Strategie a Monica Il colonnello Serebriachin
ha finito di illustrare il piano per la battaglia di domani. Gli ufficiali hanno
ascoltato con attenzione e ora pongono domande. I punti dubbi vengono
chiariti, si discute qualche dettaglio. Tutti riconoscono che il piano è
geniale e che il colonnello ha confermato una volta
di più di essere uno stratega brillante. Quando la discussione è finita, il
colonnello congeda tutti e rimane da solo. Serebriachin fissa la carta,
riflettendo ancora: difende una postazione chiave e deve ad ogni costo
impedire che il nemico conquisti la città. La battaglia di domani sarà
impegnativa: l’avanzata dell’armata turca è stata del tutto imprevista,
nessuno si aspettava un attacco in quest’area, mentre il grosso degli
eserciti russo e turco è impegnato altrove. Il nemico si è mosso molto
rapidamente, per cui non c’è più il tempo di ottenere rinforzi prima che la
città venga attaccata: le truppe russe di stanza in questa roccaforte si
troveranno ad affrontare un nemico numericamente superiore. Il piano ideato è audace:
invece di attendere l’arrivo dei turchi, i russi usciranno ad affrontarli in
campo aperto, giocando sulla sorpresa e sulla migliore conoscenza del
territorio. Se tutto funzionerà come previsto, gli assalitori si troveranno a
mal partito e la battaglia si concluderà con una vittoria. Ma Serebriachin sa benissimo che, per
quanto i piani possano essere perfetti, nello svolgimento di una battaglia
giocano elementi imponderabili e nessuna strategia può garantirne l’esito. Se
fino ad ora le sue strategie hanno sempre portato al risultato desiderato, è
stato anche per l’aiuto della dea bendata. Una vittoria domani è necessaria: l’esercito russo sta già subendo un grosso
scacco a Plevna, che assedia invano da ormai più di
tre mesi. Una sconfitta dei turchi rialzerebbe il morale di tutti i soldati.
Ma domani basterebbe una nevicata a rallentare il movimento delle truppe e a
dare ai turchi il tempo di organizzare la difesa. E in questa fredda giornata
di inizio novembre c’è aria di neve. Serebriachin sta ancora
osservando la carta, quando entra il maggiore Vojnickij, che fa il saluto
militare. Serebriachin sorride e scuote la testa. Sono amici d’infanzia, loro
due, si danno del tu e si confidano tutto, ma Ivan Petrovič Vojnickij è
sempre molto scrupoloso nel rispetto della gerarchia, anche se nella tenda
non c’è nessun altro. - Vanja, che piacere vederti!
Non pensavo che saresti riuscito a ritornare così in fretta. - Ho fatto in modo di
eseguire il mio compito il più rapidamente possibile: siamo in guerra e non è
tempo di partecipare a balli o andare all’opera. Domani è
un giorno importante e sono ben contento di essere qui ora. Firs mi ha detto
che hai preparato un piano eccellente, degno del migliore stratega di nostra
madre Russia. Parole sue, non mie. Serebriachin scuote la
testa. - Il piano sarà
eccellente, ma il futuro è sulle ginocchia di Giove. - Come sempre. Parlano a lungo della
battaglia che si prepara. Serebriachin spiega nuovamente la strategia,
indicando sulla carta i movimenti delle truppe: Ivan ascolta con attenzione,
annuendo. Il piano gli sembra perfetto. - Sai che ti dico, Lenja? Concordo con Firs, perfettamente. Serebriachin scuote il
capo. - Basta un po’ di neve per
far fallire il piano, Vanja. Poi Leonid Serebriachin
chiede a Ivan della sua missione, che lo ha tenuto lontano per dieci giorni.
