Caduto al fronte

 

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Charles Larivière guarda nel vuoto. Gli capita spesso di rimanere a lungo così. Al lavoro è ancora l’uomo energico di sempre, in grado di affrontare situazioni difficili, valutando tutti gli elementi e prendendo la decisione giusta, ma quando è a casa ci sono momenti in cui si perde completamente.

Paul lo guarda. È preoccupato per suo padre. Spera che la nascita del nipotino lo scuota. La morte di Jules, durante l’ultima azione compiuta, sembra una tragica beffa. Jules è sopravvissuto a quattro anni di guerra, per poi morire alla vigilia dell’armistizio.

Charles gira la testa e guarda Paul.

- Paul…

- Dimmi.

- Vorrei parlare con quel Marveau, l’uomo che aveva salvato Jules.

Jules era stato ferito in un’azione e salvato da un commilitone, alcuni mesi prima della fine della guerra.

- Va bene. Lo cercherò. Che facciamo? Lo invitiamo a cena?

- Sì, direi che è la cosa migliore. Una cena solo per noi. Non dire nulla a Hélène. E neanche a tua madre. Non voglio che l’incontro le turbi. Inventeremo qualche scusa.

- Pensi di invitarlo al ristorante?

- No, voglio parlargli con tranquillità, qui a casa. Diremo che si tratta di un colloquio d’affari.

Talvolta succede che Charles Larivière inviti un ospite a casa per una cena di lavoro. È un modo per parlare al riparo da orecchie e occhi indiscreti: Charles è un banchiere, uno dei più importanti di Parigi, e ci sono situazioni in cui ha bisogno di avere un colloquio con qualcuno senza che nessun altro lo sappia. In questi casi la moglie, la nuora e di solito anche Paul, che è medico e non si occupa degli affari della banca, mangiano separatamente.

 

Il giorno dopo Paul, dopo aver finito di lavorare, si mette alla ricerca del commilitone di Jules. Non è facile trovare Balthasar Marveau, nonostante la posizione e le conoscenze dei Larivière, che aprono loro tutte le porte. Paul non riesce a scoprire il suo attuale indirizzo e infine decide di rivolgersi a un investigatore. Costui rintraccia diversi commilitoni di Jules, ma nessuno di loro sembra sapere dove abiti Marveau. Solo dopo una settimana l’incaricato riesce a scoprire l’indirizzo: una via all’estrema periferia meridionale di Parigi, in un quartiere popolare.

Paul si reca di persona all’abitazione di Marveau. Sa che si tratta di una zona molto povera, ma la via appare ancora più squallida delle altre: una successione di case basse e fatiscenti, che non devono essere mai state decenti neppure quando erano nuove; qualche orto circondato da uno steccato cadente; passaggi bui tra un’abitazione e l’altra; piccoli cortili.

La casa dove abita Marveau è una delle ultime. Ha un vasto spazio davanti, ingombro di oggetti in disuso di ogni tipo: poltrone sfondate, biciclette prive di una ruota, tavoli con gambe rotte, mobili privi di ante. Il proprietario dev’essere un rigattiere. O forse lo è stato, perché tutto sembra abbandonato, consumato dalla pioggia e ricoperto di polvere e sporcizia. Non si vede nessuno. Paul bussa al vetro sudicio di una porta.

Una donna apre l’uscio e lo guarda diffidente, senza salutare. Di certo si chiede che cosa vuole questo signore elegante e chiaramente facoltoso.

- Buongiorno, signora. Cerco il signor Balthasar Marveau.

La donna lo squadra ancora un momento, poi dice:

- In fondo al cortile dietro la casa, al primo piano.

Con la testa indica la direzione.

Paul aggira l’edificio e passa in un secondo cortile, oltre il quale si vede una piccola casetta. Il terreno è ingombro di rifiuti, cianfrusaglie che formano montagnole informi.

Paul si chiede come si possa vivere in queste condizioni. Non è solo la miseria: è il degrado di chi si abbandona completamente.

La casetta al fondo è poco più di un rudere. Al piano terra c’è una stanza che doveva servire come magazzino. La porta è stata sfondata e l’unica finestra non ha vetri. All’interno una catasta di immondizia ricopre interamente il pavimento. All’interno una scala di legno conduce al piano superiore. È stretta e manca un gradino. Paul arriva di fronte alla porta. Bussa. La porta si apre: non era chiusa a chiave, forse non esiste nemmeno una chiave.

Paul attende un momento, poi bussa di nuovo. La porta si apre un po’ di più. Paul dice:

- È permesso?

Nessuna risposta. Paul entra. La stanza è vuota. Una stanza spoglia, in cui ci sono solo un pagliericcio, un tavolo, una sedia e un armadio senza un’anta. Ma la stanza è pulita e ordinata. C’è la stessa estrema povertà della casa e del cortile, ma l’atmosfera è del tutto diversa.

Paul si guarda intorno. Non dice nulla: nella stanza non c’è nessuno e non ci sono altri locali.

Mentre si sta chiedendo che cosa fare, sente dei passi sulla scala.

Un uomo appare sulla porta e lo guarda perplesso: è evidentemente sorpreso di trovare qualcuno. È alto e robusto, con un viso dai lineamenti squadrati, capelli corti, barba e baffi castani, molto fitti, e occhi di un marrone scuro. Non è bello, ma trasmette un’impressione di forza e di virilità. Un tipo di uomo che a Paul piace molto. I vestiti che indossa sono logori, ma puliti.

Paul dice:

- Buongiorno. Mi scusi se sono entrato, ma ho bussato e la porta si è aperta.

- Ero sceso un momento. Mi dica, che cosa desidera?

Paul sorride, cercando di celare il suo disagio, e dice:

- Mi chiamo Paul Larivière. Sono il fratello di Jules. Lei è il signor Balthasar Marveau?

L’uomo si è teso. Lo guarda in modo inespressivo e risponde:

- Sì.

- Mio padre vorrebbe parlare con lei. Mi ha incaricato di invitarla a cena.

Balthasar sorride, un sorriso ironico che sconcerta Paul: non gli sembra di aver detto niente che possa suscitare scherno o disapprovazione.  

- A cena?

Balthasar prosegue, senza più sorridere:

- Signor Larivière, questo è il mio unico abito. A cena dai Larivière così? So che non ci sarebbero altri ospiti, ma non intendo certo presentarmi in questo modo e non ho i mezzi per vestirmi in modo decente.

Paul è disorientato dalla franchezza dell’uomo.

Balthasar aggiunge:

- Se suo padre ha piacere di parlarmi, posso recarmi da lui prima di cena o dopo, ma preferisco evitare una situazione che umilierebbe me e metterebbe in imbarazzo voi.

Paul non insiste. L’uomo ha ragione.

- Come preferisce. Direi dopo cena. Può venire da noi domani alle nove?

- Sì, certamente. Mi dia l’indirizzo.

Paul fornisce l’indirizzo, leggermente a disagio: è naturalmente un quartiere elegante, ma non potrebbe essere altrimenti per i Larivière. Ringrazia l’uomo per la disponibilità ed esce.

Appena arriva a casa, Paul raggiunge suo padre nel suo studio.

- Allora?

- L’indirizzo era giusto. Vive… non ho mai visto un posto così squallido, un edificio cadente in una specie di discarica. Gli ho parlato. Non deve avere un lavoro fisso, ma sembra una persona per bene. Verrà domani sera, ma non per cena.

Suo padre aggrotta la fronte.

- Come mai?

- Non vuole. Non ha un abito decente. Dice che si sentirebbe fuori posto. Non ho potuto dargli torto.

- Non ci avremmo badato.

- Noi no, lui sì.

Charles alza le spalle.

- In certe condizioni, l’orgoglio è fuori posto.

Paul riflette un momento. Marveau non gli è apparso orgoglioso.

- Non è orgoglio. Potrei dire che è dignità.

 

L’indomani Balthasar Marveau si presenta a casa dei Larivière all’ora fissata. Paul era sicuro che sarebbe arrivato puntuale, anche se non saprebbe spiegare perché. Dopo i saluti si siedono in un salottino adiacente allo studio di Charles.

Charles guarda l’uomo che ha salvato suo figlio. Quest’uomo forte è seduto in modo composto, né eccessivamente rilassato, né teso. Sembra a suo agio, anche se forse… Charles ha l’impressione che ci sia in lui una certa diffidenza. L’abito è in pessime condizioni e le scarpe sono ridotte ancora peggio, ma tutto è pulito. Istintivamente Charles prova simpatia per quest’uomo.

C’è un momento di silenzio. Charles si è perso nei suoi pensieri. Si dice che forse, se Marveau fosse stato a fianco di Jules nell’ultima azione, avrebbe potuto salvarlo una seconda volta. Ma, stando a quanto Marveau ha raccontato nella lettera con cui gli comunicava la morte di Jules, era oltre un avvallamento del terreno e non ha potuto fare niente per lui. Così Jules è morto in quell’ultima maledetta azione.

