L’albero

 

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Ecco l'albero che mio nonno ha piantato quando sono nato. Adesso è un bel gigante. Mi sono sempre confrontato con lui. Si può dire che ho capito davvero il trascorrere dei miei anni solo osservando la sua crescita. Quello che mi fa un po' rabbia è che lui sarà ancora qui quando io non ci sarò più, ma un vantaggio rispetto a questo platano ce l'ho: io ho viaggiato in lungo e in largo, mentre lui è rimasto sempre qui.

Quest'estate le sue foglie sono arrugginite presto, creando un bel tappeto croccante sotto i miei piedi. Ci vengo scalzo, a trovarlo. Abbraccio il tronco e gli sussurro qualcosa, la prima cosa che mi viene in mente. Da bambino gli cantavo l'ultima filastrocca che mi avevano insegnato, oppure una ninna nanna. Qualcuno, forse mia nonna, mi aveva detto che gli alberi non dormono. Io volevo farlo dormire. È stato molto tempo dopo che ho scoperto che gli alberi dormono, eccome. Alcuni vanno in letargo come gli orsi, d'inverno, altri la notte, come noi. Gli alberi ci assomigliano o forse siamo noi ad assomigliare a loro.

Per me non c'è al mondo un posto migliore per portare a termine il mio progetto. Per quanto il mio albero non m'abbia mai risposto, io sono certo che mi abbia sempre capito. Gli alberi ci ascoltano, forse persino quando per esprimerci non usiamo il suono delle parole, ma solo le nostre emozioni.

Ogni volta che sono venuto qui, ho portato con me la mia storia. Lui sa tutto della mia vita, dei miei trascorsi, delle speranze e delle delusioni, delle vittorie e delle sconfitte, degli errori e delle azioni sagge. Oggi, a piedi nudi sulle foglie secche di questa estate strana, voglio fare il punto della situazione. Appoggio in terra la corda e mi siedo appoggiando la schiena al tronco. Lui mi sorregge con affetto. Mi domando se questa corda sarà abbastanza robusta da reggere al peso.

Il sole sta sorgendo dal muro di cinta, regalandoci un'alba tutta nostra. Il profumo del giardino cambia. L'ombra si sposta. Gli insetti impazziscono intorno ai petali dei fiori. Un po' come io impazzivo intorno a Dino dopo che ci siamo conosciuti. Gli ero sempre intorno come un moscone. Quante risate ci siamo fatti, quando ne abbiamo riparlato, dopo. Lui aveva capito subito che i nostri incontri casuali non erano per nulla fortuiti, ma non diceva nulla, per vedere fino a che punto sarei arrivato. Alla fine ha vinto la mia insistenza. Dino ha premiato la mia costanza, divertito dalla mia inventiva. Però mi ha avvisato di non sopportare gli uomini appiccicosi e io ho smesso. Da allora non sono mai stato pressante né invadente. Siamo stati bene insieme, per venticinque anni. Eppure, i nostri progetti non sono mai stati a lunga scadenza. Ci siamo amati senza guardare al futuro e costantemente il futuro ci ha raggiunti e superati. Il tempo fa così.

Abbiamo viaggiato molto, abbiamo visto il mondo, conosciuto altri modi di vivere, assaggiato cibi esotici, imparato frasi in altre lingue, fotografato altre albe e altri tramonti. Abbiamo solcato tutti i mari e impresso le nostre orme su mille spiagge. Eppure del nostro passaggio non rimarrà traccia. Nessuno ci ricorderà. Solo il mio platano, forse, si domanderà con rammarico perché non vengo più a trovarlo.

È caduta un'altra foglia, sfiorandomi il viso in una carezza.

Ha ragione, è del tutto inutile che perda ancora tempo in riflessioni malinconiche. Non è il momento. Mi alzo e afferro la corda. Lancio la cima in alto per farla passare su un ramo non troppo in alto. Non sono bravo nei nodi, ma ce la metto tutta.

Ecco, ormai è finita.

Lo scricchiolio delle foglie secche accompagna un passo lento che ho sentito mille volte.

– Buongiorno, Emilio. Ma che stai facendo?

– Ti ho costruito l'altalena che hai sempre desiderato da bambino. Buon anniversario!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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