Il piacere di uccidere - VII Nel gorgo A
Max Thomas Colton spegne la sigaretta nel portacenere,
schiacciandola con forza. Era riuscito a smettere, ma adesso ha ripreso.
Merda! Colton si alza per guardare fuori dalla
finestra. Non è un gran panorama: si vede il cortile con le auto
parcheggiate. Qualcuno sta scendendo da una Toyota. Colton si volta e guarda il fascicolo che ha
aperto sulla scrivania. Senza smettere di fissarlo, con la mano cerca il
pacchetto di sigarette e se ne accende un’altra. Osserva di nuovo il cortile,
poi alza gli occhi al cielo. Le nuvole sono scure. Presto incomincerà a
piovere. Merda! Colton torna a sedersi alla scrivania. Esamina
il fascicolo. Fissa a lungo le foto del Mastino. Gli sembra che l’uomo
ricambi il suo sguardo, con un sorriso ironico che è una presa per il culo. Colton aspira e posa la sigaretta nel
portacenere, senza spegnerla. Guarda ancora le foto dell’uomo, poi prende le
altre foto contenute nella cartella e scruta anche quelle. Colton afferra il telefono, lo tiene sospeso in
aria un momento, poi compone il numero. Appena sente la voce dall’altra
parte, dice: - Sono Colton,
Rod. Devo parlarti. Vieni da me. Da solo. * Rod guarda Colton. Il vice dei servizi segreti inglesi ha i nervi a
fior di pelle. Da quando gli è nato il figlio, due settimane fa, Rod e Herman
non sono più stati convocati. Non che se ne siano preoccupati: a una bella
vacanza hanno diritto, dopo gli ultimi mesi di duro lavoro. Rod non dice niente: Colton è sufficientemente teso di suo. - Bene, Rod, visto che ci
tieni a fare secco qualcuno, ho quello che ci vuole
per te: il Mastino. Rod si chiede dov’è che ha
sentito questo nome. È stato non molto tempo fa. Sì, è quel boss della
camorra di cui lui e Herman hanno ammazzato il nipote, in Wadistan.
Un italiano, come cazzo si chiamava? Gargilo, Gargiulo... Colton continua, con un tono secco: - Il Mastino sta a Napoli
e non lascia mai la città. Avvicinarlo è quasi impossibile e quanto a farlo
secco, ci hanno provato in tanti. - E allora? - Allora l’unico modo per
avvicinarlo è entrare nel giro degli incontri clandestini di lotta: da quando
hanno ammazzato quello che se ne occupava, li gestisce lui. E non si perde un
incontro, gli piacciono un casino, soprattutto
quelli in cui uno dei due magari ci rimane. In alcuni incontri estremi può
succedere. Rod ha la netta
impressione che in questo momento a Colton
piacerebbe vederlo in uno di quegli incontri, nella parte del perdente. Ha anche
una vaga idea del perché. - E che cazzo faccio, mi
metto a organizzare incontri clandestini in una città che non conosco? - No, non li organizzi tu,
la camorra ti farebbe fuori in due giorni: partecipi a quegli incontri come
lottatore. L’hai già fatto in Inghilterra, no? Anche qui erano incontri
clandestini. E un po’ d’italiano lo conosci, visto che hai passato tre anni
in Italia dopo la faccenda del Bluebird a Soho. Rod non dice nulla. Non è
strano che Colton conosca il suo passato: non si
viene assunti dai servizi segreti per la raccomandazione di un amico, ci sono
indagini precise. Ma non si aspettava che sapessero anche di quando si
dedicava alla lotta per sbarcare il lunario: erano incontri illegali, di cui
non dovrebbe essere rimasta traccia. E sanno pure che lui era implicato nella
rissa al Bluebird, in cui erano morti quei due
magnaccia giamaicani. - Quindi tu partecipi a
qualche incontro clandestino qui in Inghilterra. Finisce che ammazzi uno dei
tuoi avversari e allora te ne vai di nuovo in Italia, come hai fatto
vent’anni fa, per evitare guai. Per guadagnarti da vivere continui a lottare. - Finché qualcuno mi
ammazza. Colton fissa Rod e dice, con un tono
impersonale: - Può accadere. Rod vorrebbe aggiungere
che è quello che vuole Colton,
ma si trattiene. Colton prosegue: - Ma la tua missione è
un’altra: ammazzare il Mastino. Non ti sarà difficile entrare in contatto con
il Mastino, visto che è lui che organizza questi incontri. Colton apre la cartella che ha sul tavolo e
passa alcune foto a Rod. - Questo è don Salvatore,
il Mastino. Rod guarda le quattro foto
di Salvatore Gargiulo. Non è un bell’uomo, il
Mastino: una faccia da schiaffi, i capelli rasati cortissimi, la barba corta
e un sorriso che ti fa accapponare la pelle. È tarchiato, come un mastino
napoletano, ma di certo altrettanto scattante. In una delle foto lo si vede
in costume accanto a una piscina: il torace peloso, una lieve peluria che
scende a spina di pesce sull’addome, un tatuaggio sul braccio sinistro. È
brutto il Mastino, ma a Rod piace e l’idea di fottere questo maschio glielo
fa venire subito duro. In un’altra foto il Mastino guarda diritto
nell’obiettivo. Ha uno sguardo che mette i brividi. A Rod sembra che il Mastino lo fissi dalla fotografia, perfettamente cosciente
che lui è lì a guardarlo, e gli dica che farebbe meglio a lasciar perdere. - E questo è ciò che fa ai
suoi nemici. Colton ha preso dalla cartella una busta e ne
ha tirato fuori sei foto. Nelle foto si vede un cadavere sbudellato, con il cazzo
e i coglioni in bocca. - Cazzo! - Angelo Scibone, un boss della camorra che dava fastidio al
Mastino. Aveva preso lui il giro delle lotte clandestine, a Napoli, facendo
ammazzare quello che lo gestiva prima. Il Mastino ha dato
incarico a un killer professionista di farlo fuori in questo modo. Rod annuisce, poi guarda
in faccia Colton. Chiede: - Perché dobbiamo
occuparci noi di far fuori il Mastino? Colton aggrotta la fronte. - Noi? Tu, Rod, da solo.
Herman rimane in Inghilterra. - Noi dei servizi, intendo.
Che cazzo c’entriamo con la camorra e Napoli? Colton sorride. - Diciamo che ho avuto una
richiesta in tal senso e che ho deciso di accoglierla. Riprenderai a fare un
po’ di lotta, poi sarai inserito nel giro degli incontri clandestini. Ci sarà
un incidente e faremo in modo che tu finisca a Napoli. Rod guarda di nuovo la
foto del cadavere. Non è un buon modo di finire, ma difficilmente uno sceglie
come morirà. Guarda ancora la foto del Mastino. Che razza di sguardo! Colton riprende: - Ti do la documentazione
sul Mastino. È un tipo interessante. Ti piacerà. C’è anche un video. Colton ridacchia. Rod ignora la risatina, che
gli fa solo venire voglia di spaccare il muso al vice dei servizi segreti.
Guarda Colton negli occhi e dice: - Va bene, Colton. Ma adesso lo giriamo io e te
un bel video. Colton fissa Rod negli occhi. - Perché no? Tanto… Rod sa benissimo che cosa
pensa Colton: tanto è l’ultima volta, non ce ne
saranno altre, perché Rod lo fotteranno a Napoli.
Rod non ha nessuna intenzione di farsi fottere (in nessun
senso), ma la sfida lo tenta e non intende tirarsi indietro: questo Colton lo sa benissimo, proprio su questo ha giocato. Rod si alza e incomincia a
spogliarsi. Colton lo guarda un momento, poi fa
altrettanto. Ora sono tutti e due nudi, Rod con il magnifico cazzo in tiro, Colton con il cazzo non più a
riposo, ma non ancora teso. - Voltati, Colton, e appoggiati alla scrivania. Il tono di voce di Rod è
duro, quasi sprezzante. Colton esita un attimo, poi
esegue, senza dire nulla. Rod si è già infilato il preservativo. Avvicina il
cazzo al foro, preme leggermente, si ferma, poi avanza. Non ha usato
lubrificante: Colton se l’è preso in culo sei o
sette volte prima che gli nascesse il figlio e adesso può farne a meno. E se
gli farà male, tanto meglio. Colton stringe i denti, ma non si lamenta.
Questo cazzo che gli entra in culo, dilatandogli le viscere, gli fa un male
bestiale, ma gli trasmette vibrazioni di piacere che un mese fa non avrebbe mai pensato di poter provare. È per questo che
manda Rod a Napoli, in bocca al Mastino: sa benissimo che se Rod rimanesse
nei dintorni, non riuscirebbe a dirgli di no. Rod è arrivato fino in
fondo. Colton sta sudando. Fa fatica a tollerare il
dolore che gli provoca lo spiedo che lo ha trafitto. Eppure non vorrebbe che
si ritirasse. Rod si ritrae, poi avanza
di nuovo, dando inizio alla cavalcata, prima molto lenta, poi via via più intensa. Colton stringe
con le mani il bordo della scrivania e chiude gli occhi. Il dolore è a tratti
insopportabile, ma c’è anche quel fottuto piacere che gli strizza i coglioni,
gli tende il cazzo e gli secca la bocca. Non si dicono
nulla, non c’è nulla da dire. Se parlassero forse si insulterebbero, spinti
da una rabbia sorda che li mette uno contro l’altro. Rod fotte Colton affondando il cazzo nel suo culo come potrebbe
affondargli un coltello in pancia. Colton si
sottomette a essere infilzato come un condannato che non può sottrarsi al suo
destino. Ma nell’ostilità palpabile il desiderio cresce e infine il piacere
deborda in entrambi. Il seme di Colton schizza in
avanti, sulla scrivania, quello di Rod si sparge nel preservativo. Rod continua a spingere,
finché il piacere si dissolve. Allora si ritira. Si riveste senza badare a Colton. Prende la cartellina e si allontana, senza dire
una parola. Colton dovrebbe dirgli che gli telefonerà per
metterlo in contatto con gli organizzatori degli incontri, ma tace. Guarda la
scrivania, sporca del suo seme. Mormora: - Merda! * Quanto Rod arriva a casa,
Herman sta guardando un filmato di MenAtPlay. È
molto contento che Rod sia arrivato, così potrà passare dal ruolo di
spettatore a quello di attore (si vede che l’esperienza in Wadistan gli è piaciuta). Prima di passare ai fatti,
chiede: - Che cosa voleva Colton? - Mi manda a Napoli. - A Napoli? Tu da solo?
Come mai? - Dovrei far fuori il
Mastino, questo è l’incarico ufficiale. - In che senso “l’incarico
ufficiale”? - In realtà dovrei farmi
ammazzare, così non lo induco in tentazione e non si sente un cattivo marito
e padre. È proprio stronzo. Herman si rende conto che
Rod non sta scherzando. La faccenda lo disturba, non poco. Ci tiene a Rod. - Spiegami meglio. Rod racconta quel poco che
c’è da raccontare, poi si mettono a guardare insieme la cartella del Mastino:
figlio del boss di una famiglia camorristica, si è imposto come l’erede
naturale del padre, anche se non era il figlio maggiore; quarantacinque anni;
spietato, per non dire efferato, con i nemici; fedele ai vecchi codici di
onore; gestisce traffico di droghe, di armi, di donne e contrabbando vario,
oltre al giro delle lotte clandestine. Una parte della cartella è dedicata
alla sua storia familiare. Il fratellastro violentò e uccise la sorella
minore di Salvatore Gargiulo, che allora non era
ancora il Mastino. Lo trovarono violentato, castrato e ucciso con particolare
ferocia. Di certo era stato Salvatore, allora appena ventenne, a vendicare la
sorellina. - Quando devi partire? - Non subito. Prima devo
entrare nel giro degli incontri clandestini, prendere un bel po’ di botte e
darne di più. Poi succede “un incidente” e scappo in Italia, dove mi daranno
la possibilità di continuare a lottare, per conto del Mastino. Herman sa benissimo che in
passato Rod si è guadagnato da vivere con le lotte illegali. Da tempo Rod è
uscito dal giro, ma va volentieri ad assistere agli incontri e qualche volta
partecipa alle lotte tra dilettanti, perché gli piace menare le mani.
Vedendolo, qualcuno degli organizzatori gli ha proposto di rientrare nel
giro, visto che vince sempre e mena duro. Herman ha avuto modo di vederlo
in azione due o tre volte, in una vecchia fabbrica abbandonata, dove la gente
scommette. Gli è piaciuto un casino vedere Rod lottare e sarebbe ben contento
di avere altre occasioni di guardarlo, se non fosse che l’intera faccenda non
gli piace. A parte i rischi che gli incontri presentano anche in Inghilterra,
la missione sembra di tipo suicida. * Colby, che è uno dei collaboratori di Colton, telefona per informare Rod che fra tre giorni ci
sarà una serata di lotta, alla fabbrica abbandonata vicino a Southgate. Rod deve prendere contatto con i vecchi amici,
partecipare a un incontro e accettare la proposta che gli farà Bill di
rientrare nel giro. Rod si rivolge a Matt, un
pezzo grosso del giro, l’unico che sa come rintracciare. Gli spiega che ha voglia
di menare un po’ le mani e gli chiede se c’è qualche incontro. Matt gli
risponde ciò che Rod già sa: hanno organizzato una serata a Southgate fra tre giorni. Lo metterà ben volentieri tra i
partecipanti. Herman accompagna Rod: non
c’è motivo di nascondersi, dato che li hanno già visti insieme alcune volte. Ci sono quattro incontri
di dilettanti e poi due del giro. Contro Rod hanno
messo il più forte dei lottatori non professionisti, Tobias. Herman è tra gli spettatori
che, in piedi tutt’intorno al ring improvvisato, assistono, dopo aver pagato
la loro quota. Il guadagno maggiore per gli organizzatori non è costituito
dal biglietto d’ingresso, se così si può chiamare, ma dalle scommesse: per
gli incontri principali vengono giocate somme molto considerevoli e una fetta
finisce nelle tasche dei gestori. Herman punta anche lui, su
Rod, ovviamente: conoscendolo bene è convinto che avrà la
meglio. Il broker però dà Tobias per
vincente, perché è molto apprezzato e quasi tutti puntano su di lui. Rod, che
invece partecipa in modo sporadico agli incontri e negli ultimi mesi non si è
fatto vedere, per molti è un perfetto sconosciuto. Se Rod vincerà, Herman
guadagnerà una bella sommetta. L’incontro tra Tobias e Rod è l’ultimo di quelli tra dilettanti. Il
livello dei primi due match è piuttosto basso. Invece gli ultimi concorrenti
prima di Rod e Tobias sono in gamba: si tratta di
un kenyota molto alto e di uno scozzese tarchiato,
con i capelli rossi, e la loro lotta è un bello spettacolo. Il bilancio
finale dei tre scontri è di un naso rotto e un certo numero di contusioni,
occhi neri, abrasioni e quant’altro. Entrano infine in campo
gli ultimi, Rod e Tobias, che indossano soltanto un
paio di pantaloncini. Tobias non è molto alto, ma
ha il fisico robusto di chi va spesso in palestra e si esercita con i pesi. In effetti non sarà un avversario facile. Si studiano
un momento, poi Tobias attacca. Si muove molto
velocemente, nonostante la sua stazza. Dopo una finta, alza di scatto una
gamba e colpisce Rod, mandandolo a terra. Gli salta sopra, ma Rod fa in tempo
a rotolare di lato. Tobias gli molla un pugno in
faccia, che Rod riesce a evitare solo in parte. L’agente afferra un braccio
dell’avversario e i due finiscono avvinghiati a terra, in un corpo a corpo in cui non vengono risparmiati calci,
ginocchiate, pugni, manate, gomitate. Su Herman questa lotta feroce ha un
effetto stimolante. Vedere Rod che mena e viene menato
gli fa affluire il sangue al cazzo e gli mette una voglia pazza di farsi
inculare da Rod. In questo momento però non è possibile, perché Rod è
alquanto impegnato a cercare di bloccare Tobias,
che è sopra di lui e gli sta tirando tanti pugni in faccia da stordire un
elefante. Rod però riesce ad afferrare il braccio destro di Tobias e a storcerlo con un movimento brusco, che strappa
un grido all’avversario. Tobias molla la presa e in
un attimo Rod si solleva e lo manda a terra, bloccandolo con il proprio
corpo. Rod afferra di nuovo il braccio destro di Tobias
e riprende a forzarlo. Tobias urla e cede. La lotta
è stata più breve del previsto. I due contendenti si
rialzano. Tobias si massaggia il braccio,
bestemmiando e insultando Rod sottovoce. Rod non dice nulla. Ha perso
parecchio sangue dal naso ed è tutto sudato. Herman è sempre più impaziente.
