Uno strano lascito
Una giornata limpida,
dall'aria tesa, elettrica, di quelle che è meglio cominciare con una tisana
rilassante anziché con un caffè. Ma d'altra parte, nel mobiletto della cucina
non c'è ombra di tisane. Basta uno sguardo. C'è una confezione di Abbracci
del mulino più odioso della pubblicità; c'è un barattolo di marmellata di
arance amare, ancora sigillato; un residuo bellico di fette biscottate che
probabilmente si butterebbero da sole dal ripiano, se sotto ci fosse un
secchio della spazzatura; e Lui, il grande, l'unico, l'inimitabile Barattolo
del Caffè. Cosa sarebbe il mondo senza caffè?
Ersilio se lo chiede, ma al solo pensiero
inorridisce. Potrebbe sopravvivere in tutta tranquillità senza le zucchine o
le rape, senza l'orzo o i gianduiotti, ma mai e poi mai senza il caffè.
Mette la caffettiera sul
gas e aspetta pazientemente che esca il prezioso liquido. È l'unica attesa
che non l'abbia mai innervosito. Intanto prepara la tazzina e le sigarette,
dà un'occhiata al cellulare e già sente il profumo che si spande nell'aria.
Il profumo del caffè ha un effetto eccitante di per sé, quasi miracoloso. Il
cervello riceve l'informazione che sta per arrivargli una botta di vita e già
si mette in agitazione, in uno stato di ansiosa ma fiduciosa aspettativa. Ersilio è dotato di un cervello molto ricettivo, forse
perché c'è tanto spazio dentro, tra un neurone e l'altro.
Ha trovato lavoro in un
momento di incredibile fortuna. Da allora pensa di aver esaurito il suo bonus
e forse anche quello di un'eventuale vita futura. Non è che si senta
realizzato, come dicono quelli che ne sanno, ma insomma, un semplice
diplomato non è che potesse aspirare a molto. Invece, eccolo lì all'ufficio
anagrafico nel suo comune di cinquemila anime. Che poi, anime, andiamoci
cauti. Chi ha detto che davvero esistano le anime? La Chiesa? Buona quella.
Pur di sfilarti quattrini, è lì da secoli a inventarsi qualunque scusa. Ormai
lo sanno pure i sassi.
Ha un orario comodo,
tranne il martedì, che gli tocca lavorare anche quattro ore il pomeriggio. Ma
per il resto della settimana alle due e mezza è a casa. Sabato e domenica
libero come un fringuello, a curare il giardino, a leggere i suoi libri,
ascoltare musica e fare tutto quello che gli pare, compreso andarsi a fare un
tuffo al mare, d'estate, a due passi da casa. Del resto è inevitabile quando
si vive su un'isola.
Una giornata limpida,
dunque, e dall'aria elettrica. E se il buongiorno si vede dal mattino,
l'incontro con il vigile Guerrini davanti
all'imponente portone del Municipio è la cifra chiarissima di quello che lo
aspetta.
– Hai messo la macchina in
divieto. Ti ho già fatto la multa. Se entro due minuti è ancora là, te la
faccio portare via dal carro attrezzi.
– Ma perché, oggi è
mercoledì?
– Esatto. È mercoledì, e
come tutti i mercoledì tu fingi di pensare che sia martedì o giovedì. Da oggi
in poi non ci saranno più sconti, ti avevo avvertito.
E gli volta le spalle
senza neppure salutare. Anzi, borbotta qualcosa che alle orecchie affilate di
Ersilio suona vagamente come un "testadicazzo". Ersilio
preferisce pensare di aver sentito male. Poi va a spostare la macchina perché
è il maledetto giorno della pulizia delle strade. Ovviamente trova parcheggio
fuori zona, ovviamente fa tardi in ufficio, e ancor più ovviamente proprio
oggi il Vicesindaco è passato a salutare, notando la sua assenza.
La mattina scorre veloce
tra un rinnovo e l'altro di carte d'identità. Poi, verso le undici, arriva il
turno di un vecchietto che tutti conoscono in paese come il Caprone, anche se
Ersilio non ha mai capito bene il perché.
– Che cosa deve fare?
– Niente.
Andiamo bene.
– E perché è venuto?
– Perché vi dovete tutti
preparare a morire.
Il suo collega Giacomo,
allo sportello di fianco, esegue il rituale scaramantico per eccellenza,
palpandosi le parti basse senza risparmiarsi.
A Ersilio
viene in mente la scena di un film con Massimo Troisi,
dove un monaco arringava i passanti urlando "Ricordati che devi
morire!" e allo stesso modo gli viene spontaneo rispondere al Caprone:
– Sì, mo' me lo segno.
Il Caprone s'infuria.
– C'è poco da scherzare,
giovanotto.
Giovanotto a me? Ersilio ha quasi 35 anni e non gli piace essere
apostrofato in quel modo.
– Tra poco cadranno le
stelle dal cielo. Pentitevi! – tuona il vecchietto.
– Ci siamo giocati pure
lui – commenta Giacomo.
– Preparatevi, il tempo è
finito!
Ersilio si guarda intorno in cerca d'aiuto.
– Il cielo si aprirà e voi
vedrete la fine!
Giacomo si volta verso la
collega che è seduta a una scrivania dietro di loro.
– Anna, fai qualcosa.
– Che vuoi che faccia?
Chiamo i vigili?
– I sigilli si apriranno,
i leoni ruggiranno!
Ersilio spera di non dover sentire tutta
l'apocalisse.
Ma poco dopo, Anna esce
dalla stanza per avvicinarsi al vecchietto.
– Lo vuole un bicchiere
d'acqua? – gli offre con fare ossequioso.
Ersilio la guarda stupito, mentre lei gli fa
l'occhietto attraverso il vetro.
Il Caprone beve senza
neppure ringraziare.
– Non saranno poche 20
gocce di Valium? – si domanda la donna, rientrata in stanza.
Giacomo scoppia a ridere. Ersilio ne avrebbe voglia, ma ha davanti agli occhi il
cipiglio testardo del Caprone, che non si schioda dallo sportello.
– Preparatevi, stolti! Si
avvicina il Giudizio Universale!
Ersilio deve aver visto davvero troppi film,
perché anche quell'incitamento gli ricorda quello di una vecchia pellicola di
Vittorio De Sica, girata in bianco e nero. "Alle 18,00 comincia il
Giudizio Universale!" tuonava una voce dal cielo, mentre ognuno dei personaggi
si faceva gli affari propri, come se avesse davanti a sé tutta la vita.
– Ma prima di quel
momento, posso fare qualcosa per lei? – si offre Ersilio,
in un impeto di generosità.
– Lei chi?
– Lei voi.
– E saresti tu a fare
qualcosa per me? Allora non hai capito niente, giovanotto. Sono io che devo
fare qualcosa per voi.
– E che cosa?
– Avvertirvi! Preparatevi
a morire!
– Anna, ma quanto ci vuole
per fare effetto?
– Ci siamo quasi.
– E non me ne vado da qui
se non sono sicuro che avete capito.
– Ecco, stia tranquillo,
abbiamo capito perfettamente. Alle 18,00 comincia il Giudizio Universale.
– Alle 18,00? Chi te l'ha
detto?
– Vittorio De Sica.
– Ah, quel cialtrone!
Vuole saperlo meglio di me? Non è alle 18,00. È alle 7,00 di domenica
prossima.
– Azz...
– mormora Giacomo, tornando a palparsi sotto al bancone.
– Le siamo davvero grati
di avere pensato a noi. Questa informazione ci sarà utilissima. E la possiamo
diffondere?