Intanto gli passa un sigaro e si siedono. Mentre fumano, incominciano a
parlare di San Pietroburgo e della vita di corte. Ivan ha un debole per una
bella contessa. - Ma di certo in questi
giorni non avevo il tempo di farle la corte. E come sempre succede in questi
casi, visto che io non mi curavo molto di lei, la bella Irina aveva occhi
solo per me e quando sono partito sembrava sul punto di mettersi a piangere. Ivan ride. Poi aggiunge: - E tu, Lenja? Il tuo bel
capitano? Te lo sei portato a letto? Leonid Serebriachin scuote
la testa. Il sorriso è scomparso. - Questa poi! Come è
possibile? Non ho mai visto nessuno resisterti! E poi Glagol’ev non sembra attratto dalle donne. Non ha un’amante, non
va a puttane. Leonid guarda il fumo che
sale dal suo sigaro, poi fissa Ivan negli occhi. - Non ci ho provato, Vanja. - E perché mai? Non è da
te! - Io…
non me la sono sentita. Ivan lo guarda,
esterrefatto. - Cosa? - Vanja, non è come le altre volte. È… Oh,
cazzo! Ivan aggrotta la fronte. - Che vuoi dire, Lenja? Leonid lo fissa, poi fa
una smorfia. - Prometti che non ti
metti a ridere, Vanja? Ivan lo guarda. - Lenja, sai benissimo che
non rido mai delle cose serie… È davvero così serio, Lenja? Vuoi dire… Leonid annuisce. - Sì, Vanja. - Sei
innamorato? Ivan vuole una conferma.
Gli sembra incredibile: Leonid gli ha sempre confidato tutto e lo ha visto
spesso desiderare qualche ufficiale, ma mai amare. - Sì, Vanja. Come un
ragazzino. Ivan annuisce. - Prima o poi doveva
succedere e il capitano Glagol’ev
è davvero un uomo notevole. Quello che non capisco è perché non ti sei fatto
avanti. Non mi dire che hai paura di un rifiuto. Leonid guarda di nuovo il
fumo del suo sigaro. - Cazzo, Vanja! Non è come le altre volte. E lui non è
come gli altri. Ivan è perplesso. - Sergej
Pavlovic Glagol’ev è un
ottimo ufficiale, riconosco che ha doti non comuni.
È anche un bell’uomo. Ma santo cielo, Lenja, non è
un angelo. - Lo so benissimo,
Vanja. - E allora perché non hai
sondato il terreno, come fai di solito, mettendo in atto qualcuna delle tue brillanti strategie? Se proprio gli interessano
solo le donne, non ci metterai molto a capirlo e potrai battere in ritirata
senza esserti scoperto troppo. Santo cielo, non devo
essere io a darti lezioni di strategia, ne sai una più del diavolo anche
quando si tratta di conquistare un bel culo, invece di una fortezza. Leonid abbassa il capo.
Guarda il pavimento, su cui è caduta un po’ di cenere del sigaro. Poi alza
gli occhi e fissa Vanja: - Vanja, non è questo. Non
è una faccenda di culo, anche se mi taglierei la mano destra per averlo, quel
culo. Leonid si ferma, poi
riprende: - Vanja,
io… non reggerei un rifiuto. Io…
Sono completamente rincoglionito, Vanja, questa è la verità. Leonid ride, una risata
che si spegne subito. - Non ti ho mai visto in
questo stato, Lenja. - Non lo sono mai stato,
Vanja. C’è un attimo di silenzio.
Fuori un ufficiale sta urlando degli ordini. Serebriachin riprende: - Domani, dopo la
battaglia, se saremo ancora vivi… Domani o nei
prossimi giorni gli parlerò, Vanja. Ma mi sembra che… se lui dovesse dirmi di no…
Vanja… Leonid guarda l’amico. Gli
sembra che sia impallidito a sentirlo parlare così. Vanja ha già capito.
Leonid abbassa la voce fino a che diviene un sussurro: - … mi tirerò un colpo,
Vanja. Ivan si alza di scatto. - Leonid Nikolaj
Serebriachin, tu ti sei bevuto il cervello! Leonid annuisce. Sa che
Ivan ha ragione. Si alza anche lui. Recita, senza enfasi: -
Quale mai potenza ostile dal
non essere mi chiamò, mi
colmò l’anima di passione, la
mente col dubbio turbò? Ivan scuote la testa. - Il nostro Puškin… Sei un
poeta innamorato. Ivan lo abbraccia e
prosegue: - Ti dirà di sì, Lenja.
Non può non volerti bene. Leonid lo guarda e scuote
la testa. Qualcuno bussa alla porta.
Ivan si stacca. - Avanti. Il tenente Djadin entra e saluta. È molto turbato. - Che succede, tenente? - Signor
colonnello, dall’ufficio del tesoro è stata rubata la cassetta con i fondi.