Mentre ritira la sua vincita, pensa al momento in cui Rod gli spaccherà il
culo. Non intende aspettare di essere a casa: ci sono dei cessi anche qui
alla fabbrica e comunque basta allontanarsi un po’ dall’area dove avvengono gli
incontri per trovare un sacco di locali vuoti. Herman non ce la fa proprio ad
attendere: ha l’impressione che tra un po’ il cazzo gli esploderà. Rod sta parlando con uno
degli organizzatori degli incontri, mentre con uno straccio si pulisce dal
sangue. Herman sa benissimo che Rod deve entrare nel giro dei combattimenti,
quelli dei professionisti, dove girano grandi somme di denaro. Quindi lui non
dovrebbe disturbare il colloquio. Per un po’ riesce a trattenersi, ma poi non
ce la fa più e si avvicina a Rod. Per fortuna questi sta
finendo di parlare. Herman si dice che c’è
tempo per informarsi sul colloquio appena concluso, per cui chiede subito ciò
che gli interessa: - Ci spostiamo nei cessi? Rod lo guarda, ghigna e
dice: - Non ho bisogno di
pisciare. Lo devi fare prima dell’incontro, se non vuoi che un pugno ti
faccia esplodere la vescica. Herman inarca le
sopracciglia: - Sei ancora più stronzo
di quanto pensassi. Non credevo che fosse possibile. Prima che Rod faccia in
tempo a replicare, si avvicina un altro degli organizzatori. - Matt mi ha detto che
rientri nel giro: grande! - Sì, ho voglia di menare
un po’ le mani. Sono stato inattivo troppo a lungo. E ho bisogno di un po’ di
grana. - Vediamo di metterti
nella prossima serata, dovrebbe essere tra dieci giorni. Herman tace, impaziente e
pure scazzato. Il tipo continua: - Sta per incominciare
l’incontro. Il Rosso potrebbe essere il tuo prossimo avversario. Vieni a
vederlo? - Certo. Herman manderebbe
volentieri a fare in culo Rod, l’organizzatore, questo Rosso e tutti gli
altri. Rod se ne va con il tizio, dopo avergli lanciato appena un’occhiata,
ghignando. Herman si dirige anche lui
verso lo spazio dove si tengono gli incontri: non potendo dedicarsi alla sua
attività preferita, almeno passerà il tempo assistendo all’incontro. Il Rosso
sta entrando ora in campo. Di altezza media, ha due spalle da nuotatore,
braccia e gambe che sembrano pilastri di cemento armato e una massa di
muscoli di tutto rispetto. Ha un viso dai lineamenti squadrati,
un’espressione da duro e uno sguardo feroce. Capelli, barba e il fitto pelame
che gli ricopre il petto sono rossicci. Un animale da preda, che ha fiutato
il sangue ed è ansioso di lanciarsi all’attacco. Herman guarda l’avversario
del Rosso. È anche lui ben piantato, ma appare assai meno temibile. Nello scontro si rivelano
entrambi lottatori esperti e spietati, menando colpi terribili, ma il Rosso
ha presto il sopravvento: i suoi pugni raggiungono più spesso il bersaglio e
con il procedere dello scontro, l’avversario dà chiaramente segno di trovarsi
in difficoltà. Infine, dopo una lunga serie di colpi e finte, il Rosso riesce
a bloccare a terra il suo rivale. Questi, per quanto rintronato dai colpi,
cerca ancora di liberarsi, ma invano: lo scontro si è ormai concluso con la
vittoria del Rosso. Herman si dice che se Rod
dovrà affrontare il Rosso, ne uscirà alquanto malconcio, anche nel caso
dovesse vincere. Ben gli sta: in questo momento Herman sarebbe ben contento
di vederlo prendere botte. Il Rosso si allontana. Rod
riprende a parlare con uno degli organizzatori, come se Herman non gli avesse
chiesto nulla. Allora Herman si dirige nello spogliatoio: lo stanzone dove i
concorrenti si cambiano era il locale delle docce della vecchia fabbrica e
alcune docce sono ancora in funzione. Herman si
avvicina al Rosso, che si è appena calato i pantaloncini, mettendo in mostra
un’attrezzatura alquanto appetitosa (anche se in questo Rod lo batte
nettamente, ma lui è un fuoriclasse). Nella stanza ci sono alcuni altri, che
discutono tra di loro, e i due lottatori che si stanno preparando per il
prossimo incontro. Herman sorride al Rosso. - Sei stato bravissimo.
Non ti avevo mai visto lottare, ma sei proprio in gamba. Il Rosso guarda Herman e
grugnisce un grazie poco convinto. Il Rosso non sembra particolarmente
interessato a questo fan, ma Herman non demorde. - Mi sa che quelli che ti
conoscono hanno scommesso tutti su di te. Il Rosso alza le spalle. - Può darsi. È evidente che si sta
chiedendo che cazzo vuole questo spettatore, ma non sembra particolarmente
interessato ad avere una risposta. Il Rosso apre una delle
docce e si mette sotto, imprecando perché l’acqua è fredda: considerando che
la fabbrica è abbandonata da anni, è già tanto che l’acqua ci sia. Quando il Rosso ha finito,
prende un asciugamano e incomincia ad asciugarsi. Intanto gli altri uomini
presenti nella sala sono usciti tutti: il prossimo incontro sta per
incominciare. Herman dà un’occhiata intorno e dice: - Vuoi una mano ad
asciugarti? Il Rosso guarda Herman in
faccia. Ha capito. Si limita ad annuire e dice: - Asciugami il cazzo. Herman non se lo fa
ripetere. Si mette in ginocchio davanti al Rosso, avvicina la bocca al cazzo
e lo prende in bocca. Non sarà il modo più efficiente per asciugare un cazzo, ma Herman sa andare oltre il significato letterale.
È un piacere gustare questo cazzo, sentirlo crescere e acquistare vigore.
Herman lo lavora con delicatezza, mentre il Rosso lo lascia fare, senza dire
nulla. Herman vorrebbe che il Rosso glielo mettesse in culo, ma il tizio non
sembra molto propenso. Va bene così: è un buon antipasto, prima della portata
principale (perché Rod di sicuro provvederà ad accontentare Herman, prima o
poi, più prima che poi). Il Rosso geme e la scarica
riempie la bocca di Herman. Il tizio non l’ha neanche avvertito, ma è chiaro
che non gliene fotte un cazzo di Herman: gli è andato bene giusto per
svuotare i coglioni. E infatti il Rosso dice: - Adesso togliti dalle
palle. Herman si rialza e, senza
dire nulla, si volta. Sulla porta della stanza c’è Rod, che di sicuro ha
visto almeno la conclusione della scena. A Herman la faccenda non spiace per
niente. Quando gli passa vicino, Herman sorride e gli dice: - Eri occupato… Rod ghigna. Herman sa che
cosa lo aspetta a casa ed è sicuro che questa sera avrà
male al culo, parecchio, ma va bene così. * Rod è di nuovo
nell’ufficio di Colton, che guarda fuori dalla
finestra: Rod ha l’impressione che preferisca evitare di guardarlo in faccia. - Domani sera hai un incontro. Rod annuisce, benché Colton non lo veda. Colton sa
benissimo quando si svolgono gli incontri, anche se non è Rod a dirglielo. Colton prosegue: - Affronterai Mountain
Bear. Un avversario temibile. Una lotta feroce, senza esclusione di colpi. E
alla fine, per bloccarlo, lo stringerai alla gola. Un po’ troppo. Ci rimarrà. Rod annuisce.
Evidentemente i servizi pagano Mountain Bear per perdere e fingersi morto.
Rod dice, per avere conferma: - Quindi lui sa che deve
fingersi morto. Colton si gira e fissa Rod: - Lui non sa un cazzo. - Ma allora, perché dovrebbe… Cazzo! Vuoi dire che lo devo fare secco per
davvero? Colton sogghigna. - Certo, ti piace
ammazzare, no? - Certo che mi piace, stronzo, ma Mountain Bear non è un avversario da poco, non
è facile batterlo… riuscire a bloccarlo proprio in
modo da poterlo strangolare, facendolo sembrare un incidente…
roba da ridere, vero? E perché poi è da ammazzare? - Non l’abbiamo scelto a
caso. Ci sono buoni motivi. Ma non te li spiego. Rod ha le palle in
giostra. - Peccato che se qualche
cosa va storto, in galera ci finisco io. Colton sorride: - Non sarebbe la prima
volta, ma in ogni caso per questo in galera non ci finirai. È l’unica cosa
che ti posso garantire. - Tutti mi vedono, si rendono conto che Mountain Bear è morto o, se anche non lo
capiscono subito, lo capiscono dopo, visto che lo porteranno via privo di
sensi e poi non si vedrà più ai combattimenti. Come cazzo fai
a essere sicuro che qualcuno non fa arrivare alla polizia l’informazione che
sono stato io a stringergli il collo un po’ troppo? Colton guarda Rod a muso duro. - Ti ho detto che non
corri rischi di finire in galera o anche solo sotto processo. - Perché mi ammazzano
prima a Napoli, vero? Castrato e squartato come un maiale al macello. Merda! - Vuoi ritirarti? Se non
hai i coglioni… Rod si alza di scatto. - Ti spaccherei la faccia,
Colton. Ma per il momento ti spacco solo il culo. - Ho da fare, adesso. Rod gira intorno alla
scrivania, fino a che si trova a una spanna da Colton. - Faccio in fretta, stronzo. - Ti ho detto che… Il pugno di Rod toglie a Colton il fiato. Un secondo colpo spegne ogni velleità di
resistenza. Colton si trova con il torace
appoggiato alla scrivania, mentre Rod armeggia con la cintura dei suoi
pantaloni e poi li abbassa. Colton fa fatica a riprendere fiato, ma sibila: - Bastardo…
schifoso bastardo figlio di una puttana… Rod infilza Colton come se affondasse uno spiedo in culo a un pollo
ed è anche ciò che prova Colton. L’ingresso è
troppo violento e il dolore cancella ogni altra sensazione. Eppure, malgrado il dolore bestiale al ventre e al culo, Colton sa che quello che vuole è esattamente ciò che sta
succedendo. Colton ansima, un po’ di saliva
gli cola dalla bocca aperta, ondate di dolore salgono dal culo, dove Rod
affonda il suo cazzo con forza, come se a ogni spinta volesse trapassare Colton da parte a parte. Quando infine Rod si
ritira, Colton rimane sulla scrivania,
boccheggiando. Rod si riveste in fretta e se ne va. Colton
si alza a fatica. Ha le lacrime agli occhi per il dolore. Non è venuto, ma ha
il cazzo duro. Colton guarda nel vuoto, poi apre un
cassetto, ne estrae un fermacarte e si infila in culo il manico cilindrico.
Il dolore gli fa venire voglia di urlare, ma Colton
prosegue fino a che il manico è tutto dentro il culo, poi incomincia ad
accarezzarsi il cazzo. Lo stringe con forza e muove la mano avanti e indietro
finché non viene. Solo allora si toglie il
tagliacarte. Guarda il manico e mormora: - Crepa presto, bastardo. * L’incontro tra Hardy e Mountain Bear è uno dei più attesi. Hardy ha ripreso a combattere dopo una lunga interruzione
e alcuni non lo conoscono, ma ha acquistato in fretta una notevole fama.
Mountain Bear è conosciuto da tutti nel giro: forte
e spietato, questo giovane (non ha più di venticinque anni) è un avversario
formidabile. Su di lui circolano molte voci: si sa che è
stato quattro anni in riformatorio e che è entrato e uscito dalla galera più
volte, si parla di traffico di droga e, a bassa voce, anche di omicidi. Ci
deve essere parecchio di vero in queste voci, se i servizi intendono
eliminarlo, ma la sua prossima esecuzione è nota solo a Hardy,
alias Rod, e Herman. Le scommesse sono tante.
Mountain Bear è molto quotato, perché è considerato
uno dei lottatori più forti. Con lui però c’è sempre un margine di
incertezza: è già successo che si presentasse ubriaco o sfiancato da una
giornata di stravizi, appena in grado di reggersi sulle gambe. Perciò alcuni
aspettano di vederlo arrivare prima di scommettere. Herman ha già scommesso,
su Hardy, ma non è dell’umore giusto per divertirsi,
questa sera. Sa come deve finire il combattimento e sa che qualche cosa può
andare storto. Ma soprattutto sa che se fila tutto liscio, Rod rischia di
lasciarci la pelle a Napoli. La faccenda non gli va per niente bene. Manca poco, ormai. Mentre si
affrontano altri due lottatori, Rod e Herman sono nella sala usata come
spogliatoio. Rod appare tranquillo, Herman invece lascia trapelare il suo
nervosismo. Rod ghigna e dice: - Sai che ti dico, Herman? Dovrò farti secco in questi giorni, prima di
partire, perché se mi fottono a Napoli, non posso più fotterti.
Mi spiacerebbe crepare senza essermi tolto lo sfizio. - Stronzo! Ti sembra il
momento di scherzare? - Non sto mica scherzando. Herman guarda Rod. Come
sempre quando Rod parla di ammazzarlo, Herman avverte una sensazione strana,
mista di timore ed eccitazione. Si limita a mormorare uno: - Stronzo! L’urlo della folla
annuncia che l’incontro si è concluso. Una mezz’ora di pausa,
poi toccherà a Rod e Mountain Bear. Herman storce la bocca e
dice: - Spero che Mountain Bear
ti fotta. - Perderesti i tuoi soldi. - Ne vale la pena. Herman si guarda intorno e
aggiunge: - Quasi quasi gli dico le tue intenzioni… L’ingresso di Brandy Andy,
uno dei manager, con un debole per i liquori, interrompe la conversazione.