– Ma certo, ditelo a
tutti! Tutti devono sapere.
– Faremo stampare dei
manifesti da affiggere per le strade. Grazie ancora.
– Prego. Adesso vado
perché mi è venuta una stanchezza, una stanchezza, che non mi reggo in piedi.
Veloce come un fulmine,
Anna è già fuori con una poltroncina a ruote, in posizione per accogliere il
Caprone, qualora dovesse crollare. Ma lui imperterrito resta in piedi, si
volta a guardarla come se fosse pazza e si dirige dignitosamente verso
l'uscita.
Giacomo sospira.
– Era ora!
– Ed è solo mezzogiorno –
bofonchia Ersilio.
Prima di tornare a casa,
passa all'ufficio dei vigili urbani a pagare la multa. Guerrini
per fortuna non c'è. Sarà in giro a fare altri danni, sempre ligio al dovere.
Di domenica mattina nella
piazza centrale c'è sempre un bel movimento. La Chiesa Madrice
accoglie a portone spalancato i suoi fedeli. I quattro bar posti
strategicamente ai quattro angoli dispiegano le ordinate file di tavolini
senza soluzione di continuità. A distinguerli sono soltanto i colori delle
sedie, bianche, blu, verdi e nere, tanto per non confonderle quando alla
chiusura si devono impilare lungo i muri, in prossimità dei locali. Come ogni
domenica d'estate, Ersilio e Giacomo stanno facendo
colazione al bar di Nicola, quando suona la campana a morto. Strano, perché
il parroco della Madrice si è sempre rifiutato, di
domenica. Sostiene che nulla delle umane vicissitudini debba inquinare la
perfezione del giorno dedicato al Signore.
– Chi è morto? – è la
domanda che passa di bocca in bocca, sia in piazza che nelle strade
limitrofe, raggiungibili dal lamentoso rintocco delle campane.
E finalmente giunge una
risposta dai soliti beninformati.
– Il Caprone. È morto
stamattina alle sette.
– Azz...
– esclama Giacomo.
– Però! Ci ha azzeccato in
pieno. Pure l'ora. E adesso chi glielo va a dire che il Giudizio non era
universale, ma proprio tutto suo?
– Ci penseranno
nell'aldilà, se davvero gliene frega qualche cosa.
Si avvicina a loro
Gaspare, il fioraio.
– Avete sentito del
Caprone?
– Affari d'oro, per te –
gli dice Ersilio.
– Mica tanto. In paese
ormai non lo poteva vedere più nessuno. Non faceva altro che criticare tutti.
Si era fatto un caratteraccio! Ma certo qualche nipote ci terrà a fargli una
corona. Forse, alla fine, tre o quattro me le faccio.
– Meglio di niente –
commenta Giacomo.
– Ma com'è che don Paolo
oggi si è deciso a fargli suonare le campane?
– Questo è un bel mistero.
Bisognerebbe indagare.
Non passa molto, che anche
questo mistero si chiarisce. Si sa, nei paesi piccoli le voci circolano in
fretta. A quanto pare, il Caprone aveva esteso i suoi avvertimenti anche ai preti
della sua parrocchia, Sant'Anna, dove per altro nessuno ricordava di averlo
mai visto. I preti avevano riferito l'episodio a don Paolo, sghignazzando.
All'annuncio della sua dipartita, don Paolo, che aveva sghignazzato con loro,
si è sentito in colpa. Lo spirito celeste era senz'altro calato sul povero
diavolo, che però aveva scambiato un messaggio personale per uno universale.
Ma di questa confusione non gli si poteva certo fare una colpa, essendo i
messaggi celesti, per loro natura, sempre vaghi e misteriosi. L'unico timore
di don Paolo è che questa sua impulsiva decisione possa costituire un
pericoloso precedente.
È per questo motivo che il
lunedì mattina appare in evidenza nella bacheca all'ingresso della sagrestia
il seguente annuncio, scritto a caratteri cubitali: "In questa chiesa
non si suonano campane a morto nelle giornate di domenica." Meglio
prevenire che curare.
Anche se Ersilio non lo conosceva tanto bene, segue il corteo
funebre che nel tardo pomeriggio del lunedì accompagna alla sua ultima dimora
il Caprone, all'anagrafe Girolamo Perrucci. È un
chilometro di strada a piedi, percorsa lentamente, a buona distanza dalle
litanie del parroco che adatta il passo al retro dell'auto nera delle pompe
funebri, di cui da qualche tempo non è più costretto a respirare gli
scarichi; da quando, esattamente, ha litigato furiosamente con il titolare,
imponendogli di prendere un'auto elettrica. Quattro funerali in una settimana
sono stati troppi anche per lui. Una corposa bronchite gli ha suggerito, infatti,
più che il da farsi, il da imporsi. "O vi attrezzate, o avete chiuso con
i funerali" è stato il suo ultimatum, preso subito sul serio dal
titolare Raimondi.
Ersilio va poco al cimitero, anche se è gremito
dei suoi cari, di ogni grado di parentela. Non gli è mai piaciuto, un po'
perché si sente osservato dagli sguardi di tutte quelle foto, un po' perché i
fiori recisi puzzano nei vasi, essendo essi stessi cadaveri vegetali in
putrefazione. Apprezza invece la fauna viva che vi si è stabilita: gabbiani,
lucertole, farfalle, api, coccinelle e certi bei vermi panciuti, di un bel
verde tenero, con la schiena pelosa e una striscia bianca sul ventre.
Naturalmente d'estate vi migrano anche le cicale, il cui coro, insieme a
quello dei gabbiani e al rilassante fruscio del vento, rende il luogo meno
silenzioso e tetro.
Con suo grande stupore,
finita la cerimonia, mentre sta tranquillamente uscendo dall'imponente
cancello, viene fermato da un ragazzo sorridente. Lo conosce poco, ma gli
sembra di ricordare che è proprio un nipote del Perrucci,
nonostante la sua espressione tradisca ben poco dell'affranto cordoglio che
ci si aspetterebbe.
– Scusa, ti posso dire due
parole?
– Certo – risponde Ersilio, incerto se fargli le condoglianze.
– Mio zio Girolamo ha
lasciato una cassa di quaderni pieni di appunti. Ti potrebbero interessare?
– Condoglianze – gli dice Ersilio, appena avuta la conferma che il ragazzo è
davvero il nipote del trapassato. – Ma perché lo dici proprio a me?
– Ti vedo sempre entrare
alla libreria, e poi tante volte ti ho visto leggere seduto al bar. Mi sei
venuto subito in mente tu, quando ho visto quanta roba ha scritto mio zio.
– Ah, ecco. Beh, ma che
roba ha scritto?
– Non lo so. E non ci
tengo nemmeno a saperlo. Se non ti interessano ci faccio un bel falò a
ferragosto.
Ersilio inorridisce.
– No! Dammeli pure, che
prima gli do uno sguardo.
– Lo sapevo che potevano
interessarti. Te li cedo gratis. Vieni a prenderteli stasera, ma portati
delle buste, perché il baule mi serve, che già ho trovato da venderlo.
– Va bene – dice Ersilio, spiazzato. – E qual è la casa di tuo zio?
– È al Vecchio Pozzo,
vicino al mulino abbandonato, quella di fianco al camping dei tedeschi.
– Tra il mulino e il
camping?
– Sì, proprio quella. Puoi
entrare nel viottolo con la macchina, che poi davanti alla casa c'è lo spazio
per fare inversione.
– Va bene, grazie.
