Rapimento Ángel e suo cugino Mario camminano lungo il
sentiero che conduce ai campi del Río Verde. È
mattina presto e gli alberi alla loro sinistra sono ancora avvolti nella
nebbiolina che sale dal fiume. Per questo non si accorgono dei quattro uomini
nascosti nel bosco, che ora escono, sbarrandogli la strada. Per un attimo Ángel pensa che siano i guerriglieri, ma sono soldati:
indossano la divisa dell’esercito. Difficile dire che cosa sia peggio: gli
uni e gli altri uccidono per un mezzo sospetto. - Chi siete? Dove andate? Mario fa un passo avanti,
verso l’uomo che ha parlato, un sergente. Mario è sempre fiducioso, non ha
mai fatto niente di male e pensa che tutti siano come lui. Ángel è più diffidente, preferisce rimanere dietro. Mario sorride mentre dice: - Siamo due contadini.
Andiamo al nostro campo, vicino alla piantagione dei Barral,
lungo il Río Verde. Ángel tiene lo sguardo fisso sul cugino, ma
con la coda dell’occhio controlla i movimenti dei soldati, che hanno i fucili
puntati contro di loro. Non gli piace questa faccenda, avverte un pericolo.
Mario è davanti a lui, il bosco è a un passo ed è abbastanza fitto. Ángel fa finta di niente, ma è pronto a scattare. - Non siete contadini.
Siete due figli di puttana delle FARC. Le parole del sergente
sono un segnale per i soldati: ognuno preme il grilletto dell’arma che
stringe in mano. La raffica parte, ma Ángel è già
balzato di lato e si infila tra le piante. Corre, sapendo che la sua unica
speranza di salvezza è nella fuga. I soldati sparano nella
sua direzione, ma ci sono troppi alberi. Due provano a inseguirlo, ma dopo
poco ci rinunciano: non vogliono rischiare di incontrare dei veri
guerriglieri. Ángel continua a correre, saltando fossi e
infilandosi sotto i rami. Gli manca il fiato, ma corre lo stesso, badando
solo a non cadere, a non fermarsi, finché non è sicuro di aver seminato gli
inseguitori. Allora crolla contro un albero, mentre sente il cuore che
continua a correre all’impazzata. Mario è morto, lo sa
benissimo. I soldati gli metteranno in mano una pistola, diranno che era
delle FARC e riscuoteranno la ricompensa per avere ucciso un guerrigliero. Ángel si siede su un masso. Ricaccia indietro
le lacrime. Non è tempo di piangere. Adesso basta. * Rafael Lima scende
dall’auto che lo ha accompagnato all’aeroporto. Il suo soggiorno in Colombia
è finito, tra un’ora prenderà l’aereo e tornerà negli Stati Uniti. Rafael è
contento di partire: in Colombia la sua vita è in pericolo e neanche le
quattro guardie del corpo sono sufficienti a dargli una piena sicurezza.
Rafael sa benissimo che ci sono infinite persone che desiderano saldare
vecchi conti rimasti in sospeso quando lui si è trasferito a New York. Adesso sono tutti più
rilassati, anche le guardie scherzano tra di loro. Sanno di aver rischiato la
pelle: proteggere Rafael Lima è un compito pericoloso e non sarebbe la prima
volta che gli uomini della scorta vengono uccisi insieme a chi dovrebbero
proteggere. Un taxi si ferma dietro la
loro auto. Un uomo scende dal sedile posteriore con un borsone. Rafael non ci
bada, ma una delle guardie si irrigidisce. Poi tutto è rapidissimo. La
guardia gli salta addosso e lo manda a terra, mentre la sventagliata di mitra
passa appena sopra le loro teste e falcia le altre guardie. L’uomo che lo ha
spinto a terra è già rotolato di lato e ora spara. Un unico colpo, ma
l’assassino crolla a terra. Il taxi parte sgommando, ma la guardia spara
ancora. L’auto sbanda e si schianta contro un pilone. È avvenuto tutto in pochi
secondi. Rafael Lima si alza. È illeso. Due delle guardie devono essere
morte, il terzo si contorce a terra. Quello che ha sparato si è già rialzato.
Ha una ferita al braccio sinistro, ma dev’essere
solo un colpo di striscio. Il killer è al suolo, un
foro in fronte. Il conducente del taxi giace riverso sul volante. Mentre i poliziotti di
guardia all’aeroporto arrivano di corsa, Rafael Lima si volta verso la
guardia che ha sparato. - Come cazzo hai fatto a
capire? - Quel taxi, aveva il
motore truccato, si sentiva dal rumore. Non era un vero taxi, quello, era
evidente. E quando il tizio è sceso, il modo in cui teneva il borsone… era chiaro che tirava fuori l’arma. Rafael annuisce. Tutto
chiaro, tutto evidente. Se uno non perde la concentrazione neanche un
nanosecondo e se il cervello gli ragiona in fretta. Molto in fretta. - Come ti chiami? - Pablo Montaña, signor Lima. - Mi ricorderò di te, Montaña, puoi contarci. E se mai volessi trasferirti
negli USA, ci penso io a procurarti il visto e un lavoro. - Grazie, signor Lima. - Grazie a te, Montaña. La mia pelle vale molto di più di quello che ti
ho promesso. Rafael ride e aggiunge: - Almeno per me. * Ángel ha dormito da zio Julio nelle ultime tre
notti. Temeva che i soldati potessero venirlo a cercare dai suoi. Mario
risulta un guerrigliero morto in uno scontro a fuoco con l'esercito. I
soldati hanno ricevuto un premio per averlo ucciso. Al funerale di Mario
partecipa anche Ángel, tanto i soldati di certo non
si fanno vedere: preferiscono evitare che nascano tensioni con la popolazione
del villaggio. Lo sanno anche loro che Mario era solo un contadino. Per la cerimonia arriva
anche il fratello di Mario, José. Lui ha sei anni più di Ángel
e vive a Bogotà. Dopo che la bara è stata calata nella fossa e ricoperta di
terra, Ángel si avvicina a José. Parlano un momento
di ciò che è successo, poi Ángel dice: - Mario mi aveva detto che
tu gli avevi proposto un lavoro a Bogotà. José lo guarda, come se
volesse leggergli dentro. - Sai di che lavoro si
trattava? Ángel annuisce. - Mario mi aveva spiegato.
Lui non voleva. Ma a me piacerebbe. Non voglio stare qui. Che senso ha? José non gli toglie gli
occhi di dosso nemmeno un istante mentre dice: - Ci vogliono i coglioni
per quel lavoro. E potresti fare la fine di Mario. - Non ho paura, José. José annuisce. - Va bene. Ti chiamo la
settimana prossima, dopo che ho parlato con le persone giuste. Ángel sorride. Non rimarrà più qui. Non ha
senso. A Bogotà avrà un lavoro. Un lavoro ben pagato. Se bisogna rischiare la
pelle, che almeno ne valga la pena. * Ana guarda Pablo dormire. Nel sonno Pablo ha
il respiro pesante, che a tratti diventa un leggero russare. Per il momento
dorme da lei, perché non ha una casa. Ma in realtà è Pablo a pagare l’affitto
della casa in cui vive Ana, lei non potrebbe mai
farcela con quello che guadagna come donna delle pulizie. Grazie a Pablo vive
in un appartamento con l’elettricità, il gas, l’acqua potabile, il telefono.
Pablo guadagna bene, di lui dicono tutti che è molto in gamba. Come guardia del corpo
Pablo dorme abitualmente nella casa delle persone per cui lavora, ma adesso,
in attesa di guarire dalla ferita, ha un periodo di riposo, pagato
dall’agenzia. Pablo le ha detto che il signor Lima, a cui ha salvato la vita,
gli ha mandato una grossa somma. Gliene darà quasi la metà. E, anche se non
gliel’ha detto, quasi un’altra metà andrà a Rosa, come avviene per ogni
gratifica o compenso straordinario. Per sé Pablo tiene poco, ma lui non ha
bisogno di molto, ha già un buono stipendio, quello con cui paga l’affitto
della casa e le bollette di Ana, domiciliate su un
suo conto, e tante spese anche per Rosa. Ad Ana
poco importa di quei soldi. Vorrebbe che Pablo cambiasse lavoro. La ferita al
braccio è molto superficiale, in quindici giorni Pablo sarà completamente
guarito e potrà riprendere il suo lavoro. Ma due degli altri uomini della
scorta sono morti e uno è ricoverato in ospedale. Forse se la caverà, ma non
è detto. Pablo fa un lavoro
pericoloso e Ana è in ansia. Non è solo il lavoro. Ana ripensa a un giorno di dodici anni
prima. Vivevano a Ciudad Bolivar, allora. Lei, Xavier,
Pablo e Rosa. Non era facile tirar su tre figli per lei: facendo le pulizie
non si guadagna molto. Ma gli anni più duri erano alle spalle, ormai, Xavier e Pablo erano grandi e si guadagnavano la vita.
Meditavano di cercare un appartamento in un quartiere più vivibile. Xavier e Pablo erano il giorno e la notte, come
aspetto e come carattere. Xavier basso e magro,
posato, tranquillo, prudente, serio, con un lavoro stabile, uno che si faceva
i fatti suoi, pochi amici, tutti con la testa a posto. Pablo grande e grosso,
irruente, sempre in movimento, espansivo, insofferente di fronte a ogni
ingiustizia, pronto ad attaccar briga con i prepotenti, tanti amici di tutti
i tipi. Quante volte aveva tremato al pensiero che Pablo si ficcasse nei guai
per difendere qualcuno. Ma quando erano venuti a
cercare Pablo, quella sera, lui non c’era. C’era Xavier.
E allora avevano sparato a lui, perché tanto volevano solo dare una lezione a
Pablo. Per loro ammazzare lui o il fratello era lo stesso. Ana rabbrividisce al ricordo, vivido. Rivede Xavier inerme, falciato dalla raffica. Lo vede cadere al suolo
senza neppure capire. E Pablo che arrivò pochi minuti dopo, ansante,
stravolto, Pablo che già sapeva ma che rifiutava di crederci, in lacrime sul
corpo del fratello. La disperazione di Pablo l’aveva sgomentata. Sapeva che i
suoi due figli si volevano bene, ma c’era nel dolore di Pablo un abisso. E in
quell’abisso Pablo è andato sprofondando sempre più. Da allora vive con
questo eterno senso di colpa. A volte Ana ha
l’impressione che cerchi la morte, quella morte che ha avuto suo fratello al
posto suo. Pablo non si perdona di essere vivo. Da quell’abisso non è mai
uscito, anche se a chi non lo conosce può sembrare un uomo sereno. * Il poliziotto fa segno di
fermarsi, ma l’automobilista non obbedisce e accelera. Il poliziotto salta in
moto e si mette a inseguire l’auto, che poco dopo svolta in una strada
sterrata, nella speranze di seminare il suo inseguitore. La strada però è breve
e senza uscita: l’automobilista è costretto a bloccarsi in una piazzola ai
margini di un bosco. Il poliziotto ferma la moto dietro l’auto e salta a
terra, impugnando la pistola. Anche l’automobilista scende e, a un ordine
dell’agente, alza le mani. Il poliziotto sembra furibondo, si avvicina
all’uomo e lo afferra per la cravatta, avvicinandolo a sé. E allora
l’automobilista prende tra le mani la testa dell’agente e lo bacia. Il
poliziotto rimane senza parole, ma poi si abbandona a quel bacio. Quando
infine si stacca, scuote la testa, ma l’uomo si inginocchia davanti a lui e
incomincia a slacciargli la cintura, poi gli cala i pantaloni e i boxer e
prende in bocca il cazzo dell’agente, già teso. E dopo che l’uomo ha
succhiato e leccato per un bel po’, il poliziotto lo spoglia, lo forza a
mettersi prono sul cofano dell’auto e glielo mette in culo. Il film prosegue,
ma Hernando viene mentre sullo schermo è il turno
del poliziotto di prenderselo in culo, sdraiato di schiena sul cofano, le
gambe sulle spalle dell’automobilista, la mano intorno al cazzo per farsi una
sega. Hernando si pulisce, poi getta il fazzoletto di
carta nel cestino. Scuote la testa, mentre distrattamente segue ancora il
filmato che ha acquistato su uno dei tanti siti. Si chiede se mai un giorno
troverà il coraggio di provare davvero con un altro maschio. Non in Colombia,
di certo: Hernando García è sposato ed è un uomo
conosciuto, appartiene a una delle famiglie più ricche del paese. Se andasse
in un locale gay, dovrebbe farsi accompagnare dalle guardie del corpo, che
poi magari lo racconterebbero in giro. E se andasse in incognito, a parte i
rischi, potrebbe comunque essere riconosciuto. Anche se facesse venire un
escort a casa sua, potrebbero venirlo a sapere e ricattarlo. Potrebbe provare in un
altro paese, negli USA, ad esempio, dove può muoversi in sicurezza, senza il
rischio che qualcuno lo riconosca. Ogni volta che va a New York, viene anche
Diana, che ama viaggiare, soprattutto nelle grandi città statunitensi o
europee, dove si può dedicare agli acquisti. Mentre Diana gira per negozi,
lui potrebbe… Qualcuno bussa alla porta.
Il film è finito, ma Hernando spegne il computer,
poi dice: - Avanti. Guillermo annuncia l’arrivo della nuova guardia
del corpo, quella che prenderà il posto di Julio. Hernando
scende con Guillermo. La nuova guardia è un
marcantonio, più alto di Hernando di una spanna. Ha
un viso simpatico e un fisico possente che a Hernando
fa venire l’acquolina in bocca. Ma di certo le sue guardie del corpo sono le
ultime persone al mondo con cui potrebbe pensare di provare. L’uomo si chiama Pablo Montaña. All’agenzia gli hanno detto che è l’uomo migliore
che hanno, è quello che all'aeroporto ha salvato la vita a quel miliardario
colombiano che ora vive negli USA. Questo Pablo Montaña
(il nome è azzeccato: è davvero una montagna) costa caro, ma la sola vista
vale la spesa. * Pablo ha appena concluso
un altro giro di ricognizione. La villa di Hernando
García è un vero palazzo. Le altre guardie dicono che quando sono a casa, non
è necessaria la sorveglianza: ci sono già le telecamere, il custode e una
guardia all’ingresso. E poi la villa sorge nel cuore della Zona Rosa,
l’insieme dei quartieri più ricchi. Non c'è il rischio che qualcuno cerchi di
rapire il padrone nella residenza. Pablo però vuole conoscere
bene l’ambiente in cui lavora: gli hanno insegnato a non abbassare mai la
guardia. Adesso, dopo qualche giorno e diversi giri, si è fatto un’idea
precisa della disposizione dei locali: informazioni che è utile avere se
dovesse mai succedere qualche cosa di imprevisto. Ha anche incominciato a
conoscere il personale della casa, tutte persone selezionate con cura: senza
referenze di un certo tipo non si entra nella casa dei García (di questi
García, almeno; in tutti i paesi di lingua spagnola è un cognome comunissimo
e ci sono tantissimi García poveri). Pablo si è tenuto alla
larga solo dalle camere della moglie del padrone: i colleghi gli hanno detto
che Diana Villamizar García non vuole vedere le
guardie girare per la casa, anche se naturalmente quando esce viene sempre
accompagnata da tre o quattro uomini. La signora García li
ignora completamente, anche quando loro la scortano. Invece il padrone è
cordiale, a volte scherza con loro. Pablo non ha ancora avuto occasione di
accompagnare la signora quando esce da sola: il padrone lo prende sempre con
sé e quando la moglie se ne va per i fatti propri, la proteggono altre
guardie. - Pablo, dove cazzo ti eri
cacciato? Il padrone ci ha chiamato. - Sono pronto. Pablo è sempre pronto,
tranne quando dorme. Di solito dorme come un sasso, ma se occorre può
sonnecchiare senza abbandonarsi completamente, in modo da essere pronto ad
agire. Il padrone va dal fratello
minore, Andrés. Pablo ha capito che ci sono dei
problemi con i due fratelli. Il maggiore, Diego, è nato da un’altra madre e
sembra detestare sia il signor Hernando, sia Andrés. Il signor Hernando
invece è molto affezionato al fratello minore. Andrés si è rovinato con alcune speculazioni
sbagliate. Stando a quel che dice Gabriel, è stato Diego García a trascinare
il fratello in quegli affari sbagliati, proprio per mandarlo sul lastrico. Ci
ha provato anche con il signor Hernando, ma non ci
è riuscito. Durante la visita a casa
di Andrés, le guardie non hanno niente da fare: c’è
già il servizio di sorveglianza di Andrés García.
Gabriel dice che è Hernando García a pagare anche
per il fratello. Gabriel chiacchiera molto. Pablo non dice nulla, gli sembra
scorretto parlare del datore di lavoro, ma ascolta con attenzione, senza
mostrare interesse. Ogni informazione potrebbe rivelarsi utile. Dopo due ore i fratelli
escono in giardino. Si sono appena salutati, quando Andrés
incespica nella gamba di una sedia a sdraio. Cadrebbe malamente al suolo, ma
Pablo è scattato in avanti e fa in tempo a sostenerlo. Andrés lo guarda, sorridendo, e gli dice: - Grazie. Senza di te
finivo a terra. Poi il viso di Andrés si incupisce, mentre aggiunge: - A terra ci sono finito
comunque. Pablo dovrebbe far finta
di non capire, non tocca a lui immischiarsi degli affari della famiglia
García, ma gli viene da dire: - Quando si finisce a
terra, ci si può sempre rialzare. Andrés lo fissa, un po’ stupito. Anche il
padrone lo guarda. Pablo si chiede se non avrebbe fatto meglio a stare zitto.
Ma Andrés sorride. - Hai ragione. Si può
fare. Anche Hernando me lo dice sempre. Basta farsi
aiutare dalle persone giuste. E diffidare di quelle sbagliate. Tu devi essere
di quelli su cui si può contare. Anche il signor Hernando sorride, mentre Pablo risponde: - Grazie. * Hernando si siede e guarda lo specchio d’acqua
della piscina. Chiude gli occhi. Si sente stanco e solo. Gli sembra di essere
in un vicolo cieco, da cui non riesce a uscire. Ha sbagliato le sue scelte e
paga i suoi errori. Ma il prezzo è alto. Hernando riapre gli occhi, fissa l’acqua
trasparente e pensa che vorrebbe immergersi e non risalire mai più. Distoglie
lo sguardo e vede in piedi, di fianco alla piscina, Pablo Montaña.
Di solito, quando è a casa
propria, le guardie del corpo non stanno vicino a lui: nella villa non c’è
bisogno di nessuna protezione particolare, a parte la sorveglianza
all’ingresso. È ben difficile che qualcuno venga rapito in casa. Perciò uno
degli uomini al suo servizio rimane con il custode, gli altri se ne stanno
per conto loro. Ma oggi Hernando ha detto a Pablo
di seguirlo. Perché, non saprebbe dire. È conscio che quest’uomo, l’ultimo
assunto tra le sue guardie, gli piace. È un bel maschio, forte, spalle
larghe, mani possenti, barba scura. Ma non gli piace solo sul piano fisico,
lo apprezza anche come persona. Lo conosce poco, sono solo due mesi che l'ha
assunto, ma in alcune occasioni ha colto in lui una sensibilità che agli
altri sembra mancare. Pablo rimane fermo, in
piedi, sotto il sole, con la sua giacca e la cravatta. Non guarda Hernando, ma è evidente che aspetta un ordine: è stato il
padrone a dirgli di seguirlo e ora lo ha mollato lì sotto il sole cocente. Hernando si dà dello stupido e scuote la testa. - Pablo, siediti qui
all’ombra. Pablo appare un po’
stupito, ma obbedisce senza discutere. Ora è sulla sedia di fianco a quella
di Hernando. Hernando non sa bene che cosa dire. Ha ordinato a
Pablo di seguirlo, ma non ha nessun compito da affidargli, nulla di cui
parlargli, di certo non gli dirà niente del desiderio oscuro che questo
maschio suscita in lui, un desiderio che preferisce ignorare. Improvvisa: - Sono due mesi che sei
qui, Pablo. Come ti trovi? - Molto bene, signor
García. Hernando non sa come proseguire. Dopo una pausa,
chiede: - Com’è che hai deciso di
fare questo lavoro, Pablo? - Sono nato nel quartiere
di Ciudad Bolivar e fin da ragazzo mi sono trovato spesso a menare le mani.
