Caduto al fronte
    
   
    
  Charles Larivière guarda nel vuoto. Gli
  capita spesso di rimanere a lungo così. Al lavoro è ancora l’uomo energico di
  sempre, in grado di affrontare situazioni difficili, valutando tutti gli elementi
  e prendendo la decisione giusta, ma quando è a casa ci sono momenti in cui si
  perde completamente. 
  Paul lo guarda. È preoccupato per suo padre. Spera che la nascita
  del nipotino lo scuota. La morte di Jules, durante l’ultima azione compiuta,
  sembra una tragica beffa. Jules è sopravvissuto a quattro anni di guerra, per
  poi morire alla vigilia dell’armistizio.  
  Charles gira la testa e guarda Paul. 
  - Paul… 
  - Dimmi. 
  - Vorrei parlare con quel Marveau, l’uomo
  che aveva salvato Jules. 
  Jules era stato ferito in un’azione e salvato da un commilitone,
  alcuni mesi prima della fine della guerra.  
  - Va bene. Lo cercherò. Che facciamo? Lo invitiamo a cena? 
  - Sì, direi che è la cosa migliore. Una cena solo per noi. Non dire
  nulla a Hélène. E neanche a tua madre. Non voglio
  che l’incontro le turbi. Inventeremo qualche scusa. 
  - Pensi di invitarlo al ristorante? 
  - No, voglio parlargli con tranquillità, qui a casa. Diremo che si
  tratta di un colloquio d’affari. 
  Talvolta succede che Charles Larivière
  inviti un ospite a casa per una cena di lavoro. È un modo per parlare al
  riparo da orecchie e occhi indiscreti: Charles è un banchiere, uno dei più
  importanti di Parigi, e ci sono situazioni in cui ha bisogno di avere un
  colloquio con qualcuno senza che nessun altro lo sappia. In questi casi la
  moglie, la nuora e di solito anche Paul, che è medico e non si occupa degli
  affari della banca, mangiano separatamente. 
    
  Il giorno dopo Paul, dopo aver finito di lavorare, si mette alla
  ricerca del commilitone di Jules. Non è facile trovare Balthasar
  Marveau, nonostante la posizione e le conoscenze
  dei Larivière, che aprono loro tutte le porte. Paul
  non riesce a scoprire il suo attuale indirizzo e infine decide di rivolgersi
  a un investigatore. Costui rintraccia diversi commilitoni di Jules, ma
  nessuno di loro sembra sapere dove abiti Marveau.
  Solo dopo una settimana l’incaricato riesce a scoprire l’indirizzo: una via
  all’estrema periferia meridionale di Parigi, in un quartiere popolare. 
  Paul si reca di persona all’abitazione di Marveau.
  Sa che si tratta di una zona molto povera, ma la via appare ancora più
  squallida delle altre: una successione di case basse e fatiscenti, che non
  devono essere mai state decenti neppure quando erano nuove; qualche orto
  circondato da uno steccato cadente; passaggi bui tra un’abitazione e l’altra;
  piccoli cortili. 
  La casa dove abita Marveau è una delle
  ultime. Ha un vasto spazio davanti, ingombro di oggetti in disuso di ogni
  tipo: poltrone sfondate, biciclette prive di una ruota, tavoli con gambe
  rotte, mobili privi di ante. Il proprietario dev’essere un rigattiere. O
  forse lo è stato, perché tutto sembra abbandonato, consumato dalla pioggia e
  ricoperto di polvere e sporcizia. Non si vede nessuno. Paul bussa al vetro
  sudicio di una porta.  
  Una donna apre l’uscio e lo guarda diffidente, senza salutare. Di
  certo si chiede che cosa vuole questo signore elegante e chiaramente
  facoltoso. 
  - Buongiorno, signora. Cerco il signor Balthasar
  Marveau. 
  La donna lo squadra ancora un momento, poi dice:  
  - In fondo al cortile dietro la casa, al primo piano. 
  Con la testa indica la direzione. 
  Paul aggira l’edificio e passa in un secondo cortile, oltre il quale
  si vede una piccola casetta. Il terreno è ingombro di rifiuti, cianfrusaglie
  che formano montagnole informi. 
  Paul si chiede come si possa vivere in queste condizioni. Non è solo
  la miseria: è il degrado di chi si abbandona completamente. 
  La casetta al fondo è poco più di un rudere. Al piano terra c’è una stanza
  che doveva servire come magazzino. La porta è stata sfondata e l’unica
  finestra non ha vetri. All’interno una catasta di immondizia ricopre quasi interamente
  il pavimento. Sulla sinistra una scala di legno conduce al piano superiore. È
  stretta e manca un gradino. Paul sale e arriva di fronte alla porta. Bussa.
  La porta si apre: non era chiusa a chiave, forse non esiste nemmeno una
  chiave.  
  Paul attende un momento, poi bussa di nuovo. La porta si apre un po’
  di più. Paul dice: 
  - È permesso? 
  Nessuna risposta. Paul entra. La stanza è spoglia: ci sono solo un
  pagliericcio, un tavolo, una sedia e un armadio senza un’anta. Ma il locale è
  pulito e ordinato. C’è la stessa estrema povertà della casa e del cortile, ma
  l’atmosfera è del tutto diversa.  
  Paul si guarda intorno. Non dice nulla: nella stanza non c’è nessuno
  e non ci sono altri locali. 
  Mentre si sta chiedendo che cosa fare, sente dei passi sulla scala. 
  Un uomo appare sulla porta e lo guarda perplesso: è evidentemente
  sorpreso di trovare qualcuno. È alto e robusto, con un viso dai lineamenti
  squadrati, capelli corti, barba e baffi castani, molto fitti, e occhi di un
  marrone scuro. Non è bello, ma trasmette un’impressione di forza e di
  virilità. Un tipo di uomo che a Paul piace molto. I vestiti che indossa sono
  logori, ma puliti. 
  Paul dice: 
  - Buongiorno. Mi scusi se sono entrato, ma ho bussato e la porta si
  è aperta. 
  - Ero sceso un momento. Mi dica, che cosa desidera? 
  Paul sorride, cercando di celare il suo disagio, e dice:  
  - Mi chiamo Paul Larivière. Sono il
  fratello di Jules. Lei è il signor Balthasar Marveau? 
  L’uomo si è teso. Lo guarda in modo inespressivo e risponde: 
  - Sì. 
  - Mio padre vorrebbe parlare con lei. Mi ha incaricato di invitarla
  a cena. 
  Balthasar sorride, un sorriso ironico che
  sconcerta Paul: non gli sembra di aver detto niente che possa suscitare
  scherno o disapprovazione.   
  - A cena?  
  Balthasar prosegue, senza più sorridere: 
  - Signor Larivière, questo è il mio unico
  abito. A cena dai Larivière così? So che non ci
  sarebbero altri ospiti, ma non intendo certo presentarmi in questo modo e non
  ho i mezzi per vestirmi in modo decente. 
  Paul è disorientato dalla franchezza dell’uomo. 
  Balthasar aggiunge: 
  - Se suo padre ha piacere di parlarmi, posso recarmi da lui prima di
  cena o dopo, ma preferisco evitare una situazione che umilierebbe me e
  metterebbe in imbarazzo voi. 
  Paul non insiste. L’uomo ha ragione. 
  - Come preferisce. Direi dopo cena. Può venire da noi domani alle
  nove? 
  - Sì, certamente. Mi dia l’indirizzo. 
  Paul fornisce l’indirizzo, leggermente a disagio: è naturalmente un
  quartiere elegante, ma non potrebbe essere altrimenti per i Larivière. Ringrazia l’uomo per la disponibilità ed esce.
   
  Appena arriva a casa, Paul raggiunge suo padre nel suo studio. 
  - Allora? 
  - L’indirizzo era giusto. Vive… non ho mai visto un posto così
  squallido, un edificio cadente in una specie di discarica. Gli ho parlato.
  Non deve avere un lavoro fisso, ma sembra una persona per bene. Verrà domani
  sera, ma non per cena. 
  Suo padre aggrotta la fronte. 
  - Come mai? 
  - Non vuole. Non ha un abito decente. Dice che si sentirebbe fuori
  posto. Non ho potuto dargli torto. 
  - Non ci avremmo badato. 
  - Noi no, lui sì. 
  Charles alza le spalle. 
  - In certe condizioni, l’orgoglio è fuori posto. 
  Paul riflette un momento. Marveau non gli
  è apparso orgoglioso. 
  - Non è orgoglio. Potrei dire che è dignità. 
    
