Rapimento

 

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Ángel e suo cugino Mario camminano lungo il sentiero che conduce ai campi del Río Verde. È mattina presto e gli alberi alla loro sinistra sono ancora avvolti nella nebbiolina che sale dal fiume. Per questo non si accorgono dei quattro uomini nascosti nel bosco, che ora escono, sbarrandogli la strada. Per un attimo Ángel pensa che siano i guerriglieri, ma sono soldati: indossano la divisa dell’esercito. Difficile dire che cosa sia peggio: gli uni e gli altri uccidono per un mezzo sospetto.

- Chi siete? Dove andate?

Mario fa un passo avanti, verso l’uomo che ha parlato, un sergente. Mario è sempre fiducioso, non ha mai fatto niente di male e pensa che tutti siano come lui. Ángel è più diffidente, preferisce rimanere dietro.

Mario sorride mentre dice:

- Siamo due contadini. Andiamo al nostro campo, vicino alla piantagione dei Barral, lungo il Río Verde.

Ángel tiene lo sguardo fisso sul cugino, ma con la coda dell’occhio controlla i movimenti dei soldati, che hanno i fucili puntati contro di loro. Non gli piace questa faccenda, avverte un pericolo. Mario è davanti a lui, il bosco è a un passo ed è abbastanza fitto. Ángel fa finta di niente, ma è pronto a scattare.

- Non siete contadini. Siete due figli di puttana delle FARC.

Le parole del sergente sono un segnale per i soldati: ognuno preme il grilletto dell’arma che stringe in mano. La raffica parte, ma Ángel è già balzato di lato e si infila tra le piante. Corre, sapendo che la sua unica speranza di salvezza è nella fuga.

I soldati sparano nella sua direzione, ma ci sono troppi alberi. Due provano a inseguirlo, ma dopo poco ci rinunciano: non vogliono rischiare di incontrare dei veri guerriglieri.

Ángel continua a correre, saltando fossi e infilandosi sotto i rami. Gli manca il fiato, ma corre lo stesso, badando solo a non cadere, a non fermarsi, finché non è sicuro di aver seminato gli inseguitori. Allora crolla contro un albero, mentre sente il cuore che continua a correre all’impazzata.

Mario è morto, lo sa benissimo. I soldati gli metteranno in mano una pistola, diranno che era delle FARC e riscuoteranno la ricompensa per avere ucciso un guerrigliero.

Ángel si siede su un masso. Ricaccia indietro le lacrime. Non è tempo di piangere. Adesso basta.

 

*

 

Rafael Lima scende dall’auto che lo ha accompagnato all’aeroporto. Il suo soggiorno in Colombia è finito, tra un’ora prenderà l’aereo e tornerà negli Stati Uniti. Rafael è contento di partire: in Colombia la sua vita è in pericolo e neanche le quattro guardie del corpo sono sufficienti a dargli una piena sicurezza. Rafael sa benissimo che ci sono infinite persone che desiderano saldare vecchi conti rimasti in sospeso quando lui si è trasferito a New York.

Adesso sono tutti più rilassati, anche le guardie scherzano tra di loro. Sanno di aver rischiato la pelle: proteggere Rafael Lima è un compito pericoloso e non sarebbe la prima volta che gli uomini della scorta vengono uccisi insieme a chi dovrebbero proteggere.

Un taxi si ferma dietro la loro auto. Un uomo scende dal sedile posteriore con un borsone. Rafael non ci bada, ma una delle guardie si irrigidisce. Poi tutto è rapidissimo. La guardia gli salta addosso e lo manda a terra, mentre la sventagliata di mitra passa appena sopra le loro teste e falcia le altre guardie. L’uomo che lo ha spinto a terra è già rotolato di lato e ora spara. Un unico colpo, ma l’assassino crolla a terra. Il taxi parte sgommando, ma la guardia spara ancora. L’auto sbanda e si schianta contro un pilone.

È avvenuto tutto in pochi secondi. Rafael Lima si alza. È illeso. Due delle guardie devono essere morte, il terzo si contorce a terra. Quello che ha sparato si è già rialzato. Ha una ferita al braccio sinistro, ma dev’essere solo un colpo di striscio.

Il killer è al suolo, un foro in fronte. Il conducente del taxi giace riverso sul volante.

Mentre i poliziotti di guardia all’aeroporto arrivano di corsa, Rafael Lima si volta verso la guardia che ha sparato.

- Come cazzo hai fatto a capire?

- Quel taxi, aveva il motore truccato, si sentiva dal rumore. Non era un vero taxi, quello, era evidente. E quando il tizio è sceso, il modo in cui teneva il borsone… era chiaro che tirava fuori l’arma.

Rafael annuisce. Tutto chiaro, tutto evidente. Se uno non perde la concentrazione neanche un nanosecondo e se il cervello gli ragiona in fretta. Molto in fretta.

- Come ti chiami?

- Pablo Montaña, signor Lima.

- Mi ricorderò di te, Montaña, puoi contarci. E se mai volessi trasferirti negli USA, ci penso io a procurarti il visto e un lavoro.

- Grazie, signor Lima.

- Grazie a te, Montaña. La mia pelle vale molto di più di quello che ti ho promesso.

Rafael ride e aggiunge:

- Almeno per me.

 

*

 

Ángel ha dormito da zio Julio nelle ultime tre notti. Temeva che i soldati potessero venirlo a cercare dai suoi. Mario risulta un guerrigliero morto in uno scontro a fuoco con l'esercito. I soldati hanno ricevuto un premio per averlo ucciso.

Al funerale di Mario partecipa anche Ángel, tanto i soldati di certo non si fanno vedere: preferiscono evitare che nascano tensioni con la popolazione del villaggio. Lo sanno anche loro che Mario era solo un contadino.

Per la cerimonia arriva anche il fratello di Mario, José. Lui ha sei anni più di Ángel e vive a Bogotà. Dopo che la bara è stata calata nella fossa e ricoperta di terra, Ángel si avvicina a José. Parlano un momento di ciò che è successo, poi Ángel dice:

- Mario mi aveva detto che tu gli avevi proposto un lavoro a Bogotà.

José lo guarda, come se volesse leggergli dentro.

- Sai di che lavoro si trattava?

Ángel annuisce.

- Mario mi aveva spiegato. Lui non voleva. Ma a me piacerebbe. Non voglio stare qui. Che senso ha?

José non gli toglie gli occhi di dosso nemmeno un istante mentre dice:

- Ci vogliono i coglioni per quel lavoro. E potresti fare la fine di Mario.

- Non ho paura, José.

José annuisce.

- Va bene. Ti chiamo la settimana prossima, dopo che ho parlato con le persone giuste.

Ángel sorride. Non rimarrà più qui. Non ha senso. A Bogotà avrà un lavoro. Un lavoro ben pagato. Se bisogna rischiare la pelle, che almeno ne valga la pena.

 

*

 

Ana guarda Pablo dormire. Nel sonno Pablo ha il respiro pesante, che a tratti diventa un leggero russare. Per il momento dorme da lei, perché non ha una casa. Ma in realtà è Pablo a pagare l’affitto della casa in cui vive Ana, lei non potrebbe mai farcela con quello che guadagna come donna delle pulizie. Grazie a Pablo vive in un appartamento con l’elettricità, il gas, l’acqua potabile, il telefono. Pablo guadagna bene, di lui dicono tutti che è molto in gamba.

Come guardia del corpo Pablo dorme abitualmente nella casa delle persone per cui lavora, ma adesso, in attesa di guarire dalla ferita, ha un periodo di riposo, pagato dall’agenzia. Pablo le ha detto che il signor Lima, a cui ha salvato la vita, gli ha mandato una grossa somma. Gliene darà quasi la metà. E, anche se non gliel’ha detto, quasi un’altra metà andrà a Rosa, come avviene per ogni gratifica o compenso straordinario. Per sé Pablo tiene poco, ma lui non ha bisogno di molto, ha già un buono stipendio, quello con cui paga l’affitto della casa e le bollette di Ana, domiciliate su un suo conto, e tante spese anche per Rosa.

Ad Ana poco importa di quei soldi. Vorrebbe che Pablo cambiasse lavoro. La ferita al braccio è molto superficiale, in quindici giorni Pablo sarà completamente guarito e potrà riprendere il suo lavoro. Ma due degli altri uomini della scorta sono morti e uno è ricoverato in ospedale. Forse se la caverà, ma non è detto.

Pablo fa un lavoro pericoloso e Ana è in ansia.

Non è solo il lavoro.

 

Ana ripensa a un giorno di dodici anni prima. Vivevano a Ciudad Bolivar, allora. Lei, Xavier, Pablo e Rosa. Non era facile tirar su tre figli per lei: facendo le pulizie non si guadagna molto. Ma gli anni più duri erano alle spalle, ormai, Xavier e Pablo erano grandi e si guadagnavano la vita. Meditavano di cercare un appartamento in un quartiere più vivibile.

Xavier e Pablo erano il giorno e la notte, come aspetto e come carattere. Xavier basso e magro, posato, tranquillo, prudente, serio, con un lavoro stabile, uno che si faceva i fatti suoi, pochi amici, tutti con la testa a posto. Pablo grande e grosso, irruente, sempre in movimento, espansivo, insofferente di fronte a ogni ingiustizia, pronto ad attaccar briga con i prepotenti, tanti amici di tutti i tipi. Quante volte aveva tremato al pensiero che Pablo si ficcasse nei guai per difendere qualcuno.

Ma quando erano venuti a cercare Pablo, quella sera, lui non c’era. C’era Xavier. E allora avevano sparato a lui, perché tanto volevano solo dare una lezione a Pablo. Per loro ammazzare lui o il fratello era lo stesso. Ana rabbrividisce al ricordo, vivido. Rivede Xavier inerme, falciato dalla raffica. Lo vede cadere al suolo senza neppure capire. E Pablo che arrivò pochi minuti dopo, ansante, stravolto, Pablo che già sapeva ma che rifiutava di crederci, in lacrime sul corpo del fratello. La disperazione di Pablo l’aveva sgomentata. Sapeva che i suoi due figli si volevano bene, ma c’era nel dolore di Pablo un abisso. E in quell’abisso Pablo è andato sprofondando sempre più. Da allora vive con questo eterno senso di colpa. A volte Ana ha l’impressione che cerchi la morte, quella morte che ha avuto suo fratello al posto suo. Pablo non si perdona di essere vivo. Da quell’abisso non è mai uscito, anche se a chi non lo conosce può sembrare un uomo sereno.

 

*

 

Il poliziotto fa segno di fermarsi, ma l’automobilista non obbedisce e accelera. Il poliziotto salta in moto e si mette a inseguire l’auto, che poco dopo svolta in una strada sterrata, nella speranze di seminare il suo inseguitore. La strada però è breve e senza uscita: l’automobilista è costretto a bloccarsi in una piazzola ai margini di un bosco. Il poliziotto ferma la moto dietro l’auto e salta a terra, impugnando la pistola. Anche l’automobilista scende e, a un ordine dell’agente, alza le mani. Il poliziotto sembra furibondo, si avvicina all’uomo e lo afferra per la cravatta, avvicinandolo a sé. E allora l’automobilista prende tra le mani la testa dell’agente e lo bacia. Il poliziotto rimane senza parole, ma poi si abbandona a quel bacio. Quando infine si stacca, scuote la testa, ma l’uomo si inginocchia davanti a lui e incomincia a slacciargli la cintura, poi gli cala i pantaloni e i boxer e prende in bocca il cazzo dell’agente, già teso. E dopo che l’uomo ha succhiato e leccato per un bel po’, il poliziotto lo spoglia, lo forza a mettersi prono sul cofano dell’auto e glielo mette in culo. Il film prosegue, ma Hernando viene mentre sullo schermo è il turno del poliziotto di prenderselo in culo, sdraiato di schiena sul cofano, le gambe sulle spalle dell’automobilista, la mano intorno al cazzo per farsi una sega.

Hernando si pulisce, poi getta il fazzoletto di carta nel cestino. Scuote la testa, mentre distrattamente segue ancora il filmato che ha acquistato su uno dei tanti siti. Si chiede se mai un giorno troverà il coraggio di provare davvero con un altro maschio. Non in Colombia, di certo: Hernando García è sposato ed è un uomo conosciuto, appartiene a una delle famiglie più ricche del paese. Se andasse in un locale gay, dovrebbe farsi accompagnare dalle guardie del corpo, che poi magari lo racconterebbero in giro. E se andasse in incognito, a parte i rischi, potrebbe comunque essere riconosciuto. Anche se facesse venire un escort a casa sua, potrebbero venirlo a sapere e ricattarlo.

Potrebbe provare in un altro paese, negli USA, ad esempio, dove può muoversi in sicurezza, senza il rischio che qualcuno lo riconosca. Ogni volta che va a New York, viene anche Diana, che ama viaggiare, soprattutto nelle grandi città statunitensi o europee, dove si può dedicare agli acquisti. Mentre Diana gira per negozi, lui potrebbe…

Qualcuno bussa alla porta. Il film è finito, ma Hernando spegne il computer, poi dice:

- Avanti.

Guillermo annuncia l’arrivo della nuova guardia del corpo, quella che prenderà il posto di Julio. Hernando scende con Guillermo.

La nuova guardia è un marcantonio, più alto di Hernando di una spanna. Ha un viso simpatico e un fisico possente che a Hernando fa venire l’acquolina in bocca. Ma di certo le sue guardie del corpo sono le ultime persone al mondo con cui potrebbe pensare di provare.

L’uomo si chiama Pablo Montaña. All’agenzia gli hanno detto che è l’uomo migliore che hanno, è quello che all'aeroporto ha salvato la vita a quel miliardario colombiano che ora vive negli USA. Questo Pablo Montaña (il nome è azzeccato: è davvero una montagna) costa caro, ma la sola vista vale la spesa.

 

*

 

Pablo ha appena concluso un altro giro di ricognizione. La villa di Hernando García è un vero palazzo. Le altre guardie dicono che quando sono a casa, non è necessaria la sorveglianza: ci sono già le telecamere, il custode e una guardia all’ingresso. E poi la villa sorge nel cuore della Zona Rosa, l’insieme dei quartieri più ricchi. Non c'è il rischio che qualcuno cerchi di rapire il padrone nella residenza.

Pablo però vuole conoscere bene l’ambiente in cui lavora: gli hanno insegnato a non abbassare mai la guardia. Adesso, dopo qualche giorno e diversi giri, si è fatto un’idea precisa della disposizione dei locali: informazioni che è utile avere se dovesse mai succedere qualche cosa di imprevisto. Ha anche incominciato a conoscere il personale della casa, tutte persone selezionate con cura: senza referenze di un certo tipo non si entra nella casa dei García (di questi García, almeno; in tutti i paesi di lingua spagnola è un cognome comunissimo e ci sono tantissimi García poveri).

Pablo si è tenuto alla larga solo dalle camere della moglie del padrone: i colleghi gli hanno detto che Diana Villamizar García non vuole vedere le guardie girare per la casa, anche se naturalmente quando esce viene sempre accompagnata da tre o quattro uomini.

La signora García li ignora completamente, anche quando loro la scortano. Invece il padrone è cordiale, a volte scherza con loro. Pablo non ha ancora avuto occasione di accompagnare la signora quando esce da sola: il padrone lo prende sempre con sé e quando la moglie se ne va per i fatti propri, la proteggono altre guardie.

- Pablo, dove cazzo ti eri cacciato? Il padrone ci ha chiamato.

- Sono pronto.

Pablo è sempre pronto, tranne quando dorme. Di solito dorme come un sasso, ma se occorre può sonnecchiare senza abbandonarsi completamente, in modo da essere pronto ad agire.

Il padrone va dal fratello minore, Andrés. Pablo ha capito che ci sono dei problemi con i due fratelli. Il maggiore, Diego, è nato da un’altra madre e sembra detestare sia il signor Hernando, sia Andrés. Il signor Hernando invece è molto affezionato al fratello minore.

Andrés si è rovinato con alcune speculazioni sbagliate. Stando a quel che dice Gabriel, è stato Diego García a trascinare il fratello in quegli affari sbagliati, proprio per mandarlo sul lastrico. Ci ha provato anche con il signor Hernando, ma non ci è riuscito. 

Durante la visita a casa di Andrés, le guardie non hanno niente da fare: c’è già il servizio di sorveglianza di Andrés García. Gabriel dice che è Hernando García a pagare anche per il fratello. Gabriel chiacchiera molto. Pablo non dice nulla, gli sembra scorretto parlare del datore di lavoro, ma ascolta con attenzione, senza mostrare interesse. Ogni informazione potrebbe rivelarsi utile.

Dopo due ore i fratelli escono in giardino. Si sono appena salutati, quando Andrés incespica nella gamba di una sedia a sdraio. Cadrebbe malamente al suolo, ma Pablo è scattato in avanti e fa in tempo a sostenerlo.

Andrés lo guarda, sorridendo, e gli dice:

- Grazie. Senza di te finivo a terra.

Poi il viso di Andrés si incupisce, mentre aggiunge:

- A terra ci sono finito comunque.

Pablo dovrebbe far finta di non capire, non tocca a lui immischiarsi degli affari della famiglia García, ma gli viene da dire:

- Quando si finisce a terra, ci si può sempre rialzare.

Andrés lo fissa, un po’ stupito. Anche il padrone lo guarda. Pablo si chiede se non avrebbe fatto meglio a stare zitto. Ma Andrés sorride.

- Hai ragione. Si può fare. Anche Hernando me lo dice sempre. Basta farsi aiutare dalle persone giuste. E diffidare di quelle sbagliate. Tu devi essere di quelli su cui si può contare.

Anche il signor Hernando sorride, mentre Pablo risponde:

- Grazie.

 

*

 

Hernando si siede e guarda lo specchio d’acqua della piscina. Chiude gli occhi. Si sente stanco e solo. Gli sembra di essere in un vicolo cieco, da cui non riesce a uscire. Ha sbagliato le sue scelte e paga i suoi errori. Ma il prezzo è alto.

Hernando riapre gli occhi, fissa l’acqua trasparente e pensa che vorrebbe immergersi e non risalire mai più. Distoglie lo sguardo e vede in piedi, di fianco alla piscina, Pablo Montaña.

Di solito, quando è a casa propria, le guardie del corpo non stanno vicino a lui: nella villa non c’è bisogno di nessuna protezione particolare, a parte la sorveglianza all’ingresso. È ben difficile che qualcuno venga rapito in casa. Perciò uno degli uomini al suo servizio rimane con il custode, gli altri se ne stanno per conto loro. Ma oggi Hernando ha detto a Pablo di seguirlo. Perché, non saprebbe dire. È conscio che quest’uomo, l’ultimo assunto tra le sue guardie, gli piace. È un bel maschio, forte, spalle larghe, mani possenti, barba scura. Ma non gli piace solo sul piano fisico, lo apprezza anche come persona. Lo conosce poco, sono solo due mesi che l'ha assunto, ma in alcune occasioni ha colto in lui una sensibilità che agli altri sembra mancare.

Pablo rimane fermo, in piedi, sotto il sole, con la sua giacca e la cravatta. Non guarda Hernando, ma è evidente che aspetta un ordine: è stato il padrone a dirgli di seguirlo e ora lo ha mollato lì sotto il sole cocente. Hernando si dà dello stupido e scuote la testa.

- Pablo, siediti qui all’ombra.

Pablo appare un po’ stupito, ma obbedisce senza discutere. Ora è sulla sedia di fianco a quella di Hernando.

Hernando non sa bene che cosa dire. Ha ordinato a Pablo di seguirlo, ma non ha nessun compito da affidargli, nulla di cui parlargli, di certo non gli dirà niente del desiderio oscuro che questo maschio suscita in lui, un desiderio che preferisce ignorare. Improvvisa:

- Sono due mesi che sei qui, Pablo. Come ti trovi?

- Molto bene, signor García.

Hernando non sa come proseguire. Dopo una pausa, chiede:

- Com’è che hai deciso di fare questo lavoro, Pablo?

- Sono nato nel quartiere di Ciudad Bolivar e fin da ragazzo mi sono trovato spesso a menare le mani. Inevitabile, se cresci in un posto del genere, ma devo dire che mi piaceva.

Pablo sorride e aggiunge:

- Ero una testa di cazzo, lo ammetto. Credo di esserlo ancora, signor García.

Pablo ride, una breve risata. Il suo viso si illumina quando sorride. Poi conclude:

- Comunque uno zio mi propose di entrare in un’agenzia che noleggiava guardie del corpo. Seguii il corso di addestramento, ho avuto alcuni incarichi, ho cambiato agenzia… e ora eccomi qui.

Hernando annuisce. Pablo non l’ha detto, ma deve essere davvero bravo: l’agenzia a cui si rivolge Hernando è la migliore della Colombia e le guardie devono superare selezioni durissime. E all'agenzia dicono che lui è il migliore dei loro uomini. Hernando si rende conto che non può continuare a rimanere in silenzio. Osserva:

- Vivere a Ciudad Bolivar non deve essere facile.

È un commento insulso, se ne rende perfettamente conto. Una banalità che non ha senso nemmeno nelle chiacchiere in salotto, ma che rivolta a uno che a Ciudad Bolivar è vissuto sembra quasi offensiva.

Pablo annuisce, per un attimo guarda lontano, poi rivolge di nuovo lo sguardo a Hernando e risponde:

- No, non lo è, soprattutto se tuo padre è un figlio di puttana. Se ne andò lasciando mia madre con due bambini piccoli e una terza in arrivo.

- Quindi hai un fratello e una sorella.

Sul viso di Pablo è scesa un’ombra.

- Solo una sorella. Mio fratello rimase ucciso in una sparatoria. Lui non c’entrava niente, fu ammazzato al posto di un altro.

Hernando si pente di aver chiesto.

- Mi spiace, non volevo…

Pablo alza le spalle.

- È un pezzo della mia vita, signor García. E forse è grazie a lui se sono qui.

- In che senso?

- Sarei potuto finire in una delle tante bande, volevano ingaggiarmi, perché dicevano che avevo fegato ed ero bravo a menare le mani. Ma l’idea non mi andava a genio. E dopo la morte di Xavier, mio fratello… non volevo avere niente a che fare con quegli assassini.

- Non hai avuto una vita facile.

Anche questa è un’osservazione insulsa. Hernando ha l’impressione di riuscire a dire solo banalità. Non riesce a trovare le parole per parlare davvero con Pablo.