Charles sente su di sé lo sguardo di Paul. Si riscuote e dice:

- Signor Marveau, in questi ultimi mesi ho pensato spesso a lei.

Marveau non dice nulla. Attende, tranquillo, che Charles prosegua.

Charles ha una domanda, ma non vuole porla ora. Non se la sente. Lo farà dopo. Dice:

- Vorrei che mi parlasse di Jules, della sua vita di soldato negli ultimi mesi di guerra.

Marveau sembra stupito della domanda. Paul non capisce la sua perplessità: è naturale che un uomo che ha perso un figlio voglia conoscere l’ultimo periodo della sua vita e a chi altri chiedere, se non a chi è vissuto al suo fianco?

Marveau inizia a raccontare, ma è evidente che adesso è a disagio. Due volte si interrompe, come se volesse chiedere qualche cosa, come se gli sembrasse che le sue parole non avessero senso. Poi riprende.

Parla soprattutto dell’ultimo periodo, dopo che Jules era tornato dalla convalescenza. Dalle lettere di Jules, Paul sa che il fratello si era avvicinato molto a Marveau in quei mesi. Anche dalle parole dell’uomo è evidente che erano diventati amici, anche se Marveau non lo dice mai esplicitamente. Paul nota che l’uomo è ancora in imbarazzo, come se qualche cosa nella situazione non lo convincesse.

Suo padre pone le domande e Paul non partecipa. Si limita ad ascoltare Marveau. Gli piace il modo in cui Marveau racconta. È evidente che è un uomo istruito. Paul si chiede come mai si sia ridotto a vivere in quella discarica. Non deve aver trovato lavoro al ritorno dal fronte e con ogni probabilità non ha una famiglia su cui contare. Paul vorrebbe anche chiedergli che lavoro faceva, ma non vuole deviare la conversazione: suo padre segue con estrema attenzione ogni parola di Marveau. Paul si dice che gli porrà qualche domanda dopo, quando Marveau si congederà e lui lo riaccompagnerà alla porta. Potrebbero trovargli un lavoro. Grazie alle conoscenze di suo padre, non sarebbe certo difficile, qualsiasi cosa sappia fare Marveau. Anche se non sapesse fare niente, ma Marveau non sembra un buono a nulla.

Dopo un silenzio, Charles trova la forza per porre l’ultima domanda, quella che più gli preme:

- Vorrei che mi raccontasse dell’ultima azione… l’azione in cui è morto mio figlio.

Balthasar lo guarda, ammutolito. Appare sconcertato. Ci vuole un momento perché parli nuovamente.

- L’azione in cui è morto? Che azione? Morto?

Adesso è Charles a essere stupito.

- Ma lei… lei è Balthasar Marveau, l’uomo che ha salvato Jules e poi lo ha visto morire?

Balthasar scuote la testa. È evidente che non capisce.

- È vero che portai in salvo Jules quando rimase ferito alla gamba, ma Jules non è morto in un’azione. Quando la guerra è finita, stava bene e si era ripreso perfettamente.

Charles Larivière guarda Balthasar senza più riuscire a parlare. Paul viene in suo soccorso:

- Ma è morto nell’ultima azione, l’ultimo scontro che c’è stato. Abbiamo ricevuto la comunicazione. E anche lei ci ha scritto una lettera…

- Assolutamente no. La guerra era già finita quando ho visto Jules per l’ultima volta. Non è morto in guerra. D’altronde mi ha scritto un mese fa.

- Cosa? Non è possibile. Lei ci ha scritto…

Paul si interrompe e si rivolge a suo padre:

- Dove hai la lettera del signor Marveau? Nel solito cassetto della scrivania?

Charles annuisce. Sembra incapace di parlare.

Paul dice:

- Mi scusi un momento.

Esce. Charles Larivière si sporge in avanti e dice, pianissimo:

- Era vivo alla fine della guerra? Era vivo?

- Certo, signor Larivière.

Paul rientra con una lettera. La porge a Balthasar.

- Non l’ha scritta lei, questa?

Balthasar prende la lettera. L’apre.

- Non è la mia scrittura.

Balthasar legge, scuotendo la testa, incredulo. Quando ha finito, dice, ancora fissando la lettera.

- E ha messo pure il mio nome come firma.

Poi alza la testa e dice:

- È tutto falso, Jules non è morto in guerra. E poi, come le dicevo…

Balthasar si interrompe. Guarda la lettera che ha in mano. Mormora:

- È la stessa scrittura? È possibile?

Fissa Charles Larivière e dice:

- Un mese fa ho ricevuto una lettera che portava la firma di suo figlio. Credo che sia stata scritta dalla stessa persona.

Paul chiede:

- Un mese fa? Ha quella lettera?

- Sì, a casa.

- Posso chiederle di farcela vedere? L’accompagno a casa e la prendiamo. Non le dispiace?

- Certamente no.

Paul guarda suo padre, che è chiaramente sconvolto. Non vorrebbe lasciarlo solo, ma non può chiedere a Marveau di andare a prendere la lettera e tornare per conto proprio.

- Accompagno il signor Marveau. In auto ci metteremo poco.

Suo padre fa un cenno d’assenso.

Salgono sull’auto. Dopo aver messo in moto, mentre stanno partendo, Paul dice:

- Signor Marveau… non sta mentendo?

Paul si pente subito della domanda, goffa e offensiva. È scombussolato e l’agitazione lo ha spinto a parlare senza riflettere. Coglie immediatamente il leggero irrigidirsi dell’uomo seduto al suo fianco e prova vergogna per ciò che ha detto.

- Mi scusi, ma questa faccenda mi ha sconvolto.

Nella voce di Marveau non c’è traccia di irritazione.

- La capisco. Sono anch’io molto turbato e Jules per me era solo un commilitone, non un fratello.

Quando raggiungono la casa dove abita, Marveau sale a prendere la lettera e ridiscende subito. La mostra a Paul:

- Eccola.

Paul annuisce. Vorrebbe vederla subito, ma la strada non è illuminata. Riparte.

Quando arrivano a casa, prima di passare nello studio del padre, Paul guarda il foglio che Marveau gli porge. La scrittura è la stessa della lettera che hanno ricevuto loro, a firma di Balthasar Marveau. Sotto il testo c’è il nome di suo fratello, ma la firma non è la sua.

- Andiamo da mio padre.

Nel salottino Charles è in piedi, lo sguardo fisso sulla porta. Deve averli attesi guardando dalla finestra.

Paul porge la lettera, senza dire nulla. Charles la legge. Sono solo poche righe:

Mi spiace doverti scrivere questa lettera, ma ho saputo quanto è successo all’ospedale e devo chiederti di non rivolgerti a me o alla mia famiglia per avere aiuto: per quanto ti sia grato per avermi salvato la vita, non voglio e non posso avere niente a che fare con una persona disonesta.

Jules Larivière

Charles passa la lettera al figlio. Paul la scorre, poi chiede:

- Di che cosa si tratta, signor Marveau?

Balthasar non abbassa lo sguardo.

- Appena tornato, l’ospedale dove lavoravo come infermiere mi ha ripreso. Ma dopo pochi giorni sono stato accusato di aver sottratto una somma di denaro e sono stato licenziato.

Paul è certo che Marveau non ha preso quel denaro. Perché, non saprebbe dire. Ha visto quest’uomo due volte, ma è certo che non è un ladro.

- Di che ospedale si tratta?

- La Salpêtrière.

Paul è sorpreso.

- L’ospedale in cui lavoro io.

Paul riflette un attimo, poi dice:

- Lei non ha sottratto quel denaro, vero, signor Marveau?

- No.

- Le credo.

- Grazie.

Charles guarda il figlio. Non riesce a parlare. È Marveau a dire:

- Io vi lascio. Se avete bisogno di me, sono a vostra disposizione.

- La riaccompagno.

- No, la ringrazio. Preferisco tornare a piedi. Questa storia… Ho bisogno di riflettere un po’ e una buona camminata è quello che mi ci vuole.

Paul esce dal salotto con Marveau, ma questi gli dice:

- Rimanga con suo padre, ha bisogno di averla vicino.

Paul annuisce. In effetti preferisce non lasciare solo suo padre, che è sconvolto come lo è lui, e apprezza la sensibilità di cui Marveau dà prova.

- Signor Marveau, tornerò a cercarla, non appena mio padre e io ci saremo chiariti le idee. In che orari posso venire?

Marveau annuisce.

- In questo periodo lavoro alle Halles, soprattutto il mattino presto, ma se trovo qualche lavoretto in altre ore, lo prendo. Diciamo che verso sera di solito sono nella mia stanza.

- Grazie, signor Marveau.

Marveau si congeda, Paul rientra. Suo padre lo guarda.