Herman si dirige verso la porta. Sulla soglia si scontra con Mountain Bear
che sta entrando, perfettamente in forma. Mountain Bear è arrivato
e si è fermato per vedere l’incontro precedente. Adesso viene a cambiarsi.
Per un attimo i loro due corpi si toccano. Herman ha un’idea. Non si ritrae,
ma sorride. - Scusa. Mountain Bear lo guarda. È
evidente che si chiede che cazzo vuole ‘sto tizio. Herman si sposta un po’ di
lato, come per cedere il passo al lottatore, ma non abbastanza per lasciar passare Mountain Bear, e gli dice: - In bocca al lupo per
l’incontro. Lo batti di sicuro. Mountain Bear mostra i
denti in una smorfia che forse vorrebbe essere un sorriso. - Ci conto. Mountain Bear avanza e
inevitabilmente i loro corpi si toccano di nuovo. Herman dice: - Ti ho visto lottare
qualche volta, sei davvero bravissimo. Mountain Bear fissa
Herman. Potrebbe tirare avanti, spingendo questo tizio di lato, ma nel
sorriso di Herman legge un invito. - Vieni a trovarmi dopo
l’incontro, che ti firmo un autografo. - Dopo devo scappare, ho
un impegno. Ma c’è mezz’ora. L’autografo potresti
firmarmelo adesso. - Prima dell’incontro? Che
cazzo dici? - Per battere quello… Herman alza le spalle,
come se Rod potesse essere battuto a occhi chiusi con una mano legata dietro
la schiena. Sa benissimo che un lottatore non scopa subito prima di un
incontro, ma sa anche che Mountain Bear è uno che se ne fotte delle regole e
non perde un’occasione per fottere. Il lottatore si dice che
questo tipo davanti è belloccio e l’idea di svuotare i coglioni non gli
spiace per niente. - Andiamo di là. “Di là” può indicare uno
dei tanti locali della fabbrica abbandonata. Non appena entrano in una stanza
vuota, Mountain Bear si slaccia la cintura e si abbassa
pantaloni e mutande. Il cazzo è di tutto rispetto, anche se non reggerebbe il
confronto con quello di Rod. Herman si inginocchia davanti a Mountain Bear e
osserva un momento la merce che gli si offre: è un bel cazzo, che incomincia
ad alzare la testa. Ha un buon odore (questione di gusti, ovviamente) e un
bell’aspetto. Herman prende in bocca e incomincia a succhiare, mollando ogni
tanto la preda e passando la lingua dalla cappella ai coglioni, poi le sue
labbra avvolgono di nuovo il boccone prelibato, mentre la mano stuzzica i
coglioni. Herman ci sa fare e probabilmente Mountain Bear non ha avuto molte
occasioni di trovare uno così bravo a fare pompini. Herman procede
lentamente, fermandosi ogni tanto: non vuole che Mountain Bear venga subito.
Il colosso lo lascia fare, senza prendere parte attiva. Si limita a
bestemmiare due o tre volte, per manifestare la sua soddisfazione. Quando si accorge che
Mountain Bear sta per venire, Herman si stacca, estrae dalla tasca un
preservativo (Herman è sempre attrezzato) e lo infila sul cazzo che ha finito
di gustare, poi si alza, sorride a Mountain Bear, slaccia la cintura e
abbassa i pantaloni, tenendo i jock–strap.
Si china in avanti, appoggiandosi alla parete. Mountain Bear sputa sul buco,
poi avvicina la sua mazza. Avanza, forzando l’apertura, fino a che lo sperone
affonda completamente nella carne. Herman geme, ma è un
gemito di puro piacere. Mountain Bear si gusta questa scopata inattesa, senza
sospettare che rischia di essere l’ultima. Herman si dice che sta facendo un
favore a due persone: a Rod, perché contribuisce a infiacchire l’avversario,
a Mountain Bear, perché gli permette di fottere ancora una volta prima di
crepare. Insomma, Herman si sente proprio un buon samaritano. Mountain Bear inizia a
muovere il culo avanti e indietro, infilando il cazzo a fondo nel culo di
Herman e poi tirandolo indietro, finché viene con una specie di ringhio. Si ritrae, getta a terra
il preservativo e dice: - Bella scopata. Hai un
bel culo. Magari dopo che ho steso quel bastardo facciamo il bis. Herman sorride e risponde. - Sai che devo scappare
subito dopo. Potremmo farlo adesso, il bis. - Cazzo! Devo cambiarmi.
Tra poco incomincia l’incontro. - Anche se incominciate un
momento dopo, che cosa cambia? Se però non te la senti… E mentre lo dice Herman ha
preso nel palmo della mano i coglioni di Mountain Bear e con la punta di due
dita sta stuzzicando l’area dietro lo scroto. Mountain Bear ha svuotato i
coglioni e adesso manderebbe Herman a farsi fottere da qualcun altro, ma la
doppia provocazione, a parole e con le dita, fa effetto. Sibila: - Facciamo solo in fretta. - Ma certo. Stenditi a
terra. Mountain Bear guarda
Herman, ghigna e si stende sul pavimento. Herman si siede su di lui, il culo
sul cazzo del lottatore, e incomincia a strusciarsi, mentre le dita
stuzzicano i capezzoli. - Cristo! Sei una vera
troia, tu. Herman sorride al
complimento e continua nella sua opera pia di buon samaritano. Il peso del
suo corpo e il movimento ottengono presto l’effetto desiderato: il cazzo di
Mountain Bear recupera consistenza e volume. È un piacere sentirlo tra le
cosce, grosso, caldo e duro, è un piacere strofinarsi contro questa
salsiccia. Mountain Bear ha chiuso
gli occhi, assaporando le sensazioni violente che dal suo cazzo si diffondono
in tutto il corpo. Qualcuno sta chiamando: - Mountain Bear, dove
cazzo sei finito? Mountain Bear sa che
dovrebbe andare, ma non gliene frega un cazzo: sta troppo bene, con il culo
di Herman sul suo cazzo. La voce chiama ancora. E
infine Mountain Bear sente il piacere esplodere. Herman si alza e si
pulisce con un fazzoletto di carta. Mountain Bear si rassetta. - Mi fai arrivare in ritardo, stronzo. Poi ghigna e aggiunge: - Ma chi se ne fotte, ne
valeva la pena. Mountain Bear si dirige
verso lo spogliatoio. Herman sorride. Ha dato il suo contributo. Aspetta un
attimo, poi si dirige nella sala, sistemandosi per vedere lo spettacolo. Mountain Bear e Rod
arrivano, accolti da applausi. Herman sente il suo vicino ringhiare, piano: - Che cazzo gli è
successo? Quando è arrivato sembrava in perfetta forma. Mountain Bear appare ben
saldo sulle sue gambe, ma in effetti un occhio
esperto può rilevare gli effetti dell’intervento da buon samaritano di
Herman: il lottatore non è teso e vigile come dovrebbe essere. Malgrado Mountain Bear non
sia al massimo della sua forma, rimane un avversario temibile. Rod riesce a
mollargli un calcio che lo manda a terra, ma quando gli salta addosso,
Mountain Bear rotola via e poco dopo mette a segno due pugni nello stomaco
tali da piegare Rod in due. Un calcio ben assestato e un pugno in faccia
fanno finire Rod lungo disteso e Herman si dice che l’incontro rischia di
concludersi così. Per certi versi gli farebbe anche piacere, perché così Rod
non dovrebbe partire per Napoli, ma la faccenda sarebbe solo rimandata. Rod si rialza prima che
Mountain Bear riesca a bloccarlo. Perde sangue dal naso e bestemmia. Lo
scontro prosegue ancora un buon momento, poi una ginocchiata ai coglioni e un
pugno in faccia mandano Rod a terra. Questa volta Mountain Bear gli è sopra,
ma Rod si è spostato un po’, quel tanto da impedire all’avversario di
prenderlo come voleva. È invece Rod a stringere Mountain Bear in una morsa e
a passargli un braccio attorno al collo. Herman si tende: sa che il momento è
arrivato e sente l’eccitazione dentro di sé al massimo. Per il pubblico è
solo un momento convulso di lotta, ma Herman sa
benissimo che il movimento brusco del braccio di Rod non è un gesto
istintivo, ma una stretta perfettamente calcolata. Herman giurerebbe di aver
udito un rumore secco e Mountain Bear si affloscia. Rod si libera del corpo
inerte dell’avversario, dopo essersi assicurato di aver raggiunto il suo
obiettivo. Rod si alza, sanguinante e malconcio, ma
Herman può vedere il gonfiore nei pantaloncini e la macchia umida. Mountain Bear rimane a
terra e quando l’arbitro ha decretato la vittoria, due uomini lo portano via. Herman riscuote la vincita
e si dirige negli spogliatoi. C’è però uno degli organizzatori sulla porta,
che non gli permette di entrare. - Mi spiace, amico, ma Mountain Bear non sta bene e nessuno può
entrare. È una conferma che
Mountain Bear deve essere morto. Herman aspetta che Rod
esca. Rod arriva dopo poco: si è rivestito rapidamente. - Andiamo. In auto Rod conferma
quanto Herman ha già intuito: Mountain Bear è morto,
l’osso del collo spezzato. Gli organizzatori gli hanno consigliato di
scomparire perché se qualcuno non tiene la lingua a posto, la polizia lo
cercherà. Ma c’è anche un altro motivo, che Colton
non aveva previsto o forse aveva soltanto evitato di dire: - Matt dice che anche gli
amici di Mountain Bear potrebbero cercarmi, per farmi secco. Non ne è sicuro,
ma dice che il rischio c’è. Pare che sia gente molto pericolosa. - Merda. Non bastava
quello stronzo del Mastino. - Già. Ho detto a Matt che
se devo cambiare aria, bisogna che trovi qualche altro posto in cui
combattere, perché altro non so fare e non ho soldi da parte. Preferibilmente
l’Italia, visto che ci sono stato tre anni. Adesso
vediamo che cosa propone. - Magari ti manda a
Milano. O ti suggerisce la Russia o la Cina… - No, credo che Colton sia in grado di pilotare la scelta, probabilmente
uno dei nostri è infiltrato nel giro. Se non è così, ci sarà qualche motivo
per cui mi proporranno Napoli, magari perché là fanno molti di questi
combattimenti estremi. Che senso avrebbe aver organizzato tutto questo, se
poi mi mandano da tutt’altra parte? So che Matt è nel giro del traffico della
cocaina, probabilmente ha legami con la camorra. - Magari invece ce ne
andiamo tutti e due in Messico… - Sì, a prendere il sole
sulla spiaggia senza fare un cazzo. Adesso però, mentre andiamo a casa, ti guadagni
anche tu la giornata: usa un po’ la bocca, perché io non ce la faccio più. Herman potrebbe dire che si è già guadagnato la giornata con Mountain Bear, ma ormai è entrato nella parte del buon samaritano, per cui si china su Rod, abbassa la lampo e tira fuori il randello, già teso al massimo. Poi si mette al lavoro, mentre Rod guida nella notte verso casa. Matt telefona il mattino
verso le nove. - Rod, tu parti questo
pomeriggio per Napoli. Rod sorride, ma si finge
scazzato: - Questo pomeriggio?! Cazzo! Devo almeno preparare i bagagli: non sto mica
via una settimana. - Non so se la polizia
arriverà a te, probabilmente no, ma gli amici di Mountain Bear potrebbero
risalire a te molto in fretta e venirti a trovare magari questa stessa sera.
È meglio che tu non sia a casa tua quando ci arrivano loro. - Merda. - D’accordo? - Non mi sembra di avere
molta scelta. - Esatto: nessuna. - Va bene. A che ora
parto? - Devi trovarti a St Pancras alle 15 e parti per Parigi. Vengo io: preferisco che
nessuno degli altri sappia. Meno gente sa, meno rischi ci sono. - Grazie, Matt, sei un
amico. - Io avrò già il biglietto
per Parigi. Poi ti prendi un treno per Roma e Napoli. Nessun biglietto aereo,
nessuna traccia. OK? - Va bene. - Alla stazione ti spiego
che cosa dovrai fare quando arriverai a Napoli. - OK. Mi preparo. Herman ha ascoltato la
telefonata. - Merda! Mi sa che dovrò
sloggiare anch’io. - Sì, mi sembra di capire
che gli amici di Mountain Bear non siano proprio l’Esercito della Salvezza. Rod prepara i bagagli e
anche Herman raccoglie ciò che gli può servire se deve stare via per qualche
tempo. Mentre sono al lavoro,
arriva un’altra telefonata. Rod guarda il display. - Quello stronzo di Colton. - Anche lui dovrà pur
darti le istruzioni, no? Rod risponde: - Pronto. - Bene, Rod. Hai fatto
quanto dovevi. Suppongo che tu sia di partenza: la destinazione è Napoli, no? - Certo, com’è che lo sai? - Il tuo amico manda ogni
tanto qualche lottatore a Napoli: è culo e camicia con alcuni camorristi,
pezzi grossi. Contavo su questo. Non mi risulta che abbia contatti con altre
città, almeno per quanto riguarda i lottatori. Per il resto, ne ha un casino,
perché collabora nel traffico di cocaina, di puttane, di lottatori, di armi,
forse anche di organi. Non so se c’è qualche traffico illegale in cui non sia
coinvolto. Rod grugnisce: - OK. Sei soddisfatto,
spero. - Certo. A Napoli non
abbiamo un nostro uomo, ma ce ne sono a Roma e uno a Taranto. Puoi rivolgerti
a loro, in caso di necessità. Non credo che farai fatica a procurarti
un’arma, ma se fosse necessario, ci pensano loro. Colton fornisce i riferimenti, che Rod
memorizza. - E nel caso improbabile
che tornassi vivo, mi ammazzano gli amici di Mountain Bear appena metto piede
a casa mia, suppongo. - No, di quelli mi occupo
io con Herman. Passamelo. - Va bene. Rod passa il cellulare a
Herman, che viene convocato in ufficio da Colton
alle quattro. Dopo aver riattaccato, Herman dice: - Ti lascio in stazione e
vado da Colton. - Fottilo anche da parte
mia. - Non intendo provarci. Al
massimo gli spacco la faccia. - E il culo, con un mitra. - Sarebbe una buona idea. * Herman è arrivato
puntuale. Seduto davanti a Colton, lo guarda e
pensa che vorrebbe farlo secco. Rod dev’essere già
in viaggio per Napoli, dove ha buone probabilità di finire ammazzato. Il
tutto perché a Colton piace prenderselo in culo, ma
si sente in colpa. Merda! Colton ha assunto un’espressione molto
professionale. Posa la sigaretta sul bordo del portacenere e incomincia: - Ivan Kuprina,
noto tra i lottatori come Mountain Bear, era un affiliato della mafia russa.
