Una caletta nascosta dal muro

 

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– Ma tu te le ricordi le calle della nonna?

– E come no? Prendevano tutto il muro del cortile, torno torno, fino al cancello. E dietro alla casa, invece, c'era il glicine che si arrampicava sul pergolato. Da aprile i fiori scendevano a grappoli e c'era un profumo! Tua nonna ci preparava la merenda e ce la metteva sul tavolo, là sotto. Non me lo posso dimenticare il sapore di quel pane col miele, che sapeva di glicine pure quello.

Alfredo sospira.

– E adesso, a vedere questa rovina, mi viene da piangere.

– Andiamo, Fausto, non fare così. Vendi tutto e tieniti i bei ricordi.

Fausto si allontana. Fa il giro della casa. Si ferma dove una volta c'era il pergolato e il suo sguardo si allunga lontano, fin dove s'intravede il mare. È venuto per vendere quella proprietà, abbandonata da moltissimi anni. Ora che neppure sua madre c'è più, lui ha pensato di disfarsene. L'ha pensato, quando era lontano da lì, ma adesso che ci è tornato la sua decisione vacilla. In quel terreno, in quella casa semidiroccata, ci sente un pezzo delle sue radici.

Alfredo lo raggiunge.

– Bei tempi, quelli. Venivo qui con la vecchia bici di mio fratello. Tu prendevi la tua, "la sfolgorante" la chiamavi, e ce ne andavamo al mare. Tutto il giorno buttati nell'acqua, che quando uscivamo avevamo la pelle tutta raggrinzita...

– Eh, tu ti ricordi della preistoria. Io invece mi ricordo bene gli anni del liceo, dopo che ci siamo trasferiti, quando venivamo solo in agosto. Tu avevi un'altra compagnia e nemmeno c'incontravamo, o quasi: forse la sera allo struscio, o seduti al bar di Diego a prenderci il gelato.

– Sì, invece, c'incontravamo qualche volta. Ma tu te ne stavi sempre con Ada. A proposito, come sta tua sorella?

– Bene. Anche se, ultimamente, è sempre in guerra con il marito, e i figli la fanno impazzire.

– Sembravano una bella coppia, ma certo io li ho visti poco.

– No, hai ragione, erano una bella coppia, ma con il tempo, sai, le cose cambiano.

– Ma certe cose non cambiano mai.

– Per esempio?

– Mah, adesso non me ne viene in mente nessuna.

Fausto ride.

Alfredo sa benissimo quali cose non cambiano mai, ma non può certo confessarlo proprio a Fausto. Follie di gioventù. Non è il momento di rivangare certi ricordi.

 

Alfredo è convinto che la mente sia come una mappa, con sentieri e strade, dove scorrono indisturbati i pensieri. Alcuni pensieri sono così ricorrenti che pian piano al passaggio si scavano un vero canyon. Ed ecco che per un certo numero di anni ha avuto un solo pensiero fisso. Poi ha dovuto cominciare a bloccare quella traiettoria, e gli era sembrato anche di esserci riuscito. Ma ormai la sua mente ha fatto piazza pulita di tutti gli ostacoli che Alfredo nel tempo le ha messo davanti, fino a formare una bella montagna di detriti.

Alfredo è in terrazza. Guarda la grande luna piena che si specchia sul mare. No, non doveva succedere. Però è accaduto. Di nuovo, Alfredo? Di nuovo. Con un sospiro si accende l'ultima sigaretta prima di andare a dormire.

 

Il latte freddo con il caffè caldo, una brioche appena sfornata, il giornale, uno sguardo al passeggio dei turisti più mattutini, tra il banco della frutta e la pasticceria, un bicchiere d'acqua fredda e un altro caffè. Il cellulare vibra sul tavolino, mentre paga il conto al giovane che fa la prima stagione come cameriere al bar, per contribuire a pagarsi gli studi.

– Pronto.

– Sei già in piazza?

– Sì, Fausto. Lo sai che mi sveglio presto.

– Certo, lo so.

– Vieni qui? Ti aspetto?

– No, perché non vieni al porto, che ci facciamo due passi e ci lustriamo gli occhi?