Inevitabile, se cresci in un posto del genere, ma devo dire che mi piaceva. Pablo sorride e aggiunge: - Ero una testa di cazzo,
lo ammetto. Credo di esserlo ancora, signor García. Pablo ride, una breve
risata. Il suo viso si illumina quando sorride. Poi conclude: - Comunque uno zio mi
propose di entrare in un’agenzia che noleggiava guardie del corpo. Seguii il
corso di addestramento, ho avuto alcuni incarichi, ho cambiato agenzia… e ora eccomi qui. Hernando annuisce. Pablo non l’ha detto, ma deve
essere davvero bravo: l’agenzia a cui si rivolge Hernando
è la migliore della Colombia e le guardie devono superare selezioni
durissime. E all'agenzia dicono che lui è il migliore dei loro uomini. Hernando si rende conto che non può continuare a rimanere
in silenzio. Osserva: - Vivere a Ciudad Bolivar
non deve essere facile. È un commento insulso, se
ne rende perfettamente conto. Una banalità che non ha senso nemmeno nelle
chiacchiere in salotto, ma che rivolta a uno che a Ciudad Bolivar è vissuto
sembra quasi offensiva. Pablo annuisce, per un
attimo guarda lontano, poi rivolge di nuovo lo sguardo a Hernando
e risponde: - No, non lo è,
soprattutto se tuo padre è un figlio di puttana. Se ne andò lasciando mia
madre con due bambini piccoli e una terza in arrivo. - Quindi hai un fratello e
una sorella. Sul viso di Pablo è scesa
un’ombra. - Solo una sorella. Mio
fratello rimase ucciso in una sparatoria. Lui non c’entrava niente, fu
ammazzato al posto di un altro. Hernando si pente di aver chiesto. - Mi spiace, non volevo… Pablo alza le spalle. - È un pezzo della mia
vita, signor García. E forse è grazie a lui se sono qui. - In che senso? - Sarei potuto finire in
una delle tante bande, volevano ingaggiarmi, perché dicevano che avevo fegato
ed ero bravo a menare le mani. Ma l’idea non mi andava a genio. E dopo la
morte di Xavier, mio fratello…
non volevo avere niente a che fare con quegli assassini. - Non hai avuto una vita
facile. Anche questa è
un’osservazione insulsa. Hernando ha l’impressione
di riuscire a dire solo banalità. Non riesce a trovare le parole per parlare
davvero con Pablo. La guardia alza di nuovo
le spalle. - Non credo che la vita
sia tanto facile per nessuno. Hernando abbassa gli occhi. - Credo che tu abbia ragione… Hernando non sa più che dire. Perché ha ingiunto
a Pablo di seguirlo? Che cosa può dirgli? Tra lui e quest’uomo c’è una
distanza immensa. Può forse raccontargli le faccende private della famiglia
García? C’è un momento di
silenzio, poi Pablo dice: - Voleva dirmi qualche
cosa, signor García? Hernando scuote la testa. - Niente, solo fare due
chiacchiere, conoscerti un po’ meglio... Hernando è sul punto di dire a Pablo che può
andarsene, ma Pablo osserva: - Pensavo che volesse
sfogarsi un po’. Hernando fissa la sua guardia, stupito. Pablo
aggiunge: - Mi scusi, forse non so
stare al mio posto, ma mi sembra che lei sia triste e stanco in questo
periodo. Hernando è disorientato. Pablo ha colto
perfettamente il suo stato d’animo e il suo bisogno di confidarsi; questo non
è strano, ha già avuto modo di notare la sua sensibilità. Ma non si aspettava
un invito alla confidenza da un suo dipendente che conosce appena. Hernando si rende conto di avere diversi pregiudizi di
classe, com’è forse inevitabile nella società in cui vive. Uomini di condizioni
sociali diverse si parlano solo per lavoro. O al massimo parlano di calcio. Il desiderio di parlare è
forte, Hernando non vuole continuare a tenersi
dentro tutta la sua sofferenza. Ma come può raccontare a questo sconosciuto
affari così personali? Eppure c’è negli occhi di Pablo una disponibilità
senza limiti. Hernando guarda l’acqua. - Hai ragione, Pablo. La
vita non è facile. Soprattutto quando accumuli cazzate su cazzate. E quando… Hernando si interrompe. Scuote la testa. Non ha
senso parlarne alla sua guardia del corpo. Anche se…
a chi altri può parlarne? Pablo sorride e osserva: - In quanto a fare
cazzate, non credo di essere secondo a nessuno, signor García, è difficile
che mi batta. C’è un attimo di pausa,
poi Pablo chiede: - E lei, che cazzate è
pentito di aver fatto? Hernando scuote la testa. E di colpo cede. - Non mi sarei dovuto
sposare, Pablo. Sono un pessimo marito. E un pessimo fratello. - Sul marito, non posso
pronunciarmi, ma sul fratello non è vero. Se non fosse per lei, non so che ne
sarebbe del signor Andrés. Hernando sorride, ma è un sorriso amaro. - Mio fratello Diego dice
che con Andrés sbaglio tutto e che lo sto
rovinando. Pablo esita un attimo, poi
dice: - Mi sembra di capire che
invece è stato il signor Diego a rovinare il signor Andrés,
economicamente. E forse non… Pablo si interrompe, forse
conscio di essersi già spinto troppo oltre. Hernando
lo guarda allibito. - Come lo sai? Pablo alza le spalle. - Signor García, mi scusi
se mi sono permesso. La gente parla. E a volte parla anche davanti a noi, le guardie.
Mi è capitato a volte di sentire frasi e commenti. Il signor Diego sembra
odiare il signor Andrés e… Di nuovo Pablo si ferma. - Finisci la frase. - E credo che odi anche
lei, signor Hernando, scusi se glielo dico. Hernando china la testa. L’ha sempre saputo,
anche se a volte si è detto che forse si ingannava, ma la conferma che gli
viene dalla guardia gli fa male. Diego ha sempre odiato lui e Andrés, i due fratelli nati dal secondo matrimonio del
padre. Hernando rialza il capo e guarda Pablo, con un
sorriso amaro. - E di me come marito, che
cosa sai? Questa volta è Pablo a
chinare la testa. - Mi scusi, signor García,
non sono affari miei. Sono sempre una testa di cazzo. Mi scusi. - Non c’è niente di cui
scusarsi, Pablo. Ma vorrei che tu rispondessi alla mia domanda. Pablo respira a fondo e
dice: - Non è in buoni rapporti
con sua moglie. Ognuno dei due vive la sua vita, di giorno… Ancora una volta Pablo si
ferma senza finire la frase. - …e
di notte. Hai ragione, Pablo, sono otto mesi che non scopo con mia moglie e
non ne ho nessuna voglia. Come vedi la mia vita privata, se posso ancora
chiamarla tale, visto che ormai tutti sanno tutto, è un fallimento completo. - Mi spiace, signor
García. Non se lo merita. - Che ne sai tu? - Lei è una gran brava
persona. Hernando scuote la testa. - Lascia perdere, Pablo.
Adesso è meglio che tu vada. E dimentica tutte queste cazzate. Pablo si alza. - Sì, signor García. Di
sicuro non dirò una parola. Mi scusi se sono stato invadente. Sembra voler dire ancora
qualche cosa, ma cambia idea e non aggiunge altro. Hernando guarda Pablo allontanarsi. Guarda le
spalle larghe, il grosso collo, la testa con i capelli tagliati corti. Ha
fatto male a parlargli dei suoi casini, a che serve? Che figura ha fatto,
davanti a quest’uomo? Avrebbe fatto meglio a stare zitto. Perché gliene ha
parlato? Che cosa penserà di lui? Hernando si alza. Guarda ancora la piscina. La
usa di rado. E Diana non entra mai in acqua, al massimo prende il sole sul
bordo. Potrebbe lasciarla usare alle sue guardie del corpo, oggi. Hernando non sa come mai gli è venuto questo
pensiero. Rientra in casa e incrocia
Gabriel, una delle sue guardie. Gli dice: - Se tu e gli altri volete
usare la piscina oggi, potete farlo. Per rinfrescarvi un po'. Gabriel è chiaramente stupito. - Grazie, signor García. È
davvero gentile da parte sua. Hernando sale in camera, poi passa nello studio e
si siede davanti al computer. Lo accende e mette uno dei film che acquista
online. Lo guarda per qualche minuto, ma poi si alza, irrequieto. Si alza e
va alla finestra, da cui si vede la piscina. Le guardie sono arrivate. C'è
anche Pablo Montaña. Hernando
lo guarda togliersi l'accappatoio. Ha un bel corpo, forte, muscoloso, come si
capiva anche guardandolo vestito. Una leggera peluria sul petto e un pacco
alquanto promettente. Hernando pensa che gli
piacerebbe scendere e nuotare anche lui in piscina con le guardie, con Pablo,
ma se ci fosse lui, loro non si sentirebbero liberi. Gabriel, Henrique e Juan
ridono e scherzano sul bordo della piscina. A un certo punto Henrique abbassa
il costume a Juan. Ridono tutti, tranne Pablo. Lui sorride appena. Pablo è
sempre serio, di rado lo si vede ridere. Peccato che non partecipi agli
scherzi degli altri. Adesso Juan è saltato addosso a Henrique e finiscono tutti
e due in acqua, lottando. Pablo li guarda un
momento, poi si tuffa anche lui. Hernando rimane a osservarli. Quando Henrique
esce dalla piscina, è il turno di Juan di abbassargli il costume. Lo fa
mentre Henrique si sta sollevano e riesce a sfilarglielo. Henrique ha un bel
culo, armonioso. Cerca di recuperare il suo costume, ma Juan si immerge,
facendolo scivolare lungo le gambe di Henrique, fino a toglierlo. Henrique
ora è sul bordo della piscina, nudo. Non è un bell'uomo, ma anche lui è
forte. È molto peloso e questo a Hernando non
dispiace. Ha un cazzo piuttosto voluminoso. Henrique guarda Juan, poi si
getta su di lui e lottano in acqua. Ne emergono tutti e due nudi. Juan lancia
il costume di Henrique sul prato e Henrique quello di Juan su una delle
poltrone. Poi tutti e due attaccano Gabriel, che si difende, ma finisce per
rimanere anche lui senza costume. Pablo esce dall'acqua e si
rimette l'accappatoio. Non ha partecipato agli scherzi, sorride appena.
Sembra stare per conto suo. Peccato. A Henrique sarebbe piaciuto vederlo
nudo, anche solo per un attimo. Gli altri tre scherzano ancora, poi ognuno si
mette l'accappatoio e recupera il proprio costume. * Questa sera le guardie
accompagnano la signora García a una festa, a cui Hernando
non partecipa. Pablo non è di turno: lui smonta alle dieci. Pablo sale nella
sua cameretta. Apre la finestra e rimane a guardare fuori. Non c’è una grande
vista, solo un pezzo di giardino e il muro di fronte. Ma Pablo non vede
nemmeno quello. Pablo è immerso in un flusso di pensieri e ricordi. La
conversazione con Hernando García l’ha turbato, ci
ha ripensato tutto il pomeriggio. Non si è stupito di ciò che è emerso dal
dialogo con il padrone. Ormai Pablo conosce benissimo le tensioni esistenti
nella famiglia. Diego García, che ogni tanto passa dal fratello, e la moglie
di Hernando non gli raccontano certo i loro affari,
ma non si preoccupano troppo della sua presenza: una guardia del corpo non è
un essere umano, è poco più di un animale. Pablo ha avuto occasione di assistere
a telefonate e dialoghi da cui ha capito molte cose. È successo anche ai suoi
colleghi. Lui non racconta mai agli altri quello che scopre, ma gli altri si
fanno meno problemi, soprattutto Gabriel. Una volta ha riferito che la moglie
di Hernando García, parlando al telefono con la
sorella, ha detto che il marito era un finocchio impotente. Questo Pablo si è
guardato bene dal riferirlo a Hernando García. Il
padrone è un uomo molto solo. Gli fa pena. Vorrebbe poter fare qualche cosa
per lui, ma che cosa? Ha cercato di offrirgli la sua disponibilità ad
ascoltarlo, altro non ha. Ma Hernando García era
già pentito di avergli detto quelle poche cose. Pablo è angosciato. Non sa
perché la conversazione con il padrone ha scatenato questa angoscia, che lo
ha tormentato tutto il giorno. C’è stato un tempo in cui era sereno, tutto
passava su di lui senza lasciare il segno. Ma la morte di Xavier
ha cambiato la sua vita. Basta poco per far riaffiorare sensi di colpa e
scatenare crisi di angoscia, violente e devastanti. Pablo ripensa a suo
fratello. Xavier gli voleva bene. Ma Xavier è morto, ammazzato al posto suo, perché lui quel
giorno non era in casa, perché quel giorno aveva detto a un falso amico che
sarebbe rientrato alle sei, ma era arrivato dopo. Aveva fatto conoscenza con
un tizio che gli era piaciuto e avevano scopato. Così era arrivato in ritardo
al suo appuntamento con la morte. Pablo china la testa. La disperazione lo
travolge. Hernando García è molto attaccato al fratello Andrés, lo aiuta, lo sostiene. Lo ha salvato dalla
disperazione. Pablo ha provocato la morte di suo fratello. Con gesti rabbiosi Pablo
si spoglia. Rimane nudo per un momento, immobile. Apre un cassetto. Esita un
attimo, poi prende i jock-strap e se li infila. Si
mette un paio di jeans, una t-shirt e le scarpe. Al polso un bracciale
metallico. Scende in garage e si siede in auto, ma non avvia il motore. Non
vuole andare, vorrebbe trovare la forza per tornare in camera. Ma sa che non
c’è altra strada per tenere a bada l’angoscia che lo dilania. Chiude gli occhi e rimane
fermo. Non ce la fa, non ce la fa. Con uno scatto iroso,
Pablo avvia l’auto, esce dal garage della villa e si dirige verso Chapinero, dove si trova il Dark Club. Non ci va spesso,
di solito preferisce i locali dove si può ascoltare un po’ di musica,
soprattutto il Color House Café Bar. Talvolta va al
Theatron, anche se di rado balla. Ma quando è di
umore nero, va al Dark Club. A Pablo il Dark Club non piace, non gli piace la
gente che frequenta quel posto, l’assoluta mancanza di ogni rapporto umano,
il ridurre l’altro a puro mezzo per soddisfare le proprie esigenze o
fantasie. Ma questa sera ha bisogno esattamente di questo, ha bisogno del
Dark Dungeon, l’area del club riservata al sesso più anonimo e violento, per
stordirsi di sesso e violenza, per soffocare il suo bisogno inappagato di
tenerezza, di affetto. Pablo sa benissimo che quello che fa è assurdo, ma la
sofferenza è troppo forte e Pablo non conosce altro modo per placarla. Pablo parcheggia nei
pressi del Dark Club e raggiunge il locale. Paga i quindici dollari del
prezzo d’ingresso – non è un problema, il salario che riceve è alto – e
raggiunge gli spogliatoi. Si toglie tutto quello che indossa, tranne i jock-strap, chiude lo sportello e si mette la chiave al
bracciale. Nel locale ci sono altri due uomini, che non gli hanno tolto gli
occhi di dosso nemmeno un secondo. Pablo non ha un bel viso, ma è un maschio
vigoroso e il suo corpo suscita il desiderio degli altri, questo lo ha notato
spesso. Ora Pablo è pronto. Per
altri il Dark Dungeon è una festa sfrenata in cui possono abbandonarsi
completamente alle loro fantasie. Per Pablo è una droga che gli consente di
dimenticare la sua infelicità. Appena Pablo è entrato, un
uomo si avvicina. Ha almeno vent’anni in più di Pablo, è magro e ha le
braccia, il torace e gran parte della schiena coperti da tatuaggi. Gli
sorride e gli dice: - Hai voglia di frustarmi? - Perché no? Pablo prende una frusta:
ce ne sono diverse a disposizione dei clienti. L’uomo entra in una delle
gabbie. Alza le braccia e le mette vicino alle catene che pendono dalla
parete. Pablo sa quello che l’uomo si aspetta: gli blocca i polsi con le
catene, poi fa un passo indietro, alza la frusta e l’abbatte sul culo
dell’uomo. Pablo colpisce con decisione e l’uomo si tende ogni volta. Segni
rossi compaiono sulla schiena. Pablo vorrebbe andarsene, lasciare questo
inferno assurdo in cui è entrato volontariamente, ma sa che non se ne andrà.
Pablo colpisce ancora, più volte. L’uomo grida frasi sconnesse, bestemmie,
lamenti, imprecazioni, lo incita a colpire ancora. A un certo punto l’uomo
crolla contro la parete. Pablo si ferma. Si toglie i jock-strap,
si infila il preservativo e appoggia le mani sul culo che gli si offre.
Divarica le natiche ed entra con un movimento brusco che strappa un grido
all’uomo. Pablo fotte con energia. È
bravo, Pablo. Chi ha avuto modo di provarlo lo apprezza molto. Pablo ci dà
dentro e la sua destra passa davanti e incomincia a tormentare il cazzo e i
coglioni dell’uomo. Stringe, forte, molla la presa, afferra di nuovo. L’uomo
geme, sempre più forte, finché non viene. Allora Pablo esce da lui. Non è
venuto, ma non gli interessa, non ora. Pablo libera i polsi dell’uomo dalle
catene. L’uomo crolla in ginocchio. Respira a fatica. Annuisce, come rispondendo
a una domanda inespressa. Pablo si rimette i jock-strap. Ha il grosso cazzo ancora duro, che li tende.
Pablo si volta e si allontana. Non si sono neanche detti il nome, ma la gente
non viene qui per fare conoscenza. Pablo si ferma. Si chiede
che ci fa qui, perché è venuto. Lo sa, sa che è l’unico modo per lenire
l’angoscia. E sa che domani guardandosi allo specchio si farà schifo. Un altro uomo si avvicina,
gli sorride e gli fa vedere il fazzoletto giallo che porta a destra. A un
cenno affermativo di Pablo, si dirige verso una delle docce. Pablo lo segue.
L’uomo si inginocchia davanti a lui. Gli cala i jock-strap.
Il cazzo di Pablo non è più teso. L’uomo china la testa. Pablo incomincia a
pisciare sulla testa dell’uomo, che dopo il primo getto alza il viso, apre la
bocca e beve. L’uomo incomincia a farsi una sega, ma quando Pablo ha finito,
si interrompe. Ancora gocciolante, parte alla ricerca di qualcun altro che lo
faccia bere. Pablo vorrebbe andarsene,
ma rimane. Si sposta, inquieto, da una stanza all’altra, osservando
distrattamente gli altri uomini. L’angoscia è troppo forte. Allora prende una
frusta e cerca con lo sguardo l’uomo giusto. Non fa fatica a trovarlo. Gli
offre la frusta. L’uomo sorride. Pablo si mette contro la
parete e attende i colpi. Non verrà, non gli importa venire. Vuole i colpi,
la violenza. Forse l’uomo lo fotterà, forse no. Non ha importanza. Il primo colpo lo prende
sul culo, forte, ed è subito seguito da un secondo e da un terzo. Altri colpi
alla schiena, alle gambe, al culo, vibrati con forza. Ha scelto bene. Il
dolore sale, fino a inghiottire interamente Pablo e a scacciare l’angoscia
che prova. E dopo una dozzina di
colpi, l’uomo prende un grosso dildo e con un
movimento brusco lo infila in culo a Pablo. Pablo sussulta, il dolore è
violento. L’uomo ci è andato deciso e poi a Pablo capita raramente di essere
penetrato: vedendolo così forte e dotato, gli altri maschi di solito vogliono
farsi cavalcare da lui. L’uomo prende una cinghia e la stringe intorno al
collo di Pablo. Pablo respira a fatica. L’uomo stringe, poi di colpo allenta
la presa. Pablo scivola a terra.
L’uomo gli molla due calci, poi lo lascia e se ne va. A fatica Pablo si rialza,
si toglie il dildo. Va nel locale docce. Si lava.
Si guarda allo specchio. Ha diversi segni di frustate. Si sente stanco,
svuotato. Ma l’angoscia è meno forte di prima. * Hernando è appena uscito dallo studio
dell’avvocato e sta raggiungendo l’auto, parcheggiata pochi metri più avanti.
Le due guardie lo accompagnano: Pablo davanti a lui, Gabriel dietro. Hernando guarda le spalle larghe di Pablo, la testa
rasata, il collo grosso. Da dietro può vedere la barba che spunta. Come al
solito pensieri torbidi si affacciano alla sua mente, ma cerca di ricacciarli
indietro. Non ha più scambiato una parola con Pablo, dopo la conversazione di
ieri, ma ci ha pensato molto. E ha ripensato alla frase che Pablo gli ha
detto: “Lei è una gran brava persona”. Falso, ma Pablo non mentiva: lo pensa
davvero. Hernando osserva sul collo di Pablo un segno rosso,
che ieri non c’era, lo avrebbe notato. Mentre si chiede come Pablo si è
procurato quel segno, il cellulare squilla. Hernando
lo prende dalla tasca. È sua moglie. - Ciao, Diana. Che c’è? La risposta arriva
immediata, sparata come un proiettile: - Perché hai preso
ventimila dollari dal conto? Hernando sussulta. Sbuffa, ma controlla la sua
irritazione. - Senti, Diana, ne
possiamo parlare a casa? Tra due ore sono lì. - Perché tu abbia il tempo
di inventare una scusa? Voglio una risposta subito. Hernando si morde un labbro. Guarda le due
guardie del corpo, ferme, impassibili. Non vuole parlare davanti a loro di
questa faccenda, soprattutto non davanti a Pablo. Si allontana un po’,
facendo cenno ai due uomini di rimanere dove sono. - Senti, sono appena
uscito dallo studio dell’avvocato. Vuoi che mi metta a parlare per strada… Hernando abbassa la voce e prosegue: - …ci
sono le guardie. - E che cazzo te ne frega?
Spostati un po’, no? Voglio una risposta. Hernando arriva fino all’angolo e svolta. Non
bada all’auto parcheggiata, con una porta aperta, da cui sta scendendo un
uomo. - Diana, sai benissimo la
situazione di mio fratello. Andrés ha bisogno di
quei soldi, gli servono… - Tuo fratello, sempre tuo
fratello… Buono solo a spendere. E tu lo foraggi. Hernando vorrebbe rispondere che i soldi sono
suoi e che può farne quello che vuole. A Diana non fa mai mancare niente,
perché lei deve preoccuparsi di qualche migliaio di dollari? Ma il problema
non sono quei quattro soldi. Il problema è un altro. - Senti, Diana, ne possiamo… Hernando si interrompe, perché sente la pressione
contro la schiena e la voce dietro di lui: - Se fai un gesto o dici
una parola, sei morto. Spegni il telefono e sali in auto. Per un attimo Hernando ha sperato in una rapina, ma non è questo, è molto
peggio: è un sequestro. Hernando lancia un’occhiata
verso l’angolo. Non può vedere le sue guardie del corpo, che saranno appena a
una ventina di metri. E loro non possono vedere lui. Se cercasse di
raggiungerle, gli sparerebbero. - Muoviti, stronzo! Hernando spegne il cellulare e guarda l’auto. La
porta posteriore è aperta. Hernando sale. C’è già
un uomo seduto dietro e l’altro sale dietro di lui. Lo forza a piegarsi in
avanti, in modo da non essere visibile da fuori. L’auto parte. Uno degli
uomini gli infila un cappuccio. L’altro gli tiene la pistola contro il
fianco. - Non ti muovere. Al primo
movimento ti ammazzo. Hernando sa che non è una minaccia a vuoto. Cerca
di mantenersi calmo. È stato rapito. In Colombia tutti sanno che cosa
significa essere rapiti: capita spesso, è un rischio che i ricchi corrono,
per questo girano sempre con le guardie del corpo. E Hernando
è ricco, molto. Possono torturarlo, mutilarlo, per costringere la famiglia a
pagare. Nel migliore dei casi ha davanti a sé mesi di prigionia, poi, se il
riscatto verrà pagato, la liberazione. Altrimenti la morte. La morte. * - Hernando
García. Cazzo! Il commissario Ricardo Balcázar impreca. La scomparsa di García è un bel casino
e se si tratta di un rapimento… Ricardo preferisce
non pensare a che cosa succederà. Ogni volta che qualcuno viene rapito, la
polizia viene presa di mira: tutti sono convinti che la polizia dovrebbe
trovare i sequestratori e liberare il prigioniero in quattro e quattr’otto.