I suoi genitori emigrarono in Inghilterra quando si sciolse l’URSS. All’epoca
Ivan aveva due anni. La famiglia si stabilì a Birmingham e per qualche anno
non ci furono problemi. Poi il padre perse il lavoro e si mise a bere, la
madre se ne andò con un altro uomo e Ivan si trovò abbandonato a se stesso.
Finì in riformatorio e poi in carcere e qui venne contattato da una delle
cosche mafiose russe più potenti, che gestisce affari ad altissimo livello.
Uno come Korzuchin collaborava con loro, per darti
un’idea. Herman pensa che è stato proprio quando ha eliminato Korzuchin
che ha conosciuto Rod, all’aeroporto. Il pensiero riaccende la sua rabbia nei
confronti di Colton, ma non dice nulla. Il vice dei
servizi segreti prosegue, senza badare al silenzio ostile di Herman: - Questa cosca agisce in
diversi paesi europei ed esiste una colonna anche qui in Inghilterra. Le
varie reti nazionali sembrano avere una struttura a compartimenti stagni: sono divise in tanti gruppi di tre o quattro uomini e ogni
gruppo non sa nulla dell’attività degli altri. Ognuna di queste cellule
dipende da un capo, che a sua volta dipende direttamente dal responsabile
dell’organizzazione nazionale, ma non ne conosce il nome e l’indirizzo: ha
solo un numero di cellulare a cui mandare un SMS per richiedere un contatto.
Questo è il motivo per cui è molto difficile smantellare l’organizzazione,
anche se alcuni membri sono stati catturati. Colton fa una pausa e tira due boccate. Herman
continua a tacere. - Gli amici di Mountain
Bear vorranno vendicare la sua morte, anche se credono che si sia trattato di
un incidente. A quest’ora sanno già dove abita Rod: gliel’abbiamo fatto
sapere noi. - Che cazzo dici? Colton tira un’altra boccata, fa un mezzo
sorriso e spiega: - Inutile perdere tempo.
L’hanno scoperto oggi, senza fatica, quindi ci andranno questa sera. Li
becchiamo, li costringiamo a confessare chi è il capo della loro cellula. A
questo punto facciamo fuori anche lui e nessuno dell’organizzazione saprà che
cosa è successo. - “Li becchiamo, li costringiamo…”, di chi stai parlando? Di me e di te? - No, di una squadra che
ho mandato sul posto. Sei uomini che sono già a casa vostra. - Senza neanche dirmelo? E
che cazzo… Colton fa un gesto con la mano, come a
scacciare un insetto fastidioso. - Non perdiamo tempo con
queste cazzate, Herman. Quei tre o quattro uomini devono sparire,
costituiscono una minaccia per te e per Rod. Ma non me ne frega niente di
loro. Herman digrigna i denti:
prima Colton manda Rod a farsi ammazzare a Napoli,
poi pensa alla sicurezza di loro due. Probabilmente perché quando un agente
muore la Signora, a capo dei servizi, controlla tutto quanto è stato fatto e Colton potrebbe prendersi una lavata di capo per non aver
preso le misure necessarie per la protezione di due agenti. - Quindi mi hai chiamato
solo perché non fossi a casa? Avevi paura che non vi aprissi la porta? Colton fissa Herman: - Ti ho chiamato perché
hai un compito da svolgere. Colton tira una boccata e riprende: - Ti ho detto che i membri
della banda non conoscono il capo. Colton fa una pausa teatrale. Herman lo manda
mentalmente a farsi fottere. Poi Colton riprende: - Noi lo conosciamo e
sappiamo dove sta. - E perché non lo
arrestate? - Perché Fiodor Ivanovic Lebedev è un addetto all’ambasciata russa a Londra, di
altissimo livello. In quanto diplomatico, non può essere arrestato, anche se
sappiamo che è stato lui a organizzare l’attentato a Waterground.
Potremmo espellerlo, ma il suo posto sarebbe preso da un altro. - Devo farlo secco io? È
questo il mio compito? - Sì. Devi ammazzarlo,
quando è a casa, non quando è all’ambasciata, in modo che noi possiamo
intervenire, affiancando la polizia nelle indagini: credo che tenga molti dei
documenti riservati all’ambasciata, per sicurezza, ma il suo cellulare e il
suo computer qualche informazione utile ce la daranno. Dopo la sua morte
verrà fuori il suo coinvolgimento in attività criminali e tutti penseranno a
qualche banda rivale. Dopo una nuova pausa, Colton prosegue: - Adesso è in Russia. Pare
che ieri sera abbia cenato con Putin. - Con Putin? - È un suo grande amico. - Ma che cazzo… Perché non è lui l’ambasciatore, allora? - Perché così è molto più
libero di muoversi. Comunque tra una settimana sarà qui. Dovrai trovare il
momento adatto. Ovviamente la sua villa di Bishops
Avenue è una fortezza sorvegliata da una ventina di guardie del corpo e Lebedev viaggia sempre in auto blindata. - Si prospetta un’impresa
molto semplice. Colton spegne la sua sigaretta. - Vedi come fare e poi mi
dici di che cosa hai bisogno. Non voglio però coinvolgere altri uomini
nell’azione. - Va bene. Uscendo dall’ufficio,
Herman si chiede se Colton non voglia eliminare
anche lui, ma non gli sembra probabile. Herman va a dormire in
albergo: da quando vive con Rod, non ha più un appartamento a Londra. Quando
il mattino dopo Colton gli dà via libera, torna a
casa. Tutto sembra in ordine, anche se sicuramente almeno due sedie sono
state spostate. La sera al telegiornale danno la notizia del ritrovamento di tre cadaveri
crivellati di proiettili a un centinaio di miglia dalla casa di Rod. Due
russi e un inglese. Un’esecuzione spietata. Di certo una guerra tra bande
mafiose, i tre avevano precedenti penali. Un quarto russo è stato
assassinato a Londra, nel suo appartamento vicino ai giardini di Kensington. Non si sa se ci sia qualche legame tra questi
omicidi. Farage e altri politici tuonano contro gli
immigrati che sono tutti delinquenti. * Rod cammina per Napoli. Sono
quattro giorni che è arrivato, con due valigie. Alloggia alla pensione del
Sole, non lontano dalla stazione. Non è un gran posto, ma deve fingersi a
corto di mezzi. Aspetta di essere
chiamato, come gli ha detto Matt, ma nessuno si è fatto vivo. Rod passa le
giornate camminando per la città o steso sul letto, a guardare la
televisione, così ripassa anche un po’ d’italiano. La sera si infila in
qualche cinema e dopo va a caccia. Qualche volta non ne ha bisogno, perché ha
già trovato una preda al cinema. Sente Herman ogni giorno, ma non fanno
riferimento alla missione: deve sembrare una semplice telefonata tra amici –
o amanti. La telefonata che aspetta
arriva mentre Rod cammina sul lungomare di via Caracciolo. - Rod. - Sono l’amico di Matt. Mi
ha detto che parli italiano. - Sì. - Dove alloggi? Rod ci scommetterebbe la
testa che quelli sanno benissimo dove lui alloggia (e non rischierebbe di
finire come Luigi XVI). Ma risponde come se davvero non lo sapessero: - Alla pensione del Sole. - Va bene. Saremo lì alle
sette. - D’accordo. - Arrivederci. Buono. Era ora che si
facessero vivi. Rod ha voglia di fare qualche cosa. Sono quasi le sette quando
bussano alla porta. Rod va ad aprire. Ci sono due tizi: uno sembra il
classico piazzista, sorriso a 32 denti e pancetta; l’altro, alto e magro, ha
l’aria dell’impresario di pompe funebri. Rod è un po’ stupito: la signora
Rosa, proprietaria della pensione, non permette agli ospiti di ricevere
qualcuno in camera - Rod lo sa perché ci ha provato, voleva far salire uno svedese
incontrato per strada, naturalmente solo per farsi insegnare un po’ di
svedese. La signora tiene molto al buon nome della pensione. Ma in questo
caso non ha avuto nulla da ridire. Si vede che i due hanno buoni argomenti. Il piazzista tende la mano
e si presenta. - Ciao, Rod, sono Vito. Matt ci ha detto che sei molto forte. Rod scrolla le spalle,
mentre si sposta per fare entrare i due ospiti nella camera. - Me la cavo. L’impresario delle pompe
funebri non tende la mano, non si presenta e non apre bocca. Rimane in piedi
in un angolo, mentre Vito si siede sull’unica sedia e Rod sul letto. - Amici nostri si occupano
di organizzare incontri di lotta come quelli che facevi tu in Inghilterra. - Pagano bene? - Se uno è bravo, sì.
Prima di fare un’offerta vogliono vederti lottare. - Va bene. - Possiamo organizzare un
incontro giovedì. C’è anche un altro lottatore che vorrebbe entrare nel giro.
Per questo incontro non ricevi niente, ma se vediamo che sei bravo come dice
Matt, incominciamo a fare sul serio. - Basta che non ci
mettiamo un anno. Devo campare. - Non ti preoccupare, di
incontri se ne fanno tanti, a livelli diversi. Vito fornisce i dettagli,
poi i due se ne vanno. L’impresario delle pompe funebri non ha detto una
parola. Rod si stende sul letto e rimane
a guardare il soffitto. Uno scarafaggio cammina sulla parete. * Ci sono diverse case vuote
in Bishops avenue. Alcune vengono ristrutturate,
altre invece sono del tutto abbandonate. La villa di fianco a quella di Lebedev è disabitata e risulta essere in vendita. Herman decide che è ora di
rifarsi il guardaroba. Un pomeriggio a Bond Street gli permette di
presentarsi in tenuta da perfetto gentleman alla Knight
Frank, l’agenzia immobiliare che vende la villa vicino a quella di Lebedev. Dopo le presentazioni,
seduto comodamente in un elegante ufficio, Herman illustra le sue esigenze: - Sì, come le dicevo per
telefono, mio zio vive da molti anni a New York, ma ha deciso di tornare in
Inghilterra. Negli States non si trova più bene,
voglio dire, lo hanno votato di nuovo, un paese governato da un negro… insomma… e poi quel
sindaco, come si chiama? un italiano, con la moglie lesbica pure, insomma:
indecoroso, pure il matrimonio gay, mio zio dice che
New York ne è piena, di gay, intendo, lui New York non la regge più. Gli
spiace abbandonare l’attico su Central Park, ci
stava bene, ma l’aria è diventata irrespirabile... L’agente della Knight Frank sorride cortese: magari non condivide le
presunte idee del supposto zio del sedicente gentiluomo che ha davanti, ma la
sua professionalità gli impedisce di fare osservazioni. Herman conclude: - Mio zio cerca una villa,
con un po’ di terreno intorno. Nulla di speciale, ma in un quartiere come si
deve. L’agente incomincia a
proporre alcuni edifici. Ma sono tutti troppo piccoli,
nemmeno 1500 metri quadrati di superficie, o in quartieri non abbastanza
eleganti (“Chelsea? Santo cielo, a Chelsea
ormai ci stanno cani e porci! Battersea? Ma non è mai stato un posto decente, quello!”) o il terreno non è
abbastanza esteso. A un certo punto Herman mormora, alquanto deluso: - Non avete niente di
meglio? Mi avevano segnalato la vostra agenzia come una delle migliori, eppure… L’agente ha capito le
esigenze del cliente. - Ci sarebbe una grande
villa a Bishops avenue, The Towers, con un bel
parco. L’agente tira fuori alcune
foto della casa e del giardino. La prima impressione di Herman è che la villa
sia stata disegnata da un architetto schizofrenico che aveva appena assunto
LSD dopo aver visto un film horror. Herman però annuisce. - Questa potrebbe andare,
forse. Sembra abbastanza grande. Quant’è? - 19.000 piedi quadrati. Herman decide che lo zio
può accontentarsi di 1800 metri quadri: in fondo per uno che neppure esiste è
uno spazio sufficiente. - E il giardino? È davvero
un parco o uno di quei posti che sembrano il cortile di una casa popolare? L’agente guarda la scheda
della casa e dice: - 40.000 piedi quadrati,
quasi un acro. - Sì, si potrebbe fare. La
posizione sembra buona. - È eccellente: The Bishops è una delle aree più esclusive di Londra. - Quanto chiedono? - Trentasei milioni di
sterline. - Forse un po’ cara, ma
credo che si possa prendere in considerazione. - La devo avvisare che la
villa è abbandonata da alcuni anni, per cui richiederà molti lavori di
ristrutturazione. Non so se suo zio… Herman lo interrompe: - In ogni caso mio zio
farà rifare tutto in base ai suoi gusti. Non è un problema. Quando posso
vederla? L’agente sorride e la
visita viene organizzata per il giorno seguente. Herman si presenta con un
altro abito elegante, ma il cambio di vestiario è stato fatica sprecata,
perché l’agente che lo accompagna non è lo stesso. È un tizio giovane, che si
chiama Tom Britten. Ha un bel sorriso e un bel culo, per quello che si può giudicare senza svestirlo.
Herman considera la possibilità di provare a togliergli gli abiti, solo per poter dare una valutazione oggettiva. Vista dal vivo la villa è
ancora peggio di come appare in foto. L’architetto
non aveva solo assunto qualche sostanza e visto un film horror, ma
probabilmente era in preda a delirio tremens e quando gli sono caduti a terra
i progetti di dieci ville diverse, li ha raccattati in disordine, magari
qualcuno anche al contrario: non c’è altro modo per spiegare un edificio
neogotico con un grande colonnato classicheggiante e cariatidi che reggono i
balconi, un dragone ad ali spiegate nel timpano, torri veneziane ai quattro
angoli e patio moresco all’interno, decorato con un mosaico di stile
ellenistico. Nell’ingresso vi sono due
scale monumentali, che conducono a enormi saloni e grandi stanze vuote. La
decorazione delle pareti è ovunque ricca di ori e ci sono anche diversi
affreschi, con scene all’aria aperta alla Watteau e
feste da ballo. Il tutto però è fatiscente: l’intonaco cade a pezzi e gli
affreschi si stanno deteriorando. - Dev’essere
un po’ che non ci abitano. L’agente sorride e dice: - L’ultimo proprietario,
uno sceicco, non ci ha mai abitato. L’ha acquistata vent’anni fa, l’ha fatta
sistemare e poi non ci è mai venuto. Fino a cinque anni fa c’erano due
guardie e due camerieri che se ne occupavano, poi lo sceicco ha fatto
togliere l’arredamento e licenziato il personale. - Sì, gli sceicchi sono
gente strana, come tutti gli arabi. Ricordo quando ero ospite dello sceicco
di Abu Hadar, un tipo davvero particolare…
un arabo, insomma. Capisci cosa intendo, Tom? Tom sorride e annuisce.
Probabilmente non ha capito, ma al cliente si dice sempre di sì (tranne
quando chiede uno sconto). Nel salone è rimasto il
lampadario, che dev’essere alto almeno quattro
metri: putti dorati sospesi in volo in un tripudio di gocce di cristallo.