Anche senza l'invito di Fausto, è proprio questo che avrebbe fatto Alfredo, come tutte le mattine, dopo colazione. La differenza è che di solito ci arriva come per caso, pensando ad altro, mentre adesso cammina verso il porto consapevole di avere una meta. Il luogo di partenza e quello di arrivo sono i medesimi di ogni giorno, eppure il breve percorso acquista uno spirito differente, si arricchisce di un'attesa sottile, cui si aggiunge persino un'agitazione interiore che sembra del tutto fuori luogo. Da casa sua si vede il mare, ma questo non gli basta. Deve proprio andarci vicino, sentirne l'odore, udirne la voce. Gli è difficile starne lontano. O ci sta in mezzo, a bordo di una delle balene di ferro che solcano gli oceani, o si arena a riva per osservare l'azzurra distesa senza confini. In fondo Alfredo detesta il richiamo della terra ferma, il senso illusorio di solidità che sembra tanto una presa in giro, una promessa mai mantenuta. Quando è a terra si diletta in quell'arte molto frequentata che è osservare le barche. È un vagabondo di banchina. Praticamente un sognatore. Procede lentamente, con metodo, osservando ciascun natante in ogni suo possibile dettaglio. Un nome intrigante lo porta lontano, un dettaglio tecnologico innovativo lo stupisce, si lascia illuminare lo sguardo dagli ottoni lucidi a specchio, si innamora di una lanterna risorta a nuova vita. Questa sua arte non ha risvolti pratici. L'osservazione delle barche è per lui solo oggetto di meditazione e rilassamento. Un momento poetico, un po' fuori dal mondo. Niente di più.

Quando sbuca sulla banchina vecchia, inciampa subito con lo sguardo sulla sagoma di Fausto, seduto su una bitta di pietra, voltato verso il mare.

Fausto sente i suoi passi regolari sulle pietre del molo, si volta e si alza, andandogli incontro.

– Buongiorno.

– Buongiorno a te, marinaio.

Alfredo sorride. Un po' della sua agitazione si scioglie.

– Allora, se la notte porta consiglio, la tua ti ha consigliato bene?

– Ancora non lo so. Non riesco a decidermi. Il fatto è che a quella casa sono legati troppi ricordi. Non mi va che a passarci le vacanze ci vadano degli sconosciuti che non sanno niente delle calle, dei glicini e delle merende a pane e miele.

– Mi stai dicendo che me la devo comprare io?

– Non mi avevi accennato, una volta, che la volevi?

– È stato tanto tempo fa.

Quando pur di non staccarsi da un ricordo ci voleva andare a vivere dentro.

– Io non la vendo. Ho deciso.

– Allora pensi di ristrutturarla e di venirci in vacanza?

– Sì. Come ho fatto a stare lontano da qui per tutto questo tempo?

– Un po' come faccio io, credo.

Quando l'imbarco è finito, sa che presto ne cercherà un altro. Perché lui non appartiene davvero a quel mondo. È un essere anfibio. È convinto che in fondo nessun navigante ami davvero il mare. Gli serve per scappare dalla terra ferma quel tanto che basta per farsela mancare. Nello stesso modo, una volta a terra, l'entusiasmo si spegne pian piano fino a far tornare il desiderio incontenibile di tornare per mare.

– Per te è diverso. Anche quando non sei qui, sei in mare. Io invece il mare non lo vedo nemmeno col binocolo. E adesso mi accorgo che mi manca. Mi mancano un sacco di cose.

– Per esempio?

– Adesso non me ne viene in mente nessuna.

Alfredo si mette a ridere.

– Dovremmo essere più franchi l'uno con l'altro.

– Ci sono cose difficili da dire. Lo sai anche tu.

Intanto hanno camminato rasentando le barche ormeggiate, guardandole senza davvero vederle.

– Ma sì, hai ragione. Guarda questa!

Sulla barca a vela lucidata a specchio, una donna è sdraiata a prendere il sole.

– È bellissima.

Alfredo annuisce, anche se non gli è chiaro se Fausto si riferisca alla barca o alla donna. E comunque pensa che sia un bene che Fausto non sappia cosa gli passa per la mente. Poi riprende il suo vagabondaggio senza accertarsi che l'amico gli stia dietro.

Fausto non è uno cui piaccia mentire. Ma lì, al paese, nessuno sa niente di lui e dei suoi trascorsi, nemmeno il suo vecchio amico Alfredo. E non sa perché, ma preferisce tacere. Tanto non cambierebbe nulla. Alla fine, smaltita la nostalgia e fatto il pieno di noia, tornerà volentieri a casa sua, al suo mondo, alla sua inguaribile solitudine gioiosa.  La chiama così, Fausto. Solitario per scelta, soddisfatto del suo trantran, da alcuni definito misantropo, senza apparente motivo. E la casa in campagna resterà invenduta e abbandonata, un marchio indelebile della sua indecisione, della sua incompletezza. Una spada di Damocle pendente sulla sua testa. In attesa.