- Che cosa ne pensi, Paul?

- Non lo so, non capisco.

Charles vorrebbe dire qualche cosa, ma sembra quasi aver paura. Infine dice:

- Paul, pensi… pensi che Jules sia ancora vivo?

- Non lo so. È arrivata una comunicazione ufficiale della morte di Jules, ma o è falsa pure quella o c’è stato uno scambio di identità. Potrebbe essere una macchinazione per coprire un omicidio. Qualcuno potrebbe averlo ucciso e fatto in modo che non ci fossero indagini.

Paul non vuole che suo padre si faccia illusioni.

- Tu pensi che sia morto, allora?

- Non lo so, non lo so. Ma voglio scoprire che cosa è successo. Quell’uomo non mente.

- Come fai a dirlo? È stato licenziato per aver rubato dei soldi.

- Già, dall’ospedale in cui lavoro io.

- Che cosa vuoi dire?

- Nello stesso ospedale, l’uomo che ha salvato Jules e il fratello di Jules. La Salpêtrière è molto grande, ma è impossibile che prima o poi un infermiere e un medico non si incontrino, non sentano l’uno il nome dell’altro: “Marveau, hai detto? Mio fratello in guerra è stato salvato da un certo Balthasar Marveau”. “È lui di certo, Balthasar è un nome insolito, non ci sono due Balthasar Marveau”. Oppure: “Larivière? Conoscevo un Jules Larivière.” “Era il fratello, è morto in guerra.” “No, di sicuro”. Insomma, prima o poi uno dei due avrebbe saputo dell’altro e saremmo venuti in contatto, io per ringraziarlo di aver salvato Jules, lui per chiedermi notizie di Jules. E avrei scoperto che alla fine della guerra Jules era vivo e che Marveau non ha mai scritto una lettera per comunicarci che Jules era morto.

- Pensi che qualcuno abbia agito in modo da farlo licenziare?

- Credo di sì. La stessa persona che gli ha mandato quella lettera, per essere sicuro che Marveau non si rivolgesse a noi e la verità non venisse fuori. Qualcuno che conosce Marveau.

- Perché dici questo?

- Quella lettera è scritta in modo da offendere e ferire una persona che ha un forte senso della propria dignità. E Marveau è così. Tu non hai visto dove vive, ma in quella specie di discarica, la camera di Marveau è pulita e ordinata.

Charles Larivière annuisce.

- Sì, ho visto come si muove. C’è più dignità in quell’uomo che in tutti i soci del Club messi insieme. E quella lettera firmata con il nome di Jules è infame. Jules non avrebbe mai scritto una lettera così. Un uomo che gli ha salvato la vita. La lettera che Jules ci scrisse… parlava di lui come di un angelo custode. Mi stupisce che Marveau abbia potuto credere a quella lettera.

- Non aveva motivo di sospettare che non fosse stata scritta da Jules. Come noi non abbiamo sospettato che la lettera firmata Marveau fosse stata scritta da qualcun altro.

Charles annuisce. Rimane un momento in silenzio, poi ha uno scatto.

- Paul, dobbiamo scoprire la verità. Se Jules è stato ucciso, l’assassino dovrà pagare.

Il tono della voce è quello che Paul conosce bene, ma che in questi ultimi mesi ha avuto poche occasioni di sentire: Charles Larivière è di nuovo il banchiere abituato a prendere decisioni rapidamente e a muoversi con sicurezza in ogni situazione.

Charles aggiunge:

- Prenderò contatto con il generale Lacroix.

Paul scuote la testa.

- Aspetta, è arrivata una comunicazione falsa. Ci deve essere qualche complicità. Non vorrei che mettessimo in allarme il responsabile. Meglio che nessuno sappia che stiamo indagando.

- E allora? Che cosa proponi di fare?

- Domani sera torno da Marveau. Mi fido di quell’uomo e credo che ci possa aiutare. Poi parlerò con i commilitoni di Jules, per saperne di più sui suoi ultimi giorni di servizio e verificare le parole di Marveau. Tu potresti sentire dal commissario Vertoux se conosce un investigatore a cui rivolgersi per una faccenda molto delicata. Qualcuno che sia in gamba.

Charles riflette un momento.

- Se ci rivolgiamo a un investigatore, che senso ha che sia tu a parlare di nuovo con Marveau e a cercare i commilitoni di Jules?

- Voglio raccogliere il più possibile informazioni senza mettere di mezzo nessun altro fino a che non sarà necessario. Al momento opportuno, se lo riterremo necessario, ci rivolgeremo all’investigatore che ti consiglierà Vertoux o direttamente alla polizia.

 

Il giorno dopo, dall’ospedale Paul raggiunge direttamente la casa di Marveau.

- Credo che lei possa immaginare in che condizioni ci troviamo. Avevamo deciso di non dire nulla a mia madre e a mia cognata, che ormai è all’ottavo mese di gravidanza. Ma mia madre ha capito, mio padre era sconvolto, e abbiamo dovuto raccontarle la verità.

Marveau annuisce.

- Mi rendo perfettamente conto del vostro stato d’animo. Anch’io sono rimasto molto turbato.  

- Ora vorremmo ricostruire gli ultimi giorni del servizio militare di Jules. Posso porle qualche domanda?

- Certo, mi dica.

- Quando ha visto mio fratello l’ultima volta?

- Tre o quattro giorni dopo l’armistizio.

- Durante la smobilitazione?

- No, per tutti noi la smobilitazione arrivò dopo, parecchie settimane dopo. Jules fu smobilitato prima. Alcuni di noi pensarono che fosse avvenuto per la sua ferita. Qualcuno insinuò che lo dovesse a suo padre: Jules non aveva mai goduto di particolari favori o protezioni, ma si sapeva di chi era figlio.

- E noi lo credevamo morto!

Marveau rimane un attimo in silenzio, poi dice:

- Adesso ho il sospetto che la smobilitazione anticipata di Jules avesse un altro significato: impedire che lui si mettesse in contatto con voi. Se vi avesse scritto dopo la fine della guerra, la notizia della sua morte in azione non sarebbe stata credibile.

- Perciò pensa che qualcuno abbia fatto in modo che Jules venisse congedato prima?

- Sì. O… più probabilmente non fu nemmeno smobilitato. Intendo dire, ieri sera mi ha detto che vi è arrivata una comunicazione ufficiale della sua morte. Questo significa che qualcuno ha fatto in modo che risultasse morto: non è così difficile, basta scambiare due schede, mettere un nome al posto di un altro, di qualcuno senza famiglia che risulterà disperso. In questo caso ovviamente il nome di suo fratello non poteva risultare tra i soldati da congedare.

- Lei era presente quando Jules fu congedato?

- No. Fu una cosa improvvisa. Io avevo accompagnato un ufficiale a un altro comando e quando tornai mi dissero che era partito in mattinata.

- Capisco.

Paul guarda Marveau. È sicuro di potersi fidare di quest’uomo.

- Signor Marveau, io ho bisogno del suo aiuto.

- Sono a sua disposizione.

- Per trovare lei, abbiamo fatto ricorso a un investigatore.

Marveau ha un mezzo sorriso. C’è una sfumatura di tristezza.

- Sì, mi rendo conto che non è facile trovarmi. Ma il licenziamento… ho provato vergogna. Ho evitato di mantenere i contatti con gli altri.

- Lo capisco e intendo occuparmi anche di quello.

Marveau lo guarda interrogativamente, ma Paul riprende il discorso iniziale.

- Quest’uomo ha rintracciato diversi commilitoni suoi e di Jules. Vorrei parlare con loro. Se lei mi accompagna, mi sarà più facile procurarmi le informazioni necessarie.

- Verrò volentieri con lei.

Si mettono d’accordo per vedersi l’indomani.

 

Il mattino seguente Paul si rivolge al dottor Crémont, alle cui dipendenze lavorava Marveau. Spiega che vorrebbe sapere di più sul licenziamento dell’infermiere. È una richiesta insolita, ma Paul Larivière, oltre a godere della stima dei suoi superiori perché è un buon medico, è il figlio di Charles Larivière, un uomo che può parlare con qualsiasi ministro a qualsiasi ora del giorno o della notte. Il dottor Crémont non gli chiede i motivi della domanda e racconta brevemente i fatti: un ammanco consistente e il ritrovamento della somma nella giacca di Marveau. Conclude:

- Le devo dire che rimanemmo molto stupiti dell’accaduto: Marveau era un ottimo infermiere. Ma la guerra cambia le persone e abbiamo visto diversi casi di uomini che sono tornati profondamente mutati.

- Ha avuto l’impressione che Marveau fosse diverso rispetto a prima della guerra?

- No, se devo essere sincero, no. La stessa serietà nel lavoro, un modo di fare sereno e tranquillo che lo faceva benvolere da tutti. Il furto ci lasciò tutti stupefatti. Io gli avrei affidato le chiavi di casa mia senza esitare.