La guardia alza di nuovo le spalle.

- Non credo che la vita sia tanto facile per nessuno.

Hernando abbassa gli occhi.

- Credo che tu abbia ragione…

Hernando non sa più che dire. Perché ha ingiunto a Pablo di seguirlo? Che cosa può dirgli? Tra lui e quest’uomo c’è una distanza immensa. Può forse raccontargli le faccende private della famiglia García?

C’è un momento di silenzio, poi Pablo dice:

- Voleva dirmi qualche cosa, signor García?

Hernando scuote la testa.

- Niente, solo fare due chiacchiere, conoscerti un po’ meglio...

Hernando è sul punto di dire a Pablo che può andarsene, ma Pablo osserva:

- Pensavo che volesse sfogarsi un po’.

Hernando fissa la sua guardia, stupito. Pablo aggiunge:

- Mi scusi, forse non so stare al mio posto, ma mi sembra che lei sia triste e stanco in questo periodo.

Hernando è disorientato. Pablo ha colto perfettamente il suo stato d’animo e il suo bisogno di confidarsi; questo non è strano, ha già avuto modo di notare la sua sensibilità. Ma non si aspettava un invito alla confidenza da un suo dipendente che conosce appena. Hernando si rende conto di avere diversi pregiudizi di classe, com’è forse inevitabile nella società in cui vive. Uomini di condizioni sociali diverse si parlano solo per lavoro. O al massimo parlano di calcio.

Il desiderio di parlare è forte, Hernando non vuole continuare a tenersi dentro tutta la sua sofferenza. Ma come può raccontare a questo sconosciuto affari così personali? Eppure c’è negli occhi di Pablo una disponibilità senza limiti.

Hernando guarda l’acqua.

- Hai ragione, Pablo. La vita non è facile. Soprattutto quando accumuli cazzate su cazzate. E quando…

Hernando si interrompe. Scuote la testa. Non ha senso parlarne alla sua guardia del corpo. Anche se… a chi altri può parlarne?

Pablo sorride e osserva:

- In quanto a fare cazzate, non credo di essere secondo a nessuno, signor García, è difficile che mi batta.

C’è un attimo di pausa, poi Pablo chiede:

- E lei, che cazzate è pentito di aver fatto?

Hernando scuote la testa. E di colpo cede.

- Non mi sarei dovuto sposare, Pablo. Sono un pessimo marito. E un pessimo fratello.

- Sul marito, non posso pronunciarmi, ma sul fratello non è vero. Se non fosse per lei, non so che ne sarebbe del signor Andrés.

Hernando sorride, ma è un sorriso amaro.

- Mio fratello Diego dice che con Andrés sbaglio tutto e che lo sto rovinando.

Pablo esita un attimo, poi dice:

- Mi sembra di capire che invece è stato il signor Diego a rovinare il signor Andrés, economicamente. E forse non…

Pablo si interrompe, forse conscio di essersi già spinto troppo oltre. Hernando lo guarda allibito.

- Come lo sai?

Pablo alza le spalle.

- Signor García, mi scusi se mi sono permesso. La gente parla. E a volte parla anche davanti a noi, le guardie. Mi è capitato a volte di sentire frasi e commenti. Il signor Diego sembra odiare il signor Andrés e…

Di nuovo Pablo si ferma.

- Finisci la frase.

- E credo che odi anche lei, signor Hernando, scusi se glielo dico.

Hernando china la testa. L’ha sempre saputo, anche se a volte si è detto che forse si ingannava, ma la conferma che gli viene dalla guardia gli fa male. Diego ha sempre odiato lui e Andrés, i due fratelli nati dal secondo matrimonio del padre.

Hernando rialza il capo e guarda Pablo, con un sorriso amaro.

- E di me come marito, che cosa sai?

Questa volta è Pablo a chinare la testa.

- Mi scusi, signor García, non sono affari miei. Sono sempre una testa di cazzo. Mi scusi.

- Non c’è niente di cui scusarsi, Pablo. Ma vorrei che tu rispondessi alla mia domanda.

Pablo respira a fondo e dice:

- Non è in buoni rapporti con sua moglie. Ognuno dei due vive la sua vita, di giorno…

Ancora una volta Pablo si ferma senza finire la frase.

- …e di notte. Hai ragione, Pablo, sono otto mesi che non scopo con mia moglie e non ne ho nessuna voglia. Come vedi la mia vita privata, se posso ancora chiamarla tale, visto che ormai tutti sanno tutto, è un fallimento completo.

- Mi spiace, signor García. Non se lo merita.

- Che ne sai tu?

- Lei è una gran brava persona.

Hernando scuote la testa.

- Lascia perdere, Pablo. Adesso è meglio che tu vada. E dimentica tutte queste cazzate.

Pablo si alza.

- Sì, signor García. Di sicuro non dirò una parola. Mi scusi se sono stato invadente.

Sembra voler dire ancora qualche cosa, ma cambia idea e non aggiunge altro.

Hernando guarda Pablo allontanarsi. Guarda le spalle larghe, il grosso collo, la testa con i capelli tagliati corti. Ha fatto male a parlargli dei suoi casini, a che serve? Che figura ha fatto, davanti a quest’uomo? Avrebbe fatto meglio a stare zitto. Perché gliene ha parlato? Che cosa penserà di lui?

Hernando si alza. Guarda ancora la piscina. La usa di rado. E Diana non entra mai in acqua, al massimo prende il sole sul bordo. Potrebbe lasciarla usare alle sue guardie del corpo, oggi.

Hernando non sa come mai gli è venuto questo pensiero.

Rientra in casa e incrocia Gabriel, una delle sue guardie.

Gli dice:

- Se tu e gli altri volete usare la piscina oggi, potete farlo. Per rinfrescarvi un po'.

Gabriel è chiaramente stupito.

- Grazie, signor García. È davvero gentile da parte sua.

Hernando sale in camera, poi passa nello studio e si siede davanti al computer. Lo accende e mette uno dei film che acquista online. Lo guarda per qualche minuto, ma poi si alza, irrequieto. Si alza e va alla finestra, da cui si vede la piscina. Le guardie sono arrivate. C'è anche Pablo Montaña. Hernando lo guarda togliersi l'accappatoio. Ha un bel corpo, forte, muscoloso, come si capiva anche guardandolo vestito. Una leggera peluria sul petto e un pacco alquanto promettente. Hernando pensa che gli piacerebbe scendere e nuotare anche lui in piscina con le guardie, con Pablo, ma se ci fosse lui, loro non si sentirebbero liberi. Gabriel, Henrique e Juan ridono e scherzano sul bordo della piscina. A un certo punto Henrique abbassa il costume a Juan. Ridono tutti, tranne Pablo. Lui sorride appena. Pablo è sempre serio, di rado lo si vede ridere. Peccato che non partecipi agli scherzi degli altri. Adesso Juan è saltato addosso a Henrique e finiscono tutti e due in acqua, lottando.

Pablo li guarda un momento, poi si tuffa anche lui.

Hernando rimane a osservarli. Quando Henrique esce dalla piscina, è il turno di Juan di abbassargli il costume. Lo fa mentre Henrique si sta sollevano e riesce a sfilarglielo. Henrique ha un bel culo, armonioso. Cerca di recuperare il suo costume, ma Juan si immerge, facendolo scivolare lungo le gambe di Henrique, fino a toglierlo. Henrique ora è sul bordo della piscina, nudo. Non è un bell'uomo, ma anche lui è forte. È molto peloso e questo a Hernando non dispiace. Ha un cazzo piuttosto voluminoso. Henrique guarda Juan, poi si getta su di lui e lottano in acqua. Ne emergono tutti e due nudi. Juan lancia il costume di Henrique sul prato e Henrique quello di Juan su una delle poltrone. Poi tutti e due attaccano Gabriel, che si difende, ma finisce per rimanere anche lui senza costume.

Pablo esce dall'acqua e si rimette l'accappatoio. Non ha partecipato agli scherzi, sorride appena. Sembra stare per conto suo. Peccato. A Henrique sarebbe piaciuto vederlo nudo, anche solo per un attimo. Gli altri tre scherzano ancora, poi ognuno si mette l'accappatoio e recupera il proprio costume.

 

*

 

Questa sera le guardie accompagnano la signora García a una festa, a cui Hernando non partecipa. Pablo non è di turno: lui smonta alle dieci. Pablo sale nella sua cameretta. Apre la finestra e rimane a guardare fuori. Non c’è una grande vista, solo un pezzo di giardino e il muro di fronte. Ma Pablo non vede nemmeno quello. Pablo è immerso in un flusso di pensieri e ricordi. La conversazione con Hernando García l’ha turbato, ci ha ripensato tutto il pomeriggio. Non si è stupito di ciò che è emerso dal dialogo con il padrone. Ormai Pablo conosce benissimo le tensioni esistenti nella famiglia. Diego García, che ogni tanto passa dal fratello, e la moglie di Hernando non gli raccontano certo i loro affari, ma non si preoccupano troppo della sua presenza: una guardia del corpo non è un essere umano, è poco più di un animale. Pablo ha avuto occasione di assistere a telefonate e dialoghi da cui ha capito molte cose. È successo anche ai suoi colleghi. Lui non racconta mai agli altri quello che scopre, ma gli altri si fanno meno problemi, soprattutto Gabriel. Una volta ha riferito che la moglie di Hernando García, parlando al telefono con la sorella, ha detto che il marito era un finocchio impotente. Questo Pablo si è guardato bene dal riferirlo a Hernando García. Il padrone è un uomo molto solo. Gli fa pena. Vorrebbe poter fare qualche cosa per lui, ma che cosa? Ha cercato di offrirgli la sua disponibilità ad ascoltarlo, altro non ha. Ma Hernando García era già pentito di avergli detto quelle poche cose.

Pablo è angosciato. Non sa perché la conversazione con il padrone ha scatenato questa angoscia, che lo ha tormentato tutto il giorno. C’è stato un tempo in cui era sereno, tutto passava su di lui senza lasciare il segno. Ma la morte di Xavier ha cambiato la sua vita. Basta poco per far riaffiorare sensi di colpa e scatenare crisi di angoscia, violente e devastanti.

Pablo ripensa a suo fratello. Xavier gli voleva bene. Ma Xavier è morto, ammazzato al posto suo, perché lui quel giorno non era in casa, perché quel giorno aveva detto a un falso amico che sarebbe rientrato alle sei, ma era arrivato dopo. Aveva fatto conoscenza con un tizio che gli era piaciuto e avevano scopato. Così era arrivato in ritardo al suo appuntamento con la morte. Pablo china la testa. La disperazione lo travolge. 

Hernando García è molto attaccato al fratello Andrés, lo aiuta, lo sostiene. Lo ha salvato dalla disperazione. Pablo ha provocato la morte di suo fratello.

Con gesti rabbiosi Pablo si spoglia. Rimane nudo per un momento, immobile. Apre un cassetto. Esita un attimo, poi prende i jock-strap e se li infila. Si mette un paio di jeans, una t-shirt e le scarpe. Al polso un bracciale metallico. Scende in garage e si siede in auto, ma non avvia il motore. Non vuole andare, vorrebbe trovare la forza per tornare in camera. Ma sa che non c’è altra strada per tenere a bada l’angoscia che lo dilania.

Chiude gli occhi e rimane fermo. Non ce la fa, non ce la fa.

Con uno scatto iroso, Pablo avvia l’auto, esce dal garage della villa e si dirige verso Chapinero, dove si trova il Dark Club. Non ci va spesso, di solito preferisce i locali dove si può ascoltare un po’ di musica, soprattutto il Color House Café Bar. Talvolta va al Theatron, anche se di rado balla. Ma quando è di umore nero, va al Dark Club. A Pablo il Dark Club non piace, non gli piace la gente che frequenta quel posto, l’assoluta mancanza di ogni rapporto umano, il ridurre l’altro a puro mezzo per soddisfare le proprie esigenze o fantasie. Ma questa sera ha bisogno esattamente di questo, ha bisogno del Dark Dungeon, l’area del club riservata al sesso più anonimo e violento, per stordirsi di sesso e violenza, per soffocare il suo bisogno inappagato di tenerezza, di affetto. Pablo sa benissimo che quello che fa è assurdo, ma la sofferenza è troppo forte e Pablo non conosce altro modo per placarla.

Pablo parcheggia nei pressi del Dark Club e raggiunge il locale. Paga i quindici dollari del prezzo d’ingresso – non è un problema, il salario che riceve è alto – e raggiunge gli spogliatoi. Si toglie tutto quello che indossa, tranne i jock-strap, chiude lo sportello e si mette la chiave al bracciale. Nel locale ci sono altri due uomini, che non gli hanno tolto gli occhi di dosso nemmeno un secondo. Pablo non ha un bel viso, ma è un maschio vigoroso e il suo corpo suscita il desiderio degli altri, questo lo ha notato spesso.

Ora Pablo è pronto. Per altri il Dark Dungeon è una festa sfrenata in cui possono abbandonarsi completamente alle loro fantasie. Per Pablo è una droga che gli consente di dimenticare la sua infelicità.

Appena Pablo è entrato, un uomo si avvicina. Ha almeno vent’anni in più di Pablo, è magro e ha le braccia, il torace e gran parte della schiena coperti da tatuaggi. Gli sorride e gli dice:

- Hai voglia di frustarmi?

- Perché no?

Pablo prende una frusta: ce ne sono diverse a disposizione dei clienti.

L’uomo entra in una delle gabbie. Alza le braccia e le mette vicino alle catene che pendono dalla parete. Pablo sa quello che l’uomo si aspetta: gli blocca i polsi con le catene, poi fa un passo indietro, alza la frusta e l’abbatte sul culo dell’uomo. Pablo colpisce con decisione e l’uomo si tende ogni volta. Segni rossi compaiono sulla schiena. Pablo vorrebbe andarsene, lasciare questo inferno assurdo in cui è entrato volontariamente, ma sa che non se ne andrà. Pablo colpisce ancora, più volte. L’uomo grida frasi sconnesse, bestemmie, lamenti, imprecazioni, lo incita a colpire ancora.

A un certo punto l’uomo crolla contro la parete. Pablo si ferma. Si toglie i jock-strap, si infila il preservativo e appoggia le mani sul culo che gli si offre. Divarica le natiche ed entra con un movimento brusco che strappa un grido all’uomo.

Pablo fotte con energia. È bravo, Pablo. Chi ha avuto modo di provarlo lo apprezza molto. Pablo ci dà dentro e la sua destra passa davanti e incomincia a tormentare il cazzo e i coglioni dell’uomo. Stringe, forte, molla la presa, afferra di nuovo. L’uomo geme, sempre più forte, finché non viene. Allora Pablo esce da lui. Non è venuto, ma non gli interessa, non ora. Pablo libera i polsi dell’uomo dalle catene. L’uomo crolla in ginocchio. Respira a fatica. Annuisce, come rispondendo a una domanda inespressa.

Pablo si rimette i jock-strap. Ha il grosso cazzo ancora duro, che li tende. Pablo si volta e si allontana. Non si sono neanche detti il nome, ma la gente non viene qui per fare conoscenza.

Pablo si ferma. Si chiede che ci fa qui, perché è venuto. Lo sa, sa che è l’unico modo per lenire l’angoscia. E sa che domani guardandosi allo specchio si farà schifo.

Un altro uomo si avvicina, gli sorride e gli fa vedere il fazzoletto giallo che porta a destra. A un cenno affermativo di Pablo, si dirige verso una delle docce. Pablo lo segue. L’uomo si inginocchia davanti a lui. Gli cala i jock-strap. Il cazzo di Pablo non è più teso. L’uomo china la testa. Pablo incomincia a pisciare sulla testa dell’uomo, che dopo il primo getto alza il viso, apre la bocca e beve. L’uomo incomincia a farsi una sega, ma quando Pablo ha finito, si interrompe. Ancora gocciolante, parte alla ricerca di qualcun altro che lo faccia bere.

Pablo vorrebbe andarsene, ma rimane. Si sposta, inquieto, da una stanza all’altra, osservando distrattamente gli altri uomini. L’angoscia è troppo forte. Allora prende una frusta e cerca con lo sguardo l’uomo giusto. Non fa fatica a trovarlo. Gli offre la frusta. L’uomo sorride.

Pablo si mette contro la parete e attende i colpi. Non verrà, non gli importa venire. Vuole i colpi, la violenza. Forse l’uomo lo fotterà, forse no. Non ha importanza.

Il primo colpo lo prende sul culo, forte, ed è subito seguito da un secondo e da un terzo. Altri colpi alla schiena, alle gambe, al culo, vibrati con forza. Ha scelto bene. Il dolore sale, fino a inghiottire interamente Pablo e a scacciare l’angoscia che prova.

E dopo una dozzina di colpi, l’uomo prende un grosso dildo e con un movimento brusco lo infila in culo a Pablo. Pablo sussulta, il dolore è violento. L’uomo ci è andato deciso e poi a Pablo capita raramente di essere penetrato: vedendolo così forte e dotato, gli altri maschi di solito vogliono farsi cavalcare da lui. L’uomo prende una cinghia e la stringe intorno al collo di Pablo. Pablo respira a fatica. L’uomo stringe, poi di colpo allenta la presa.

Pablo scivola a terra. L’uomo gli molla due calci, poi lo lascia e se ne va.

A fatica Pablo si rialza, si toglie il dildo. Va nel locale docce. Si lava. Si guarda allo specchio. Ha diversi segni di frustate. Si sente stanco, svuotato. Ma l’angoscia è meno forte di prima.

 

*

 

Hernando è appena uscito dallo studio dell’avvocato e sta raggiungendo l’auto, parcheggiata pochi metri più avanti. Le due guardie lo accompagnano: Pablo davanti a lui, Gabriel dietro. Hernando guarda le spalle larghe di Pablo, la testa rasata, il collo grosso. Da dietro può vedere la barba che spunta. Come al solito pensieri torbidi si affacciano alla sua mente, ma cerca di ricacciarli indietro. Non ha più scambiato una parola con Pablo, dopo la conversazione di ieri, ma ci ha pensato molto. E ha ripensato alla frase che Pablo gli ha detto: “Lei è una gran brava persona”. Falso, ma Pablo non mentiva: lo pensa davvero.

Hernando osserva sul collo di Pablo un segno rosso, che ieri non c’era, lo avrebbe notato. Mentre si chiede come Pablo si è procurato quel segno, il cellulare squilla. Hernando lo prende dalla tasca. È sua moglie.

- Ciao, Diana. Che c’è?

La risposta arriva immediata, sparata come un proiettile:

- Perché hai preso ventimila dollari dal conto?

Hernando sussulta. Sbuffa, ma controlla la sua irritazione.

- Senti, Diana, ne possiamo parlare a casa? Tra due ore sono lì.

- Perché tu abbia il tempo di inventare una scusa? Voglio una risposta subito.

Hernando si morde un labbro. Guarda le due guardie del corpo, ferme, impassibili. Non vuole parlare davanti a loro di questa faccenda, soprattutto non davanti a Pablo. Si allontana un po’, facendo cenno ai due uomini di rimanere dove sono.

- Senti, sono appena uscito dallo studio dell’avvocato. Vuoi che mi metta a parlare per strada…

Hernando abbassa la voce e prosegue:

- …ci sono le guardie.

- E che cazzo te ne frega? Spostati un po’, no? Voglio una risposta.

Hernando arriva fino all’angolo e svolta. Non bada all’auto parcheggiata, con una porta aperta, da cui sta scendendo un uomo.

- Diana, sai benissimo la situazione di mio fratello. Andrés ha bisogno di quei soldi, gli servono…

- Tuo fratello, sempre tuo fratello… Buono solo a spendere. E tu lo foraggi.

Hernando vorrebbe rispondere che i soldi sono suoi e che può farne quello che vuole. A Diana non fa mai mancare niente, perché lei deve preoccuparsi di qualche migliaio di dollari? Ma il problema non sono quei quattro soldi. Il problema è un altro.

- Senti, Diana, ne possiamo…

Hernando si interrompe, perché sente la pressione contro la schiena e la voce dietro di lui:

- Se fai un gesto o dici una parola, sei morto. Spegni il telefono e sali in auto.

Per un attimo Hernando ha sperato in una rapina, ma non è questo, è molto peggio: è un sequestro. Hernando lancia un’occhiata verso l’angolo. Non può vedere le sue guardie del corpo, che saranno appena a una ventina di metri. E loro non possono vedere lui. Se cercasse di raggiungerle, gli sparerebbero.

- Muoviti, stronzo!

Hernando spegne il cellulare e guarda l’auto. La porta posteriore è aperta. Hernando sale. C’è già un uomo seduto dietro e l’altro sale dietro di lui. Lo forza a piegarsi in avanti, in modo da non essere visibile da fuori. L’auto parte. Uno degli uomini gli infila un cappuccio. L’altro gli tiene la pistola contro il fianco.

- Non ti muovere. Al primo movimento ti ammazzo.

Hernando sa che non è una minaccia a vuoto. Cerca di mantenersi calmo. È stato rapito. In Colombia tutti sanno che cosa significa essere rapiti: capita spesso, è un rischio che i ricchi corrono, per questo girano sempre con le guardie del corpo. E Hernando è ricco, molto. Possono torturarlo, mutilarlo, per costringere la famiglia a pagare. Nel migliore dei casi ha davanti a sé mesi di prigionia, poi, se il riscatto verrà pagato, la liberazione. Altrimenti la morte. La morte.

 

*

 

- Hernando García. Cazzo!

Il commissario Ricardo Balcázar impreca. La scomparsa di García è un bel casino e se si tratta di un rapimento… Ricardo preferisce non pensare a che cosa succederà. Ogni volta che qualcuno viene rapito, la polizia viene presa di mira: tutti sono convinti che la polizia dovrebbe trovare i sequestratori e liberare il prigioniero in quattro e quattr’otto. Come se fosse semplice!

- Dimmi tutto, Cabral.

- García è uscito dallo studio dell’avvocato, ha ricevuto una telefonata della moglie e si è appartato per parlare, facendo segno alle guardie di non seguirlo. Dopo un po’, non vedendolo tornare, sono andati a vedere, ma non c’era traccia di lui. Una delle guardie ha telefonato alla moglie. Lei dice che il marito ha interrotto la telefonata di colpo e che subito prima ha sentito una voce, qualcuno che parlava al marito, ma non ha capito che cosa diceva.

