Il falcone di Federigo A Galeazzo In Firenze vi fu un tempo
un uomo chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi,
che eccelleva in tutte le arti che si addicono a un gentiluomo: sapeva usare
con maestria la spada e la lancia, era abilissimo nel cavalcare, conosceva la
musica e le opere degli scrittori e si dilettava a scrivere poesie. Egli era
socievole, generoso e assai bello d’aspetto, per cui molti uomini e donne lo
desideravano grandemente. Come talvolta succede,
Federigo si innamorò di un altro gentiluomo, chiamato messer Giovanni dei Negroponti, che era considerato uno degli uomini più
forti e belli di Firenze, di dieci anni maggiore di Federigo. Giovanni, prima
di prendere moglie, non si era mostrato indifferente alle attenzioni degli
altri uomini e aveva amato più d’uno dei suoi compagni di giovinezza. Ma,
sposatosi a venticinque anni, aveva rinunciato agli amori maschili ed era
rimasto fedele alla moglie, che gli aveva dato un unico figlio. Federigo però, amandolo
moltissimo, sperava che egli potesse tornare agli antichi amori e, per
attirare la sua attenzione e ottenere il suo amore, cercava ogni occasione di
mostrare il suo valore nei tornei. Inoltre offriva feste e banchetti, a cui
invitata Giovanni, e si mostrava molto munifico. Ma Giovanni, pur conoscendo
la passione che Federigo nutriva per lui, non sembrava curarsi né di tutto
ciò che veniva fatto in onor suo, né di Federigo stesso. Federigo, sempre più
innamorato, continuava a spendere in feste e tornei, non badando al denaro,
poiché solo di Giovanni gli importava. Sapeva di correre alla rovina, che
infine giunse. Saldò ogni debito, poiché era un uomo d’onore, ma non gli
rimase nulla, se non un piccolo podere che aveva a Campi e che poteva fornire
appena di che vivere in grande ristrettezza. Possedeva inoltre uno splendido
falcone, che era da tutti gli esperti considerato il migliore per la caccia. Federigo si ritirò nel suo
podere, sopportando pazientemente la sua povertà e rinunciando a invitare gli
amici di un tempo, perché nulla avrebbe potuto offrire loro. D’animo forte,
non si lamentava della sua sorte, ma soffriva per l’infelice amore a cui non
sapeva rinunciare. Quello stesso autunno la
moglie di Giovanni si ammalò e morì, lasciando il marito solo con il figlio
Maso. Nell’estate successiva, Giovanni andò in un’ampia tenuta che possedeva
a Campi, assai vicino a quella di Federigo. Perciò successe che il ragazzo,
ormai sedicenne, andando in giro per la campagna, aveva spesso modo di
incontrare Federigo, di cui a Firenze aveva sentito molto parlare: tutti in
città ne lodavano la cortesia e la forza e si dispiacevano che si fosse
dovuto ritirare in quel podere sperduto. Nessuno conosceva chi fosse
l’oggetto del suo amore e molti pensavano che fosse qualche dama d’alto
lignaggio. Federigo, d’animo sempre
cortese, insegnò al ragazzo a cacciare con il falcone. Con pazienza lo istruì
e gli spiegò come tenerlo. Maso prese a passare sempre più tempo con Federigo,
affascinato dalla forza, dalla cortesia e dalla generosità dell’uomo. Con il passare dei giorni,
Federigo e Maso divennero sempre più legati. Nei giorni di gran calura, dopo
aver cacciato, spesso si bagnavano in un laghetto non lontano dal podere di
Federigo. Vedendo il valoroso cavaliere immergersi nudo nell’acqua, Maso
sentiva la forza del desiderio dentro di lui. Avrebbe voluto giacere con Federigo,
ma non osava chiederglielo. Celava perciò il suo desiderio. Giorno dopo giorno, Maso
si struggeva di un desiderio impossibile. Ora accadde che a metà
dell’estate Maso si ammalò. Il padre, vedendolo deperire velocemente, era
sempre più preoccupato. Il medico non sapeva che dire e si raccomandò solo di
non contrariare il ragazzo. Giovanni sedeva al
capezzale del figlio e gli chiedeva se poteva procurargli qualche cosa che lo
allietasse. Maso ben avrebbe voluto dire il suo desiderio, ma non osava,
parendogli cosa oltremodo sconveniente. Il ragazzo declinava e
Giovanni temeva ormai di perdere l’unico figlio, da lui tanto amato. E ancora
gli chiedeva che cosa potesse fare per lui. E stava al capezzale e gli
teneva la mano, quando arrivò l’unico servo di Federigo a chiedere notizie
del ragazzo. Quando la domestica disse che c’era un uomo di Federigo Alberighi, il ragazzo sentì il cuore battere più forte.