  L’indomani Balthasar Marveau
  si presenta a casa dei Larivière all’ora fissata.
  Paul era sicuro che sarebbe arrivato puntuale, anche se non saprebbe spiegare
  perché. Dopo i saluti si siedono in un salottino adiacente allo studio di
  Charles. 
  Charles guarda l’uomo che ha salvato suo figlio. Quest’uomo forte è
  seduto in modo composto, né eccessivamente rilassato, né teso. Sembra a suo
  agio, anche se forse… Charles ha l’impressione che ci sia in lui una certa
  diffidenza. L’abito è in pessime condizioni e le scarpe sono ridotte ancora
  peggio, ma tutto è pulito. Istintivamente Charles prova simpatia per
  quest’uomo. 
  C’è un momento di silenzio. Charles si è perso nei suoi pensieri. Si
  dice che forse, se Marveau fosse stato a fianco di
  Jules nell’ultima azione, avrebbe potuto salvarlo una seconda volta. Ma,
  stando a quanto Marveau ha raccontato nella lettera
  con cui gli comunicava la morte di Jules, era oltre un avvallamento del
  terreno e non ha potuto fare niente per lui. Così Jules è morto in
  quell’ultima maledetta azione. 
  Charles sente su di sé lo sguardo di Paul. Si riscuote e dice: 
  - Signor Marveau, in questi ultimi mesi ho
  pensato spesso a lei. 
  Marveau non dice nulla. Attende,
  tranquillo, che Charles prosegua.  
  Charles ha una domanda, ma non vuole porla ora. Non se la sente. Lo
  farà dopo. Dice: 
  - Vorrei che mi parlasse di Jules, della sua vita di soldato negli
  ultimi mesi di guerra. 
  Marveau sembra stupito della domanda. Paul
  non capisce la sua perplessità: è naturale che un uomo che ha perso un figlio
  voglia conoscere l’ultimo periodo della sua vita e a chi altri chiedere, se
  non a chi è vissuto al suo fianco?  
  Marveau inizia a raccontare, ma è evidente
  che adesso è a disagio. Due volte si interrompe, come se volesse chiedere
  qualche cosa, come se gli sembrasse che le sue parole non avessero senso. Poi
  riprende. 
  Parla soprattutto dell’ultimo periodo, dopo che Jules era tornato
  dalla convalescenza. Dalle lettere di Jules, Paul sa che il fratello si era
  avvicinato molto a Marveau in quei mesi. Anche
  dalle parole dell’uomo è evidente che erano diventati amici, anche se Marveau non lo dice mai esplicitamente. Paul nota che
  l’uomo è ancora in imbarazzo, come se qualche cosa nella situazione non lo
  convincesse. 
  Suo padre pone le domande e Paul non partecipa. Si limita ad
  ascoltare Marveau. Gli piace il modo in cui Marveau racconta. È evidente che è un uomo istruito. Paul
  si chiede come mai si sia ridotto a vivere in quella discarica. Non deve aver
  trovato lavoro al ritorno dal fronte e con ogni probabilità non ha una
  famiglia su cui contare. Paul vorrebbe anche chiedergli che lavoro faceva, ma
  non vuole deviare la conversazione: suo padre segue con estrema attenzione
  ogni parola di Marveau. Paul si dice che gli porrà
  qualche domanda dopo, quando Marveau si congederà e
  lui lo riaccompagnerà alla porta. Potrebbero trovargli un lavoro. Grazie alle
  conoscenze di suo padre, non sarebbe certo difficile, qualsiasi cosa sappia
  fare Marveau. Anche se non sapesse fare niente, ma Marveau non sembra un buono a nulla.  
  Dopo un silenzio, Charles trova la forza per porre l’ultima domanda,
  quella che più gli preme: 
  - Vorrei che mi raccontasse dell’ultima azione… l’azione in cui è
  morto mio figlio. 
  Balthasar lo guarda, ammutolito. Appare
  sconcertato. Ci vuole un momento perché parli nuovamente. 
  - L’azione in cui è morto? Che azione? Morto? 
  Adesso è Charles a essere stupito. 
  - Ma lei… lei è Balthasar Marveau, l’uomo che ha salvato Jules e poi lo ha visto
  morire? 
  Balthasar scuote la testa. È evidente che
  non capisce. 
  - È vero che portai in salvo Jules quando rimase ferito alla gamba,
  ma Jules non è morto in un’azione. Quando la guerra è finita, stava bene e si
  era ripreso perfettamente. 
  Charles Larivière guarda Balthasar senza più riuscire a parlare. Paul viene in suo
  soccorso: 
  - Ma è morto nell’ultima azione, l’ultimo scontro che c’è stato.
  Abbiamo ricevuto la comunicazione. E anche lei ci ha scritto una lettera… 
  - Assolutamente no. La guerra era già finita quando ho visto Jules
  per l’ultima volta. Non è morto in guerra. D’altronde mi ha scritto un mese
  fa. 
  - Cosa? Non è possibile. Lei ci ha scritto… 
  Paul si interrompe e si rivolge a suo padre: 
  - Dove hai la lettera del signor Marveau?
  Nel solito cassetto della scrivania? 
  Charles annuisce. Sembra incapace di parlare. 
  Paul dice: 
  - Mi scusi un momento. 
  Esce. Charles Larivière si sporge in
  avanti e dice, pianissimo: 
  - Era vivo alla fine della guerra? Era vivo? 
  - Certo, signor Larivière. 
  Paul rientra con una lettera. La porge a Balthasar. 
  - Non l’ha scritta lei, questa? 
  Balthasar prende la lettera. L’apre. 
  - Non è la mia scrittura.  
  Balthasar legge, scuotendo la testa,
  incredulo. Quando ha finito, dice, ancora fissando la lettera. 
  - E ha messo pure il mio nome come firma. 
  Poi alza la testa e dice: 
  - È tutto falso, Jules non è morto in guerra. E poi, come le dicevo… 
  Balthasar si interrompe. Guarda la lettera
  che ha in mano. Mormora: 
  - È la stessa scrittura? È possibile? 
  Fissa Charles Larivière e dice: 
  - Un mese fa ho ricevuto una lettera che portava la firma di suo
  figlio. Credo che sia stata scritta dalla stessa persona. 
  Paul chiede: 
  - Un mese fa? Ha quella lettera? 
  - Sì, a casa. 
  - Posso chiederle di farcela vedere? L’accompagno a casa e la
  prendiamo. Non le dispiace? 
  - Certamente no. 
  Paul guarda suo padre, che è chiaramente sconvolto. Non vorrebbe
  lasciarlo solo, ma non può chiedere a Marveau di
  andare a prendere la lettera e tornare per conto proprio. 
  - Accompagno il signor Marveau. In auto ci
  metteremo poco. 
  Suo padre fa un cenno d’assenso. 
  Salgono sull’auto. Dopo aver messo in moto, mentre stanno partendo,
  Paul dice: 
  - Signor Marveau… non sta mentendo? 
  Paul si pente subito della domanda, goffa e offensiva. È
  scombussolato e l’agitazione lo ha spinto a parlare senza riflettere. Coglie
  immediatamente il leggero irrigidirsi dell’uomo seduto al suo fianco e prova
  vergogna per ciò che ha detto.  
  - Mi scusi, ma questa faccenda mi ha sconvolto. 
  Nella voce di Marveau non c’è traccia di
  irritazione. 
  - La capisco. Sono anch’io molto turbato e Jules per me era solo un
  commilitone, non un fratello. 
  Quando raggiungono la casa dove abita, Marveau
  sale a prendere la lettera e ridiscende subito. La mostra a Paul: 
  - Eccola. 
  Paul annuisce. Vorrebbe vederla subito, ma la strada non è
  illuminata. Riparte. 
  Quando arrivano a casa, prima di passare nello studio del padre,
  Paul guarda il foglio che Marveau gli porge. La
  scrittura è la stessa della lettera che hanno ricevuto loro, a firma di Balthasar Marveau. Sotto il
  testo c’è il nome di suo fratello, ma la firma non è la sua. 
  - Andiamo da mio padre. 
  Nel salottino Charles è in piedi, lo sguardo fisso sulla porta. Deve
  averli attesi guardando dalla finestra. 
  Paul porge la lettera, senza dire nulla. Charles la legge. Sono solo
  poche righe: 
  Mi spiace doverti scrivere
  questa lettera, ma ho saputo quanto è successo all’ospedale e devo chiederti
  di non rivolgerti a me o alla mia famiglia per avere aiuto: per quanto ti sia
  grato per avermi salvato la vita, non voglio e non posso avere niente a che
  fare con una persona disonesta. 
  Jules Larivière 
  Charles passa la lettera al figlio. Paul la scorre, poi chiede: 
  - Di che cosa si tratta, signor Marveau? 
  Balthasar non abbassa lo sguardo. 
  - Appena tornato, l’ospedale dove lavoravo come infermiere mi ha
  ripreso. Ma dopo pochi giorni sono stato accusato di aver sottratto una somma
  di denaro e sono stato licenziato. 
  Paul è certo che Marveau non ha preso quel
  denaro. Perché, non saprebbe dire. Ha visto quest’uomo due volte, ma è certo
  che non è un ladro. 
  - Di che ospedale si tratta? 
  - La Salpêtrière. 
  Paul è sorpreso. 
  - L’ospedale in cui lavoro io. 
  Paul riflette un attimo, poi dice:  
  - Lei non ha sottratto quel denaro, vero, signor Marveau? 
  - No. 
  - Le credo. 
  - Grazie. 
  Charles guarda il figlio. Non riesce a parlare. È Marveau a dire: 
  - Io vi lascio. Se avete bisogno di me, sono a vostra disposizione. 
  - La riaccompagno. 
  - No, la ringrazio. Preferisco tornare a piedi. Questa storia… Ho
  bisogno di riflettere un po’ e una buona camminata è quello che mi ci vuole. 
  Paul esce dal salotto con Marveau, ma
  questi gli dice: 
  - Rimanga con suo padre, ha bisogno di averla vicino. 
  Paul annuisce. In effetti preferisce non lasciare solo suo padre,
  che è sconvolto come lo è lui, e apprezza la sensibilità di cui Marveau dà prova.  
  - Signor Marveau, tornerò a cercarla, non
  appena mio padre e io ci saremo chiariti le idee. In che orari posso venire? 
  Marveau annuisce. 
  - In questo periodo lavoro alle Halles, soprattutto il mattino
  presto, ma se trovo qualche lavoretto in altre ore, lo prendo. Diciamo che
  verso sera di solito sono nella mia stanza. 
  - Grazie, signor Marveau. 
  Marveau si congeda, Paul rientra. Suo
  padre lo guarda. 
  - Che cosa ne pensi, Paul? 
  - Non lo so, non capisco. 
  Charles vorrebbe dire qualche cosa, ma sembra quasi aver paura.
  Infine dice: 
  - Paul, pensi… pensi che Jules sia ancora vivo? 
  - Non lo so. È arrivata una comunicazione ufficiale della morte di Jules,
  ma o è falsa pure quella o c’è stato uno scambio di identità. Potrebbe essere
  una macchinazione per coprire un omicidio. Qualcuno potrebbe averlo ucciso e
  fatto in modo che non ci fossero indagini. 
  Paul non vuole che suo padre si faccia illusioni.  
  - Tu pensi che sia morto, allora? 
  - Non lo so, non lo so. Ma voglio scoprire che cosa è successo.
  Quell’uomo non mente. 
  - Come fai a dirlo? È stato licenziato per aver rubato dei soldi. 
  - Già, dall’ospedale in cui lavoro io. 
  - Che cosa vuoi dire? 
  - Nello stesso ospedale, l’uomo che ha salvato Jules e il fratello
  di Jules. La Salpêtrière è molto grande, ma è impossibile che prima o poi un
  infermiere e un medico non si incontrino, non sentano l’uno il nome
  dell’altro: “Marveau, hai detto? Mio fratello in
  guerra è stato salvato da un certo Balthasar Marveau”. “È lui di certo, Balthasar
  è un nome insolito, non ci sono due Balthasar Marveau”. Oppure: “Larivière?
  Conoscevo un Jules Larivière.” “Era il fratello, è
  morto in guerra.” “No, di sicuro”. Insomma, prima o poi uno dei due avrebbe
  saputo dell’altro e saremmo venuti in contatto, io per ringraziarlo di aver
  salvato Jules, lui per chiedermi notizie di Jules. E avrei scoperto che alla
  fine della guerra Jules era vivo e che Marveau non
  ha mai scritto una lettera per comunicarci che Jules era morto. 
  - Pensi che qualcuno abbia agito in modo da farlo licenziare? 
  - Credo di sì. La stessa persona che gli ha mandato quella lettera,
  per essere sicuro che Marveau non si rivolgesse a
  noi e la verità non venisse fuori. Qualcuno che conosce Marveau. 
  - Perché dici questo? 
  - Quella lettera è scritta in modo da offendere e ferire una persona
  che ha un forte senso della propria dignità. E Marveau
  è così. Tu non hai visto dove vive, ma in quella specie di discarica, la
  camera di Marveau è pulita e ordinata.  
  Charles Larivière annuisce. 
  - Sì, ho visto come si muove. C’è più dignità in quell’uomo che in
  tutti i soci del Club messi insieme. E quella lettera firmata con il nome di
  Jules è infame. Jules non avrebbe mai scritto una lettera così. Un uomo che
  gli ha salvato la vita. La lettera che Jules ci scrisse… parlava di lui come
  di un angelo custode. Mi stupisce che Marveau abbia
  potuto credere a quella lettera. 
  - Non aveva motivo di sospettare che non fosse stata scritta da
  Jules. Come noi non abbiamo sospettato che la lettera firmata Marveau fosse stata scritta da qualcun altro. 
  Charles annuisce. Rimane un momento in silenzio, poi ha uno scatto. 
  - Paul, dobbiamo scoprire la verità. Se Jules è stato ucciso,
  l’assassino dovrà pagare.  
  Il tono della voce è quello che Paul conosce bene, ma che in questi
  ultimi mesi ha avuto poche occasioni di sentire: Charles Larivière
  è di nuovo il banchiere abituato a prendere decisioni rapidamente e a
  muoversi con sicurezza in ogni situazione. 
  Charles aggiunge: 
  - Prenderò contatto con il generale Lacroix. 
  Paul scuote la testa. 
  - Aspetta, è arrivata una comunicazione falsa. Ci deve essere
  qualche complicità. Non vorrei che mettessimo in allarme il responsabile.
  Meglio che nessuno sappia che stiamo indagando. 
  - E allora? Che cosa proponi di fare? 
  - Domani sera torno da Marveau. Mi fido di
  quell’uomo e credo che ci possa aiutare. Poi parlerò con i commilitoni di
  Jules, per saperne di più sui suoi ultimi giorni di servizio e verificare le
  parole di Marveau. Tu potresti sentire dal
  commissario Vertoux se conosce un investigatore a
  cui rivolgersi per una faccenda molto delicata. Qualcuno che sia in gamba. 
  Charles riflette un momento. 
  - Se ci rivolgiamo a un investigatore, che senso ha che sia tu a
  parlare di nuovo con Marveau e a cercare i
  commilitoni di Jules? 
  - Voglio raccogliere il più possibile informazioni senza mettere di
  mezzo nessun altro fino a che non sarà necessario. Al momento opportuno, se lo
  riterremo necessario, ci rivolgeremo all’investigatore che ti consiglierà Vertoux o direttamente alla polizia. 
    