Il maggiore mi ha mandato a comunicarglielo. - I fondi? Come è
possibile?! Vieni con me, Vanja. Serebriachin esce e
raggiunge l’ufficio dove vengono tenuti i fondi. Appena entra, il maggiore
Borisovič si alza in piedi di scatto. - Che cazzo succede,
maggiore? - La cassetta con i fondi
è stata rubata. - Come è possibile? Il maggiore racconta. La
cassetta era al suo posto, due ore fa. Poi c’è stato un principio di incendio
in cortile, e tutti sono usciti a vedere. Niente di speciale. Sono rientrati
e poco fa, dovendo effettuare un pagamento, il maggiore ha ordinato di
portargli la cassetta, di cui lui solo ha la chiave, ma era scomparsa. Un furto di questo genere
è di una gravità estrema. Effettuato in pieno giorno all’interno di una
caserma, per di più. Il colpevole è necessariamente un militare, nessun altro
avrebbe potuto aggirarsi in quest’area senza essere notato. Serebriachin è furente: ci
mancava solo questa, alla vigilia di una battaglia decisiva. - Maggiore, bisogna
provvedere immediatamente a un’indagine, il più possibile
discreta. Non voglio che circolino voci che possano minare il morale
degli uomini, proprio adesso che stiamo per affrontare il nemico. Serebriachin si fa esporre
quanto è emerso. Il furto deve essere avvenuto tra le 15 e le 15.30, quando
ha preso fuoco una catasta di legno. - Di certo la catasta non
ha preso fuoco da sé. Qualcuno ha appiccato il fuoco e ha approfittato della
confusione che si è creata per rubare la cassetta. - Sì, colonnello,
certamente è così. - Non avete notato
nessuno, non avete visto niente di sospetto? - No, colonnello. Due dei
miei uomini dicono che quando è scoppiato l’incendio c’era il capitano Glagol’ev nel cortile. Non so
se lui può aver visto qualche cosa. Gli uomini confermano di
aver visto Glagol’ev nel
cortile. C’è rimasto un quarto d’ora, poi, dopo l’incendio, è scomparso. Uno
dei due, il soldato Arkadin, dice che gli è
sembrato di vederlo entrare nell’ufficio quando i tre impiegati sono usciti
per vedere che cosa stava bruciando. - Ho pensato che avesse
qualche cosa da fare qui, che volesse parlare con il maggiore. - Sei sicuro di averlo
visto entrare qui? Arkadin si stringe nelle spalle. - No, signor
colonnello. Mi sono voltato mentre ci dirigevamo verso il fuoco e mi è sembrato… magari è solo un’impressione. Ivan guarda il viso
dell’amico. Non tradisce nessuna emozione, ma Ivan
sa benissimo che Leonid Serebriachin ha l’inferno dentro. Interviene: - Il capitano Glagol’ev è al di sopra di ogni
sospetto. Serebriachin guarda Ivan.
Congeda i due testimoni. - Maggiore Vojnickij,
faccia chiamare il capitano Glagol’ev. Mentre sarà qui, lei e il maggiore
Borisovič provvederanno a una perquisizione della camera del capitano.
Nessun altro deve assistere. Non devono circolare voci. Ivan annuisce. Ha piena
fiducia in Glagol’ev, un
uomo coraggioso e leale, ed è sicuro che la perquisizione si concluderà con
un nulla di fatto. Pochi minuti dopo il
capitano Glagol’ev è di
fronte al colonnello. Leonid Serebriachin non
crede alla colpevolezza dell’uomo che ama. Ma deve indagare in modo imparziale
e fugare ogni dubbio. Deve controllare i propri sentimenti, anche se non è
facile davanti a quegli occhi scuri, a quel bel viso dai lineamenti regolari. - Capitano, è successo un
fatto grave, per cui è necessario che noi indaghiamo. Lei è stato visto due ore fa qui fuori. - Sì, signor
colonnello. Sono rimasto qui almeno un quarto d’ora. C’è una tale serenità nel
volto del capitano, che Leonid si sente perfettamente tranquillo. - Come mai? - Avevo un appuntamento
con il capitano Kulygin. - Qui davanti, capitano? Michail sorride. - No, signor
colonnello. Avevo capito male. Io lo aspettavo qui e lui mi attendeva davanti
all’ufficio contabile. - Quando se n’è andato? - Il capitano Kulygin è
sempre puntuale. Non vedendolo arrivare, mi sono detto che doveva avere avuto
qualche contrattempo e sono andato via. Sarò rimasto un quarto d’ora, signor colonnello. - E in questo quarto d’ora
ha visto entrare o uscire qualcuno? - Non ci ho fatto caso, signor colonnello. Ho visto uscire gli impiegati, dicevano che c’era un incendio, che si vedeva dalle
finestre sull’altro lato, ma io dal cortile non vedevo niente. - Li ha visti tornare? - No, me
n’ero già andato. Serebriachin annuisce. - Perché è entrato
nell’ufficio, capitano? Glagol’ev lo guarda
senza capire. - Non sono entrato, signor colonnello. - Uno degli uomini l’ha
visto entrare. - Ma…
non capisco… non sono entrato. I due maggiori rientrano.