Poi, come se Alfredo gli avesse letto nel pensiero, gli dice:

– Sai che c'è un architetto che sta ristrutturando le vecchie ville, qui intorno? Le fa tornare all'antico splendore senza riammodernare niente, all'apparenza. È davvero bravo. Ti va di fare un giro a vederle? Sono cinque o sei.

– Volentieri.

Alfredo non sa che lui non ne farà niente, ma Fausto lo asseconda perché gli fa piacere. Gli fa piacere fare un giro per le campagne con il suo vecchio amico, a cui ha smesso da tempo di svelare i suoi segreti.

– Ha fatto lavori anche qui in paese?

– No, che io sappia. Si occupa piuttosto di vecchie ville. Se ci capita d'incontrarlo te lo presento. Lo conosco da poco, ma mi piace molto. Dice che il fascino di un vecchio luogo è proprio nella patina che gli conferisce il tempo, e il suo obbiettivo è quello di esaltare quella patina, non di cancellarla. E se non ce l'hanno, ce la mette lui, aggiungo io. Ti ricordi la casa dei veneziani?

– Quell'obbrobrio anni sessanta con le tapparelle al posto degli scuri e il vialetto di cemento?

– Proprio quella. Se la vedi non la riconosci.

– Allora partiamo da lì – dice Fausto, con entusiasmo.

In quella casa avevano partecipato a molte feste. Erano i tempi in cui la sera non si andava in discoteca, ma ci si vedeva tutti nella villa di qualcuno, a ballare, a bere, a nascondersi tra i cespugli per rubarsi qualche bacio lontano dagli sguardi indiscreti.

– Com'eravamo giovani! – dice Fausto, guardando dal finestrino dell'auto il bordo della strada. Dove una volta c'erano bassi cespugli, oggi ci sono alberi alti e robusti, che allungano la loro ombra fitta sull'intero nastro d'asfalto.

– Giovani, ingenui e anche un po' stupidi.

– Stupidi no. Ci avevano educato in quel modo. Non era colpa nostra.

– Tutti per bene, tutti ben vestiti, pettinati, educati. Mai un moto di ribellione.

– Altroché se ci siamo ribellati, dopo. Non te ne ricordi?

– Stai parlando di quando siamo andati a rubare la frutta nel campo di Salvatore o di quando abbiamo preso "in prestito" la barca di Francesco per farci un giro?

– Sì, anche quello.

Ma soprattutto della notte in cui non erano tornati a casa, per vedere l'alba in riva al mare. Non si aspettavano che di notte l'umidità si trasformasse in freddo. Per riscaldarsi si erano dovuti abbracciare. E poi... No, Fausto, non è questo il momento di pensarci.

– Ecco la casa.

Fausto scende dalla macchina, lentamente. Davvero quella è la casa dei veneziani?

– Ma è incredibile. Ci sarei passato davanti senza riconoscerla.

– Lo credo. E guarda il giardino, è stato ristrutturato di sana pianta. Ero qui quando il camion ha portato quegli alberi. Bello, eh? E hai visto il laghetto?

Fausto si avvicina all'inferriata e ci si appende con le mani, osservando l'interno attraverso le sbarre. Intanto immagina un effetto del genere applicato al giardino della nonna. Sarebbe un sogno.

– Quindi i veneziani ci vengono ancora.

– No, ma figurati. Se la sono venduta molti anni fa. Da allora ha già cambiato due proprietari.

– Questi sembrano averla presa sul serio.

– La posizione è perfetta. Attraversi la strada e il boschetto, e già sei sulla spiaggia. Non devi nemmeno affannarti ad andare in paese a fare la spesa. Te la portano a casa.

– Davvero? Non lo sapevo.

– È stato il titolare del nuovo supermercato ad avere l'idea. Siccome era il più fuorimano non ci andava quasi nessuno. E allora si è detto: se Maometto non va alla montagna...

– Scommetto che i suoi affari adesso vanno alla grande.

– Questo non lo so, ma vedo l'Ape in giro tutto il giorno. Se non è per fare le consegne, allora perché?

– La comodità non è da sottovalutare.

– Andiamo. Ti porto a vedere le altre ville.

Anche la campagna è cambiata molto. Ci sono nuove fattorie e casette sparse. Dove prima si estendevano campi coltivati, adesso ci sono boschetti e dov'erano sterpaglie ci sono campi coltivati, orti e giardini. Tutto il paesaggio sembra più ordinato, più curato, infinitamente più rigoglioso.

– Ma qui non si lamentavano sempre che mancava l'acqua?