- Venne fatta un’indagine?

- No. Come le ho detto, i soldi spariti vennero ritrovati tra le cose di Marveau. Non serviva un’indagine. Preferimmo licenziarlo immediatamente, evitando una denuncia: come le ho detto, avevamo sempre avuto tutti molta stima di lui e non volevamo che finisse in prigione.

- Come furono ritrovati i soldi? Intendo dire, perché furono cercati tra gli effetti di Marveau?

- Un altro infermiere aveva visto Marveau trafficare alla scrivania. Andammo subito a controllare tra le sue cose.

Paul annuisce.

- Non posso spiegarle tutto, ma sono sicuro che Marveau non ha mai preso quella somma. È stata una manovra di qualcuno per farlo licenziare. Essenzialmente per evitare che io, lavorando nello stesso ospedale, potessi incontrarlo.

Crémont guarda Paul, alquanto perplesso.

- Quello che lei mi dice mi inquieta. Lei ritiene che la somma sia stata messa nella giacca di Marveau da qualcun altro? Per farlo licenziare?

- Ne sono assolutamente sicuro. Non posso spiegarle ora, ma sarò in grado di farlo, spero presto. Parlare adesso significherebbe mettere a repentaglio una vita, forse, o permettere a un assassino di farla franca. Ma le chiederei di mettere sotto torchio l’infermiere che dice di aver visto Marveau cercare nei cassetti. Sono sicuro che ha mentito e sarebbe importante sapere perché l’ha fatto. Qualcuno deve averlo pagato.

Crémont annuisce.

- Dottor Larivière, so che lei è una persona seria e non parla a vanvera. Farò le indagini necessarie.

- Le chiedo solo di cercare di non far trapelare nulla. Come le dico, la posta in gioco è alta. E mi scuso se non posso parlare chiaramente ora.

 

La sera stessa e quella successiva Paul e Balthasar passano da alcuni ex-commilitoni di Jules. Balthasar presenta Paul come il fratello di Jules Larivière, spiega che il giovane è scomparso e che la famiglia sta cercando di ricostruire ciò che è avvenuto. Non racconta del falso annuncio di morte e, probabilmente perché la presenza di Paul intimorisce tutti, nessuno chiede come mai la famiglia si metta alla ricerca di Jules solo ora. 

Jean Gros ricorda che Jules è stato smobilitato prima degli altri, ma non è in grado di fornire nessun elemento significativo.

- Arrivò la comunicazione in mattinata. Larivière non se l’aspettava, ma fu ben felice di poter partire. Io però non vidi quando se ne andò, ero impegnato nel magazzino. Mi stupii che fosse già partito. Di solito non avveniva così. Noi tutti fummo congedati parecchio dopo.

Anche i due colloqui successivi aggiungono molto poco. Paul nota che tutti i commilitoni sono contenti di rivedere Marveau, che sembra godere della loro stima e del loro affetto. Paul parla poco: Marveau pone le domande necessarie e i suoi ex-compagni sono più a loro agio rivolgendosi a lui. Paul ha modo di osservare Marveau. Sembra un uomo equilibrato e sereno, nonostante la difficile situazione in cui si trova.

Nel quarto incontro emerge un elemento nuovo.

- Sì, mi ricordo benissimo della sua partenza. Pensai che gli era andata proprio bene.

- Eri presente quando Larivière se ne andò?

- Sì, certo. Arrivò il sergente Pourdon e gli disse di prepararsi, perché l’avrebbe accompagnato al treno. Jules non voleva crederci, gli sembrava incredibile. La smobilitazione per noi era un miraggio: ne parlavamo sempre, ma sapevamo che sarebbe passato ancora parecchio tempo.

Balthasar si è accorto che al sentire il nome di Pourdon, Paul è trasalito. Chiede:

- E così si allontanò con il sergente Pourdon?

- Sì, sì. Pourdon aveva un’auto, non so come mai. Non era un veicolo militare. Ma quello è ricco.

Quando escono Paul chiede:

- Come si chiama di nome il sergente Pourdon?

La domanda è superflua. Non c’erano certo due sergenti Pourdon che conoscevano Jules. Ma Paul vorrebbe sentirsi dire un altro nome, sconosciuto. Invece la risposta è quella attesa:

- Adolphe.

Paul non dice nulla. Balthasar chiede:

- Lei lo conosce, vero?

Paul respira a fondo, prima di rispondere:

- Sì.

- E il sergente aveva qualche motivo per volersi vendicare di lei, colpendo Jules?

Paul annuisce. Gli sembra di non riuscire a parlare. L’idea di aver provocato la scomparsa e probabilmente la morte di Jules gli è intollerabile. Con uno sforzo dice:

- Sì.

Balthasar dice:

- Non occorre che mi spieghi nulla, signor Larivière. Ho conosciuto il sergente. Adesso quello che conta è altro.

Paul si chiede che cosa significa la frase “Ho conosciuto il sergente”. Marveau conosce i gusti del sergente? Sospetta che… Che cosa pensa Marveau di lui?

Marveau riprende:

- Dobbiamo scoprire dove vive Pourdon e capire i suoi movimenti negli ultimi mesi. A quanto pare è il responsabile della scomparsa di suo fratello o almeno vi è implicato.

Paul guarda Balthasar.

- Lei pensa che mio fratello sia ancora vivo?

Non sa perché l’ha chiesto, è una domanda assurda: Marveau non può saperne niente. Ma Paul è sconvolto: il pensiero che Jules sia morto per colpa sua lo angoscia. Ha bisogno che Marveau gli dica che forse Jules è vivo, che non è successo l’irreparabile. Si fida di Marveau. Gli sembra che quest’uomo sia in grado di capire di più.

- Può essere. Tutto è possibile. Pourdon… nell’ultimo anno, dopo essere scampato alla morte in un’azione, era cambiato. Direi che dava segni di squilibrio mentale.

Paul annuisce. Marveau prosegue:

- Lei si è già rivolto a un investigatore. Lo contatti di nuovo, se è uno in gamba, e affidi a lui le indagini. A meno che non voglia rivolgersi direttamente alla polizia.

- No. A quello abbiamo già pensato e probabilmente lo faremo, ma prima proviamo per questa strada, senza pubblicità. Mia cognata è vicina al parto.

Dopo aver lasciato Marveau nella via in cui abita, Paul torna a casa propria. Riferisce rapidamente al padre che Jules si è allontanato dopo la liberazione con un sergente che probabilmente è mentalmente squilibrato e propone di affidare le indagini all’investigatore. Poi si ritira in camera. È troppo angosciato per parlare ancora dell’argomento.

Paul non si corica: sa che non riuscirebbe a prendere sonno. I ricordi riemergono. Ha davvero provocato la morte di Jules? Perché Jules? Sarebbe toccato a lui morire, non a Jules. Jules non ha fatto niente di male. Perché?

Paul ripensa a quando ha incontrato Pourdon, alla loro breve relazione. Che Jules debba pagare per questo è mostruoso.

Seduto sulla poltroncina Paul si sente invadere da una disperazione senza fondo. E a tratti un altro pensiero si insinua. Che cosa sa Marveau di Pourdon? Che cosa vuole dire “Ho conosciuto il sergente”? Che cosa ha capito Marveau di lui? Che cosa sospetta? Che cosa pensa di lui? Lo disprezza?

Paul si corica molto tardi, ma il sonno non viene.

Il giorno seguente Paul passa da Marveau nel tardo pomeriggio. Ha convocato l’investigatore per la serata, perché vorrebbe che anche Marveau assistesse al colloquio.

- Mi scusi per questa ulteriore domanda. Mi rendo conto che le sto richiedendo un impegno notevole, ma se lei potesse aiutarmi, gliene sarei grato. Credo che in due sapremo dare indicazioni più precise.

Paul vorrebbe aggiungere una frase sul fatto che la sua famiglia saprà mostrarsi riconoscente, ma si rende conto che con Marveau potrebbe essere controproducente. E mentre parla osserva Marveau, cercando di leggere sul suo viso che cosa pensa di lui. Ma Marveau è cortese e disponibile come sempre, nell’espressione del viso e nel tono di voce non c’è traccia di critica o condanna.

- Non c’è nessun problema, signor Larivière. Lo faccio volentieri. Ero molto affezionato a Jules.

Paul guarda Marveau e chiede:

- Che cosa ha provato quando ha ricevuto la lettera, quella che portava la firma di Jules?

Marveau scuote la testa.

- È stata una coltellata. Non per il rifiuto di aiutarmi, non mi sarei mai rivolto a lui, mi sarebbe sembrato indegno. Ma da Jules non mi sarei mai aspettato una lettera del genere. Sono stato ingenuo a credere che l’avesse scritta lui. Avrei dovuto sospettare.

- E come avrebbe potuto?