A Leonid basta guardarli in faccia per capire che la perquisizione non è
stata infruttuosa. Gli sembra di non riuscire a respirare. - Aspetti nell’altra
stanza, capitano. La richiamo tra poco. Glagol’ev si alza,
saluta ed esce. Il maggiore Borisovič
tira fuori dalla tasca un pacco di banconote. - Oltre duemila rubli
nascosti in un cassetto. C’era una nostra fascetta strappata, in mezzo ad
altre carte. Questi soldi vengono dalla cassetta rubata. Sono solo una
piccola parte della cifra, molto piccola. Leonid non riesce a
parlare. La sensazione è quella di aver ricevuto una coltellata allo stomaco. Ivan interviene: - Non posso credere alla
colpevolezza di un uomo come il capitano Glagol’ev. Chiunque può aver messo
questi soldi nella sua camera. Leonid lo fissa negli
occhi: - Glagol’ev era qui davanti. Lo hanno visto entrare. Questi soldi
vengono dalla cassetta. Che altro ci serve? - Come ha spiegato Glagol’ev la sua presenza qui
davanti? - Un appuntamento con il
capitano Kulygin. - Controlliamo. Lo vado a
cercare. Leonid si siede. Guarda la
parete, con il ritratto dello zar. Non è possibile, non Michail Glagol’ev. Andrej Kulygin si presenta
dopo pochi minuti: - Lei aveva un
appuntamento con il capitano Glagol’ev, questo pomeriggio? - Sì, signor
colonnello.. A Leonid pare di
intravvedere una luce. - Dove? - Davanti all’ufficio
contabile, signor colonnello. - Chi lo aveva proposto? - Io, signor
colonnello. - E vi siete trovati? - No signor
colonnello. Michail… il capitano Glagol’ev aveva capito male. - Può andare, capitano. Andrej Kulygin saluta ed
esce. Leonid fissa il pavimento,
senza vederlo. L’uomo che ama è un ladro. La voce di Ivan lo riscuote: - Non è possibile. Borisovič parla
piano, esitando: - So che viene da una
famiglia molto povera… Leonid si alza in piedi.
Urla: - Basta! C’è un attimo di silenzio,
poi Leonid riprende: - Tutto è chiaro. Fate entrare
Glagol’ev. Michail Glagol’ev appare tranquillo.
Leonid si dice che sa fingere bene l’innocenza. - Capitano Glagol’ev.
Nella sua camera è stato ritrovato questo denaro, rubato in questo ufficio.
Che cosa ha da dire? Glagol’ev sembra non
capire. - Nella mia camera? Ma… non è possibile, signor
colonnello. Io… non ne so niente. - Capitano Glagol’ev, la giustizia
militare farà il suo corso. Ci dica dove si trova la cassetta con il resto
del denaro. Se il denaro verrà restituito e domani lei troverà la morte in
battaglia, nessun altro saprà quanto è accaduto. Glagol’ev è
impallidito. - Io…
io… non ho mai rubato,
signor colonnello. Non so nulla del denaro. - Lei finirà alla corte
marziale. L’hanno vista entrare qui dentro, il denaro è stato ritrovato in
camera sua. Quali altre prove occorrono? - Io sono innocente, signor colonnello. - Glagol’ev, non merita il grado che ha. Lei è un infame. Glagol’ev
impallidisce, il suo viso è una maschera di sofferenza. - Dovrei farla arrestare e
farle confessare dove si trova il denaro, ma alla
vigilia di una battaglia decisiva, questo potrebbe avere un effetto negativo
sul morale degli uomini. Si faccia uccidere domani in battaglia, se vuole
evitare il processo. Glagol’ev si
ricompone, ma negli occhi rimane un’angoscia troppo forte per ignorarla. - Sarà fatto, signor colonnello. - Se ne vada, Glagol’ev. Glagol’ev saluta ed
esce, le spalle un po’ curve. Ivan dice: - Io non credo… - Basta! Non lo faccio
arrestare ora solo perché è molto popolare tra gli uomini e non voglio, in
questo momento… Vedremo domani sera. Se sarà ancora
vivo, sarà processato. È notte. Nella grande
caserma regna il silenzio. Tutti devono riposare, prima della battaglia di
domani. Nella sua camera il colonnello Leonid Serebriachin non dorme. Si
augura che la battaglia si concluda con una netta vittoria. A tratti gli appare l’immagine di Michail Glagol’ev. Leonid spera che
muoia. Non vuole vederlo sotto processo. Anche il maggiore Ivan Petrovič Vojnickij auspica
una vittoria e vorrebbe che fosse ottenuta senza perdite troppo ingenti: è
stanco di vedere massacrare uomini. Il pensiero va spesso anche a Glagol’ev e al suo amico
Leonid. È bene che Glagol’ev
muoia. Per Leonid sarà meno doloroso. Neppure il capitano
Michail Glagol’ev dorme.