– Di niente.
Con passo elastico e
baldanzoso, il nipote del Perrucci si avvia verso
il paese, confondendosi presto tra i reduci del corteo funebre in ritirata.
Non c'è dubbio che la
grande passione di Ersilio sia leggere, ma non può
fare a meno di chiedersi cosa c'entri lui con i quaderni del Caprone.
Per fortuna l'auto di Ersilio è una Kia Picanto,
stretta abbastanza da entrare nel budello tra i muri a secco che il nipote di
Perrucci ha azzardato chiamare viottolo. Davanti
alla casa si ferma. Non l'ha mai vista, perché è in cima a una collinetta,
nascosta da una fitta vegetazione, in parte spontanea e in parte ricordo di
un frutteto ormai inselvatichito.
– Ciao. Ti aspettavo prima.
– Mi hai detto tu di
venire in serata.
– Sì, hai ragione, ma
pensavo prima di cena.
– Beh, ora sono qui. Mi
fai vedere questi quaderni?
– Entra.
Il ragazzo gli fa strada
all'interno. La saletta d'ingresso funge da cucina e soggiorno. I mobili sono
quelli contadini senza età che trovi in tanti casolari come quello. La cassa
è in un angolo. Sembra in noce, con robuste cerniere e manici in ferro
battuto, consumati, ma non arrugginiti. E quando lo apre, si scopre l'interno
foderato in carta marmorizzata, sicuramente una miglioria recente. I
quaderni, ben impilati quelli meno superficiali, ammucchiati disordinatamente
quelli in vista, sono neri, con il bordo delle pagine rosso. Ersilio ricorda di averne visti di simili nel cassetto di
cucina di sua nonna. Ci scriveva le sue ricette migliori.
– Hai portato le buste?
– Ah, sì, ce l'ho in
macchina.
Ersilio le va a prendere e comincia a riempirle
con l'aiuto del giovane Perrucci.
– Questa casa la erediti
tu?
– No, siamo in tanti.
Penso che la venderemo e ci divideremo il magro bottino.
Da questa frase Ersilio capisce quanto il ragazzo avesse tenuto allo zio,
quand'era in vita.
– Tuo zio era uomo molto
duro, vero?
– Uno stronzo.
– Ah.
– E questi sono gli
ultimi. Abbiamo finito.
– Se ci sono dei libri di
cui vuoi disfarti, posso liberarti anche di quelli – gli suggerisce Ersilio.
– No, i libri li cediamo a
un libraio ambulante che gira con un furgone per i mercatini. Ci siamo già
accordati.
– Ho capito. Meglio così.
Allora io vado. Ti ringrazio per aver pensato a me.
– Non c'è di che. Ti aiuto
a portarli in macchina.
Nell'aia Ersilio fa manovra e dopo aver salutato con la mano si
infila nel budello in discesa. Quando arriva sulla strada principale si
accorge di essere tutto sudato per la tensione. Fa un respiro profondo e
accende la radio, contento di avere tutta la serata davanti per esplorare
quello strano regalo.
Girolamo Perrucci ha tenuto un diario per tutta la vita. Ersilio non può che ammirare la sua costanza, anche se
tardivamente. Decide di ordinare i quaderni per data, in modo da seguire
almeno un filo logico. È una strana impressione quella di leggere i pensieri
di una persona che non si è conosciuta davvero. Diventa un'intimità postuma,
imposta, indiscreta e forse persino irriverente. Ersilio
trova l'ultimo quaderno, il più recente. L'ultima pagina scritta risale però
a sei mesi fa. Come mai il Caprone ha deciso improvvisamente di smettere?
Forse scoprirà anche questo, leggendo le sue parole vergate con calligrafia
ordinata, mantenendo i margini ben allineati, particolare che fornisce
l'impressione di una persona precisa.
È trascorsa una settimana
da quando Ersilio ha iniziato a leggere i quaderni
del Perrucci. Ci si è ormai appassionato, come
fosse un romanzo. Ogni tanto scopre lunghi periodi di silenzio. Per esempio,
in uno dei quaderni, più o meno a metà, c'è un buco. Tra i trent'anni e i
trentuno non ha scritto nulla. Un anno intero in cui si è tenuto i suoi
pensieri per sé. Ersilio è sicuro che non siano
state strappate delle pagine. Forse in quel periodo il Perrucci
è andato da qualche parte, magari in guerra, anche se non ne parla mai, come
invece ci si aspetterebbe da un reduce ritornato fortunosamente a casa dopo
averne viste di tutti i colori. Parla invece per un paio di pagine di un
certo Nilo, ma al passato, come se fosse morto. Prima e dopo, il nulla.
Un'altra cosa che non può fare a meno di notare è che a volte, senza alcun
apparente motivo, la prima lettera di una frase è miniata come fosse quella
di un codice medievale, quasi una piccola foto dei pensieri che poi verranno
espressi estesamente con abbondante uso di parole. A volte le miniature sono
piccole, strette in uno spazio angusto, altre volte, invece, hanno ampio
respiro, essendo ben separate e distanziate dalle righe
superiori. Ersilio è molto incuriosito da questa
stranezza. Scopre anche che Girolamo gli piace. Peccato non averlo conosciuto
in vita. Sarebbe stato bello parlarci, discutere di alcuni argomenti che
trova interessanti, ma appena accennati. Capisce che Girolamo è stato un uomo
che tendeva soprattutto a essere libero, senza legami, sia nella vita che nel
pensiero, anarchico, ateo e misogino. Ci sono pagine esilaranti dove commenta
la stupidità di alcuni suoi concittadini. Ersilio
non li conosce tutti, ma si diverte a quei racconti, intrisi di perfida
intelligenza e d'irresistibile ironia.
Sono passate due
settimane, quando arriva all'ultimo quaderno, che finisce con una frase
singolare. Per trovare il mio unico
amore basterebbe seguire le miniature della mia vita. È la prima volta
che Ersilio legge la parola amore su quei quaderni. Abbinata a unico fa uno strano effetto. Dunque, anche Girolamo ha amato,
dopo tutto. Smette improvvisamente di apparirgli come un alieno e diventa un
uomo come lui. Il Caprone innamorato può soltanto immaginarselo, perché
scrivendo quel diario, Girolamo non ha dedicato a quel sentimento esclusivo
neppure una sola riga. Forse gli è sembrato imperdonabile, per uno come lui,
tanto da non avere neppure l'audacia di scriverne. Un amore segreto, magari,
forse anche osteggiato dal suo stesso carattere. Probabilmente un amore
impossibile, che avrebbe potuto mettere in pericolo anche solo scrivendone.
Ma perché aspettare di essere quasi alla fine dei suoi giorni, per
dichiararlo?
Ersilio legge e rilegge la frase più volte. Le
uniche miniature che gli vengono in mente sono quelle dei quaderni.
Ovviamente seguirle vuol dire leggerle di seguito.
Quando finisce di prendere
nota delle lettere miniate, questo è il risultato:
vaisottoilficusdelmunicipioscavaversoilmuro.
Vai sotto il ficus del
municipio scava verso il muro. Chiarissimo. Ersilio
è sempre più incuriosito da questo ingenuo messaggio cifrato. Se Girolamo
avesse voluto mantenere il segreto, non avrebbe mai scritto l'ultima frase.
Chiunque ci sarebbe arrivato subito, come ci è arrivato lui con tanta
facilità. Quindi è chiaro che Girolamo voleva farlo sapere a qualcuno. Ma a
chi? Non certo a lui, visto che neppure si conoscevano.