  Il giorno dopo, dall’ospedale Paul raggiunge direttamente la casa di
  Marveau.  
  - Credo che lei possa immaginare in che condizioni ci troviamo.
  Avevamo deciso di non dire nulla a mia madre e a mia cognata, che ormai è
  all’ottavo mese di gravidanza. Ma mia madre ha capito, mio padre era
  sconvolto, e abbiamo dovuto raccontarle la verità. 
  Marveau annuisce. 
  - Mi rendo perfettamente conto del vostro stato d’animo. Anch’io
  sono rimasto molto turbato.    
  - Ora vorremmo ricostruire gli ultimi giorni del servizio militare
  di Jules. Posso porle qualche domanda? 
  - Certo, mi dica. 
  - Quando ha visto mio fratello l’ultima volta? 
  - Tre o quattro giorni dopo l’armistizio. 
  - Durante la smobilitazione? 
  - No, per tutti noi la smobilitazione arrivò dopo, parecchie
  settimane dopo. Jules fu smobilitato prima. Alcuni di noi pensarono che fosse
  avvenuto per la sua ferita. Qualcuno insinuò che lo dovesse a suo padre: Jules
  non aveva mai goduto di particolari favori o protezioni, ma si sapeva di chi
  era figlio. 
  - E noi lo credevamo morto! 
  Marveau rimane un attimo in silenzio, poi
  dice: 
  - Adesso ho il sospetto che la smobilitazione anticipata di Jules
  avesse un altro significato: impedire che lui si mettesse in contatto con
  voi. Se vi avesse scritto dopo la fine della guerra, la notizia della sua
  morte in azione non sarebbe stata credibile. 
  - Perciò pensa che qualcuno abbia fatto in modo che Jules venisse
  congedato prima? 
  - Sì. O… più probabilmente non fu nemmeno smobilitato. Intendo dire,
  ieri sera mi ha detto che vi è arrivata una comunicazione ufficiale della sua
  morte. Questo significa che qualcuno ha fatto in modo che risultasse morto:
  non è così difficile, basta scambiare due schede, mettere un nome al posto di
  un altro, di qualcuno senza famiglia che risulterà disperso. In questo caso
  ovviamente il nome di suo fratello non poteva risultare tra i soldati da
  congedare. 
  - Lei era presente quando Jules fu congedato? 
  - No. Fu una cosa improvvisa. Io avevo accompagnato un ufficiale a
  un altro comando e quando tornai mi dissero che era partito in mattinata. 
  - Capisco. 
  Paul guarda Marveau. È sicuro di potersi
  fidare di quest’uomo. 
  - Signor Marveau, io ho bisogno del suo
  aiuto.  
  - Sono a sua disposizione. 
  - Per trovare lei, abbiamo fatto ricorso a un investigatore. 
  Marveau ha un mezzo sorriso. C’è una
  sfumatura di tristezza. 
  - Sì, mi rendo conto che non è facile trovarmi. Ma il licenziamento…
  ho provato vergogna. Ho evitato di mantenere i contatti con gli altri. 
  - Lo capisco e intendo occuparmi anche di quello. 
  Marveau lo guarda interrogativamente, ma
  Paul riprende il discorso iniziale. 
  - Quest’uomo ha rintracciato diversi commilitoni suoi e di Jules. Vorrei
  parlare con loro. Se lei mi accompagna, mi sarà più facile procurarmi le
  informazioni necessarie. 
  - Verrò volentieri con lei. 
  Si mettono d’accordo per vedersi l’indomani. 
    