Ricardo sospira. Bisognerà darsi da fare, senza perdere tempo.

L’interrogatorio delle quattro guardie non aggiunge molto a quanto ha sintetizzato l’agente Cabral. Sono tutti scossi, uno in particolare appare tormentato, continua a muovere un pugno chiuso dentro l’altra mano aperta. Sa che verrà licenziato e di certo non gli sarà facile trovare lavoro dopo che si è dimostrato incapace e ha lasciato che rapissero l’uomo che doveva proteggere.

Intanto Diana Villamizar García arriva in commissariato. Ricardo congeda le guardie: non è certo il caso di far aspettare la signora García, per cui dà ordine di farla passare. Con le guardie potrà riparlare in qualunque momento, se sarà necessario. Adesso c’è il colloquio con la moglie, una faccenda delicata.

Ricardo Balcázar la osserva mentre entra. Ne vale davvero la pena: Diana è una gran bella donna, con un seno prosperoso e lineamenti molto regolari, lunghi capelli biondi e grandi labbra carnose. Un po’ di chirurgia estetica, senza dubbio, ma un gran pezzo di fica. Ricardo apprezza le belle donne e di sicuro una come Diana la scoperebbe volentieri, ma è troppo in alto per lui.

La signora García appare nervosa, ma a Ricardo non sembra davvero angosciata.

- Commissario, dovete trovare mio marito. Lo hanno rapito.

- È possibile, ma non possiamo saperlo con certezza, in assenza di una richiesta di riscatto.

La richiesta non potrebbe comunque essere arrivata: García è scomparso da nemmeno due ore. Se qualcuno lo ha davvero rapito, non si accontenterà di poco. Non è certo uno di quei sequestri che si risolvono in fretta, con la richiesta di una piccola somma da versare subito e il prigioniero liberato poche ore dopo il rapimento. Non si rapisce un Hernando García per chiedere mille dollari.

Il commissario prosegue:

- Mi racconti quello che sa.

La donna scrolla le spalle.

- Che cosa vuole che sappia?! Gli stavo parlando, ma lui ha spento il telefono di colpo. Subito prima ho sentito una voce maschile, ma non ho capito che cosa stava dicendo. E lui ha troncato la comunicazione.

Ricardo si chiede se si tratta davvero di un rapimento. Magari García è andato dall’amante e ricomparirà questa sera, con qualche scusa ben fabbricata. In cuor suo Ricardo sa che si tratta di una possibilità molto remota, ma se le cose stessero così, sarebbe un gran sollievo.

- Perché ha telefonato a suo marito?

La donna si muove sulla sedia, di colpo a disagio.

- Una faccenda privata.

- Mi spiace, signora García, ma quando si tratta della scomparsa di una persona, non esistono faccende private, non possiamo tralasciare nessun elemento.

La donna storce la bocca, poi dice:

- Non credo che sia rilevante. Se lo hanno rapito, che importanza ha?

- Tutto può essere rilevante. Suo marito si è allontanato dalle sue guardie del corpo per parlare con lei. È alquanto strano che abbia svoltato l’angolo, pur sapendo che nella sua posizione correva dei rischi. Perché gli ha telefonato?

Diana Villamizar García sbuffa:

- Una faccenda di soldi, soldi che Hernando ha dato a suo fratello Andrés. Ho visto che aveva preso dal conto una certa somma e volevo spiegazioni.

- Una certa somma? Quanto?

La signora è irritata, ma si controlla.

- Ventimila dollari.

Per i García si tratta di noccioline. Per il commissario Balcázar è una bella sommetta. Ricardo passa dall’altra parte della scrivania. Ora che è a una spanna dalla donna, può sentirne il profumo. La signora si è pettinata, profumata, ingioiellata. Non sembra precisamente la moglie disperata che pensa solo al marito rapito. Ma è splendida. Ricardo si accorge che il cazzo gli sta diventando duro.

- Non è una grande cifra per suo marito. Perché gli ha telefonato?

- Non sono quei ventimila dollari. È che Andrés vive a spese di Hernando. Ha dilapidato la sua parte di eredità in pochi anni e adesso non fa che chiedere prestiti e non li rende mai. Non credo che Hernando faccia bene a essere così arrendevole nei suoi confronti. Diego, l’altro fratello di Hernando, non cede così facilmente. Ne abbiamo discusso diverse volte.

- Signora García, tra lei e suo marito ci sono altri motivi di contrasto?

- No, assolutamente. Ma che c’entra?

- Signora, suo marito è scomparso. Voglio capire se può aver deciso di allontanarsi di sua spontanea volontà o se può davvero trattarsi di un rapimento.

Diana Villamizar García si irrigidisce.

- Commissario, sta insinuando che mio marito…

- Non sto insinuando niente, signora. Devo verificare tutte le possibilità. Compresa quella che suo marito abbia deciso di andarsene per conto proprio.

Diana scuote la testa.

- Non farebbe mai una cosa del genere.

- Intanto mi dica se c’è qualcuno che ce l’aveva con lui. Sa se ha mai ricevuto minacce?

- Ma no, che dice? Lei è completamente fuori strada.

- Sto solo valutando tutte le possibili ipotesi, signora.

Il colloquio procede per un buon momento. Secondo la signora García il marito non aveva nessun nemico e nessun motivo per volersi allontanare.

Quando la signora se ne va, il commissario Balcázar riflette a lungo. Poi si rivolge all’agente Cabral, che ha seguito l’interrogatorio della signora:

- Cabral, sarà necessario fare un po’ di verifiche sui conti di Hernando García e anche di suo fratello Andrés. E scoprire qualche cosa di più sulla famiglia, con molta discrezione. Te ne occupi tu.

Di Luís Cabral il commissario si fida: anche se è un finocchio, è intelligente e capace.

- Non crede che sia un rapimento, commissario?

- Può esserlo, probabilmente lo è, ma… Hernando García gira con quattro guardie del corpo, una delle quali fa anche da autista. Riceve una telefonata, svolta appena l’angolo e viene rapito. Come facevano quelli a sapere che si sarebbe allontanato dalle guardie proprio lì, in quel momento? Non mi convince.

- Magari gli facevano la posta da diversi giorni, non crede?

- Forse.

Ricardo Balcázar rivede negli occhi Diana Villamizar García.

- Che pezzo di fica, quella.

Luís sorride, il solito sorriso un po’ imbarazzato di quando il commissario parla di donne (anzi: di fiche o al massimo di tette e culi). Ricardo prosegue:

- Ma come fa a non piacerti, una così?!

Luís non dice nulla, è a disagio.

- A me è venuto duro solo a vederla.

Luís distoglie lo sguardo. Il commissario prosegue:

- Non ci credi? Guarda.

Ricardo abbassa la cerniera lampo, infila una mano nelle mutande e tira fuori un cazzo di tutto rispetto, teso allo spasimo. Si appoggia sul bordo della scrivania.

Luís lo fissa.

- Dai, vieni qui e fagli abbassare la testa.

Luís si alza, si avvicina e si inginocchia di fronte al commissario. Guarda il cazzo, grosso, duro, svettante. Avvicina la bocca. Passa la lingua sulla cappella. Poi l’avvolge con le labbra e incomincia a succhiare. Non è la prima volta. Il commissario disprezza i finocchi, ma non gli spiace avere qualcuno che glielo succhia. Qualche volta l’ha anche messo in culo a Luís. È comodo avere un finocchio in ufficio, a disposizione. Luís ci sa fare con la lingua e non si tira mai indietro. Ricardo guarda il suo agente, mentre lascia la cappella, la accarezza con la lingua, la riprende in bocca. Una mano si è infilata nelle mutande del commissario, ha tirato fuori i coglioni e ora li palpa delicatamente. Luís è bravo, potrebbe fare la puttana. Il pensiero fa ridere Ricardo.

Sentendo la risata, Luís alza gli occhi e lo guarda.

- Succhia, succhia.

Luís riprende il suo lavoro. La sensazione della lingua di Luís sulla cappella è fantastica. Ricardo chiude gli occhi e immagina che sia Diana Villamizar García a succhiarglielo.

Mormora:

- Succhia, troia, succhia.

E poi il piacere deborda e il suo seme si sparge nella bocca di Cabral.

Ricardo riapre gli occhi, mentre l’agente pulisce con cura. Poi si rimette a posto il cazzo e i coglioni.

Luís ha il cazzo duro. Si vede dal rigonfio nei pantaloni. Potrà farsi una sega al cesso, se vuole. Lui la sua parte l’ha fatta.

- E adesso al lavoro.

 

*

 

Hernando ha la nausea. Sono ore che viaggia, rinchiuso nel cofano di un’auto. Per un po’ hanno percorso strade asfaltate, ma adesso il fondo stradale è molto irregolare: probabilmente sono in campagna, devono aver imboccato una sterrata. Hernando è legato, incappucciato e imbavagliato. Non può muoversi. Se avesse un conato di vomito, rischierebbe di morire soffocato.

Per fortuna l’auto si ferma dopo aver percorso poca strada. Il bagagliaio viene aperto. Gli sollevano le gambe. Gli tagliano la corda che lega le caviglie.

- Muoviti.

Lo fanno scendere a terra e, tenendolo per un braccio, lo fanno avanzare. Hernando non può vedere nulla, ma qualcuno lo guida. La stessa voce di prima lo avverte:

- Il gradino.

Hernando muove il piede con cautela. Trova il gradino e sale. Lo trascinano ancora per un corridoio, poi lo fanno entrare in una stanza.

- Tu rimani qui.

Non gli hanno tolto né il cappuccio, né il bavaglio. Hernando esplora la stanza muovendosi con molta cautela, a piccoli passi. C’è un pagliericcio a terra. Una sedia contro il muro. Non sembrano esserci altri mobili. Sul pavimento un recipiente, forse un pitale. Hernando rabbrividisce. Si siede sulla sedia. Gli sembra impossibile. Qualche ora fa era libero, ora è prigioniero, in pericolo di vita. Non può essere.

È stato tanto stupido da allontanarsi e le sue guardie non hanno potuto proteggerlo. Che ne sarà di loro, adesso che lui è prigioniero? Diana li licenzierà? E Pablo Montaña? Diana non sarà certo angosciata per la sua scomparsa. Le importa ben poco di lui. L’unico che ne soffrirà sarà Andrés. Andrés è fragile e questo per lui sarà un altro brutto colpo. Se non dovesse tornare sarebbe l’unico che ne soffrirebbe davvero. Lui. E forse Pablo Montaña. L’idea è assurda, perché alla sua guardia del corpo dovrebbe importare davvero di lui? Eppure… Ma sono pensieri oziosi. Adesso è in pericolo di vita, prigioniero, e non sa se sarà mai liberato. Ci sono persone che sono rimaste prigioniere per anni.

Dove lo hanno portato? Hernando cerca di ascoltare i rumori. Il cappuccio li attutisce, ma gli sembra di sentire il traffico di una strada non molto distante.

 

 *

 

Ángel ascolta con attenzione le istruzioni del capo. Per Augusto, Pacho e Francisco non è la prima volta, loro sanno già come devono comportarsi, ma Ángel non ha mai fatto la guardia a un prigioniero e non vuole commettere errori.

Alla fine il capo dice:

- Se dovessero scoprire che l’abbiamo nascosto qui, non lasciate che lo liberino: uccidetelo. Chiaro?

Ángel si guarda bene dal dire alcunché, ma è un po’ perplesso. Che senso ha uccidere il prigioniero se arriva la polizia? Significa una condanna più severa, sempre che gli agenti non li ammazzino tutti quando fanno irruzione, dicendo poi che i banditi hanno aperto il fuoco e sono morti nello scontro che ne è seguito. Ángel sa bene come funzionano le cose in Colombia: la morte di suo cugino gliel’avrebbe insegnato, se non l’avesse già saputo prima.

Comunque Ángel farà quello che gli dicono di fare. Non ha mai ucciso nessuno, anche se ha partecipato a due spedizioni della banda. La prima volta doveva sorvegliare l’ingresso posteriore e le finestre sul retro di una casa, con il compito di sparare a chiunque cercasse di scappare. Nessuno ci ha provato, i suoi compagni hanno ammazzato i tre che stavano nell’appartamento senza dargli il tempo di fare alcunché. Per un certo verso Ángel si è sentito sollevato per non aver dovuto sparare, magari a una donna o a un ragazzino; ma nello stesso tempo gli è dispiaciuto non aver avuto l’occasione di provare. La seconda volta ha fatto anche lui irruzione nella casa, ma l’uomo dovevano prenderlo vivo. Lo hanno ammazzato dopo, in uno dei covi, torturandolo per due giorni, ma Ángel ha solo assistito.

Se ci sarà da ammazzare il prigioniero, Ángel lo farà. Non gli spiacerebbe se il compito gli venisse affidato: sarebbe un attestato di stima e anche un buon modo per dimostrare ai suoi superiori che lui non si tira indietro, che possono davvero contare su di lui. Ha già fatto parecchia strada: adesso è uno dei carcerieri di Hernando García, un pezzo grosso. Non è un compito da poco: significa che i capi si fidano di lui. Ma Ángel è ambizioso, vuole arrivare in alto.

 

*

 

La richiesta di riscatto è arrivata. È la conferma che si tratta di un rapimento. Ricardo Balcázar e l’agente Cabral sono soli nell’ufficio del commissario. Cabral chiede:

- Continuo a indagare sui conti dei García, commissario?

Balcázar non risponde subito. Rimane un buon momento pensieroso. Si tratta di un rapimento, c'è una richiesta di riscatto, che senso ha indagare oltre? Eppure... Balcázar si accende l’immancabile sigaro e si affaccia alla finestra. Guarda fuori. Senza voltarsi, risponde:

- Sì, ma con la massima discrezione. Che nessuno lo venga a sapere. E poi…

L’agente Cabral tace un buon momento, finché, vedendo che il commissario non prosegue, chiede:

- E poi?

- E poi vedremo.

Balcázar non sa nemmeno lui che cosa si aspetta. Probabilmente l’indagine che ha affidato a Cabral è tempo perso. Ma il commissario preferisce non tralasciare nessuna traccia. I García sono una delle famiglie più ricche del paese. Occorre muoversi con cautela.

Balcázar convoca di nuovo le guardie del corpo, ma questa volta parla individualmente con ognuno dei quattro uomini. Le loro versioni coincidono perfettamente, ma non c’era motivo per dubitarne. Nessuno è a conoscenza di minacce ricevute da García. Balcázar pone anche qualche domanda generica sulla famiglia, senza insistere troppo: non vuole che qualcuno vada a riferire alla signora o al fratello che il commissario ficca il naso negli affari privati dei García.

Tre degli uomini non sanno nulla. Il quarto, Pablo Montaña, fa cenno a contrasti familiari tra Hernando García e il fratellastro, Diego, a proposito di Andrés García. Pare che Hernando García non avesse buoni rapporti con il fratello Diego.

Pablo Montaña fa anche riferimento a tensioni tra García e la moglie. Non fornisce molti elementi precisi e Balcázar preferisce non chiedere troppo. Se avrà senso seguire questa pista, metterà Montaña alle strette. Per il momento è più prudente non approfondire.

Pablo Montaña se ne va. Luís Cabral non lo ha perso d’occhio un secondo. Balcázar scuote la testa. Sì, Montaña è il tipo d’uomo per cui Luís sbava. Ma un maschio così, di certo non è finocchio. Magari questa sera Luís si farà una sega pensando alla guardia. Il pensiero fa sorridere Ricardo. Luís è un bravo ragazzo, anche se è un finocchio. E ci sa fare con la bocca e con il culo.

Luís si alza. Ce l’ha duro, anche se cerca di nasconderlo tirando indietro il culo.

- Ti piace, eh, Cabral?

Luís sorride, un po’ imbarazzato.

- Lui non lo puoi avere, ma puoi succhiarmelo.

Luís esita. Ricardo si apre la patta. Tira fuori cazzo e coglioni.

- Dai, datti da fare. Scommetto che ce l’ho più grosso io di Montaña.

Luís si avvicina e si mette in ginocchio. Passa la lingua dalla cappella alla base, mentre il cazzo incomincia a riempirsi di sangue. Ricardo avverte la tensione crescere. Gli viene duro in fretta: Cabral ci sa fare. Luís avvolge con le labbra la cappella e incomincia a succhiare. Ci dà dentro, intensamente, mentre le sue mani stuzzicano i coglioni e l’area dietro lo scroto. Ricardo respira a fondo. Cazzo, che bello! Queste labbra che succhiano, la lingua che ora accarezza, dalla cappella alle palle. Che bello!

Luís prosegue e il calore della sua bocca, il movimento delle labbra e della lingua, il tocco delicato delle dita, tutto trasmette a Ricardo brividi di piacere intensissimo.

E infine Ricardo viene nella bocca di Luís, in uno spasimo di godimento.

Sì, Cabral ci sa fare. Scopare con lui è piacevole, certe voglie meglio che una fica. Ricardo passa una mano nei capelli di Luís, in una specie di carezza. Niente di più, lui non è mica finocchio. Però Luís è un bravo ragazzo.

 

*

 

Adesso nella casa sono rimasti solo Augusto, Francisco e Ángel. Il quarto uomo, Pacho, è stato destinato altrove. Ma tre persone sono sufficienti, il prigioniero è docile e non ci sono problemi per la sorveglianza. Lo tengono tutto il giorno nella cella. Quando qualcuno di loro deve andare da lui, indossa sempre un cappuccio. È una prassi normale con i prigionieri, per evitare che possano riconoscere uno dei loro carcerieri quando verranno liberati. Talvolta mettono il cappuccio al prigioniero e allora loro ne fanno a meno: la settimana scorsa ad esempio sono venuti due dei loro superiori a controllare le condizioni di García. Allora lo hanno fatto spogliare, ma gli hanno messo il cappuccio.

Ieri però Francisco è entrato in bagno mentre Hernando era al cesso: così il prigioniero lo ha visto in faccia. Francisco non appare minimamente preoccupato e Ángel vorrebbe capire perché. Ángel però sa che non deve mostrarsi curioso. È Augusto a chiedere, mentre cenano: lui ha già lavorato in diverse occasioni con Francisco e fa parte della banda da anni. Non ha paura di apparire un pivellino che non sa stare al suo posto. E poi, come Ángel si rende conto ben presto, Augusto si è già fatto una sua idea e vuole solo una conferma.

- E così il prigioniero ti ha visto bene in faccia. Non ti sei accorto che l’avevo portato al cesso.

- Dovevi rimanere fuori dalla porta, Augusto, invece di andartene a spasso.

Augusto alza le spalle.

- Non era necessario. Quello non è tanto scemo da cercare di scappare.

Dopo una pausa, Augusto aggiunge:

- Ma tu non sei preoccupato perché lui ti ha visto.

Francisco non risponde, ma sorride. Augusto prosegue:

- Perché sai che non avrà modo di riconoscerti.

Francisco distoglie lo sguardo, poi il suo sorriso si amplia e replica:

- Credo proprio di no.

- Lo ammazzeremo, vero? Il rapimento è solo una copertura.

Francisco si accende una sigaretta, senza parlare, poi osserva:

- Ne so quanto te, Augusto. Non è che i capi mi raccontano le loro intenzioni. Quello che so è che dobbiamo tenerlo in vita fino a che non ci arriverà qualche altro ordine.

- Non ti hanno detto niente, ma ti sei fatto la stessa idea.

Francisco annuisce.

- Sì. Credo che a un certo punto ci diranno di ammazzarlo.

- Sparandogli alla schiena perché così tutti penseranno a un tentativo di fuga.

Francisco guarda Ángel e dice:

- Magari lo facciamo fare al ragazzo. Che ne dici, Ángel? Ce li hai i coglioni per sparare alla schiena a quel fottuto bastardo del nostro prigioniero?

Ángel è contento che Francisco abbia pensato di affidare a lui quel compito, ma non gli va che possa dubitare di lui.

- Se c’è da ammazzarlo, lo faccio ben volentieri.

Francisco sorride.

- Sì, i coglioni ce li hai, l’ho capito subito. Farai strada.

Augusto interviene, ridendo:

- Se non te la becchi tu, una pallottola.

Ángel sorride. Sa benissimo che rischia la pelle, la rischiano tutti. Ma chi non è disposto a rischiare non ottiene niente. E non è detto che campi a lungo. Suo cugino Mario non era uno che rischiava ed è morto a ventidue anni, dopo una vita in cui non ha conosciuto altro che il lavoro dei campi. Che senso ha? Nelle bande si può morire giovani, ma almeno c’è la possibilità di fare strada, come dice Francisco, di diventare qualcuno.

 

*

 

Pablo Montaña sta conducendo la sua indagine personale. Sa bene che non riuscirà a ottenere nulla. I sequestri dei pezzi grossi sono organizzati dalle grandi organizzazioni criminali: neanche la polizia e i migliori investigatori, assoldati dalle famiglie dei sequestrati, riescono a cavare un ragno dal buco, figuriamoci un povero coglione di guardia del corpo.

Pur sapendo che è impossibile per uno come lui trovare la pista giusta, Pablo ci prova: rimanere senza fare nulla lo farebbe impazzire. L’idea che abbiano rapito Hernando García lo angoscia. Si sente in colpa, anche se è stato García a fare segno a loro di rimanere dove erano, anche se lui è stato il primo a muoversi per andare a controllare se tutto era a posto. Ma di Hernando García non c’era già più traccia.

Pablo ha molti contatti con altre guardie, che naturalmente non sanno nulla, e con gente che abitava nel suo quartiere. Alcuni di loro sono entrati in bande criminali. Di certo non racconterebbero a lui ciò che sanno. Ma Pablo ci prova lo stesso, certi hanno un grosso debito di riconoscenza nei suoi confronti, Pablo è sempre stato disponibile a dare una mano a tutti. Spera magari di ottenere qualche indizio: Pablo è bravo a cogliere quando una persona mente o dice la verità, forse può riuscire a capire se qualcuno sa, anche se non vuole raccontare.

Non ottiene nulla: nessuno sembra davvero sapere nulla. Pablo sonda il terreno perfino nei locali gay, senza dire che Hernando García era il suo padrone. Ne parla come se per lui fosse solo un argomento di conversazione: magari qualcuno potrebbe aver sentito qualche cosa. È un’idea demenziale, lo sa benissimo, ma non vuole lasciare nulla di intentato. E non ha un’idea migliore.