Nel giardino del municipio,
tra i pini marittimi e le palme, c'è un ficus gigantesco, sorretto da un
notevole tronco multiplo, a un paio di metri dal muro di cinta. Quel muro ha
richiesto a più riprese una buona sistemata, perché le radici tendono a
sollevarlo, rischiando di farlo crollare. Se Girolamo ha sotterrato lì
qualche cosa, può anche darsi che i muratori o i giardinieri l'abbiano già
trovato. Però Ersilio vuole andare fino in fondo.
Non sospetta certo
l'inaspettata visita che quel pomeriggio gli giunge.
– Ciao. Purtroppo mi sono
sbilanciato troppo presto – gli dice il nipote di Perrucci,
sulla porta.
È accompagnato da un uomo
sui quaranta, che si presenta:
– Sono Gaetano Perrucci, nipote di Girolamo, suo padre - dice indicando
il ragazzo.
A Ersilio
viene subito in mente quello che Girolamo ha scritto di lui: "è un mezzo
analfabeta con una forte tendenza a esserlo del tutto". Un'opinione poco
lusinghiera.
– Piacere, accomodatevi.
Gaetano rifiuta il divano,
preferendo una sedia, su cui si siede a metà, evitando di appoggiarsi allo
schienale. Il figlio, dal nome ancora sconosciuto, si accomoda invece sul
divano, apparendo subito a proprio agio.
– E tu come ti chiami? –
gli domanda Ersilio.
– Luca. Non te l'ho detto?
– Veramente no. Bene, che
cosa posso fare per voi?
– Purtroppo ci devi
restituire i quaderni dello zio. L'altro giorno ci ha chiamato il notaio e...
– Mio zio aveva depositato
un testamento dal notaio Beltrame. Noi non lo sapevamo – lo interrompe
Gaetano.
– E quindi i quaderni sono
menzionati nel testamento, suppongo.
– Esatto. Li ha lasciati a
mio padre – ammette Luca.
– Capisco. Ve li
restituisco subito.
– Li hai letti?
– Sì. È un problema?
– No, anzi, ci puoi dire
se c'è scritto qualcosa di importante – suggerisce Luca.
– Non mi sembra, ma forse
dovreste giudicare voi.
– Non credo che mio zio
avesse segreti di stato – dice Gaetano.
Ersilio sorride.
– No, niente segreti di
stato.
– Comunque se li hai già
letti non te ne fai più niente, no? – commenta Luca.
– No, infatti.
Ersilio prende qualche busta di plastica della
spesa e ci sistema i quaderni, ben impilati.
– Scusami, sai. Ma chi se
lo immaginava?
– Niente, figurati. Anzi,
grazie per avermi dato l'occasione di conoscere tuo zio. Era una persona
notevole.
– Mio zio era uno stronzo –
commenta Gaetano, lapidario.
– Chissà che leggendo i
suoi diari tu non possa cambiare idea.
– Può anche aver scritto
la Divina Commedia, resta il fatto che fosse uno...
– Ho capito - lo
interrompe Gaetano, accompagnandoli alla porta.
Caffè. In queste occasioni,
gli serve per riflettere. Caffè e sigaretta. Ersilio
guarda il foglietto su cui ha preso nota del messaggio ingenuamente-cifrato.
Un'occhiatina sotto il
ficus gliela darà ugualmente. Chi glielo impedisce? Tanto ha la netta
impressione che Gaetano non si degnerà mai di leggere quei diari. A meno che
non gli sorga il dubbio che possano contenere qualcosa di utile. Altrimenti,
perché lo zio ci avrebbe tenuto tanto a lasciarglieli in eredità? Questo
almeno si chiederebbe Ersilio, se fosse al posto
suo. Non conoscendo la storia di famiglia dei Perrucci,
potrebbe davvero esserci qualche notizia importante per loro, che lui
ovviamente non ha colto. Certo che una stranezza, in tutta quella storia,
c'è. "Io non ho parenti", scriveva spesso nel suo diario. Tuttavia,
ha lasciato un testamento.
Ferruccio, il giardiniere
tutto fare, dipendente del Comune da prima che Ersilio
arrivasse, sta potando le siepi nella frescura del lato nord del giardino. Si
sentono gl'inconfondibili colpi metallici delle cesoie in azione. Ersilio va a trovarlo, facendo il giro del palazzo del
municipio.
– Impeccabile come sempre,
questo giardino. Mi raccomando, non farle diventare siepi nane come l'ultima
volta.
– È il Sindaco che le
vuole così. Dice che deve vedere quando arriva il traghetto, per regolarsi.
– Regolarsi per cosa?
– Per mandare qualcuno a
prendere i figli che tornano da scuola.
– Ma scusa, i traghetti
hanno un orario.
– Parlaci tu, se riesci a
farlo ragionare.
– No, grazie. Tanto per me
fa lo stesso.
– Allora lasciami lavorare.
– Non ero qui per questo.
Volevo solo sapere se tu c'eri l'ultima volta che hanno aggiustato il muro
vicino al ficus.
– E certo. Bisogna
riprenderlo ogni due anni, sennò ce lo ritroviamo per terra. Il muro, non il
ficus.
– E avete notato nulla di strano?
– In che senso?
– Non so, avete trovato
qualcosa?
Ferruccio lo fissa per
qualche istante, grattandosi la testa.
– Sì, adesso che mi ci fai
pensare, abbiamo trovato il tesoro del pirata Barbarossa.
Ersilio lo guarda stupito. Ferruccio scoppia a
ridere.
– Ma che dovevamo trovare,
scusa?
– Non lo so di preciso, ma
so che lì sotto ci hanno sepolto qualcosa.
– Il cadavere del cane di
Tommaso? Quello che non è mai stato ritrovato?
– E dai, Ferruccio!
– E che vuoi oggi, Ersilio? Sei in vena d'indovinelli?
– No. Voglio sapere cosa è
sepolto sotto il ficus.
– E prenditi una vanga e
vai a scavare da te. Mica ti aspetterai che ti faccia io il lavoro, vero? Non
c'ho tempo per le tue stronzate.
– E va bene. Quando
finisco l'orario vengo giù. Chi fa da sé fa per tre.
– Non c'è bisogno di
essere in tre per scavare una piccola buca. Là sotto ci sono più radici che
terra. Fai subito.
– Allora, a dopo.
– Ti preparo la vanga.
E così, dopo il lavoro, Ersilio scava le sue buche. Ferruccio è ancora nei
dintorni e all'improvviso se lo ritrova alle spalle.
– Braccia robuste
sottratte all'agricoltura – commenta, guardando Ersilio
a torso nudo che scopre le radici vigorose del ficus.
– Avevi ragione. Qui ci
sono più radici che terra.
– E secondo te come fa a
reggersi una bestia di ficus come questo? Ma hai visto bene quanto è alto e
quanto è largo?
Ersilio si ferma per detergersi il sudore dalla
fronte, mentre gli scorre a rivoli anche lungo la schiena.
– E sì che l'ho visto, ma
qui ci dev'essere qualcosa.
– Vabbè,
ti aiuto. Mi fai pena.
Ferruccio si mette anche
lui a scavare e ricoprire, scavare e ricoprire, finché, raggiunto quasi il
muro, si sente un attutito rumore metallico.
– Hai colpito qualcosa.
– Vediamo di che si
tratta.
Spazzata via ancora un po'
di terra con le mani, un infiltrato raggio di sole fa balenare i colori ormai
sbiaditi di una scatola di latta.
– Che roba è?