Herman si guarda intorno: - Sì, gli arazzi qui ci
stanno. Mio zio ha sempre il problema di sistemare i suoi arazzi di van Aelst, quelli su disegni di
Raffaello. Dovrà creare un buon sistema di allarme, ma suppongo che anche lo
sceicco ne avesse uno. L’agente annuisce. - Penso anch’io. - Non puoi vivere in un
posto del genere senza un sistema d’allarme. Herman fa un giro completo
e insiste per salire su una delle torri, quella che affaccia sulla villa di Lebedev: in effetti dalla cima
si vede bene la villa vicina, con la piscina davanti e il parco su un lato. È
senz’altro un buon posto per appostarsi. Se la villa è un incubo
psichedelico, il parco è ormai un bosco, che del passato di giardino conserva
solo qualche traccia. - Sì. La villa mi sembra
interessante. Ne parlerò a mio zio. Tutto sommato Herman
potrebbe comprare la villa e mettere i milioni di sterline in conto ai
servizi, come ha fatto con gli abiti, ma teme che non gli
passerebbero la spesa. Perciò si accontenterà di tornarci di nascosto.
Prima di andarsene però
prova a sondare il terreno con Tom, davanti alla piscina. - Questa piscina è
l’unica, vero? - Sì, c’è solo questa, ma
come misure dev’essere una piscina olimpionica. Herman sorride: - Peccato che non ci sia
l’acqua: avrei fatto volentieri un bel bagno. Anche l’agente sorride: - Sarebbe stato piacevole. - E poi mi sarebbe
piaciuto prendere il sole nudo sul bordo della piscina. - Mica
male come idea. - Quello si potrebbe fare,
anche se non c’è acqua, no? O devi andare via presto, Tom? Il sorriso di Tom si
allarga. - Il cliente va sempre
accontentato. Herman si avvicina a Tom e
lo bacia sulla bocca. Poi, mentre la sua lingua si infila nella bocca di Tom,
gli sbottona la giacca e la fa scivolare a terra. Senza fretta, Herman
spoglia Tom, che lo lascia fare e interviene solo ogni tanto per agevolare
l’opera. Ora Tom è nudo e Herman è vestito di tutto punto. Herman stringe Tom
tra le braccia e palpeggia un po’ il culo (bello, come Herman ha colto a
prima vista, ma in fatto di culi – e cazzi – Herman ha sempre avuto un
notevole intuito, che l’esperienza ha affinato), mentre lo bacia di nuovo e
gli infila la lingua in bocca fino alle tonsille. Poi Herman volta Tom e si
inginocchia. Avvicina la faccia al culo (proprio bello) e lo mordicchia un
po’ di volte, provocando piccoli gemiti. Poi passa la lingua sul solco. Tom
geme più forte. Herman abbassa la lampo e ne estrae il cazzo, ormai pronto per l’uso. Si inumidisce due dita e stuzzica un po’ l’apertura, poi
spinge deciso l’indice dentro. Il dito affonda senza difficoltà e Tom geme di
nuovo, poi mormora: - Il preservativo, nella
tasca della giacca. Herman è sempre attrezzato
(un agente non può permettersi di andare in giro impreparato), ma prende
volentieri il preservativo di Tom: in fondo i servizi mica
gli pagano i profilattici, anche se li usa in servizio. Tom gli prende il
preservativo dalla mano, apre la bustina e la getta a terra, poi, sorridendo,
lo infila sul cazzo di Herman, srotolandolo con cura. Osserva ammirato la sua
opera (e soprattutto ciò che ricopre), poi si volta e si appoggia al muro,
abbassandosi un po’ e divaricando le gambe. Herman ammira ancora una volta il
bel culo che sta per prendere e poi incomincia a premere, finché la cappella
forza l’apertura. Dà un attimo di tregua a Tom, poi spinge in avanti, con
lentezza, finché la sua arma non scompare completamente dentro il culo
dell’agente immobiliare (un bel culo, come forse si
è già detto). Una nuova pausa permette a Tom di abituarsi all’ingombrante (ma
assai benvenuta) presenza, prima che Herman passi all’azione. Un’azione lunga
e potente, ma il nostro agente è esperto e ci sa fare, con tutti i generi di
armi (proprie e improprie) che ha modo di usare. Tom si sente trasportare in
paradiso (e in effetti ogni tanto vede anche le
stelle), mentre Herman assapora il calore del fodero di carne che avvolge la
sua spada. Herman passa una mano
davanti, stringe con delicatezza i gioielli di famiglia di Tom (Rod sarebbe
stato molto più brusco), poi risale al cazzo, bello teso, e incomincia a
lavorarlo con gusto e decisione. Non ci vuole molto perché Tom lanci un urlo
(tanto nessuno può sentire) e venga con un fiotto che sale in alto e ricade sul
muro. Herman accelera le sue spinte e poco dopo viene, abbandonandosi sul
corpo di Tom. Rimane un attimo
abbracciato a Tom, poi si stacca, si sfila il preservativo e lo getta nella
piscina, il cui fondo è coperto di foglie secche e vari detriti. Poi Herman si spoglia e
tutti e due rimangono un momento a prendere il sole. Prima di andarsene fanno
un bis, ma questa volta Tom usa la bocca. * L’incontro è in una
vecchia autorimessa abbandonata, a cui si accede da un bar. Vito dà a Rod le
istruzioni di base, poi lo fa entrare nella sala. Ci sono almeno quaranta
uomini e neanche una donna. In Inghilterra, qualche donna c’è quasi sempre,
anche se il pubblico è costituito soprattutto da maschi. Subito dopo Rod arriva il
suo avversario, Gennaro. È alquanto ben piantato, ma
Rod ha l’impressione che, per quanto forte, non sia un avversario davvero
temibile. I due si studiano, poi Gennaro attacca vibrando un calcio e poi
assestando una scarica di pugni. Rod scansa il calcio, ma si becca due pugni
al petto. Cazzo! Gennaro mena duro. Rod arretra, poi, quando Gennaro attacca
nuovamente, cerca di afferrargli una gamba e farlo cadere, ma anche questa
volta non ci riesce. È Gennaro invece a mollargli una scarica di pugni al
ventre, che costringono Rod a piegarsi in due per il dolore. A questo punto
un calcio ben assestato manda a terra l’agente. L’incontro sembrerebbe finito
e il pubblico incoraggia Gennaro a farla finita con l’Inglese (il nome di
battaglia di Rod). Devono aver tutti scommesso su Gennaro, che certamente è un
avversario ben più forte di quanto sia sembrato a Rod sul momento. Quando però Gennaro fa per
sedersi sul torace di Rod, per colpirlo in faccia, Rod fa un movimento brusco
che sbilancia Gennaro, facendolo cadere di lato. Rod gli è addosso e i due
rotolano avvinghiati, cercando di colpirsi. Rod riesce a liberare un braccio,
mentre blocca la testa di Gennaro, e incomincia a colpirlo in faccia. Gennaro
cerca di liberarsi, ma non ci riesce. Il sangue schizza dal naso e da un
labbro spaccato. Rod continua a menare, finché Gennaro si arrende. Rod si alza. Gennaro
rimane a terra, respirando a fatica. Anche Rod ansima, la faccia, il ventre e
i coglioni sono doloranti e dal naso gli cola un po’ di sangue. Il
pubblico urla,
insultando Gennaro. Vito accompagna Rod nel
locale che serve come spogliatoio. - Sei bravo, Rod. Matt ce l’aveva detto. Rod annuisce. - Anche quello lì però non
scherzava. Vito sorride. - Per il primo incontro
mettiamo sempre qualcuno di forte: ci permette di valutare quanto è bravo il
nuovo lottatore e, se è davvero bravo, come te, qualche amico si fa un bel
gruzzolo con le scommesse. Rod ha aperto la doccia e
si è calato i pantaloncini, mettendo in mostra la sua attrezzatura. Il cazzo
è perfettamente in tiro e Vito emette un sonoro fischio. Rod si limita a
dire: - Lottare mi fa spesso
questo effetto. Poi si mette sotto
l’acqua. Vito annuisce e torna nella sala. * Herman ha parcheggiato in
una via laterale. Controlla che non ci sia nessuno, poi scende dall’auto e
prende la custodia del violino, in cui è nascosto il fucile. Fatti pochi
passi, scavalca il muro e raggiunge la villa. Sale
sulla torretta da cui si vede l’abitazione di Lebedev
e si apposta. È l’ora in cui Lebedev torna a casa e in effetti
a un certo punto si nota un certo movimento: alcuni servitori vanno avanti e
indietro, diverse luci vengono accese. Ma Lebedev
non esce in giardino e non si vede nemmeno a una delle finestre. Herman non
ha fretta: prima o poi quello stronzo andrà pure nel parco a fare due passi o
deciderà di tuffarsi in piscina. Se non è oggi, sarà domani o un altro
giorno. Quando lo farà, sarà la sua ultima passeggiata (o il suo ultimo tuffo). Dopo tre ore trascorse in
osservazione, Herman nasconde il fucile in una delle cantine, dove sono
accatastate diverse masserizie. Lo lascia nella custodia del violino, che
mette dietro alcuni mobili: anche se non sono certamente molti i possibili
acquirenti che vanno a visitare The Towers, Herman non può permettersi di
correre il rischio che qualcuno trovi l’arma. Ma
tornare ogni giorno con il fucile non avrebbe senso: rischierebbe di dare
nell’occhio. * Questa sera Rod è al
quarto incontro. Ha battuto anche il secondo e il terzo avversario e ormai
dell’Inglese si incomincia a parlare nel giro. Su di lui circolano voci
diverse, senza che nessuno possa dire se corrispondano o
meno a verità. Rod ha conosciuto anche
alcuni di quelli che organizzano gli incontri, ma il suo punto di riferimento
è sempre Vito. - Bene, Rod, l’avversario
di questa sera non è da poco, ma sono convinto che ce la farai. Fai bella
figura, a guardarti c’è tutta la Napoli che conta. Rod ha qualche dubbio che
tra gli spettatori ci siano il sindaco e gli assessori, ma forse la Napoli
che conta è un’altra. Se quello che dice Vito è vero, è probabile che ci sia
anche il Mastino. Buono a sapersi. Rod entra nella sala. In effetti in prima fila è seduto l’uomo che Rod ha già
visto in fotografia, il suo bersaglio. Rod sa che non deve mostrare di averlo
riconosciuto: lui non dovrebbe nemmeno sapere che esiste, il Mastino. Ma
l’uomo che lo fissa ha uno sguardo talmente intenso, che Rod non riesce a
distogliere gli occhi per un buon momento, anche se vorrebbe guardare
altrove. Cazzo! Non gli era mai capitata una cosa
del genere, questo fottuto bastardo sembra passarti da parte a parte con lo
sguardo. Rod china la testa. La
faccenda gli dà fastidio. Sente ancora su di sé quegli occhi. L’avversario di Rod entra
in quel momento. Lo chiamano il Chitarrista e ha al suo attivo una lunga
serie di vittorie. Rod concentra la sua
attenzione sul suo antagonista. Non vuole che niente lo distragga dal
combattimento: il Chitarrista mena duro e una piccola distrazione può
significare una sconfitta. Lo scontro dura una
ventina di minuti e Rod prende una razione di botte come di rado gli è
capitato in vita sua, ma ne distribuisce quante ne riceve: Rod non ama
rimanere in debito, è molto generoso quando si tratta di distribuire pugni e
calci. Infine il Chitarrista finisce a terra e batte la testa. Rod ne
approfitta per saltargli addosso: l’avversario ora è bloccato completamente e
non riesce a liberarsi. L’Inglese ha vinto. D’istinto Rod guarda il
Mastino. Gli sembra di leggere un’ombra di sorriso sul suo viso. Il Mastino si alza e se ne
va, seguito da quattro uomini. Due giorni dopo Rod riceve
una telefonata da Vito. C’è qualcuno che vuole vederlo, un personaggio molto
importante. Rod sa che è il Mastino. Non potrebbe spiegare perché ne è
sicuro. È vero che, da quel che gli risulta, il Mastino controlla il giro
delle lotte clandestine e Vito lavora per lui. Ma non è quello a dare la
certezza a Rod. È lo sguardo che hanno scambiato l’altra sera. O forse
sarebbe più esatto dire: il modo in cui lo guardava il Mastino l’altra sera.
Rod avverte un brivido lungo la schiena mentre ripensa a quegli occhi. Rod accetta: sa che non
potrebbe fare altro, ma è a disagio all’idea di rivedere quell’uomo. È notte fonda quando Vito
e Ciro passano a prendere Rod. - Rod, dobbiamo bendarti. - E perché mai? - Non devi vedere la
strada. Rod storce la bocca. - Da chi cazzo mi portate? - Da don Salvatore, l’uomo
più potente di Napoli. Rod ha previsto giusto: è
il Mastino che vuole vederlo. Rod avverte di nuovo un brivido corrergli lungo
la colonna vertebrale. Che cazzo gli succede? Dice a Vito: - Fa’ quel che cazzo vuoi. Vito benda Rod e l’auto si
avvia. Nel buio, Rod cerca di capire che cosa gli sta capitando. Il Mastino è
il suo bersaglio, l’uomo che deve uccidere. È una buona cosa che lo portino
da lui. Deve entrare in contatto con Salvatore Gargiulo
per fotterlo. Ma Rod ripensa a quegli occhi, a quello sguardo ipnotico, e si
sente gelare. Merda! Vito insiste: - Bada a quello che dici
quando sei davanti a lui, Inglese. Don Salvatore nu'
è doce e’ zucchèr. Rod non capisce, ma non
gliene fotte un cazzo. Vito dice ancora qualche cosa ogni tanto,
ma Rod non gli dà retta, si limita a rispondere a monosillabi. L’auto rallenta, poi
riprende, ma procede piano. Quando infine si ferma e Vito toglie la benda a
Rod, sono dentro un garage. Una scala interna li porta in una stanza, dove si
trovano due uomini. Rod viene perquisito, poi la guardia apre una porta,
mostrando un’ampia stanza vuota, e gli indica una porta sulla parete opposta: - Quella porta là. Probabilmente il Mastino
non vuole che qualcuno dei suoi uomini decida di origliare quando lui parla
(o ammazza o scopa). Non lo farebbero, perché sanno che non la passerebbero
liscia, ma il Mastino preferisce che non siano indotti in tentazione. Appena Rod è entrato, la
guardia richiude la porta alle sue spalle. Rod attraversa la stanza e bussa
alla porta che gli ha indicato l’uomo. - Vieni avanti, Inglese. Rod apre la porta e la
chiude alle sue spalle. Il Mastino è seduto a una
scrivania, i piedi sul ripiano. Fuma un sigaro e lo guarda. Non dice nulla, non
gli fa segno di accomodarsi. Si limita a fissarlo. È uno sguardo inquietante,
che scava dentro, e Rod si sente a disagio. Che cazzo vuole quest’uomo? Il Mastino tira una
boccata, poi si toglie il sigaro di bocca e dice: - Sei qui perché hai
ammazzato un uomo nel tuo paese. Non è una domanda, il
Mastino non ha bisogno di conferme. Rod si limita a dire: - Sì. Potrebbe aggiungere che
non voleva ucciderlo, ma non gli sembra il caso: non perché sarebbe falso, ma
perché il Mastino non è certo il tipo da preoccuparsi per un omicidio. - Non era la prima volta,
vero? Questa domanda Rod non se
l’aspettava. È possibile che il Mastino sappia anche della rissa al Bluebird, quella in cui morirono i due magnaccia
giamaicani. Degli omicidi che Rod ha commesso nel suo ruolo di agente
segreto, il Mastino non dovrebbe sapere niente. Se invece ne fosse a
conoscenza, Rod potrebbe fare che comprarsi la bara. - No. Il Mastino annuisce. Era
quello che si aspettava di sentirsi dire. - Saresti disposto a
partecipare a uno scontro mortale? Rod cerca di scuotersi. - Che cazzo intendi dire? - Uno scontro in cui tutto
è permesso e uno dei due può rimanerci secco. - E perché dovrei
rischiare la pelle? Il Mastino sorride. Forse
non è nemmeno un sorriso, solo l’idea di un sorriso. - Se vinci avrai un
premio. - E se perdo il funerale
lo pagate voi. - Sì, nella discarica ti
portiamo noi, a nostre spese. Rod vorrebbe dire di no.