Le sue indagini non danno nessun risultato, come Pablo stesso si aspettava, ma lui non si arrende. Sa che se davvero trovasse la pista giusta, si beccherebbe un po’ di pallottole. Ma non può non provarci. Sapere Hernando García in mano ai rapitori è un tormento. Vuole salvarlo, anche se non sa come.

 

Un giorno arriva Andrés García. È venuto per parlare con la signora, che lo ha congedato in fretta. La signora García non sopporta il cognato.

Andrés esce dalla casa. Pablo lo vede e gli sembra che sia sul punto di mettersi a piangere. Gli si avvicina, d'impulso.

- Lo troveranno, signor García. Lo troveranno e lo salveranno.

Andrés lo ha riconosciuto. Cerca di sorridergli, ma ha le lacrime agli occhi.

- Se Diana non paga... io non ho denaro... mi sono giocato quasi tutto... mi sono lasciato imbrogliare... e ora non posso fare niente.

A Pablo l'idea che Diana possa non pagare non è neanche passata per la mente. Ma si rende conto che esiste anche questa possibilità.

- Il riscatto sarà pagato. Il signor Hernando sarà liberato. E quando tornerà vorrà trovare lei sereno. Sono sicuro che in questo momento lui si sta preoccupando per lei.

Andrés annuisce, cercando di trattenere le lacrime.

- Tu ti chiami Pablo Montaña, vero? Hernando mi ha parlato di te qualche volta.

Pablo è stupito, questo non se l'aspettava.

Andrés aggiunge:

- Sai dove abito. Vieni a trovarmi quando smonti. Ho bisogno di parlare con qualcuno. Qualcuno che voglia bene a Hernando.

- Verrò. Finisco alle sei.

- Grazie.

 

*

 

- Eccoti la cena.

L’uomo è a capo scoperto. Anche quello che lo ha accompagnato al cesso non si era messo il cappuccio. Hernando ha sperato che si trattasse di un errore, una dimenticanza. Ha evitato di guardarlo in faccia. Ha tenuto gli occhi bassi tutto il tempo. 

Ma anche questo che gli porta la cena, un ragazzo che deve avere venti-ventidue anni, è a capo scoperto. Non hanno paura che lui li possa riconoscere. Questo significa una sola cosa: verrà ucciso.

Hernando non ha fame. Guarda il pollo che si raffredda nel piatto, ma lo stomaco è chiuso in una morsa. Hanno deciso di ucciderlo, non c’è altra spiegazione. Perché? Perché? Per avere i soldi del riscatto dovranno dimostrare che lui è ancora vivo. Perché ucciderlo dopo aver ottenuto quello che vogliono? Che senso ha?

Hernando cerca una spiegazione, una qualunque, qualsiasi cosa gli offra uno spiraglio di speranza. Forse questi uomini se ne andranno in un altro paese, magari non sono colombiani, anche se l’accento non sembra diverso da quello che Hernando è abituato a sentire. Magari hanno intenzione di emigrare negli USA con i soldi che guadagneranno per aver fatto da carcerieri e sanno che a San Diego o Dallas nessuno penserà che possano essere dei rapitori. Forse sanno che non li troveranno mai.

Hernando sa che si aggrappa a speranze assurde, ma non riesce ad accettare l’idea di dover morire, morire a trentaquattro anni.

Gli sembra di non aver mai vissuto. Pensa a suo fratello Andrés, abbandonato a se stesso, destinato a sprofondare quando lui non ci sarà più. Perché Andrés è fragile, Diego non ha avuto difficoltà a rovinarlo economicamente e quando non ci sarà più Hernando a sostenerlo, Diego finirà per portare Andrés al suicidio.

Pensa a Diana, il suo errore peggiore. Perché l’ha sposata? Lo sa benissimo. L’ha sposata per ingannarsi e ingannare gli altri, per illudersi di essere un uomo come gli altri. L’ha sposata perché lei ha fatto di tutto per conquistarlo e lui ha stupidamente pensato che fosse innamorata di lui e non dei suoi soldi. L’ha sposata perché avrebbe voluto avere dei figli.

Pensa a Pablo Montaña, al suo sorriso. Pablo gli è apparso più volte in sogno, in queste settimane. Hernando sa di desiderarlo. Troppo tardi, ormai. Troppo tardi per amare ed essere amato, troppo tardi anche solo per godere davvero tra le braccia di un uomo. Troppo tardi per cercare di vivere la propria vita. Non c’è più una vita davanti.

Quando il ragazzo torna a prendere il piatto, Hernando non ha mangiato nulla.

 

*

 

Pablo e le altre guardie del corpo sono ancora a casa di Hernando García. È probabile che i quattro presenti il giorno del rapimento vengano presto licenziati, questo lo sanno tutti: hanno fallito clamorosamente. Gli uomini sono preoccupati e spiano le intenzioni della signora García. Parlano spesso tra di loro del futuro che li aspetta. Dovrebbero trovare un altro impiego, ma non è detto che l’agenzia intenda tenerli dopo il rapimento: chi accetterebbe una guardia del corpo che ha lasciato rapire l’uomo che aveva il compito di proteggere? Non è certo una buona referenza.

A Pablo non importerebbe di essere licenziato: avrebbe più tempo per le sue inutili indagini. L’unica preoccupazione è per la sua famiglia: sua madre e sua sorella Rosa. Sua madre continua a fare le pulizie, ma da quando lui le passa una somma mensile, vive in un appartamento e non in una catapecchia e può permettersi di lavorare meno ore. Pablo le dà spesso soldi quando ottiene una gratifica e dopo che ha salvato Rafael Lima le ha dato una grossa somma. Conoscendola, Pablo è sicuro che ha ancora quei soldi, li ha messi da parte. Quanto a sua sorella Rosa, anche a lei Pablo ha dato parecchi soldi, ma con tre bambini le spese sono tante e né Rosa, né suo marito guadagnano molto.

Pablo è a tavola con i suoi compagni. Gabriel arriva un momento dopo, quando loro stanno già mangiando. Basta un’occhiata per vedere che è furibondo. Parla a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri servitori che stanno mangiando non lontano: precauzione inutile, perché il cuoco sta raccontando una storia che suscita grandi risate.

Gabriel sibila:

- Quella troia. L’ho sentita, parlava con il suo ganzo. Gli ha detto che ci darà il benservito la settimana prossima. L’agenzia le procurerà le nuove guardie per mercoledì.

La troia è evidentemente Diana Villamizar García. Henrique osserva, rabbioso:

- E dire che è stata lei che ha telefonato al padrone. Se non era per quella telefonata del cazzo…

- Le è andata a fagiolo, così il padrone non ha scoperto che è incinta.

Pablo non ha detto una parola, ma la frase di Gabriel lo sorprende. Come è possibile che Diana García sia incinta se lei e il padrone non scopavano da mesi e mesi? Pablo guarda Gabriel e chiede una conferma:

- Incinta?

- Non ti sei accorto delle nausee? Già, ma tu andavi poco con lei. La troia è incinta e non di suo marito.

In effetti Pablo ha avuto poche occasioni di accompagnare la signora, quando le guardie si dividevano Hernando García prendeva sempre Pablo con sé. Gabriel sorride e chiede:

- E sai chi è il padre?

Pablo scuote la testa, senza rispondere.

- Tu non sai mai niente. Non hai la minima curiosità. Scommetto che non ti sei accorto che il padrone e la troia non scopavano da mesi.

Pablo ha sempre evitato di incoraggiare le chiacchiere di Gabriel, gli sembra scorretto sparlare del suo datore di lavoro e dei suoi familiari. E non intende certo riferire la confidenza che gli ha fatto Hernando García, per cui risponde:

- No. Non lo sapevo proprio.

Gabriel scuote la testa, come se fosse incredulo davanti all’ingenuità di Pablo.

- Non scopavano più, lei non lo sopportava proprio. E non è che lui ci tenesse. Secondo me è finocchio. Con te non ci ha mai provato, Pablo?

A Pablo manca il fiato.

- Ma no, che dici?

Henrique interviene:

- Non l’ho mai visto provarci con nessuno.

Gabriel scuote la testa:

- No, hai ragione, ma il giorno prima di essere rapito, quando siamo tornati a casa, ti ha detto di seguirlo, no, Pablo? Pensavo che magari ci provava. Se non ci ha provato con te, che pure gli piacevi…

Pablo si controlla con fatica. Vorrebbe spaccare la faccia a Gabriel. Risponde parlando senza enfasi, sforzandosi di apparire stupito e non irritato:

- Non mi ha mai detto nulla di nulla. Quella volta mi ha chiesto come mi trovavo, ha chiacchierato un momento e mi ha mandato via. Niente che potesse farmi pensare a un approccio. Perché dici che gli piacevo?

- Perché vedevo come ti guardava.

- Mai una parola, neppure un accenno. Ti sbagli, Gabriel.

Gabriel ghigna e scuote la testa.

- No, non mi sbaglio, ma probabilmente non aveva i coglioni per farlo. Che stronzo! Con tutti i soldi che ha, poteva fare quello che voleva.

Pablo è disorientato, ma lo nasconde. Gabriel riprende:

- E così questa troia si faceva scopare da altri. Ma non da gente qualunque. Magari piaci anche a lei, Pablo, ma a uno come te non la darebbe mai. Li vuole ricchi i suoi ganzi.

Henrique interviene:

- Tu sai chi è il padre?

Gabriel annuisce, soddisfatto:

- Certo, nessun dubbio su questo. Sai che l’accompagno spesso.

- E ne approfitti per ficcare il naso. Allora, chi è?

Pablo segue appena la conversazione, senza intervenire. Pensa a Hernando e a ciò che ha detto Gabriel. Un uomo come Hernando García poteva desiderarlo? Desiderare lui, Pablo Montaña, un povero coglione nato a Ciudad Bolivar? Assurdo.

Intanto Gabriel sorride e lancia la bomba:

- Il cognato, Diego García. La troia se li sceglie bene i suoi polli.

Pablo gira la testa di scatto e fissa Gabriel. Gli sembra che un lampo abbia illuminato il buio e ora mille pensieri si affollano nella sua testa. Vuole sapere. Tutto. Provoca Gabriel:

- Non ci credo, non è possibile. Come fai a dirlo? Te lo sei inventato.

- Quella andava a trovarlo quando il marito non c’era.

- Troppo poco per sostenere che scopavano.

- Non c’è solo quello. C’è molto di più.

Pablo conosce Gabriel e sa che in questo momento non mente. Gabriel è capacissimo di inventarsi qualche storia per essere al centro dell’attenzione, ma adesso ha davvero degli elementi a sostegno di quanto sta dicendo.

- Che cosa?

- Esiste anche un DVD. Diego García ha messo una telecamera e si è ripreso mentre scopava la troia.

- Assurdo, perché dovrebbe averlo fatto? Perché correre un rischio inutile, se quel DVD fosse finito nelle mani di qualcun altro, che avrebbe potuto ricattarlo?

E mentre lo dice, Pablo si dà una risposta: il DVD poteva servirgli a colpire Hernando. Diego è disposto a utilizzare qualsiasi arma per sbarazzarsi dei due fratellastri che odia.

Gabriel alza le spalle.

- E che cazzo ne so? Ma il DVD esiste, ne sono sicuro.

Pablo ci crede, ma fa finta di essere diffidente, per scoprire qualche cosa di più.

- E come fai a esserne sicuro?

- L’ho visto.

Pablo non dice nulla, ma Henrique è allibito:

- Cosa?

- Ragazzi, non dite niente, perché mi fanno il culo, e non solo a me, anche a Miguel. L’ho proprio visto. Me l’ha fatto vedere Miguel, una delle guardie di Diego García. Quei due fanno faville. La troia è davvero una troia e Diego García è un maschio con i fiocchi. È uno spettacolo. Mi è diventato duro a guardarlo, mi sarei fatto una sega, ma c’era Miguel. Comunque non è tutto. So anche un’altra cosa.

Pablo e Henrique guardano Gabriel, che gongola, felice di vederli pendere dalle sue labbra.

- La troia ha pure due cellulari: uno è quello che si porta dietro per le telefonate normali. Ma quando vuole parlare con il ganzo, usa l’altro. Gliel’ha dato Diego García.

 

*

 

Ángel è in piedi davanti alla porta del bagno. Hernando García si sta facendo la doccia. La porta è socchiusa. Ángel si guarda intorno, ma Francisco dormicchia sul letto in camera e Augusto sta guardando un programma in televisione. Ángel spinge un po’ la porta. Adesso può vedere García sotto la doccia, che si lava. García ha un bel corpo.

García non si accorge di lui. Ángel apre completamente la porta. García trasale e alza gli occhi. Guarda Ángel, che rimane impassibile. García ha smesso di lavarsi, ma, vedendo che Ángel non dice nulla e rimane fermo sulla soglia, riprende. Quando ha finito, prende un asciugamano e incomincia a strofinarsi. A un certo punto dà le spalle ad Ángel. García ha davvero un bel corpo. Ad Ángel sta venendo duro, ma cerca di nasconderlo, tirando un po’ indietro il culo.

Ángel non stacca gli occhi da García nemmeno un secondo, mentre questi si riveste. Hernando García indossa una tuta da ginnastica. La tuta e l’abito che aveva addosso al momento del rapimento sono tutto ciò ha di vestiario, a parte la biancheria.

Ángel pensa che Hernando García è uno degli uomini più ricchi del paese e adesso può mettersi solo una tuta o un abito tutto spiegazzato, si cambia le mutande ogni quattro giorni e indossa un paio di ciabatte comprate al supermercato. García non ha più bisogno di un grande guardaroba: nella bara si porta un unico vestito. Hernando García è più di là che di qua, ormai: i capi hanno confermato che andrà eliminato.

Ad Ángel Hernando García fa pena. I ricchi li detesta, ma questo ormai è solo più un condannato a morte. 

 

*

 

Pablo ha pochi giorni per cercare le prove là dove non ha mai pensato di indagare: nella casa in cui è vissuto in questi mesi e da cui dovrà andarsene mercoledì, insieme agli altri.

Pablo conosce benissimo le abitudini delle altre guardie e dei servitori: è un ottimo osservatore e sa che tenere sotto controllo la situazione fa parte del suo lavoro. Al corso di addestramento Pablo ha avuto il massimo del punteggio. Non a caso è diventato la guardia del corpo di uno degli uomini più ricchi del paese.

Gli altri una volta a casa si rilassano e pensano agli affari propri, Pablo non smette se non quando è finito il suo turno e se rimane nella villa, anche allora controlla ciò che succede: un’anomalia può essere la spia di un pericolo.

Adesso Diana Villamizar García è fuori, con tre guardie, la cameriera personale sta scopando con il cuoco e, in assenza della padrona, gli altri servitori battono la fiacca, a parte il giardiniere, che è sempre al lavoro.

Pablo non è mai stato nella camera di Diana. Ma è lì che deve cercare quello che gli serve. Dove la signora può nascondere ciò che non vuole che venga trovato? Certamente non dove la cameriera mette le mani.

Badando bene a non mettere fuori posto nulla e a non lasciare tracce, Pablo apre i cassetti e controlla il contenuto.

Quello che sta facendo è pericoloso, maledettamente pericoloso. Se venisse sorpreso a frugare in camera della padrona finirebbe nei guai e, se è vero quello che sospetta, sarebbe eliminato.

In camera non c’è nulla che possa servirgli. Diego passa alla cabina armadio. Controlla con metodo e infine trova quello che cerca in una borsa da spiaggia. Ci sono diverse cose messe alla rinfusa, ma Pablo le estrae una per volta, con cautela. C’è il risultato dell’ecografia che Diana Villamizar García ha fatto da poco; dal foglio risulta che è incinta di quattro mesi. Pablo lo fotografa con il cellulare.

C’è un telefonino. Pablo lo accende, chiama il proprio numero, in modo da avere in memoria il numero del cellulare. Poi apre il registro delle chiamate e cancella la sua. Con il suo cellulare fotografa prima la rubrica e poi il registro, facendoli scorrere. Il numero di Diego García è quello che ricorre più spesso nel registro. Pablo continua a fotografare i numeri: alcuni potrebbero corrispondere a persone coinvolte nel rapimento e in questo caso fornirebbero qualche elemento per ritrovare Hernando García. Solo quando arriva al giorno del rapimento Pablo ha un’idea. Sa a che ora la signora ha telefonato al marito, dall’altro cellulare. Controlla e vede che c’è una chiamata in arrivo, esattamente alla stessa ora. Ricevuta la chiamata, la donna ha telefonato al marito, per farlo cadere nella trappola. Ogni dubbio svanisce.

 

Pablo ripone ciò che ha preso esattamente dove si trovava, badando a che nulla sia fuori posto. Nel momento in cui esce dalla camera, sente i passi di Diana nel corridoio. Tra pochi secondi volterà l’angolo e lo vedrà. Non c’è nessuna via di fuga.

Pablo si siede a terra a lato della porta. Diana appare e lo guarda, interdetta. Pablo si alza di scatto, come se si vergognasse di essere stato sorpreso seduto di fianco alla sua porta.

- Mi scusi, signora García, avevo bisogno di parlarle e la aspettavo.

Diana non sembra dubitare delle parole della guardia. D’altronde, che altro poteva farci Montaña seduto di fianco alla sua porta? Pablo le legge in faccia che è irritata e che considera la sua manovra un’impertinenza. Perfetto, il trucchetto ha funzionato.

- Che cosa vuoi? Non ho tempo da perdere.

- Mi scusi, circola voce che saremo licenziati e…

Diana lo interrompe.

- Non intendo discutere di questo con te. L’agenzia vi comunicherà le mie decisioni.

Pablo china la testa.

- Sì, signora. Scusi, signora.

Diana lo supera ed entra in camera. Sulla porta si volta ancora per dirgli:

- Ed evita di aspettarmi di fianco alla mia camera.

- Mi scusi signora.

Pablo ce l’ha fatta. Diana non sospetta di nulla. In camera tutto è stato rimesso a posto. E in tasca Pablo ha il cellulare con tutto ciò che gli serve.

 

*

 

- Sei nato in campagna, vero?

La domanda è sfuggita a Hernando. In queste settimane ha parlato poco con i suoi carcerieri, solo per l’essenziale. D’altronde ha poche occasioni per vederli: soltanto quando esce dalla stanza per andare in bagno o quando uno di loro entra per portargli il cibo o qualche altra cosa. Ma questo silenzio gli pesa. E ora vorrebbe sapere perché non indossano più i cappucci. Spera oscuramente che gli diano una spiegazione fasulla, in grado di lenire la sua angoscia. Tra i carcerieri questo che gli ha portato da mangiare oggi è il più giovane e da qualche tempo è meno scostante. Adesso è quasi sempre lui a portargli il pasto e non se ne va, come gli altri, ma rimane nella stanza. Forse lo fa solo per sorvegliarlo. Anche quando Hernando si fa la doccia, questo tiene la porta aperta e non lo perde di vista neanche un momento.

Il ragazzo non risponde subito, forse valuta se fornire una risposta può esporlo a qualche rischio. Infine dice:

- Che cosa te lo fa pensare?

- Come parli. Hai la pronuncia delle campagne del Nord.

Hernando potrebbe citare anche altri elementi nel modo di muoversi, ma forse il ragazzo, che gli altri chiamano Ángel, potrebbe considerare le sue osservazioni offensive.

- Sì, sono nato in campagna. E allora?

- Allora niente. Era solo per scambiare due parole. Non parlo mai con nessuno. Sono settimane che non parlo con nessuno.

Hernando ha tenuto il conto dei giorni. Li segna in un angolo della parete quando si alza il mattino. Ha incominciato il quarto giorno, quando gli ci è voluto un buon momento per capire se era martedì o mercoledì. Non voleva perdere il senso del tempo. Sono quarantadue giorni che è prigioniero, ma qui i giorni scorrono tutti uguali. Di rado viene qualcuno. Nelle prime settimane sono venuti tre volte a controllare le sue condizioni: lo hanno fatto spogliare, gli hanno messo un cappuccio e poi qualcuno gli ha detto di muovere un braccio o una gamba. Queste visite erano un buon segno, significavano che non volevano ammazzarlo. Nelle ultime settimane non ci sono più state visite.

Ángel non dice nulla. Guarda Hernando. Ha uno strano sorriso sulle labbra, in cui sembrano mescolarsi imbarazzo e derisione.

- Parlerai quando sarai tornato libero.

Hernando abbassa lo sguardo. Ángel non crede a quello che ha detto. Pensa che lui non tornerà mai libero. Lo uccideranno. Perché? Forse Diana si rifiuta di pagare il riscatto? Potrebbe essere. Se si è rivolta Diego, di sicuro…

Hernando guarda il ragazzo negli occhi.

- Mi ucciderete, vero?

Ángel sorride, lo stesso sorriso falso di prima.

- Ma no, che dici? Quando pagano il riscatto, torni libero.

Parole. Solo parole.

 

*

 

Ricardo Balcázar sta fissando Pablo Montaña. L’agente Luís Cabral registra la deposizione.

Ricardo è senza parole. Quando la guardia del corpo di Hernando García gli ha chiesto di potergli parlare, si è chiesto che cosa potesse volergli dire l’uomo. Nel secondo interrogatorio della scorta di Hernando García, Montaña gli era sembrato il meglio informato. O forse soltanto il più chiacchierone, quello più disponibile a raccontare i fatti altrui. Perché ciò a cui aveva accennato di sicuro lo sapevano anche gli altri. Le informazioni che gli sta dando ora sono di ben altro genere e danno corpo ai dubbi che il commissario ha avuto inizialmente e poi ha accantonato.

- Riepiloghiamo e vediamo le prove punto per punto. Come fa a sapere che la signora García è incinta?

- I miei colleghi hanno notato che ha avuto spesso nausee. E io ho trovato questo.

Pablo apre la cartellina che ha con sé e consegna al commissario il foglio con il referto clinico, che ha stampato, come tutte le altre foto scattate con il cellulare. Balcázar lo guarda e osserva:

- È una foto.

- Certo, se avessi sottratto l’originale, la signora se ne sarebbe accorta e si sarebbe insospettita. Ma anche alla clinica hanno senz’altro i risultati dell’esame, può verificare.

- E lei mi dice che il padre del bambino non è Hernando García.

