  in bocca. Non mi passò per la testa di avvertirlo. Corrado inghiottì senza
  battere ciglio, poi pulì con cura. - Ora posso alzarmi? Annuii. Quel giorno mangiammo da
  Corrado. Corrado non sembrava minimamente turbato da quanto era successo e
  parlammo di argomenti diversi. Io ero agitato, ma vedendo Corrado così
  sereno, recuperai la tranquillità. Corrado aveva ragione, non era successo
  niente di particolare. Nel pomeriggio ci
  dedicammo ai compiti delle vacanze di matematica. Ogni tanto rivedevo davanti
  ai miei occhi Corrado che mi succhiava il cazzo, ma cercavo di scacciare
  l’idea. Però passai metà del tempo con il cazzo in tiro. Anche nella notte Corrado
  ritornò nei miei sogni e mi svegliai con il cazzo duro. Mi dissi: “Oggi lo
  batto e glielo metto in culo”. Ma in fondo non ci credevo neanch’io:
  mi sembrava che non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Il giorno dopo fu Corrado
  a battermi, nettamente. Il cuore mi batteva forte. Feci per rialzarmi e lui
  mi disse: - Rimani pure a terra. La
  prima fase è così. Mi distesi e lo guardai.
  Corrado sorridendo mi passò il piede sul torace e poi in faccia, premendo.  - Ti ho battuto e questo è
  solo l’inizio. Tornò a poggiare il piede
  sul mio corpo e lo passò più volte sul cazzo. Mi resi conto che l’avevo duro
  e che ormai ero sul punto di venire. Corrado si stese su di me.
  Ci guardammo negli occhi. I nostri cazzi premevano contro i nostri ventri. Mi
  sembrava di sentire due tizzoni. Corrado mi sputò in
  faccia. Chiusi gli occhi ed esclamai: - Bastardo! Mi sparse la saliva sulla
  faccia, poi sputò di nuovo e ripeté l’operazione. - Adesso alzati e
  succhiamelo. Si alzò. Io mi misi in
  ginocchio davanti a lui. Guardai il suo cazzo, vicinissimo alla mia bocca.
  L’aprii, avvolsi la cappella e incominciai a succhiare. Non sapevo come procedere,
  ma cercavo di darmi da fare. Mi faceva senso e nello stesso tempo mi piaceva. Corrado mi mise una mano
  dietro la testa e ogni tanto muoveva il culo, spingendo il cazzo a fondo
  nella mia bocca. - Ora basta. Voglio
  venirti in faccia. Si tirò indietro. Lo
  guardai, senza sapere bene che fare. - Stenditi. Obbedii. Si sedette sul
  mio torace e con pochi movimenti decisi raggiunse l’orgasmo. - Chiudi gli occhi. Lo feci e sentii in faccia
  il suo sborro. Mi strusciò il cazzo sul viso, spargendo il seme. Lo sentivo
  ancora duro sbattermi contro le guance, sugli occhi, sulla fronte. Gli dissi: - Fottuto bastardo. Scoppiò a ridere, una
  risata fragorosa. - Ora puoi aprire gli
  occhi. Lo guardai. Stava ancora
  ridendo, ma silenziosamente.  Si spostò, in modo che il
  suo culo posasse esattamente sul mio cazzo e incominciò a muoversi avanti e
  indietro. Sentii la tensione aumentare e infine il piacere esplodere,
  violento. Corrado si alzò, mi porse
  una mano e mi aiutò ad alzarmi. - Che ne dici, eh? Ridacchiai anch’io, più
  che altro per nascondere la confusione che avevo in testa. - Che sei un bel figlio di
  puttana. Annuì. - Sì, direi di sì. Ma la
  prossima volta sarà peggio. Sarà il tuo culo che mi gusto. - Vedremo chi se lo prende
  in culo.  Ci lavammo tutti e due. Io ero frastornato,
  ma Corrado non sembrava dare nessuna importanza  a quanto era successo. Per lui sembrava
  essere solo un gioco e anch’io lo consideravo tale, un gioco pesante, tra
  maschi, ma niente di più.  Tornando a casa mi
  chiedevo se davvero una delle prossime volte Corrado me l’avrebbe messo in
  culo o se l’avrei fatto io a lui. Quello che stavamo facendo mi turbava, ma
  mi piaceva, era inutile che lo negassi. L’idea di prendermelo in culo mi
  spaventava. Quella di metterlo in culo a Corrado invece mi stuzzicava. E
  anche se avevo paura, non avevo nessuna intenzione di dire a Corrado di
  lasciar perdere con quel tipo di incontri. Perché avrei dovuto? Ci
  divertivamo tutti e due, che male c’era? Il giorno successivo vinsi
  io e feci a Corrado esattamente quello che lui aveva fatto a me. E dopo
  essere venuto e avergli sparso il seme ben bene sulla faccia, strusciai il
  culo sul suo cazzo, finché venne. E mi piacque sentirlo grosso e duro premere
  sotto di me. Corrado era visibilmente