Non perché abbia paura dell’incontro: il pericolo non lo spaventa. Ma sente
che dovrebbe tenersi alla larga da quest’uomo, che ha una volontà troppo
forte, uno sguardo magnetico che inchioda. Ma è il suo bersaglio, non può
evitarlo, se vuole ucciderlo. Cerca di guadagnare tempo:
- E quale sarebbe il
premio? Di nuovo l’idea di un
sorriso. Rod vorrebbe prendere a schiaffi il Mastino. - Lo vedrai, se non ti fai
ammazzare. Non ha senso: rischiare la
pelle senza neanche sapere per che cosa. Ma Rod annuisce. Sa che non potrebbe
dire di no, non a quest’uomo che lo fissa e sorride, un sorriso di trionfo.
Il Mastino conclude: - Ti farò chiamare.
Domani, tra una settimana, tra un mese. Vai. Rod vorrebbe dire qualche
cosa, ma non saprebbe che cosa. Si volta e si dirige
alla porta. Sente lo sguardo del Mastino su di sé. Quando ha la mano sulla
maniglia si gira. Il Mastino lo sta fissando. Rod giurerebbe che sta
ghignando. Vorrebbe spaccargli la faccia. Ma quando è fuori e non sente più
quello sguardo su di sé, prova un senso di sollievo. Vito e l’autista lo
riportano alla pensione. Anche se è molto tardi, Rod non va a dormire. Ha bisogno
di camminare, di scrollarsi di dosso le sensazioni che gli ha
lasciato l’incontro con don Salvatore. Sono quasi le tre del
mattino quando incontra un uomo che lo fissa. Rod fa un cenno d’intesa:
almeno si toglierà il Mastino dalla testa per un po’. Ma anche mentre fotte,
gli sembra di sentire lo sguardo di don Salvatore sulla nuca. * Il telefono squilla mentre
Herman sta guardando un video della Falcon (Herman
sente molto la mancanza di Rod). - Domani sera c’è una
festicciola alla villa di Lebedev. - Va bene, Colton. - Mi farai sapere… se sei ancora vivo. - Non ci sperare, Colton. Non intendo
farmi ammazzare. Herman chiude la chiamata
senza dare a Colton il tempo di replicare. Ha
chiesto di essere informato di eventuali cene o feste da Lebedev.
Dalla torretta non si vede l’ingresso della villa, per cui non è possibile
colpire il bersaglio quando torna a casa. E quello stronzo non va mai in
giardino e in piscina: ma perché cazzo uno si compra una villa con giardino e
piscina, se poi non ci va mai? Domani sera per la festa
di sicuro useranno il giardino e la piscina, sempre che non piova: sarebbe il
massimo della sfiga. Herman potrebbe fare a
meno di andare alla villa, questa sera, ma decide invece di andarci e
fermarsi a dormire: probabilmente domani la sorveglianza intorno alla
residenza di Lebedev sarà intensificata e qualcuno
potrebbe notare il suo arrivo. * - È tutto chiaro, Inglese? - Sì. - Se ci riesci, lo
ammazzi. Se non ci riesci, lui ammazza te. - Ti ho detto che ho
capito. Rod ha capito benissimo, è
inutile che Vito insista. È un combattimento mortale. Non è solo che uno dei
due potrebbe crepare: uno dei due deve crepare. Rod
è fermamente intenzionato a non essere quello che se ne va con i piedi in
avanti, ma probabilmente lo è anche l’altro. L’auto si ferma. Sono
fuori Napoli, in un posto che Rod non ha mai visto. Entrano in una villa e
prendono una scala che porta ai sotterranei. C’è una sala piuttosto ampia. Ci
sono solo otto o nove sedie. Sono tutte occupate, salvo una,
messa più avanti rispetto alle altre. Rod sa benissimo chi verrà a
sedersi lì: quel figlio di puttana del Mastino. Rod si dice che deve fotterlo
in fretta, perché è l’unico modo per sfuggirgli. L’avversario di Rod arriva
poco dopo. Si direbbe arabo e in effetti un uomo che
gli si avvicina lo chiama Ahmed. Ha capelli e barba neri e una fitta peluria
gli ricopre la parte alta del torace, diradandosi più in basso. È robusto, ma
non sembrerebbe un avversario particolarmente temibile: eppure deve esserlo,
perché quel bastardo del Mastino non si accontenterebbe certo di un incontro
di basso livello. Rod guarda le mani del suo avversario: sono grandi e forti.
Quelle mani potrebbero strozzarlo, perché questa è la morte che attende uno
di loro (in realtà uno potrebbe anche sfondare la trachea all’altro o
sbattergli la testa contro il pavimento fino a sfondargli il cranio: ci sono
diversi modi di ammazzare un uomo senza usare armi). Il pensiero che ucciderà
questo sconosciuto o sarà ucciso da lui gli tende il cazzo,
ma Rod non vuole badarci. L’avversario non distoglie
lo sguardo da lui. Rod lo guarda e ghigna. Ahmed risponde sollevando la mano
con l’indice teso e facendola passare davanti alla gola. Sulle sue intenzioni
non ci sono dubbi. Ma Rod non ne aveva neanche prima. L’attesa si prolunga,
senza che nessuno dica nulla. Gli uomini seduti parlottano tra di loro. Rod
non guarda la porta, ma la sensazione che qualcuno lo sta fissando gli fa
capire che dev’essere arrivato il Mastino. E infatti subito tutti si alzano in piedi. Il Mastino si
siede e anche gli altri uomini riprendono il loro posto. Il Mastino guarda
Rod e Rod lo fissa, poi abbassa gli occhi. Non riesce a reggere quello
sguardo. Non gli era mai capitato. Merda! L’uomo che funge da
arbitro li chiama: - Inglese, Califfo,
preparatevi. Poi l’uomo dà il segnale. Ahmed, alias il Califfo,
si scaglia su Rod con velocità fulminea, sorprendendolo e scagliandolo a
terra. Gli salta addosso e cerca di bloccarlo, ma Rod resiste. Lottano a lungo a terra, Rod sulla schiena, in posizione
di svantaggio, il Califfo sopra. Rod legge negli occhi dell’avversario la
determinazione a ucciderlo. Rod riesce infine a
liberarsi, molla un calcio ai coglioni del Califfo, che però riesce a
spostarsi e rotola via. Si sono appena alzati, che nuovamente il Califfo
carica, ma questa volta Rod non si lascia sorprendere e sfrutta il movimento
dell’avversario per mandarlo a terra. Gli è subito sopra e gli passa un
braccio intorno alla gola, ma il Califfo gli afferra il polso, impedendogli
di stringere. Rod esercita una pressione crescente e sente che il Califfo
cede. Se riuscirà a vincere la resistenza, strangolarlo non sarà difficile. Il Califfo cede di colpo,
ma proprio mentre Rod sta stringendo, un brusco movimento lo sbilancia. Per
un momento lottano a terra, rotolando e bestemmiando, finché Rod si ritrova
sotto, a pancia in giù, con il Califfo su di lui. Questa volta è il Califfo a
stringere la gola di Rod con il braccio, esercitando una forte pressione. Rod non può liberarsi e sa
che sta per crepare: il Califfo lo strangolerà e il suo cadavere finirà in
qualche discarica. Rod non riesce più a
respirare. La vista gli si sta annebbiando. Guarda il Mastino, che ce l’ha duro (il rigonfio dei pantaloni non lascia dubbio
e lui non cerca di nasconderlo), ma non sembra contento. Il Mastino gli fa un
cenno, come per dirgli di darsi da fare. È assurdo, Rod ha fatto tutto il
possibile, era in gioco la sua pelle. Eppure quel cenno lo scuote. Ha un
guizzo disperato e nell’attimo in cui il Califfo allenta la presa Rod riesce
a girarsi e a sottrarsi alla stretta. La lotta riprende. Pugni e
calci raggiungono spesso il bersaglio. Tutti e due perdono
sangue dal naso (e Rod dal labbro inferiore). Rod ha
male ai coglioni, al costato, alla faccia, a una gamba. Ahmed non deve
cavarsela meglio. Rod approfitta di una
distrazione del Califfo per colpirlo con una testata. Il Califfo cade a terra
e batte violentemente il capo. L’attimo in cui rimane intontito dal colpo è
la sua fine: Rod salta su di lui, schiacciandogli le costole. Il califfo
lancia un urlo. Rod vibra due calci ai coglioni, strappando un altro grido al
suo avversario. Lo colpisce ancora alla tempia, poi lo volta gli si siede
addosso e incomincia a stringere il collo. Ahmed oppone una resistenza
minima, che svanisce in fretta. Rod continua a premere con le mani, anche
quando ormai è sicuro che il Califfo è un cadavere. Alza lo sguardo sul
Mastino. Allora lascia il collo del Califfo e si alza. Non cerca di
nascondere la potente erezione che crea un vistoso rigonfio nei pantaloncini,
né la macchia d’umido. Anche il Mastino è eccitato. Il Mastino fa un passo
avanti e gli dice, a bassa voce: - Adesso verrai da me, che
ti do il premio. Salvatore Gargiulo non sorride. Rod vorrebbe dirgli che intende
andarsene per i cazzi propri, ma annuisce e lo segue. Vito ha preso i vestiti di
Rod e li getta nel baule della sua auto, poi gli fa cenno di salire. Il
Mastino sale su un’altra macchina. Vito benda Rod, poi si
mette alla guida. - Sei stato bravo,
Inglese. Lo hai fottuto bene. Rod non dice nulla. Ha
l’impressione di avvicinarsi a un gorgo, uno di quei vortici che trascinano
un uomo a fondo e poi magari lo risputano fuori, ormai cadavere. Sa che a
casa del Mastino farà l’ultimo passo. Vito fa ancora due
tentativi di conversazione, ma Rod non risponde. A casa del Mastino Rod
viene fatto accomodare nella stanza della volta scorsa. I suoi abiti vengono
gettati su una sedia. Gli uomini del Mastino escono. Il Mastino guarda Rod e sorride, il suo sorriso tranquillo e strafottente. - Ora ti do il premio.
Spogliati, Inglese. Rod guarda il Mastino.
Potrebbe saltargli addosso e strangolarlo. Probabilmente il Mastino ha una
pistola e lo ucciderebbe. Ma non è questo pensiero a bloccare Rod. Il
mulinello d’acqua lo attira verso il fondo e ormai è tardi per cercare di
sfuggirgli. Non rimane che sprofondare. Rod si cala i
pantaloncini, mettendo in mostra il suo cazzo, teso allo spasimo. Il Mastino annuisce. - Appoggiati alla
scrivania, a gambe larghe. Rod deglutisce. Sa che cosa
sta per succedere. Non lo vuole, ma il gorgo lo ha inghiottito e non può più
sottrarsi. Esegue l’ordine. Il Mastino si spoglia. Rod
volta la testa a guardarlo. È un maschio forte, con un grosso cazzo. Uno di
quei maschi che Rod ama fottere. Ma questa volta sarà lui a essere fottuto. Il Mastino inumidisce la
cappella, sputa sul buco del culo di Rod e lo infilza con un movimento lento
e continuo. Non è la prima volta che
Rod viene inculato: lo hanno violentato in diverse occasioni. È la prima
volta che accetta del tutto liberamente di farsi possedere. Ma Rod sa
benissimo che anche questa volta non è libero di scegliere, che anche questo
è uno stupro, il peggiore della sua vita, proprio perché l’ha accettato. Rod affonda nel gorgo. Non
riemergerà. Non lo vuole neppure, perché il gorgo lo ha inghiottito
completamente. Non si esce vivi da un gorgo, si viene sputati fuori quando il
gorgo si vuole liberare del corpo. Il Mastino fotte con
metodo. Spinge a lungo, con un ritmo regolare, finché viene e Rod sente lo
sborro riempirgli le viscere: il Mastino non ha usato un preservativo. Il Mastino esce. - Puliscimi il cazzo,
Inglese. Rod guarda il Mastino
negli occhi, ma è solo un attimo. China la testa, si inginocchia ed esegue
l’ordine. Con cura pulisce il cazzo che lo ha inculato. Herman è al suo posto di
osservazione, sulla torretta. Ha dormito nella villa ieri sera. Come ha previsto, la festa si svolge anche all’aperto. Hanno
sistemato gli altoparlanti, che sparano musica a tutto volume, e adesso ci
sono parecchie persone vicino alla piscina: diverse donne nude, senz’altro
prostitute, e diversi maschi, che paiono tutti gangster. Si stanno creando
coppie, un uomo si è spogliato e balla nudo con una delle ragazze, un’altra
coppia si sta baciando. La festa sta avviandosi a diventare un’orgia. Herman dà un’occhiata ai
maschi presenti (quasi tutti con facce da delinquenti, il che a Herman non
spiace), ma quello che gli interessa è altro. Tra i tanti c’è ovviamente
anche il padrone di casa. Lebedev però non sta mai fermo
e intorno a lui si muovono diversi altri. Herman tiene Lebedev
nel mirino, ma ogni tanto una testa si frappone.
Sparando in queste condizioni c’è il rischio di colpire il bersaglio
sbagliato e perdere l’occasione. Prima o poi però Lebedev
starà fermo e allora… Herman è concentrato su
quanto vede, ma di colpo sente la pressione della canna di una pistola contro
la sua nuca. - Posa quel fucile,
stronzo. Herman si chiede come
abbiano fatto ad accorgersi di lui. Per un attimo pensa di sparare lo stesso
e compiere la sua missione prima di crepare, ma di sicuro ha un po’ spostato
il fucile e non può riprendere la mira ora. Herman toglie le mani dal
fucile, che viene subito afferrato. - Adesso mi spieghi chi ti
manda, stronzo. Herman si volta e fa per
alzarsi, ma un calcio violento lo manda a sbattere contro la balaustra.