Ha scritto una lunga lettera ai suoi genitori. Sa che è un addio e ha cercato
di trovare le parole giuste. La lettera sarà l’ultimo ricordo che
conserveranno di lui. Ora che ha finito, rimane nel buio, seduto al tavolo.
Domani cercherà la morte e sa che la troverà. Almeno i suoi non dovranno
provare la vergogna di vedere il proprio figlio processato per furto. Ma
altri pensieri lo angosciano. Il disprezzo che ha letto negli occhi del
colonnello lo ha annichilito. E le sue parole, “Lei è un infame”, ritornano
ossessive nella sua mente. Non le avrebbe accettate da nessun altro, ma
pronunciate dal colonnello sono state una mazzata che si è abbattuta
su di lui, schiacciandolo. Vorrebbe afferrare la pistola e uccidersi, ora. Ma
sarebbe un’ammissione di colpa e darebbe adito a dicerie e sospetti. Spera
che un giorno si scopra la verità. L’idea che il colonnello possa continuare
a crederlo colpevole, che si ricordi di lui come di un ladro, è
intollerabile. Il capitano Andrej Kulygin
dorme. Prima di abbandonarsi al sonno ha cullato sogni di gloria e di
ricchezza. Gli uomini si alzano molto
prima dell’alba. La notte è stellata e soffia un vento gelido. Michail Glagol’ev si dice che sarà una
splendida giornata di sole. Un bel giorno per morire. Le truppe si muovono rapide,
in perfetto silenzio. In tre ore di marcia raggiungono le loro posizioni.
Quando il sole sorge, l’esercito è schierato per affrontare il nemico.
L’avanguardia turca arriva poco dopo: colta di sorpresa, viene decimata prima
che possa organizzare una difesa. La battaglia vera e
propria ha inizio un po’ più tardi, quando il grosso
dell’esercito turco raggiunge lo schieramento russo. La posizione in cui si
trovano i turchi è di netto svantaggio e non permette loro di sfruttare la
superiorità numerica. L’esito del combattimento si decide nelle prime ore: il
piano di Serebriachin si rivela efficace e l’esercito nemico è presto
costretto a una ritirata. Sarebbe necessario inseguire il nemico,
approfittando della situazione, ma i turchi hanno sistemato una postazione di
artiglieria, per proteggere le truppe che si ritirano. Bisogna distruggerla o
conquistarla, ma è ben difesa, in cima a un colle, e appare imprendibile. - Dobbiamo conquistare il
colle, in un modo o nell’altro. Michail Glagol’ev si fa avanti. - Vado io con un gruppo di
uomini, signor colonnello. Attacco dal lato del
fiume. Faccia avanzare gli uomini nel bosco. Quando noi usciremo allo
scoperto e i difensori concentreranno il loro fuoco su di noi, gli altri
uomini potranno attaccare ed espugnare la postazione. Leonid Serebriachin guarda
l’uomo che ama. Sa che va alla morte. Glagol’ev l‘ha cercata diverse volte
nella giornata, con azioni temerarie, che hanno acceso gli animi dei soldati
e li hanno spinti a battersi come leoni. Se la battaglia è stata vinta, è
anche grazie a lui. Ma quest’uomo coraggioso deve morire. - Va bene, capitano
Glagol’ev. Prenda con sé gli uomini che reputa
necessari e vada. Glagol’ev esce e
raggiunge i soldati del suo reparto. Chiede chi di loro vuole offrirsi
volontario per una missione disperata. Molti rispondono al suo appello. Poco
dopo ritorna dal colonnello. - Siamo pronti, signor colonnello. Leonid annuisce. Guarda
negli occhi Michail. Fissa quegli occhi scuri. No, non può essere colpevole.