– Una scatola di biscotti
degli anni cinquanta, mi sembra.
– O sessanta.
– Comunque è molto
vecchia.
– E pure parecchio
arrugginita. Attento a non tagliarti.
– Io ho i guanti. Tu
piuttosto.
– Dai Ferruccio, aprila.
– E se c'è dentro un topo
morto?
– Ma come fai a pensare
queste cose in un momento così emozionante?
– Emozionante? Diventa emozionante
solo se dentro ci troviamo davvero una chilata di
monete d'oro, ma i tesori dei pirati li hanno già ritrovati tutti.
Ferruccio tenta di aprire
la scatola, che però oppone resistenza. Poi, con qualche colpo più
convincente, riesce a sollevare il coperchio.
– Chi la dura la vince. Ma
che roba è?
– Una cartella di cuoio,
direi.
– Prendila tu, che hai le
mani più pulite.
Ersilio la solleva dalla scatola, soppesandola.
Poi scioglie il laccio che la chiude e ci guarda dentro. Altri sei diari.
– Tu sai già che roba è,
vero?
– Sì. Fammi un favore. Non
lo dire a nessuno.
– Qui dentro c'è ancora
qualcosa.
– Un foglio di carta.
Dammi qua.
– No, questo mi spetta di
diritto – dice Ferruccio, allontanandosi di un passo.
Apre il foglio e lo legge.
– "Scommetto che tu
non sei Gaetano. Chiunque tu sia, non dirglielo. Così s'impara."
Ersilio scoppia a ridere.
– Vecchio bisbetico! Che
tipo che doveva essere.
– Di chi stai parlando? –
gli chiede Ferruccio.
– Di quello che ha
nascosto 'sta roba.
– E chi è, si può sapere?
– Il Caprone.
– Ma sei matto? Il Gaetano
del biglietto è Gaetano Perrucci? Gesugiuseppeemaria! Quello, se lo viene a sapere, ti fa
fuori. Io non voglio entrarci, eh? Io non so niente, non ho visto niente, non
c'ero e se c'ero dormivo. Vai in pace, fratello. Tra noi tutto è finito.
Afferra gli attrezzi e
sparisce come un fulmine.
Ersilio resta interdetto, immobile sotto il
ficus per qualche momento, poi scrolla le spalle, si riveste, afferra la
scatola dei biscotti e ricopre la buca con i piedi. Quindi esce dal giardino
e se ne torna a casa.
Finita la doccia, non fa
in tempo a mangiarsi un panino che qualcuno bussa alla porta.
– Ferruccio! Hai detto che
tra noi tutto è finito.
– Come può finire quello
che neppure è cominciato?
– Devo ammettere che la logica
non ti fa difetto.
– Me lo fai un caffè?
– E che, mi hai preso per
il bar di Nicola?
– No, tu lo fai meglio.
– Chi te l'ha detto?
– Giacomo.
– E tu credi a lui, quella
malalingua?
– Sì.
– A tuo rischio e
pericolo.
Intanto sono già arrivati
in cucina, dove Ferruccio si siede al tavolo, aspettando con fede cieca il
rinomato caffè di Ersilio.
– Hai già visto che c'è in
quei quaderni?
– No. Li guarderò più
tardi.
– E se invece li guardiamo
subito?
– Sei più curioso di una
scimmia.
– È vero. Però raccontami
tutto dall'inizio.
– Avevi detto che non ne
volevi sapere niente.
– Ci ho ripensato. Tanto
se ci ha visto qualcuno e prima o poi la notizia arriva alle orecchie
sbagliate, ci vado di mezzo pure io. Quindi, quando mi pesteranno, voglio
almeno sapere perché.
– Vabbè,
te lo concedo. Ma prima pigliati 'sto caffè.
Ersilio lo versa nelle sue amate tazzine
professionali.
– Queste tazzine le
conosco – dice Ferruccio, osservandole. – Bar di Nicola?
– No, bar di Anselmo.
– Giusto. Regalate?
– No, sottratte con l'astuzia.
Ferruccio assapora il
caffè senza batter ciglio, poi sorride.
– Ha ragione Giacomo. Mi
dici che miscela usi?
– Ah, adesso mi pare che
ti stai allargando troppo. È un segreto, va bene?
Ferruccio si arrende, ma solo
perché pensa che ancora non sono abbastanza in confidenza.
– Quei quaderni? Voglio
tutta la storia.
– Andiamo a sederci fuori,
che c'è un bel venticello, oggi.
Ersilio termina il suo riassunto delle puntate
precedenti, con poche interruzioni del curioso Ferruccio.
– Allora non ci resta che
leggere il seguito.
– Me li volevo tenere per
dopo cena.
– E se alla cena ci penso
io, mentre tu leggi a voce alta?
Chef Ferruccio compie la
sua opera: due spaghetti aglio olio e peperoncino. È il piatto che gli riesce
meglio quando si trova di fronte a un frigo vuoto. Ersilio
ha messo un po' di musica in sottofondo, perché non riesce a stare senza.
Intanto legge, prende fiato, s'immedesima nell'affascinante storia raccontata
da quei diari. Ferruccio ascolta con grande concentrazione e intanto cala la
pasta nell'acqua bollente.
– Aveva trent'anni quando
ha conosciuto Nilo, giusto?
– Giusto. Ecco perché
negli altri diari c'è un buco di un anno intero. È l'anno che ha raccontato
qui, il 1945.
– Chi l'avrebbe mai detto.
Che storia! E il Caprone se n'è andato per seguire questo Nilo.
– L'amore è amore.
– Ma ti rendi conto? A
quei tempi era considerato un reato. La gente ci finiva in galera. E poi
viaggiare non doveva essere facile. La guerra era appena finita.
– Girolamo non ne parla
mai, come se la guerra lui non l'avesse proprio vista. Eppure mi ricordo che
i miei nonni ne parlavano sempre, soprattutto della fame, del razionamento,
della gente che metteva in pentola persino l'erbaccia dei campi. Ma chi aveva
i soldi probabilmente poteva viaggiare comodamente anche allora.
– Ma secondo te, Nilo di Villarosa era proprio ricco-ricco, o solo nobile?
– Un duca senza soldi non
poteva mica fare la bella vita.
– Furbo però, a far finta
di assumerlo come cameriere personale.
– Questo sarà stato utile
per Girolamo, per andarsene dal paese, ma poi che avranno fatto?
– Se non continui a
leggere non lo sapremo mai.
– La pasta mi piace al
dente.
– Uh, me l'ero scordata! –
urla Ferruccio, precipitandosi a spegnere il gas.
– La prossima volta, se mi
inviti a cena, fammi trovare qualcosa da mangiare – dice Ferruccio, dopo
l'ultima forchettata.
– Perché, ti ho invitato a
cena?
– Certo.
– Sei sicuro? Di solito
cucino io quando invito qualcuno a cena.
– Ma non c'hai nemmeno un pezzetto
di pane, Ersilio? Ma di che vivi?
– Di poco. Comunque
stasera avevo intenzione di andare da Fiorella a mangiarmi una pizza.
– Sono contento di averti
bloccato. La prossima volta ti ci porto io a mangiare la pizza. C'è un locale
nuovo dove la fanno di lusso.
– Di lusso?
– D'accordo, te lo spiego
la prossima volta. Adesso possiamo continuare a leggere?
– Meglio, sì.
– Eravamo rimasti che
giungono a Villarosa.
– Sì, ero arrivato qua.
"Meglio di me l'ha descritta il poeta, Vincenzo De Simone.