  Il mattino seguente Paul si rivolge al dottor Crémont,
  alle cui dipendenze lavorava Marveau. Spiega che
  vorrebbe sapere di più sul licenziamento dell’infermiere. È una richiesta
  insolita, ma Paul Larivière, oltre a godere della
  stima dei suoi superiori perché è un buon medico, è il figlio di Charles Larivière, un uomo che può parlare con qualsiasi ministro
  a qualsiasi ora del giorno o della notte. Il dottor Crémont
  non gli chiede i motivi della domanda e racconta brevemente i fatti: un
  ammanco consistente e il ritrovamento della somma nella giacca di Marveau. Conclude: 
  - Le devo dire che rimanemmo molto stupiti dell’accaduto: Marveau era un ottimo infermiere. Ma la guerra cambia le
  persone e abbiamo visto diversi casi di uomini che sono tornati profondamente
  mutati. 
  - Ha avuto l’impressione che Marveau fosse
  diverso rispetto a prima della guerra? 
  - No, se devo essere sincero, no. La stessa serietà nel lavoro, un
  modo di fare sereno e tranquillo che lo faceva benvolere da tutti. Il furto
  ci lasciò tutti stupefatti. Io gli avrei affidato le chiavi di casa mia senza
  esitare. 
  - Venne fatta un’indagine? 
  - No. Come le ho detto, i soldi spariti vennero ritrovati tra le
  cose di Marveau. Non serviva un’indagine.
  Preferimmo licenziarlo immediatamente, evitando una denuncia: come le ho
  detto, avevamo sempre avuto tutti molta stima di lui e non volevamo che
  finisse in prigione. 
  - Come furono ritrovati i soldi? Intendo dire, perché furono cercati
  tra gli effetti di Marveau? 
  - Un altro infermiere aveva visto Marveau
  trafficare alla scrivania. Andammo subito a controllare tra le sue cose. 
  Paul annuisce. 
  - Non posso spiegarle tutto, ma sono sicuro che Marveau
  non ha mai preso quella somma. È stata una manovra di qualcuno per farlo
  licenziare. Essenzialmente per evitare che io, lavorando nello stesso
  ospedale, potessi incontrarlo. 
  Crémont guarda Paul, alquanto perplesso. 
  - Quello che lei mi dice mi inquieta. Lei ritiene che la somma sia
  stata messa nella giacca di Marveau da qualcun
  altro? Per farlo licenziare? 
  - Ne sono assolutamente sicuro. Non posso spiegarle ora, ma sarò in
  grado di farlo, spero presto. Parlare adesso significherebbe mettere a
  repentaglio una vita, forse, o permettere a un assassino di farla franca. Ma
  le chiederei di mettere sotto torchio l’infermiere che dice di aver visto Marveau cercare nei cassetti. Sono sicuro che ha mentito
  e sarebbe importante sapere perché l’ha fatto. Qualcuno deve averlo pagato. 
  Crémont annuisce. 
  - Dottor Larivière, so che lei è una
  persona seria e non parla a vanvera. Farò le indagini necessarie. 
  - Le chiedo solo di cercare di non far trapelare nulla. Come le
  dico, la posta in gioco è alta. E mi scuso se non posso parlare chiaramente
  ora. 
    
  La sera stessa e quella successiva Paul e Balthasar
  passano da alcuni ex-commilitoni di Jules. Balthasar
  presenta Paul come il fratello di Jules Larivière,
  spiega che il giovane è scomparso e che la famiglia sta cercando di
  ricostruire ciò che è avvenuto. Non racconta del falso annuncio di morte e,
  probabilmente perché la presenza di Paul intimorisce tutti, nessuno chiede
  come mai la famiglia si metta alla ricerca di Jules solo ora.   
  Jean Gros ricorda che Jules è stato smobilitato prima degli altri,
  ma non è in grado di fornire nessun elemento significativo.  
  - Arrivò la comunicazione in mattinata. Larivière
  non se l’aspettava, ma fu ben felice di poter partire. Io però non vidi
  quando se ne andò, ero impegnato nel magazzino. Mi stupii che fosse già
  partito. Di solito non avveniva così. Noi tutti fummo congedati parecchio
  dopo. 
  Anche i due colloqui successivi aggiungono molto poco. Paul nota che
  tutti i commilitoni sono contenti di rivedere Marveau,
  che sembra godere della loro stima e del loro affetto. Paul parla poco: Marveau pone le domande necessarie e i suoi ex-compagni
  sono più a loro agio rivolgendosi a lui. Paul ha modo di osservare Marveau. Sembra un uomo equilibrato e sereno, nonostante
  la difficile situazione in cui si trova. 
  Nel quarto incontro emerge un elemento nuovo. 
  - Sì, mi ricordo benissimo della sua partenza. Pensai che gli era
  andata proprio bene. 
  - Eri presente quando Larivière se ne
  andò? 
  - Sì, certo. Arrivò il sergente Pourdon e
  gli disse di prepararsi, perché l’avrebbe accompagnato al treno. Jules non
  voleva crederci, gli sembrava incredibile. La smobilitazione per noi era un
  miraggio: ne parlavamo sempre, ma sapevamo che sarebbe passato ancora
  parecchio tempo. 
  Balthasar si è accorto che al sentire il
  nome di Pourdon, Paul è trasalito. Chiede: 
  - E così si allontanò con il sergente Pourdon?
   
  - Sì, sì. Pourdon aveva un’auto, non so
  come mai. Non era un veicolo militare. Ma quello è ricco. 
  Quando escono Paul chiede: 
  - Come si chiama di nome il sergente Pourdon? 
  La domanda è superflua. Non c’erano certo due sergenti Pourdon che conoscevano Jules. Ma Paul vorrebbe sentirsi
  dire un altro nome, sconosciuto. Invece la risposta è quella attesa:  
  - Adolphe. 
  Paul non dice nulla. Balthasar chiede: 
  - Lei lo conosce, vero? 
  Paul respira a fondo, prima di rispondere: 
  - Sì. 
  - E il sergente aveva qualche motivo per volersi vendicare di lei,
  colpendo Jules? 
  Paul annuisce. Gli sembra di non riuscire a parlare. L’idea di aver
  provocato la scomparsa e probabilmente la morte di Jules gli è intollerabile.
  Con uno sforzo dice: 
  - Sì. 
  Balthasar dice: 
  - Non occorre che mi spieghi nulla, signor Larivière.
  Ho conosciuto il sergente. Adesso quello che conta è altro. 
  Paul si chiede che cosa significa la frase “Ho conosciuto il
  sergente”. Marveau conosce i gusti del sergente?
  Sospetta che… Che cosa pensa Marveau di lui? 
  Marveau riprende: 
  - Dobbiamo scoprire dove vive Pourdon e
  capire i suoi movimenti negli ultimi mesi. A quanto pare è il responsabile
  della scomparsa di suo fratello o almeno vi è implicato. 
  Paul guarda Balthasar. 
  - Lei pensa che mio fratello sia ancora vivo? 
  Non sa perché l’ha chiesto, è una domanda assurda: Marveau non può saperne niente. Ma Paul è sconvolto: il
  pensiero che Jules sia morto per colpa sua lo angoscia. Ha bisogno che Marveau gli dica che forse Jules è vivo, che non è
  successo l’irreparabile. Si fida di Marveau. Gli
  sembra che quest’uomo sia in grado di capire di più.  
  - Può essere. Tutto è possibile. Pourdon…
  nell’ultimo anno, dopo essere scampato alla morte in un’azione, era cambiato.
  Direi che dava segni di squilibrio mentale. 
  Paul annuisce. Marveau prosegue: 
  - Lei si è già rivolto a un investigatore. Lo contatti di nuovo, se è
  uno in gamba, e affidi a lui le indagini. A meno che non voglia rivolgersi
  direttamente alla polizia. 
  - No. A quello abbiamo già pensato e probabilmente lo faremo, ma
  prima proviamo per questa strada, senza pubblicità. Mia cognata è vicina al
  parto. 
  Dopo aver lasciato Marveau nella via in
  cui abita, Paul torna a casa propria. Riferisce rapidamente al padre che
  Jules si è allontanato dopo la liberazione con un sergente che probabilmente
  è mentalmente squilibrato e propone di affidare le indagini all’investigatore.
  Poi si ritira in camera. È troppo angosciato per parlare ancora
  dell’argomento.  
  Paul non si corica: sa che non riuscirebbe a prendere sonno. I
  ricordi riemergono. Ha davvero provocato la morte di Jules? Perché Jules?
  Sarebbe toccato a lui morire, non a Jules. Jules non ha fatto niente di male.
  Perché? 
  Paul ripensa a quando ha incontrato Pourdon,
  alla loro breve relazione. Che Jules debba pagare per questo è mostruoso. 
  Seduto sulla poltroncina Paul si sente invadere da una disperazione
  senza fondo. E a tratti un altro pensiero si insinua. Che cosa sa Marveau di Pourdon? Che cosa
  vuole dire “Ho conosciuto il sergente”? Che cosa ha capito Marveau di lui? Che cosa sospetta? Che cosa pensa di lui?
  Lo disprezza?  
  Paul si corica molto tardi, ma il sonno non viene. 
  Il giorno seguente Paul passa da Marveau
  nel tardo pomeriggio. Ha convocato l’investigatore per la serata, perché
  vorrebbe che anche Marveau assistesse al colloquio. 
  - Mi scusi per questa ulteriore domanda. Mi rendo conto che le sto
  richiedendo un impegno notevole, ma se lei potesse aiutarmi, gliene sarei
  grato. Credo che in due sapremo dare indicazioni più precise. 
  Paul vorrebbe aggiungere una frase sul fatto che la sua famiglia
  saprà mostrarsi riconoscente, ma si rende conto che con Marveau
  potrebbe essere controproducente. E mentre parla osserva Marveau,
  cercando di leggere sul suo viso che cosa pensa di lui. Ma Marveau è cortese e disponibile come sempre,
  nell’espressione del viso e nel tono di voce non c’è traccia di critica o
  condanna. 
  - Non c’è nessun problema, signor Larivière.
  Lo faccio volentieri. Ero molto affezionato a Jules. 
  Paul guarda Marveau e chiede: 
  - Che cosa ha provato quando ha ricevuto la lettera, quella che
  portava la firma di Jules? 
  Marveau scuote la testa. 
  - È stata una coltellata. Non per il rifiuto di aiutarmi, non mi
  sarei mai rivolto a lui, mi sarebbe sembrato indegno. Ma da Jules non mi
  sarei mai aspettato una lettera del genere. Sono stato ingenuo a credere che
  l’avesse scritta lui. Avrei dovuto sospettare. 
  - E come avrebbe potuto? 
  - Quella lettera non poteva essere stata scritta da Jules, non era
  nel suo carattere, ma in quel momento ci credetti. 
    