La sua mano gli afferra il polso e lo stringe, in un gesto di affetto. Lo
vede sorridere, un sorriso di pura felicità. Leonid
vorrebbe morire. Gli sussurra: - Buona fortuna, Michail. È la prima volta che lo
chiama per nome, sa che è l’ultima. Michail deve morire. Glagol’ev si allontana
con i suoi uomini. Serebriachin fa preparare gli altri soldati che dovranno
attaccare la postazione dal bosco. Tutto è pronto. Gli uomini
di Glagol’ev avanzano
lungo il pendio. Si muovono con prudenza, come se volessero davvero
conquistare la postazione e non andassero soltanto a
morire. Anche le altre truppe sono pronte. Leonid Serebriachin segue
con attenzione tutta la manovra. Guarda con il cannocchiale. L’ha puntato su
Michail Glagol’ev e non
lo perde di vista se non quando un albero o un cespuglio lo copre. E intanto
pensa, si dice che Michail non può aver commesso il furto, un uomo così non
può essere colpevole di una tale bassezza. È il momento dell’attacco.
Leonid ha l’impressione che il suo cuore si fermi. Michail si lancia, in
prima posizione. Un’azione suicida. Il cannone spara, alcuni uomini cadono.
Michail non viene colpito. Leonid pensa che avrebbe
dovuto indagare meglio, mettere sotto torchio il soldato che diceva di aver
visto Michail entrare nell’ufficio: una dichiarazione fumosa, che sembra
fatta apposta per destare sospetti, senza esporsi troppo. Perché non ha
indagato meglio? Gli altri uomini attaccano
dal lato del bosco: il nemico si trova tra due fuochi. Michail ha raggiunto
la postazione. Non può essere colpevole,
qualcuno ha fatto in modo di far ricadere la colpa
su di lui. Non è possibile. Tutto si chiarirà, domani. La postazione è ormai
conquistata. In quel momento Leonid
vede Michail barcollare e cadere. Abbassa il cannocchiale. Gli ufficiali esultano per
il successo dell’azione, assai più rapido del previsto. La ritirata del
nemico, senza più la protezione della postazione di artiglieria, diventa una
rotta precipitosa. Solo il colonnello Serebriachin appare indifferente. Lo è.
La vittoria e la sicura promozione non suscitano nessuna gioia in lui. I
morti non gioiscono. Sono passate due ore,
frenetiche. Il colonnello Serebriachin ha diretto le operazioni fino
all’ultimo, incalzando il nemico in fuga. Adesso ritorna verso il campo di
battaglia. Un sergente gli si
avvicina. Saluta e dice: - Signor
colonnello, mi scuso se la disturbo, ma il capitano Andrej Kulygin chiede di
parlarle con urgenza. Sta morendo e dice che deve rivelarle qualche cosa di
estrema importanza. Serebriachin segue l’uomo che
lo guida a una delle tende dove prestano le prime cure ai feriti. Un
sacerdote ortodosso è di fianco al moribondo. - Colonnello…
grazie… per essere…
venuto. Leonid non chiede a
Kulygin come sta, non gli dice che si riprenderà di sicuro. La morte è ai piedi
del giaciglio ed è inutile mentire. - Mi hanno detto che deve dirmi qualche cosa di importante. Sono qui. Kulygin annuisce. Il viso
è terreo, un po’ di saliva cola da un angolo della bocca. - Ho rubato io… il denaro. Leonid ha l’impressione di
essere stato colpito da una staffilata. - Cosa? - Sì…
ho dato appuntamento… a
Michail Glagol’ev… lì… per far cadere… i sospetti… su di lui… Sapevo… che… l’avrebbero promosso… Volevo… i soldi… la promozione… Dio mi ha
punito… Colonnello… la
cassetta ce l’ha… Aleksandra
Bugrovna, abita… sulla
piazza del mercato… Non sa che…
sono soldi… rubati… È una
brava… ragazza… Arkadin… mi ha aiutato… Leonid precipita, in un
abisso che non ha fondo. A ogni parola gli sembra di cadere più in basso, in
un buio assoluto. - Colonnello…
sto per morire… ho confessato…
La prego… non infanghi…
la mia memoria. Leonid guarda il
moribondo. Tace, intontito. Il sacerdote interviene. - Colonnello, quest’uomo
sta morendo. Leonid si riscuote.