Si accorse il padre del mutamento del giovane e, dopo aver dato al servitore
le notizie richieste, si rivolse al figlio. - Figlio mio, non mi
nascondere il tuo cuore. Sono tuo padre e anch’io nella mia gioventù ho amato
e desiderato, seguendo ciò che il cuore mi dettava. Il male che ti tormenta
viene forse da una pena d’amore? Maso provava vergogna, ma
non voleva mentire al padre. Fece un cenno del capo. Giovanni proseguì: - E l’oggetto del tuo
amore è forse il bel Federigo? Maso chinò il capo, senza
osare dire nulla, ma il padre ben comprese di aver indovinato. - Dunque è lui che
desideri. Non avere vergogna, anch’io nella mia giovinezza ho amato cavalieri
gagliardi e nessuno vi è in Firenze migliore di Federigo. Gli hai parlato di
ciò che provi? - No, padre, non oserei
mai. Ma mi sembra che senza di lui morirò. Giovanni rimase a lungo
pensieroso. A ogni costo voleva salvare il figlio, ma parlare a Federigo di
ciò che il figlio provava per lui gli era alquanto increscioso. Già sarebbe
stato umiliante fare da mezzano per il figlio, ma rivolgersi a tale scopo
proprio a Federigo, che egli aveva sdegnato così a lungo, gli costava molto. Il giorno dopo Maso sembrò
peggiorare e, di fronte alla certezza di vederlo morire, Giovanni gli disse: - Maso, sta’ di buon
animo. Io parlerò con Federigo del tuo desiderio e tutto farò affinché tu
possa soddisfarlo. A queste poche parole il
volto di Maso si trasformò ed egli abbracciò con slancio il padre. - Mi pare di sentirmi già
meglio, padre. - Oggi pomeriggio andrò da
Federigo. Il ragazzo pareva stare
molto meglio e Giovanni si decise a cercare Federigo. Il compito a cui si
accingeva gli era quanto mai gravoso e molto volentieri avrebbe rinunciato.
Stava andando da un uomo che lo aveva amato tanto da rovinarsi per lui e che lui
non aveva degnato di uno sguardo. E a quest’uomo doveva chiedere di… Giovanni non osava neppure formulare il pensiero.
Federigo avrebbe ben potuto rifiutarsi e oltre a questo fargli pesare la sua
richiesta, già di per sé alquanto insolita e vergognosa, ma tanto più rivolta
a un uomo respinto e formulata proprio da chi quell’amore aveva disprezzato. Solo la preoccupazione per
la salute del figlio gli impedì di volgere indietro i suoi passi. Giovanni raggiunse la casa
di Federigo all’ora in cui sapeva che questi usciva per la caccia. Lo trovò
infatti sulla soglia. - Buongiorno, messer Federigo.