  L’investigatore, Albert Baudrier, è un
  uomo sui cinquanta. A Charles Larivière lo ha
  consigliato un commissario. Non è lo stesso uomo che ha rintracciato
  l’indirizzo di Marveau: il lavoro da svolgere è
  assai più delicato e complesso. 
  Paul spiega perché la sua famiglia ha deciso di rivolgersi a un
  investigatore e non direttamente alla polizia: 
  - Il sergente si è allontanato con mio fratello Jules, mentre a noi
  arrivava una comunicazione che Jules era morto in combattimento. Non sappiamo
  se l’abbia ucciso, come è probabile, o se lo tenga prigioniero. Nel caso
  Jules sia morto, ci rivolgeremo alla polizia. Ma nel caso fosse vivo, non
  vorremmo che fossero le indagini a provocare la sua morte.  
  Baudrier annuisce. Ha capito benissimo la
  situazione. Dopo aver posto alcune domande, sintetizza: 
  - Devo quindi scoprire dove vive il sergente, capire se in questi
  ultimi mesi si è spostato spesso, se a casa sua può esserci qualcun altro, ma
  evitando che si accorga delle mie indagini. 
  Paul annuisce: 
  - Sì, è essenziale che non sospetti di essere sorvegliato. 
  Baudrier chiede una descrizione di Pourdon e delle sue abitudini. Paul esita. Potrebbe descrivere
  il suo aspetto fisico, in ogni dettaglio, dalla leggera peluria bionda sul
  petto a quella un po’ più scura sul ventre, dalle natiche muscolose al neo
  dietro allo scroto. Potrebbe parlare delle sue abitudini a letto, di come
  geme quando viene posseduto, della sua abilità a succhiare e leccare i
  capezzoli o la cappella, del linguaggio molto scurrile che gli piace, della
  soddisfazione che gli dà bere il piscio. Ma tutto ciò non interesserebbe
  all’investigatore. Quanto ai comportamenti quotidiani e al carattere, Paul li
  conosce poco. Adolphe Pourdon
  è stato un buon compagno di letto, non di vita. Con gente come Pourdon, Paul può condividere qualche ora una notte, non
  le giornate. 
  A Paul pesa rispondere alla domanda dell’investigatore, soprattutto
  davanti a Balthasar Marveau.
  Ma è Balthasar a prendere subito la parola.
  Descrive il sergente e fornisce tutte le informazioni in suo possesso. Paul
  gli è grato di risparmiargli questa parte, è contento di non dover rivelare
  davanti a Marveau quanto intimamente ha conosciuto
  il sergente. Marveau conclude dicendo ciò che Paul
  avrebbe avuto difficoltà a formulare: 
  - È attratto dagli uomini.  
  Baudrier annuisce. Il viso appare del
  tutto indifferente. Per lui è un elemento che forse potrebbe servire nel suo lavoro,
  nulla di più. Paul si sente a disagio. Evita di guardare Marveau. 
  Quando l’investigatore se ne va, Marveau
  dice: 
  - C’è un’altra cosa che possiamo fare, signor Larivière,
  servendoci degli agganci di suo padre. 
  - Quale? 
  - Procurarci un campione di scrittura di Pourdon.
  Non è difficile. In guerra ha scritto diversi rapporti, a mano, e di certo si
  può ottenere l’autorizzazione a leggerne uno. Ad esempio potrebbe richiedere
  quello relativo al combattimento in cui sarebbe morto Jules. Una richiesta
  naturale, che non desterebbe nessun sospetto. 
  Paul guarda Marveau. Non è la prima volta
  che ha modo di apprezzarne l’intelligenza. Ma ora in quegli occhi scuri
  vorrebbe poter leggere l’opinione che Marveau ha di
  lui. 
  La domanda ritorna ossessiva dopo che Marveau
  se n’è andato. Come lo giudica Marveau? Lo
  condanna? Lo disprezza? Paul ha scoperto di tenere moltissimo al giudizio di Marveau. I pochi incontri avuti con lui gli hanno fatto
  conoscere un uomo dotato di grande umanità e intelligenza. E, anche se
  preferirebbe non riconoscerlo, Paul si accorge di provare per lui qualche
  cosa che va oltre la gratitudine e la simpatia. Lo conosce da pochissimo,
  eppure è così. È l’unico con cui vorrebbe aprirsi, confidare tutta la sua
  angoscia, il senso di colpa che lo tormenta. Gli sembra che Marveau lo ascolterebbe, non lo condannerebbe. E se
  invece lo disprezzasse?  
  Paul si dice che non è il momento per le confidenze. Adesso le
  priorità sono altre. 
  I giorni seguenti si consumano in un’attesa sfibrante. Paul non
  regge più lo sguardo di sua madre e di suo padre, che non dicono nulla, ma
  sembrano vivere sospesi, in un’attesa che svuota di senso tutto ciò che
  fanno. Anche sua cognata ha colto la tensione esistente, ma non riesce a
  spiegarsela. 
  Intanto il dottor Crémont convoca Paul. 
  - Dottore, abbiamo interrogato l’infermiere che diceva di aver visto
  Marveau trafficare con i cassetti della scrivania
  dove era tenuto il denaro. È risultato subito chiaro che era a disagio, non
  si aspettava che quella storia saltasse nuovamente fuori. Messo alle strette,
  accusato di aver mentito, ha confessato. Prese lui quei soldi e li mise nella
  giacca di Marveau. Lo avevano pagato per questo,
  una persona che non conosceva. Qualcuno che lo aveva individuato come l’uomo
  adatto per questo lavoro sporco. Adesso stiamo valutando la situazione.
  Tenendo conto di ciò che lei ci ha detto, non abbiamo preso nessuna misura,
  per il momento. Non vorremmo che ci fossero conseguenze negative. Ma
  intendiamo riassumere Marveau non appena lei ci
  dirà che sarà possibile. 
  - Grazie per aver creduto alle mie parole. 
  - Grazie a lei: ci permette di riparare un’ingiustizia. Pensa che
  possiamo chiamare Marveau o è meglio di no? Mi
  parlava di una vita in pericolo, di un assassino. 
  - Sì. Se posso chiederglielo, le direi di parlare con Marveau e di dirgli che avete scoperto la verità e che
  sarà riassunto non appena sarà stata chiarita la faccenda che riguarda la mia
  famiglia. Lui sa di che cosa si tratta. 
  Tre giorni dopo il colloquio con l’investigatore, Paul riesce a
  vedere un rapporto scritto da Pourdon. Non occorre
  essere un perito per capire che l’autore delle due lettere è lo stesso. È una
  conferma ormai quasi superflua. 
  Marveau si presenta a casa dei Larivière quella stessa sera. Chiede di parlare un
  momento con Paul. 
  - Volevo ringraziarla. L’ospedale mi ha chiamato. Sarò riassunto
  presto. 
  - Non mi ringrazi. È stato riparato un torto. Mi spiace che non la
  riprendano subito, ma se Pourdon lo venisse a
  sapere… 
  - Sì, è sensato. Ma le assicuro che l’idea di poter riprendere tra
  non molto il mio lavoro… è un sollievo enorme. 
  Marveau fa per congedarsi, ma Paul lo
  trattiene. Gli dice del rapporto che ha ricevuto e del fatto che la grafia è
  la stessa. 
  - Ero sicuro che quelle lettere le avesse scritte lui. È la conferma
  che la strada è quella giusta. 
    