Dintra 'na conca sutta 'na muntagna
'ntra dù ciumi,
unu amaru e l'autru duci,
cc'è un paiseddu ccu li strati 'n cruci
e tanticchia di virdi a la
campagna;
'ntra ripa e ripa la terra siccagna
di centu rarità frutti produci,
di jornu fumichìa, di notti luci
e
'ntra li 'nterni sò chianci e si vagna.
Nilo
e io fingiamo massimo distacco in pubblico, ma come suo cameriere personale
ho occupato la camera accanto alla sua. C'è una porticina di servizio tra
l'una e l'altra, che usiamo per raggiungerci quando ci ritiriamo per la
notte. Sotto le sue finestre c'è una distesa di mandorli che alla fine
dell'inverno dev'essere una meraviglia. Per il
momento fa caldo e noi ne approfittiamo per andarci a bagnare nel Salso o nel
Morello, lontano da occhi indiscreti e pettegoli. Usciamo per la caccia con i
cani e i fucili, e invece andiamo a tuffarci e a farci gli affari nostri.
Siamo d'accordo che se qualcuno si avvicina, spariamo."
–
Gesugiuseppeemaria! Avranno fatto una strage!
–
Non lo sapremo mai, se m'interrompi continuamente.
–
Giusto, vai avanti.
È
tardi, ma tardi davvero, quando Ersilio finisce di
leggere il secondo quaderno.
–
Non è per essere scortese, ma io ho bisogno di otto ore di sonno per sembrare
umano.
–
Mi stai cacciando via?
–
No, macché. Puoi restare a vedermi dormire, se ti diverte.
–
Russi?
–
E che ne so?
–
Te lo potrei dire io, domani, se mi fai dormire qui.
–
Ma perché non te ne ritorni a casa, Ferruccio? Fai il bravo.
–
No, è che sono venuto con un passaggio e adesso tornare a piedi mi pesa. Non
pensavo di trattenermi tanto. Ma se mi accompagni tu in macchina...
–
Te lo puoi scordare. Dormi sul divano.
–
Grazie, Ersilio.
Nel
cuore della notte, Ersilio si sveglia pensando che
sia in atto un terremoto. Sbarra gli occhi nel buio, trattenendo il fiato.
Poi sente una presenza accanto a sé, si spaventa, ma subito dopo si ricorda
di Ferruccio.
–
Ma che fai? – bofonchia.
–
Il divano è troppo scomodo. Occupo poco posto, te lo prometto.
Ersilio si lamenta, ma ripiomba nel
sonno. Ferruccio, soddisfatto, sorride.
Quando
suona la sveglia, Ersilio deve districarsi dalle
braccia e dalle gambe di Ferruccio che l'ha preso in mezzo come un polpo.
–
Buongiorno. Hai un bel sonno pesante.
–
Non parlo prima del caffè – farfuglia Ersilio.
–
Sai che mi sono sognato le miniere di zolfo e le vigne di Villarosa?
Forse potremmo andare a vederle, se ci sono ancora.
–
Mmm.
–
Ma poi che fine avrà fatto Nilo?
–
Mm.
–
Mi posso fare una doccia?
–
M.
–
Verso che ora ti torna in attività il cervello?
Lo
sguardo cisposo di Ersilio è più loquace di mille
parole. Ferruccio sparisce in bagno, mentre il padrone di casa raggiunge
arrancando la cucina e soprattutto il Barattolo del Caffè.
Quando
un'adeguata quantità di caffeina gli entra in circolo, Ersilio
si rende conto di due cose. Primo, Ferruccio gli piace. Secondo, non è che
Ferruccio ci sta provando con lui? Ma quella in realtà è una domanda. Terzo,
già, allora erano tre cose. Terzo, deve interrompere subito quell'andazzo.
Mettere in chiaro le cose. Lui non è... Lui non... Lui... E se invece?
–
Allacciati la cintura.
–
L'ho allacciata.
–
Non dicevo quella dei pantaloni.
–
Ah, scusa, vuoi dire questa?
–
Ho un contenzioso aperto con il vigile Guerrini e
non voglio discutere di prima mattina. Ti porto a casa?
–
Fa niente. Ci passo dopo. Adesso è più importante andare a fare colazione. Ho
un calo di zuccheri.
–
Ne hai messi tre cucchiaini nel caffè.
–
Me l'hai contati?
–
No, l'hai contati tu mentre li mettevi.
–
Brutto vizio, lo so. Conto tutto. Mi hanno detto che è un disturbo nevrotico,
ma non sono pericoloso, puoi stare tranquillo.
–
L'importante è che stia tranquillo tu.
–
Senti, quando possiamo continuare a leggere?
–
Sabato.
–
Oggi hai da fare?
–
Avrei un frigo da riempire e il giardino da innaffiare.
–
Ti aiuto io, così poi leggiamo.
Ersilio ha la netta sensazione che
non riuscirà a far desistere Ferruccio finché non avranno finito di leggere
quei diari.
"Nilo
è geloso come un moro. Pretenderebbe che io non parlassi mai con nessuno.
Secondo lui sono diventato di sua proprietà, come i terreni, le miniere o i
cavalli. Ieri mi ha ordinato di non uscire dalla villa, per via della
vendemmia. Ci sono in giro molti braccianti occasionali e lui teme che io
possa interessarmi a loro. Tanto ci tiene a me. Ma io, anche se Nilo è la
luce dei miei occhi, mi sento soffocare. Non sono una cosa sua."
–
Quanto è passato? Tre mesi? – chiede Ferruccio.
–
Quasi cinque.
–
E già si sentiva soffocare. Troppo amore è dannoso. Diventa una malattia.
–
Gli sbalzi d'umore di Nilo fanno pensare che non fosse troppo regolare. Anche
questa gelosia, così esagerata, non mi sembra normale.
–
Un po' ci sta, credo, ma quando è troppo, è troppo. Tu sei geloso?
–
No.
–
Io un po' sì, ma di solito sono il primo a stufarmi.
–
Insomma, i tuoi amori durano poco.
–
Più che altro mi stufo prima di arrivarci.
–
Che vuoi dire?
–
Che voglio dire, voglio dire che mi stufo prima di innamorarmi.
–
Ah, ecco. Non sei mai stato innamorato.
–
È che proprio non lo capisco. Come fai a distinguere fra un'attrazione
fortissima e un amore?
–
Forse l'amore non ha niente a che fare con l'attrazione, o meglio, non più. È
quello che rimane dopo, spogliato da tutto il contorno.
–
Sono sicuro che non hai capito nemmeno tu quello che hai detto. Sei sotto
l'influenza di Girolamo. Vai avanti.
–
Finisce qui.
–
Allora passa al prossimo.
–
No, Ferruccio. Ho bisogno di dormire. Continuiamo un'altra volta.
–
Domani?
–
Domani non posso.
–
Ma che hai da fare?
–
Sei parecchio invadente, lo sai? Comunque te lo dico, perché non è un
segreto. Vado al mare con i miei cugini. Sara porta l'insalata di patate e
ceniamo lì.
–
Vado pazzo per l'insalata di patate.
Ersilio fa orecchie da mercante.
Sbadiglia.
–
Scusa, casco dal sonno. Non vorrei cacciarti via, ma ci sono costretto. Ciao,
Ferruccio, buonanotte. Poi apre la porta e aspetta che lui si decida a
uscire.
–
Buonanotte, Ersilio – dice uscendo, con
un'espressione chiaramente contrariata.
–
Buonanotte – ripete Ersilio, chiudendo la porta a
doppia mandata.