- Quella lettera non poteva essere stata scritta da Jules, non era nel suo carattere, ma in quel momento ci credetti.

 

L’investigatore, Albert Baudrier, è un uomo sui cinquanta. A Charles Larivière lo ha consigliato un commissario. Non è lo stesso uomo che ha rintracciato l’indirizzo di Marveau: il lavoro da svolgere è assai più delicato e complesso.

Paul spiega perché la sua famiglia ha deciso di rivolgersi a un investigatore e non direttamente alla polizia:

- Il sergente si è allontanato con mio fratello Jules, mentre a noi arrivava una comunicazione che Jules era morto in combattimento. Non sappiamo se l’abbia ucciso, come è probabile, o se lo tenga prigioniero. Nel caso Jules sia morto, ci rivolgeremo alla polizia. Ma nel caso fosse vivo, non vorremmo che fossero le indagini a provocare la sua morte.

Baudrier annuisce. Ha capito benissimo la situazione. Dopo aver posto alcune domande, sintetizza:

- Devo quindi scoprire dove vive il sergente, capire se in questi ultimi mesi si è spostato spesso, se a casa sua può esserci qualcun altro, ma evitando che si accorga delle mie indagini.

Paul annuisce:

- Sì, è essenziale che non sospetti di essere sorvegliato.

Baudrier chiede una descrizione di Pourdon e delle sue abitudini. Paul esita. Potrebbe descrivere il suo aspetto fisico, in ogni dettaglio, dalla leggera peluria bionda sul petto a quella un po’ più scura sul ventre, dalle natiche muscolose al neo dietro allo scroto. Potrebbe parlare delle sue abitudini a letto, di come geme quando viene posseduto, della sua abilità a succhiare e leccare i capezzoli o la cappella, del linguaggio molto scurrile che gli piace, della soddisfazione che gli dà bere il piscio. Ma tutto ciò non interesserebbe all’investigatore. Quanto ai comportamenti quotidiani e al carattere, Paul li conosce poco. Adolphe Pourdon è stato un buon compagno di letto, non di vita. Con gente come Pourdon, Paul può condividere qualche ora una notte, non le giornate.

A Paul pesa rispondere alla domanda dell’investigatore, soprattutto davanti a Balthasar Marveau. Ma è Balthasar a prendere subito la parola. Descrive il sergente e fornisce tutte le informazioni in suo possesso. Paul gli è grato di risparmiargli questa parte, è contento di non dover rivelare davanti a Marveau quanto intimamente ha conosciuto il sergente. Marveau conclude dicendo ciò che Paul avrebbe avuto difficoltà a formulare:

- È attratto dagli uomini.

Baudrier annuisce. Il viso appare del tutto indifferente. Per lui è un elemento che forse potrebbe servire nel suo lavoro, nulla di più. Paul si sente a disagio. Evita di guardare Marveau.

Quando l’investigatore se ne va, Marveau dice:

- C’è un’altra cosa che possiamo fare, signor Larivière, servendoci degli agganci di suo padre.

- Quale?

- Procurarci un campione di scrittura di Pourdon. Non è difficile. In guerra ha scritto diversi rapporti, a mano, e di certo si può ottenere l’autorizzazione a leggerne uno. Ad esempio potrebbe richiedere quello relativo al combattimento in cui sarebbe morto Jules. Una richiesta naturale, che non desterebbe nessun sospetto.

Paul guarda Marveau. Non è la prima volta che ha modo di apprezzarne l’intelligenza. Ma ora in quegli occhi scuri vorrebbe poter leggere l’opinione che Marveau ha di lui.

La domanda ritorna ossessiva dopo che Marveau se n’è andato. Come lo giudica Marveau? Lo condanna? Lo disprezza? Paul ha scoperto di tenere moltissimo al giudizio di Marveau. I pochi incontri avuti con lui gli hanno fatto conoscere un uomo dotato di grande umanità e intelligenza. E, anche se preferirebbe non riconoscerlo, Paul si accorge di provare per lui qualche cosa che va oltre la gratitudine e la simpatia. Lo conosce da pochissimo, eppure è così. È l’unico con cui vorrebbe aprirsi, confidare tutta la sua angoscia, il senso di colpa che lo tormenta. Gli sembra che Marveau lo ascolterebbe, non lo condannerebbe. E se invece lo disprezzasse?

Paul si dice che non è il momento per le confidenze. Adesso le priorità sono altre.

I giorni seguenti si consumano in un’attesa sfibrante. Paul non regge più lo sguardo di sua madre e di suo padre, che non dicono nulla, ma sembrano vivere sospesi, in un’attesa che svuota di senso tutto ciò che fanno. Anche sua cognata ha colto la tensione esistente, ma non riesce a spiegarsela.

Intanto il dottor Crémont convoca Paul.

- Dottore, abbiamo interrogato l’infermiere che diceva di aver visto Marveau trafficare con i cassetti della scrivania dove era tenuto il denaro. È risultato subito chiaro che era a disagio, non si aspettava che quella storia saltasse nuovamente fuori. Messo alle strette, accusato di aver mentito, ha confessato. Prese lui quei soldi e li mise nella giacca di Marveau. Lo avevano pagato per questo, una persona che non conosceva. Qualcuno che lo aveva individuato come l’uomo adatto per questo lavoro sporco. Adesso stiamo valutando la situazione. Tenendo conto di ciò che lei ci ha detto, non abbiamo preso nessuna misura, per il momento. Non vorremmo che ci fossero conseguenze negative. Ma intendiamo riassumere Marveau non appena lei ci dirà che sarà possibile.

- Grazie per aver creduto alle mie parole.

- Grazie a lei: ci permette di riparare un’ingiustizia. Pensa che possiamo chiamare Marveau o è meglio di no? Mi parlava di una vita in pericolo, di un assassino.

- Sì. Se posso chiederglielo, le direi di parlare con Marveau e di dirgli che avete scoperto la verità e che sarà riassunto non appena sarà stata chiarita la faccenda che riguarda la mia famiglia. Lui sa di che cosa si tratta.

Tre giorni dopo il colloquio con l’investigatore, Paul riesce a vedere un rapporto scritto da Pourdon. Non occorre essere un perito per capire che l’autore delle due lettere è lo stesso. È una conferma ormai quasi superflua.

Marveau si presenta a casa dei Larivière quella stessa sera. Chiede di parlare un momento con Paul.

- Volevo ringraziarla. L’ospedale mi ha chiamato. Sarò riassunto presto.

- Non mi ringrazi. È stato riparato un torto. Mi spiace che non la riprendano subito, ma se Pourdon lo venisse a sapere…

- Sì, è sensato. Ma le assicuro che l’idea di poter riprendere tra non molto il mio lavoro… è un sollievo enorme.

Marveau fa per congedarsi, ma Paul lo trattiene. Gli dice del rapporto che ha ricevuto e del fatto che la grafia è la stessa.

- Ero sicuro che quelle lettere le avesse scritte lui. È la conferma che la strada è quella giusta.

 

Dopo una settimana l’investigatore comunica che è rientrato e può riferire. Nuovamente Paul chiede a Marveau di assistere al colloquio. 

- Il sergente Pourdon sta in una casa di campagna della famiglia, a Crécy-la-Chapelle. Ci è venuto a vivere subito dopo la smobilitazione. In casa non risulta vivere nessun altro. Sembra però che acquisti più cibo di quanto consumi abitualmente una persona sola. Nei primi giorni ne comprava di meno, poi è andato via per due giorni e da quando è tornato fa provviste più abbondanti. Tre settimane fa la negoziante gli ha chiesto se aveva ospiti e da allora acquista di meno, ma in realtà una o due volte la settimana va in auto a fare un po’ di spesa in un altro paese.

Paul pensa che forse Jules è vivo, nella mani di Pourdon, ma vivo. Baudrier prosegue:

- Una volta la donna che si occupa delle pulizie e dei lavori di casa il mattino ha sentito dei rumori provenire dalla cantina. Il sergente le ha detto che probabilmente era un gatto che si era infilato dalla finestrella e che sarebbe poi sceso a vedere. Il sergente non esce mai di casa quando c’è la signora. Le ha detto di non occuparsi della cantina, che è vuota. La signora dice che la porta è sempre chiusa a chiave.

- Mio fratello potrebbe essere prigioniero in quella cantina.

- Credo proprio di sì. Pourdon lascia poco la casa e chiude con cura tutto, anche se si allontana solo per mezz’ora. Ho approfittato di una sua assenza per avvicinarmi, ma non potevo forzare una porta o una finestra senza lasciare segni e mettere così in sospetto Pourdon, con le conseguenze che possiamo immaginare. La cantina ha una finestrella, ma è sbarrata e chiusa con un’anta di legno. Ho cercato di guardare dentro e c’era qualcuno che si muoveva. Avrebbe anche potuto essere un animale, ma non credo che lo fosse e di sicuro nessuna bestia potrebbe entrare da quell’apertura. Ho pensato di chiamare, per vedere se mi rispondevano, ma ho preferito non farlo.