- No, lui e la moglie non avevano rapporti da otto mesi.

- Come fa a saperlo?

- Me lo disse il signor García.

- Si confidava con lei?

- Una volta sola, il giorno prima del rapimento.

- Anche se fosse vero, potrebbero aver avuto rapporti quella notte.

- La signora García è incinta da quattro mesi.

- L’unica certezza è la sua parola.

- Può chiedere anche alle altre guardie del corpo. Anche loro ne sono a conoscenza. La signora ne parlava al telefono e loro hanno sentito.

Quando Montaña gli parla delle altre guardie, a Ricardo viene un sospetto:

- Non è che voi volete vendicarvi perché sarete licenziati?

- Gli altri non sanno neppure che io sono venuto qui. E a me interessa una sola cosa: salvare il signor García. In ogni caso un esame del DNA può dimostrare la paternità del bambino.

- Paternità da attribuire a Diego García, secondo lei.

- Il mio collega Gabriel Calzado ne è certo. Ho portato con me le foto del registro delle chiamate. Ne risultano moltissime fatte al cognato.

- Proprio perché è suo cognato, non c’è niente di strano.

- Se non c’è niente di strano, perché le ha fatte da un altro cellulare, di cui il marito non sapeva neppure l’esistenza?

Balcázar sta facendo l’avvocato del diavolo, ma la ricostruzione di Montaña lo ha già convinto.

- E infine la telefonata.

- Sì, come risulta dalla foto che ho scattato, ha ricevuto una chiamata alle 16.39 e ha immediatamente chiamato il marito, ma con l’altro telefono. Una coincidenza un po’ strana, non trova?

Sì, non è una coincidenza. È tutto un piano ben congegnato, che non sarebbe mai venuto a galla, se non fosse per una guardia ficcanaso. Questo Montaña è uno sveglio, bisogna ammetterlo. E rischia grosso per salvare il suo padrone. Con quello che ha scoperto, poteva farsi pagare un casino di soldi, di che sistemarsi per la vita. Quanto guadagna una guardia del corpo come Pablo Montaña? Lo fa ad alto livello, deve avere un buon salario, ma da quei due Montaña potrebbe ottenere centinaia di migliaia di dollari. Quanto sarebbero disposti a sborsare Diego e Diana García per evitare di essere scoperti? Trecentomila dollari? Quattrocentomila? Cinquecentomila?

E invece Pablo Montaña ha fatto un’altra scelta.

- Montaña, non una parola a nessuno, se ci tiene a salvare il suo capo. Non so se le cose che mi ha raccontato c’entrino in qualche modo con il rapimento, ma se lo sono e qualcuno venisse a sapere che ci muoviamo in questa direzione, sarebbe la fine per Hernando García.

- Non ne parlerò a nessuno, glielo garantisco.

Quando Pablo Montaña è uscito, Ricardo si rivolge a Luís Cabral.

- Il verbale lo dai a me. E anche tu non ne parli con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno. Chiaro? Neanche mezza parola. Per nessun motivo.

- Va bene commissario.

- Questa faccenda è troppo delicata per rischiare di rovinare tutto perché qualcuno non sa tenere a freno la lingua. Sul caso García non c’è niente di nuovo, niente di niente. Nessun accenno a rivelazioni clamorose o svolte nelle indagini. Chiaro?

- Certo commissario.

Ricardo Balcázar guarda dalla finestra. I diversi elementi portati da Montaña sembrano suggerire la stessa conclusione a cui è giunta la guardia, anche se probabilmente un tribunale non li considererebbe prove determinanti. Bluffando un po’ potrebbe far credere alla signora García che ha qualche cosa di più in mano. Se Diana Villamizar García si convince che il commissario ha le prove, allora…

Ricardo sorride. Sì, studiandola bene, si può fare.

 

*

 

Fa caldo, un caldo fottuto. Ángel suda. Adesso in casa stanno tutti e tre a torso nudo, spesso in mutande. Ángel guarda Augusto e Francisco. Nessuno dei due si può definire un bell’uomo, ma Ángel si sente turbato.

Non scopa da quando ha ricevuto questo incarico, non può farsi una sega perché non ha una camera per sé, potrebbe al massimo farlo al cesso, ma non c’è nemmeno la chiave, perché il prigioniero non possa chiudersi dentro. E poi gli scoccerebbe che Augusto e Francisco lo considerassero un ragazzino che ha bisogno di farsi le seghe.

Francisco dorme sul letto. Francisco dorme sempre. Peggio di un bradipo. Se non dorme, sonnecchia. Augusto guarda la televisione, ma a un certo punto controlla l’orologio e dice:

- Ora di andare. Torno tra due ore.

Augusto dà un’occhiata a Francisco, poi dice ad Ángel:

- Se il prigioniero deve andare al cesso, sveglia Francisco. Non possiamo correre rischi.

Ad Ángel scoccia che Augusto non abbia fiducia in lui. Sa di essere perfettamente in grado di controllare il prigioniero da solo.

Augusto se ne va. Dopo un po' Ángel esce dalla stanza. Passa davanti alla camera dove dorme Francisco. Poi decide di controllare che cosa sta facendo il prigioniero.

Ángel gira la chiave ed entra nella camera di García.

Hernando García è steso sul pagliericcio, nudo. Di solito quando gli portano i pasti, lo trovano con almeno le mutande addosso, ma questa non è un’ora in cui i carcerieri entrino nella cella. García lo guarda entrare e si alza a sedere.

Ángel chiude la porta dietro di sé. Non dice nulla. Si toglie i sandali, si abbassa i pantaloni e le mutande. Fissa García, che abbassa lo sguardo.

Ángel si avvicina al pagliericcio, senza distogliere gli occhi dal viso di Hernando García, che ora ha sollevato la testa e lo fissa, sgomento.

- Stenditi a pancia in giù.

García lo guarda senza dire nulla. Ángel sibila:

- Ora. Muoviti, stronzo.

García respira a fondo e si stende. Allarga le gambe.

Ángel guarda il culo che gli si offre. È bello questo culo. Ángel  si inginocchia tra le gambe e stringe le natiche con forza. Vorrebbe morderle. Sputa sul buco e sparge la saliva. Poi divarica un po’ le natiche ed entra lentamente. García sussulta, emette un grido strozzato, un: - No!

Ángel sorride. È la prima volta che fotte un maschio. E forse è la prima volta anche per García. Dicono che i finocchi abbiano il culo sfondato, ma questo è bello sodo, il cazzo fa fatica a entrare. È un piacere.

García geme, si tende. Gli fa male. Ángel scuote la testa. Le pallottole gli faranno ben più male. García sarebbe ben contento di cavarsela con un culo spaccato, ma dovrà pagare molto di più del culo e dei suoi fottuti soldi.

Ángel spinge con energia e sente che il piacere cresce. Vorrebbe far durare questo momento, ma la tensione è troppo forte e dopo poche spinte il seme si rovescia nel culo del prigioniero. Ángel si rialza. È stato bello, ma breve. Pazienza. Ci saranno altre volte, mica lo ammazzano subito questo finocchio.

Ángel si riveste ed esce, senza dire nulla. Guarda García, che è rimasto sdraiato, a gambe larghe. Ha un bel corpo, davvero. Ángel è contento di averlo preso. Gli è piaciuto. García rimane immobile. Non solleva la testa nemmeno quando lui apre la porta.

 

*

 

Diana Villamizar García osserva il commissario che l’ha convocata per parlarle. Nell’ufficio del commissario non c’è nessun altro, neanche l’agente che dovrebbe verbalizzare. Diana non ci ha badato, ma è il commissario a farglielo notare:

- L’ho fatta venire per un colloquio privato, signora García. Senza nessun testimone. Abbiamo fatto luce sul sequestro di suo marito e volevo condividere le mie conclusioni con lei.

Diana sembra più perplessa che contenta, come invece dovrebbe essere una brava moglie a cui comunicano che hanno fatto importanti scoperte sul rapimento del consorte. Ma sul fatto che Diana non amasse alla follia Hernando García non ci sono dubbi di sorta.

- Mi dica, commissario.

- Il rapimento di suo marito non è avvenuto per ottenere un riscatto, ma come copertura per un omicidio. Un omicidio commissionato dalla moglie e dal fratello della vittima.

Forse Diana è leggermente impallidita, ma la faccia è rimasta perfettamente impassibile.

- Commissario, lei non è all’altezza del compito che le è stato affidato. Dovranno rimuoverla.

Balcázar sa benissimo che attraverso le conoscenze della famiglia García, Diana potrebbe davvero farlo allontanare dal suo incarico, se lui non avesse le carte giuste per giocare la mano.

- Signora, se pensa che io non abbia in mano tutti gli elementi per dimostrare ciò che sto dicendo, mi sottovaluta. Non sono così sciocco da parlare senza avere le prove di ciò che dico.

Balcázar sta bluffando, perché alcuni elementi gli mancano, ma ritiene di possederne a sufficienza per spaventare la donna e convincerla che lui ha le prove per tutto. Balcázar prosegue:

- Un complice le ha mandato un messaggio quando suo marito è uscito dallo studio dell’avvocato e lei, com’era d’accordo, gli ha telefonato, sapendo che lui non avrebbe voluto parlare di suo fratello davanti alle guardie. Dietro l’angolo lo aspettavano i rapitori.

- Stupidaggini.

- Signora, lei ha due cellulari, anche se il secondo non risulta a suo nome. Su quello ha ricevuto la telefonata del complice, ma per telefonare a suo marito ha usato l’altro.

- Non posseggo un secondo cellulare.

Balcázar sorride.

- Se vuole le do il numero: 3187838079

Ora Diana è sicuramente impallidita.

- Su quel cellulare ha fatto numerose chiamate al suo amante, Diego García.

- Lei non può…

La voce di Diana è stridula. Ora Balcázar è sicuro che la ricostruzione fornita da Pablo Montaña è corretta.

- Io posso provare tutto, ho i tabulati delle telefonate. Ma le telefonate sono il meno. Signora, lei è incinta e non di suo marito. Lui avrebbe capito immediatamente che il bambino che aspetta non è figlio suo. Non avevate più rapporti da nove mesi.

Ora Diana è davvero impallidita. Questo non se l’aspettava proprio.

- Come… come lo sa?

Balcázar sorride, ironico.

- Non voglio apparire scortese nei suoi confronti, ma qui le domande le faccio io.

Diana non replica. Sa di aver perso la partita. Balcázar prosegue.

- Quindi lei si è trovata a scegliere: un divorzio per adulterio, che l’avrebbe privata della sua attuale condizione di ricchezza; oppure la morte di suo marito, che avrebbe lasciato lei e suo figlio eredi di una fortuna immensa.

Diana cerca ancora di replicare:

- Sono solo fantasie. Lei non ha nessuna prova.

- Le prove sono parecchie, gliene ho già elencate alcune. Potrei ricordarle che un test sul nascituro permetterà di appurare che non è figlio di Hernando García, ma del fratello, anzi: del fratellastro.

Diana sussulta. Al test del DNA non aveva certo pensato. Non si aspettava minimamente che qualcuno potesse sospettare.

Balcázar prosegue:

- Ne ho alcune altre, perché anche il signor Diego García, pensando che nessuno avrebbe mai sospettato di lui, ha commesso alcuni errori, ancora più significativi, ma di questo è inutile parlare con lei.

Balcázar sta mentendo. Non ha fatto nessun indagine su Diego García. Balcázar sa anche che gli elementi per provare il coinvolgimento di Diana nel rapimento sono davvero pochi: solo la doppia telefonata, di un cellulare che ha visto soltanto Pablo Montaña e che verrà sicuramente distrutto. I tabulati si possono ottenere, ma come provare che quel cellulare l’aveva la signora García? Ma ormai la donna è convinta.

- Temo che suo figlio nascerà in prigione, signora García.

Diana annaspa. Fissa il commissario con gli occhi dilatati. Respira affannosamente.

Balcázar si accende un sigaro, con calma. Diana è annichilita, non reagisce. Il commissario lascia che la donna abbia il tempo di immaginare il suo futuro, anni di prigione per aver organizzato il sequestro e l’omicidio del marito.

Aspira. Poi sorride e dice:

- A meno che…

Diana alza gli occhi e fissa il commissario. Una speranza si è accesa nel suo sguardo.

- A meno che?

Ricardo Balcázar sorride. Sì. È fatta.

- Quattrocentomila dollari. Mi sembra una cifra giusta. Lei erediterà la fortuna di suo marito. Le consegnerò i documenti in mio possesso e tutto finirà così.

Diana sembra recuperare in fretta il suo sangue freddo.

- Come posso sapere che non subirò ulteriori ricatti?

Non ha più cercato di negare, non ha provato a contrattare. Ricardo si dice che ha chiesto una cifra troppo bassa, ma non è il caso di farsi il sangue cattivo per questo. Per lui è moltissimo.

- Non ce ne saranno. Una volta che avrà in suo possesso il verbale dell’interrogatorio di… qualcuno, il cui nome saprà solo alla consegna dei documenti, e tutti gli altri materiali, saremo entrambi ricattabili. Io potrei farla finire in galera per omicidio e lei potrebbe farci finire me per aver occultato le prove e una testimonianza importante in cambio di denaro. No, signora, finirà tutto con la consegna di una valigetta. Non è mio interesse giocare al rilancio. 

Diana non è del tutto convinta, ma non insiste. Probabilmente si consulterà con l’amante e vedranno se pretendere altre garanzie.

- Va bene.

Ricardo è soddisfatto. Osserva Diana. Davvero una splendida donna.

Il desiderio affiora improvviso, prepotente.

Ricardo Balcázar si dice che non ha niente da perdere. Si avvicina alla donna.

- Adesso però, signora, potrebbe darmi una prova della sua disponibilità a collaborare.

Diana ha capito. Si alza. Ha recuperato l’autocontrollo.

- Non le sembra che quattrocentomila dollari siano un segno sufficiente di disponibilità?

- Non ho chiesto molto, lo sa benissimo. Avrei potuto chiedere parecchio di più. La fortuna dei García è immensa.

Ricardo fa un passo avanti, ma Diana mette un braccio alzato tra sé e il commissario, un chiaro segnale di tenersi a distanza.

- La transazione è conclusa. Le farò telefonare quanto prima per i dettagli tecnici.

Diana si volta e se ne va.

Quando è uscita, Ricardo sibila tra i denti:

- Troia!

Gliel’ha fatto venire duro e se n’è andata. Che vada a farsi fottere.

Si affaccia alla porta.

- Cabral, vieni qua.

Luís Cabral entra. Il commissario chiude la porta.

- Mettiti sulla scrivania. Ho voglia di fottere.

Luís annuisce. Si cala i pantaloni e le mutande, poi appoggia il petto sul ripiano della scrivania, tenendo le gambe allargate.

Ricardo Balcázar ringhia:

- Quella stupida troia…

Poi abbassa la lampo e tira fuori il cazzo. Afferra le natiche di Luís e le divarica. Sputa sul buco. Avvicina la cappella all’apertura e la spinge dentro. Luís sussulta: Ricardo è stato un po’ troppo irruente, ma è nervoso. E poi questo finocchio di Cabral se lo prende in culo volentieri.

Ricardo affonda il cazzo dentro il culo di Luís. È maledettamente piacevole sentire la carne calda e soda che accoglie il suo cazzo. Gli piace sempre. Certo, la fica della signora García sarebbe stata molto meglio, ma lei la dà solo a chi ha un conto in banca di molti milioni di dollari. Quello di Ricardo Balcázar fa ridere, ma tra non molto diventerà più consistente. In compenso il cazzo del commissario ci sa fare e quella troia l’avrebbe apprezzato. Non sa che cosa si è persa.

Ricardo spinge con decisione, avanti e indietro, finché il piacere deborda. Il seme si rovescia nel culo dell’agente. Ricardo esce, si pulisce con un fazzoletto di carta che butta nel cestino. Cabral è ancora steso sulla scrivania, i pantaloni abbassati, il respiro un po' affannoso. Ricardo scuote la testa e dice:

- Adesso togliti dai coglioni, Cabral.

Cabral si alza, si tira su i pantaloni, si rassetta ed esce.

L’irritazione è passata. Ricardo Balcázar è soddisfatto, ora. Tra non molto avrà quattrocentomila dollari. Il verbale dell’interrogatorio di Montaña verrà distrutto, così come i materiali che la guardia ha portato. A Luís penserà lui, gli dirà che ha fatto controllare e che Montaña si è inventato tutto, a parte la gravidanza della signora García. Quanto a Montaña, lo ammazzeranno, non c’è altra soluzione. Troppo intelligente, troppo abile, disposto a rischiare la pelle per salvare il suo padrone.

Un bel piano però, hanno pensato a tutto. Non potevano prevedere che una guardia troppo zelante si sarebbe messa di mezzo. Un buon modo per sbarazzarsi di un fratellastro odiato e di un marito detestato, prima che scoprisse che la moglie era incinta di un altro. E dire che probabilmente Hernando García non avrebbe nemmeno chiesto il divorzio. Era un coglione. Balcázar si rende conto che pensa a lui come se fosse già morto. Lo sarà presto. E in ogni caso non l’avrebbe potuto salvare. Anche Montaña non può cavarsela, è un morto che cammina. Ma lui se l’è proprio andata a cercare.

 

*

 

Hernando è rimasto steso. Nelle viscere sente ancora lo sborro di Ángel. Quando era un uomo libero, più volte aveva desiderato un rapporto con un altro uomo. Aveva pensato a qualcuno che lo avrebbe baciato, accarezzato, abbracciato e che poi lo avrebbe preso con dolcezza. Quello che è successo è tutto quanto avrà, prima che lo ammazzino. Hernando si sente sprofondare in una sofferenza senza fine.

Pensa a Pablo Montaña. Ha pensato a lui, quando Ángel lo ha preso. Avrebbe voluto che ci fosse Pablo al posto di Ángel. Ma l’immagine di Pablo è scomparsa presto. Pablo lo avrebbe preso in un altro modo, Pablo lo avrebbe davvero baciato e abbracciato e… Che cazzo sta pensando? Pablo Montaña gli è affezionato, di questo Hernando è sicuro, ma probabilmente gli farebbe schifo la sola idea di avere un rapporto con lui o con un altro uomo. E se invece… Assurdo, è tutto assurdo. Assurdo e inutile. Ora c’è solo la morte.

Ángel lo prenderà ancora? Può violentarlo quando vuole, Hernando è nelle sue mani, gli altri carcerieri di certo non lo difenderebbero.

È stata davvero una violenza? Hernando ha ceduto senza nemmeno cercare di resistere. E il suo corpo si è arreso completamente. Hernando non ha goduto, è stato doloroso, ma una parte di lui lo desiderava. Di certo non è stato come l’aveva sognato. Ma i sogni sono solo sogni, quello che è avvenuto è reale.

Ángel lo prenderà ancora? Hernando si rende conto, sgomento, che una parte di lui lo desidera: anche se il rapporto non gli ha trasmesso piacere, Ángel ha fatto ciò che Hernando ha sempre desiderato. È il suo carceriere, domani potrebbe essere il suo assassino. Ma c’è forse qualcun altro per Hernando García?

 

*

 

Pablo si è procurato gli orari degli agenti del commissariato, per uno come lui non è difficile. Luís Cabral smonta alle sei. Pablo ha individuato le telecamere di sorveglianza e ha scelto un posto da cui non può essere ripreso. Luís ha lasciato l’auto nella Carrera 54, Pablo era già qui in mattinata e ha controllato. Quando lo vedrà arrivare, Pablo gli andrà incontro come se passasse di lì per caso.

Pablo non ha avuto difficoltà ad accorgersi del modo in cui lo guardava l’agente durante la sua deposizione: sa riconoscere quando accende il desiderio negli occhi di un uomo. Giocherà questa carta. Dopo aver scopato, gli uomini sono meno diffidenti.

Sono passati diversi giorni da quando ha parlato con il commissario, ma non è successo niente. Pablo sa benissimo che ad ogni ora che passa aumenta il rischio che Hernando García venga ucciso. Perché il commissario non interviene?

Luís esce con un quarto d’ora di ritardo. Pablo svolta nella strada e fa in modo di arrivare all’auto di Cabral quando il proprietario è a pochi metri. Lo guarda, come se la faccia gli fosse familiare, ma non lo riconoscesse, poi sorride e dice:

- Ma tu sei il poliziotto che lavora con il commissario Balcázar.

Cabral l’ha riconosciuto subito, questo era evidente. Pablo gli tende la mano e, mentre Cabral conferma, gli dice:

- Come stai?

Luís sorride:

- Bene, grazie. E tu?

Pablo si è messo proprio davanti a Luís, in modo che lui non possa proseguire, se non aggirandolo. Ma è evidente che Luís non ha nessuna intenzione di andarsene. Dal suo sorriso si direbbe che considera l’incontro un’occasione insperata, come Pablo si augurava. Luís Cabral è ben felice di trovarsi davanti Pablo e non cerca di nasconderlo.

Alla domanda di Luís, Pablo alza le spalle.

- Abbastanza bene. Ho perso il posto, ma ne cercherò un altro. Non sarà difficile. Anche se dopo quest’ultimo lavoro non ho certo buone referenze.

- Oh, mi spiace, ma certo, adesso che il tuo padrone è in mano ai sequestratori…

Pablo cambia discorso: non vuole dare l’impressione di essere troppo interessato all’unico argomento che davvero gli sta a cuore.

- Hai smontato ora? Il commissariato è qui vicino.

- Si, ho finito proprio adesso.

- Che ne diresti di andare a bere qualche cosa?

Luís sorride.

- Molto volentieri.

Al bar non ci mettono molto a capirsi. Pablo sa di andare sul sicuro e a Luís non pare vero che questo magnifico maschio lo stia invitando. C’è un unico problema da risolvere: Pablo non ha una casa, adesso che non ha più lavoro sta nell’appartamentino che ha affittato per sua madre, ma non può certo portarci Luís. Anche Luís vive con i parenti, due fratelli e uno zio.

- Che ne diresti di andare in sauna? Ne conosco una in cui possiamo stare tranquilli.

Luís annuisce.

- Per me va benissimo.

Pablo porta Luís al Babylon. Per parlare in pace, al riparo da orecchi indiscreti, è il posto migliore e quello che interessa a Pablo non è la scopata, ma la conversazione che seguirà.

Luís osserva l’edificio:

- Non sono mai stato qui.