Poi
sospira. Ferruccio è più appiccicoso del vinavil.
Di
solito, Ersilio trascorre il sabato mattina
dormendo. Gli serve per recuperare il sonno perso durante la settimana,
oppure per avvantaggiarsi su quello futuro. Per lui è del tutto indifferente.
Si alza con comodo, si riconnette con il mondo, fa un'abbondante colazione e
poi si dedica al giardino. A volte va in spiaggia, altre volte a fare la
spesa. Tutto questo senza avere un vero programma, ma solo seguendo l'estro
del momento presente. Difficilmente qualcuno s'intrufola in questa sua
disordinata routine. Ma adesso c'è Ferruccio. Non gli fosse mai venuto in
mente di coinvolgerlo nella sua ricerca!
Bussa,
bussa, tanto non sono in casa, pensa Ersilio nel
dormiveglia.
–
Ersilio! Lo so che ci sei.
Bussa,
bussa fino a sfondare la porta, ma io da qui non mi muovo.
–
Ersilio, perché non apri?
Urla
più forte, in paese non ti hanno sentito.
Uno
strano fracasso giunge dalla finestra che affaccia sul giardino. Adesso Ersilio è ben sveglio.
–
Ma che caz...?
Si
alza di scatto e si precipita in soggiorno. Ferruccio sta raccogliendo i
cocci di un posacenere di ceramica. Poi tenta di rimettere in piedi un
tavolino, ma una delle quattro gambe è rimasta per terra. Lo adagia di nuovo,
grattandosi la testa. Questo è il risultato che si ottiene entrando dalle
finestre, anziché dalle porte.
–
Quello lo aggiusti, e il posacenere me lo ricompri.
Ferruccio
si volta, stupito.
–
Ma tu parli!
–
Hai visto? Sono stato miracolato.
Ersilio si dirige in cucina alla
velocità consentitagli dai due neuroni che hanno ripreso coscienza, loro
malgrado. Prima un caffè, poi le decisioni importanti, come stabilire in che
modo uccidere Ferruccio: affogarlo, impiccarlo, sparargli, investirlo con la
Kia, buttarlo giù dalla scogliera?
–
Scusa. Ero convinto che fossi sveglio.
–
Stai rischiando parecchio. Divento feroce quando mi svegliano di soprassalto.
–
Scusa tanto, ma è quasi mezzogiorno, come facevo a immaginare che tu dormissi
ancora?
–
Grrrr.
–
Va bene, mi taccio.
L'idea
è di farla finita. Finire cioè di leggere quei maledetti diari e poi cacciare
fuori per sempre Ferruccio da quella casa. Ersilio
legge veloce, senza quasi prendere fiato. A volte non capisce nemmeno cosa
sta leggendo, pur di sbrigarsi. Ma a un tratto viene interrotto.
–
Gesugiuseppeemaria! Ma sta dicendo che per
liberarsi di lui è disposto anche a ucciderlo?
–
Credo. Andiamo avanti.
–
Un momento. Nilo gli ha regalato un patrimonio in gioielli e lui pensa di
ucciderlo?
–
Per Girolamo conta più la libertà che tutte le ricchezze del mondo.
–
Ma allora perché non ha rifiutato quel dono? Rifiutava e se ne andava, no?
–
Nilo non vuole lasciarlo andare, non hai seguito? Lo vuole tenere lì contro
la sua volontà. Girolamo sta aspettando l'occasione giusta per fuggire. Se
avesse rifiutato quel regalo, Nilo si sarebbe insospettito. Lo sta
assecondando come si fa con un pazzo.
–
Direi che non lo ama più.
–
Direi che ha ragione da vendere. Che avresti fatto tu al posto suo?
–
Non lo so.
–
Allora vado avanti. "Mentre stavamo tornando dal fiume, all'improvviso e
senza motivo, Nilo ha deciso di fare una visita alla miniera. Gli ho detto
che la strada era lunga, ma lui non si è lasciato dissuadere, né mi ha voluto
spiegare il motivo per cui ritenesse tanto impellente un sopralluogo. Fatto
si è che giunti a ridosso di un dirupo, il suo cavallo si è imbizzarrito,
disarcionandolo. Nilo ha battuto violentemente sulle rocce, rimbalzando poi
giù nel precipizio. Non mi è rimasto che andare a chiedere aiuto alla
miniera. Siamo tornati sul posto, dove due dei minatori si sono calati con le
funi, mentre io e altri tre ne reggevamo i capi. Poi l'abbiamo tirato in cima
con una barella improvvisata e l'abbiamo portato dal medico chirurgo in un
ambulatorio vicino che funge da pronto soccorso sia per la miniera che per i
campi. Purtroppo Nilo era in pessime condizioni ed è morto durante la notte
senza riprendere coscienza."
–
È stato lui – dice Ferruccio.
–
Dici che ha mentito?
–
Non ho dubbi.
–
Può darsi. Non lo sapremo mai.
Ersilio riprende a leggere. Ormai
manca poco. Anche se Nilo è stato il suo unico amore, non l'ha mai espresso
per iscritto. In tutte quelle pagine non ha mai riferito un solo stato
emotivo, un desiderio, un'emozione. Quei diari sono soltanto un freddo
seguito di descrizioni di quello che Girolamo ha vissuto e fatto con Nilo,
uno scarno diario di quell'anno vissuto a Villarosa.
–
Davvero un amore travolgente – commenta ironico Ferruccio, facendo eco alle
sue riflessioni.
–
Neppure per un attimo ho avuto l'impressione che lo amasse.
–
Era quello che intendevo. Dai finiscilo, tanto ormai ci manca poco.
–
Ne vale la pena?
–
Abbiamo fatto trenta...
–
E va bene. "Non mi rimane che andarmene da Villarosa.
Ho fatto i bagagli, dicendo che andrò a cercarmi un nuovo impiego a Palermo.
Partirò domani mattina. Nessuno pensa di trattenermi, come già immaginavo.
Stanotte andrò a nascondere il mio tesoro, là dove è caduto Nilo e dove ho
messo una croce. Non voglio affrontare il viaggio di ritorno in paese
portandomelo dietro. Troppo rischioso. Tornerò a riprenderlo un giorno,
quando la situazione sarà più tranquilla."
Ersilio chiude il diario.
–
Finito?
–
Finito.
–
Che ne pensi? Il suo unico amore non saranno stati quei gioielli?
–
È molto probabile. Comunque, negli altri diari non parla mai di un viaggio a Villarosa.
–
Forse non è più tornato a prenderli. Non lo so, ma un viaggetto a Villarosa me lo farei. Tu no?
–
Hai idea di quanto possa essere cambiata quella zona dal 1945?
–
Facciamo finta di essere archeologi. Ce ne andiamo a scavare un po' in giro
vicino alla miniera e...
–
Quale miniera?
–
Ah, già, ci sono diverse miniere in quella zona, vero?
–
Esatto. Ci facciamo una campagna abusiva di scavi ad ampio raggio?
–
Diamo solo un'occhiata panoramica, vuoi?
–
Ci penserò.
–
Intanto che tu ci pensi, io m'informo.
–
Ti informi?
–
Anche solo una notte ci dovremo dormire, no? Vedo se c'è un B&B nei dintorni, o magari un agriturismo. Senza
impegno.
Quando
Ersilio arriva al bar di Nicola, Giacomo ha già
ordinato la colazione.
–
Sei in ritardo.
–
Non ho sentito la sveglia.
–
Metti la sveglia per venire a fare colazione qui, la domenica?
–
Ti rendi conto che sono appena le nove?