Come se fosse semplice! - Dimmi tutto, Cabral. - García è uscito dallo
studio dell’avvocato, ha ricevuto una telefonata della moglie e si è
appartato per parlare, facendo segno alle guardie di non seguirlo. Dopo un
po’, non vedendolo tornare, sono andati a vedere, ma non c’era traccia di
lui. Una delle guardie ha telefonato alla moglie. Lei dice che il marito ha
interrotto la telefonata di colpo e che subito prima ha sentito una voce,
qualcuno che parlava al marito, ma non ha capito che cosa diceva. Ricardo sospira. Bisognerà
darsi da fare, senza perdere tempo. L’interrogatorio delle
quattro guardie non aggiunge molto a quanto ha sintetizzato l’agente Cabral. Sono tutti scossi, uno in particolare appare
tormentato, continua a muovere un pugno chiuso dentro l’altra mano aperta. Sa
che verrà licenziato e di certo non gli sarà facile trovare lavoro dopo che
si è dimostrato incapace e ha lasciato che rapissero l’uomo che doveva
proteggere. Intanto Diana Villamizar García arriva in commissariato. Ricardo
congeda le guardie: non è certo il caso di far aspettare la signora García,
per cui dà ordine di farla passare. Con le guardie potrà riparlare in
qualunque momento, se sarà necessario. Adesso c’è il colloquio con la moglie,
una faccenda delicata. Ricardo Balcázar la osserva mentre entra. Ne vale davvero la
pena: Diana è una gran bella donna, con un seno prosperoso e lineamenti molto
regolari, lunghi capelli biondi e grandi labbra carnose. Un po’ di chirurgia
estetica, senza dubbio, ma un gran pezzo di fica. Ricardo apprezza le belle
donne e di sicuro una come Diana la scoperebbe volentieri, ma è troppo in
alto per lui. La signora García appare
nervosa, ma a Ricardo non sembra davvero angosciata. - Commissario, dovete
trovare mio marito. Lo hanno rapito. - È possibile, ma non
possiamo saperlo con certezza, in assenza di una richiesta di riscatto. La richiesta non potrebbe
comunque essere arrivata: García è scomparso da nemmeno due ore. Se qualcuno
lo ha davvero rapito, non si accontenterà di poco. Non è certo uno di quei
sequestri che si risolvono in fretta, con la richiesta di una piccola somma
da versare subito e il prigioniero liberato poche ore dopo il rapimento. Non
si rapisce un Hernando García per chiedere mille
dollari. Il commissario prosegue: - Mi racconti quello che
sa. La donna scrolla le
spalle. - Che cosa vuole che
sappia?! Gli stavo parlando, ma lui ha spento il telefono di colpo. Subito
prima ho sentito una voce maschile, ma non ho capito che cosa stava dicendo.
E lui ha troncato la comunicazione. Ricardo si chiede se si
tratta davvero di un rapimento. Magari García è andato dall’amante e
ricomparirà questa sera, con qualche scusa ben fabbricata. In cuor suo
Ricardo sa che si tratta di una possibilità molto remota, ma se le cose
stessero così, sarebbe un gran sollievo. - Perché ha telefonato a
suo marito? La donna si muove sulla
sedia, di colpo a disagio. - Una faccenda privata. - Mi spiace, signora
García, ma quando si tratta della scomparsa di una persona, non esistono
faccende private, non possiamo tralasciare nessun elemento. La donna storce la bocca,
poi dice: - Non credo che sia
rilevante. Se lo hanno rapito, che importanza ha? - Tutto può essere
rilevante. Suo marito si è allontanato dalle sue guardie del corpo per
parlare con lei. È alquanto strano che abbia svoltato l’angolo, pur sapendo
che nella sua posizione correva dei rischi. Perché gli ha telefonato? Diana Villamizar
García sbuffa: - Una faccenda di soldi,
soldi che Hernando ha dato a suo fratello Andrés. Ho visto che aveva preso dal conto una certa
somma e volevo spiegazioni. - Una certa somma? Quanto? La signora è irritata, ma
si controlla. - Ventimila dollari. Per i García si tratta di
noccioline. Per il commissario Balcázar è una bella
sommetta. Ricardo passa dall’altra parte della scrivania. Ora che è a una
spanna dalla donna, può sentirne il profumo. La signora si è pettinata,
profumata, ingioiellata. Non sembra precisamente la moglie disperata che
pensa solo al marito rapito. Ma è splendida. Ricardo si accorge che il cazzo
gli sta diventando duro. - Non è una grande cifra
per suo marito. Perché gli ha telefonato? - Non sono quei ventimila
dollari. È che Andrés vive a spese di Hernando. Ha dilapidato la sua parte di eredità in pochi
anni e adesso non fa che chiedere prestiti e non li rende mai. Non credo che Hernando faccia bene a essere così arrendevole nei suoi
confronti. Diego, l’altro fratello di Hernando, non
cede così facilmente. Ne abbiamo discusso diverse volte. - Signora García, tra lei
e suo marito ci sono altri motivi di contrasto? - No, assolutamente. Ma
che c’entra? - Signora, suo marito è
scomparso. Voglio capire se può aver deciso di allontanarsi di sua spontanea
volontà o se può davvero trattarsi di un rapimento. Diana Villamizar
García si irrigidisce. - Commissario, sta
insinuando che mio marito… - Non sto insinuando
niente, signora. Devo verificare tutte le possibilità. Compresa quella che
suo marito abbia deciso di andarsene per conto proprio. Diana scuote la testa. - Non farebbe mai una cosa
del genere. - Intanto mi dica se c’è
qualcuno che ce l’aveva con lui. Sa se ha mai ricevuto minacce? - Ma no, che dice? Lei è
completamente fuori strada. - Sto solo valutando tutte
le possibili ipotesi, signora. Il colloquio procede per
un buon momento. Secondo la signora García il marito non aveva nessun nemico
e nessun motivo per volersi allontanare. Quando la signora se ne
va, il commissario Balcázar riflette a lungo. Poi
si rivolge all’agente Cabral, che ha seguito
l’interrogatorio della signora: - Cabral,
sarà necessario fare un po’ di verifiche sui conti di Hernando
García e anche di suo fratello Andrés. E scoprire
qualche cosa di più sulla famiglia, con molta discrezione. Te ne occupi tu. Di Luís
Cabral il commissario si fida: anche se è un
finocchio, è intelligente e capace. - Non crede che sia un
rapimento, commissario? - Può esserlo,
probabilmente lo è, ma… Hernando
García gira con quattro guardie del corpo, una delle quali fa anche da
autista. Riceve una telefonata, svolta appena l’angolo e viene rapito. Come
facevano quelli a sapere che si sarebbe allontanato dalle guardie proprio lì,
in quel momento? Non mi convince. - Magari gli facevano la
posta da diversi giorni, non crede? - Forse. Ricardo Balcázar rivede negli occhi Diana Villamizar
García. - Che pezzo di fica,
quella. Luís sorride, il solito sorriso un po’
imbarazzato di quando il commissario parla di donne (anzi: di fiche o al
massimo di tette e culi). Ricardo prosegue: - Ma come fa a non piacerti,
una così?! Luís non dice nulla, è a disagio. - A me è venuto duro solo
a vederla. Luís distoglie lo sguardo. Il commissario
prosegue: - Non ci credi? Guarda. Ricardo abbassa la
cerniera lampo, infila una mano nelle mutande e tira fuori un cazzo di tutto
rispetto, teso allo spasimo. Si appoggia sul bordo della scrivania. Luís lo fissa. - Dai, vieni qui e fagli abbassare la testa. Luís si alza, si avvicina e si inginocchia di
fronte al commissario. Guarda il cazzo, grosso, duro, svettante. Avvicina la
bocca. Passa la lingua sulla cappella. Poi l’avvolge con le labbra e
incomincia a succhiare. Non è la prima volta. Il commissario disprezza i
finocchi, ma non gli spiace avere qualcuno che glielo succhia. Qualche volta
l’ha anche messo in culo a Luís. È comodo avere un
finocchio in ufficio, a disposizione. Luís ci sa
fare con la lingua e non si tira mai indietro. Ricardo guarda il suo agente,
mentre lascia la cappella, la accarezza con la lingua, la riprende in bocca.
Una mano si è infilata nelle mutande del commissario, ha tirato fuori i
coglioni e ora li palpa delicatamente. Luís è
bravo, potrebbe fare la puttana. Il pensiero fa ridere Ricardo. Sentendo la risata, Luís alza gli occhi e lo guarda. - Succhia, succhia. Luís riprende il suo lavoro. La sensazione
della lingua di Luís sulla cappella è fantastica.
Ricardo chiude gli occhi e immagina che sia Diana Villamizar
García a succhiarglielo. Mormora: - Succhia, troia, succhia. E poi il piacere deborda e
il suo seme si sparge nella bocca di Cabral. Ricardo riapre gli occhi,
mentre l’agente pulisce con cura. Poi si rimette a posto il cazzo e i
coglioni. Luís ha il cazzo duro. Si vede dal rigonfio
nei pantaloni. Potrà farsi una sega al cesso, se vuole. Lui la sua parte l’ha
fatta. - E adesso al lavoro. * Hernando ha la nausea. Sono ore che viaggia,
rinchiuso nel cofano di un’auto. Per un po’ hanno percorso strade asfaltate,
ma adesso il fondo stradale è molto irregolare: probabilmente sono in
campagna, devono aver imboccato una sterrata. Hernando
è legato, incappucciato e imbavagliato. Non può muoversi. Se avesse un conato
di vomito, rischierebbe di morire soffocato. Per fortuna l’auto si
ferma dopo aver percorso poca strada. Il bagagliaio viene aperto. Gli
sollevano le gambe. Gli tagliano la corda che lega le caviglie. - Muoviti. Lo fanno scendere a terra
e, tenendolo per un braccio, lo fanno avanzare. Hernando
non può vedere nulla, ma qualcuno lo guida. La stessa voce di prima lo
avverte: - Il gradino. Hernando muove il piede con cautela. Trova il gradino
e sale. Lo trascinano ancora per un corridoio, poi lo fanno entrare in una
stanza. - Tu rimani qui. Non gli hanno tolto né il
cappuccio, né il bavaglio. Hernando esplora la
stanza muovendosi con molta cautela, a piccoli passi. C’è un pagliericcio a
terra. Una sedia contro il muro. Non sembrano esserci altri mobili. Sul
pavimento un recipiente, forse un pitale. Hernando
rabbrividisce. Si siede sulla sedia. Gli sembra impossibile. Qualche ora fa
era libero, ora è prigioniero, in pericolo di vita. Non può essere. È stato tanto stupido da
allontanarsi e le sue guardie non hanno potuto proteggerlo. Che ne sarà di
loro, adesso che lui è prigioniero? Diana li licenzierà? E Pablo Montaña? Diana non sarà certo angosciata per la sua
scomparsa. Le importa ben poco di lui. L’unico che ne soffrirà sarà Andrés. Andrés è fragile e
questo per lui sarà un altro brutto colpo. Se non dovesse tornare sarebbe
l’unico che ne soffrirebbe davvero. Lui. E forse Pablo Montaña.
L’idea è assurda, perché alla sua guardia del corpo dovrebbe importare
davvero di lui? Eppure… Ma sono pensieri oziosi.
Adesso è in pericolo di vita, prigioniero, e non sa se sarà mai liberato. Ci
sono persone che sono rimaste prigioniere per anni. Dove lo hanno portato? Hernando cerca di ascoltare i rumori. Il cappuccio li
attutisce, ma gli sembra di sentire il traffico di una strada non molto
distante. * Ángel ascolta con attenzione le istruzioni del
capo. Per Augusto, Pacho e Francisco non è la prima
volta, loro sanno già come devono comportarsi, ma Ángel
non ha mai fatto la guardia a un prigioniero e non vuole commettere errori. Alla fine il capo dice: - Se dovessero scoprire
che l’abbiamo nascosto qui, non lasciate che lo liberino: uccidetelo. Chiaro? Ángel si guarda bene dal dire alcunché, ma è
un po’ perplesso. Che senso ha uccidere il prigioniero se arriva la polizia?
Significa una condanna più severa, sempre che gli agenti non li ammazzino
tutti quando fanno irruzione, dicendo poi che i banditi hanno aperto il fuoco
e sono morti nello scontro che ne è seguito. Ángel
sa bene come funzionano le cose in Colombia: la morte di suo cugino
gliel’avrebbe insegnato, se non l’avesse già saputo prima. Comunque Ángel farà quello che gli dicono di fare. Non ha mai
ucciso nessuno, anche se ha partecipato a due spedizioni della banda. La
prima volta doveva sorvegliare l’ingresso posteriore e le finestre sul retro
di una casa, con il compito di sparare a chiunque cercasse di scappare.
Nessuno ci ha provato, i suoi compagni hanno ammazzato i tre che stavano nell’appartamento
senza dargli il tempo di fare alcunché. Per un certo verso Ángel si è sentito sollevato per non aver dovuto sparare,
magari a una donna o a un ragazzino; ma nello stesso tempo gli è dispiaciuto
non aver avuto l’occasione di provare. La seconda volta ha fatto anche lui
irruzione nella casa, ma l’uomo dovevano prenderlo vivo. Lo hanno ammazzato
dopo, in uno dei covi, torturandolo per due giorni, ma Ángel
ha solo assistito. Se ci sarà da ammazzare il
prigioniero, Ángel lo farà. Non gli spiacerebbe se
il compito gli venisse affidato: sarebbe un attestato di stima e anche un
buon modo per dimostrare ai suoi superiori che lui non si tira indietro, che
possono davvero contare su di lui. Ha già fatto parecchia strada: adesso è
uno dei carcerieri di Hernando García, un pezzo
grosso. Non è un compito da poco: significa che i capi si fidano di lui. Ma Ángel è ambizioso, vuole arrivare in alto. * La richiesta di riscatto è
arrivata. È la conferma che si tratta di un rapimento. Ricardo Balcázar e l’agente Cabral sono
soli nell’ufficio del commissario. Cabral chiede: - Continuo a indagare sui
conti dei García, commissario? Balcázar non risponde subito. Rimane un buon
momento pensieroso. Si tratta di un rapimento, c'è una richiesta di riscatto,
che senso ha indagare oltre? Eppure... Balcázar si
accende l’immancabile sigaro e si affaccia alla finestra. Guarda fuori. Senza
voltarsi, risponde: - Sì, ma con la massima
discrezione. Che nessuno lo venga a sapere. E poi… L’agente Cabral tace un buon momento, finché, vedendo che il
commissario non prosegue, chiede: - E poi? - E poi vedremo. Balcázar non sa nemmeno lui che cosa si aspetta.
Probabilmente l’indagine che ha affidato a Cabral è
tempo perso. Ma il commissario preferisce non tralasciare nessuna traccia. I
García sono una delle famiglie più ricche del paese. Occorre muoversi con
cautela. Balcázar convoca di nuovo le guardie del corpo,
ma questa volta parla individualmente con ognuno dei quattro uomini. Le loro
versioni coincidono perfettamente, ma non c’era motivo per dubitarne. Nessuno
è a conoscenza di minacce ricevute da García. Balcázar
pone anche qualche domanda generica sulla famiglia, senza insistere troppo:
non vuole che qualcuno vada a riferire alla signora o al fratello che il
commissario ficca il naso negli affari privati dei García. Tre degli uomini non sanno
nulla. Il quarto, Pablo Montaña, fa cenno a
contrasti familiari tra Hernando García e il
fratellastro, Diego, a proposito di Andrés García.
Pare che Hernando García non avesse buoni rapporti
con il fratello Diego. Pablo Montaña
fa anche riferimento a tensioni tra García e la moglie. Non fornisce molti
elementi precisi e Balcázar preferisce non chiedere
troppo. Se avrà senso seguire questa pista, metterà Montaña
alle strette. Per il momento è più prudente non approfondire. Pablo Montaña
se ne va. Luís Cabral non
lo ha perso d’occhio un secondo. Balcázar scuote la
testa. Sì, Montaña è il tipo d’uomo per cui Luís sbava. Ma un maschio così, di certo non è finocchio.
Magari questa sera Luís si farà una sega pensando
alla guardia. Il pensiero fa sorridere Ricardo. Luís
è un bravo ragazzo, anche se è un finocchio. E ci sa fare con la bocca e con
il culo. Luís si alza. Ce l’ha duro, anche se cerca di
nasconderlo tirando indietro il culo. - Ti piace, eh, Cabral? Luís sorride, un po’ imbarazzato. - Lui non lo puoi avere,
ma puoi succhiarmelo. Luís esita. Ricardo si apre la patta. Tira
fuori cazzo e coglioni. - Dai, datti da fare.
Scommetto che ce l’ho più grosso io di Montaña. Luís si avvicina e si mette in ginocchio.
Passa la lingua dalla cappella alla base, mentre il cazzo incomincia a
riempirsi di sangue. Ricardo avverte la tensione crescere. Gli viene duro in
fretta: Cabral ci sa fare. Luís
avvolge con le labbra la cappella e incomincia a succhiare. Ci dà dentro,
intensamente, mentre le sue mani stuzzicano i coglioni e l’area dietro lo
scroto. Ricardo respira a fondo. Cazzo, che bello! Queste labbra che
succhiano, la lingua che ora accarezza, dalla cappella alle palle. Che bello! Luís prosegue e il calore della sua bocca, il
movimento delle labbra e della lingua, il tocco delicato delle dita, tutto
trasmette a Ricardo brividi di piacere intensissimo. E infine Ricardo viene
nella bocca di Luís, in uno spasimo di godimento. Sì, Cabral
ci sa fare. Scopare con lui è piacevole, certe voglie meglio che una fica.
Ricardo passa una mano nei capelli di Luís, in una
specie di carezza. Niente di più, lui non è mica finocchio. Però Luís è un bravo ragazzo. * Adesso nella casa sono
rimasti solo Augusto, Francisco e Ángel. Il quarto
uomo, Pacho, è stato destinato altrove. Ma tre
persone sono sufficienti, il prigioniero è docile e non ci sono problemi per
la sorveglianza. Lo tengono tutto il giorno nella cella. Quando qualcuno di
loro deve andare da lui, indossa sempre un cappuccio. È una prassi normale
con i prigionieri, per evitare che possano riconoscere uno dei loro
carcerieri quando verranno liberati. Talvolta mettono il cappuccio al
prigioniero e allora loro ne fanno a meno: la settimana scorsa ad esempio
sono venuti due dei loro superiori a controllare le condizioni di García.
Allora lo hanno fatto spogliare, ma gli hanno messo il cappuccio. Ieri però Francisco è
entrato in bagno mentre Hernando era al cesso: così
il prigioniero lo ha visto in faccia. Francisco non appare minimamente
preoccupato e Ángel vorrebbe capire perché. Ángel però sa che non deve mostrarsi curioso. È Augusto a
chiedere, mentre cenano: lui ha già lavorato in diverse occasioni con Francisco
e fa parte della banda da anni. Non ha paura di apparire un pivellino che non
sa stare al suo posto. E poi, come Ángel si rende
conto ben presto, Augusto si è già fatto una sua idea e vuole solo una
conferma. - E così il prigioniero ti
ha visto bene in faccia. Non ti sei accorto che l’avevo portato al cesso. - Dovevi rimanere fuori
dalla porta, Augusto, invece di andartene a spasso. Augusto alza le spalle. - Non era necessario.
Quello non è tanto scemo da cercare di scappare. Dopo una pausa, Augusto aggiunge: - Ma tu non sei
preoccupato perché lui ti ha visto. Francisco non risponde, ma
sorride. Augusto prosegue: - Perché sai che non avrà
modo di riconoscerti. Francisco distoglie lo
sguardo, poi il suo sorriso si amplia e replica: - Credo proprio di no. - Lo ammazzeremo, vero? Il
rapimento è solo una copertura. Francisco si accende una
sigaretta, senza parlare, poi osserva: - Ne so quanto te,
Augusto. Non è che i capi mi raccontano le loro intenzioni. Quello che so è
che dobbiamo tenerlo in vita fino a che non ci arriverà qualche altro ordine. - Non ti hanno detto
niente, ma ti sei fatto la stessa idea. Francisco annuisce. - Sì. Credo che a un certo
punto ci diranno di ammazzarlo. - Sparandogli alla schiena
perché così tutti penseranno a un tentativo di fuga. Francisco guarda Ángel e dice: - Magari lo facciamo fare
al ragazzo. Che ne dici, Ángel? Ce li hai i
coglioni per sparare alla schiena a quel fottuto bastardo del nostro
prigioniero? Ángel è contento che Francisco abbia pensato
di affidare a lui quel compito, ma non gli va che possa dubitare di lui. - Se c’è da ammazzarlo, lo
faccio ben volentieri. Francisco sorride. - Sì, i coglioni ce li
hai, l’ho capito subito. Farai strada. Augusto interviene,
ridendo: - Se non te la becchi tu,
una pallottola. Ángel sorride. Sa benissimo che rischia la
pelle, la rischiano tutti. Ma chi non è disposto a rischiare non ottiene
niente. E non è detto che campi a lungo. Suo cugino Mario non era uno che
rischiava ed è morto a ventidue anni, dopo una vita in cui non ha conosciuto
altro che il lavoro dei campi. Che senso ha? Nelle bande si può morire
giovani, ma almeno c’è la possibilità di fare strada, come dice Francisco, di
diventare qualcuno. * Pablo Montaña
sta conducendo la sua indagine personale. Sa bene che non riuscirà a ottenere
nulla. I sequestri dei pezzi grossi sono organizzati dalle grandi
organizzazioni criminali: neanche la polizia e i migliori investigatori,
assoldati dalle famiglie dei sequestrati, riescono a cavare un ragno dal
buco, figuriamoci un povero coglione di guardia del corpo. Pur sapendo che è
impossibile per uno come lui trovare la pista giusta, Pablo ci prova:
rimanere senza fare nulla lo farebbe impazzire. L’idea che abbiano rapito Hernando García lo angoscia. Si sente in colpa, anche se
è stato García a fare segno a loro di rimanere dove erano, anche se lui è
stato il primo a muoversi per andare a controllare se tutto era a posto. Ma
di Hernando García non c’era già più traccia. Pablo ha molti contatti
con altre guardie, che naturalmente non sanno nulla, e con gente che abitava
nel suo quartiere. Alcuni di loro sono entrati in bande criminali. Di certo
non racconterebbero a lui ciò che sanno. Ma Pablo ci prova lo stesso, certi
hanno un grosso debito di riconoscenza nei suoi confronti, Pablo è sempre
stato disponibile a dare una mano a tutti. Spera magari di ottenere qualche
indizio: Pablo è bravo a cogliere quando una persona mente o dice la verità,
forse può riuscire a capire se qualcuno sa, anche se non vuole raccontare. Non ottiene nulla: nessuno
sembra davvero sapere nulla. Pablo sonda il terreno perfino nei locali gay,
senza dire che Hernando García era il suo padrone.