  soddisfatto che gli avessi reso il favore e mi annunciò che il giorno dopo me
  l’avrebbe messo in culo. Le cose non andarono come previsto, perché
  l’indomani perse. Io però non osavo prenderlo, anche se lo desideravo, per
  cui feci un bis del giorno precedente, con qualche piccola variazione. Corrado invece non si tirò
  indietro. Quando mi sconfisse, il giorno seguente, mi disse: - Adesso mi faccio la
  doccia. Lo guardai, stupito. Che
  rinunciasse a prendere il premio mi sembrava impossibile. Lo accompagnai alla
  doccia, ma quando feci per lavarmi anch’io, mi bloccò: - Eh no, mio caro, tu
  rimani lì. Ti laverai dopo… Corrado si lavò bene, in
  particolare il culo. Per un momento pensai che volesse farsi inculare, ma mi
  sembrava strano. Non mi sbagliavo completamente, ma questo lo scoprii dopo.  - Vieni con me. Tornammo nello spazio in
  cui lottavamo e lui si voltò, dandomi la schiena. - Leccami il culo. Rimasi un attimo
  interdetto: non mi aspettavo niente del genere. Corrado non aveva mai fatto
  cenno a questa possibilità.  - E muoviti, stronzo! Hai
  perso. Tira fuori quella fottuta lingua e datti da fare.  Obbedii. Incominciai a leccargli una natica,
  ma Corrado rise e disse: - Che cazzo hai capito,
  razza di coglione? Leccami il buco e la zona intorno. Mi sembrò che mi mancasse
  il fiato, ma misi al lavoro. Mi faceva un po’ schifo, ma Corrado si era
  lavato bene e man mano che passavo la lingua, devo ammettere che incominciai
  a prenderci gusto. Corrado si mise le mani
  sul culo e divaricò un po’ le natiche. - Lecca bene. Spingi quella
  fottuta lingua a fondo. Obbedii. Tre volte Corrado
  si voltò e si fece succhiare il cazzo, che aveva ormai duro, poi tornò a
  farsi leccare il culo. Infine mi disse: - Adesso a quattro zampe,
  cavallino, che andiamo al galoppo. Avevo paura e credo che
  Corrado me lo leggesse in faccia. Mi disse, con un tono di voce del tutto
  diverso: - Non ti preoccupare,
  Massimo. Farò piano. Annuii e mi misi come
  richiesto. Corrado aprì un armadietto
  e prese un tubetto. Non capii. - Per un maiale arrosto,
  ci vuole un po’ d’olio. Corrado si versò dal tubetto
  sulle dita un po’ di lubrificante, che incominciò a spargere intorno al buco,
  poi infilò un dito ben bene dentro. Sussultai. Non era doloroso: aveva
  lubrificato bene l’apertura. Ma non ero avvezzo ad avere qualche cosa in
  culo. Ripeté parecchie volte i movimenti, finché non mi abituai a questa
  presenza. Poi infilò due dita, dilatando ancora di più. Posò il tubetto. Si mise dietro di me e mi
  morse con forza il culo. Emisi un gemito. - Che cazzo fai, stronzo?
  Non puoi mica mangiar… Non completai la frase,
  perché era entrato dentro di me. Chiusi gli occhi, incapace di parlare, di
  pensare. Mi faceva male, ma non era niente di terribile. Corrado mi diede il
  tempo di abituarmi, poi incominciò a muoversi, con grande delicatezza.  - Ti ho vinto e adesso ti
  fotto, Massimo. Annuii. Non sarei riuscito
  a spiccicare mezza parola. Si stese sopra di me e
  incominciò la sua cavalcata. Andò avanti a lungo, finché lo sentii stringermi
  più forte e accelerare il ritmo. Per la prima volta sentii il seme di un uomo
  nelle mie viscere. Il suo cazzo perse consistenza e volume e ora non mi
  faceva più male. Mi dava solo un po’ fastidio. Corrado rimase un momento
  su di me. Mi passò la mano sulla faccia in una specie di carezza. Poi uscì.  Mi guidò a stendermi sulla
  schiena. Si sedette sul mio ventre. Io non ce l’avevo duro. Mi schiaffeggiò
  leggermente, mentre mi prendeva per il culo, vantandosi di avermi vinto e
  fottuto. E intanto strusciava il culo sul mio cazzo, che finì per riempirsi
  di sangue. Allora prese il tubetto, che aveva lasciato lì vicino, si versò un
  po’ di lubrificante sulle dita e si sollevò. Si unse il buco del culo, che io
  avevo già lubrificato con la saliva. Poi mi afferrò il cazzo con la mano, lo
  mise in verticale e si abbassò leggermente fino a che la cappella non toccò
  il suo buco. Allora, lentamente, si impalò sul mio cazzo. Io ero stupefatto,
  ma la sensazione era troppo forte. Sentire la sua carne calda che avvolgeva
  il mio cazzo era meraviglioso. Lo guardai, ma Corrado aveva gli occhi chiusi.