–
Ah, certo, è l'alba. Ultimamente ti vedo ciondolare. Non sarà che hai bisogno
di un po' di ferie?
–
Non sei divertente. Quest'anno agosto tocca a te.
–
E l'anno prossimo a Anna.
–
Appunto. Quindi lasciami ciondolare.
Qualcuno
si ferma al loro tavolino. Senza neppure voltarsi, Ersilio
dice:
–
Un cappuccino e una brioche.
–
Non lavoro qui – risponde una voce conosciuta.
Ersilio solleva lo sguardo verso di
lui.
–
Ciao, Luca, pensavo fosse il cameriere.
–
L'avevo capito. Ti dovrei parlare a quattrocchi.
–
Mi lasci il tempo di fare colazione?
–
Certo. Ci vediamo alla statua di Garibaldi. Quando hai finito mi trovi lì.
Ersilio fa colazione tra le
chiacchiere di Giacomo che lo aggiorna sugli ultimi pettegolezzi che girano
in paese, ma mentre uno dei suoi neuroni lo ascolta distrattamente, l'altro
si domanda cosa voglia ancora Luca da lui.
È
quindi con una discreta dose di curiosità mista ad ansia che arriva ai
gradini della statua, trasformati in umili sedili e luogo d'incontro nel
centro della piazza del Municipio.
Luca
è seduto sui gradini. Ersilio si avvicina e si
siede accanto a lui.
–
Allora?
–
Ti devo parlare.
–
Sono qui per questo. Sputa il rospo.
–
Ho letto il diario di mio zio.
–
Bene.
Dunque
i miracoli esistono.
–
Non sono scemo come credi.
Questo
lo credeva fermamente il Caprone.
–
Non mi ha mai sfiorato un pensiero del genere.
–
Hai scavato sotto al fico, vero? Perché io non ci ho trovato niente. E se non
ci ho trovato niente, vuol dire che qualcuno è passato prima di me. E siccome
solo tu hai letto quel diario, allora vuol dire che sei stato tu. Voglio
sapere che cosa hai trovato.
Ersilio non si stupisce del
collegamento logico di Luca. Glielo deve dire? Ha il diritto di
nasconderglielo?
–
Sotto al fico erano nascosti altri diari.
–
Li voglio.
–
E li avrai. Vieni con me o te li porto da qualche parte?
–
Vengo con te.
Ferruccio
sta facendo un giro sul motorino che il meccanico è finalmente riuscito a
rimettergli in sesto, nonostante la veneranda età. Casualmente volge le ruote
verso la strada che porta a casa di Ersilio. Quando
se ne rende conto, si domanda che cosa stia facendo. Lo sa che la domenica
mattina va in piazza. Sa che fa colazione con Giacomo. È un'abitudine che
hanno preso da tempo. Difficilmente saltano quell'appuntamento. Per qualche
oscura ragione lui si era convinto che ci fosse una storia tra quei due, ma
poi ha capito che sono solo amici. Gli è sempre piaciuto Ersilio,
ma adesso che ha trovato una scusa per avvicinarsi di più a lui, non sa come
muoversi. Ci sono stati momenti in cui ha creduto di capire che... No, si è
solo illuso di aver capito. In realtà non ha proprio capito niente. È
spiazzato. Imporgli la sua presenza è stato un modo di metterlo alla prova,
ma il risultato non è stato certo esaltante. Vorrebbe che adesso fosse Ersilio a fare un passo verso di lui, ma teme che a
muovere quel passo non arriverà mai. Ferruccio giunge davanti alla casa. Si
ferma. Entra in giardino e si siede sulla stessa poltrona di vimini dove Ersilio gli ha raccontato la storia del diario di Perrucci detto il Caprone. Sarà meglio che non si faccia
trovare là, quando Ersilio ritorna. Questa volta
potrebbe davvero cacciarlo via a bastonate. Ma il rumore di un motore in
avvicinamento lo blocca là dove si trova. Riconosce subito la Kia. Come mai Ersilio è già di ritorno? Che fare? Ormai sarebbe stupido
muoversi. Meglio mostrarsi naturali.
Ersilio scende dalla macchina
insieme al nipote del Caprone.
–
Ciao, Ferruccio, che ci fai qui?
–
Dovevo aiutarti con il giardino, ricordi?
–
Ah, sì, il giardino. Arrivo subito.
Intanto
entra in casa, seguito da Luca, e subito dopo da Ferruccio.
–
Te li rendo volentieri. Come ti ho detto, ho appena iniziato a leggere il
primo, ma non ci tengo a finirlo. È una storia molto, ehm, particolare.
Privata. Non mi sembra giusto ficcarci il naso. Forse dovresti fare lo stesso
anche tu.
–
Eh no, io ho diritto di leggerli. In fondo era mio zio.
–
Beh, fai come credi. Però, secondo me, se li ha seppelliti è perché non
voleva farli leggere a nessuno.
–
Allora poteva bruciarli.
–
Hai ragione. Tieni. Questa cartella era dentro una scatola di latta. Vuoi
anche quella?
–
Sì.
–
È in giardino. Te la vado a prendere.
–
Vengo anch'io. Poi mi riaccompagni.
–
Va bene.
Ferruccio
li segue anche lì.
–
Tu puoi cominciare a innaffiare, io accompagno lui e ritorno – dice poi a
Ferruccio.
Lui
incrocia le braccia e li guarda risalire in macchina.
Che
figlio di buona donna...
Quando
Ersilio torna a casa, trova Ferruccio in costume da
bagno, che fischietta allegramente mentre raccoglie il tubo e lo aggancia al
supporto.
–
Hai già finito?
–
E che ci vuole? Allora, com'è andata esattamente? Luca c'è arrivato da solo o
gliel'hai detto tu?
–
Sei matto? C'è arrivato da solo, purtroppo.
–
E non potevi inventarti qualcosa? Lettere d'amore mangiate dai topi,
fotografie illeggibili rovinate dall'umidità, o che so io? Dovevi proprio
essere sincero?
–
Non posso farne a meno. E poi non sono stato totalmente sincero, ho mentito
dicendogli che non l'avevo letto. Comunque, non erano miei.
–
Sì, invece. Non ricordi il biglietto?
–
Non c'è arrivato Gaetano, ma Luca sì. Spetta a lui l'eredità, se riuscirà a
trovarla.
–
Sempre che non ci arriviamo prima noi.
–
Non mi voglio mettere in mezzo a questa storia. Io non c'entro niente.
–
Sei troppo onesto, Ersilio. Troppo.
–
Sono come sono.
–
Ah, Ersilio! – sospira Ferruccio.
Poi,
trascinato da un impulso irresistibile, lo abbraccia, baciandolo sulle
labbra.
Ersilio non si tira indietro.
Ferruccio si stacca e lo guarda titubante, in attesa della sua reazione. Ersilio si limita a sorridere.
–
Temevo che mi avresti mollato un cazzotto.
–
Perché? Non era così male. Ma sicuramente sai fare di meglio.
Ferruccio
scoppia a ridere. Poi lo trascina in casa.
A
volte ci sono domande senza risposta, come: Luca troverà mai l'unico amore
del Caprone? E poi ci sono risposte senza domanda, come: sì, ci si può
innamorare senza preavviso, anche delle persone più impensate.
Mentre
Ersilio si spoglia in fretta, Ferruccio lo osserva
con compiacimento.
–
Adesso mi dici che miscela usi?
–
Adesso ho altro da fare – dice Ersilio chiudendo la
porta a doppia mandata.
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