- Ha fatto benissimo. Non possiamo correre rischi.

Paul si fa dare tutti i dettagli, in particolare sulla posizione della casa. Poi congeda l’investigatore.

Marveau non ha detto niente. Paul lo guarda. Poi dice:

- Bisogna allontanare Pourdon per alcune ore, entrare in casa forzando la porta e poi scendere in cantina. È disposto ad aiutarmi ancora?

- Preferisce non rivolgersi alla polizia, vero?

- No. Non so che cosa Pourdon abbia fatto a Jules, non so in che condizioni possa essere, posto che sia ancora vivo. Prima di dare pubblicità alla faccenda, di finire su tutti i giornali…

Paul rabbrividisce all’idea di ciò che potrebbe emergere. Ma la salvezza di Jules, se davvero è vivo, è l’unica cosa che conta. Al resto penseranno dopo. Se non gli rimarrà altra soluzione che tirarsi un colpo, lo farà. Purché Jules sia vivo.

Paul conclude:

- Dovremo farlo, lo so.

- Non necessariamente.

Paul guarda Marveau.

- Che cosa intende dire?

- Vedremo. Se davvero Pourdon ha rapito suo fratello e l’ha tenuto prigioniero… per lui è meglio uccidersi.

Paul guarda Marveau. Quello che dice è sensato, sarebbe l’unico modo per evitare un processo e la prigione, ma non è detto che Pourdon lo faccia.

Marveau aggiunge:

- L’aiuto volentieri. Come le ho detto, ero affezionato a Jules e l’idea che sia nelle mani di Pourdon mi fa orrore.

Marveau sembra sul punto di dire altro, ma si ferma.

- Allora dobbiamo organizzare il tutto.

- Sì, l’essenziale è tenere Pourdon fuori casa per due ore. Dovremo avere entrambi un’arma e il necessario per scassinare la porta di casa e quella della cantina.

Insieme definiscono tutti i dettagli. Per allontanare Pourdon faranno ricorso all’investigatore. Quando Marveau se ne va, Paul parla con i suoi genitori. Dirgli che probabilmente Jules è ancora vivo lo spaventa: se poi invece risultasse che Jules è morto, per entrambi sarebbe un colpo terribile. Ma deve in qualche modo prepararli.

Riferisce quanto ha detto l’investigatore. Alla fine aggiunge:

- Se davvero è stato prigioniero per tutti questi mesi, non so in che condizioni sia.

Sua madre fissa Paul.

- L’importante è che sia vivo, che...

Charles Larivière annuisce.

- Se è vivo, se non ha subito danni irreparabili, si rimetterà. È sopravvissuto a quattro anni di guerra.

Paul si chiede che cosa può aver significato l’incubo di mesi di prigionia nelle mani di Pourdon dopo quattro anni di guerra, ma sono pensieri oziosi. Adesso quello che conta è liberarlo, se davvero è prigioniero di Pourdon. Ma di questo ormai Paul è sicuro.

Paul organizza tutto, senza perdere tempo: non sopporta l’idea che la prigionia di Jules si prolunghi. Incontra ancora Marveau, per definire i dettagli, e due giorni dopo, all’alba, partono per Crécy: è venerdì, giorno in cui la signora che si occupa dei lavori di casa non presta servizio.

Crécy-la Chapelle non è molto lontana da Parigi. La casa di campagna dei Pourdon è una villetta isolata, a forse due chilometri dal paese. L’edificio ha due piani e lungo il piano superiore corre una balconata su cui si aprono diverse porte-finestre. Davanti e dietro c’è un ampio giardino. Sotto una tettoia è parcheggiata l’automobile di Pourdon.

Paul lascia l’auto in un posto non visibile dalla villetta, a circa trecento metri. Con Balthasar raggiunge un posto da cui possono vedere, nascosti tra gli alberi, l’edificio. Mezz’ora dopo arriva l’auto dell’investigatore. Come concordato, l’uomo scende, bussa alla porta, consegna un foglio e intavola una breve conversazione con Pourdon. Il sergente appare irritato. L’investigatore se ne va.

Un quarto d’ora dopo, Pourdon esce dalla casa, sale in auto e si allontana.

 

Paul e Balthasar aspettano dieci minuti: non vogliono correre il rischio che Pourdon rientri perché l’automobile si è guastata o perché si è accorto di aver dimenticato qualche cosa. Poi raggiungono la casa.

Forzare la porta si rivela più difficile del previsto: sono un medico e un infermiere e non hanno esperienza di scasso. Paul si innervosisce. Non possono correre il rischio che Pourdon rientri e li sorprenda.

Infine la porta cede. Paul e Balthasar scendono la scala che conduce in cantina. Anche in questo caso ci vuole un buon momento prima che riescano a far saltare la serratura. Quando infine ci riescono, Paul spinge la porta.

Nella penombra del locale, possono vedere, seduto su un pagliericcio, le mani legate e un bavaglio sulla bocca, Jules Larivière.  

Paul si avvicina, si china, toglie il bavaglio.

- Paul! Balthasar!

Paul abbraccia il fratello, poi si stacca e lo guarda.

- Stai bene? Non ti ha…

Paul non sa come continuare.

Jules annuisce, senza parlare. Di colpo incomincia a piangere. Paul lo abbraccia.

È la voce di Balthasar a riscuoterli.

- Facciamo in fretta.

Paul ha un coltello. Inizia a tagliare le corde che bloccano Jules. 

Quando ha finito, sente dei passi lungo le scale. Prima che Paul abbia il tempo di tirar fuori l’arma, Adolphe Pourdon è sulla porta, una pistola in mano.

Quando vede Paul, ghigna.

- Quando ho visto che la porta era stata forzata, ho pensato che potessi essere tu. Sei stato un coglione: ti sei infilato da solo nella tana del lupo. Mi hai fatto un favore. Lascia quel coltello e alza le mani.

Paul obbedisce. Si è accorto che Balthasar si è nascosto dietro la porta e Pourdon non l’ha visto.

- Creperete tutti e due, bastardi. Ma prima…

Pourdon non completa la frase. Balthasar ha fatto due passi avanti e con il calcio della pistola ha colpito Pourdon alla nuca. Un colpo molto violento. Pourdon si accascia senza un gemito. Balthasar raccoglie la pistola di Pourdon e se la mette in tasca.

Jules fa fatica a stare in piedi. Balthasar dice:

- Vada a prendere l’auto. Io rimango qui. Poi lo fa salire, mentre io controllo che questo bastardo non si muova.

Quando Paul torna, accompagna Jules per le scale. Balthasar aspetta un momento, per dare ai due fratelli il tempo di raggiungere l’auto, poi risale le scale.

Di ciò che sta per fare non ha parlato a Paul Larivière, ma ha deciso di farlo per lui: vuole evitare che Pourdon racconti cose che metterebbero in difficoltà Paul e la sua famiglia.

Balthasar prende dalla tasca il biglietto che ha scritto prima di partire e lo lascia su un tavolo, posandoci sopra la pistola di Pourdon. Spera che l’idea che ha avuto funzioni.

Fuori Paul e Jules lo aspettano, già in macchina. Balthasar prende il coltello e taglia le gomme dell’auto di Pourdon. Poi sale e partono.

 

Quando Pourdon si risveglia, si alza. Vede che non c’è più nessuno. Cerca la pistola, ma non la trova. Sale le scale di corsa. Quanto tempo è passato? Quanto è rimasto privo di sensi? Saranno già lontano?

La sua pistola è sul tavolo, sopra un foglio. Pourdon prende l’arma e legge. C’è scritto solo: Domani sarai denunciato. C’è un solo modo per evitare l’infamia.

Pourdon digrigna i denti. Esce di casa e si guarda intorno. Non c’è traccia dei quei bastardi. Sono lontano, ormai. Ma li raggiungerà a Parigi, li raggiungerà e li ucciderà. Di certo staranno in guardia, ma in qualche modo farà.

Pourdon corre all’auto. Vede le gomme tagliate. Rimane immobile a fissarle, poi guarda il cielo. Il sole sta già abbassandosi. Deve essere rimasto privo di sensi almeno un’ora, forse di più. China la testa.

Rientra in casa. Guarda il biglietto. Lo prende con la sinistra, lo appallottola, lo getta a terra. Sa benissimo che non c’è altra via.

Fissa la pistola che stringe ancora in mano. Va alla scrivania. Si siede. Guarda nel vuoto.

Spararsi è dargliela vinta. Ma non riuscirà ad ammazzarli. Lo aspettano il disonore e la prigione.

Si infila la canna della pistola in bocca, poi la toglie. Rimane a lungo immobile, poi con un movimento brusco si punta l’arma alla tempia e spara.