Vi disturbo? - No, certamente. Sono
molto lieto di vedervi. Entrate. Giovanni temeva che in
casa il servitore di Federigo potesse sentire la sua richiesta, per cui
rispose: - Se non vi spiace, vi
accompagnerò un tratto per la vostra strada, così potremo parlare
liberamente. - Come voi preferite. Federigo salì a cavallo e
si diressero entrambi verso il bosco. Federigo chiese subito: - Prima che mi diciate che
cosa vi ha portato da me, che nuove mi date di vostro figlio Maso? - Proprio per lui vengo a
trovarvi. Le sue condizioni mi preoccupano alquanto. Federigo parve molto
turbato. - Ciò che dite mi addolora
profondamente. Che cosa ne dice il dottore? - Non sa spiegarsi questa
malattia. Solo ha saputo dirmi di non contrariarlo. Giovanni avrebbe dovuto
parlare, ma esitava ancora. Pure non era possibile sottrarsi. Federigo gli
disse: - Se c’è qualche cosa che
posso fare, non esitate a dirmelo, messer Giovanni. Giovanni annuì e riuscì a
dire: - Sì, c’è qualche cosa che
Maso desidera da voi, ma, messer Federigo, vi prego di credere che solo l’amore
che provo per lui e la paura di vederlo morire mi inducono a portarvi la sua
richiesta. Non ho altre speranze. Giovanni non sapeva più
come continuare. - Messere Giovanni, sono a
vostra disposizione. Ditemi ciò che volete. Giovanni taceva, colto da
vergogna. Allora Federigo gli disse: - Forse Maso desidera il
mio falcone? Spesso l’ha ammirato e in cuor suo desiderato, anche se non
osava chiederlo. Se di questo si tratta, sono ben lieto di donarglielo. Giovanni ammirò la
generosità di Federigo, disposto a privarsi di quello splendido animale, ma
altro uccello desiderava il figliolo. - Messer Federigo, conosco
il vostro cuore magnanimo. La vostra offerta spontanea è quanto di più
generoso io possa immaginare. Ma ciò che vengo a chiedervi è altro e non mi è
facile, vi assicuro, formularlo con parole. - Messer Giovanni,
qualunque cosa voi mi chiediate, foss’anche la mia
vita, è a vostra disposizione solo che io possa, senza commettere infamia,
darvela. L’estrema cortesia di
Federigo non rese più facile il compito di Giovanni, che pensò di rinunciare
alla sua richiesta, ma il pensiero del figliolo gli impedì di tornare
indietro. Perciò, facendosi forza e sentendosi sopraffare dalla vergogna, gli
disse: - Messer Federigo, voi
siete un uomo di grandi virtù e in cuor mio ho sempre apprezzato il vostro
valore, anche se con voi mi sono mostrato insensibile, poiché avevo deciso di
rimanere fedele a colei che avevo scelto per moglie. Ma la vostra nobiltà ha
colpito il mio figliolo e ora egli arde di un amore che lo consuma e lo sta
portando alla morte. Dette queste parole, Giovanni
si sentì avvampare. Federigo tacque un momento, poi chiese: - Messer Giovanni, voi mi
chiedete di… - Federigo esitò, poi proseguì - …di assecondare il desiderio del vostro figliolo? Giovanni chinò il capo e
disse: - Provo vergogna a
chiedervi questo e vi assicuro che se non fosse perché temo per la sua vita… Federigo lo interruppe: - Non dovete provare
vergogna, messer Giovanni. La vostra richiesta mi ha sorpreso, ma ne capisco
il motivo. Di certo non vi dirò di no. Non appena vostro figlio sarà guarito,
cercherò di soddisfare il suo desiderio, perché a voi non posso dire di no.
E, come pegno della mia promessa, vi do il falcone che Maso tanto ama, in
attesa che lui possa riportarmelo. Detto questo, Federigo gli
porse lo splendido uccello, che teneva sul braccio, e il guanto su cui
riposava il falcone. - Messer Federigo, non
posso accettare. - È solo un pegno per
vostro figlio. Me lo renderà. Giovanni pensò che quel
pegno avrebbe contribuito alla guarigione del suo figliolo e si risolse ad
accettare. Ringraziato Federigo, tornò a casa contento del successo della sua
missione, ma in cuor suo pieno di vergogna, ripensando alla generosità di Federigo
e a come lo avesse sempre rifiutato. Giunto a casa, Giovanni
entrò nella stanza di Maso, che lo attendeva impaziente. - Che mi dite, padre mio? - Federigo è uomo generoso
oltre ogni dire. Egli è lieto di assecondare il tuo desiderio. In pegno della
sua promessa, ti affida il suo falcone. Glielo renderai quando andrai da lui,
guarito, e avrai ciò che desideri. A Maso parve di svenire
per l’emozione che gli diedero le parole del padre. Sbiancò in volto e
Giovanni si preoccupò. - Figlio mio, che ti accade?