  Doveva fargli un po’ male, come aveva fatto a me, perché c’era una smorfia
  sul suo viso. Corrado si fermò due volte
  prima di riuscire ad accogliere tutto il mio cazzo in culo. Quando infine si
  fu impalato, mi guardò, mi sorrise e mi diede un buffetto. - Sei solo uno strumento
  nelle mie mani. Posso fare di te tutto quello che voglio, anche questo. Annuii. Corrado prese a sollevarsi
  e abbassarsi. Si muoveva piano, perché doveva fargli male. Io avrei voluto
  che accelerasse il ritmo, ma avevo perso ed era lui a stabilire che cosa e
  come avrebbe fatto. Sul suo viso apparvero goccioline di sudore. Corrado andò avanti a
  lungo, finché il piacere esplose dentro di me. Versai il mio seme nelle sue
  viscere e pensai che non avevo mai goduto tanto. Ero esausto. Corrado si sollevò e si
  stese di fianco a me. Mi strinse la mano e io ricambiai la stretta. Rimanemmo a lungo distesi,
  guardandoci ogni tanto e sorridendo. Poi ci alzammo e ci lavammo. Non dicemmo
  quasi nulla. Tornai a casa con il culo
  dolorante e una sensazione di immenso benessere. A tratti, durante il
  pomeriggio, ripensavo a quello che avevamo fatto il mattino. Era stato bello.
   Nei giorni seguenti al
  termine dei nostri incontri, il vincitore lo metteva quasi sempre in culo
  all’altro e poi lo faceva sempre venire, con la mano, con la bocca oppure
  prendendoselo a sua volta in culo. Corrado diceva che era un modo di umiliare
  l’avversario: costringerlo a godere dopo essere stato sconfitto e inculato. Sapevamo
  tutti e due che le cose non stavano così. Ma era un buon modo per fingere che
  fosse tutto un gioco tra maschi e niente di più. Non prendevamo nessuna
  precauzione, nonostante a scuola avessimo partecipato a due incontri sulla
  prevenzione delle malattie veneree e dell’Aids. Corrado non correva rischi
  con me: non avevo mai avuto rapporti sessuali. Io avevo l’impressione che
  Corrado avesse un po’ più di esperienza. Non era esattamente così, come
  scoprii più tardi. Le sue conoscenze erano esclusivamente teoriche: aveva
  avuto la possibilità di scoprire su Internet molte cose e le sperimentava con
  me. Non mi ponevo problemi
  perché in qualche modo, per quanto possa sembrare assurdo, per me quello che
  facevamo non era davvero sesso. Se qualcuno mi avesse chiesto se avevo mai
  avuto rapporti omosessuali, avrei risposto di no, senza avere coscienza di
  mentire: un rapporto era un’altra cosa. Per me eravamo due amici che si
  divertivano lottando e nel nostro legame il sesso era solo un elemento della
  sfida. Mi rendo conto che era un modo per negare la realtà e in fondo lo
  sapevo anche allora, ma mi andava bene così, mi evitava di dovermi porre domande
  a cui preferivo non dare una risposta. Luglio volava: i giorni
  passavano in fretta e si avvicinava la data della mia partenza per la
  Basilicata. L’idea di non vedere Corrado per un mese mi pesava moltissimo,
  anche se per tanti aspetti ero contento di tornare al paese, dove avrei
  ritrovato i nonni, gli zii, gli amici di sempre. Mi rendevo conto che anche
  Corrado era dispiaciuto per la mia partenza. Lui avrebbe fatto quindici
  giorni di vacanza a Riccione, nella seconda metà di agosto. Arrivò il momento di
  congedarsi. Vinsi l’ultimo incontro ed ebbi la netta impressione che Corrado
  mi regalasse la vittoria. Risi mentre gli dicevo: - Oggi ti spacco il culo,
  così non mi dimentichi. Corrado sorrise,
  rispondendomi: - Non ti dimentico certo.