 

Nel viaggio verso Parigi, Paul cerca di capire le condizioni di Jules, che è seduto di fianco a lui. Paul avrebbe preferito che fosse Marveau a guidare, per poter parlare liberamente con il fratello, ma Marveau non è in grado di farlo: non ha mai posseduto un’automobile. Paul ha preferito non farsi accompagnare dall’autista di famiglia: è meglio che nessun altro sappia.

Jules è chiaramente sconvolto. All’inizio non riesce a parlare, poi incomincia a raccontare, in modo confuso e disordinato. Sembra che Pourdon lo abbia tenuto prigioniero dicendo che voleva vendicarsi dei Larivière, senza raccontare niente di preciso. Lo ha umiliato e maltrattato, ma Jules non dice di essere stato violentato o torturato. Paul si sente sollevato: temeva che Pourdon potesse aver stuprato Jules per vendicarsi, anche se nel loro rapporto il sergente ha sempre preferito un ruolo passivo.

Marveau tace. Si limita a dire, quando Jules ripete che Pourdon parlava di vendicarsi:

- Dopo l’azione in cui rischiò di essere ucciso, era andato fuori di testa. Aveva bisogno di un bersaglio e ha scelto voi. I Larivière, una famiglia di banchieri, vicini al governo.

Paul sa che le cose non stanno così, ma non dice nulla. È grato a Marveau per aver dato una spiegazione che non lo coinvolge direttamente.

Jules chiede:

- Non cercherà di seguirci? Non…

Marveau risponde:

- Conoscendolo, probabilmente deciderà di uccidersi, Jules. E sarebbe la cosa migliore per te. Non dovrai raccontare della tua prigionia. Potrai inventarti di aver perso la memoria.

Paul annuisce.

- Sì, sarebbe la cosa migliore.

Anche Jules annuisce.

La sera stessa della liberazione di Jules, un uomo inviato dall’investigatore scopre il cadavere del sergente. La notizia del suicidio di Pourdon è per Paul la fine di un incubo. Non c’è rischio che salti fuori il vero motivo per cui Pourdon ha rapito Jules. Nessuno lo sa, a parte Marveau, e sul suo silenzio Paul sa di poter contare.

 

I giorni che seguono sono frenetici. È Paul a occuparsi di tutto e le cose da fare sono tante: Jules risulta morto e ci sono le formalità burocratiche da espletare. Ci sono i giornalisti con cui parlare, difendendo Jules, la moglie e i suoi genitori. La versione ufficiale è che Jules si è risvegliato in campagna, senza ricordare nulla degli ultimi mesi: ha perso la memoria del periodo successivo alla fine della guerra.

Jules non è un soldato come tanti: è il figlio di uno dei grandi banchieri di Francia e tutti vorrebbero sapere dove Jules ha trascorso questi mesi. Il caso ha un’enorme risonanza. Molti giornali sguinzagliano i loro cronisti ed emergono diverse storie. Qualcuno assicura che Jules è vissuto nei boschi della Savoia, dove è stato più volte avvistato dai pastori: è sopravvissuto rubando nelle case qualche cosa da mangiare. Un medico garantisce che è un paziente fuggito dal manicomio di Auxerre, in cui era rinchiuso dalla fine della guerra perché aveva perso la memoria. A Blois molti sono pronti a giurare che Jules mendicava per le vie della città. Qualcuno insinua che abbia fatto parte di una banda che svuotava le case isolate nelle Ardenne. Tutti lo hanno visto, riconosciuto, sono sicuri che si tratti di lui e i giornali si riempiono di ipotesi. In ogni caso Jules Larivière è un soldato che ha combattuto quattro anni in difesa della Francia ed è stato anche ferito: perfino i giornalisti ostili al governo non insistono sui dettagli meno lusinghieri delle diverse versioni.

I Larivière non chiedono di meglio: nella massa di storie contrastanti, della verità non c’è traccia. L’unico che avrebbe potuto raccontarla è morto.

In Jules una traccia è rimasta, profonda, anche se il ritorno in famiglia e la nascita del figlio gli restituiscono progressivamente la serenità. Paul qualche volta parla con lui della prigionia, ma si rende conto in fretta che Jules sta cancellando quel periodo dalla sua mente. L’amnesia di cui è rimasto ufficialmente vittima diventa quasi una realtà: ciò che è successo assume contorni sempre più vaghi. Jules evita di parlarne. Racconta della guerra, fa progetti per il futuro, ma su quei mesi non dice nulla. Il medico che lo assiste dice che è meglio così.

Nelle settimane seguenti, tra il lavoro e tutto ciò di cui deve occuparsi, Paul non ha un minuto libero. Ma il pensiero di Paul va spesso a Balthasar. Non l’ha più visto, in ospedale non ha avuto modo di incontrarlo. Più volte ha avuto la tentazione, a fine turno, di andarlo a cercare, ma c’erano sempre affari urgenti da sbrigare, impegni per cui doveva ritornare a casa o recarsi in qualche ufficio o a colloquio con qualcuno. E poi c’è la vita mondana: Jules deve reinserirsi nella società e Paul è sempre al suo fianco, per proteggerlo. Nei primi tempi Jules ha bisogno di avere accanto il fratello. Solo lentamente recupera la sicurezza di un tempo e si muove con la moglie, senza bisogno di Paul.

 

Un mese e mezzo è passato e Paul non ha più visto Balthasar Marveau. Paul si dice che stanno tutti facendo una pessima figura nei suoi confronti, a parte sua madre, che gli ha scritto una lettera, con la sensibilità che la contraddistingue. Da parte loro non c’è stato altro. Paul non cerca Marveau neanche ora che ha più tempo. Anche se vorrebbe rivederlo, si sta tenendo lontano da lui. Ha paura di soffrire. Soffre già abbastanza. È meglio non cercarlo.

Ripensa spesso alle poche volte che si sono parlati, rivede le espressioni di Marveau, i gesti, ne ricorda le parole. Il pensiero di Balthasar Marveau sta diventando un’ossessione. Ci sono momenti in cui Paul si sente assalire dalla disperazione.

Una sera Charles Larivière dice al figlio:

- Paul, dobbiamo in qualche modo ricompensare Marveau.

Paul sa benissimo che cosa ha in mente suo padre.

- Credo che fargli accettare del denaro sia impossibile.

- Sì, lo capisco, ma quell’uomo ha salvato due volte Jules. E la seconda volta anche te.

Paul ha raccontato ai genitori ciò che è successo durante la liberazione di Jules.

- Bisogna che tu lo convinca ad accettare una somma consistente. Direi sotto forma di un appartamento e di una rendita.

Paul scuote la testa.

- L’hai visto, sai com’è. Non c’è modo.

- Non posso pensare che quell’uomo a cui devo così tanto viva nella miseria.

- Proverò a parlargli. Tieni conto che comunque adesso ha ripreso a lavorare come infermiere.

- So quel che sono pagati gli infermieri. No, lo farò, di sicuro. Ci sono tanti modi.

Paul sa che è inutile parlare con Marveau: non lo convincerà mai, come non riuscirà mai a far cambiare idea a suo padre, che troverà modo di fare ciò che ha in mente.

Ma le parole del padre hanno reso il bisogno di rivedere Marveau più forte della paura. Paul non riesce più a reggere.

 

Paul si informa degli orari di Marveau, poi lo aspetta a fine turno all’ingresso del reparto. Mentre attende si rende conto di stare male, un disagio che cresce a ogni minuto. Vorrebbe andarsene. Non se la sente di vedere Marveau. Ma mentre pensa di allontanarsi, Marveau compare. Paul cerca di sorridere.

- Buongiorno, signor Marveau, la aspettavo.

- Buongiorno, signor Larivière.

Il tono di Marveau è cortese, ma a Paul sembra di avvertire una distanza.

Paul sorride e chiede;

- Posso invitarla a cena?

Marveau sorride. C’è una punta di amarezza in quel sorriso? Paul si chiede se non sta immaginandosi ciò che non è.

- È la seconda volta che mi invita a cena. A casa sua? Ho ripreso a lavorare, ma non mi sono comprato un altro abito.

Sì, c’è amarezza, molta. Che cosa ha pensato Marveau? Che i Larivière si sono serviti di lui per ottenere ciò che volevano e che dopo hanno dimenticato la sua stessa esistenza? Ha avuto tutte le ragioni per pensarlo, sono passate molte settimane e c’è stata solo la lettera della madre di Paul.

- No, al ristorante, in un ristorante qualunque, purché ci sia un angolo tranquillo dove possiamo stare in pace. Vorrei parlarle con calma, io e lei da soli. Purtroppo in quest’ultimo mese sono sempre stato indaffarato: tra il ritorno di Jules e tutte le pratiche da sbrigare e la nascita del bambino, in famiglia è stato... forse può immaginarlo.