Pablo si dice che con il suo stipendio da poliziotto è difficile che Luís frequenti un posto del genere. Pablo guadagnava abbastanza da poterci venire ogni tanto, ma non gli interessava molto.

Negli spogliatoi si tolgono gli abiti e si guardano. Luís non nasconde la sua soddisfazione nel vedere Pablo spogliarsi. Quando la guardia si cala le mutande, il sorriso di Luís si allarga. Non è l’unico a osservare Pablo: anche gli altri uomini negli spogliatoi non gli staccano gli occhi di dosso un attimo. Ma Pablo non ci bada. Osserva Luís, sorridendo. Anche Luís ha un bel corpo, più snello e meno muscoloso di quello di Pablo. A Luís sta già diventando duro. A Pablo no, ha la mente altrove, ma sa che al momento giusto il suo arnese non farà cilecca. Funziona bene e dopo l’astinenza delle ultime settimane si darà da fare molto volentieri, anche se il suo padrone ha altre preoccupazioni.

Si mettono l’asciugamano intorno ai fianchi. Poi Pablo si avvicina a Luís e lo bacia. Spinge la lingua dentro la bocca dell’agente, che schiude le labbra. Si staccano. Pablo mette una mano intorno alla vita di Luís e lo guida verso le docce, perché Luís ha detto che ha bisogno di lavarsi, dopo una giornata di lavoro.

Anche Pablo si lava: non ne avrebbe bisogno, ha fatto una doccia prima di uscire di casa, ma gli sembrerebbe poco gentile nei confronti di Luís. Anche mentre è sotto la doccia diversi degli uomini presenti lo fissano, ma Pablo li ignora e scambia due parole solo con Luís. Poi si asciugano a vicenda e raggiungono una delle camerette. Pablo chiude la porta.

Pablo intende dare il meglio di sé. Sta servendosi di Luís Cabral, lo sa, e questo non gli piace. Ma lo fa per cercare di salvare Hernando García e in ogni caso farà tutto il possibile per dare piacere a Luís.

Pablo bacia Luís, mentre lo abbraccia. La sua lingua si fa strada tra i denti di Luís, che apre la bocca e l'accoglie. Le mani di Pablo accarezzano il corpo di Luís, scivolando dalla nuca al culo, fanno cadere a terra il telo, poi tornano in alto in una carezza. Luís sembra disorientato, come se non fosse abituato alla tenerezza di questo abbraccio. Forse è uno abituato ad andare per le spicce, ma è evidente che il cambiamento non gli dispiace.

Luís si stacca.

- Fatti guardare, Pablo, è bello guardarti.

Pablo sorride e si lascia ammirare. Scherza:

- Devo voltarmi? Vuoi vedere anche il lato B?

Luís annuisce. Anche lui sorride, ma negli occhi Pablo gli legge un desiderio che brucia.

Pablo si volta, allargando leggermente le gambe. Luís si inginocchia dietro di lui e gli mette le mani sul culo. Divarica le natiche e incomincia a passare la lingua sul solco, più e più volte. Poi si ferma sul buco e spinge la lingua in avanti. Si stacca e incomincia a mordicchiare il culo di Pablo. La sensazione è piacevole e il cazzo di Pablo alza la testa. Luís ritorna a leccare il solco, a spingere la lingua nell'apertura, mentre le sue mani stringono il culo di Pablo, con forza.

Luís va avanti per alcuni minuti. Poi si sposta e passa davanti. Contempla il cazzo di Pablo, che gli posa una mano sulla testa e lo accarezza. Luís alza lo sguardo e lo fissa, adorante. Sembra che stia guardando un'apparizione della Madonna. Pablo sorride e scuote la testa. Luís avvicina la bocca al cazzo di Pablo. Mormora:

- È meraviglioso.

Poi inghiotte il boccone (non tutto, non ce la farebbe: quello che gli sta in bocca), e prende a succhiare con energia. Le labbra e la lingua di Luís trasmettono vibrazioni di piacere a Pablo e il suo cazzo cresce ancora di volume e acquista maggiore consistenza. Luís lo lascia andare e lo guarda, ammaliato. Poi lo prende ancora in bocca e lo lavora.  Va avanti a lungo, tanto che Pablo si chiede se non voglia farlo venire così. Le sensazioni provocate dalla lingua e dalle labbra sono intensissime.

- Sto per venire, Luís.

Luís continua a succhiare e Pablo sente il piacere esplodere. Non veniva da tempo, non ha più avuto rapporti dalla notte prima della scomparsa di Hernando García. Il seme riempie la bocca di Luís, che inghiotte, senza lasciare la sua preda, poi pulisce con cura.

Pablo gli accarezza la testa. Luís ce l'ha duro. Pablo si china e solleva Luís. Lo bacia ancora, poi lo volta e lo stringe a sé. Ora i loro corpi aderiscono. Pablo accarezza Luís, le sue mani gli sfiorano il viso, scendono al petto, stringono con forza i capezzoli e Luís geme di piacere. Poi le mani di Pablo scivolano al ventre, stuzzicano con delicatezza il cazzo, stringono i coglioni. Lasciano la preda e risalgono, di nuovo indugiano sui capezzoli, poi scivolano sul collo e tornano al viso. Una indugia sui capelli, mentre l'altra stuzzica la bocca. Luís mordicchia il dito che si infila tra le sue labbra e Pablo ripete il gesto. Poi le sue mani ridiscendono e questa volta, dopo aver indugiato lungo il percorso, si spostano verso l'esterno e stringono con forza il culo. Luís geme. Poi le mani tornano davanti e una sfiora appena il cazzo teso, l'altra giocherella con i coglioni  e nuovamente risalgono entrambe. Luís geme di nuovo. Le mani dalle guance scendono lungo le braccia, poi passano davanti e una giocherella dietro lo scroto.

Intanto il gioco ha fatto rialzare la testa al cazzo di Pablo, che si sta di nuovo tendendo. Luís lo sente e preme il suo corpo contro quello della guardia. Pablo lo stringe con forza, togliendogli il respiro.

Luís mormora:

- Prendimi, Pablo. Non ce la faccio più.

Pablo guida Luís a stendersi a pancia in giù sul ripiano. Guarda un attimo il bel culo che gli si offre. Si sputa sulla mano e inumidisce l'apertura facendo passare prima un dito, poi due. Ripete l'operazione due volte. Luís geme senza ritegno. Pablo mordicchia il culo di Luís, più volte, mentre le sue mani gli accarezzano la schiena e poi scendono a stringergli con forza il culo. Infine Pablo apre la bustina del preservativo, se lo infila e preme con la cappella contro l'apertura, che cede. Pablo entra piano: non vuole fare male e sa benissimo che, per quanto Luís sia abituato, il suo arnese può fare davvero male. Ma il gemito di Luís è di puro piacere. Pablo avanza lentamente, fino in fondo.

- Pablo, Pablo!

Pablo si ritrae, lentamente, poi torna a conquistare la postazione abbandonata. Si muove con lentezza, con un'esasperante lentezza, che pare moltiplicare il desiderio di Luís.

Pablo si muove avanti e indietro, affondando il suo spiedo nella carne di Luís e poi ritraendosi. Due volte esce completamente, per poi immergersi con una spinta più decisa.

Luís sembra in delirio, ripete più volte il nome di Pablo, lo incoraggia, grida parole sconce.

Pablo prosegue nella sua opera, instancabile, mentre le sue mani accarezzano e stringono il corpo di Luís.

Pablo sente che il corpo di Luís si tende, poi l'agente emette un grido strozzato e una serie di gemiti violenti. Pablo accelera il ritmo e viene anche lui, dentro il culo di Luís. Lo abbraccia, lo bacia sulla nuca. Lo accarezza. Vorrebbe chiedergli com'è stato, ma non è necessario: Luís ha goduto intensamente.

E infatti, quando infine Pablo esce da lui e gli si stende accanto, Luís dice:

- Cazzo, Pablo. Non ho mai trovato nessuno come te. È stata la più bella scopata della mia vita. Cazzo! Cazzo!

A Pablo poco importa del complimento. È contento che Luís sia stato soddisfatto, è quello che voleva.

- Grazie. Adesso rimaniamo un po’ qui, se ti va. Scambiamo due chiacchiere.

- Volentieri.

Pablo chiede a Luís del suo lavoro. Parlano anche del commissario. Luís sorride e a un certo punto dice:

- Non lo raccontare a nessuno, altrimenti sono finito, ma qualche volta mi fotte.

Pablo è stupito, non l’avrebbe mai pensato.

- Non credevo che gli piacessero gli uomini.

- Infatti non gli piacciono. A lui piacciono le donne, io servo solo per svuotare i coglioni. Lui se ne fotte di me, ma mi piace quando mi scopa: ha un bel cazzo ed è un gran maschio. Certo non come te, Pablo. Ma come te non ne ho mai incontrati. È stato splendido.

Luís ha un sorriso beato. Pablo sorride e alza le spalle. Poi butta lì, come se fosse un argomento qualunque.

- Nessuna novità per quanto riguarda il sequestro del mio ex-padrone?

- No, niente. Il commissario si è raccomandato che io non dicessi nulla a nessuno. Ha fatto venire la signora tre giorni fa, ma non mi ha fatto assistere al colloquio, non ha voluto nessuno per verbalizzare. Ieri gli ho chiesto e mi ha detto che sta facendo i controlli, ma non è convinto.

- Non è convinto?

- Sì, lui dice che probabilmente sono solo tue fantasie.

Pablo non dice nulla. Se il commissario ha parlato con la signora García, per poco che sappia il suo mestiere, deve aver capito che è tutto vero. E allora perché negarlo? E perché non fare assistere un agente per verbalizzare? Un interrogatorio senza verbalizzazione?

- Mie fantasie, eh?

- Così dice lui.

- Va bene, non ha importanza. Può darsi che mi sia sbagliato.

Chiacchierano ancora un momento. Fuori dalla sauna si lasciano. Pablo dice:

- Ti lascio il mio numero. Fammi sapere se viene fuori qualche cosa di nuovo. Al commissario non dire che ci siamo incontrati.

- No, certo.

Luís prende il numero. Pablo gli legge in viso che è felice. Basta solo che non si innamori di lui. Ma non farà in tempo, Pablo ha la sensazione che ormai manchi poco alla fine.

 

*

 

Ángel apre la camera del prigioniero. Ha aspettato che Augusto se ne andasse. Deve avere una donna da qualche parte, ormai tutti i giorni alla stessa ora se ne va. Tanto il prigioniero non dà nessun problema.

Francisco dorme, come al solito. Non sa fare altro. Non è che ci sia molto altro da fare, qui. A meno di non fare come Ángel.

Ángel guarda Hernando García. Gliel’ha messo in culo tre volte. Gli è piaciuto, un casino, anche se è sempre stato troppo breve: la faccenda gli scoccia un po', ma Ángel non sa cosa farci. Anche a García è piaciuto, questo è evidente. L’ultima volta ce l'aveva mezzo duro. García è un finocchio, ma ha un bel corpo. E soprattutto un bel culo.

Ángel si avvicina. García fa per girarsi e stendersi, ma Ángel lo afferra per i capelli e gli avvicina la faccia al proprio cazzo, ormai rigido.

García lo fissa. Deve aver capito benissimo che cosa vuole Ángel, che ora sorride.

- Fammi vedere che cosa sai fare con la bocca. Sono sicuro che sei bravissimo.

García sembra smarrito.

- Muoviti, stronzo. Ti piace.

García scuote la testa, ma gli guarda il cazzo e Ángel è sicuro che ha l'acquolina in bocca.

- Muoviti!

Ángel ha usato un tono duro. Questo finocchio gli fa solo perdere tempo.

García non si decide. Ángel gli molla una sberla.

García lo guarda, si scuote, avvicina la testa, esita ancora un attimo, poi incomincia a passare la lingua sul cazzo di Ángel, dai coglioni alla cappella.

- Succhia, stronzo, succhia per bene.

García ha di nuovo un momento di esitazione. Ángel gli molla un'altra sberla, ma non forte: è solo uno scappellotto. García prende in bocca il cazzo di Ángel e incomincia a succhiare, inizialmente titubante, poi con maggiore convinzione. Ángel ride, soddisfatto. A García piace, questo è evidente. García è maldestro, non è bravo a succhiare, però ci dà dentro.

Ángel avverte la tensione che cresce. Sperava che facendoselo succhiare sarebbe durato di più, ma anche questa volta viene in fretta.

- Adesso bevi, tutto.

García cerca di sottrarsi, ma Ángel gli mette una mano dietro la testa e lo costringe a non mollare la preda.

- E ora pulisci bene.

García obbedisce, senza più cercare di resistere. Quando ha pulito per bene, Ángel toglie la mano e lascia che si ritragga.

- Non l’avevi mai fatto, vero?

García scuote la testa.

- Però ti è piaciuto.

García lo guarda, senza dire nulla.

- E ti piace anche prendertelo in culo. Ti piace un casino. Ti viene duro.

Hernando García abbassa il capo: è in imbarazzo, forse sperava che lui non se ne fosse accorto.

Ángel sorride. Gli viene da dire:

- Questione di gusti, ce ne sono parecchi a cui piace.

García lo guarda. Non ha detto una parola. Ángel aggiunge:

- Non l’avevo mai fatto neanche io.

Ángel si ferma. Si chiede che cazzo sta facendo. Si sta confidando con Hernando García?

- Stenditi, che ti inculo. Così poi mi dici se è meglio prenderselo in bocca o in culo.

García obbedisce. E che altro potrebbe fare? E poi non gli spiace mica. Magari questa volta viene. Ángel guarda il culo del prigioniero. È un bel culo, forte e sodo. Ángel è contento di essere stato il primo a fotterlo. Ángel passa una mano sul corpo che gli si offre. Stringe a piene mani il culo. Spinge un dito nell'apertura che tra poco accoglierà il suo cazzo. Ride. Toglie il dito e ne mette un secondo. Non ci vuole molto perché il cazzo gli ritorni duro.

Allarga le natiche, osserva il buco, ci sputa sopra, sparge un po' la saliva e poi infilza García con una spinta decisa, che fa sussultare il prigioniero. Poi incomincia a spingere con forza. È venuto da poco e questa volta ci vuole un momento di più prima che Ángel senta di nuovo la tensione diventare intollerabile e poi sciogliersi in una serie di spinte. Viene e si toglie, ma si stende di fianco a García. Lo guarda.

Gli piace, questo corpo steso accanto al suo gli piace. García è un bel maschio. D’improvviso Ángel si rende conto che vorrebbe abbracciarlo. Vorrebbe prenderlo tra le braccia. Dev'essere bello stringere un bel corpo, ma con un maschio no, è roba da finocchi.

Adesso ad Ángel un po’ spiace che García debba morire. Preferirebbe che potesse essere liberato. Tanto non racconterebbe mai a nessuno di esserselo preso in culo da lui e di averglielo pure succhiato.

Ma García non racconterà niente. García morirà presto.

 

*

 

La telefonata arriva poco dopo le nove, in commissariato. Cabral dice al commissario Balcázar che un uomo vuole parlargli, per una faccenda che riguarda il rapimento di Hernando García.

Ricardo si fa passare la telefonata nel suo ufficio. Una voce maschile gli dice:

- Ti telefono da parte della signora. Trovati alle 10.30 in carrera 134, al 96. Ti consegno la valigetta. Hai tutti i documenti che devi dare?

Balcázar aspettava la telefonata e ha tutto. Conferma.

- Sì, ho tutto.

- Alle 10.30 precise.

L’uomo riattacca.

 

Balcázar arriva un po’ in anticipo. La carrera 134 è tra i campi e il retro di un grande edificio, forse una fabbrica. Non ci sono finestre che diano sulla strada. Un posto ideale: non c’è nessuno, neanche un’auto parcheggiata. E non c’è neppure una casa da cui possano vedere ciò che succede.

L’altra auto arriva alle 10.30 precise e parcheggia subito dietro l'auto di Balcázar. L’uomo che scende ha una valigetta in mano. Balcázar scende dalla sua auto e attende. L’uomo gli consegna la valigetta senza dire nulla. Balcázar la posa sul sedile dell’auto e la apre. I fasci di banconote da 100 dollari riempiono tutto lo spazio disponibile. Ricardo non ha mai visto tanti soldi in un colpo solo. E sono suoi. Il commissario sorride.

- Va bene.

Ricardo prende la busta che aveva messo sotto il sedile. L’uomo la apre, dà una rapida occhiata e poi chiede:

- È tutto?

- Sì, tutto.

L’uomo infila la busta nella tasca dell’impermeabile. Poi sorride. Fa un passo avanti e con un movimento rapido attira a sé Ricardo con la sinistra. Ricardo sente la lama che lo trapassa, mentre il suo assassino lo stringe a sé, in un abbraccio. Emette un grido strozzato. L’uomo lo colpisce una seconda volta, sempre tenendolo stretto. Ricardo rantola. Il terzo colpo è inutile, ma al suo assassino piace uccidere, piace vedere la smorfia di dolore sul viso del commissario Balcázar, lo sguardo che si vela. L’uomo colpisce ancora tre volte, ma Balcázar non sente più nulla.

L’uomo prende la valigetta, poi spinge il cadavere di Balcázar nell’auto e richiude la portiera. Con la busta dei documenti e la valigetta risale sulla sua auto, mette in moto e si allontana.

Tre quarti d’ora dopo l’uomo consegna la valigetta con il denaro e il fascicolo con i documenti a Diego García. Diego guarda i documenti. Trova il nome che cercava: Pablo Montaña. È lui che va eliminato.

 

*

 

Il telefono squilla verso l’una. Pablo guarda il nome: Luís Cabral, l’agente che lavora con Balcázar. Avrà qualche notizia o vuole soltanto proporre una scopata? Pablo risponde subito.

- Ciao Luís. Contento di sentirti.

- Pablo...

La voce è alterata, Luís sembra sconvolto.

- Che succede?

- Hanno ammazzato il commissario. Lo hanno massacrato a coltellate.

- Cosa?

- Due ore fa. È uscito dal commissariato questa mattina dopo le nove, senza dare spiegazioni. Lo hanno ritrovato cadavere

- Merda!

- Ho pensato al caso García. Pablo, il verbale del tuo interrogatorio è scomparso, come pure le foto che hai portato.

Pablo arriva in fretta alla conclusione.

- Luís, sei in pericolo di vita. Ti uccideranno.

- Cosa dici, Pablo?

- Hai assistito all’interrogatorio. Il tuo nome su quel verbale è una condanna a morte. Scompari dalla circolazione per qualche giorno.

- Ma come… io…

- Sei in grado di raggiungermi controllando che nessuno ti segua?

- Certo.

- Esci subito dal commissariato, se sei lì. Fai perdere le tue tracce, altrimenti prenderanno due piccioni con una fava. Cambia taxi, entra in qualche grande magazzino da una porta ed esci sull’altra via. Nasconditi in un posto dove nessuno possa trovarti. Non dai tuoi, non in un posto dove qualcuno sa che vai abitualmente. Ci vediamo in calle 129, al 66. C’è una gelateria. Aspettami lì alle sei.

 

Pablo ha capito tutto. Balcázar ha avuto quello che si meritava, ma ora Hernando García verrà ammazzato. E Luís pure, perché è l’unico ad aver assistito a quel colloquio. Anche Pablo Montaña verrà ammazzato, di questo Pablo è assolutamente certo, ma è un’eventualità che aveva messo in conto fin dall’inizio. Ora è una certezza, ma non sarebbe un problema, se solo riuscisse a salvare Hernando García. A questo punto deve muoversi in fretta, molto in fretta. E non commettere altri errori. Parlare con Balcázar è stato un errore colossale, ma come avrebbe potuto sospettarlo?

Pablo non ci mette molto a trovare il contatto che gli serve.

 

Pablo ha scelto con cura il luogo dell’appuntamento con Luís.

Pablo non è andato alla gelateria dove deve incontrarsi con l’agente, ma si è messo dalla parte opposta della strada, all’interno di un locale da cui può controllare la via. Il proprietario lo conosce bene, Pablo gli ha dato una mano in passato, e quando Pablo gli dice che ha bisogno di rimanere lì per un po’ di tempo, non fa domande.

Pablo vede arrivare Luís, che si siede fuori dalla gelateria. Pablo rimane dov’è e osserva il passaggio di auto e persone. Nessuno sembra aver seguito Luís. Pablo non si muove. Luís sta diventando impaziente. Estrae il cellulare e compone un numero, di certo quello di Pablo. Pablo l’ha messo in modalità silenziosa, per cui avverte solo la vibrazione. Non risponde. Rimane a osservare.

Luís è preoccupato, ora. Riprova ancora due volte. Poi si alza e si allontana. Solo allora Pablo esce dal locale, prende l’auto che ha parcheggiato lì davanti e affianca Luís, che sussulta.

Prima che Luís possa dire qualche cosa, Pablo intima:

- Sali, in fretta.

Pablo riparte mentre Luís sta ancora chiudendo la portiera. Luís fa per chiedere spiegazioni, ma Pablo gli dice di stare zitto. Si concentra nella guida, controllando sempre nello specchietto retrovisore. Fa alcune svolte improvvise e un’inversione di marcia spericolata. Quando infine è sicuro che nessuno lo stia seguendo, si dirige verso Nord.

- Scusa, Luís. Ero dall’altra parte della strada, dietro la vetrina di un negozio. Volevo essere assolutamente certo che nessuno ti avesse seguito. Ti porto al sicuro, in una base dell’esercito, dove rimarrai per qualche giorno, finché questa storia non sarà conclusa. Ho preso contatti con il colonnello Pardo.

Luís è rimasto senza parole. Poi dice:

- Tu sai… chi… perché hanno ammazzato Balcázar… è per il rapimento di García, vero?

- Sì. Balcázar ha deciso di vendere il verbale della mia deposizione e le fotografie a qualcuno che era disposto a pagare molto. Non ha pensato che in cambio avrebbe ricevuto un buon numero di coltellate. Tu hai verbalizzato l’interrogatorio, quindi sei il prossimo.

- Tu che hai deposto sei il prossimo.

- Diciamo che siamo tutti e due sulla lista. Ma tu rimarrai in sicurezza.

- E tu?

Pablo guarda fisso davanti a sé mentre risponde:

- Io giocherò l’ultima carta, Luís.

- Ti fermerai anche tu alla base?