  Mi mancherai, Massimo. Di colpo mi sentii
  angosciato. Corrado se ne accorse e mi disse: - Un mese passa in fretta.
  E riprenderemo da dove abbiamo finito. Mi feci forza per
  nascondere ciò che provavo e risposi: - Allora riprenderemo da
  me che ti spacco il culo. Ma quel giorno non ci fu
  nessuna violenza: lo presi con dolcezza e poi lasciai che lui mi prendesse. In Basilicata ritrovai gli
  amici e i parenti. Soprattutto ritrovai la libertà di correre per i boschi e
  girare per la campagna. Ma per quanto sentissi che quella era la realtà in
  cui mi ritrovavo pienamente, per tutto il mese sentii la mancanza di Corrado.
  Con gli amici si parlò molto di Milano. Loro davano per scontato che la città
  offrisse grandi possibilità e mi chiedevano se avevo fatto grandi conquiste.
  Io rimasi sul vago. Qualcuno capì che con le ragazze avevo combinato poco. Antonio,
  che era stato il mio migliore amico, colse che c’era stata qualche esperienza
  importante, di cui non volevo parlare. Ma proprio le conversazioni con gli
  amici, le loro vanterie, i racconti di avventure più o meno reali, mi
  portarono a pormi una serie di domande, a cui cercavo di dare risposte.
  Incominciavo a vedere quello che avevamo fatto io e Corrado in una luce
  diversa. E a capire che non desideravo le ragazze a cui pensavano
  ossessivamente i miei coetanei. Io desideravo i maschi. E soprattutto un
  maschio: Corrado. Io e Corrado ci ritrovammo
  il primo settembre, nel pomeriggio. Sua madre era in casa e noi parlammo
  nella stanza dove dormiva Corrado. Ci raccontammo le nostre vacanze, senza
  entrare nei dettagli. Io guardavo Corrado e nella mia testa lo rivedevo nudo
  durante le nostre sfide. A tratti la conversazione si interrompeva: avevo
  l’impressione che anche Corrado inseguisse altri pensieri.  Ci demmo appuntamento per
  il mattino seguente, per riprendere i nostri incontri.  Quel giorno si lacerò
  completamente il velo dietro cui avevamo cercato di nascondere la realtà. Quando
  ci fummo spogliati, lo guardai e provai un desiderio fortissimo di
  abbracciarlo, ma non osai farlo. Mi parve di cogliere in lui lo stesso
  desiderio, ma anche lui si frenò. Lottammo e per la prima volta le parole forti
  di Corrado mi parvero suonare false. Io non riuscivo a dire quasi nulla. E
  non ero concentrato. Quando arrivò mezzogiorno,
  Corrado aveva nettamente vinto. Mi fece stendere a terra, sulla schiena. Si stese
  su di me e si mise a prendermi per il culo, come avevamo sempre fatto a
  luglio. - Sei stato sconfitto e
  adesso ti fotto in bocca e in culo. Il suo viso era vicino al
  mio. Mi guardava ghignando. Ma poi successe qualche cosa che non avevo
  previsto. E che certamente non aveva previsto neanche lui. La sua espressione
  cambiò. Mi guardò, serio. Lentamente avvicinò il viso al mio e mi baciò sulla
  bocca. Fu un bacio delicato. Io rimasi paralizzato. Corrado sollevò il viso e
  mi guardò. Era anche lui disorientato.  Si alzò di scatto, senza
  dire una parola. Ansimava. Mi sollevai anch’io. Mi avvicinai a lui. Gli presi
  la testa tra le mani e lo baciai. Il mio era un bacio incerto, ma Corrado
  aprì le labbra e mi infilò la lingua tra i denti. Ero disorientato, ma non mi
  sottrassi. Ci baciammo a lungo, mentre ci stringevamo. L’assurdo castello di
  carte che avevamo costruito crollò. Ero completamente frastornato. Tutto
  quello che avevamo fatto mi appariva ora sotto un’altra luce. Ma sapevo, con
  assoluta certezza, che era quello che volevo. E che anche Corrado voleva. Quel giorno non ci fu un
  vincitore che si prendeva il premio meritato. Ci furono due ragazzi che
  facevano l’amore. Non ci eravamo detti di amarci, non eravamo bravi con le
  parole. Gli insulti e le parolacce ci venivano meglio delle dichiarazioni
  appassionate. Ma sapevamo tutti e due che cosa provavamo. 2016  |