Ne parla come se per lui fosse solo un argomento di conversazione: magari
qualcuno potrebbe aver sentito qualche cosa. È un’idea demenziale, lo sa
benissimo, ma non vuole lasciare nulla di intentato. E non ha un’idea
migliore. Le sue indagini non danno
nessun risultato, come Pablo stesso si aspettava, ma lui non si arrende. Sa
che se davvero trovasse la pista giusta, si beccherebbe un po’ di pallottole.
Ma non può non provarci. Sapere Hernando García in
mano ai rapitori è un tormento. Vuole salvarlo, anche se non sa come. Un giorno arriva Andrés García. È venuto per parlare con la signora, che
lo ha congedato in fretta. La signora García non sopporta il cognato. Andrés esce dalla casa. Pablo lo vede e gli
sembra che sia sul punto di mettersi a piangere. Gli si avvicina, d'impulso. - Lo troveranno, signor García.
Lo troveranno e lo salveranno. Andrés lo ha riconosciuto. Cerca di
sorridergli, ma ha le lacrime agli occhi. - Se Diana non paga... io
non ho denaro... mi sono giocato quasi tutto... mi sono lasciato
imbrogliare... e ora non posso fare niente. A Pablo l'idea che Diana
possa non pagare non è neanche passata per la mente. Ma si rende conto che
esiste anche questa possibilità. - Il riscatto sarà pagato.
Il signor Hernando sarà liberato. E quando tornerà
vorrà trovare lei sereno. Sono sicuro che in questo momento lui si sta
preoccupando per lei. Andrés annuisce, cercando di trattenere le
lacrime. - Tu ti chiami Pablo Montaña, vero? Hernando mi ha
parlato di te qualche volta. Pablo è stupito, questo non
se l'aspettava. Andrés aggiunge: - Sai dove abito. Vieni a
trovarmi quando smonti. Ho bisogno di parlare con qualcuno. Qualcuno che
voglia bene a Hernando. - Verrò. Finisco alle sei. - Grazie. * - Eccoti la cena. L’uomo è a capo scoperto.
Anche quello che lo ha accompagnato al cesso non si era messo il cappuccio. Hernando ha sperato che si trattasse di un errore, una
dimenticanza. Ha evitato di guardarlo in faccia. Ha tenuto gli occhi bassi
tutto il tempo. Ma anche questo che gli
porta la cena, un ragazzo che deve avere venti-ventidue anni, è a capo
scoperto. Non hanno paura che lui li possa riconoscere. Questo significa una
sola cosa: verrà ucciso. Hernando non ha fame. Guarda il pollo che si
raffredda nel piatto, ma lo stomaco è chiuso in una morsa. Hanno deciso di
ucciderlo, non c’è altra spiegazione. Perché? Perché? Per avere i soldi del
riscatto dovranno dimostrare che lui è ancora vivo. Perché ucciderlo dopo
aver ottenuto quello che vogliono? Che senso ha? Hernando cerca una spiegazione, una qualunque,
qualsiasi cosa gli offra uno spiraglio di speranza. Forse questi uomini se ne
andranno in un altro paese, magari non sono colombiani, anche se l’accento
non sembra diverso da quello che Hernando è
abituato a sentire. Magari hanno intenzione di emigrare negli USA con i soldi
che guadagneranno per aver fatto da carcerieri e sanno che a San Diego o
Dallas nessuno penserà che possano essere dei rapitori. Forse sanno che non
li troveranno mai. Hernando sa che si aggrappa a speranze assurde,
ma non riesce ad accettare l’idea di dover morire, morire a trentaquattro
anni. Gli sembra di non aver mai
vissuto. Pensa a suo fratello Andrés, abbandonato a
se stesso, destinato a sprofondare quando lui non ci sarà più. Perché Andrés è fragile, Diego non ha avuto difficoltà a
rovinarlo economicamente e quando non ci sarà più Hernando
a sostenerlo, Diego finirà per portare Andrés al
suicidio. Pensa a Diana, il suo
errore peggiore. Perché l’ha sposata? Lo sa benissimo. L’ha sposata per
ingannarsi e ingannare gli altri, per illudersi di essere un uomo come gli
altri. L’ha sposata perché lei ha fatto di tutto per conquistarlo e lui ha
stupidamente pensato che fosse innamorata di lui e non dei suoi soldi. L’ha
sposata perché avrebbe voluto avere dei figli. Pensa a Pablo Montaña, al suo sorriso. Pablo gli è apparso più volte in
sogno, in queste settimane. Hernando sa di
desiderarlo. Troppo tardi, ormai. Troppo tardi per amare ed essere amato,
troppo tardi anche solo per godere davvero tra le braccia di un uomo. Troppo
tardi per cercare di vivere la propria vita. Non c’è più una vita davanti. Quando il ragazzo torna a
prendere il piatto, Hernando non ha mangiato nulla. * Pablo e le altre guardie
del corpo sono ancora a casa di Hernando García. È
probabile che i quattro presenti il giorno del rapimento vengano presto
licenziati, questo lo sanno tutti: hanno fallito clamorosamente. Gli uomini
sono preoccupati e spiano le intenzioni della signora García. Parlano spesso
tra di loro del futuro che li aspetta. Dovrebbero trovare un altro impiego,
ma non è detto che l’agenzia intenda tenerli dopo il rapimento: chi
accetterebbe una guardia del corpo che ha lasciato rapire l’uomo che aveva il
compito di proteggere? Non è certo una buona referenza. A Pablo non importerebbe
di essere licenziato: avrebbe più tempo per le sue inutili indagini. L’unica
preoccupazione è per la sua famiglia: sua madre e sua sorella Rosa. Sua madre
continua a fare le pulizie, ma da quando lui le passa una somma mensile, vive
in un appartamento e non in una catapecchia e può permettersi di lavorare
meno ore. Pablo le dà spesso soldi quando ottiene una gratifica e dopo che ha
salvato Rafael Lima le ha dato una grossa somma. Conoscendola, Pablo è sicuro
che ha ancora quei soldi, li ha messi da parte. Quanto a sua sorella Rosa,
anche a lei Pablo ha dato parecchi soldi, ma con tre bambini le spese sono
tante e né Rosa, né suo marito guadagnano molto. Pablo è a tavola con i
suoi compagni. Gabriel arriva un momento dopo, quando loro stanno già
mangiando. Basta un’occhiata per vedere che è furibondo. Parla a bassa voce,
per non farsi sentire dagli altri servitori che stanno mangiando non lontano:
precauzione inutile, perché il cuoco sta raccontando una storia che suscita
grandi risate. Gabriel sibila: - Quella troia. L’ho
sentita, parlava con il suo ganzo. Gli ha detto che ci darà il benservito la
settimana prossima. L’agenzia le procurerà le nuove guardie per mercoledì. La troia è evidentemente
Diana Villamizar García. Henrique osserva,
rabbioso: - E dire che è stata lei
che ha telefonato al padrone. Se non era per quella telefonata del cazzo… - Le è andata a fagiolo,
così il padrone non ha scoperto che è incinta. Pablo non ha detto una
parola, ma la frase di Gabriel lo sorprende. Come è possibile che Diana
García sia incinta se lei e il padrone non scopavano da mesi e mesi? Pablo
guarda Gabriel e chiede una conferma: - Incinta? - Non ti sei accorto delle
nausee? Già, ma tu andavi poco con lei. La troia è incinta e non di suo
marito. In effetti Pablo ha avuto
poche occasioni di accompagnare la signora, quando le guardie si dividevano Hernando García prendeva sempre Pablo con sé. Gabriel
sorride e chiede: - E sai chi è il padre? Pablo scuote la testa,
senza rispondere. - Tu non sai mai niente.
Non hai la minima curiosità. Scommetto che non ti sei accorto che il padrone
e la troia non scopavano da mesi. Pablo ha sempre evitato di
incoraggiare le chiacchiere di Gabriel, gli sembra scorretto sparlare del suo
datore di lavoro e dei suoi familiari. E non intende certo riferire la
confidenza che gli ha fatto Hernando García, per
cui risponde: - No. Non lo sapevo
proprio. Gabriel scuote la testa,
come se fosse incredulo davanti all’ingenuità di Pablo. - Non scopavano più, lei
non lo sopportava proprio. E non è che lui ci tenesse. Secondo me è
finocchio. Con te non ci ha mai provato, Pablo? A Pablo manca il fiato. - Ma no, che dici? Henrique interviene: - Non l’ho mai visto
provarci con nessuno. Gabriel scuote la testa: - No, hai ragione, ma il
giorno prima di essere rapito, quando siamo tornati a casa, ti ha detto di
seguirlo, no, Pablo? Pensavo che magari ci provava. Se non ci ha provato con
te, che pure gli piacevi… Pablo si controlla con fatica.
Vorrebbe spaccare la faccia a Gabriel. Risponde parlando senza enfasi,
sforzandosi di apparire stupito e non irritato: - Non mi ha mai detto
nulla di nulla. Quella volta mi ha chiesto come mi trovavo, ha chiacchierato
un momento e mi ha mandato via. Niente che potesse farmi pensare a un
approccio. Perché dici che gli piacevo? - Perché vedevo come ti
guardava. - Mai una parola, neppure
un accenno. Ti sbagli, Gabriel. Gabriel ghigna e scuote la
testa. - No, non mi sbaglio, ma
probabilmente non aveva i coglioni per farlo. Che stronzo! Con tutti i soldi
che ha, poteva fare quello che voleva. Pablo è disorientato, ma
lo nasconde. Gabriel riprende: - E così questa troia si
faceva scopare da altri. Ma non da gente qualunque. Magari piaci anche a lei,
Pablo, ma a uno come te non la darebbe mai. Li vuole ricchi i suoi ganzi. Henrique interviene: - Tu sai chi è il padre? Gabriel annuisce,
soddisfatto: - Certo, nessun dubbio su
questo. Sai che l’accompagno spesso. - E ne approfitti per
ficcare il naso. Allora, chi è? Pablo segue appena la
conversazione, senza intervenire. Pensa a Hernando
e a ciò che ha detto Gabriel. Un uomo come Hernando
García poteva desiderarlo? Desiderare lui, Pablo Montaña,
un povero coglione nato a Ciudad Bolivar? Assurdo. Intanto Gabriel sorride e
lancia la bomba: - Il cognato, Diego
García. La troia se li sceglie bene i suoi polli. Pablo gira la testa di
scatto e fissa Gabriel. Gli sembra che un lampo abbia illuminato il buio e
ora mille pensieri si affollano nella sua testa. Vuole sapere. Tutto. Provoca
Gabriel: - Non ci credo, non è
possibile. Come fai a dirlo? Te lo sei inventato. - Quella andava a trovarlo
quando il marito non c’era. - Troppo poco per
sostenere che scopavano. - Non c’è solo quello. C’è
molto di più. Pablo conosce Gabriel e sa
che in questo momento non mente. Gabriel è capacissimo di inventarsi qualche
storia per essere al centro dell’attenzione, ma adesso ha davvero degli
elementi a sostegno di quanto sta dicendo. - Che cosa? - Esiste anche un DVD.
Diego García ha messo una telecamera e si è ripreso mentre scopava la troia. - Assurdo, perché dovrebbe
averlo fatto? Perché correre un rischio inutile, se quel DVD fosse finito
nelle mani di qualcun altro, che avrebbe potuto ricattarlo? E mentre lo dice, Pablo si
dà una risposta: il DVD poteva servirgli a colpire Hernando.
Diego è disposto a utilizzare qualsiasi arma per sbarazzarsi dei due
fratellastri che odia. Gabriel alza le spalle. - E che cazzo ne so? Ma il
DVD esiste, ne sono sicuro. Pablo ci crede, ma fa
finta di essere diffidente, per scoprire qualche cosa di più. - E come fai a esserne
sicuro? - L’ho visto. Pablo non dice nulla, ma
Henrique è allibito: - Cosa? - Ragazzi, non dite
niente, perché mi fanno il culo, e non solo a me, anche a Miguel. L’ho
proprio visto. Me l’ha fatto vedere Miguel, una delle guardie di Diego
García. Quei due fanno faville. La troia è davvero una troia e Diego García è
un maschio con i fiocchi. È uno spettacolo. Mi è diventato duro a guardarlo,
mi sarei fatto una sega, ma c’era Miguel. Comunque non è tutto. So anche
un’altra cosa. Pablo e Henrique guardano
Gabriel, che gongola, felice di vederli pendere dalle sue labbra. - La troia ha pure due
cellulari: uno è quello che si porta dietro per le telefonate normali. Ma
quando vuole parlare con il ganzo, usa l’altro. Gliel’ha dato Diego García. * Ángel è in piedi davanti alla porta del bagno.
Hernando García si sta facendo la doccia. La porta
è socchiusa. Ángel si guarda intorno, ma Francisco
dormicchia sul letto in camera e Augusto sta guardando un programma in
televisione. Ángel spinge un po’ la porta. Adesso
può vedere García sotto la doccia, che si lava. García ha un bel corpo. García non si accorge di
lui. Ángel apre completamente la porta. García
trasale e alza gli occhi. Guarda Ángel, che rimane
impassibile. García ha smesso di lavarsi, ma, vedendo che Ángel
non dice nulla e rimane fermo sulla soglia, riprende. Quando ha finito, prende
un asciugamano e incomincia a strofinarsi. A un certo punto dà le spalle ad Ángel. García ha davvero un bel corpo. Ad Ángel sta venendo duro, ma cerca di nasconderlo, tirando
un po’ indietro il culo. Ángel non stacca gli occhi da García nemmeno
un secondo, mentre questi si riveste. Hernando
García indossa una tuta da ginnastica. La tuta e l’abito che aveva addosso al
momento del rapimento sono tutto ciò ha di vestiario, a parte la biancheria. Ángel pensa che Hernando
García è uno degli uomini più ricchi del paese e adesso può mettersi solo una
tuta o un abito tutto spiegazzato, si cambia le mutande ogni quattro giorni e
indossa un paio di ciabatte comprate al supermercato. García non ha più
bisogno di un grande guardaroba: nella bara si porta un unico vestito. Hernando García è più di là che di qua, ormai: i capi
hanno confermato che andrà eliminato. Ad Ángel
Hernando García fa pena. I ricchi li detesta, ma
questo ormai è solo più un condannato a morte. * Pablo ha pochi giorni per
cercare le prove là dove non ha mai pensato di indagare: nella casa in cui è
vissuto in questi mesi e da cui dovrà andarsene mercoledì, insieme agli
altri. Pablo conosce benissimo le
abitudini delle altre guardie e dei servitori: è un ottimo osservatore e sa
che tenere sotto controllo la situazione fa parte del suo lavoro. Al corso di
addestramento Pablo ha avuto il massimo del punteggio. Non a caso è diventato
la guardia del corpo di uno degli uomini più ricchi del paese. Gli altri una volta a casa
si rilassano e pensano agli affari propri, Pablo non smette se non quando è
finito il suo turno e se rimane nella villa, anche allora controlla ciò che
succede: un’anomalia può essere la spia di un pericolo. Adesso Diana Villamizar García è fuori, con tre guardie, la cameriera
personale sta scopando con il cuoco e, in assenza della padrona, gli altri
servitori battono la fiacca, a parte il giardiniere, che è sempre al lavoro. Pablo non è mai stato
nella camera di Diana. Ma è lì che deve cercare quello che gli serve. Dove la
signora può nascondere ciò che non vuole che venga trovato? Certamente non
dove la cameriera mette le mani. Badando bene a non mettere
fuori posto nulla e a non lasciare tracce, Pablo apre i cassetti e controlla
il contenuto. Quello che sta facendo è
pericoloso, maledettamente pericoloso. Se venisse sorpreso a frugare in
camera della padrona finirebbe nei guai e, se è vero quello che sospetta,
sarebbe eliminato. In camera non c’è nulla
che possa servirgli. Diego passa alla cabina armadio. Controlla con metodo e
infine trova quello che cerca in una borsa da spiaggia. Ci sono diverse cose
messe alla rinfusa, ma Pablo le estrae una per volta, con cautela. C’è il
risultato dell’ecografia che Diana Villamizar
García ha fatto da poco; dal foglio risulta che è incinta di quattro mesi.
Pablo lo fotografa con il cellulare. C’è un telefonino. Pablo
lo accende, chiama il proprio numero, in modo da avere in memoria il numero
del cellulare. Poi apre il registro delle chiamate e cancella la sua. Con il
suo cellulare fotografa prima la rubrica e poi il registro, facendoli
scorrere. Il numero di Diego García è quello che ricorre più spesso nel
registro. Pablo continua a fotografare i numeri: alcuni potrebbero
corrispondere a persone coinvolte nel rapimento e in questo caso fornirebbero
qualche elemento per ritrovare Hernando García.
Solo quando arriva al giorno del rapimento Pablo ha un’idea. Sa a che ora la
signora ha telefonato al marito, dall’altro cellulare. Controlla e vede che
c’è una chiamata in arrivo, esattamente alla stessa ora. Ricevuta la
chiamata, la donna ha telefonato al marito, per farlo cadere nella trappola.
Ogni dubbio svanisce. Pablo ripone ciò che ha
preso esattamente dove si trovava, badando a che nulla sia fuori posto. Nel
momento in cui esce dalla camera, sente i passi di Diana nel corridoio. Tra
pochi secondi volterà l’angolo e lo vedrà. Non c’è nessuna via di fuga. Pablo si siede a terra a
lato della porta. Diana appare e lo guarda, interdetta. Pablo si alza di
scatto, come se si vergognasse di essere stato sorpreso seduto di fianco alla
sua porta. - Mi scusi, signora
García, avevo bisogno di parlarle e la aspettavo. Diana non sembra dubitare
delle parole della guardia. D’altronde, che altro poteva farci Montaña seduto di fianco alla sua porta? Pablo le legge
in faccia che è irritata e che considera la sua manovra un’impertinenza.
Perfetto, il trucchetto ha funzionato. - Che cosa vuoi? Non ho
tempo da perdere. - Mi scusi, circola voce
che saremo licenziati e… Diana lo interrompe. - Non intendo discutere di
questo con te. L’agenzia vi comunicherà le mie decisioni. Pablo china la testa. - Sì, signora. Scusi,
signora. Diana lo supera ed entra
in camera. Sulla porta si volta ancora per dirgli: - Ed evita di aspettarmi
di fianco alla mia camera. - Mi scusi signora. Pablo ce l’ha fatta. Diana
non sospetta di nulla. In camera tutto è stato rimesso a posto. E in tasca
Pablo ha il cellulare con tutto ciò che gli serve. * - Sei nato in campagna,
vero? La domanda è sfuggita a Hernando. In queste settimane ha parlato poco con i suoi
carcerieri, solo per l’essenziale. D’altronde ha poche occasioni per vederli:
soltanto quando esce dalla stanza per andare in bagno o quando uno di loro
entra per portargli il cibo o qualche altra cosa. Ma questo silenzio gli
pesa. E ora vorrebbe sapere perché non indossano più i cappucci. Spera
oscuramente che gli diano una spiegazione fasulla, in grado di lenire la sua
angoscia. Tra i carcerieri questo che gli ha portato da mangiare oggi è il
più giovane e da qualche tempo è meno scostante. Adesso è quasi sempre lui a
portargli il pasto e non se ne va, come gli altri, ma rimane nella stanza. Forse
lo fa solo per sorvegliarlo. Anche quando Hernando
si fa la doccia, questo tiene la porta aperta e non lo perde di vista neanche
un momento. Il ragazzo non risponde
subito, forse valuta se fornire una risposta può esporlo a qualche rischio.
Infine dice: - Che cosa te lo fa
pensare? - Come parli. Hai la
pronuncia delle campagne del Nord. Hernando potrebbe citare anche altri elementi nel
modo di muoversi, ma forse il ragazzo, che gli altri chiamano Ángel, potrebbe considerare le sue osservazioni
offensive. - Sì, sono nato in
campagna. E allora? - Allora niente. Era solo
per scambiare due parole. Non parlo mai con nessuno. Sono settimane che non
parlo con nessuno. Hernando ha tenuto il conto dei giorni. Li segna
in un angolo della parete quando si alza il mattino. Ha incominciato il
quarto giorno, quando gli ci è voluto un buon momento per capire se era
martedì o mercoledì. Non voleva perdere il senso del tempo. Sono quarantadue
giorni che è prigioniero, ma qui i giorni scorrono tutti uguali. Di rado
viene qualcuno. Nelle prime settimane sono venuti tre volte a controllare le
sue condizioni: lo hanno fatto spogliare, gli hanno messo un cappuccio e poi
qualcuno gli ha detto di muovere un braccio o una gamba. Queste visite erano
un buon segno, significavano che non volevano ammazzarlo. Nelle ultime
settimane non ci sono più state visite. Ángel non dice nulla. Guarda Hernando. Ha uno strano sorriso sulle labbra, in cui
sembrano mescolarsi imbarazzo e derisione. - Parlerai quando sarai
tornato libero. Hernando abbassa lo sguardo. Ángel
non crede a quello che ha detto. Pensa che lui non tornerà mai libero. Lo
uccideranno. Perché? Forse Diana si rifiuta di pagare il riscatto? Potrebbe
essere. Se si è rivolta Diego, di sicuro… Hernando guarda il ragazzo negli occhi. - Mi ucciderete, vero? Ángel sorride, lo stesso sorriso falso di
prima. - Ma no, che dici? Quando
pagano il riscatto, torni libero. Parole. Solo parole. * Ricardo Balcázar sta fissando Pablo Montaña.
L’agente Luís Cabral
registra la deposizione. Ricardo è senza parole.