Pensavo di darti una gioia e pare che invece tu sia turbato. - È una gioia immensa,
padre mio. Più di quanto io riesca a esprimere. Vi ringrazio per quanto avete
fatto per me. Nei giorni seguenti Maso,
vuoi per il naturale decorso della malattia, vuoi perché la notizia datagli
dal padre affrettava la guarigione, migliorò rapidamente e in capo a una
settimana poté uscire dal letto. Egli era impaziente di
recarsi da Federigo, per quanto si vergognasse. Il padre volle prima avere
dal medico la conferma della guarigione del figlio. E quando il dottore disse
che Maso non correva più alcun pericolo, permise al figlio di uscire. Maso prese con sé il
falcone e, con il cuore in tumulto, si recò da Federigo. Approssimandosi alla
casa del cavaliere, Maso si sentì smarrito e quando vide il cavaliere, non
riuscì a dire nulla. Fu Federigo a parlare: - Maso, sono ben lieto di
vederti guarito. Maso chinò il capo e porse
il falcone, che teneva sul braccio. - Vi rendo il vostro
falcone, messer Federigo, e vi ringrazio. Federigo sorrise: - Questo falcone lo diedi
in pegno e ora lo riprendo. Maso, vuoi che andiamo a bagnarci al laghetto? Maso provava vergogna, ma
il desiderio era più forte del turbamento, per cui disse: - Ben volentieri. Federigo ripose il
falcone, poi entrambi raggiunsero il laghetto dove si erano bagnati molte
volte. Qui essi si spogliarono, come sempre facevano. Maso però esitava, perché
il suo corpo tradiva il desiderio che ardeva dentro di lui. Se ne avvide
Federigo e, avvicinatosi al fanciullo, lo prese tra le braccia e lo baciò
sulla bocca. Parve a Maso che gli angeli del paradiso fossero scesi su di
lui. Federigo finì di spogliare
Maso, poi, toltisi gli ultimi indumenti, lo fece sdraiare sull’erba e si
stese su di lui. Egli incominciò a baciarlo e accarezzarlo e il giovane sentì
il piacere crescere. Bastò il tocco della mano di Federigo perché il membro
del giovane vibrasse di piacere e il suo seme si spandesse. Federigo continuò a
baciare ed abbracciare il giovane, che, fattosi coraggio, ricambiò gli
abbracci e le strette e, vista la vigorosa mazza di Federigo, provò desiderio
di sentirla dentro di sé. Non osando formulare il suo desiderio, si volse e
si stese sull’erba offrendo al cavaliere i suoi fianchi, che mai uomo aveva
posseduto. - Sei sicuro di
desiderarlo, Maso? Maso annuì, poi soggiunse: - Con tutto me
stesso. Messer Federigo preparò
con cura l’ingresso e poi conquistò la fortezza, che senza opporre resistenza
alcuna lo accolse. Grande fu il piacere del giovane Maso, che per la seconda
volta venne, mentre Federigo lo prendeva. E dopo essersi dedicati ai
giochi dell’amore, si bagnarono nel laghetto e poi ognuno tornò alla sua
casa. Giovanni osservò il figlio
e non ebbe bisogno di chiedere nulla per sapere che Federigo aveva mantenuto
la sua promessa e che il giovane era felice. Da allora per venti giorni
Maso si recò tutti i giorni da Federigo. Camminavano, cavalcavano o
cacciavano insieme e poi ogni giorno Federigo possedeva il ragazzo e gli
insegnava alcuni dei segreti dell’amore. A Maso pareva di essere follemente
innamorato e le notti gli parevano interminabili, perché solo desiderava che
giungesse il mattino per raggiungere il suo amato. Ma, passate tre settimane,
nella tenuta dei Negroponti venne Francesco, un
nipote di messer Giovanni, cugino di Maso. Era egli un giovane di ventidue