  Dopo una settimana l’investigatore comunica che è rientrato e può
  riferire. Nuovamente Paul chiede a Marveau di
  assistere al colloquio.   
  - Il sergente Pourdon sta in una casa di
  campagna della famiglia, a Crécy-la-Chapelle. Ci è venuto a vivere subito dopo la
  smobilitazione. In casa non risulta vivere nessun altro. Sembra però che
  acquisti più cibo di quanto consumi abitualmente una persona sola. Nei primi
  giorni ne comprava di meno, poi è andato via per due giorni e da quando è
  tornato fa provviste più abbondanti. Tre settimane fa la negoziante gli ha
  chiesto se aveva ospiti e da allora acquista di meno, ma in realtà una o due
  volte la settimana va in auto a fare un po’ di spesa in un altro paese. 
  Paul pensa che forse Jules è vivo, nella mani di Pourdon,
  ma vivo. Baudrier prosegue: 
  - Una volta la donna che si occupa delle pulizie e dei lavori di
  casa il mattino ha sentito dei rumori provenire dalla cantina. Il sergente le
  ha detto che probabilmente era un gatto che si era infilato dalla finestrella
  e che sarebbe poi sceso a vedere. Il sergente non esce mai di casa quando c’è
  la signora. Le ha detto di non occuparsi della cantina, che è vuota. La
  signora dice che la porta è sempre chiusa a chiave. 
  - Mio fratello potrebbe essere prigioniero in quella cantina. 
  - Credo proprio di sì. Pourdon lascia poco
  la casa e chiude con cura tutto, anche se si allontana solo per mezz’ora. Ho
  approfittato di una sua assenza per avvicinarmi, ma non potevo forzare una
  porta o una finestra senza lasciare segni e mettere così in sospetto Pourdon, con le conseguenze che possiamo immaginare. La
  cantina ha una finestrella, ma è sbarrata e chiusa con un’anta di legno. Ho
  cercato di guardare dentro e c’era qualcuno che si muoveva. Avrebbe anche
  potuto essere un animale, ma non credo che lo fosse e di sicuro nessuna
  bestia potrebbe entrare da quell’apertura. Ho pensato di chiamare, per vedere
  se mi rispondevano, ma ho preferito non farlo.  
  - Ha fatto benissimo. Non possiamo correre rischi. 
  Paul si fa dare tutti i dettagli, in particolare sulla posizione
  della casa. Poi congeda l’investigatore. 
  Marveau non ha detto niente. Paul lo
  guarda. Poi dice: 
  - Bisogna allontanare Pourdon per alcune
  ore, entrare in casa forzando la porta e poi scendere in cantina. È disposto
  ad aiutarmi ancora? 
  - Preferisce non rivolgersi alla polizia, vero? 
  - No. Non so che cosa Pourdon abbia fatto
  a Jules, non so in che condizioni possa essere, posto che sia ancora vivo.
  Prima di dare pubblicità alla faccenda, di finire su tutti i giornali…  
  Paul rabbrividisce all’idea di ciò che potrebbe emergere. Ma la
  salvezza di Jules, se davvero è vivo, è l’unica cosa che conta. Al resto
  penseranno dopo. Se non gli rimarrà altra soluzione che tirarsi un colpo, lo
  farà. Purché Jules sia vivo. 
  Paul conclude: 
  - Dovremo farlo, lo so. 
  - Non necessariamente. 
  Paul guarda Marveau.  
  - Che cosa intende dire? 
  - Vedremo. Se davvero Pourdon ha rapito
  suo fratello e l’ha tenuto prigioniero… per lui è meglio uccidersi. 
  Paul guarda Marveau. Quello che dice è
  sensato, sarebbe l’unico modo per evitare un processo e la prigione, ma non è
  detto che Pourdon lo faccia.  
  Marveau aggiunge: 
  - L’aiuto volentieri. Come le ho detto, ero affezionato a Jules e
  l’idea che sia nelle mani di Pourdon mi fa orrore. 
  Marveau sembra sul punto di dire altro, ma
  si ferma. 
  - Allora dobbiamo organizzare il tutto. 
  - Sì, l’essenziale è tenere Pourdon fuori
  casa per due ore. Dovremo avere entrambi un’arma e il necessario per
  scassinare la porta di casa e quella della cantina. 
  Insieme definiscono tutti i dettagli. Per allontanare Pourdon faranno ricorso all’investigatore. Quando Marveau se ne va, Paul parla con i suoi genitori. Dirgli
  che probabilmente Jules è ancora vivo lo spaventa: se poi invece risultasse
  che Jules è morto, per entrambi sarebbe un colpo terribile. Ma deve in
  qualche modo prepararli.  
  Riferisce quanto ha detto l’investigatore. Alla fine aggiunge: 
  - Se davvero è stato prigioniero per tutti questi mesi, non so in
  che condizioni sia. 
  Sua madre fissa Paul. 
  - L’importante è che sia vivo, che... 
  Charles Larivière annuisce. 
  - Se è vivo, se non ha subito danni irreparabili, si rimetterà. È
  sopravvissuto a quattro anni di guerra. 
  Paul si chiede che cosa può aver significato l’incubo di mesi di prigionia
  nelle mani di Pourdon dopo quattro anni di guerra,
  ma sono pensieri oziosi. Adesso quello che conta è liberarlo, se davvero è
  prigioniero di Pourdon. Ma di questo ormai Paul è
  sicuro.  
  Paul organizza tutto, senza perdere tempo: non sopporta l’idea che
  la prigionia di Jules si prolunghi. Incontra ancora Marveau,
  per definire i dettagli, e due giorni dopo, all’alba, partono per Crécy: è venerdì, giorno in cui la signora che si occupa
  dei lavori di casa non presta servizio. 
  Crécy-la Chapelle
  non è molto lontana da Parigi. La casa di campagna dei Pourdon
  è una villetta isolata, a forse due chilometri dal paese. L’edificio ha due
  piani e lungo il piano superiore corre una balconata su cui si aprono diverse
  porte-finestre. Davanti e dietro c’è un ampio giardino. Sotto una tettoia è
  parcheggiata l’automobile di Pourdon. 
  Paul lascia l’auto in un posto non visibile dalla villetta, a circa
  trecento metri. Con Balthasar raggiunge un posto da
  cui possono vedere, nascosti tra gli alberi, l’edificio. Mezz’ora dopo arriva
  l’auto dell’investigatore. Come concordato, l’uomo scende, bussa alla porta,
  consegna un foglio e intavola una breve conversazione con Pourdon.
  Il sergente appare irritato. L’investigatore se ne va. 
  Un quarto d’ora dopo, Pourdon esce dalla
  casa, sale in auto e si allontana.  
    
  Paul e Balthasar aspettano dieci minuti:
  non vogliono correre il rischio che Pourdon rientri
  perché l’automobile si è guastata o perché si è accorto di aver dimenticato
  qualche cosa. Poi raggiungono la casa. 
  Forzare la porta si rivela più difficile del previsto: sono un
  medico e un infermiere e non hanno esperienza di scasso. Paul si
  innervosisce. Non possono correre il rischio che Pourdon
  rientri e li sorprenda. 
  Infine la porta cede. Paul e Balthasar
  scendono la scala che conduce in cantina. Anche in questo caso ci vuole un
  buon momento prima che riescano a far saltare la serratura. Quando infine ci
  riescono, Paul spinge la porta. 
  Nella penombra del locale, possono vedere, seduto su un
  pagliericcio, le mani legate e un bavaglio sulla bocca, Jules Larivière.    
  Paul si avvicina, si china, toglie il bavaglio. 
  - Paul! Balthasar! 
  Paul abbraccia il fratello, poi si stacca e lo guarda.  
  - Stai bene? Non ti ha… 
  Paul non sa come continuare.  
  Jules annuisce, senza parlare. Di colpo incomincia a piangere. Paul
  lo abbraccia. 
  È la voce di Balthasar a riscuoterli. 
  - Facciamo in fretta. 
  Paul ha un coltello. Inizia a tagliare le corde che bloccano
  Jules.   
  Quando ha finito, sente dei passi lungo le scale. Prima che Paul
  abbia il tempo di tirar fuori l’arma, Adolphe Pourdon è sulla porta, una pistola in mano. 
  Quando vede Paul, ghigna. 
  - Quando ho visto che la porta era stata forzata, ho pensato che
  potessi essere tu. Sei stato un coglione: ti sei infilato da solo nella tana
  del lupo. Mi hai fatto un favore. Lascia quel coltello e alza le mani. 
  Paul obbedisce. Si è accorto che Balthasar
  si è nascosto dietro la porta e Pourdon non l’ha
  visto. 
  - Creperete tutti e due, bastardi. Ma prima… 
  Pourdon non completa la frase. Balthasar ha fatto due passi avanti e con il calcio della
  pistola ha colpito Pourdon alla nuca. Un colpo
  molto violento. Pourdon si accascia senza un
  gemito. Balthasar raccoglie la pistola di Pourdon e se la mette in tasca. 
  Jules fa fatica a stare in piedi. Balthasar
  dice: 
  - Vada a prendere l’auto. Io rimango qui. Poi lo fa salire, mentre
  io controllo che questo bastardo non si muova. 
  Quando Paul torna, accompagna Jules per le scale. Balthasar aspetta un momento, per dare ai due fratelli il
  tempo di raggiungere l’auto, poi risale le scale. 
  Di ciò che sta per fare non ha parlato a Paul Larivière,
  ma ha deciso di farlo per lui: vuole evitare che Pourdon
  racconti cose che metterebbero in difficoltà Paul e la sua famiglia. 
  Balthasar prende dalla tasca il biglietto
  che ha scritto prima di partire e lo lascia su un tavolo, posandoci sopra la
  pistola di Pourdon. Spera che l’idea che ha avuto
  funzioni.  
  Fuori Paul e Jules lo aspettano, già in macchina. Balthasar prende il coltello e taglia le gomme dell’auto
  di Pourdon. Poi sale e partono. 
    
  Quando Pourdon si risveglia, si alza. Vede
  che non c’è più nessuno. Cerca la pistola, ma non la trova. Sale le scale di
  corsa. Quanto tempo è passato? Quanto è rimasto privo di sensi? Saranno già
  lontano? 
  La sua pistola è sul tavolo, sopra un foglio. Pourdon
  prende l’arma e legge. C’è scritto solo: Domani
  sarai denunciato. C’è un solo modo per evitare l’infamia. 
  Pourdon digrigna i denti. Esce di casa e
  si guarda intorno. Non c’è traccia dei quei bastardi. Sono lontano, ormai. Ma
  li raggiungerà a Parigi, li raggiungerà e li ucciderà. Di certo staranno in
  guardia, ma in qualche modo farà. 
  Pourdon corre all’auto. Vede le gomme
  tagliate. Rimane immobile a fissarle, poi guarda il cielo. Il sole sta già
  abbassandosi. Deve essere rimasto privo di sensi almeno un’ora, forse di più.
  China la testa. 
  Rientra in casa. Guarda il biglietto. Lo prende con la sinistra, lo
  appallottola, lo getta a terra. Sa benissimo che non c’è altra via.  
  Fissa la pistola che stringe ancora in mano. Va alla scrivania. Si
  siede. Guarda nel vuoto. 
  Spararsi è dargliela vinta. Ma non riuscirà ad ammazzarli. Lo
  aspettano il disonore e la prigione.  
  Si infila la canna della pistola in bocca, poi la toglie. Rimane a
  lungo immobile, poi con un movimento brusco si punta l’arma alla tempia e spara. 
    