- No, Luís.

 

*

 

Hernando rimane disteso, come sempre, finché Ángel se ne va e chiude la porta dietro di sé. Hernando vorrebbe parlargli, anche se non sa neanche lui di che cosa. Vorrebbe chiedergli se lo ucciderà, ma non ha senso. Sono due volte che Ángel se lo fa succhiare e poi lo prende. A Hernando non spiace, quando Ángel lo incula, gli viene duro, ma non è mai venuto. Non gli spiace neanche succhiarglielo. Hernando si vergogna, si sente sporco.

Ángel lo prende e ogni volta il piacere è più forte. Oggi è stato sul punto di venire. Gode mentre un uomo che lo disprezza lo prende. E il pensiero torna a Pablo Montaña. Come sarebbe stato fare l'amore con lui? Come sarebbe stato se fosse stato lui a prenderlo? Il pensiero di Pablo è un'ossessione. La notte lo sogna e una volta è venuto mentre sognava che Pablo lo stava prendendo. Pablo entrava nella cella e gli diceva che era venuto a liberarlo, ma che prima lo avrebbe preso. Pablo si spogliava e in sogno Hernando si chiedeva se davvero lo avrebbe visto nudo. E quando Pablo aveva finito di spogliarsi e si era avvicinato a lui per prenderlo, Hernando era venuto.

Un sogno. Solo un sogno. Pablo nei sogni, Ángel ogni giorno nella cella, è tutto quanto gli è rimasto. Per quanto tempo ancora? Per poco. Hernando l'ha capito, dall'atteggiamento dei suoi carcerieri. Ormai è alla fine.

 

*

 

Pablo guarda il soffitto. Sa che la sua vita si sta avvicinando alla fine. Lo uccideranno presto. Non ha importanza, non ha nessuna importanza, purché riesca a salvare Hernando García. Ma quante possibilità ci sono di riuscirci? Pochissime.

Pablo sa che preferirebbe morire con lui che vivere sapendolo morto. In questo momento morire con lui è ciò di più vicino alla felicità che possa immaginare, dopo il salvarlo. E questa semplice constatazione gli dà la misura esatta del grado di follia a cui è giunto. Ora se lo può dire. Lo sapeva, ma non aveva mai formulato il pensiero: si è innamorato di Hernando García, del suo capo, di un uomo che è ad anni-luce da lui.

 

È ora di andare. Sarà questa sera, probabilmente. Di certo non vogliono perdere tempo. Lo uccideranno subito? Se è così, la sua morte sarà inutile, ma almeno non vedrà il giorno in cui troveranno il corpo di Hernando García. Se invece decideranno di sequestrarlo, può giocare le sue carte. Non sono molte, ma una partita si gioca con le carte che si hanno in mano, non c’è scelta, anche se sono solo scarti.

Pablo Montaña si veste.

Sua madre è sulla porta.

- Esci, figlio?

L’angoscia che vibra nella voce di sua madre lo fa soffrire.

- Sì, faccio un giro, magari mi fermo a dormire fuori. Non ti preoccupare se tardo. Può darsi che stia via qualche giorno.

Sua madre lo guarda senza dire niente. Avverte il pericolo. Ha gli occhi che luccicano. Pablo si sente in colpa. Perché sua madre deve soffrire ancora? Ha già perso un figlio, per colpa sua. E adesso ne perderà un altro. Le rimarrà solo Rosa. E i nipotini. Per fortuna ci sono i tre nipoti.

Pablo spera che almeno facciano sparire il suo cadavere. Sua madre potrà cercare di illudersi che lui è ancora vivo.

 

Pablo chiude la porta e scende le scale. Non prende l’ascensore: per le scale può controllare se c’è qualcuno.

È notte, c’è pochissimo traffico.

Esce e si avvia. Si direbbe che non si sia neppure guardato intorno, ma nell’uscire dal portone Pablo ha controllato la situazione con una rapida occhiata. Una macchina che era ferma si è messa in moto e si sta avvicinando. La raffica o il rapimento? La morte ora o dopo?

Pablo prosegue per la sua strada come se non badasse minimamente a ciò che accade intorno a lui. La macchina si ferma un isolato più avanti. Ottimo. Se fosse la sventagliata di mitra, l’avrebbero fatto mentre passavano accanto a lui.

Un uomo scende dall’auto e tira fuori una sigaretta. Pablo si avvicina con il suo passo tranquillo. Il cuore corre più in fretta.

- Amico, hai mica da accendere?

Pablo finge di non accorgersi di nulla, né dell'uomo che si è avvicinato alle sue spalle, né della tensione di quello che tiene in mano una sigaretta.

La pressione della canna contro la schiena è una conferma di cui Pablo non aveva bisogno.

- Sali o sei un uomo morto.

Pablo sa di essere un uomo morto, che salga o no. Ma intende giocare la sua unica carta, anche se vale pochissimo.

In auto gli mettono un cappuccio e lo costringono a stare a testa bassa. L'auto entra in un garage. Lo fanno scendere. I primi colpi servono solo per ammorbidirlo un po', Pablo lo sa. Sa incassare bene, ma finisce a terra come se  non fosse più in grado di stare in piedi.

Sono in quattro, tutti a capo scoperto: inutile nascondersi, Pablo non andrà a raccontare a nessuno che li ha visti. Uno sta armeggiando con il cellulare di Pablo.

- Credo che tu sappia perché ti abbiamo preso.

Pablo non mente, non servirebbe a nulla. Il piano che ha in testa non prevede nessuna resistenza. Fingendo di fare fatica a rialzarsi, si mette in piedi.

- Siete quelli che hanno ammazzato il mio padrone, vero?

- E tu sei un maledetto ficcanaso.

Un violento pugno allo stomaco mozza il fiato a Pablo, che si piega in due con una smorfia di dolore in faccia. Del colpo non gli importa, di quelli che seguiranno neanche. Il pensiero che angoscia Pablo è che l’uomo non ha smentito la sua frase. Questo non significa molto, è vero. Ma se Hernando García è davvero morto, nulla ha più senso.

Adesso parla un altro degli uomini:

- Tu hai fatto un po’ di foto che non dovevi fare. Le hai fatte con questo fottuto telefono. O con un altro. Dove sono le foto, dov’è la scheda di memoria di questo telefono?

Pablo ha un sorriso sprezzante e non risponde.

Un nuovo pugno allo stomaco, una ginocchiata ai coglioni, un colpo in faccia, poi altri. Pablo si lascia di nuovo cadere a terra, un ronzio nelle orecchie, intontito. Un calcio in faccia gli fa colare il sangue dal naso.

- Questo è solo un antipasto. Se non ci dici dov’è la memoria del telefono, ti ammazziamo, ma prima maledirai quella puttana di tua madre per averti messo al mondo.

Pablo chiude gli occhi, li riapre. Pablo sa incassare i colpi. Il dolore è forte, ma è perfettamente lucido. Finge di parlare a fatica.

- Avete ammazzato Hernando García… potete ammazzare… anche me.

L’ha detto per la seconda volta. È un amo lanciato nella speranza che abbocchino, la sua unica possibilità. Se questi bastardi gli confermeranno di aver ucciso Hernando García, Pablo può solo desiderare di morire.

- Il tuo capo è ancora vivo.

- Non ci credo.

- E a noi che ce ne fotte, stronzo?

- Se mi fate vedere… che Hernando García è ancora vivo…, vi dico… dov’è la memoria… del telefono. Altrimenti… potete ammazzarmi… come volete e tra due giorni… quella memoria salterà fuori.

Gli uomini si guardano, incerti. Non possono correre il rischio che quella memoria finisca nelle mani della polizia.

Quello che sembra il capo, colpisce di nuovo Pablo con un calcio in faccia, un altro lo prende alle costole. Pablo sente la fitta, che gli toglie il fiato.

- Tu parli o ti facciamo parlare noi.

Il sangue gli cola dal labbro e dal naso e respirare gli procura delle fitte. Di nuovo finge di non riuscire a parlare.

- Se l’avete ammazzato… fatemi… quello che volete… non vi dirò niente…

- Sei cocciuto come un mulo, stronzo! Ma sappiamo come far cambiare idea anche ai più testardi.

È un calcio allo stomaco, ora, e poi un altro ai coglioni. Il mondo ondeggia paurosamente. A Pablo viene da vomitare.

- Se mi portate… da lui, se… vedo che… che è… ancora vivo

Pablo si interrompe, sembra non riuscire a parlare. Dice ancora:

- Vi dico… dov’è… la memoria… come averla. Ma voglio… vederlo con i miei occhi… che è ancora vivo.

Gli uomini si guardano. Il capo si allontana. Uno degli altri molla ancora un calcio allo stomaco. Pablo incassa. A tratti gli sembra di svenire.

Il capo ritorna dopo qualche minuto.

- Ascolta, figlio di puttana, noi ti portiamo dal tuo capo, ma tu ci racconti dov’è quella fottuta memoria, se no gli tagliamo i coglioni davanti a te. Chiaro?

Pablo annuisce.

- Sì, ve… lo giuro.

Gli infilano un cappuccio in testa e lo fanno entrare nel bagagliaio di un’auto.

Ora sono in strada. Malgrado il dolore dei colpi, Pablo si sente bene. C’è una speranza, ora. Se davvero lo portano da Hernando García, racconterà dove ha nascosto la memoria e come possono recuperarla. Prima di ucciderlo, andranno a controllare e questo richiederà un po’ di tempo.

I rischi sono altissimi, ma forse per Hernando García c’è una speranza. Per Pablo Montaña no, ma non ha importanza. Pablo Montaña è un povero coglione e può morire.

 

*

 

Due dei carcerieri sono andati via. Hernando li ha sentiti parlare fuori dalla casa. Raccomandavano ad Ángel di non aprire la porta della sua cella per nessun motivo. Hernando è sicuro che Ángel verrà da lui ancora una volta, per scopare. Gli altri non sono in casa. Potrebbe cercare di fuggire. È la sua unica possibilità. Difficile che riesca a sorprendere Ángel, anche se il ragazzo di certo non si aspetta una sua reazione, ma se non fa niente, va incontro a morte certa.

Che cosa può fare? Ci ha pensato più volte in questi giorni, cercando di capire. Non è abituato a lottare, se cercasse di aggredire Ángel avrebbe la peggio. Ángel entra senza armi, è forte. Hernando può giocare solo sulla sorpresa. La sedia che usava si è rotta, adesso c'è uno sgabello. Potrebbe cercare di colpire Ángel con quello. Un colpo in testa, vibrato con forza. Dovrebbe trovare il momento giusto, magari quando Ángel si stende accanto a lui, come fa alcune volte. O quando si volta per uscire. Dovrebbe colpire senza esitare. Ce la farebbe? L'idea di colpire, forse di uccidere, lo sgomenta. E dovrebbe essere sicuro di mettere Ángel fuori combattimento per un po', non solo intontirlo per cinque minuti. Deve avere il tempo di fuggire, di allontanarsi dalla casa.

Ángel non arriva. Hernando si dice che forse oggi non verrà da lui.

Solo un'ora dopo Hernando sente la porta aprirsi e Ángel appare sulla soglia. Lo guarda e gli dice:

- Oggi me lo succhi, poi te lo metto in culo.

Hernando si mette in ginocchio. In quel momento si sente il rumore di un’auto che arriva e si ferma davanti alla porta.

- Merda!

Ángel si rassetta in fretta.

Hernando ha perso l’occasione. Ma forse non c’è mai stata un’occasione.

Ángel esce e richiude la porta. Sono arrivate diverse persone. Hernando le sente parlare. Non sono solo i suoi tre carcerieri.

Hernando si dice che è arrivata la fine. Ora lo uccideranno. Ne è sicuro.

La porta viene aperta. Hernando si alza di scatto. Due uomini ne sostengono un altro, che pare non essere in grado di reggersi in piedi. L’uomo ha il viso coperto di sangue, ma Hernando lo riconosce subito: è Pablo Montaña, che lo fissa e sembra sorridere. I carcerieri richiudono la porta.

Hernando rimane in piedi a guardare la porta chiusa, incapace di credere a ciò che visto. Pablo Montaña è stato catturato. Uccideranno anche lui. Hernando crolla in ginocchio. Ha voglia di piangere.

 

*

 

Ángel osserva l'uomo, che viene ancora malmenato, anche se adesso è disposto a raccontare ciò che sa. Non sono state le botte a fargli cambiare idea, voleva vedere con i suoi occhi che il suo padrone era ancora vivo. Ma tra poco saranno morti tutti e due, il padrone e la guardia.

Il tipo fa fatica a parlare. Due volte perde i sensi e devono farlo rinvenire versandogli dell’acqua in testa. Devono averlo riempito di botte. Ma lui non ha detto niente finché non ha visto il suo padrone. Questo tizio ha i coglioni.

La guardia racconta che ha nascosto la memoria nella cassetta dello spogliatoio di una palestra. Dice dov’è la chiave del lucchetto e qual è il numero dell'armadietto. Aggiunge che devono ritirare la chiave e i materiali entro 48 ore dalla sua scomparsa, altrimenti un amico aprirà una busta che lui ha lasciato e andrà a prendere il tutto per portarlo alla polizia.

La guardia si becca ancora qualche calcio. Non lo ammazzano subito perché vogliono controllare se ha detto la verità. L’uomo sviene di nuovo. Sembra più morto che vivo.

- Noi andiamo. Controlliamo che questo figlio di puttana non abbia raccontato storie. Poi vi daremo l’ordine e li farete fuori tutti e due.

Ángel sa benissimo che non saranno questi uomini che sono arrivati con la guardia a cercare i documenti. Però preferiscono non rimanere nella casa dove si trova il prigioniero. Probabilmente hanno avuto l’ordine di andarsene appena avute le informazioni di cui avevano bisogno. Hanno voluto che Francisco e Augusto andassero a prendere il nuovo prigioniero, perché nessun altro sapesse dov’è la casa.

C’è stata qualche complicazione, anche se Ángel non ha capito di che cosa si tratta

La guardia sembra incosciente, ma mentre Ángel e Augusto lo trasportano nella camera del prigioniero, Francisco lo tiene sotto tiro senza abbassare mai la rivoltella. Non si sa mai, quello è uno tosto.

 

*

 

La porta si apre. Due dei carcerieri stanno portando Pablo. Sembra svenuto. Lo posano sul pagliericcio. Hernando guarda il viso coperto di sangue e gli sfugge un grido:

- Pablo!

Pablo muove un po’ il capo, apre un attimo gli occhi, ma li richiude subito.

I carcerieri escono, chiudendo dietro di sé la porta. Hernando si china su Pablo.

Pablo socchiude gli occhi e volta il viso di lato, ma, dopo aver controllato che non ci sia nessuno, guarda Hernando e gli sorride.

Hernando ha l’impressione che gli manchi il respiro. Pablo parla pianissimo.

- Sono contento di vederla, signor García.

- Pablo…

Pablo lo interrompe subito.

- Parli sottovoce.

Hernando tace e annuisce.

Pablo dice:

- Verranno a liberarla, tra poco. Ho fatto in modo che mi portassero qui perché ho un trasmettitore. Adesso sanno dove lei è tenuto prigioniero. Cercheranno di liberarla. È molto pericoloso, ma è necessario: quelli contano di ucciderla.

Quella della liberazione è la più bella notizia che Hernando potesse sperare di sentire, anche se è conscio dei rischi: non sarebbe la prima volta che un prigioniero viene ucciso quando l’esercito o la polizia cerca di liberarlo. A colpire possono essere i carcerieri oppure i liberatori, per errore. Ma in questo momento a Hernando preme sapere quali sono le condizioni di Pablo.

- Pablo, che cosa ti hanno fatto? Sei ferito?

- Niente, mi hanno solo menato un po’. Sto abbastanza bene, ma ho finto di essere incosciente perché non badino a me quando sarà il momento. Si stenda di fianco a me.

Hernando obbedisce. Con un gesto istintivo cerca la mano di Pablo e la stringe. È felice che lui sia qui e nello stesso tempo angosciato dal sapere che anche lui rischia la vita.

- Come hai fatto, Pablo? Come…

- È una storia lunga, signor García. Ma preferisco che gliela racconti qualcun altro.

Hernando non capisce.

- Perché, Pablo?

Il rumore dell’elicottero li fa guardare in alto tutti e due, anche se non possono certo vederlo attraverso il tetto.

- Sono i soldati, signor García. Tra poco saranno qui.

 

*

 

L’elicottero passa di nuovo sopra la casa. È la seconda volta.

Augusto si alza di scatto. Sono tutti e tre nervosi, ma fino a ora si sono limitati ad ascoltare. Potrebbe essere una normale operazione di controllo.

- Merda! Siamo fottuti. Ci hanno scoperti.

Francisco continua a fumare la sua sigaretta.

- Non cagarti addosso, Augusto. Non è detto che sia così.

- Hanno capito che lui è qui. Lo hanno scoperto in qualche modo. Devono aver seguito quelli che hanno portato l’altro prigioniero.

- Può darsi. Se è così, è finita.

Ángel pensa che è giunto il momento di eliminare Hernando García. I capi hanno ordinato così. E poi Ángel non vuole che Hernando García possa andare in giro a raccontare. Probabilmente non racconterebbe niente. Che cosa racconterebbe, di esserselo preso in culo? Sarebbe un coglione. Ma Ángel non vuole che possa dirlo a qualcuno.

Ángel non è più in soggezione davanti ad Augusto e Francisco. Si sente un loro pari. Dice quanto va detto:

- Allora bisogna eliminarlo.

- Lo faremo all’ultimo minuto, quando siamo sicuri che sono davvero gli sbirri.

Ángel dice, con voce sicura.

- Lo faccio io.

Francisco lo guarda e sorride.

- Come vuoi.

Adesso c’è silenzio. Francisco guarda attraverso le ante accostate. Giurerebbe che qualcuno si sta muovendo là fuori. Fa un cenno agli altri e prende la pistola. Augusto guarda Francisco. Augusto sembra smarrito. Ángel lo guarda con disprezzo. Questo coglione non sa morire?

Ángel afferra la pistola e si dirige alla stanza del prigioniero. Apre la porta. Hernando è steso sul pagliericcio, di fianco all’altro uomo, che non ha ancora ripreso conoscenza. Bisognerà ammazzare anche lui.

Hernando guarda Ángel. Si fissano negli occhi. Ángel si chiede che senso ha uccidere quest’uomo.

Il rumore della porta sfondata arriva in quel momento. Sono entrati in casa, non c’è tempo da perdere.

Ángel alza la pistola. Farà la sua parte, fino in fondo. Lo ammazzeranno, ma Hernando García deve morire.

Una raffica di mitra gli dice che Augusto e Francisco devono essere morti. Tra poco toccherà a lui. Ángel punta la pistola. Di colpo si trova addosso l’altro prigioniero, che si è alzato di scatto e si è messo in mezzo. La pistola gli gira nelle mani, Ángel fa appena in tempo a capire che l’uomo l’ha afferrata e gliela sta togliendo. L’uomo spara, mentre si getta di schiena sul pagliericcio. Ángel sente il dolore violento al petto e le forze che gli mancano. Cade a terra.

 

*

 

Pablo sa come disarmare un uomo. Il ragazzo non era certo esperto, ma era venuto per uccidere Hernando García. In un’altra situazione, Pablo si sarebbe limitato a disarmarlo, ma ci sono anche gli altri banditi. Non può correre rischi.

In quel momento entra un altro dei rapitori. Ha la pistola in mano. Non vede subito Pablo, che è sul pagliericcio. Guarda invece verso Hernando e preme il grilletto, contemporaneamente a Pablo, che è saltato davanti a Hernando per proteggerlo. L’uomo crolla a terra, un foro in fronte. Pablo sente il violento dolore al petto. García grida:

- Pablo! No!

Due soldati fanno irruzione, le armi spianate.

Pablo si accascia tra le braccia di Hernando García, che lo sostiene. Sapeva che c’era il rischio che uccidessero Hernando per evitare che venisse liberato. Sicuramente quelli erano gli ordini. Ha finto di essere incosciente perché non badassero tanto a lui e per poter intervenire. È riuscito a fare quello che voleva.

Nonostante il dolore violento al petto, Pablo è felice. Ha salvato Hernando García e ora muore tra le sue braccia. Non potrebbe chiedere niente di più.

- Pablo, Dio mio, Pablo!

Pablo solleva il capo e guarda Hernando García. Gli legge in viso il dolore e vorrebbe che non soffrisse.

Pablo si sforza di sorridere.

- Ce l’ho fatta. Ci sono… riuscito. Non doveva… morire…

Hernando scuote la testa.

- Pablo!

- Mi tenga così. È bello… Non si angosci… Va bene così. La mia vita… non conta… Mi tenga… così…

È davvero bello, questo abbraccio. A Pablo sembra la cosa più bella che ha avuto nella sua vita. Non può desiderare di più. Può morire sereno. Gli sembra di aver pagato il conto che la morte di Xavier aveva aperto. Ha salvato quest’uomo che non meritava di morire. Ha dato la propria vita per quella di Hernando García.

Lo prendono, uno dei soldati parla dell'elicottero che è pronto per il trasporto, c'è anche un medico, non hanno lasciato nulla al caso, il prigioniero era Hernando García, non uno qualunque. L'elicottero servirà per Pablo. Ma il mondo sta svanendo. Pablo si rende conto che lo stanno caricando sull'elicottero. García sale anche lui. Stringe ancora la sua mano mentre Pablo sprofonda nel nulla.

 

*

 

Il funerale è nella cattedrale di Santa . C’è una grande folla. Parenti, amici, conoscenti, tutta la Bogotà che conta. Anche tanti curiosi, che si assiepano fuori dalla chiesa. Hernando García è in prima fila, suo fratello Andrés è di fianco a lui. Ma gli sguardi dei curiosi sono concentrati su Hernando, tutti vogliono vedere le sue condizioni, dopo due mesi di prigionia. Ma soprattutto desiderano vedere come si comporterà, sperano di leggere sul suo viso qualche traccia di ciò che deve provare. Il rapimento di Hernando García è stato per due mesi al centro dell’attenzione e negli ultimi giorni ha avuto sviluppi sensazionali: l’assassinio del commissario Balcázar, la scomparsa della guardia del corpo, la liberazione di García, l’arresto di Diana Villamizar García e infine questa morte inattesa. A Bogotà non si parla d’altro.