anni, bello di viso e di corpo, e Giovanni chiese al figlio di tenergli compagnia
per alcune ore ogni giorno. Giovanni temeva che il
figlio avrebbe accettato a malincuore questo incarico, ma Maso fu colpito
dalla bellezza del giovane cugino e lo accompagnò volentieri. Maso mostrò al cugino la
campagna e i boschi e, giunti a un laghetto, che non era quello della
proprietà di Federigo, gli chiese se volesse bagnarsi. Francesco accettò ben
volentieri l’invito ed entrambi si spogliarono. Entrarono nel laghetto,
bagnandosi e spruzzandosi, e i loro giochi innocenti lasciarono presto il
posto ad altri giochi. Lottarono, ma i loro corpi che si stringevano
tradivano un desiderio che cresceva. E allora, distesi sull’erba in riva al
lago, essi si amarono. Non era certo nuovo a
questi giochi d’amore Francesco: a Firenze aveva conosciuto carnalmente molti
cavalieri e v’erano pochi giovani più esperti di lui nell’arte amatoria. Ben
volentieri Francesco trasmise a Maso le sue conoscenze, insegnandogli cose che
il ragazzo ancora non sapeva: a Federigo infatti non era sembrato opportuno
spingersi troppo oltre con l’ignaro giovane. Il desiderio si accese allora
in Maso, irrefrenabile, come un incendio che devasta un bosco. Trascorsero
insieme l’intera giornata; la notte, quando tutti furono a dormire, Francesco
raggiunse Maso nel suo letto. Il nuovo amore scacciò via
l’antico e Maso si scordò di Federigo, tutto preso dal fuoco che ora gli
ardeva in petto e dai nuovi piacere che ogni giorno scopriva. Il prolungarsi dell’assenza
del giovane preoccupò Federigo, che un giorno mandò il servitore a chiedere
se Maso stesse bene. Giovanni rimase sorpreso: credeva che nei giorni passati
Maso fosse andato più volte da Federigo. Disse al servitore di riferire al
suo padrone che Maso stava bene, ma che avevano ospite un cugino a cui Maso
doveva tenere compagnia. Quella sera Giovanni
osservò i due giovani e facilmente lesse nei loro sguardi e nei gesti furtivi
il desiderio che li univa. La notte rimase vigile e vide che, come ormai
sospettava, Francesco si recava nella camera di Maso. Giovanni non si stupì di
ciò che succedeva, ma l’incostanza del figlio gli spiacque: a fronte della
nobiltà di Federigo, il comportamento di Maso era quanto mai vergognoso. Giovanni decise di
parlarne a Federigo: per quanto gli pesasse, la magnanimità dimostrata dal
cavaliere non poteva essere ricambiata ignorandolo, ora che non era più
desiderato. Anche questa volta non fu
facile per Giovanni recarsi da Federigo e in cuor suo si dolse con il figlio
che nuovamente lo metteva in una situazione assai poco piacevole. Raggiunta la casa di
Federigo all’ora in cui egli usciva, gli chiese di poterlo accompagnare un
tratto. Quando furono per strada,
disse: - Messer Federigo, vengo a
scusarmi con voi. Non sapevo che Maso non fosse più venuto a trovarvi. - Se il giovane sta bene,
questo solo conta. Da me può venire sempre, se lo desidera, ma se il suo
cuore è altrove, è giusto che lo segua. - Bene diceste, messer
Federigo. Il cuore di Maso, più incostante di una farfalla che vola di fiore
in fiore, si è volto verso un cugino, che ha pochi anni in più di lui, e che
ora è in visita da noi. Di questo io mi vergogno e mi devo scusare. Giovanni era nuovamente in
forte imbarazzo, ma gli venne in soccorso Federigo, che gli sorrise e gli
disse: - Di che vi scusate? Ho
ben volentieri accondisceso alla vostra richiesta, perché da voi veniva.