  Nel viaggio verso Parigi, Paul cerca di capire le condizioni di
  Jules, che è seduto di fianco a lui. Paul avrebbe preferito che fosse Marveau a guidare, per poter parlare liberamente con il
  fratello, ma Marveau non è in grado di farlo: non
  ha mai posseduto un’automobile. Paul ha preferito non farsi accompagnare
  dall’autista di famiglia: è meglio che nessun altro sappia. 
  Jules è chiaramente sconvolto. All’inizio non riesce a parlare, poi
  incomincia a raccontare, in modo confuso e disordinato. Sembra che Pourdon lo abbia tenuto prigioniero dicendo che voleva
  vendicarsi dei Larivière, senza raccontare niente
  di preciso. Lo ha umiliato e maltrattato, ma Jules non dice di essere stato
  violentato o torturato. Paul si sente sollevato: temeva che Pourdon potesse aver stuprato Jules per vendicarsi, anche
  se nel loro rapporto il sergente ha sempre preferito un ruolo passivo.  
  Marveau tace. Si limita a dire, quando
  Jules ripete che Pourdon parlava di vendicarsi: 
  - Dopo l’azione in cui rischiò di essere ucciso, era andato fuori di
  testa. Aveva bisogno di un bersaglio e ha scelto voi. I Larivière,
  una famiglia di banchieri, vicini al governo. 
  Paul sa che le cose non stanno così, ma non dice nulla. È grato a Marveau per aver dato una spiegazione che non lo
  coinvolge direttamente. 
  Jules chiede: 
  - Non cercherà di seguirci? Non… 
  Marveau risponde: 
  - Conoscendolo, probabilmente deciderà di uccidersi, Jules. E
  sarebbe la cosa migliore per te. Non dovrai raccontare della tua prigionia.
  Potrai inventarti di aver perso la memoria. 
  Paul annuisce. 
  - Sì, sarebbe la cosa migliore. 
  Anche Jules annuisce. 
  La sera stessa della liberazione di Jules, un uomo inviato
  dall’investigatore scopre il cadavere del sergente. La notizia del suicidio
  di Pourdon è per Paul la fine di un incubo. Non c’è
  rischio che salti fuori il vero motivo per cui Pourdon
  ha rapito Jules. Nessuno lo sa, a parte Marveau, e
  sul suo silenzio Paul sa di poter contare. 
    
  I giorni che seguono sono frenetici. È Paul a occuparsi di tutto e
  le cose da fare sono tante: Jules risulta morto e ci sono le formalità
  burocratiche da espletare. Ci sono i giornalisti con cui parlare, difendendo
  Jules, la moglie e i suoi genitori. La versione ufficiale è che Jules si è
  risvegliato in campagna, senza ricordare nulla degli ultimi mesi: ha perso la
  memoria del periodo successivo alla fine della guerra.  
  Jules non è un soldato come tanti: è il figlio di uno dei grandi
  banchieri di Francia e tutti vorrebbero sapere dove Jules ha trascorso questi
  mesi. Il caso ha un’enorme risonanza. Molti giornali sguinzagliano i loro
  cronisti ed emergono diverse storie. Qualcuno assicura che Jules è vissuto
  nei boschi della Savoia, dove è stato più volte avvistato dai pastori: è
  sopravvissuto rubando nelle case qualche cosa da mangiare. Un medico
  garantisce che è un paziente fuggito dal manicomio di Auxerre, in cui era
  rinchiuso dalla fine della guerra perché aveva perso la memoria. A Blois
  molti sono pronti a giurare che Jules mendicava per le vie della città.
  Qualcuno insinua che abbia fatto parte di una banda che svuotava le case
  isolate nelle Ardenne. Tutti lo hanno visto, riconosciuto, sono sicuri che si
  tratti di lui e i giornali si riempiono di ipotesi. In ogni caso Jules Larivière è un soldato che ha combattuto quattro anni in
  difesa della Francia ed è stato anche ferito: perfino i giornalisti ostili al
  governo non insistono sui dettagli meno lusinghieri delle diverse versioni. 
  I Larivière non chiedono di meglio: nella
  massa di storie contrastanti, della verità non c’è traccia. L’unico che
  avrebbe potuto raccontarla è morto. 
  In Jules una traccia è rimasta, profonda, anche se il ritorno in
  famiglia e la nascita del figlio gli restituiscono progressivamente la
  serenità. Paul qualche volta parla con lui della prigionia, ma si rende conto
  in fretta che Jules sta cancellando quel periodo dalla sua mente. L’amnesia
  di cui è rimasto ufficialmente vittima diventa quasi una realtà: ciò che è
  successo assume contorni sempre più vaghi. Jules evita di parlarne. Racconta
  della guerra, fa progetti per il futuro, ma su quei mesi non dice nulla. Il
  medico che lo assiste dice che è meglio così. 
  Nelle settimane seguenti, tra il lavoro e tutto ciò di cui deve
  occuparsi, Paul non ha un minuto libero. Ma il pensiero di Paul va spesso a Balthasar. Non l’ha più visto, in ospedale non ha avuto
  modo di incontrarlo. Più volte ha avuto la tentazione, a fine turno, di
  andarlo a cercare, ma c’erano sempre affari urgenti da sbrigare, impegni per
  cui doveva ritornare a casa o recarsi in qualche ufficio o a colloquio con
  qualcuno. E poi c’è la vita mondana: Jules deve reinserirsi nella società e
  Paul è sempre al suo fianco, per proteggerlo. Nei primi tempi Jules ha
  bisogno di avere accanto il fratello. Solo lentamente recupera la sicurezza
  di un tempo e si muove con la moglie, senza bisogno di Paul.  
    
  Un mese e mezzo è passato e Paul non ha più visto Balthasar Marveau. Paul si dice
  che stanno tutti facendo una pessima figura nei suoi confronti, a parte sua
  madre, che gli ha scritto una lettera, con la sensibilità che la
  contraddistingue. Da parte loro non c’è stato altro. Paul non cerca Marveau neanche ora che ha più tempo. Anche se vorrebbe
  rivederlo, si sta tenendo lontano da lui. Ha paura di soffrire. Soffre già
  abbastanza. È meglio non cercarlo.  
  Ripensa spesso alle poche volte che si sono parlati, rivede le
  espressioni di Marveau, i gesti, ne ricorda le
  parole. Il pensiero di Balthasar Marveau sta diventando un’ossessione. Ci sono momenti in
  cui Paul si sente assalire dalla disperazione. 
  Una sera Charles Larivière dice al figlio: 
  - Paul, dobbiamo in qualche modo ricompensare Marveau. 
  Paul sa benissimo che cosa ha in mente suo padre. 
  - Credo che fargli accettare del denaro sia impossibile.  
  - Sì, lo capisco, ma quell’uomo ha salvato due volte Jules. E la
  seconda volta anche te. 
  Paul ha raccontato ai genitori ciò che è successo durante la
  liberazione di Jules. 
  - Bisogna che tu lo convinca ad accettare una somma consistente.
  Direi sotto forma di un appartamento e di una rendita. 
  Paul scuote la testa. 
  - L’hai visto, sai com’è. Non c’è modo. 
  - Non posso pensare che quell’uomo a cui devo così tanto viva nella
  miseria. 
  - Proverò a parlargli. Tieni conto che comunque adesso ha ripreso a
  lavorare come infermiere. 
  - So quel che sono pagati gli infermieri. No, lo farò, di sicuro. Ci
  sono tanti modi. 
  Paul sa che è inutile parlare con Marveau:
  non lo convincerà mai, come non riuscirà mai a far cambiare idea a suo padre,
  che troverà modo di fare ciò che ha in mente.  
  Ma le parole del padre hanno reso il bisogno di rivedere Marveau più forte della paura. Paul non riesce più a
  reggere. 
    