Vorrebbe colpire quest’uomo, ucciderlo con le sue mani. Ma annuisce. - Nessuno ne saprà nulla.
Metterò tutto a tacere. Andrej sorride e si
accascia. Il sacerdote gli parla ancora, di Dio e del perdono. Leonid si alza e si
allontana. Ha le lacrime agli occhi. Si siede su una roccia e guarda nel
vuoto. Gli ha detto che era un infame. Gli ha detto che era un infame. Leonid si alza. Sa che può
fare una sola cosa. Non adesso, ma questa sera, nella tenda. Due righe per
dire che gli hanno scoperto una malattia senza speranza e che preferisce
chiudere così, dopo aver svolto il suo dovere. Non c’è altra via. Non c’è
altra via. Gli ha detto che era un infame. In quel momento lo
raggiunge Ivan. Lo ha cercato, ha bisogno di parlargli. Gli vede gli occhi
lucidi. Gli sfugge: - Che cosa è successo, Lenja… colonnello? Leonid lo guarda. - Era innocente, Vanja.
Era innocente. E l’ho mandato a morire. Il ladro era Kulygin. Dio! Ivan sorride. - Non è morto, Lenja. Ti
cercavo per dirtelo. Leonid impallidisce. Le
gambe non lo reggono più. Si appoggia a Ivan. - Dov’è. Come… come sta? - Qui vicino. È stato
ferito a una spalla. Non sembra niente di serio. Ivan scuote la testa. - È pazzo, Lenja, è pazzo.
È disperato perché non è morto, perché pensa di averti deluso. Io non sapevo
che dirgli. Ti venivo a cercare. Andiamo da lui prima che riesca a procurarsi
una pistola e si tiri un colpo. Leonid vorrebbe muoversi,
ma gli sembra di non riuscire a fare un passo. Guarda Ivan, senza vederlo.
Per un momento il mondo oscilla intorno a lui. Con uno sforzo Leonid si
riprende. - Andiamo. Michail Glagol’ev è seduto a terra,
appoggiato ad un albero. Ha la spalla fasciata ed è
pallido. Ha gli occhi chiusi, il viso appare sofferente. Quando Leonid gli è
davanti, in qualche modo avverte la sua presenza. Apre gli occhi, lo vede e
si alza di scatto. Balbetta: - Mi perdoni,
signor colonnello. Non sono neanche buono a morire. Io… Leonid lo interrompe. - Taci. Ti chiedo scusa.
Il ladro era Kulygin. Ha confessato. Non avrei mai dovuto credere che eri tu… non l’ho mai creduto davvero. Non…
Michail ha chiuso gli
occhi, per un attimo. - Ecco perché…
Io lo credevo un amico… - Sta morendo, forse è già
morto. Michail annuisce. Leonid non sa più che cosa
dire. Vorrebbe dire a Michail ciò che prova per lui, ma qui, tra le persone
che passano, non è possibile. E poi, dopo quello che
è successo, dopo che l’ha insultato, che non ha creduto alla sua innocenza… D’improvviso una tristezza sconfinata si
impadronisce di Leonid. Cerca altre parole, così
lontane da quelle che vorrebbe dire. - Capitano Glagol’ev, lei ha avuto un
ruolo determinante nella vittoria di oggi. L’eroismo di cui ha dato prova sarà premiato. Adesso pensi a guarire. A Leonid pare che le sue
parole siano senza senso. Non è quello che conta. Ma non può dire ciò che ha
dentro, non sa come dirlo. Michail lo guarda.
Mormora: - Grazie. Leonid e Ivan se ne vanno. Hanno fatto pochi passi,
quando Ivan chiede, a bruciapelo: - Quando pensi di dirglielo, Lenja? Leonid lo guarda,
smarrito, senza parlare. - Cazzo, Lenja, a vederti così
nessuno direbbe che sei un uomo coraggioso e un grande stratega. Si direbbe
che tu sia uno studentello al primo amore… Leonid china il capo. - È il mio primo amore,
Vanja. Ivan sorride. - Ma hai quarant’anni,
Lenja. E lui trenta. Forse potete parlarvi, no? Leonid scuote la testa.