Herman batte malamente la testa e il mondo svanisce in una fitta acuta. È qualche cosa di liquido
in faccia a svegliarlo. Herman si ritrova disteso sul pavimento della
torretta, ancora intontito dal colpo. Il tizio che l’ha colpito gli sta
pisciando addosso per svegliarlo e in mano tiene la pistola. - Ti sei svegliato, stronzo? Herman è perfettamente
sveglio, ma guarda il tipo, boccheggia e chiude di nuovo gli occhi,
reclinando la testa di lato. Sa benissimo di avere il 90% di probabilità di
essere arrivato al capolinea, ma se c’è il 10% di possibilità di giocare
ancora la mano, intende provarci. Il tizio ha finito di
pisciare. Afferra Herman per i capelli e tira. Herman vorrebbe urlare, ma continua
a fingere di essere semi-incosciente, socchiude appena gli occhi, apre la bocca, ma di nuovo richiude gli occhi e si
affloscia. Il tizio lo molla. In quel momento arriva un
secondo uomo. Herman si dice che le possibilità di uscirne vivo
ora non sono più dell’1%. Il cazzo gli si tende. - Cazzo, c’era davvero
qualcuno, Nikolaj! - Con un fucile, ‘sto stronzo! Mirava verso la villa. - Chi
cazzo è? - Non lo so, Jurij. L’ho colpito troppo forte. Non s’è svegliato
nemmeno pisciandogli addosso. - Meglio sparargli subito. - No, lo portiamo dal
capo. Gli tireremo fuori quello che sa. Herman voterebbe per la
seconda proposta, se gli chiedessero il suo parere, ma ritiene più saggio non
intervenire. - Sì, hai ragione, Nikolaj. - Io faccio ancora un giro
a vedere se c’è qualcun altro, anche se non credo. - D’accordo. Io rimango a
sorvegliare ‘sto stronzo. Nikolaj scende. Jurij
rimane a guardare Herman. Scuote la testa. Mormora: - Pezzo di merda! Il calcio arriva in
faccia. Herman sente una fitta al naso e alla bocca, ma emette solo un gemito
e rimane immobile. Il secondo calcio, ai coglioni, gli strappa un grido strozzato, ma Herman finge di essere ancora privo di
sensi. Due calci ancora alle costole. Se continua così,
il tizio lo ammazzerà. E il cazzo di Herman è teso come una lama. Jurij si sbottona i
pantaloni e gli piscia in faccia, poi si mette a guardare la festa nella
villa. Non bada a Herman, che è immobile a terra. Herman ha deciso il da
farsi. Il fucile è appoggiato contro la balaustra. Herman scatta rapidissimo,
malgrado il dolore che prova a ogni movimento:
afferra il fucile come una mazza e colpisce Jurij alla testa. L’uomo emette
un grugnito e si volta verso Herman, solo per ricevere un secondo colpo che
lo spinge oltre la balaustra. È un volo di tre piani. C’è un tonfo che si
sente appena, coperto dalla musica a tutto volume che viene dalla villa. Herman si sporge a
guardare. Il corpo di Jurij è una macchia scura sulle piastrelle. Herman guarda per le
scale: non sembra esserci nessuno. Herman riprende il fucile,
controlla che tutto sia a posto. Guarda verso la villa. Lebedev,
nudo come ormai quasi tutti i partecipanti, si sta
sedendo su una poltrona di vimini vicino alla piscina. Herman lo vede fare un
cenno con la testa a una delle donne, una bionda alquanto formosa. La ragazza
si mette in ginocchio davanti a lui e gli prende in
bocca il cazzo, incominciando a succhiare. Lebedev
sorride e chiude gli occhi. Perfetto: nessun rischio
che Lebedev faccia movimenti bruschi o che qualcuno
si metta di mezzo, dato che davanti c’è la piscina. Herman mormora: - Crepi mentre ti
succhiano il cazzo, Lebedev. Una bella fine. Nel mirino c’è esattamente
la fronte di Lebedev. Herman preme il grilletto.
Può vedere il foro aprirsi tra gli occhi del russo. Herman si alza in fretta.
Adesso deve pensare all’altro. Herman molla il fucile, su
cui non ci sono impronte (Herman indossa i guanti), prende
la pistola che Jurij ha lasciato cadere a terra e incomincia a scendere le
scale. Un debole chiarore entra dalle finestrelle. Herman sente i passi di
Nikolaj: sta salendo le scale. Herman si ferma in un punto completamente
buio. Nikolaj continua a salire.
Quando la luce proveniente da una finestrella lo illumina, Herman spara
cinque colpi. Nikolaj cade, scivola per due gradini, poi il corpo rimane
immobile. Herman scende, supera il corpo e si muove il più in fretta
possibile. Mentre attraversa uno dei
saloni, sente che la musica è cessata. Si ferma un momento e compone un
numero. Dice solo: - Lebedev
morto nella villa, due cadaveri nella casa a fianco. Chiude la comunicazione e
si lancia nel giardino. Sa che gli uomini di Lebedev
verranno, forse alcuni stanno già forzando il cancello o scavalcando il muro,
se hanno capito che il colpo è arrivato dalla villa. Herman raggiunge il punto dove
ha preparato l’occorrente per scendere in una strada laterale, in un punto in
cui non ci sono telecamere. Scavalca il muro. Non c’è nessuno in strada.
Herman si cala e cammina piano, come se non avesse nessuna fretta, fino
all’auto parcheggiata. L’apre, sale e mette in moto.
Quando si è allontanato,
si guarda nello specchio: ha sangue in abbondanza, colato dal naso e da un
labbro sulla faccia e sulla camicia. Accosta e si pulisce il viso, poi
riprende a guidare. Lascia l’auto in una via secondaria. Cammina per quattro
isolati e raggiunge un’altra auto, con cui si dirige verso casa. Il torace, il naso, il
labbro e i coglioni gli fanno male ed è sporco di piscio e sangue, ma è
soddisfatto: ha fatto la sua parte. * Il Mastino si accende un
sigaro, poi fissa di nuovo Rod. - Saresti disposto a
uccidere qualcuno per me? Rod non si aspettava la
domanda. Ha fatto altri due incontri, uno del giro e
uno estremo, uccidendo nuovamente il suo avversario, un australiano dai
capelli rossi. Il Mastino lo ha fottuto due volte,
una dopo l’incontro mortale, una in un altro momento. Poi lo ha rispedito
alla pensione dove alloggia ora: una sistemazione più confortevole anche se
certo non lussuosa. Rod passa i suoi giorni in attesa di essere chiamato. Non
va più a caccia, non telefona più a Herman. Ha buttato via la scheda del suo
cellulare, mettendo quella nuova che gli ha dato Vito. Sta affogando,
lentamente. Non cerca di risalire, non ha volontà propria. Anche se il
Mastino non si fa vivo per qualche giorno, Rod rimane ad attendere una
chiamata. Adesso il Mastino lo ha
convocato. Alla domanda, Rod non
risponde direttamente. Chiede: - Chi devo uccidere? La domanda non ha nessuna
importanza. Rod sa che lo farà. Vagamente spera che il Mastino gli dica che
si tratta di un giudice o un poliziotto e che questo gli dia la forza di
scrollarsi, di uscire dal gorgo. - Vito. Rod guarda il Mastino,
stupito. Rod non capisce perché il Mastino voglia uccidere uno dei suoi
uomini, perché voglia che a ucciderlo sia proprio lui. Rod non comprende, ma
annuisce. - Lo faccio entrare. Usa
questa corda. Il Mastino prende dal
cassetto una cordicella con un nodo scorsoio e gliela getta. Rod annuisce
nuovamente. Il Mastino prende il
cellulare e chiama uno degli uomini di guardia. Vito, che ha accompagnato Rod
dal Mastino, entra subito dopo. - Siediti, Vito, che
dobbiamo chiacchierare un po’, io e te, dell’Inglese. Vito si siede. Rod rimane
in piedi, dietro la sedia. - Non sono molto contento
dell’Inglese, Vito. Vito lancia un’occhiata a
Rod, che il Mastino ignora ostentatamente, e chiede: - Come mai, don Salvatore? - Frequenta gente poco
raccomandabile. Vito appare sconcertato.
Probabilmente è lui che si occupa della sorveglianza di Rod (quando non era
ancora sprofondato nel gorgo, Rod si era accorto di essere controllato) e non
ha notato niente di strano. Il Mastino prosegue: - Che cosa faresti, Vito, a uno che è in trattativa con i Greco? Anche se è un po’ dietro
di lui, Rod si accorge che a Vito manca il fiato. Rod non sa chi siano i Greco,
ma deve trattarsi di una famiglia rivale. E Vito certamente ha contatti con
loro. - Ma, don Salvatore, non
ho mai visto… non mi sono accorto… - So che è così. Che cosa
bisogna fargli? - Ma, don Salvatore, io… se l’Inglese ha fatto una cosa del genere… Vito si volta un momento e
guarda Rod, ma gira subito il capo. - Sì? Vito deglutisce. - Va ammazzato e gettato
in una discarica. - Hai ragione,
Vito. Il Mastino guarda Rod e
gli fa un cenno. In un lampo Rod passa la corda intorno al collo di Vito e tira
con forza, mentre una mano blocca Vito sulla sedia. La resistenza è breve.
Rod continua a tirare, anche quando non c’è più nessun tentativo di liberarsi
da parte di Vito. Quando lascia la presa, il cadavere si affloscia sulla
sedia. C’è un’ampia macchia umida sui pantaloni. Il Mastino annuisce. - Ora
spogliati, Inglese. Rod ubbidisce. Ha il cazzo
duro, come sempre gli succede quando uccide. Rod non aspetta l’ordine per
appoggiarsi alla scrivania, ma il Mastino dice: - No, butta a terra questo
pezzo di merda e mettiti su di lui. Rod esegue. Ora è sopra
Vito, che ha gli occhi spalancati, la lingua che sporge e il viso
congestionato. Il Mastino lo prende, ma questa volta, quando il Mastino viene
dentro di lui, anche Rod viene. È la prima volta che
viene quando qualcuno lo incula. Il gorgo lo trascina sempre più a fondo. Il Mastino guarda il seme
sul cadavere di Vito e ghigna. Prende da uno scomparto
una bottiglia di vino bianco e beve un bicchiere. Rod lo guarda, in silenzio.
Osserva il cazzo che lo ha penetrato. Il Mastino si siede. - Avvicinati, Inglese. Rod esegue. - In ginocchio. Rod si mette davanti alla
sedia e si inginocchia. - Bevi. Rod apre la bocca. Il
piscio del Mastino gli scende in gola. Quando ha finito, il Mastino dice: - Rimani lì. Il Mastino chiama il
figlio maggiore, Giovanni. Rod lo ha visto una volta sola, a un incontro. È
un uomo piuttosto massiccio, che assomiglia al padre. - Nino, l’Inglese ha
fottuto quell’infame di Vito. Giovanni annuisce. Il
Mastino prosegue: - Prenditi un bicchiere di
vino e siediti. Giovanni obbedisce.
Incominciano a parlare dei Greco, che avevano preso contatti con Vito. È
stato Giovanni a catturare l’uomo dei Greco e a farlo parlare, prima di
ammazzarlo. I due Gargiulo
parlano come se Rod, inginocchiato ai piedi del Mastino, fosse solo un cane.
Discutono a lungo, bevendo vino. - Inglese, apri la bocca. Rod esegue e il Mastino
gli fa bere di nuovo il proprio piscio. - Se devi pisciare, Nino, l’Inglese è a tua disposizione. - Perché no? Rod guarda il Mastino, poi
si sposta. Mentre il piscio di Nino gli scende in gola, si chiede che cazzo
sta facendo. Ma sulla nuca avverte lo sguardo del Mastino. Il Mastino conclude: - L’Inglese ha fatto un
buon lavoro. Adesso, per ricompensarlo, che ne dici di metterglielo in culo?
Gli piace. Stenditi sul cadavere, Inglese. Rod obbedisce. Nino abbassa i pantaloni e
lo infilza con una spinta decisa. Rod stringe i denti. * Sono due settimane che Rod
non si fa vivo e non risponde al telefono. Herman contatta Colton. - Hai notizie di Rod? - No. - Non si è più fatto vivo. - Non so che dirti. Il tono di Colton è freddo, impersonale, come se si trattasse di una
faccenda priva di importanza. - So che cosa dirti io, Colton: che sei un maledetto bastardo. Lo hai mandato a
crepare. Colton si sforza di mantenersi impassibile. - Era una missione da compiere, Herman. - Potevamo compierla
insieme, come sempre. Tu volevi che crepasse. - Cerca di ragionare Herman… Herman non lo lascia
finire. Sbotta: - Stronzo! Colton tace un attimo, poi dice: - C’è un lavoro da
svolgere in Messico, Herman. Penso che tu sia la persona giusta. - Non mi muovo finché non
so che cosa è successo a Rod. - Herman, non… - Crepa! Herman riattacca, furente.
Colton scuote la testa. * Salvatore Gargiulo ha fatto trasferire Rod dalla pensione alla
villa dove vive. Ora Rod dorme in una delle camere delle guardie del corpo e
trascorre le giornate con il Mastino, seguendolo come un cane segue il padrone. Ha ancora fatto
un incontro del giro clandestino, vincendolo. Il Mastino lo fotte
spesso, quasi tutti i giorni, e ogni tanto lo offre
anche a Nino. Rod percepisce che qualche cosa è cambiato
nel suo padrone (perché tale è ormai il Mastino): da qualche tempo don
Salvatore sembra covare una rabbia sorda, che a tratti esplode e prende di
mira Rod. Allora il Mastino cerca nuovi modi di umiliare il suo schiavo. Rod
non capisce. Oggi Rod ha accompagnato
il Mastino a una delle fattorie di sua proprietà (intestata a un prestanome,
come quasi tutto): qui allevano cavalli e don Salvatore vuole assistere alla
marchiatura di un puledro. Il Mastino guarda l’uomo
che ha posato sulla brace il marchio, una S e una G
intrecciate. Sorride e dice: - Quello è il mio marchio. Rod guarda affascinato
l’uomo che afferra il marchio, si avvicina al puledro e con un movimento
sicuro appoggia il ferro rovente su una coscia dell’animale. Si sente l’odore
del pelo e della carne bruciata. L’animale nitrisce. Il Mastino dice: - Ora è davvero mio, per
sempre. Rod annuisce. Guarda
affascinato il fumo che sale dal marchio, la sbarra rovente. Il Mastino guarda Rod.
Sorride. - Potrei marchiare anche
te, no? Rod fissa il Mastino. Le parole gli sfuggono
dalle labbra: - Marchiami. Il Mastino non sembra
stupito. - Giuseppe, c’è un’altra
bestia da marchiare. L’uomo guarda perplesso il
suo padrone e chiede: - Quale, don Salvatore? Il Mastino indica con la
testa Rod. Giuseppe non mostra sorpresa: si limita a mettere di nuovo il
marchio sul fuoco. Don Salvatore dice: - Spogliati, Inglese. Rod si toglie la camicia. Il Mastino dice a
Giuseppe: - Riscalda bene il ferro.