  Paul si informa degli orari di Marveau,
  poi lo aspetta a fine turno all’ingresso del reparto. Mentre attende si rende
  conto di stare male, un disagio che cresce a ogni minuto. Vorrebbe andarsene.
  Non se la sente di vedere Marveau. Ma mentre pensa
  di allontanarsi, Marveau compare. Paul cerca di
  sorridere.  
  - Buongiorno, signor Marveau, la
  aspettavo. 
  - Buongiorno, signor Larivière. 
  Il tono di Marveau è cortese, ma a Paul sembra
  di avvertire una distanza. 
  Paul sorride e chiede; 
  - Posso invitarla a cena? 
  Marveau sorride. C’è una punta di amarezza
  in quel sorriso? Paul si chiede se non sta immaginandosi ciò che non è. 
  - È la seconda volta che mi invita a cena. A casa sua? Ho ripreso a
  lavorare, ma non mi sono comprato un altro abito. 
  Sì, c’è amarezza, molta. Che cosa ha pensato Marveau?
  Che i Larivière si sono serviti di lui per ottenere
  ciò che volevano e che dopo hanno dimenticato la sua stessa esistenza? Ha
  avuto tutte le ragioni per pensarlo, sono passate molte settimane e c’è stata
  solo la lettera della madre di Paul. 
  - No, al ristorante, in un ristorante qualunque, purché ci sia un
  angolo tranquillo dove possiamo stare in pace. Vorrei parlarle con calma, io
  e lei da soli. Purtroppo in quest’ultimo mese sono sempre stato indaffarato:
  tra il ritorno di Jules e tutte le pratiche da sbrigare e la nascita del
  bambino, in famiglia è stato... forse può immaginarlo. 
  - Sì, lo posso capire. 
  - Allora è disponibile? 
  Marveau annuisce. Paul si rende conto che
  avrebbe preferito un rifiuto. È agitato e si sente infelice, un’infelicità
  che lo sommerge. Vorrebbe solo andarsene, andarsene e non rivedere più
  quest’uomo che rimane silenzioso al suo fianco. Durante il tragitto scambiano
  appena poche parole. Paul si dice che avrebbe dovuto dire di no a suo padre.  
  Paul sceglie un ristorante senza grandi pretese, ma tranquillo. 
  E mentre si siedono, Paul è sicuro che non troverà mai un modo per
  proporre a quest’uomo una somma di denaro. E che non gliene importa nulla. È
  altro ciò che vorrebbe, ciò che potrebbe trasformare la sua sofferenza in
  gioia. 
  Paul dice: 
  - Voglio ringraziarla ancora. Jules è vivo grazie a lei e siamo
  riusciti a nascondere ciò che è successo. 
  - Sì, ho letto sul giornale. Perdita di memoria, shock. Mi sembra
  che sia stata la cosa migliore: ci sono stati diversi casi di soldati che
  sono rimasti feriti e hanno dimenticato chi erano.  
  - Sa anche del suicidio di Pourdon, vero?  
  - Naturalmente. Jules sta bene, ora? 
  - Jules si sta riprendendo. Ha chiesto più volte di lei, ma il
  dottore ha consigliato di tenerlo lontano per un po’ di tempo da tutto ciò
  che può ricordargli il periodo trascorso. 
  - Capisco. 
  C’è un momento di silenzio. Paul guarda negli occhi Marveau e si rende conto di stare sempre peggio. 
  - Signor Marveau, la prego di credere che
  non siamo degli ingrati. Abbiamo con lei un debito enorme. Mio padre vorrebbe
  dimostrare la sua riconoscenza in un modo che lei non apprezzerebbe.  
  Marveau sorride 
  - No, è vero, non apprezzerei. Lasci perdere l’argomento. 
  - Io posso lasciarlo perdere, mio padre no. Tornerà alla carica e le
  dico subito che sa come ottenere ciò che vuole. Temo che si ritroverà
  intestatario di un appartamento e in possesso di una rendita senza aver modo
  di impedirlo. Mio padre è peggio di un carro armato tedesco, quando ci si
  mette. 
  Marveau sorride.  
  - Non credo che sia possibile farlo contro la mia volontà. 
  - Temo che a mio padre sarà possibile. Quando si mette in testa una
  cosa… 
  Marveau scuote la testa. Paul riprende: 
  - Jules, come le ho detto, vorrebbe vederla. Da quando lo salvò in
  combattimento, per Jules lei è diventato un angelo custode e la sua
  liberazione non poteva che confermare questa sensazione. 
  Marveau annuisce.  
  - Quando il dottore lo riterrà possibile, vedrò molto volentieri
  Jules. 
  C’è un momento di silenzio. Marveau fissa
  Paul senza dire nulla. 
  - E io… mi sono appoggiato molto a lei e ho trovato in lei una
  disponibilità… 
  - Mi ha permesso di recuperare il lavoro. E le assicuro che per me è
  moltissimo. 
  - Il lavoro che aveva perso per causa nostra, di fatto. 
  Marveau alza le spalle. Di nuovo tace,
  guardando Paul.  
  Paul deglutisce. Potrebbe finire così. Potrebbero mangiare
  tranquillamente, chiacchierando dell’ospedale, del lavoro, del più e del meno
  e poi lasciarsi e non rivedersi più. Se non magari quando Balthasar
  verrà a trovare Jules. E l’idea è lancinante. 
  Paul sa che deve parlare, ma non è facile. Ha paura e preferisce
  procedere a piccoli passi. Sorride e chiede: 
  - Perché si chiama Balthasar? Voglio dire,
  è un nome insolito. 
  - Era il nome di mio nonno. Mia madre è olandese. Era molto
  affezionata a suo padre, che morì presto. 
  - È un bel nome. 
  Balthasar sorride e alza le spalle. 
  - Molti lo trovano buffo. 
  - Posso chiamarla Balthasar?  
  - Come vuole. 
  - Possiamo darci del tu? Mi è più facile, così. 
  Balthasar non chiede che cosa è più
  facile. Si limita a dire: 
  - Per me va bene, Paul. 
  Balthasar non sorride più. Fissa Paul,
  attento. 
  Paul riprende: 
  - Tu hai capito benissimo perché Pourdon
  voleva vendicarsi di me. 
  - Conoscendo i gusti di Pourdon, mi sono
  fatto un’idea, ma non sono affari miei. 
  - Credo che tu abbia capito. Se non ti spiace, vorrei raccontartelo,
  Balthasar. 
  - Ti ascolto volentieri, Paul. 
  Paul sorride, poi, dopo un momento di silenzio, inizia a raccontare: 
  - Conobbi Pourdon casualmente, due anni
  fa. Lo incontrai alla Chaumière,
  un locale frequentato da artisti, ma anche da… gente come Pourdon.
  E come me. 
  Balthasar non dice nulla, si limita ad
  annuire. 
  - Jules ha sempre amato questi locali, anche se non gli interessano
  gli uomini. Gli piaceva l’atmosfera particolare, la gente che li frequentava.
  Ci andavamo ogni tanto insieme. Io e Jules siamo stati sempre molto legati,
  nonostante la differenza di età. Jules era in licenza e passava quei pochi
  giorni in casa, con la moglie e noi tutti, ma una sera mia cognata era molto
  stanca e si coricò subito dopo cena. Jules aveva voglia di uscire, per cui mi
  chiese di accompagnarlo alla Chaumière. Ci andammo. Era ancora presto per un locale di
  quel tipo, ma c’erano già diversi clienti. 
  Paul si ferma. Guarda Balthasar, che lo
  ascolta attento e concentrato. Prosegue: 
  - Incontrammo Pourdon, anche lui in
  licenza. Lui e Jules si conoscevano di vista, non erano nello stesso reparto,
  allora. Così Jules me lo fece conoscere. Era un bell’uomo, ma questo non devo
  dirglielo, lo ha conosciuto... 
  Paul si ferma. Balthasar potrebbe pensare
  che lui stia insinuando… Balthasar sembra capire il
  dubbio di Paul, perché risponde: 
  - Sì, è stato il mio sergente abbastanza a lungo. Non ho mai avuto rapporti
  con lui. Anche prima, prima dell’episodio che provocò un cambiamento in lui,
  c’era qualche cosa in lui che non apprezzavo. 
  Paul valuta le parole che ha usato Balthasar.
  Non ha mai avuto rapporti con Pourdon perché non
  apprezzava qualche cosa in lui, non perché non gli interessino gli uomini.
  Paul si rende conto che il cuore gli batte più in fretta. Riprende a parlare,
  cercando di celare il suo turbamento. 
  - Quella sera… Pourdon mi fissava. Ogni
  volta che giravo la testa nella direzione in cui si trovava, i nostri sguardi
  si incrociavano. Quando Jules disse che aveva voglia di tornare a casa, lo
  riaccompagnai e, senza dirgli niente, tornai alla Chaumière. Pourdon
  non si stupì vedendomi tornare. Mi venne incontro. 
  Paul è a disagio, ora. Tace. Balthasar
  osserva: 
  - Non sei tenuto a raccontarmi nient’altro. Posso intuire il
  seguito. 
  Paul fissa Balthasar negli occhi. 
  - Voglio dirtelo, Balthasar. 
  Balthasar annuisce. 
  - Pourdon rimaneva solo dieci giorni. Ci
  incontrammo ogni giorno, ma conoscendolo meglio, mi resi conto che dietro la
  grande bellezza fisica c’era una personalità che non mi piaceva: vedute
  limitate, molto egoismo, meschinità. Non me ne preoccupai: tanto sarebbe
  partito. E poi… mi vergogno a dirlo, ma in quel momento mi interessava
  soprattutto… 
  Paul è in imbarazzo, ma si fa forza e prosegue: 
  - …soprattutto quello che facevamo a letto. Lui partì e per me la
  storia era chiusa. Ma quando tornò in una licenza successiva, diversi mesi
  dopo, si fece vivo. Io lo avevo praticamente dimenticato. Ci furono alcuni
  momenti molto spiacevoli, minacce velate. Rimase poco e per me fu un sollievo
  quando partì. 
  Paul si passa una mano sulla fronte. 
  - Poi tornò ancora e io ebbi la certezza che avesse… come hai detto?
  Problemi di squilibrio mentale. Sì. Ero seriamente preoccupato. Al mio
  rifiuto di riprendere i rapporti giurò di vendicarsi e se ne andò. Non avrei
  mai pensato che potesse vendicarsi su Jules. 
  - Già, nel frattempo lui era diventato il nostro sergente. 
  - Questo è tutto, Balthasar. 
  Balthasar sorride, un sorriso appena
  accennato, in cui forse c’è un pizzico di ironia. 
  - Tutto? 
  Paul ha l’impressione che gli manchi il fiato. Cerca di sorridere. 
  - No, non è tutto. Manca la cosa più importante. Balthasar,
  hai capito, vero? 
  Balthasar lo guarda negli occhi. 
  - Credo di sì, ma ho bisogno che tu me lo dica, Paul. 
  Paul annuisce. Respira a fondo e dice, nascondendo dietro un sorriso
  la sua agitazione: 
  - Ti amo, Balthasar.  
  Balthasar gli prende la mano e gliela
  stringe. 
  - Anch’io ti amo, Paul. 
    
  2017 
   
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