Quando la guardia del corpo di Hernando García gli
ha chiesto di potergli parlare, si è chiesto che cosa potesse volergli dire
l’uomo. Nel secondo interrogatorio della scorta di Hernando
García, Montaña gli era sembrato il meglio
informato. O forse soltanto il più chiacchierone, quello più disponibile a
raccontare i fatti altrui. Perché ciò a cui aveva accennato di sicuro lo
sapevano anche gli altri. Le informazioni che gli sta dando ora sono di ben
altro genere e danno corpo ai dubbi che il commissario ha avuto inizialmente
e poi ha accantonato. - Riepiloghiamo e vediamo
le prove punto per punto. Come fa a sapere che la signora García è incinta? - I miei colleghi hanno
notato che ha avuto spesso nausee. E io ho trovato questo. Pablo apre la cartellina
che ha con sé e consegna al commissario il foglio con il referto clinico, che
ha stampato, come tutte le altre foto scattate con il cellulare. Balcázar lo guarda e osserva: - È una foto. - Certo, se avessi
sottratto l’originale, la signora se ne sarebbe accorta e si sarebbe
insospettita. Ma anche alla clinica hanno senz’altro i risultati dell’esame,
può verificare. - E lei mi dice che il
padre del bambino non è Hernando García. - No, lui e la moglie non
avevano rapporti da otto mesi. - Come fa a saperlo? - Me lo disse il signor
García. - Si confidava con lei? - Una volta sola, il
giorno prima del rapimento. - Anche se fosse vero,
potrebbero aver avuto rapporti quella notte. - La signora García è
incinta da quattro mesi. - L’unica certezza è la
sua parola. - Può chiedere anche alle
altre guardie del corpo. Anche loro ne sono a conoscenza. La signora ne
parlava al telefono e loro hanno sentito. Quando Montaña
gli parla delle altre guardie, a Ricardo viene un sospetto: - Non è che voi volete
vendicarvi perché sarete licenziati? - Gli altri non sanno
neppure che io sono venuto qui. E a me interessa una sola cosa: salvare il
signor García. In ogni caso un esame del DNA può dimostrare la paternità del
bambino. - Paternità da attribuire
a Diego García, secondo lei. - Il mio collega Gabriel Calzado ne è certo. Ho portato con me le foto del
registro delle chiamate. Ne risultano moltissime fatte al cognato. - Proprio perché è suo
cognato, non c’è niente di strano. - Se non c’è niente di
strano, perché le ha fatte da un altro cellulare, di cui il marito non sapeva
neppure l’esistenza? Balcázar sta facendo l’avvocato del diavolo, ma
la ricostruzione di Montaña lo ha già convinto. - E infine la telefonata. - Sì, come risulta dalla
foto che ho scattato, ha ricevuto una chiamata alle 16.39 e ha immediatamente
chiamato il marito, ma con l’altro telefono. Una coincidenza un po’ strana,
non trova? Sì, non è una coincidenza.
È tutto un piano ben congegnato, che non sarebbe mai venuto a galla, se non
fosse per una guardia ficcanaso. Questo Montaña è
uno sveglio, bisogna ammetterlo. E rischia grosso per salvare il suo padrone.
Con quello che ha scoperto, poteva farsi pagare un casino di soldi, di che
sistemarsi per la vita. Quanto guadagna una guardia del corpo come Pablo Montaña? Lo fa ad alto livello, deve avere un buon
salario, ma da quei due Montaña potrebbe ottenere
centinaia di migliaia di dollari. Quanto sarebbero disposti a sborsare Diego
e Diana García per evitare di essere scoperti? Trecentomila dollari?
Quattrocentomila? Cinquecentomila? E invece Pablo Montaña ha fatto un’altra scelta. - Montaña,
non una parola a nessuno, se ci tiene a salvare il suo capo. Non so se le
cose che mi ha raccontato c’entrino in qualche modo con il rapimento, ma se
lo sono e qualcuno venisse a sapere che ci muoviamo in questa direzione,
sarebbe la fine per Hernando García. - Non ne parlerò a
nessuno, glielo garantisco. Quando Pablo Montaña è uscito, Ricardo si rivolge a Luís Cabral. - Il verbale lo dai a me.
E anche tu non ne parli con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno.
Chiaro? Neanche mezza parola. Per nessun motivo. - Va bene commissario. - Questa faccenda è troppo
delicata per rischiare di rovinare tutto perché qualcuno non sa tenere a
freno la lingua. Sul caso García non c’è niente di nuovo, niente di niente.
Nessun accenno a rivelazioni clamorose o svolte nelle indagini. Chiaro? - Certo commissario. Ricardo Balcázar guarda dalla finestra. I diversi elementi
portati da Montaña sembrano suggerire la stessa
conclusione a cui è giunta la guardia, anche se probabilmente un tribunale
non li considererebbe prove determinanti. Bluffando un po’ potrebbe far
credere alla signora García che ha qualche cosa di più in mano. Se Diana Villamizar García si convince che il commissario ha le
prove, allora… Ricardo sorride. Sì,
studiandola bene, si può fare. * Fa caldo, un caldo fottuto.
Ángel suda. Adesso in casa stanno tutti e tre a
torso nudo, spesso in mutande. Ángel guarda Augusto
e Francisco. Nessuno dei due si può definire un bell’uomo, ma Ángel si sente turbato. Non scopa da quando ha
ricevuto questo incarico, non può farsi una sega perché non ha una camera per
sé, potrebbe al massimo farlo al cesso, ma non c’è nemmeno la chiave, perché
il prigioniero non possa chiudersi dentro. E poi gli scoccerebbe che Augusto
e Francisco lo considerassero un ragazzino che ha bisogno di farsi le seghe. Francisco dorme sul letto.
Francisco dorme sempre. Peggio di un bradipo. Se non dorme, sonnecchia.
Augusto guarda la televisione, ma a un certo punto controlla l’orologio e
dice: - Ora di andare. Torno tra
due ore. Augusto dà un’occhiata a
Francisco, poi dice ad Ángel: - Se il prigioniero deve
andare al cesso, sveglia Francisco. Non possiamo correre rischi. Ad Ángel
scoccia che Augusto non abbia fiducia in lui. Sa di essere perfettamente in
grado di controllare il prigioniero da solo. Augusto se ne va. Dopo un
po' Ángel esce dalla stanza. Passa davanti alla
camera dove dorme Francisco. Poi decide di controllare che cosa sta facendo
il prigioniero. Ángel gira la chiave ed entra nella camera di
García. Hernando García è steso sul pagliericcio, nudo.
Di solito quando gli portano i pasti, lo trovano con almeno le mutande
addosso, ma questa non è un’ora in cui i carcerieri entrino nella cella.
García lo guarda entrare e si alza a sedere. Ángel chiude la porta dietro di sé. Non dice
nulla. Si toglie i sandali, si abbassa i pantaloni e le mutande. Fissa
García, che abbassa lo sguardo. Ángel si avvicina al pagliericcio, senza
distogliere gli occhi dal viso di Hernando García,
che ora ha sollevato la testa e lo fissa, sgomento. - Stenditi a pancia in giù. García lo guarda senza
dire nulla. Ángel sibila: - Ora. Muoviti, stronzo. García respira a fondo e
si stende. Allarga le gambe. Ángel guarda il culo che gli si offre. È bello
questo culo. Ángel
si inginocchia tra le gambe e stringe le natiche con forza. Vorrebbe
morderle. Sputa sul buco e sparge la saliva. Poi divarica un po’ le natiche
ed entra lentamente. García sussulta, emette un grido strozzato, un: - No! Ángel sorride. È la prima volta che fotte un
maschio. E forse è la prima volta anche per García. Dicono che i finocchi
abbiano il culo sfondato, ma questo è bello sodo, il cazzo fa fatica a
entrare. È un piacere. García geme, si tende. Gli
fa male. Ángel scuote la testa. Le pallottole gli
faranno ben più male. García sarebbe ben contento di cavarsela con un culo
spaccato, ma dovrà pagare molto di più del culo e dei suoi fottuti soldi. Ángel spinge con energia e sente che il
piacere cresce. Vorrebbe far durare questo momento, ma la tensione è troppo
forte e dopo poche spinte il seme si rovescia nel culo del prigioniero. Ángel si rialza. È stato bello, ma breve. Pazienza. Ci
saranno altre volte, mica lo ammazzano subito questo finocchio. Ángel si riveste ed esce, senza dire nulla.
Guarda García, che è rimasto sdraiato, a gambe larghe. Ha un bel corpo,
davvero. Ángel è contento di averlo preso. Gli è
piaciuto. García rimane immobile. Non solleva la testa nemmeno quando lui
apre la porta. * Diana Villamizar
García osserva il commissario che l’ha convocata per parlarle. Nell’ufficio
del commissario non c’è nessun altro, neanche l’agente che dovrebbe
verbalizzare. Diana non ci ha badato, ma è il commissario a farglielo notare: - L’ho fatta venire per un
colloquio privato, signora García. Senza nessun testimone. Abbiamo fatto luce
sul sequestro di suo marito e volevo condividere le mie conclusioni con lei. Diana sembra più perplessa
che contenta, come invece dovrebbe essere una brava moglie a cui comunicano
che hanno fatto importanti scoperte sul rapimento del consorte. Ma sul fatto
che Diana non amasse alla follia Hernando García
non ci sono dubbi di sorta. - Mi dica, commissario. - Il rapimento di suo
marito non è avvenuto per ottenere un riscatto, ma come copertura per un
omicidio. Un omicidio commissionato dalla moglie e dal fratello della
vittima. Forse Diana è leggermente
impallidita, ma la faccia è rimasta perfettamente impassibile. - Commissario, lei non è
all’altezza del compito che le è stato affidato. Dovranno rimuoverla. Balcázar sa benissimo che attraverso le
conoscenze della famiglia García, Diana potrebbe davvero farlo allontanare
dal suo incarico, se lui non avesse le carte giuste per giocare la mano. - Signora, se pensa che io
non abbia in mano tutti gli elementi per dimostrare ciò che sto dicendo, mi
sottovaluta. Non sono così sciocco da parlare senza avere le prove di ciò che
dico. Balcázar sta bluffando, perché alcuni elementi
gli mancano, ma ritiene di possederne a sufficienza per spaventare la donna e
convincerla che lui ha le prove per tutto. Balcázar
prosegue: - Un complice le ha
mandato un messaggio quando suo marito è uscito dallo studio dell’avvocato e
lei, com’era d’accordo, gli ha telefonato, sapendo che lui non avrebbe voluto
parlare di suo fratello davanti alle guardie. Dietro l’angolo lo aspettavano
i rapitori. - Stupidaggini. - Signora, lei ha due
cellulari, anche se il secondo non risulta a suo nome. Su quello ha ricevuto
la telefonata del complice, ma per telefonare a suo marito ha usato l’altro. - Non posseggo un secondo
cellulare. Balcázar sorride. - Se vuole le do il
numero: 3187838079 Ora Diana è sicuramente
impallidita. - Su quel cellulare ha
fatto numerose chiamate al suo amante, Diego García. - Lei non può… La voce di Diana è
stridula. Ora Balcázar è sicuro che la
ricostruzione fornita da Pablo Montaña è corretta. - Io posso provare tutto,
ho i tabulati delle telefonate. Ma le telefonate sono il meno. Signora, lei è
incinta e non di suo marito. Lui avrebbe capito immediatamente che il bambino
che aspetta non è figlio suo. Non avevate più rapporti da nove mesi. Ora Diana è davvero
impallidita. Questo non se l’aspettava proprio. - Come…
come lo sa? Balcázar sorride, ironico. - Non voglio apparire
scortese nei suoi confronti, ma qui le domande le faccio io. Diana non replica. Sa di
aver perso la partita. Balcázar prosegue. - Quindi lei si è trovata
a scegliere: un divorzio per adulterio, che l’avrebbe privata della sua attuale
condizione di ricchezza; oppure la morte di suo marito, che avrebbe lasciato
lei e suo figlio eredi di una fortuna immensa. Diana cerca ancora di
replicare: - Sono solo fantasie. Lei
non ha nessuna prova. - Le prove sono parecchie,
gliene ho già elencate alcune. Potrei ricordarle che un test sul nascituro
permetterà di appurare che non è figlio di Hernando
García, ma del fratello, anzi: del fratellastro. Diana sussulta. Al test
del DNA non aveva certo pensato. Non si aspettava minimamente che qualcuno potesse
sospettare. Balcázar prosegue: - Ne ho alcune altre,
perché anche il signor Diego García, pensando che nessuno avrebbe mai
sospettato di lui, ha commesso alcuni errori, ancora più significativi, ma di
questo è inutile parlare con lei. Balcázar sta mentendo. Non ha fatto nessun
indagine su Diego García. Balcázar sa anche che gli
elementi per provare il coinvolgimento di Diana nel rapimento sono davvero
pochi: solo la doppia telefonata, di un cellulare che ha visto soltanto Pablo
Montaña e che verrà sicuramente distrutto. I
tabulati si possono ottenere, ma come provare che quel cellulare l’aveva la
signora García? Ma ormai la donna è convinta. - Temo che suo figlio
nascerà in prigione, signora García. Diana annaspa. Fissa il
commissario con gli occhi dilatati. Respira affannosamente. Balcázar si accende un sigaro, con calma. Diana è
annichilita, non reagisce. Il commissario lascia che la donna abbia il tempo
di immaginare il suo futuro, anni di prigione per aver organizzato il
sequestro e l’omicidio del marito. Aspira. Poi sorride e
dice: - A meno che… Diana alza gli occhi e
fissa il commissario. Una speranza si è accesa nel suo sguardo. - A meno che? Ricardo Balcázar sorride. Sì. È fatta. - Quattrocentomila
dollari. Mi sembra una cifra giusta. Lei erediterà la fortuna di suo marito.
Le consegnerò i documenti in mio possesso e tutto finirà così. Diana sembra recuperare in
fretta il suo sangue freddo. - Come posso sapere che
non subirò ulteriori ricatti? Non ha più cercato di
negare, non ha provato a contrattare. Ricardo si dice che ha chiesto una
cifra troppo bassa, ma non è il caso di farsi il sangue cattivo per questo.
Per lui è moltissimo. - Non ce ne saranno. Una
volta che avrà in suo possesso il verbale dell’interrogatorio di… qualcuno, il cui nome saprà solo alla consegna dei
documenti, e tutti gli altri materiali, saremo entrambi ricattabili. Io
potrei farla finire in galera per omicidio e lei potrebbe farci finire me per
aver occultato le prove e una testimonianza importante in cambio di denaro.
No, signora, finirà tutto con la consegna di una valigetta. Non è mio
interesse giocare al rilancio. Diana non è del tutto
convinta, ma non insiste. Probabilmente si consulterà con l’amante e vedranno
se pretendere altre garanzie. - Va bene. Ricardo è soddisfatto.
Osserva Diana. Davvero una splendida donna. Il desiderio affiora
improvviso, prepotente. Ricardo Balcázar si dice che non ha niente da perdere. Si
avvicina alla donna. - Adesso però, signora,
potrebbe darmi una prova della sua disponibilità a collaborare. Diana ha capito. Si alza.
Ha recuperato l’autocontrollo. - Non le sembra che
quattrocentomila dollari siano un segno sufficiente di disponibilità? - Non ho chiesto molto, lo
sa benissimo. Avrei potuto chiedere parecchio di più. La fortuna dei García è
immensa. Ricardo fa un passo
avanti, ma Diana mette un braccio alzato tra sé e il commissario, un chiaro
segnale di tenersi a distanza. - La transazione è
conclusa. Le farò telefonare quanto prima per i dettagli tecnici. Diana si volta e se ne va. Quando è uscita, Ricardo
sibila tra i denti: - Troia! Gliel’ha fatto venire duro
e se n’è andata. Che vada a farsi fottere. Si affaccia alla porta. - Cabral,
vieni qua. Luís Cabral entra.
Il commissario chiude la porta. - Mettiti sulla scrivania.
Ho voglia di fottere. Luís annuisce. Si cala i pantaloni e le
mutande, poi appoggia il petto sul ripiano della scrivania, tenendo le gambe
allargate. Ricardo Balcázar ringhia: - Quella stupida troia… Poi abbassa la lampo e
tira fuori il cazzo. Afferra le natiche di Luís e
le divarica. Sputa sul buco. Avvicina la cappella all’apertura e la spinge
dentro. Luís sussulta: Ricardo è stato un po’
troppo irruente, ma è nervoso. E poi questo finocchio di Cabral
se lo prende in culo volentieri. Ricardo affonda il cazzo
dentro il culo di Luís. È maledettamente piacevole
sentire la carne calda e soda che accoglie il suo cazzo. Gli piace sempre.
Certo, la fica della signora García sarebbe stata molto meglio, ma lei la dà
solo a chi ha un conto in banca di molti milioni di dollari. Quello di
Ricardo Balcázar fa ridere, ma tra non molto
diventerà più consistente. In compenso il cazzo del commissario ci sa fare e
quella troia l’avrebbe apprezzato. Non sa che cosa si è persa. Ricardo spinge con
decisione, avanti e indietro, finché il piacere deborda. Il seme si rovescia
nel culo dell’agente. Ricardo esce, si pulisce con un fazzoletto di carta che
butta nel cestino. Cabral è ancora steso sulla
scrivania, i pantaloni abbassati, il respiro un po' affannoso. Ricardo scuote
la testa e dice: - Adesso togliti dai
coglioni, Cabral. Cabral si alza, si tira su i pantaloni, si
rassetta ed esce. L’irritazione è passata.
Ricardo Balcázar è soddisfatto, ora. Tra non molto
avrà quattrocentomila dollari. Il verbale dell’interrogatorio di Montaña verrà distrutto, così come i materiali che la
guardia ha portato. A Luís penserà lui, gli dirà
che ha fatto controllare e che Montaña si è
inventato tutto, a parte la gravidanza della signora García. Quanto a Montaña, lo ammazzeranno, non c’è altra soluzione. Troppo
intelligente, troppo abile, disposto a rischiare la pelle per salvare il suo
padrone. Un bel piano però, hanno
pensato a tutto. Non potevano prevedere che una guardia troppo zelante si
sarebbe messa di mezzo. Un buon modo per sbarazzarsi di un fratellastro
odiato e di un marito detestato, prima che scoprisse che la moglie era
incinta di un altro. E dire che probabilmente Hernando
García non avrebbe nemmeno chiesto il divorzio. Era un coglione. Balcázar si rende conto che pensa a lui come se fosse già
morto. Lo sarà presto. E in ogni caso non l’avrebbe potuto salvare. Anche Montaña non può cavarsela, è un morto che cammina. Ma lui
se l’è proprio andata a cercare. * Hernando è rimasto steso. Nelle viscere sente
ancora lo sborro di Ángel. Quando era un uomo
libero, più volte aveva desiderato un rapporto con un altro uomo. Aveva
pensato a qualcuno che lo avrebbe baciato, accarezzato, abbracciato e che poi
lo avrebbe preso con dolcezza. Quello che è successo è tutto quanto avrà,
prima che lo ammazzino. Hernando si sente
sprofondare in una sofferenza senza fine. Pensa a Pablo Montaña. Ha pensato a lui, quando Ángel
lo ha preso. Avrebbe voluto che ci fosse Pablo al posto di Ángel. Ma l’immagine di Pablo è scomparsa presto. Pablo
lo avrebbe preso in un altro modo, Pablo lo avrebbe davvero baciato e
abbracciato e… Che cazzo sta pensando? Pablo Montaña gli è affezionato, di questo Hernando
è sicuro, ma probabilmente gli farebbe schifo la sola idea di avere un
rapporto con lui o con un altro uomo. E se invece… Assurdo,
è tutto assurdo. Assurdo e inutile. Ora c’è solo la morte. Ángel lo prenderà ancora? Può violentarlo
quando vuole, Hernando è nelle sue mani, gli altri
carcerieri di certo non lo difenderebbero. È stata davvero una
violenza? Hernando ha ceduto senza nemmeno cercare
di resistere. E il suo corpo si è arreso completamente. Hernando
non ha goduto, è stato doloroso, ma una parte di lui lo desiderava. Di certo
non è stato come l’aveva sognato. Ma i sogni sono solo sogni, quello che è
avvenuto è reale. Ángel lo prenderà ancora? Hernando
si rende conto, sgomento, che una parte di lui lo desidera: anche se il
rapporto non gli ha trasmesso piacere, Ángel ha
fatto ciò che Hernando ha sempre desiderato. È il
suo carceriere, domani potrebbe essere il suo assassino. Ma c’è forse qualcun
altro per Hernando García? * Pablo si è procurato gli
orari degli agenti del commissariato, per uno come lui non è difficile. Luís Cabral smonta alle sei.
Pablo ha individuato le telecamere di sorveglianza e ha scelto un posto da
cui non può essere ripreso. Luís ha lasciato l’auto
nella Carrera 54, Pablo era già qui in mattinata e ha controllato. Quando lo
vedrà arrivare, Pablo gli andrà incontro come se passasse di lì per caso. Pablo non ha avuto
difficoltà ad accorgersi del modo in cui lo guardava l’agente durante la sua
deposizione: sa riconoscere quando accende il desiderio negli occhi di un
uomo. Giocherà questa carta. Dopo aver scopato, gli uomini sono meno
diffidenti. Sono passati diversi
giorni da quando ha parlato con il commissario, ma non è successo niente.
Pablo sa benissimo che ad ogni ora che passa aumenta il rischio che Hernando García venga ucciso. Perché il commissario non
interviene? Luís esce con un quarto d’ora di ritardo.
Pablo svolta nella strada e fa in modo di arrivare all’auto di Cabral quando il proprietario è a pochi metri. Lo guarda,
come se la faccia gli fosse familiare, ma non lo riconoscesse, poi sorride e
dice: - Ma tu sei il poliziotto
che lavora con il commissario Balcázar. Cabral l’ha riconosciuto subito, questo era
evidente. Pablo gli tende la mano e, mentre Cabral
conferma, gli dice: - Come stai? Luís sorride: - Bene, grazie. E tu? Pablo si è messo proprio
davanti a Luís, in modo che lui non possa
proseguire, se non aggirandolo. Ma è evidente che Luís
non ha nessuna intenzione di andarsene. Dal suo sorriso si direbbe che
considera l’incontro un’occasione insperata, come Pablo si augurava. Luís Cabral è ben felice di
trovarsi davanti Pablo e non cerca di nasconderlo. Alla domanda di Luís, Pablo alza le spalle. - Abbastanza bene. Ho
perso il posto, ma ne cercherò un altro. Non sarà difficile. Anche se dopo
quest’ultimo lavoro non ho certo buone referenze. - Oh, mi spiace, ma certo,
adesso che il tuo padrone è in mano ai sequestratori… Pablo cambia discorso: non
vuole dare l’impressione di essere troppo interessato all’unico argomento che
davvero gli sta a cuore. - Hai smontato ora? Il
commissariato è qui vicino. - Si, ho finito proprio
adesso. - Che ne diresti di andare
a bere qualche cosa? Luís sorride. - Molto volentieri. Al bar non ci mettono
molto a capirsi. Pablo sa di andare sul sicuro e a Luís
non pare vero che questo magnifico maschio lo stia invitando. C’è un unico
problema da risolvere: Pablo non ha una casa, adesso che non ha più lavoro
sta nell’appartamentino che ha affittato per sua madre, ma non può certo
portarci Luís. Anche Luís
vive con i parenti, due fratelli e uno zio. - Che ne diresti di andare
in sauna? Ne conosco una in cui possiamo stare tranquilli. Luís annuisce. - Per me va benissimo. Pablo porta Luís al Babylon. Per parlare in
pace, al riparo da orecchi indiscreti, è il posto migliore e quello che
interessa a Pablo non è la scopata, ma la conversazione che seguirà. Luís osserva l’edificio: - Non sono mai stato qui. Pablo si dice che con il
suo stipendio da poliziotto è difficile che Luís
frequenti un posto del genere. Pablo guadagnava abbastanza da poterci venire
ogni tanto, ma non gli interessava molto. Negli spogliatoi si
tolgono gli abiti e si guardano. Luís non nasconde
la sua soddisfazione nel vedere Pablo spogliarsi. Quando la guardia si cala
le mutande, il sorriso di Luís si allarga. Non è
l’unico a osservare Pablo: anche gli altri uomini negli spogliatoi non gli
staccano gli occhi di dosso un attimo. Ma Pablo non ci bada. Osserva Luís, sorridendo. Anche Luís ha
un bel corpo, più snello e meno muscoloso di quello di Pablo. A Luís sta già diventando duro. A Pablo no, ha la mente
altrove, ma sa che al momento giusto il suo arnese non farà cilecca. Funziona
bene e dopo l’astinenza delle ultime settimane si darà da fare molto
volentieri, anche se il suo padrone ha altre preoccupazioni. Si mettono l’asciugamano intorno
ai fianchi. Poi Pablo si avvicina a Luís e lo
bacia. Spinge la lingua dentro la bocca dell’agente, che schiude le labbra.