Stare con Maso mi ha dato piacere, ma per lui ho sempre provato un affetto
sincero e non un amore profondo. Egli è giovane ed è giusto che cerchi altri,
a lui più vicini per età e sentire. Giovanni guardava
Federigo, ancora una volta colpito dalla sua magnanimità. Non gli muoveva
nessun rimprovero, neppure velato. Non insisteva su ciò che provava per lui.
Giovanni si chiese se l’amore di Federigo non fosse divenuto solo un ricordo
e il pensiero gli spiacque. Si stupì di trovarsi tanto turbato all’idea che
Federigo potesse non amarlo più. Lo aveva ignorato per tre anni. E ora si
rendeva conto che quell’amore era importante per lui. Confuso dai sentimenti che
provava, Giovanni disse: - L’amore non dura a lungo
e ama cambiare oggetto. Il sorriso sul viso di
Federico scomparve. - Perché dite questo,
messer Giovanni? Sapete bene che non per tutti è così. Ciò che la giovane età
facilmente scusa, in un uomo adulto è segno di leggerezza. L’amore che
svanisce come neve al sole non è profondo. - Se l’amore non è
corrisposto, è lecito rivolgersi ad altri. Federigo alzò le spalle. - Chi vi riesce, forse non
amava davvero. Giovanni sentiva dentro di
sé un turbamento profondo. Guardò Federigo e ne vide la grande bellezza.
Pensò che il cuore del cavaliere non era meno bello del suo corpo. Il
desiderio lo assalì, ma, vergognandosi, non disse nulla. Cavalcarono a fianco un
momento, in silenzio, ma Giovanni non era più in grado di tacere, per cui
fermò il cavallo e, guardando Federigo negli occhi, chiese: - L’antico amore non è
spento? Federigo non abbassò lo
sguardo e rispose: - Finché non sarà spenta
la mia vita, non sarà mai spento. Giovanni abbassò gli
occhi. Sapeva che era giunto il momento per aprire il suo cuore, ma non era
facile. Guardando di nuovo Federigo, gli disse: - Messer Federigo, mi
spiace per quanto voi avete patito per me. Vi dissi il motivo per cui scelsi
di ignorare ciò che voi provavate. Ora però devo confessare che la vostra
grandezza d’animo ha conquistato il mio cuore. Federigo impallidì e parve
quasi mancare. Vedendolo vacillare, Giovanni temette che stesse per cadere.
Sembrava respirare a fatica e anche le sue parole furono incerte: - Messer Giovanni… voi… mi dite… che… - …che
nel mio cuore avete acceso una fiamma e che ora l’amore che provate è
ricambiato, se ancora lo volete. Federigo chinò la testa e
quando rialzò il viso, nei suoi occhi Giovanni vide le lacrime. - Perdonatemi, messer
Giovanni, ma l’emozione che le vostre parole suscitano in me è troppo forte.
Non pensavo che questo giorno sarebbe giunto mai. Giovanni si sporse dal
cavallo e, presa una mano di Federigo, la strinse con vigore. Federigo alzò
il braccio e, portata la mano che stringeva alla bocca, la baciò. Federigo e Giovanni
scesero da cavallo e, lasciati gli animali in una radura, si appartarono in
un luogo tranquillo, dove giacquero diverse ore nei giochi d’amore. E ognuno
prese l’altro e all’altro si offrì, nel prendere e nel dare ricavando
entrambi grande piacere. Lasciandosi, stabilirono
di rivedersi il pomeriggio seguente. Dopo il pasto serale Giovanni
uscì dalla casa per una breve passeggiata, come era solito fare. Invece di
dirigersi verso il fiume, che era la sua meta abituale, prese la strada che
portava al podere di Federigo. E al pensiero dell’amato, sentì il suo corpo
ardere. Si stupì di quanto forte fosse l’amore che gli era entrato in cuore,
senza che lui se ne avvedesse. Giunse alla casa di
Federigo e il desiderio lo avrebbe spinto a bussare, ma si vergognò. Ritornò
pertanto verso casa, il cuore greve. Non era molto lontano dalla sua dimora,
quando vide un’ombra camminare nella sua direzione. La notte era calata e la