Gli sembra che un peso enorme lo schiacci e gli impedisca di muoversi. Gli ha
dato dell’infame. È passata una settimana.
La cassetta è stata ritrovata, la ragazza in effetti
ignorava che fosse stata rubata e non ne conosceva il contenuto. Il soldato Arkadin è stato costretto a dare le dimissioni e il
colonnello Serebriachin non ha più visto il capitano Glagol’ev se non per comunicargli la sua promozione a maggiore e
il conferimento di una medaglia. Serebriachin non è stato ancora promosso, ma
tutti sanno che sta per essere nominato generale. Eppure in questi giorni
Leonid sembra un cane bastonato, non il brillante vincitore di una grande
battaglia. Ivan gli ha appena
parlato. Non sa più che cosa fare con il suo amico. L’idea che gli passa per
la testa è folle, ma intende provarci. Si dirige verso la stanza
del maggiore Glagol’ev. Sta nevicando e il cortile della caserma è ricoperto
da uno strato soffice, ancora immacolato. Dieci minuti dopo il
maggiore Glagol’ev si
presenta dal colonnello. Sulle sue spalle fiocchi di neve. Leonid si sforza di
rimanere impassibile. Guarda le macchioline bianche sull’uniforme di Michail Glagol’ev, che lentamente si sciolgono in acqua. - Mi dica,
maggiore Glagol’ev. Michail Glagol’ev sembra perplesso. - Mi scusi, signor colonnello, ma il maggiore Vojnickij mi ha detto di
presentarmi da lei, perché doveva comunicarmi qualche cosa di estremamente
importante. Leonid lo fissa senza
parole. Michail prosegue: - Ha anche fatto
allontanare il soldato qui davanti, dicendo che nessuno deve sentire quello
che mi deve dire. A Leonid sfugge un sorriso. Vanja è un vero figlio di buona donna. E
adesso? Che cazzo può inventarsi, adesso? Dire che Vanja si è sbagliato? Sarebbe come dargli dell’idiota. Se lo
meriterebbe, tutto sommato, ma l’unico vero idiota è lui, Leonid. Michail è in silenzio,
davanti a lui. Leonid continua a tacere. La situazione è assurda. Accidenti a
Vanja. - Qualche problema, signor colonnello? Leonid si alza, passa
dall’altra parte della scrivania. Ora è a una spanna da Michail. - Il maggiore Vojnickij è
un impiccione. Michail lo guarda,
stupito. - E mi ha ficcato in un
guaio. Michail non dice nulla.
Leonid continua. - Ma forse ha ragione. E adesso? Michail tace. Leonid non ce la fa a parlare.
Si dà del vigliacco, ma non ce la fa. Guarda il viso di Michail, così vicino
al suo. Vorrebbe baciarlo. - Perché non si è mai
sposato, maggiore? Leonid si pente della
domanda non appena ha finito di formularla, ma Michail non sembra stupirsi.
Scrolla le spalle. - Non mi interessava. Leonid apre la bocca per
parlare, ma non sa come continuare. Perché quello stronzo di Vanja lo ha
cacciato in questo guaio? C’è un momento di silenzio, poi Michail parla: - E lei, signor colonnello, perché non si è mai sposato? La domanda lo coglie del
tutto di sorpresa. Sul viso di Michail è comparso un sorriso, lieve, forse un
po’ ironico. Leonid risponde: - Non mi interessava. Di nuovo un attimo di silenzio, ma Michail sorride. - Che cosa le interessa, signor colonnello? Oltre alla guerra, intendo? - E a lei, maggiore? Leonid si sente più
tranquillo, ora, anche se il cuore batte in fretta. - Vorrei essere amato. Con
il corpo e con l’anima. Leonid annuisce. - Sì, questo vale anche
per me. Leonid si avvicina. Ora i
loro corpi si sfiorano. Leonid prende il viso di
Michail tra le mani. Michail sorride. Si baciano. Vanja parla con il soldato
che era di guardia davanti all’ufficio del colonnello. Il soldato è curioso,
non capisce perché è stato allontanato, ma è abbastanza intelligente da
tenersi la propria curiosità. Il maggiore Glagol’ev esce dall’ufficio due
ore dopo essere entrato. Gli si legge in faccia che è felice. Si rivolge a
Ivan e gli dice: - Grazie, signor maggiore. Ivan sorride: - Il colonnello è un
grande stratega, ma qualche piccola strategia la so inventare anch’io… 2011
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