Si staccano. Pablo mette una mano intorno alla vita di Luís
e lo guida verso le docce, perché Luís ha detto che
ha bisogno di lavarsi, dopo una giornata di lavoro. Anche Pablo si lava: non
ne avrebbe bisogno, ha fatto una doccia prima di uscire di casa, ma gli
sembrerebbe poco gentile nei confronti di Luís.
Anche mentre è sotto la doccia diversi degli uomini presenti lo fissano, ma
Pablo li ignora e scambia due parole solo con Luís.
Poi si asciugano a vicenda e raggiungono una delle camerette. Pablo chiude la
porta. Pablo intende dare il
meglio di sé. Sta servendosi di Luís Cabral, lo sa, e questo non gli piace. Ma lo fa per cercare
di salvare Hernando García e in ogni caso farà
tutto il possibile per dare piacere a Luís. Pablo bacia Luís, mentre lo abbraccia. La sua lingua si fa strada tra
i denti di Luís, che apre la bocca e l'accoglie. Le
mani di Pablo accarezzano il corpo di Luís,
scivolando dalla nuca al culo, fanno cadere a terra il telo, poi tornano in
alto in una carezza. Luís sembra disorientato, come
se non fosse abituato alla tenerezza di questo abbraccio. Forse è uno
abituato ad andare per le spicce, ma è evidente che il cambiamento non gli
dispiace. Luís si stacca. - Fatti guardare, Pablo, è
bello guardarti. Pablo sorride e si lascia
ammirare. Scherza: - Devo voltarmi? Vuoi
vedere anche il lato B? Luís annuisce. Anche lui sorride, ma negli
occhi Pablo gli legge un desiderio che brucia. Pablo si volta, allargando
leggermente le gambe. Luís si inginocchia dietro di
lui e gli mette le mani sul culo. Divarica le natiche e incomincia a passare
la lingua sul solco, più e più volte. Poi si ferma sul buco e spinge la
lingua in avanti. Si stacca e incomincia a mordicchiare il culo di Pablo. La
sensazione è piacevole e il cazzo di Pablo alza la testa. Luís
ritorna a leccare il solco, a spingere la lingua nell'apertura, mentre le sue
mani stringono il culo di Pablo, con forza. Luís va avanti per alcuni minuti. Poi si
sposta e passa davanti. Contempla il cazzo di Pablo, che gli posa una mano
sulla testa e lo accarezza. Luís alza lo sguardo e
lo fissa, adorante. Sembra che stia guardando un'apparizione della Madonna.
Pablo sorride e scuote la testa. Luís avvicina la
bocca al cazzo di Pablo. Mormora: - È meraviglioso. Poi inghiotte il boccone
(non tutto, non ce la farebbe: quello che gli sta in bocca), e prende a
succhiare con energia. Le labbra e la lingua di Luís
trasmettono vibrazioni di piacere a Pablo e il suo cazzo cresce ancora di
volume e acquista maggiore consistenza. Luís lo
lascia andare e lo guarda, ammaliato. Poi lo prende ancora in bocca e lo
lavora. Va avanti a lungo, tanto che
Pablo si chiede se non voglia farlo venire così. Le sensazioni provocate
dalla lingua e dalle labbra sono intensissime. - Sto per venire, Luís. Luís continua a succhiare e Pablo sente il
piacere esplodere. Non veniva da tempo, non ha più avuto rapporti dalla notte
prima della scomparsa di Hernando García. Il seme
riempie la bocca di Luís, che inghiotte, senza
lasciare la sua preda, poi pulisce con cura. Pablo gli accarezza la
testa. Luís ce l'ha duro. Pablo si china e solleva Luís. Lo bacia ancora, poi lo volta e lo stringe a sé.
Ora i loro corpi aderiscono. Pablo accarezza Luís,
le sue mani gli sfiorano il viso, scendono al petto, stringono con forza i
capezzoli e Luís geme di piacere. Poi le mani di
Pablo scivolano al ventre, stuzzicano con delicatezza il cazzo, stringono i
coglioni. Lasciano la preda e risalgono, di nuovo indugiano sui capezzoli,
poi scivolano sul collo e tornano al viso. Una indugia sui capelli, mentre
l'altra stuzzica la bocca. Luís mordicchia il dito
che si infila tra le sue labbra e Pablo ripete il gesto. Poi le sue mani
ridiscendono e questa volta, dopo aver indugiato lungo il percorso, si
spostano verso l'esterno e stringono con forza il culo. Luís
geme. Poi le mani tornano davanti e una sfiora appena il cazzo teso, l'altra
giocherella con i coglioni e nuovamente
risalgono entrambe. Luís geme di nuovo. Le mani
dalle guance scendono lungo le braccia, poi passano davanti e una giocherella
dietro lo scroto. Intanto il gioco ha fatto
rialzare la testa al cazzo di Pablo, che si sta di nuovo tendendo. Luís lo sente e preme il suo corpo contro quello della
guardia. Pablo lo stringe con forza, togliendogli il respiro. Luís mormora: - Prendimi, Pablo. Non ce
la faccio più. Pablo guida Luís a stendersi a pancia in giù sul ripiano. Guarda un
attimo il bel culo che gli si offre. Si sputa sulla mano e inumidisce
l'apertura facendo passare prima un dito, poi due. Ripete l'operazione due
volte. Luís geme senza ritegno. Pablo mordicchia il
culo di Luís, più volte, mentre le sue mani gli
accarezzano la schiena e poi scendono a stringergli con forza il culo. Infine
Pablo apre la bustina del preservativo, se lo infila e preme con la cappella
contro l'apertura, che cede. Pablo entra piano: non vuole fare male e sa
benissimo che, per quanto Luís sia abituato, il suo
arnese può fare davvero male. Ma il gemito di Luís
è di puro piacere. Pablo avanza lentamente, fino in fondo. - Pablo, Pablo! Pablo si ritrae,
lentamente, poi torna a conquistare la postazione abbandonata. Si muove con
lentezza, con un'esasperante lentezza, che pare moltiplicare il desiderio di Luís. Pablo si muove avanti e
indietro, affondando il suo spiedo nella carne di Luís
e poi ritraendosi. Due volte esce completamente, per poi immergersi con una
spinta più decisa. Luís sembra in delirio, ripete più volte il
nome di Pablo, lo incoraggia, grida parole sconce. Pablo prosegue nella sua
opera, instancabile, mentre le sue mani accarezzano e stringono il corpo di Luís. Pablo sente che il corpo
di Luís si tende, poi l'agente emette un grido
strozzato e una serie di gemiti violenti. Pablo accelera il ritmo e viene
anche lui, dentro il culo di Luís. Lo abbraccia, lo
bacia sulla nuca. Lo accarezza. Vorrebbe chiedergli com'è stato, ma non è
necessario: Luís ha goduto intensamente. E infatti, quando infine
Pablo esce da lui e gli si stende accanto, Luís
dice: - Cazzo, Pablo. Non ho mai
trovato nessuno come te. È stata la più bella scopata della mia vita. Cazzo!
Cazzo! A Pablo poco importa del
complimento. È contento che Luís sia stato
soddisfatto, è quello che voleva. - Grazie. Adesso rimaniamo
un po’ qui, se ti va. Scambiamo due chiacchiere. - Volentieri. Pablo chiede a Luís del suo lavoro. Parlano anche del commissario. Luís sorride e a un certo punto dice: - Non lo raccontare a nessuno,
altrimenti sono finito, ma qualche volta mi fotte. Pablo è stupito, non
l’avrebbe mai pensato. - Non credevo che gli
piacessero gli uomini. - Infatti non gli
piacciono. A lui piacciono le donne, io servo solo per svuotare i coglioni.
Lui se ne fotte di me, ma mi piace quando mi scopa: ha un bel cazzo ed è un
gran maschio. Certo non come te, Pablo. Ma come te non ne ho mai incontrati.
È stato splendido. Luís ha un sorriso beato. Pablo sorride e
alza le spalle. Poi butta lì, come se fosse un argomento qualunque. - Nessuna novità per
quanto riguarda il sequestro del mio ex-padrone? - No, niente. Il
commissario si è raccomandato che io non dicessi nulla a nessuno. Ha fatto
venire la signora tre giorni fa, ma non mi ha fatto assistere al colloquio,
non ha voluto nessuno per verbalizzare. Ieri gli ho chiesto e mi ha detto che
sta facendo i controlli, ma non è convinto. - Non è convinto? - Sì, lui dice che
probabilmente sono solo tue fantasie. Pablo non dice nulla. Se
il commissario ha parlato con la signora García, per poco che sappia il suo
mestiere, deve aver capito che è tutto vero. E allora perché negarlo? E
perché non fare assistere un agente per verbalizzare? Un interrogatorio senza
verbalizzazione? - Mie fantasie, eh? - Così dice lui. - Va bene, non ha
importanza. Può darsi che mi sia sbagliato. Chiacchierano ancora un
momento. Fuori dalla sauna si lasciano. Pablo dice: - Ti lascio il mio numero.
Fammi sapere se viene fuori qualche cosa di nuovo. Al commissario non dire
che ci siamo incontrati. - No, certo. Luís prende il numero. Pablo gli legge in
viso che è felice. Basta solo che non si innamori di lui. Ma non farà in
tempo, Pablo ha la sensazione che ormai manchi poco alla fine. * Ángel apre la camera del prigioniero. Ha
aspettato che Augusto se ne andasse. Deve avere una donna da qualche parte,
ormai tutti i giorni alla stessa ora se ne va. Tanto il prigioniero non dà
nessun problema. Francisco dorme, come al
solito. Non sa fare altro. Non è che ci sia molto altro da fare, qui. A meno
di non fare come Ángel. Ángel guarda Hernando
García. Gliel’ha messo in culo tre volte. Gli è piaciuto, un casino, anche se
è sempre stato troppo breve: la faccenda gli scoccia un po', ma Ángel non sa cosa farci. Anche a García è piaciuto,
questo è evidente. L’ultima volta ce l'aveva mezzo duro. García è un
finocchio, ma ha un bel corpo. E soprattutto un bel culo. Ángel si avvicina. García fa per girarsi e
stendersi, ma Ángel lo afferra per i capelli e gli
avvicina la faccia al proprio cazzo, ormai rigido. García lo fissa. Deve aver
capito benissimo che cosa vuole Ángel, che ora
sorride. - Fammi vedere che cosa
sai fare con la bocca. Sono sicuro che sei bravissimo. García sembra smarrito. - Muoviti, stronzo. Ti
piace. García scuote la testa, ma
gli guarda il cazzo e Ángel è sicuro che ha
l'acquolina in bocca. - Muoviti! Ángel ha usato un tono duro. Questo finocchio
gli fa solo perdere tempo. García non si decide. Ángel gli molla una sberla. García lo guarda, si
scuote, avvicina la testa, esita ancora un attimo, poi incomincia a passare
la lingua sul cazzo di Ángel, dai coglioni alla
cappella. - Succhia, stronzo,
succhia per bene. García ha di nuovo un
momento di esitazione. Ángel gli molla un'altra
sberla, ma non forte: è solo uno scappellotto. García prende in bocca il
cazzo di Ángel e incomincia a succhiare,
inizialmente titubante, poi con maggiore convinzione. Ángel
ride, soddisfatto. A García piace, questo è evidente. García è maldestro, non
è bravo a succhiare, però ci dà dentro. Ángel avverte la tensione che cresce. Sperava
che facendoselo succhiare sarebbe durato di più, ma anche questa volta viene
in fretta. - Adesso bevi, tutto. García cerca di sottrarsi,
ma Ángel gli mette una mano dietro la testa e lo
costringe a non mollare la preda. - E ora pulisci bene. García obbedisce, senza
più cercare di resistere. Quando ha pulito per bene, Ángel
toglie la mano e lascia che si ritragga. - Non l’avevi mai fatto,
vero? García scuote la testa. - Però ti è piaciuto. García lo guarda, senza
dire nulla. - E ti piace anche
prendertelo in culo. Ti piace un casino. Ti viene duro. Hernando García abbassa il capo: è in imbarazzo,
forse sperava che lui non se ne fosse accorto. Ángel sorride. Gli viene da dire: - Questione di gusti, ce
ne sono parecchi a cui piace. García lo guarda. Non ha
detto una parola. Ángel aggiunge: - Non l’avevo mai fatto
neanche io. Ángel si ferma. Si chiede che cazzo sta
facendo. Si sta confidando con Hernando García? - Stenditi, che ti inculo.
Così poi mi dici se è meglio prenderselo in bocca o in culo. García obbedisce. E che
altro potrebbe fare? E poi non gli spiace mica. Magari questa volta viene. Ángel guarda il culo del prigioniero. È un bel culo,
forte e sodo. Ángel è contento di essere stato il
primo a fotterlo. Ángel passa una mano sul corpo
che gli si offre. Stringe a piene mani il culo. Spinge un dito nell'apertura
che tra poco accoglierà il suo cazzo. Ride. Toglie il dito e ne mette un
secondo. Non ci vuole molto perché il cazzo gli ritorni duro. Allarga le natiche,
osserva il buco, ci sputa sopra, sparge un po' la saliva e poi infilza García
con una spinta decisa, che fa sussultare il prigioniero. Poi incomincia a
spingere con forza. È venuto da poco e questa volta ci vuole un momento di
più prima che Ángel senta di nuovo la tensione
diventare intollerabile e poi sciogliersi in una serie di spinte. Viene e si
toglie, ma si stende di fianco a García. Lo guarda. Gli piace, questo corpo steso
accanto al suo gli piace. García è un bel maschio. D’improvviso Ángel si rende conto che vorrebbe abbracciarlo. Vorrebbe
prenderlo tra le braccia. Dev'essere bello
stringere un bel corpo, ma con un maschio no, è roba da finocchi. Adesso ad Ángel un po’ spiace che García debba morire. Preferirebbe
che potesse essere liberato. Tanto non racconterebbe mai a nessuno di
esserselo preso in culo da lui e di averglielo pure succhiato. Ma García non racconterà
niente. García morirà presto. * La telefonata arriva poco
dopo le nove, in commissariato. Cabral dice al
commissario Balcázar che un uomo vuole parlargli,
per una faccenda che riguarda il rapimento di Hernando
García. Ricardo si fa passare la
telefonata nel suo ufficio. Una voce maschile gli dice: - Ti telefono da parte
della signora. Trovati alle 10.30 in carrera 134,
al 96. Ti consegno la valigetta. Hai tutti i documenti che devi dare? Balcázar aspettava la telefonata e ha tutto.
Conferma. - Sì, ho tutto. - Alle 10.30 precise. L’uomo riattacca. Balcázar arriva un po’ in anticipo. La carrera 134 è tra i campi e il retro di un grande
edificio, forse una fabbrica. Non ci sono finestre che diano sulla strada. Un
posto ideale: non c’è nessuno, neanche un’auto parcheggiata. E non c’è
neppure una casa da cui possano vedere ciò che succede. L’altra auto arriva alle
10.30 precise e parcheggia subito dietro l'auto di Balcázar.
L’uomo che scende ha una valigetta in mano. Balcázar
scende dalla sua auto e attende. L’uomo gli consegna la valigetta senza dire
nulla. Balcázar la posa sul sedile dell’auto e la
apre. I fasci di banconote da 100 dollari riempiono tutto lo spazio
disponibile. Ricardo non ha mai visto tanti soldi in un colpo solo. E sono
suoi. Il commissario sorride. - Va bene. Ricardo prende la busta che
aveva messo sotto il sedile. L’uomo la apre, dà una rapida occhiata e poi
chiede: - È tutto? - Sì, tutto. L’uomo infila la busta
nella tasca dell’impermeabile. Poi sorride. Fa un passo avanti e con un
movimento rapido attira a sé Ricardo con la sinistra. Ricardo sente la lama
che lo trapassa, mentre il suo assassino lo stringe a sé, in un abbraccio.
Emette un grido strozzato. L’uomo lo colpisce una seconda volta, sempre
tenendolo stretto. Ricardo rantola. Il terzo colpo è inutile, ma al suo
assassino piace uccidere, piace vedere la smorfia di dolore sul viso del
commissario Balcázar, lo sguardo che si vela.
L’uomo colpisce ancora tre volte, ma Balcázar non
sente più nulla. L’uomo prende la
valigetta, poi spinge il cadavere di Balcázar
nell’auto e richiude la portiera. Con la busta dei documenti e la valigetta
risale sulla sua auto, mette in moto e si allontana. Tre quarti d’ora dopo
l’uomo consegna la valigetta con il denaro e il fascicolo con i documenti a
Diego García. Diego guarda i documenti. Trova il nome che cercava: Pablo Montaña. È lui che va eliminato. * Il telefono squilla verso
l’una. Pablo guarda il nome: Luís Cabral, l’agente che lavora con Balcázar.
Avrà qualche notizia o vuole soltanto proporre una scopata? Pablo risponde
subito. - Ciao Luís.
Contento di sentirti. - Pablo... La voce è alterata, Luís sembra sconvolto. - Che succede? - Hanno ammazzato il
commissario. Lo hanno massacrato a coltellate. - Cosa? - Due ore fa. È uscito dal
commissariato questa mattina dopo le nove, senza dare spiegazioni. Lo hanno
ritrovato cadavere - Merda! - Ho pensato al caso
García. Pablo, il verbale del tuo interrogatorio è scomparso, come pure le
foto che hai portato. Pablo arriva in fretta
alla conclusione. - Luís,
sei in pericolo di vita. Ti uccideranno. - Cosa dici, Pablo? - Hai assistito
all’interrogatorio. Il tuo nome su quel verbale è una condanna a morte.
Scompari dalla circolazione per qualche giorno. - Ma come…
io… - Sei in grado di
raggiungermi controllando che nessuno ti segua? - Certo. - Esci subito dal
commissariato, se sei lì. Fai perdere le tue tracce, altrimenti prenderanno
due piccioni con una fava. Cambia taxi, entra in qualche grande magazzino da
una porta ed esci sull’altra via. Nasconditi in un posto dove nessuno possa
trovarti. Non dai tuoi, non in un posto dove qualcuno sa che vai
abitualmente. Ci vediamo in calle 129, al 66. C’è una gelateria. Aspettami lì
alle sei. Pablo ha capito tutto. Balcázar ha avuto quello che si meritava, ma ora Hernando García verrà ammazzato. E Luís
pure, perché è l’unico ad aver assistito a quel colloquio. Anche Pablo Montaña verrà ammazzato, di questo Pablo è assolutamente
certo, ma è un’eventualità che aveva messo in conto fin dall’inizio. Ora è
una certezza, ma non sarebbe un problema, se solo riuscisse a salvare Hernando García. A questo punto deve muoversi in fretta,
molto in fretta. E non commettere altri errori. Parlare con Balcázar è stato un errore colossale, ma come avrebbe
potuto sospettarlo? Pablo non ci mette molto a
trovare il contatto che gli serve. Pablo ha scelto con cura
il luogo dell’appuntamento con Luís. Pablo non è andato alla
gelateria dove deve incontrarsi con l’agente, ma si è messo dalla parte
opposta della strada, all’interno di un locale da cui può controllare la via.
Il proprietario lo conosce bene, Pablo gli ha dato una mano in passato, e
quando Pablo gli dice che ha bisogno di rimanere lì per un po’ di tempo, non
fa domande. Pablo vede arrivare Luís, che si siede fuori dalla gelateria. Pablo rimane
dov’è e osserva il passaggio di auto e persone. Nessuno sembra aver seguito Luís. Pablo non si muove. Luís
sta diventando impaziente. Estrae il cellulare e compone un numero, di certo
quello di Pablo. Pablo l’ha messo in modalità silenziosa, per cui avverte
solo la vibrazione. Non risponde. Rimane a osservare. Luís è preoccupato, ora. Riprova ancora due
volte. Poi si alza e si allontana. Solo allora Pablo esce dal locale, prende
l’auto che ha parcheggiato lì davanti e affianca Luís,
che sussulta. Prima che Luís possa dire qualche cosa, Pablo intima: - Sali, in fretta. Pablo riparte mentre Luís sta ancora chiudendo la portiera. Luís fa per chiedere spiegazioni, ma Pablo gli dice di
stare zitto. Si concentra nella guida, controllando sempre nello specchietto
retrovisore. Fa alcune svolte improvvise e un’inversione di marcia
spericolata. Quando infine è sicuro che nessuno lo stia seguendo, si dirige
verso Nord. - Scusa, Luís. Ero dall’altra parte della strada, dietro la
vetrina di un negozio. Volevo essere assolutamente certo che nessuno ti
avesse seguito. Ti porto al sicuro, in una base dell’esercito, dove rimarrai
per qualche giorno, finché questa storia non sarà conclusa. Ho preso contatti
con il colonnello Pardo. Luís è rimasto senza parole. Poi dice: - Tu sai…
chi… perché hanno ammazzato Balcázar…
è per il rapimento di García, vero? - Sì. Balcázar
ha deciso di vendere il verbale della mia deposizione e le fotografie a
qualcuno che era disposto a pagare molto. Non ha pensato che in cambio
avrebbe ricevuto un buon numero di coltellate. Tu hai verbalizzato
l’interrogatorio, quindi sei il prossimo. - Tu che hai deposto sei
il prossimo. - Diciamo che siamo tutti
e due sulla lista. Ma tu rimarrai in sicurezza. - E tu? Pablo guarda fisso davanti
a sé mentre risponde: - Io giocherò l’ultima carta,
Luís. - Ti fermerai anche tu
alla base? - No, Luís. * Hernando rimane disteso, come sempre, finché Ángel se ne va e chiude la porta dietro di sé. Hernando vorrebbe parlargli, anche se non sa neanche lui
di che cosa. Vorrebbe chiedergli se lo ucciderà, ma non ha senso. Sono due
volte che Ángel se lo fa succhiare e poi lo prende.