luce delle stelle non permetteva di distinguere i tratti di colui che si
avvicinava, ma Giovanni fu sicuro che si trattasse di Federigo. Lo vide
fermarsi un momento e poi riprendere a camminare più in fretta. - Giovanni! - Federigo! Si strinsero e le loro
bocche si incontrarono. Nel buio della notte, dimenticando ogni pudore, le
mani di Giovanni accarezzarono il corpo di Federigo e questi abbracciò forte
il compagno. - Ero venuto a cercarti,
Federigo. - E io ero andato fino
alla tua casa, ma temevo che tu mi giudicassi troppo audace. Sono tornato
indietro senza bussare. - Anch’io non ho osato
battere alla tua porta. Poi, divorati da un
identico desiderio, si allontanarono appena dalla strada e nell’oscurità
giacquero nuovamente insieme, con grande diletto. E quando i loro corpi
furono infine sazi, Giovanni chiese a Federigo, baciandolo nuovamente: - Quale incantesimo mi hai
fatto, Federigo, che io non riesca a resistere senza di te neppure una notte? - Lo stesso che tu facesti
a me, tre anni fa. Giovanni e Federigo si
rividero ogni giorno e ogni notte per sette giorni. Una settimana dopo il loro
primo incontro, il cugino Francesco si accingeva a tornare a Firenze e
Giovanni si chiese che cosa sarebbe successo: l’idea che Maso potesse tornare
al primo amore lo inquietava, non desiderando diventare il rivale del proprio
figlio, ma non potendo, a nessun costo, rinunciare a colui che era diventato
il suo padrone. Quando Maso chiese al
padre di poter accompagnare il cugino a Firenze e trascorrere con lui ciò che
rimaneva dell’estate, Giovanni si sentì sollevato, ma ritenne di dover
chiarire la situazione. In cuor suo Giovanni aveva
deciso di ricondurre Federigo a Firenze alla fine della stagione e di
ospitarlo nel proprio palazzo. Ne parlò con lui. Non gli fu facile vincere la
resistenza del magnanimo cavaliere, che non voleva acconsentire a vivere a
spese di Giovanni, ma l’amore che entrambi provavano era troppo forte per
accettare una separazione dettata dall’orgoglio. Quando infine Federigo
acconsentì a ciò che entrambi desideravano, Giovanni discusse con lui della
necessità di informare il figlio. Insieme decisero che Federigo sarebbe
venuto a pranzo a casa di Giovanni prima della partenza di Francesco per
Firenze. Maso si vergognò alquanto
vedendo Federigo ospite del padre, ma dopo il pasto, mentre stavano nel
giardino della villa, Giovanni trattenne Francesco con sé, in modo che Maso e
Federigo rimanessero soli. Maso sapeva di doversi
scusare, perciò disse: - Cavaliere, mi sono
comportato con voi in modo villano. Il desiderio mi ha accecato e non sono
più passato a trovarvi. Mi rendevo conto di quanto scortese fosse questo mio
rimanere lontano senza neanche una spiegazione, ma non osavo venire a
trovarvi per scusarmi. - Maso, non devi scusarti:
ciò che ti ha legato a me è stato desiderio, non amore. Il desiderio si
accende impetuoso e poi svanisce in fretta, scacciato da nuove bramosie. Un
giorno conoscerai l’amore e scoprirai la sua forza immensa. Tuo padre ha
voluto che ci parlassimo, perché avremo modo di vederci spesso in futuro, a
Firenze, ed era bene che non rimanessero equivoci tra noi. - Che dite? Tornerete a
Firenze? - Sì, Maso. Tuo padre mi
ha offerto di risiedere nel vostro palazzo e io ho accettato, perché un
profondo affetto ci lega. Si stupì Maso, perché non
sapeva che suo padre e Federigo fossero legati, ma fu contento di aver infine
parlato con il cavaliere e che questi non gli serbasse rancore. Quando l’estate volse al
termine, Giovanni rientrò a Firenze con Federigo e nel palazzo di Giovanni
vissero entrambi godendo l’uno dell’altro, finché le loro vite non ebbero
termine. 2015 |