Hernando è consapevole di essere al centro dell’attenzione, ma non gli importa. La sua mente è altrove. Mille pensieri corrono nella sua testa mentre fissa la bara che troneggia a pochi metri da lui. Quel giorno sul bordo della piscina, in cui per la prima volta ha parlato con Pablo, suo padre sul letto di morte che gli affidava Andrés, l’ultimo scontro con Diego, poco prima del rapimento, Pablo che si mette tra lui e l’assassino, lo sparo, Pablo ferito tra le sue braccia. Il momento in cui, sull'elicottero, mentre lui gli stringeva la mano, l'ha sentita inerte. Per un attimo Hernando chiude gli occhi. Li riapre subito: non vuole darsi in pasto alla curiosità degli altri.

Hernando sa che la sua vita è cambiata totalmente. Nulla sarà più come prima. Nulla deve più essere come prima.

Dopo la cerimonia in chiesa, c’è il cimitero. Quando infine la bara viene messa nella tomba di famiglia, c’è la fila di persone che porgono le condoglianze. A quasi nessuno importa qualche cosa di lui, Hernando lo sa benissimo. Molti sono spinti solo dalla curiosità, dal desiderio di leggergli in faccia che cosa prova in questo momento.

Ci vuole molto tempo perché Hernando possa liberarsi da tutti, un tempo infinito. Ma Hernando non tradisce le sue emozioni, mostra a tutti la stessa faccia impassibile, provata da due mesi di prigionia e da tutto ciò che è successo dal momento della liberazione in poi. È un altro Hernando quello che stringe la mano e accetta le condoglianze. Un Hernando più forte, malgrado l’accumulo di tensione, sofferenza e stanchezza che pesa su di lui in questo momento. Un Hernando libero, che non rinuncerà a essere se stesso.

Quando infine tutti si sono allontanati, Hernando fa un cenno a una delle sue guardie, che telefona all'autista. Quando arrivano all’ingresso del cimitero, la sua auto e quella del fratello sono già lì ad aspettarli. C’è ancora qualche saluto, molti curiosi lo guardano, qualche fotografo scatta le foto. Quante foto gli hanno fatto oggi? Ma questa sera e domani, alla televisione e sui giornali, si parlerà di nuovo di lui, di Hernando García.

A Hernando non importa.

Hernando abbraccia Andrés, poi si stacca.

- Ci vediamo a casa questa sera, Andrés.

Adesso Andrés dorme a casa di Hernando, una cosa che Diana non sopportava neanche per una notte. Hernando conta che Andrés si trasferisca da lui. Sa che per Andrés è la soluzione migliore. E adesso che non c’è più Diego, Andrés riuscirà a ritrovare la serenità, di questo Hernando è sicuro. 

Il fratello annuisce, poi lo abbraccia di nuovo in uno slancio di affetto.

- Grazie a Dio sei tornato, Hernando.

- Grazie a Dio e a Pablo Montaña. Non dimenticarlo mai.

Andrés annuisce.

Salgono ognuno sulla sua auto. Hernando dice all’autista:

- Alla Clínica de la Merced.

L’auto si avvia.

La Clínica del la Merced è la migliore della Colombia, una delle migliori dell’America latina. Ma Hernando García può permettersi le migliori cliniche del continente.

Hernando sale, salutato cordialmente dall’impiegata al banco. Non gli chiede chi è, dove va, come farebbe a un visitatore qualunque. Non ne ha bisogno.

Uscendo dall’ascensore Hernando incontra il colonnello Pardo, il responsabile delle operazioni anti-sequestro, l’uomo che ha organizzato la sua liberazione.

- Buongiorno, signor García. Visto che la incontro, ne approfitto per farle le mie condoglianze, anche se, in questa situazione, forse è stato meglio così. Suicidandosi, suo fratello è sfuggito al processo e a una condanna inevitabile.

Hernando è un po’ stupito dalla franchezza dell’uomo: anche se molti hanno certo pensato che il suicidio di Diego ha evitato a Hernando nuove sofferenze e nuovi problemi, nessuno si è permesso di dirlo a lui. Ma quest’uomo che lo ha liberato non ha peli sulla lingua. E in cuor suo Hernando sa benissimo che la morte di Diego è una liberazione per lui e soprattutto per Andrés.

- Grazie, colonnello. È stato a trovare Pablo?

Non è una vera domanda. È ovvio che il colonnello proviene dalla camera di Montaña. Pardo sorride.

- Un uomo eccezionale. Grande intelligenza e grandissimo coraggio. Sapeva benissimo che rischiava di morire, ma era disposto a tutto per salvarla.

Hernando annuisce. Al pensiero di quanto è accaduto al momento della liberazione, ha un groppo in gola. Per fortuna la pallottola non ha provocato danni irreparabili. Pochi centimetri più in là e Pablo sarebbe morto dissanguato prima di arrivare in ospedale, ma è stato fortunato. Guarirà perfettamente.

Pablo è il punto fermo della sua vita, l’unica certezza, ma vale tutto quanto ha perso. O piuttosto, tutto ciò che si è illuso di avere, ma che non è mai stato davvero suo.

Hernando saluta il colonnello ed entra nella camera. È una camera di lusso, con un secondo letto per parenti e ospiti. In queste notti ci dorme la madre di Pablo. 

Hernando guarda Pablo, che gli sorride.

Hernando si siede, prende una mano di Pablo e la stringe. Rimangono un momento in silenzio. Hernando sta bene così. Stare vicino a Pablo è tutto quello che desidera.

Pablo gli dice:

- Oggi c’è stato il funerale, vero? Mi dispiace. Dopo tutto quello che ha passato, nelle sue condizioni attuali, per lei dev’essere durissima.

Hernando annuisce. È vero, è stata dura, ma Hernando ha la sensazione di essere più forte.

Parlano un momento di piccole cose insignificanti, ma ciò che si dicono non ha importanza. Hernando sa che non deve affaticare Pablo: sono passati pochissimi giorni dal ferimento e dall'operazione successiva. Parlare non è importante, gli basta rimanere accanto a Pablo. Vorrebbe restare tutto il giorno nella camera con lui. Prova un senso di benessere così profondo come non gli è mai successo. Ma adesso è ora di andare. Tra non molto arriverà Andrés, che ha bisogno di lui, come lui ha bisogno di Pablo Montaña.

Hernando sorride a Pablo e dice:

- Devi guarire in fretta. Mi manca una guardia del corpo.

Anche Pablo sorride, un sorriso un po’ imbarazzato.

- Il colonnello Pardo mi ha proposto di entrare nei corpi speciali dell’esercito. Mi sembra una bella idea.

Hernando ha l’impressione che di colpo la terra si sia spalancata sotto i suoi piedi. Precipita. Apre la bocca per parlare, ma non ci riesce. Si rende conto che deve andarsene subito, perché è sul punto di mettersi a piangere.

- Ne parleremo. A domani.

Hernando esce frettolosamente dalla camera. Raggiunge l’ascensore. Appena le porte si richiudono, incomincia a piangere. Sono anni che non piange, forse da quando era bambino. Due mesi di prigionia, la certezza di morire, Pablo colpito sotto i suoi occhi, la scoperta che erano stati la moglie e il fratello a organizzare il rapimento, il suicidio di Diego per sfuggire all’arresto: tutto quello che ha vissuto è un peso immane, ma davanti all’idea di avere Pablo al proprio fianco, gli sembrava di avere la forza per reggere. Ora che la sua unica certezza svanisce, gli sembra che la sua vita non abbia più un senso.

 

*

 

Hernando García non ha detto niente del suo progetto di entrare nei corpi speciali dell’esercito, ma era molto turbato. Si aspettava che lui riprendesse il lavoro come guardia del corpo. Ma Pablo non può. Pablo non se la sente di vivere accanto a Hernando García. Sa di amarlo e questi giorni trascorsi in clinica, in cui García è venuto sempre a trovarlo, gli hanno fatto capire che finirebbe per tradire ciò che prova.

L'unica cosa che vorrebbe dalla vita è rimanere accanto a Hernando García, ma non è possibile.

 

*

 

Oggi Pablo sarà dimesso dalla clinica. Sta benissimo, sarebbe potuto uscire prima, ma Hernando ha fatto in modo che venisse trattenuto. Voleva essere sicuro che guarisse, voleva poterlo vedere ancora qualche volta.

Per l’ultima volta si vedranno, poi Pablo entrerà nei corpi speciali dell’esercito e probabilmente non si incontreranno mai più: un miliardario e un soldato vivono in mondi separati. Oggi Hernando dirà a Pablo che lo ama. Non vuole mentire a Pablo, non mentirà più, non si nasconderà più. Se Pablo lo guarderà con disprezzo, sopporterà anche questa sofferenza. Non aveva pensato di dire a Pablo ciò che prova per lui, gli bastava il pensiero di averlo al suo fianco, ma non ci saranno menzogne e silenzi tra di loro, ora che le loro strade si separano. Quanto è breve il cammino che hanno fatto insieme!

L'autista parcheggia l'auto e Hernando attraversa il cortile, alzando lo sguardo verso la finestra della camera di Pablo. Sa qual è. Entra nella clinica e raggiunge la camera di Pablo. Il cuore gli batte forte. Pablo è vestito, sarà dimesso tra poche ore. Non regge più in clinica, non è abituato a rimanere inattivo e ormai sta benissimo.

- Buongiorno, signor García. Grazie per essere venuto anche oggi.

- Buongiorno a te, Pablo.

E come in tutti questi giorni in cui è venuto in clinica, Hernando si chiede perché non è mai riuscito a dire a Pablo di dargli del tu. Aveva paura che questa richiesta tradisse i suoi sentimenti? Sì, ha paura di questo.

Hernando non sa bene come incominciare il discorso che si è preparato. Ora che ha Pablo davanti a sé, prova vergogna. Che cosa penserà Pablo di lui?

Pablo gli chiede notizie di Andrés. Hernando sa che Pablo è andato a trovarlo più volte mentre lui era prigioniero. Andrés dice che era l'unico che gli offriva un sostegno, che gli impediva di sprofondare nella disperazione.

- Sta bene, sta molto meglio. Diego era il suo incubo, ormai, e adesso non si sente più minacciato.

- Per lui è stato meglio così.

- Sì.

C'è un momento di silenzio. Tutti e due non sanno che cosa dire.

- Non so se rimarremo in Colombia, Pablo.

- Preferisce andarsene? Posso capirlo.

- Non è solo per me e per Andrés. Pablo, intendo riconoscere il bambino di mia moglie, anche se non è figlio mio. Non voglio che venga dato in affidamento a estranei. Intendo occuparmi di lui, come se fosse mio figlio. È comunque il figlio di mio fratello e di mia moglie.

- È molto bello questo, signor García. Lei è molto generoso.

- Non è una questione di generosità. Ho anch'io le mie colpe. Le cazzate di cui parlammo quel giorno, vicino alla piscina. Ti ricordi, Pablo?

Quel “ti ricordi” contiene mille cose, che Hernando non sa esprimere. Pablo annuisce. Lo guarda negli occhi e Hernando ha l'impressione che ci sia sofferenza in quello sguardo.

- Certo che mi ricordo, signor García.

C'è un momento di silenzio, poi Pablo riprende:

- E adesso pensa di andarsene.

- Sì, se vivessi qui, prima o poi qualcuno gli racconterebbe la verità. Sono già venute fuori troppe cose. Del processo parleranno tutti. Preferisco che mio figlio, perché sarà mio figlio, non si porti dietro un fardello più grande di lui. Intendo parlargliene, non voglio menzogne, ma nel modo giusto, quando sarà il momento.

Hernando sorride e osserva, ironico:

- Ma sto correndo un po' troppo, no? Deve ancora nascere.

Di nuovo silenzio. Stanno per separarsi, per sempre. È l'ultima volta che vede l'uomo che ama. È ora di parlare, di dire ciò che prova. Hernando lo sa, anche se il coraggio gli manca.

Pablo gli sembra triste. Hernando chiede:

- Hai mai pensato di trasferirti negli USA o in un altro paese, Pablo?

- Qualche volta. Il signor Lima era disponibile a procurarmi un lavoro negli USA. Ma non credo che ci andrò.

C'è un momento di silenzio.

- Pablo, ho bisogno di parlarti. Noi non ci vedremo mai più, ma io non voglio che rimangano silenzi e cose non dette tra di noi.

- Mi dica, signor García.

Hernando si morde il labbro.

- Ti chiedo un favore, Pablo. Non mi dire di no.

- Certo che non le dico di no. Qualunque cosa sia.

- Vorrei che oggi, in questo ultimo giorno in cui ci vediamo, per questi minuti in cui siamo ancora insieme, tu mi chiamassi Hernando. Vorrei sentire una volta il mio nome pronunciato dalle tue labbra.

 

*

 

Pablo apre la bocca, esita un attimo, poi sorride e dice:

- Va bene, Hernando.

Si sente in imbarazzo, gli sembra di non stare al suo posto, ma gli fa anche piacere.

- Grazie. E ora devo dirti il resto. Non è facile.

Pablo fissa Hernando García, senza capire.

- Pablo, durante la mia prigionia, nelle ultime settimane, uno dei carcerieri, il più giovane, quello che tu hai disarmato e ucciso, mi ha preso, più volte.

A Pablo sembra di aver ricevuto un colpo. Prova una pena infinita per Hernando García, immagina la sua sofferenza, la sua umiliazione. Il suo viso si contrae in una smorfia di dolore.

- Mi spiace signor... mi spiace, Hernando. Mi spiace che tu abbia subito anche questo.

Hernando respira a fondo.

- Pablo, non l'ho scelto io, non l'avrei voluto, ma quando mi ha preso, non ho opposto resistenza. Pablo, una parte di me lo voleva. Ora mi disprezzerai, ma avevo bisogno di dirtelo.

- Perché mai dovrei disprezzarla... disprezzarti, Hernando?

- Perché da noi uno a cui piacciono gli uomini...

Hernando non completa la frase, ma il significato è chiaro. In Colombia, come in tanti altri paesi, un omosessuale è disprezzato.

Pablo sorride e dice quanto ha da dire:

- Hernando, anche a me piacciono gli uomini.

Hernando lo guarda come se non lo vedesse. Poi abbassa gli occhi e quando li rialza lo fissa, mentre gli dice:

- C'è un'ultima cosa, Pablo. Voglio dirti anche questo. Io mi sono innamorato di te.

Pablo scuote la testa. Quello che gli sta dicendo Hernando gli sembra impossibile, è qualche cosa che non ha mai pensato potesse verificarsi, non può essere. Pablo fa fatica a rendersi conto di che cosa significa.

Hernando aggiunge:

- Scusami, Pablo, ma avevo bisogno di dirtelo.

- Ma come è possibile? No, non... non di me... Hernando...

 

*

 

Hernando sta male, ora. Per un attimo, quando Pablo ha detto di essere gay, si è illuso che potesse amarlo, ma era un sogno folle. Ma ora Hernando si rende conto che una parte di lui si illudeva che quel sogno potesse essere vero.

Pablo si è mosso, ha fatto un passo in avanti. Ora gli passa delicatamente una mano sul viso e poi avvicina le labbra alle sue. Lo bacia, con dolcezza. Esita un attimo, poi lo stringe tra le braccia e il bacio diventa ardente.

Forse è un sogno, anche se le labbra che si posano sulle sue hanno tutta la concretezza delle cose reali. Forse è un sogno anche questa carezza delle dita che scorrono sulle sue guance. Forse è un sogno anche la voce di Pablo che, prima di baciarlo di nuovo, gli sussurra: “Anch'io ti amo”.

C'è una dolcezza infinita nell'abbraccio di Pablo.

Forse è tutto un sogno e allora Hernando spera solo di morire prima di risvegliarsi.

Hernando vorrebbe sfilare la giacca di Pablo, sciogliergli il nodo della cravatta, sbottonargli la camicia, ma le sue mani tremano. Il coraggio gli manca. È Pablo a prendere l'iniziativa e Hernando può vedere che anche le sue mani si muovono incerte: non c'è nulla del Pablo sicuro di sé e sempre efficiente che lui conosce. Pablo gli ha sciolto il nodo della cravatta, ma si ferma e gli dice:

- Sei sicuro? Hernando... io... io sono...

Hernando non lo lascia finire.

- Non sono mai stato sicuro di nulla nella mia vita come lo sono di volere te. Pablo, ti amo.

Pablo annuisce. Sembra ancora incapace di crederci. Le sue mani però riprendono a muoversi, la cravatta finisce su uno dei letti, seguita dalla giacca e poi dalla camicia di Hernando. E le mani di Pablo scorrono sul corpo di Hernando, in una carezza che è il paradiso.

Pablo bacia ancora Hernando, ma sembra non osare spingersi oltre. E allora Hernando fa appello a tutto il suo coraggio e incomincia a spogliare Pablo, che ha solo la camicia. È difficile liberare ogni bottone dall'asola che lo imprigiona, ma poi Hernando può guardare il torace muscoloso di Pablo, può toccarlo con le sue mani, può accarezzarlo. Si stringono, si abbracciano, si baciano ancora. In entrambi il desiderio è violento, ma non osano andare avanti.

 

*

 

È vero, Hernando García lo ama, lo desidera. Non è possibile, ma è vero. Hernando non ha mai avuto rapporti oltre a quelli che gli sono stati imposti durante la prigionia, questo Pablo l'ha capito. Allora tocca a lui accompagnare Hernando in questo tuffo, anche se per la prima volta nella sua vita gli manca il coraggio.

Pablo slaccia la fibbia della cintura di Hernando, poi abbassa la cerniera lampo e poggia le sue mani sul culo di Hernando, abbassando con un unico gesto pantaloni e boxer. Hernando è eccitato e Pablo scivola in ginocchio e avvicina la bocca alla cappella. Le sue mani stringono con forza il culo di Hernando e quando la sua bocca avvolge la cappella, Hernando geme, mentre le sue mani gli accarezzano la testa. La carezza diventa una stretta quando le labbra e la lingua di Pablo prendono a lavorare con delicatezza.

- Pablo, Pablo, amore mio!

Pablo si ferma. Gli sembra incredibile sentire queste parole dalle labbra di Hernando. Gli sembra di non meritarle. Ma il sentimento che prova è troppo forte e tiene a freno i dubbi, le paure.

Le mani di Pablo salgono dal culo alla schiena di Hernando, poi passano davanti e scendono in una carezza, mentre la sua bocca riprende a lavorare.

Pablo avverte che Hernando si sta tendendo. Allora si ferma, si solleva e lo bacia di nuovo. Con le mani che tremano, Hernando gli slaccia i pantaloni e li abbassa. Non osa andare oltre, ma è Pablo a far cadere gli slip e a mostrarsi nudo a Hernando, all'uomo che ama e che lo ama.

 

*

 

Hernando guarda il corpo di Pablo, guarda il cazzo teso e una vertigine lo prende. Si appoggia a Pablo, perché gli sembra di essere sul punto di cadere. Pablo lo bacia ancora e lo stringe. Poi Hernando scivola in ginocchio e avvicina le labbra al cazzo di Pablo, lo bacia e infine lo prende in bocca, mentre lo accarezza con la lingua. Le sue mani si posano sul culo di Pablo. Hernando si sente felice, di una felicità immensa.

Le dita di Pablo scorrono tra i suoi capelli, scendono sulla schiena, mentre Pablo si china su di lui. Hernando si alza. Si guardano negli occhi. Non è possibile. Non è possibile. Hernando si lascia ancora abbracciare e baciare, le labbra di Pablo sulla sua bocca, sul suo collo, sul petto, il leggero morso a un capezzolo, la carezza umida delle labbra sull'altro.

Poi Pablo gli passa le braccia sotto il culo e lo solleva. Ride e lo stende sul letto. Si sdraia su di lui e ancora si baciano.

Pablo scivola indietro e, mentre le sue mani percorrono il corpo di Hernando, la sua bocca inghiotte nuovamente il cazzo. Il desiderio è ormai incontenibile e presto Hernando sente il piacere esplodere. Pablo inghiotte il suo seme, poi si stende su di lui e lo bacia ancora.

- Ti amo, Hernando.

E dopo altri baci e carezze, Hernando dice:

- Prendimi, Pablo.

Pablo lo guarda.

- Sei sicuro Hernando...

- Lo desidero, Pablo.

 

*

 

Con delicatezza Pablo volta Hernando. Le sue dita scorrono lungo il corpo, in una lunga carezza. Poi Pablo si china e sono i suoi denti a lasciare piccoli segni rossi sul culo. E poi è la lingua a scorrere sul solco, indugiando sull'apertura.

Pablo prende dal borsone un preservativo: Luís è passato e gliene ha regalato una scatola. Un regalo buffo, il cui significato era chiarissimo. Pablo ha pensato che prima di lasciare Bogotà ne avrebbe usato qualcuno con Luís, per ringraziarlo: se Luís non gli avesse telefonato per dirgli che avevano ucciso il commissario, avrebbero fatto in tempo ad ammazzarlo e lui non avrebbe potuto salvare Hernando García.

Pablo si infila il preservativo, si stende su Hernando e mentre lo accarezza e gli morde una spalla, entra dentro di lui, pianissimo. Non vuole fargli male.

- Pablo, Pablo, amore mio.

È possibile? È possibile che davvero Hernando gli dica “amore mio”? A Pablo sembra ancora incredibile, eppure è vero.

- Non ti faccio male, Hernando?

- È perfetto, Pablo.

Pablo si muove con cautela, avanti e indietro, mentre copre Hernando di baci e carezze.

 

*

 

Questo cazzo che gli scava in culo è doloroso, ma Hernando non importa: il piacere è molto più forte. Hernando si aspettava che Pablo lo possedesse con poche spinte vigorose, come faceva il suo carceriere. Ma è invece una lunga cavalcata, in cui il dolore cresce, ma il piacere lo domina. Una cavalcata interminabile, che è quanto di più bello e più dolce Hernando abbia mai conosciuto.

E quando infine Pablo viene dentro di lui, anche Hernando sente il piacere debordare. Per la prima volta viene mentre un uomo lo prende. Mentre Pablo lo prende.

Pablo lo bacia sulla nuca e lo stringe.

Hernando pensa che valeva la pena di subire tutto quello che ha subito per questo, per stare tra le braccia dell'uomo che ama, il suo cazzo ancora in culo, le sue labbra sul collo.

 

2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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