A Hernando non spiace, quando Ángel
lo incula, gli viene duro, ma non è mai venuto. Non gli spiace neanche
succhiarglielo. Hernando si vergogna, si sente
sporco. Ángel lo prende e ogni volta il piacere è più
forte. Oggi è stato sul punto di venire. Gode mentre un uomo che lo disprezza
lo prende. E il pensiero torna a Pablo Montaña.
Come sarebbe stato fare l'amore con lui? Come sarebbe stato se fosse stato
lui a prenderlo? Il pensiero di Pablo è un'ossessione. La notte lo sogna e
una volta è venuto mentre sognava che Pablo lo stava prendendo. Pablo entrava
nella cella e gli diceva che era venuto a liberarlo, ma che prima lo avrebbe
preso. Pablo si spogliava e in sogno Hernando si
chiedeva se davvero lo avrebbe visto nudo. E quando Pablo aveva finito di
spogliarsi e si era avvicinato a lui per prenderlo, Hernando
era venuto. Un sogno. Solo un sogno.
Pablo nei sogni, Ángel ogni giorno nella cella, è
tutto quanto gli è rimasto. Per quanto tempo ancora? Per poco. Hernando l'ha capito, dall'atteggiamento dei suoi
carcerieri. Ormai è alla fine. * Pablo guarda il soffitto.
Sa che la sua vita si sta avvicinando alla fine. Lo uccideranno presto. Non
ha importanza, non ha nessuna importanza, purché riesca a salvare Hernando García. Ma quante possibilità ci sono di
riuscirci? Pochissime. Pablo sa che preferirebbe
morire con lui che vivere sapendolo morto. In questo momento morire con lui è
ciò di più vicino alla felicità che possa immaginare, dopo il salvarlo. E
questa semplice constatazione gli dà la misura esatta del grado di follia a
cui è giunto. Ora se lo può dire. Lo sapeva, ma non aveva mai formulato il
pensiero: si è innamorato di Hernando García, del
suo capo, di un uomo che è ad anni-luce da lui. È ora di andare. Sarà
questa sera, probabilmente. Di certo non vogliono perdere tempo. Lo
uccideranno subito? Se è così, la sua morte sarà inutile, ma almeno non vedrà
il giorno in cui troveranno il corpo di Hernando
García. Se invece decideranno di sequestrarlo, può giocare le sue carte. Non
sono molte, ma una partita si gioca con le carte che si hanno in mano, non
c’è scelta, anche se sono solo scarti. Pablo Montaña
si veste. Sua madre è sulla porta. - Esci, figlio? L’angoscia che vibra nella
voce di sua madre lo fa soffrire. - Sì, faccio un giro,
magari mi fermo a dormire fuori. Non ti preoccupare se tardo. Può darsi che
stia via qualche giorno. Sua madre lo guarda senza
dire niente. Avverte il pericolo. Ha gli occhi che luccicano. Pablo si sente
in colpa. Perché sua madre deve soffrire ancora? Ha già perso un figlio, per
colpa sua. E adesso ne perderà un altro. Le rimarrà solo Rosa. E i nipotini.
Per fortuna ci sono i tre nipoti. Pablo spera che almeno
facciano sparire il suo cadavere. Sua madre potrà cercare di illudersi che
lui è ancora vivo. Pablo chiude la porta e
scende le scale. Non prende l’ascensore: per le scale può controllare se c’è qualcuno.
È notte, c’è pochissimo
traffico. Esce e si avvia. Si
direbbe che non si sia neppure guardato intorno, ma nell’uscire dal portone
Pablo ha controllato la situazione con una rapida occhiata. Una macchina che
era ferma si è messa in moto e si sta avvicinando. La raffica o il rapimento?
La morte ora o dopo? Pablo prosegue per la sua
strada come se non badasse minimamente a ciò che accade intorno a lui. La
macchina si ferma un isolato più avanti. Ottimo. Se fosse la sventagliata di
mitra, l’avrebbero fatto mentre passavano accanto a lui. Un uomo scende dall’auto e
tira fuori una sigaretta. Pablo si avvicina con il suo passo tranquillo. Il
cuore corre più in fretta. - Amico, hai mica da
accendere? Pablo finge di non
accorgersi di nulla, né dell'uomo che si è avvicinato alle sue spalle, né
della tensione di quello che tiene in mano una sigaretta. La pressione della canna
contro la schiena è una conferma di cui Pablo non aveva bisogno. - Sali o sei un uomo
morto. Pablo sa di essere un uomo
morto, che salga o no. Ma intende giocare la sua unica carta, anche se vale
pochissimo. In auto gli mettono un
cappuccio e lo costringono a stare a testa bassa. L'auto entra in un garage.
Lo fanno scendere. I primi colpi servono solo per ammorbidirlo un po', Pablo
lo sa. Sa incassare bene, ma finisce a terra come se non fosse più in grado di stare in piedi. Sono in quattro, tutti a
capo scoperto: inutile nascondersi, Pablo non andrà a raccontare a nessuno
che li ha visti. Uno sta armeggiando con il cellulare di Pablo. - Credo che tu sappia
perché ti abbiamo preso. Pablo non mente, non
servirebbe a nulla. Il piano che ha in testa non prevede nessuna resistenza.
Fingendo di fare fatica a rialzarsi, si mette in piedi. - Siete quelli che hanno
ammazzato il mio padrone, vero? - E tu sei un maledetto
ficcanaso. Un violento pugno allo
stomaco mozza il fiato a Pablo, che si piega in due con una smorfia di dolore
in faccia. Del colpo non gli importa, di quelli che seguiranno neanche. Il
pensiero che angoscia Pablo è che l’uomo non ha smentito la sua frase. Questo
non significa molto, è vero. Ma se Hernando García
è davvero morto, nulla ha più senso. Adesso parla un altro
degli uomini: - Tu hai fatto un po’ di
foto che non dovevi fare. Le hai fatte con questo fottuto telefono. O con un
altro. Dove sono le foto, dov’è la scheda di memoria di questo telefono? Pablo ha un sorriso
sprezzante e non risponde. Un nuovo pugno allo
stomaco, una ginocchiata ai coglioni, un colpo in faccia, poi altri. Pablo si
lascia di nuovo cadere a terra, un ronzio nelle orecchie, intontito. Un
calcio in faccia gli fa colare il sangue dal naso. - Questo è solo un
antipasto. Se non ci dici dov’è la memoria del telefono, ti ammazziamo, ma
prima maledirai quella puttana di tua madre per averti messo al mondo. Pablo chiude gli occhi, li
riapre. Pablo sa incassare i colpi. Il dolore è forte, ma è perfettamente
lucido. Finge di parlare a fatica. - Avete ammazzato Hernando García… potete ammazzare… anche me. L’ha detto per la seconda
volta. È un amo lanciato nella speranza che abbocchino, la sua unica
possibilità. Se questi bastardi gli confermeranno di aver ucciso Hernando García, Pablo può solo desiderare di morire. - Il tuo capo è ancora
vivo. - Non ci credo. - E a noi che ce ne fotte,
stronzo? - Se mi fate vedere… che Hernando García è
ancora vivo…, vi dico…
dov’è la memoria… del telefono. Altrimenti…
potete ammazzarmi… come volete e tra due giorni… quella memoria salterà fuori. Gli uomini si guardano,
incerti. Non possono correre il rischio che quella memoria finisca nelle mani
della polizia. Quello che sembra il capo,
colpisce di nuovo Pablo con un calcio in faccia, un altro lo prende alle
costole. Pablo sente la fitta, che gli toglie il fiato. - Tu parli o ti facciamo
parlare noi. Il sangue gli cola dal
labbro e dal naso e respirare gli procura delle fitte. Di nuovo finge di non
riuscire a parlare. - Se l’avete ammazzato… fatemi… quello che volete… non vi dirò niente… - Sei cocciuto come un
mulo, stronzo! Ma sappiamo come far cambiare idea anche ai più testardi. È un calcio allo stomaco,
ora, e poi un altro ai coglioni. Il mondo ondeggia paurosamente. A Pablo
viene da vomitare. - Se mi portate… da lui, se… vedo che… che è… ancora vivo Pablo si interrompe,
sembra non riuscire a parlare. Dice ancora: - Vi dico…
dov’è… la memoria… come
averla. Ma voglio… vederlo con i miei occhi… che è ancora vivo. Gli uomini si guardano. Il
capo si allontana. Uno degli altri molla ancora un calcio allo stomaco. Pablo
incassa. A tratti gli sembra di svenire. Il capo ritorna dopo qualche
minuto. - Ascolta, figlio di
puttana, noi ti portiamo dal tuo capo, ma tu ci racconti dov’è quella fottuta
memoria, se no gli tagliamo i coglioni davanti a te. Chiaro? Pablo annuisce. - Sì, ve…
lo giuro. Gli infilano un cappuccio
in testa e lo fanno entrare nel bagagliaio di un’auto. Ora sono in strada.
Malgrado il dolore dei colpi, Pablo si sente bene. C’è una speranza, ora. Se
davvero lo portano da Hernando García, racconterà
dove ha nascosto la memoria e come possono recuperarla. Prima di ucciderlo,
andranno a controllare e questo richiederà un po’ di tempo. I rischi sono altissimi,
ma forse per Hernando García c’è una speranza. Per
Pablo Montaña no, ma non ha importanza. Pablo Montaña è un povero coglione e può morire. * Due dei carcerieri sono andati
via. Hernando li ha sentiti parlare fuori dalla
casa. Raccomandavano ad Ángel di non aprire la
porta della sua cella per nessun motivo. Hernando è
sicuro che Ángel verrà da lui ancora una volta, per
scopare. Gli altri non sono in casa. Potrebbe cercare di fuggire. È la sua
unica possibilità. Difficile che riesca a sorprendere Ángel,
anche se il ragazzo di certo non si aspetta una sua reazione, ma se non fa
niente, va incontro a morte certa. Che cosa può fare? Ci ha
pensato più volte in questi giorni, cercando di capire. Non è abituato a
lottare, se cercasse di aggredire Ángel avrebbe la
peggio. Ángel entra senza armi, è forte. Hernando può giocare solo sulla sorpresa. La sedia che
usava si è rotta, adesso c'è uno sgabello. Potrebbe cercare di colpire Ángel con quello. Un colpo in testa, vibrato con forza.
Dovrebbe trovare il momento giusto, magari quando Ángel
si stende accanto a lui, come fa alcune volte. O quando si volta per uscire.
Dovrebbe colpire senza esitare. Ce la farebbe? L'idea di colpire, forse di
uccidere, lo sgomenta. E dovrebbe essere sicuro di mettere Ángel fuori combattimento per un po', non solo intontirlo
per cinque minuti. Deve avere il tempo di fuggire, di allontanarsi dalla
casa. Ángel non arriva. Hernando
si dice che forse oggi non verrà da lui. Solo un'ora dopo Hernando sente la porta aprirsi e Ángel
appare sulla soglia. Lo guarda e gli dice: - Oggi me lo succhi, poi
te lo metto in culo. Hernando si mette in ginocchio. In quel momento
si sente il rumore di un’auto che arriva e si ferma davanti alla porta. - Merda! Ángel si rassetta in fretta. Hernando ha perso l’occasione. Ma forse non c’è
mai stata un’occasione. Ángel esce e richiude la porta. Sono arrivate
diverse persone. Hernando le sente parlare. Non
sono solo i suoi tre carcerieri. Hernando si dice che è arrivata la fine. Ora lo
uccideranno. Ne è sicuro. La porta viene aperta. Hernando si alza di scatto. Due uomini ne sostengono un
altro, che pare non essere in grado di reggersi in piedi. L’uomo ha il viso
coperto di sangue, ma Hernando lo riconosce subito:
è Pablo Montaña, che lo fissa e sembra sorridere. I
carcerieri richiudono la porta. Hernando rimane in piedi a guardare la porta
chiusa, incapace di credere a ciò che visto. Pablo Montaña
è stato catturato. Uccideranno anche lui. Hernando
crolla in ginocchio. Ha voglia di piangere. * Ángel osserva l'uomo, che viene ancora
malmenato, anche se adesso è disposto a raccontare ciò che sa. Non sono state
le botte a fargli cambiare idea, voleva vedere con i suoi occhi che il suo padrone
era ancora vivo. Ma tra poco saranno morti tutti e due, il padrone e la
guardia. Il tipo fa fatica a
parlare. Due volte perde i sensi e devono farlo rinvenire versandogli
dell’acqua in testa. Devono averlo riempito di botte. Ma lui non ha detto niente
finché non ha visto il suo padrone. Questo tizio ha i coglioni. La guardia racconta che ha
nascosto la memoria nella cassetta dello spogliatoio di una palestra. Dice
dov’è la chiave del lucchetto e qual è il numero dell'armadietto. Aggiunge
che devono ritirare la chiave e i materiali entro 48 ore dalla sua scomparsa,
altrimenti un amico aprirà una busta che lui ha lasciato e andrà a prendere
il tutto per portarlo alla polizia. La guardia si becca ancora
qualche calcio. Non lo ammazzano subito perché vogliono controllare se ha
detto la verità. L’uomo sviene di nuovo. Sembra più morto che vivo. - Noi andiamo.
Controlliamo che questo figlio di puttana non abbia raccontato storie. Poi vi
daremo l’ordine e li farete fuori tutti e due. Ángel sa benissimo che non saranno questi
uomini che sono arrivati con la guardia a cercare i documenti. Però
preferiscono non rimanere nella casa dove si trova il prigioniero.
Probabilmente hanno avuto l’ordine di andarsene appena avute le informazioni
di cui avevano bisogno. Hanno voluto che Francisco e Augusto andassero a
prendere il nuovo prigioniero, perché nessun altro sapesse dov’è la casa. C’è stata qualche
complicazione, anche se Ángel non ha capito di che
cosa si tratta La guardia sembra incosciente,
ma mentre Ángel e Augusto lo trasportano nella
camera del prigioniero, Francisco lo tiene sotto tiro senza abbassare mai la
rivoltella. Non si sa mai, quello è uno tosto. * La porta si apre. Due dei
carcerieri stanno portando Pablo. Sembra svenuto. Lo posano sul pagliericcio.
Hernando guarda il viso coperto di sangue e gli
sfugge un grido: - Pablo! Pablo muove un po’ il
capo, apre un attimo gli occhi, ma li richiude subito. I carcerieri escono,
chiudendo dietro di sé la porta. Hernando si china
su Pablo. Pablo socchiude gli occhi
e volta il viso di lato, ma, dopo aver controllato che non ci sia nessuno,
guarda Hernando e gli sorride. Hernando ha l’impressione che gli manchi il
respiro. Pablo parla pianissimo. - Sono contento di
vederla, signor García. - Pablo… Pablo lo interrompe
subito. - Parli sottovoce. Hernando tace e annuisce. Pablo dice: - Verranno a liberarla,
tra poco. Ho fatto in modo che mi portassero qui perché ho un trasmettitore.
Adesso sanno dove lei è tenuto prigioniero. Cercheranno di liberarla. È molto
pericoloso, ma è necessario: quelli contano di ucciderla. Quella della liberazione è
la più bella notizia che Hernando potesse sperare
di sentire, anche se è conscio dei rischi: non sarebbe la prima volta che un
prigioniero viene ucciso quando l’esercito o la polizia cerca di liberarlo. A
colpire possono essere i carcerieri oppure i liberatori, per errore. Ma in
questo momento a Hernando preme sapere quali sono
le condizioni di Pablo. - Pablo, che cosa ti hanno
fatto? Sei ferito? - Niente, mi hanno solo
menato un po’. Sto abbastanza bene, ma ho finto di essere incosciente perché
non badino a me quando sarà il momento. Si stenda di fianco a me. Hernando obbedisce. Con un gesto istintivo cerca
la mano di Pablo e la stringe. È felice che lui sia qui e nello stesso tempo
angosciato dal sapere che anche lui rischia la vita. - Come hai fatto, Pablo? Come… - È una storia lunga,
signor García. Ma preferisco che gliela racconti qualcun altro. Hernando non capisce. - Perché, Pablo? Il rumore dell’elicottero
li fa guardare in alto tutti e due, anche se non possono certo vederlo
attraverso il tetto. - Sono i soldati, signor
García. Tra poco saranno qui. * L’elicottero passa di
nuovo sopra la casa. È la seconda volta. Augusto si alza di scatto.
Sono tutti e tre nervosi, ma fino a ora si sono limitati ad ascoltare.
Potrebbe essere una normale operazione di controllo. - Merda! Siamo fottuti. Ci
hanno scoperti. Francisco continua a
fumare la sua sigaretta. - Non cagarti addosso,
Augusto. Non è detto che sia così. - Hanno capito che lui è
qui. Lo hanno scoperto in qualche modo. Devono aver seguito quelli che hanno
portato l’altro prigioniero. - Può darsi. Se è così, è
finita. Ángel pensa che è giunto il momento di
eliminare Hernando García. I capi hanno ordinato
così. E poi Ángel non vuole che Hernando
García possa andare in giro a raccontare. Probabilmente non racconterebbe
niente. Che cosa racconterebbe, di esserselo preso in culo? Sarebbe un
coglione. Ma Ángel non vuole che possa dirlo a
qualcuno. Ángel non è più in soggezione davanti ad
Augusto e Francisco. Si sente un loro pari. Dice quanto va detto: - Allora bisogna
eliminarlo. - Lo faremo all’ultimo
minuto, quando siamo sicuri che sono davvero gli sbirri. Ángel dice, con voce sicura. - Lo faccio io. Francisco lo guarda e
sorride. - Come vuoi. Adesso c’è silenzio.
Francisco guarda attraverso le ante accostate. Giurerebbe che qualcuno si sta
muovendo là fuori. Fa un cenno agli altri e prende la pistola. Augusto guarda
Francisco. Augusto sembra smarrito. Ángel lo guarda
con disprezzo. Questo coglione non sa morire? Ángel afferra la pistola e si dirige alla
stanza del prigioniero. Apre la porta. Hernando è
steso sul pagliericcio, di fianco all’altro uomo, che non ha ancora ripreso
conoscenza. Bisognerà ammazzare anche lui. Hernando guarda Ángel.
Si fissano negli occhi. Ángel si chiede che senso
ha uccidere quest’uomo. Il rumore della porta
sfondata arriva in quel momento. Sono entrati in casa, non c’è tempo da
perdere. Ángel alza la pistola. Farà la sua parte, fino
in fondo. Lo ammazzeranno, ma Hernando García deve
morire. Una raffica di mitra gli
dice che Augusto e Francisco devono essere morti. Tra poco toccherà a lui. Ángel punta la pistola. Di colpo si trova addosso l’altro
prigioniero, che si è alzato di scatto e si è messo in mezzo. La pistola gli
gira nelle mani, Ángel fa appena in tempo a capire
che l’uomo l’ha afferrata e gliela sta togliendo. L’uomo spara, mentre si
getta di schiena sul pagliericcio. Ángel sente il
dolore violento al petto e le forze che gli mancano. Cade a terra. * Pablo sa come disarmare un
uomo. Il ragazzo non era certo esperto, ma era venuto per uccidere Hernando García. In un’altra situazione, Pablo si sarebbe
limitato a disarmarlo, ma ci sono anche gli altri banditi. Non può correre
rischi. In quel momento entra un
altro dei rapitori. Ha la pistola in mano. Non vede subito Pablo, che è sul
pagliericcio. Guarda invece verso Hernando e preme
il grilletto, contemporaneamente a Pablo, che è saltato davanti a Hernando per proteggerlo. L’uomo crolla a terra, un foro
in fronte. Pablo sente il violento dolore al petto. García grida: - Pablo! No! Due soldati fanno
irruzione, le armi spianate. Pablo si accascia tra le
braccia di Hernando García, che lo sostiene. Sapeva
che c’era il rischio che uccidessero Hernando per
evitare che venisse liberato. Sicuramente quelli erano gli ordini. Ha finto
di essere incosciente perché non badassero tanto a lui e per poter
intervenire. È riuscito a fare quello che voleva. Nonostante il dolore violento
al petto, Pablo è felice. Ha salvato Hernando
García e ora muore tra le sue braccia. Non potrebbe chiedere niente di più. - Pablo, Dio mio, Pablo! Pablo solleva il capo e
guarda Hernando García. Gli legge in viso il dolore
e vorrebbe che non soffrisse. Pablo si sforza di
sorridere. - Ce l’ho fatta. Ci sono… riuscito. Non doveva… morire… Hernando scuote la testa. - Pablo! - Mi tenga così. È bello… Non si angosci… Va bene
così. La mia vita… non conta…
Mi tenga… così… È davvero bello, questo
abbraccio. A Pablo sembra la cosa più bella che ha avuto nella sua vita. Non
può desiderare di più. Può morire sereno. Gli sembra di aver pagato il conto
che la morte di Xavier aveva aperto. Ha salvato
quest’uomo che non meritava di morire. Ha dato la propria vita per quella di Hernando García. Lo prendono, uno dei
soldati parla dell'elicottero che è pronto per il trasporto, c'è anche un
medico, non hanno lasciato nulla al caso, il prigioniero era Hernando García, non uno qualunque. L'elicottero servirà
per Pablo. Ma il mondo sta svanendo. Pablo si rende conto che lo stanno
caricando sull'elicottero. García sale anche lui. Stringe ancora la sua mano
mentre Pablo sprofonda nel nulla. * Il funerale è nella
cattedrale di Santa Fé. C’è una grande folla.