- Sì, lo posso capire.

- Allora è disponibile?

Marveau annuisce. Paul si rende conto che avrebbe preferito un rifiuto. È agitato e si sente infelice, un’infelicità che lo sommerge. Vorrebbe solo andarsene, andarsene e non rivedere più quest’uomo che rimane silenzioso al suo fianco. Durante il tragitto scambiano appena poche parole. Paul si dice che avrebbe dovuto dire di no a suo padre.

Paul sceglie un ristorante senza grandi pretese, ma tranquillo.

E mentre si siedono, Paul è sicuro che non troverà mai un modo per proporre a quest’uomo una somma di denaro. E che non gliene importa nulla. È altro ciò che vorrebbe, ciò che potrebbe trasformare la sua sofferenza in gioia.

Paul dice:

- Voglio ringraziarla ancora. Jules è vivo grazie a lei e siamo riusciti a nascondere ciò che è successo.

- Sì, ho letto sul giornale. Perdita di memoria, shock. Mi sembra che sia stata la cosa migliore: ci sono stati diversi casi di soldati che sono rimasti feriti e hanno dimenticato chi erano.

- Sa anche del suicidio di Pourdon, vero?

- Naturalmente. Jules sta bene, ora?

- Jules si sta riprendendo. Ha chiesto più volte di lei, ma il dottore ha consigliato di tenerlo lontano per un po’ di tempo da tutto ciò che può ricordargli il periodo trascorso.

- Capisco.

C’è un momento di silenzio. Paul guarda negli occhi Marveau e si rende conto di stare sempre peggio.

- Signor Marveau, la prego di credere che non siamo degli ingrati. Abbiamo con lei un debito enorme. Mio padre vorrebbe dimostrare la sua riconoscenza in un modo che lei non apprezzerebbe.

Marveau sorride

- No, è vero, non apprezzerei. Lasci perdere l’argomento.

- Io posso lasciarlo perdere, mio padre no. Tornerà alla carica e le dico subito che sa come ottenere ciò che vuole. Temo che si ritroverà intestatario di un appartamento e in possesso di una rendita senza aver modo di impedirlo. Mio padre è peggio di un carro armato tedesco, quando ci si mette.

Marveau sorride.

- Non credo che sia possibile farlo contro la mia volontà.

- Temo che a mio padre sarà possibile. Quando si mette in testa una cosa…

Marveau scuote la testa. Paul riprende:

- Jules, come le ho detto, vorrebbe vederla. Da quando lo salvò in combattimento, per Jules lei è diventato un angelo custode e la sua liberazione non poteva che confermare questa sensazione.

Marveau annuisce.

- Quando il dottore lo riterrà possibile, vedrò molto volentieri Jules.

C’è un momento di silenzio. Marveau fissa Paul senza dire nulla.

- E io… mi sono appoggiato molto a lei e ho trovato in lei una disponibilità…

- Mi ha permesso di recuperare il lavoro. E le assicuro che per me è moltissimo.

- Il lavoro che aveva perso per causa nostra, di fatto.

Marveau alza le spalle. Di nuovo tace, guardando Paul.

Paul deglutisce. Potrebbe finire così. Potrebbero mangiare tranquillamente, chiacchierando dell’ospedale, del lavoro, del più e del meno e poi lasciarsi e non rivedersi più. Se non magari quando Balthasar verrà a trovare Jules. E l’idea è lancinante.

Paul sa che deve parlare, ma non è facile. Ha paura e preferisce procedere a piccoli passi. Sorride e chiede:

- Perché si chiama Balthasar? Voglio dire, è un nome insolito.

- Era il nome di mio nonno. Mia madre è olandese. Era molto affezionata a suo padre, che morì presto.

- È un bel nome.

Balthasar sorride e alza le spalle.

- Molti lo trovano buffo.

- Posso chiamarla Balthasar?

- Come vuole.

- Possiamo darci del tu? Mi è più facile, così.

Balthasar non chiede che cosa è più facile. Si limita a dire:

- Per me va bene, Paul.

Balthasar non sorride più. Fissa Paul, attento.

Paul riprende:

- Tu hai capito benissimo perché Pourdon voleva vendicarsi di me.

- Conoscendo i gusti di Pourdon, mi sono fatto un’idea, ma non sono affari miei.

- Credo che tu abbia capito. Se non ti spiace, vorrei raccontartelo, Balthasar.

- Ti ascolto volentieri, Paul.

Paul sorride, poi, dopo un momento di silenzio, inizia a raccontare:

- Conobbi Pourdon casualmente, due anni fa. Lo incontrai alla Chaumière, un locale frequentato da artisti, ma anche da… gente come Pourdon. E come me.

Balthasar non dice nulla, si limita ad annuire.

- Jules ha sempre amato questi locali, anche se non gli interessano gli uomini. Gli piaceva l’atmosfera particolare, la gente che li frequentava. Ci andavamo ogni tanto insieme. Io e Jules siamo stati sempre molto legati, nonostante la differenza di età. Jules era in licenza e passava quei pochi giorni in casa, con la moglie e noi tutti, ma una sera mia cognata era molto stanca e si coricò subito dopo cena. Jules aveva voglia di uscire, per cui mi chiese di accompagnarlo alla Chaumière. Ci andammo. Era ancora presto per un locale di quel tipo, ma c’erano già diversi clienti.

Paul si ferma. Guarda Balthasar, che lo ascolta attento e concentrato. Prosegue:

- Incontrammo Pourdon, anche lui in licenza. Lui e Jules si conoscevano di vista, non erano nello stesso reparto, allora. Così Jules me lo fece conoscere. Era un bell’uomo, ma questo non devo dirglielo, lo ha conosciuto...

Paul si ferma. Balthasar potrebbe pensare che lui stia insinuando… Balthasar sembra capire il dubbio di Paul, perché risponde:

- Sì, è stato il mio sergente abbastanza a lungo. Non ho mai avuto rapporti con lui. Anche prima, prima dell’episodio che provocò un cambiamento in lui, c’era qualche cosa in lui che non apprezzavo.

Paul valuta le parole che ha usato Balthasar. Non ha mai avuto rapporti con Pourdon perché non apprezzava qualche cosa in lui, non perché non gli interessino gli uomini. Paul si rende conto che il cuore gli batte più in fretta. Riprende a parlare, cercando di celare il suo turbamento.

- Quella sera… Pourdon mi fissava. Ogni volta che giravo la testa nella direzione in cui si trovava, i nostri sguardi si incrociavano. Quando Jules disse che aveva voglia di tornare a casa, lo riaccompagnai e, senza dirgli niente, tornai alla Chaumière. Pourdon non si stupì vedendomi tornare. Mi venne incontro.

Paul è a disagio, ora. Tace. Balthasar osserva:

- Non sei tenuto a raccontarmi nient’altro. Posso intuire il seguito.

Paul fissa Balthasar negli occhi.

- Voglio dirtelo, Balthasar.

Balthasar annuisce.

- Pourdon rimaneva solo dieci giorni. Ci incontrammo ogni giorno, ma conoscendolo meglio, mi resi conto che dietro la grande bellezza fisica c’era una personalità che non mi piaceva: vedute limitate, molto egoismo, meschinità. Non me ne preoccupai: tanto sarebbe partito. E poi… mi vergogno a dirlo, ma in quel momento mi interessava soprattutto…

Paul è in imbarazzo, ma si fa forza e prosegue:

- …soprattutto quello che facevamo a letto. Lui partì e per me la storia era chiusa. Ma quando tornò in una licenza successiva, diversi mesi dopo, si fece vivo. Io lo avevo praticamente dimenticato. Ci furono alcuni momenti molto spiacevoli, minacce velate. Rimase poco e per me fu un sollievo quando partì.

Paul si passa una mano sulla fronte.

- Poi tornò ancora e io ebbi la certezza che avesse… come hai detto? Problemi di squilibrio mentale. Sì. Ero seriamente preoccupato. Al mio rifiuto di riprendere i rapporti giurò di vendicarsi e se ne andò. Non avrei mai pensato che potesse vendicarsi su Jules.

- Già, nel frattempo lui era diventato il nostro sergente.

- Questo è tutto, Balthasar.

Balthasar sorride, un sorriso appena accennato, in cui forse c’è un pizzico di ironia.

- Tutto?

Paul ha l’impressione che gli manchi il fiato. Cerca di sorridere.

- No, non è tutto. Manca la cosa più importante. Balthasar, hai capito, vero?

Balthasar lo guarda negli occhi.

- Credo di sì, ma ho bisogno che tu me lo dica, Paul.

Paul annuisce. Respira a fondo e dice, nascondendo dietro un sorriso la sua agitazione:

- Ti amo, Balthasar.

Balthasar gli prende la mano e gliela stringe.

- Anch’io ti amo, Paul.

 

2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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