Glielo fai sul petto. - Come desidera,
don Salvatore. Rod guarda il ferro sul
fuoco, impassibile. Sente su di sé lo sguardo del Mastino. Ma ormai è da
tempo in fondo al gorgo. Giuseppe si avvicina brandendo
il marchio. Lo poggia con un movimento sicuro sul pettorale destro. Rod si
sforza di rimanere immobile, nonostante il dolore violento. Sente l’odore
della carne bruciata. Giuseppe toglie il ferro. - Nella scuderia, puledro. Il Mastino si avvia nella
scuderia. Rod lo segue. Il Mastino fa solo un
cenno. Rod si cala i pantaloni e si appoggia allo steccato di uno dei box. * Passano altre due
settimane. Herman telefona a Colton e lo informa
che andrà a Napoli. A Colton
l’idea dà fastidio. - Io non posso impedirti
di andarci, ma non ti ci mando. - Non mi ci mandi? Uno dei
tuoi uomini è scomparso in una missione che gli hai affidato tu e non ti
chiedi che cosa gli è successo e non ti preoccupi nemmeno che qualcuno la porti
a termine, questa missione, che era così importante? Dentro di sé Colton bestemmia. Sa che Herman ha ragione: se la
missione è così importante, bisogna portarla a termine. E in ogni caso
bisogna capire come e perché un agente è scomparso in servizio. Ma Colton vorrebbe non sapere più nulla di Rod e di Napoli. Herman aggiunge: - Sei un figlio di
puttana, Colton. - Merda, Herman, con te è
impossibile ragionare. Vai a farti ammazzare anche tu, a spese dei servizi,
beninteso. Se ti fa piacere, non ti trattengo… - Fanculo,
Colton. È meglio per te se da Napoli non torno. Anche questa volta Herman
riattacca senza dare a Colton il tempo di
rispondere. Colton sbuffa e mormora: - Sì, fatti ammazzare
anche tu, che è meglio. * Rod stringe i denti mentre
il Mastino lo incula. Lo fa con una spinta violenta e il dolore è feroce.
Ormai il Mastino lo prende tutti i giorni e Rod ha l’impressione che ogni
volta ci sia più rabbia, una furia cieca che mira a distruggere Rod. Con un movimento
improvviso, il Mastino gli spegne il sigaro sulla coscia. Rod chiude gli
occhi, ma riesce a non urlare. Rod si chiede il perché di
questa violenza: fino a una quindicina di giorni fa non era così. Prima il
Mastino lo prendeva come un qualunque oggetto di sua proprietà, di cui poteva
disporre a proprio piacimento, quando ne aveva voglia. Lo fotteva come beveva
un bicchiere di vino o fumava un buon sigaro, che poteva condividere con il
figlio o con un amico. Adesso, in questo fotterlo ogni giorno, c’è rabbia,
una furia crescente. Rod non trova una
risposta. E poi, di colpo, intuisce:
anche il Mastino sta sprofondando in un gorgo. Di lì viene la sua rabbia.
Succede che un uomo trascinato in basso da un mulinello si aggrappi
disperatamente a un altro e lo porti alla morte. In qualche modo Rod sta
trascinando don Salvatore verso il fondo e la furia con cui il Mastino lo
fotte nasce dalla consapevolezza di questo. E per la prima volta Rod
ha l’impressione che la presa che lo tiene sul fondo si stia allentando. Dopo averlo fottuto, il Mastino dice: - C’è un altro stronzo che
devi fottere, Inglese. Rod annuisce. - Un incontro mortale, don
Salvatore? - No, lo devi ammazzare
nel suo albergo, domani mattina. Il Mastino ride e
prosegue: - È un inglese. Rod si chiede se il Mastino
non voglia che lui si ammazzi. Qualche ora fa forse l’avrebbe fatto. E
adesso? Rod non lo sa. Il Mastino prosegue: - Pensiamo che sia un
agente inglese. Bisogna farlo fuori. Rod non ha voglia di
ammazzare un ex-collega, ma non dice nulla. - In queste
due foto quello stronzo si vede benissimo. In
effetti lo stronzo si
vede benissimo: è Herman. Rod ha cancellato Herman
dai suoi pensieri. Più volte Herman è ritornato in
un sogno, ma di giorno mai: Rod si rifiuta di pensare a lui. Prima, in un altro tempo,
un’altra vita, Rod ha spesso pensato che gli sarebbe piaciuto uccidere
Herman. Ucciderlo mentre lo fotte. Il Mastino guarda Rod e
dice: - Andrai con Raffaele. Raffaele è il secondo
figlio maschio del Mastino. - Come lei vuole, don Salvatore. * Herman si è alzato da poco
e sta facendo la doccia nella sua camera d’albergo. Sta chiedendosi se ha
ancora senso continuare a cercare Rod. Se è vivo e non risponde al telefono e
non l’ha più cercato, è perché per qualche motivo non vuole più parlargli. Se
è morto, non c’è più niente da fare. Herman sa benissimo che si
sta esponendo troppo: si è dimostrato curioso e qualcuno può aver sospettato.
Non ha mai chiesto di Rod, ma ha cercato di assistere a qualche incontro
clandestino. Ne ha visti due, ma di gente che valeva poco: roba da turisti
che vogliono vedere la Napoli della malavita e a cui viene offerta una
camorra da cartolina, con selfie insieme ai
lottatori alla fine dell’incontro. Herman ha continuato a
insistere. Troppo. In tre settimane a Napoli non ha ottenuto nulla, se non,
con ogni probabilità, di destare sospetti. Herman esce dalla doccia,
ma prima che possa prendere l’accappatoio, la porta si apre. L’uomo che entra
ha un coltello. Herman si blocca: ha capito che la sua ricerca e la sua vita
si concludono qui. Mentre si prepara a una lotta impari e il cazzo gli si tende, dietro il primo
uomo ne entra un secondo, anche lui con un coltello: Rod. Rod è vivo. Ed è venuto ad
ammazzarlo, come gli ha spesso detto che avrebbe fatto. Sono in due e sono
armati. Herman guarda Rod, come se l’altro uomo non esistesse neppure. Non
gli interessa quell’altro, davvero per lui non esiste. Non è quell’altro che
lo ammazzerà, Herman lo sa, è Rod. Ci sono mille pensieri che
turbinano nella testa di Herman, mille domande che non potrà
porre, mille risposte che non avrà. E mentre il cazzo gli si indurisce,
Herman mormora: - Cazzo! * Il Mastino fuma il suo
sigaro. - C’è
l’Inglese, capo. - Controllatelo e fatelo
passare. Chiunque entri dove si trova il Mastino viene perquisito, anche i
suoi figli Raffaele e Nino. Non si può mai sapere: Salvatore Scibone, il capo del clan degli Scibone,
è stato ammazzato dal figlio Angelo, quello che chiamavano il Pazzo e che poi
il Mastino ha fatto uccidere. Rod non ha armi addosso.
Ha con sé un involto, che apre. Dentro c’è una testa recisa all’attaccatura
del collo, senza orecchie, senza naso, senza occhi e con una serie di sfregi
che ne alterano completamente i lineamenti. Dalla bocca sporge un cazzo. Rod
la tiene da sotto e la mostra sorridente. L’uomo di guardia osserva
disgustato lo scempio - Merda! Che lavoro del
cazzo! Rod sorride e alza le
spalle. - La porti al Mastino? - Certo, è per lui. - Mettila via, che mi fa
schifo. Rod sorride e tira su i
lembi dello straccio che avvolge la testa. Rod supera il primo
locale, poi bussa ed entra nella stanza dove sta il Mastino. Chiude la porta
dietro di sé. - Avete fatto il lavoro? - Certo. Ecco la testa. Rod si avvicina, poggia
sulla scrivania l’involto e lo apre. Il Mastino guarda la
testa. - Potrebbe essere di
chiunque, anche la tua. - La mia è ancora sulle
spalle. - Bene, Inglese, direi che
avete fatto un buon lavoro. Adesso spogliati. Rod annuisce e si toglie gli abiti. Ha il cazzo perfettamente in tiro. Il
Mastino lo guarda. Gli piace, l’Inglese. Gli piace fotterlo. È un maschio,
anche se se lo prende in culo. Ma se lo prende in
culo solo da lui e da quelli a cui lui lo offre. Ma gli piace troppo, questo
bastardo. Deve farlo ammazzare, presto. Il Mastino si spoglia.
Anche lui ha il cazzo duro, adesso. Rod si appoggia alla scrivania, a gambe
larghe, la testa mozzata davanti a sé. Il Mastino passa dietro di lui. Gli
poggia le mani sul culo. Gli piace questo culo forte. Rod si gira. Il Mastino
non fa in tempo a chiedergli che cazzo fa: il coltello gli lacera il ventre,
entrando fino all’elsa. Il Mastino emette un gemito strozzato. - Merda! Come… Nella testa! Il coltello
era infilato nella testa recisa, da sotto. Per quello l’Inglese la teneva per
il collo. Il Mastino afferra il polso di Rod, anche se sa che è inutile, che
la vita gli sta sfuggendo con il sangue che scorre abbondante. C’è un momento
in cui rimangono fermi a guardarsi, entrambi con il cazzo duro e l’odio negli
occhi. Poi Rod cerca di estrarre la lama. Il Mastino oppone resistenza, anche
se sa di aver perso la partita e la vita. Il Mastino sente che le forze
scemano. Rod estrae l’arma. Il Mastino gli blocca ancora il polso, ma Rod abbassa la lama e colpisce ancora,
assaporando il lento affondare della lama nella carne, lo sgorgare del sangue
e la sofferenza sul viso del Mastino. Il Mastino emette un
gemito. Non è più in grado di opporsi. Rod estrae il pugnale e appoggia il
corpo di don Salvatore sulla scrivania, nella posizione in cui era lui poco
fa. Il Mastino intuisce. - No…
merda… no… nessuno… - Io, ora. Ora ti fotto, io, Mastino. Rod infilza il Mastino,
vincendo la resistenza della carne. Per il Mastino è come un’altra
coltellata, che colpisce in profondità, più a fondo dei due colpi che hanno
dato inizio alla sua agonia. Rod lo fotte con rabbia,
tutta la rabbia covata in queste settimane in cui la
sua volontà è stata piegata da una volontà più forte. Spinge con violenza,
per fare male. Vorrebbe che il Mastino urlasse, ma Salvatore Gargiulo si controlla. Quando infine Rod sente il
fiotto prorompere, sibila: - Quella testa lì, è
quella di Raffaele. E poi ammazzo e fotto anche Nino. La mano di Rod afferra il
cazzo e i coglioni del Mastino, che non cerca più di opporsi, ma quando la
lama recide, il Mastino urla. Rod gli mette in bocca cazzo e coglioni, poi
vibra una coltellata dietro, infilando la lama in culo. Colpisce ancora,
allargando il buco e infilando la lama a fondo. Dopo la lama anche la mano si
infila e poi il braccio. Il Mastino geme, ma il gemito diventa un rantolo e
poi si spegne. Rod estrae la mano con il
coltello dal culo di Salvatore Gargiulo e spinge il
cadavere a terra. La stanza è un lago di sangue. Rod ha ucciso parecchie
volte, ma mai in questo modo. Gli piace uccidere, ma questa volta non è stato
il piacere intenso di quando fa secco un figlio di puttana. Questo macello
era soltanto l’unico modo per uscire dal gorgo. Rod conosce bene la casa e
sa che nessuno verrà a disturbare il Mastino se non è chiamato. Quando esce
dalla villa, oltre un’ora dopo, lascia sette cadaveri: oltre al Mastino, le
cinque guardie del corpo e Giovanni, detto Nino. Sono stati ammazzati tutti a
colpi di pistola, una pistola con silenziatore:
quella di Salvatore Gargiulo. Nino è stato anche
castrato. Nessuno potrebbe collegare
la strage all’inglese che adesso esce dalla casa, vestito in modo
impeccabile, senza che ci sia traccia di sangue sul suo corpo o sui suoi
abiti. Solo il marchio che porta sul petto potrebbe collegarlo in qualche
modo al Mastino. Rod raggiunge l’auto dove
lo aspetta Herman, che ha già acceso il motore. Herman guida fino
all’aeroporto, bestemmiando più volte, perché il traffico a Napoli non è
precisamente quello di Londra, ma Herman ha un’ampia
esperienza di guida in tante metropoli caotiche. Restituisce l’auto
noleggiata, poi lui e Rod raggiungono la stazione e prendono un treno per
Roma. A metà pomeriggio prendono un volo per Londra. Un messaggio anonimo
informa la polizia della strage in una villa nei dintorni di Napoli. All’orrenda
carneficina i mezzi di comunicazione daranno ampio risalto e si parlerà di
una lotta feroce tra le famiglie della camorra. I dettagli macabri
susciteranno una curiosità morbosa e molti si chiederanno dove sia il corpo a
cui appartiene la testa mozzata ritrovata nella stanza del Mastino. Il cadavere del figlio
minore del Mastino sarà ritrovato solo il pomeriggio successivo, quando un
cliente dell’albergo aprirà la porta della camera che gli è stata assegnata,
allo stesso piano di quella che aveva Herman, e la vista gli toglierà ogni
voglia di rimettere piede a Napoli (vagli a spiegare che il cadavere senza
testa e senza attributi – ma con un paio di orecchie e un naso sulla pancia -
è opera di due cittadini inglesi e che i napoletani non c’entrano nulla). Colton viene avvisato con un SMS: né Herman, né
Rod hanno voglia di parlargli. Rod si limita a
sibilare: - Quello lo ammazzo. - Ti do una mano. Ricevuto il messaggio, Colton prende il telefono e dà un
ordine. Matt, l’uomo del giro di incontri che aveva un collegamento
con Napoli e l’unico che conosceva abbastanza Rod, viene trovato ucciso il
mattino dopo. A questo punto nessuno può risalire a Rod. L’omicidio di Matt e
alcune informazioni pervenute alla polizia provocano una retata nel giro
degli incontri clandestini di lotta, che viene smantellato. Colton manda a Herman un messaggio, dicendo di
presentarsi l’indomani pomeriggio a rapporto da uno dei suoi collaboratori. È
una procedura anomala, in quanto il resoconto delle missioni che comportano
un omicidio va sempre presentato alla Signora a capo dei servizi o al suo
vice, Colton. Ma evidentemente Colton
preferisce evitare di vedere Herman e Rod (e preferisce evitare che la
Signora sia troppo informata di alcuni aspetti della missione). * Il tatuatore
ha finito il suo lavoro. Il tatuaggio copre perfettamente il marchio e solo
guardando da vicino si può notare che la parte centrale è costituita da un
marchio a fuoco. Rod ha voluto farsi tatuare la sera stessa del loro arrivo a
Londra, in una di quelle botteghe che chiudono molto tardi. Non sono neppure
passati da casa. Herman non ha chiesto
nulla: ha capito che Rod non vuole parlare di quanto è successo e che adesso
vuole cancellare ogni traccia del suo soggiorno a Napoli. - Ora possiamo andare a
casa? Herman è impaziente. Sono
giorni e giorni che non scopa. Durante il viaggio in
treno e poi in aereo, Rod si è rifiutato di servirsi dei cessi (almeno per
l’uso che aveva in mente Herman), dicendo che prima voleva fare una cosa. Rod sorride: - Non ho nessuna
intenzione di aspettare fino a che siamo a casa. Andiamo alla
sauna qui vicino. Herman sorride. - Mi sembra un’ottima
idea. 2014 |