Parenti, amici, conoscenti, tutta la Bogotà che conta. Anche tanti curiosi,
che si assiepano fuori dalla chiesa. Hernando
García è in prima fila, suo fratello Andrés è di
fianco a lui. Ma gli sguardi dei curiosi sono concentrati su Hernando, tutti vogliono vedere le sue condizioni, dopo
due mesi di prigionia. Ma soprattutto desiderano vedere come si comporterà,
sperano di leggere sul suo viso qualche traccia di ciò che deve provare. Il
rapimento di Hernando García è stato per due mesi
al centro dell’attenzione e negli ultimi giorni ha avuto sviluppi
sensazionali: l’assassinio del commissario Balcázar,
la scomparsa della guardia del corpo, la liberazione di García, l’arresto di
Diana Villamizar García e infine questa morte
inattesa. A Bogotà non si parla d’altro. Hernando è consapevole di essere al centro
dell’attenzione, ma non gli importa. La sua mente è altrove. Mille pensieri
corrono nella sua testa mentre fissa la bara che troneggia a pochi metri da
lui. Quel giorno sul bordo della piscina, in cui per la prima volta ha
parlato con Pablo, suo padre sul letto di morte che gli affidava Andrés, l’ultimo scontro con Diego, poco prima del
rapimento, Pablo che si mette tra lui e l’assassino, lo sparo, Pablo ferito
tra le sue braccia. Il momento in cui, sull'elicottero, mentre lui gli
stringeva la mano, l'ha sentita inerte. Per un attimo Hernando
chiude gli occhi. Li riapre subito: non vuole darsi in pasto alla curiosità
degli altri. Hernando sa che la sua vita è cambiata
totalmente. Nulla sarà più come prima. Nulla deve più essere come prima. Dopo la cerimonia in
chiesa, c’è il cimitero. Quando infine la bara viene messa nella tomba di
famiglia, c’è la fila di persone che porgono le condoglianze. A quasi nessuno
importa qualche cosa di lui, Hernando lo sa
benissimo. Molti sono spinti solo dalla curiosità, dal desiderio di leggergli
in faccia che cosa prova in questo momento. Ci vuole molto tempo
perché Hernando possa liberarsi da tutti, un tempo
infinito. Ma Hernando non tradisce le sue emozioni,
mostra a tutti la stessa faccia impassibile, provata da due mesi di prigionia
e da tutto ciò che è successo dal momento della liberazione in poi. È un
altro Hernando quello che stringe la mano e accetta
le condoglianze. Un Hernando più forte, malgrado
l’accumulo di tensione, sofferenza e stanchezza che pesa su di lui in questo
momento. Un Hernando libero, che non rinuncerà a
essere se stesso. Quando infine tutti si
sono allontanati, Hernando fa un cenno a una delle
sue guardie, che telefona all'autista. Quando arrivano all’ingresso del
cimitero, la sua auto e quella del fratello sono già lì ad aspettarli. C’è
ancora qualche saluto, molti curiosi lo guardano, qualche fotografo scatta le
foto. Quante foto gli hanno fatto oggi? Ma questa sera e domani, alla
televisione e sui giornali, si parlerà di nuovo di lui, di Hernando García. A Hernando
non importa. Hernando abbraccia Andrés,
poi si stacca. - Ci vediamo a casa questa
sera, Andrés. Adesso Andrés
dorme a casa di Hernando, una cosa che Diana non
sopportava neanche per una notte. Hernando conta
che Andrés si trasferisca da lui. Sa che per Andrés è la soluzione migliore. E adesso che non c’è più
Diego, Andrés riuscirà a ritrovare la serenità, di
questo Hernando è sicuro. Il fratello annuisce, poi
lo abbraccia di nuovo in uno slancio di affetto. - Grazie a Dio sei
tornato, Hernando. - Grazie a Dio e a Pablo Montaña. Non dimenticarlo mai. Andrés annuisce. Salgono ognuno sulla sua
auto. Hernando dice all’autista: - Alla Clínica
de la Merced. L’auto si avvia. La Clínica
del la Merced è la migliore della Colombia, una
delle migliori dell’America latina. Ma Hernando
García può permettersi le migliori cliniche del continente. Hernando sale, salutato cordialmente
dall’impiegata al banco. Non gli chiede chi è, dove va, come farebbe a un
visitatore qualunque. Non ne ha bisogno. Uscendo dall’ascensore Hernando incontra il colonnello Pardo, il responsabile
delle operazioni anti-sequestro, l’uomo che ha organizzato la sua
liberazione. - Buongiorno, signor
García. Visto che la incontro, ne approfitto per farle le mie condoglianze,
anche se, in questa situazione, forse è stato meglio così. Suicidandosi, suo
fratello è sfuggito al processo e a una condanna inevitabile. Hernando è un po’ stupito dalla franchezza
dell’uomo: anche se molti hanno certo pensato che il suicidio di Diego ha
evitato a Hernando nuove sofferenze e nuovi
problemi, nessuno si è permesso di dirlo a lui. Ma quest’uomo che lo ha
liberato non ha peli sulla lingua. E in cuor suo Hernando
sa benissimo che la morte di Diego è una liberazione per lui e soprattutto
per Andrés. - Grazie, colonnello. È
stato a trovare Pablo? Non è una vera domanda. È
ovvio che il colonnello proviene dalla camera di Montaña.
Pardo sorride. - Un uomo eccezionale.
Grande intelligenza e grandissimo coraggio. Sapeva benissimo che rischiava di
morire, ma era disposto a tutto per salvarla. Hernando annuisce. Al pensiero di quanto è
accaduto al momento della liberazione, ha un groppo in gola. Per fortuna la
pallottola non ha provocato danni irreparabili. Pochi centimetri più in là e
Pablo sarebbe morto dissanguato prima di arrivare in ospedale, ma è stato
fortunato. Guarirà perfettamente. Pablo è il punto fermo
della sua vita, l’unica certezza, ma vale tutto quanto ha perso. O piuttosto,
tutto ciò che si è illuso di avere, ma che non è mai stato davvero suo. Hernando saluta il colonnello ed entra nella
camera. È una camera di lusso, con un secondo letto per parenti e ospiti. In
queste notti ci dorme la madre di Pablo.
Hernando guarda Pablo, che gli sorride. Hernando si siede, prende una mano di Pablo e la
stringe. Rimangono un momento in silenzio. Hernando
sta bene così. Stare vicino a Pablo è tutto quello che desidera. Pablo gli dice: - Oggi c’è stato il
funerale, vero? Mi dispiace. Dopo tutto quello che ha passato, nelle sue
condizioni attuali, per lei dev’essere durissima. Hernando annuisce. È vero, è stata dura, ma Hernando ha la sensazione di essere più forte. Parlano un momento di
piccole cose insignificanti, ma ciò che si dicono non ha importanza. Hernando sa che non deve affaticare Pablo: sono passati
pochissimi giorni dal ferimento e dall'operazione successiva. Parlare non è
importante, gli basta rimanere accanto a Pablo. Vorrebbe restare tutto il
giorno nella camera con lui. Prova un senso di benessere così profondo come
non gli è mai successo. Ma adesso è ora di andare. Tra non molto arriverà Andrés, che ha bisogno di lui, come lui ha bisogno di
Pablo Montaña. Hernando sorride a Pablo e dice: - Devi guarire in fretta.
Mi manca una guardia del corpo. Anche Pablo sorride, un
sorriso un po’ imbarazzato. - Il colonnello Pardo mi
ha proposto di entrare nei corpi speciali dell’esercito. Mi sembra una bella
idea. Hernando ha l’impressione che di colpo la terra
si sia spalancata sotto i suoi piedi. Precipita. Apre la bocca per parlare,
ma non ci riesce. Si rende conto che deve andarsene subito, perché è sul
punto di mettersi a piangere. - Ne parleremo. A domani. Hernando esce frettolosamente dalla camera.
Raggiunge l’ascensore. Appena le porte si richiudono, incomincia a piangere.
Sono anni che non piange, forse da quando era bambino. Due mesi di prigionia,
la certezza di morire, Pablo colpito sotto i suoi occhi, la scoperta che
erano stati la moglie e il fratello a organizzare il rapimento, il suicidio
di Diego per sfuggire all’arresto: tutto quello che ha vissuto è un peso
immane, ma davanti all’idea di avere Pablo al proprio fianco, gli sembrava di
avere la forza per reggere. Ora che la sua unica certezza svanisce, gli
sembra che la sua vita non abbia più un senso. * Hernando García non ha detto niente del suo
progetto di entrare nei corpi speciali dell’esercito, ma era molto turbato.
Si aspettava che lui riprendesse il lavoro come guardia del corpo. Ma Pablo
non può. Pablo non se la sente di vivere accanto a Hernando
García. Sa di amarlo e questi giorni trascorsi in clinica, in cui García è
venuto sempre a trovarlo, gli hanno fatto capire che finirebbe per tradire
ciò che prova. L'unica cosa che vorrebbe
dalla vita è rimanere accanto a Hernando García, ma
non è possibile. * Oggi Pablo sarà dimesso
dalla clinica. Sta benissimo, sarebbe potuto uscire prima, ma Hernando ha fatto in modo che venisse trattenuto. Voleva
essere sicuro che guarisse, voleva poterlo vedere ancora qualche volta. Per l’ultima volta si vedranno,
poi Pablo entrerà nei corpi speciali dell’esercito e probabilmente non si incontreranno
mai più: un miliardario e un soldato vivono in mondi separati. Oggi Hernando dirà a Pablo che lo ama. Non vuole mentire a
Pablo, non mentirà più, non si nasconderà più. Se Pablo lo guarderà con
disprezzo, sopporterà anche questa sofferenza. Non aveva pensato di dire a
Pablo ciò che prova per lui, gli bastava il pensiero di averlo al suo fianco,
ma non ci saranno menzogne e silenzi tra di loro, ora che le loro strade si
separano. Quanto è breve il cammino che hanno fatto insieme! L'autista parcheggia
l'auto e Hernando attraversa il cortile, alzando lo
sguardo verso la finestra della camera di Pablo. Sa qual è. Entra nella
clinica e raggiunge la camera di Pablo. Il cuore gli batte forte. Pablo è
vestito, sarà dimesso tra poche ore. Non regge più in clinica, non è abituato
a rimanere inattivo e ormai sta benissimo. - Buongiorno, signor García.
Grazie per essere venuto anche oggi. - Buongiorno a te, Pablo. E come in tutti questi
giorni in cui è venuto in clinica, Hernando si
chiede perché non è mai riuscito a dire a Pablo di dargli del tu. Aveva paura
che questa richiesta tradisse i suoi sentimenti? Sì, ha paura di questo. Hernando non sa bene come incominciare il discorso
che si è preparato. Ora che ha Pablo davanti a sé, prova vergogna. Che cosa
penserà Pablo di lui? Pablo gli chiede notizie
di Andrés. Hernando sa
che Pablo è andato a trovarlo più volte mentre lui era prigioniero. Andrés dice che era l'unico che gli offriva un sostegno,
che gli impediva di sprofondare nella disperazione. - Sta bene, sta molto
meglio. Diego era il suo incubo, ormai, e adesso non si sente più minacciato. - Per lui è stato meglio
così. - Sì. C'è un momento di
silenzio. Tutti e due non sanno che cosa dire. - Non so se rimarremo in
Colombia, Pablo. - Preferisce andarsene?
Posso capirlo. - Non è solo per me e per Andrés. Pablo, intendo riconoscere il bambino di mia
moglie, anche se non è figlio mio. Non voglio che venga dato in affidamento a
estranei. Intendo occuparmi di lui, come se fosse mio figlio. È comunque il
figlio di mio fratello e di mia moglie. - È molto bello questo,
signor García. Lei è molto generoso. - Non è una questione di
generosità. Ho anch'io le mie colpe. Le cazzate di cui parlammo quel giorno,
vicino alla piscina. Ti ricordi, Pablo? Quel “ti ricordi” contiene
mille cose, che Hernando non sa esprimere. Pablo
annuisce. Lo guarda negli occhi e Hernando ha
l'impressione che ci sia sofferenza in quello sguardo. - Certo che mi ricordo,
signor García. C'è un momento di
silenzio, poi Pablo riprende: - E adesso pensa di
andarsene. - Sì, se vivessi qui,
prima o poi qualcuno gli racconterebbe la verità. Sono già venute fuori
troppe cose. Del processo parleranno tutti. Preferisco che mio figlio, perché
sarà mio figlio, non si porti dietro un fardello più grande di lui. Intendo
parlargliene, non voglio menzogne, ma nel modo giusto, quando sarà il
momento. Hernando sorride e osserva, ironico: - Ma sto correndo un po'
troppo, no? Deve ancora nascere. Di nuovo silenzio. Stanno
per separarsi, per sempre. È l'ultima volta che vede l'uomo che ama. È ora di
parlare, di dire ciò che prova. Hernando lo sa,
anche se il coraggio gli manca. Pablo gli sembra triste. Hernando chiede: - Hai mai pensato di
trasferirti negli USA o in un altro paese, Pablo? - Qualche volta. Il signor
Lima era disponibile a procurarmi un lavoro negli USA. Ma non credo che ci
andrò. C'è un momento di
silenzio. - Pablo, ho bisogno di
parlarti. Noi non ci vedremo mai più, ma io non voglio che rimangano silenzi
e cose non dette tra di noi. - Mi dica, signor García. Hernando si morde il labbro. - Ti chiedo un favore,
Pablo. Non mi dire di no. - Certo che non le dico di
no. Qualunque cosa sia. - Vorrei che oggi, in
questo ultimo giorno in cui ci vediamo, per questi minuti in cui siamo ancora
insieme, tu mi chiamassi Hernando. Vorrei sentire
una volta il mio nome pronunciato dalle tue labbra. * Pablo apre la bocca, esita
un attimo, poi sorride e dice: - Va bene, Hernando. Si sente in imbarazzo, gli
sembra di non stare al suo posto, ma gli fa anche piacere. - Grazie. E ora devo dirti
il resto. Non è facile. Pablo fissa Hernando García, senza capire. - Pablo, durante la mia
prigionia, nelle ultime settimane, uno dei carcerieri, il più giovane, quello
che tu hai disarmato e ucciso, mi ha preso, più volte. A Pablo sembra di aver
ricevuto un colpo. Prova una pena infinita per Hernando
García, immagina la sua sofferenza, la sua umiliazione. Il suo viso si
contrae in una smorfia di dolore. - Mi spiace signor... mi
spiace, Hernando. Mi spiace che tu abbia subito
anche questo. Hernando respira a fondo. - Pablo, non l'ho scelto
io, non l'avrei voluto, ma quando mi ha preso, non ho opposto resistenza.
Pablo, una parte di me lo voleva. Ora mi disprezzerai, ma avevo bisogno di
dirtelo. - Perché mai dovrei
disprezzarla... disprezzarti, Hernando? - Perché da noi uno a cui
piacciono gli uomini... Hernando non completa la frase, ma il significato
è chiaro. In Colombia, come in tanti altri paesi, un omosessuale è
disprezzato. Pablo sorride e dice
quanto ha da dire: - Hernando,
anche a me piacciono gli uomini. Hernando lo guarda come se non lo vedesse. Poi
abbassa gli occhi e quando li rialza lo fissa, mentre gli dice: - C'è un'ultima cosa,
Pablo. Voglio dirti anche questo. Io mi sono innamorato di te. Pablo scuote la testa.
Quello che gli sta dicendo Hernando gli sembra
impossibile, è qualche cosa che non ha mai pensato potesse verificarsi, non
può essere. Pablo fa fatica a rendersi conto di che cosa significa. Hernando aggiunge: - Scusami, Pablo, ma avevo
bisogno di dirtelo. - Ma come è possibile? No,
non... non di me... Hernando... * Hernando sta male, ora. Per un attimo, quando
Pablo ha detto di essere gay, si è illuso che potesse amarlo, ma era un sogno
folle. Ma ora Hernando si rende conto che una parte
di lui si illudeva che quel sogno potesse essere vero. Pablo si è mosso, ha fatto
un passo in avanti. Ora gli passa delicatamente una mano sul viso e poi
avvicina le labbra alle sue. Lo bacia, con dolcezza. Esita un attimo, poi lo
stringe tra le braccia e il bacio diventa ardente. Forse è un sogno, anche se
le labbra che si posano sulle sue hanno tutta la concretezza delle cose
reali. Forse è un sogno anche questa carezza delle dita che scorrono sulle
sue guance. Forse è un sogno anche la voce di Pablo che, prima di baciarlo di
nuovo, gli sussurra: “Anch'io ti amo”. C'è una dolcezza infinita
nell'abbraccio di Pablo. Forse è tutto un sogno e
allora Hernando spera solo di morire prima di
risvegliarsi. Hernando vorrebbe sfilare la giacca di Pablo,
sciogliergli il nodo della cravatta, sbottonargli la camicia, ma le sue mani
tremano. Il coraggio gli manca. È Pablo a prendere l'iniziativa e Hernando può vedere che anche le sue mani si muovono
incerte: non c'è nulla del Pablo sicuro di sé e sempre efficiente che lui
conosce. Pablo gli ha sciolto il nodo della cravatta, ma si ferma e gli dice: - Sei sicuro? Hernando... io... io sono... Hernando non lo lascia finire. - Non sono mai stato
sicuro di nulla nella mia vita come lo sono di volere te. Pablo, ti amo. Pablo annuisce. Sembra
ancora incapace di crederci. Le sue mani però riprendono a muoversi, la
cravatta finisce su uno dei letti, seguita dalla giacca e poi dalla camicia
di Hernando. E le mani di Pablo scorrono sul corpo
di Hernando, in una carezza che è il paradiso. Pablo bacia ancora Hernando, ma sembra non osare spingersi oltre. E allora Hernando fa appello a tutto il suo coraggio e incomincia
a spogliare Pablo, che ha solo la camicia. È difficile liberare ogni bottone
dall'asola che lo imprigiona, ma poi Hernando può
guardare il torace muscoloso di Pablo, può toccarlo con le sue mani, può
accarezzarlo. Si stringono, si abbracciano, si baciano ancora. In entrambi il
desiderio è violento, ma non osano andare avanti. * È vero, Hernando García lo ama, lo desidera. Non è possibile, ma
è vero. Hernando non ha mai avuto rapporti oltre a
quelli che gli sono stati imposti durante la prigionia, questo Pablo l'ha
capito. Allora tocca a lui accompagnare Hernando in
questo tuffo, anche se per la prima volta nella sua vita gli manca il
coraggio. Pablo slaccia la fibbia
della cintura di Hernando, poi abbassa la cerniera
lampo e poggia le sue mani sul culo di Hernando,
abbassando con un unico gesto pantaloni e boxer. Hernando
è eccitato e Pablo scivola in ginocchio e avvicina la bocca alla cappella. Le
sue mani stringono con forza il culo di Hernando e
quando la sua bocca avvolge la cappella, Hernando
geme, mentre le sue mani gli accarezzano la testa. La carezza diventa una
stretta quando le labbra e la lingua di Pablo prendono a lavorare con
delicatezza. - Pablo, Pablo, amore mio! Pablo si ferma. Gli sembra
incredibile sentire queste parole dalle labbra di Hernando.
Gli sembra di non meritarle. Ma il sentimento che prova è troppo forte e
tiene a freno i dubbi, le paure. Le mani di Pablo salgono
dal culo alla schiena di Hernando, poi passano
davanti e scendono in una carezza, mentre la sua bocca riprende a lavorare. Pablo avverte che Hernando si sta tendendo. Allora si ferma, si solleva e
lo bacia di nuovo. Con le mani che tremano, Hernando
gli slaccia i pantaloni e li abbassa. Non osa andare oltre, ma è Pablo a far
cadere gli slip e a mostrarsi nudo a Hernando,
all'uomo che ama e che lo ama. * Hernando guarda il corpo di Pablo, guarda il
cazzo teso e una vertigine lo prende. Si appoggia a Pablo, perché gli sembra
di essere sul punto di cadere. Pablo lo bacia ancora e lo stringe. Poi Hernando scivola in ginocchio e avvicina le labbra al
cazzo di Pablo, lo bacia e infine lo prende in bocca, mentre lo accarezza con
la lingua. Le sue mani si posano sul culo di Pablo. Hernando
si sente felice, di una felicità immensa. Le dita di Pablo scorrono
tra i suoi capelli, scendono sulla schiena, mentre Pablo si china su di lui. Hernando si alza. Si guardano negli occhi. Non è
possibile. Non è possibile. Hernando si lascia
ancora abbracciare e baciare, le labbra di Pablo sulla sua bocca, sul suo
collo, sul petto, il leggero morso a un capezzolo, la carezza umida delle
labbra sull'altro. Poi Pablo gli passa le
braccia sotto il culo e lo solleva. Ride e lo stende sul letto. Si sdraia su
di lui e ancora si baciano. Pablo scivola indietro e,
mentre le sue mani percorrono il corpo di Hernando,
la sua bocca inghiotte nuovamente il cazzo. Il desiderio è ormai
incontenibile e presto Hernando sente il piacere
esplodere. Pablo inghiotte il suo seme, poi si stende su di lui e lo bacia
ancora. - Ti amo, Hernando. E dopo altri baci e
carezze, Hernando dice: - Prendimi, Pablo. Pablo lo guarda. - Sei sicuro Hernando... - Lo desidero, Pablo. * Con delicatezza Pablo
volta Hernando. Le sue dita scorrono lungo il corpo,
in una lunga carezza. Poi Pablo si china e sono i suoi denti a lasciare
piccoli segni rossi sul culo. E poi è la lingua a scorrere sul solco,
indugiando sull'apertura. Pablo prende dal borsone
un preservativo: Luís è passato e gliene ha
regalato una scatola. Un regalo buffo, il cui significato era chiarissimo.
Pablo ha pensato che prima di lasciare Bogotà ne avrebbe usato qualcuno con Luís, per ringraziarlo: se Luís
non gli avesse telefonato per dirgli che avevano ucciso il commissario,
avrebbero fatto in tempo ad ammazzarlo e lui non avrebbe potuto salvare Hernando García. Pablo si infila il
preservativo, si stende su Hernando e mentre lo
accarezza e gli morde una spalla, entra dentro di lui, pianissimo. Non vuole
fargli male. - Pablo, Pablo, amore mio. È possibile? È possibile
che davvero Hernando gli dica “amore mio”? A Pablo
sembra ancora incredibile, eppure è vero. - Non ti faccio male, Hernando? - È perfetto, Pablo. Pablo si muove con
cautela, avanti e indietro, mentre copre Hernando
di baci e carezze. * Questo cazzo che gli scava
in culo è doloroso, ma Hernando non importa: il
piacere è molto più forte. Hernando si aspettava
che Pablo lo possedesse con poche spinte vigorose, come faceva il suo
carceriere. Ma è invece una lunga cavalcata, in cui il dolore cresce, ma il
piacere lo domina. Una cavalcata interminabile, che è quanto di più bello e
più dolce Hernando abbia mai conosciuto. E quando infine Pablo
viene dentro di lui, anche Hernando sente il
piacere debordare. Per la prima volta viene mentre un uomo lo prende. Mentre
Pablo lo prende. Pablo lo bacia sulla nuca
e lo stringe. Hernando pensa che valeva la pena di subire tutto
quello che ha subito per questo, per stare tra le braccia dell'uomo che ama,
il suo cazzo ancora in culo, le sue labbra sul collo. 2015 |