– Forse prima pioveva di meno. Adesso, tra i pozzi nuovi e i sistemi di raccolta dell'acqua piovana, non ci si può più lamentare. In settembre sembrava di stare in Trentino.

– Anche adesso, se vogliamo.

– Sai che qualche volta mi è venuto in mente di venirti a trovare? – dice Alfredo, di punto in bianco.

– E perché non l'hai fatto?

– Per pigrizia, forse. Oppure perché non sapevo bene come l'avresti presa. Erano tanti anni che non ci vedevamo.

– Mi avrebbe fatto piacere, invece. Anzi, adesso mi prometti che vieni, appena ti va.

– Dopo il prossimo imbarco, magari.

– Ci conto.

Alfredo l'ha detto in un impeto di autenticità, ma ha rimesso subito il freno a mano ai suoi pensieri. Che cos'ha oggi la sua mente, che vola a briglia sciolta senza il suo permesso? Si sente tradito, per un attimo, lui che è sempre riuscito a sviare impulsi e desideri, e a fingere come nessuno il più grande distacco.

Fausto ritorna spesso ai suoi ricordi per confrontarli alla realtà che si trova davanti. È tutto così diverso. Forse è un grosso errore tornare dopo tanto tempo in un luogo dove si sono trascorsi i momenti più felici dell'infanzia e dell'adolescenza, ma anche dove sono nate le prime angosce, dove si è sperimentato il primo dolore. Sembra tutto lontano, vissuto da qualcun altro, eppure risuona un diapason che va a scovare proprio quell'unico punto capace di intonarsi a quelle sensazioni che trovano modo di rinnovarsi, con quel vecchio senso di disadattamento, di estraniamento, di inadeguatezza.

 

Alfredo ha imparato a cucinare il pesce quando faceva il pescatore su una piccola motonave. Con pochi ingredienti e il pesce appena pescato faceva miracoli. Ma adesso non è più sicuro di aver fatto bene a invitare a cena Fausto. Lui che è abituato ai ristoranti del nord, avrà gusti raffinati, ormai. Il sapore rustico della sua cucina potrebbe infastidirlo. Eppure, ormai è fatta. Non può certo tirarsi indietro. Spera di rimediare con la cura della tavola. Una bella tovaglia batik dai colori allegri, i piatti azzurri in tinta, i bicchieri di cristallo, la posizione accurata di ogni stoviglia, come ha imparato sulle navi da crociera. Tuttavia, non s'illude che una bella scenografia potrà distogliere Fausto dal concentrarsi sul sapore del cibo. Troppo aglio? Alfredo fa un respiro profondo. Non si è mai preoccupato tanto per i suoi ospiti. È tempo di rilassarsi. Ormai è fatta. Fausto bussa già alla porta. 

– Ma che profumo! Come diavolo fai? Che ci hai messo in quella zuppa?

– Ah, segreti del mestiere.

– E bravo, fammi assaggiare almeno – dice, affacciandosi sul tegame fumante.

– No, ancora non è pronto. Prima un po' di vino. Questo si adatta perfettamente. Dimmi che ne pensi.

Alfredo versa due dita di vino nei grandi bicchieri. Li fanno tintinnare l'uno contro l'altro prima di bere. Fausto assaggia e sorride.

– Che dire? Sono impressionato.

Si guarda intorno, poi si avvicina alla terrazza.

– Che vista che hai da qui! Come dicevo ieri, tu dal mare non ti allontani mai.

– No, è vero.

La zuppa raggiunge i piatti azzurri, che ne esaltano il colore. Alfredo è molto soddisfatto della scelta. Fausto invece pensa solo al profumo che gli stuzzica i sensi. E subito dopo al sapore.

– Complimenti, Alfredo, è la zuppa di pesce più squisita che abbia mai mangiato. Devi darmi la ricetta.

– Sarebbe inutile. Dove lo trovi il pesce ancora vivo che si è appena nutrito in mezzo alle scogliere tra le spugne e i ricci? E l'aglio di questa terra? E i pomodorini cresciuti sotto questo sole? Sono sapori che trovi solo qui.

– Allora sarò condannato a tornarci spesso.

– Condannato. Che brutta parola. La condanna è una pena. Che reato hai commesso, Fausto?

Fausto si blocca con la forchetta in aria.

– Reato di omissione – dice serio.

Poi si concentra di nuovo sul piatto.

Per un attimo ad Alfredo è parso di scorgergli sul viso l'espressione di un condannato a morte che sta esaudendo il suo ultimo desiderio.

La bottiglia è finita. Alfredo ne stappa un'altra. Fausto ne approfitta per brindare di nuovo.

– Alla tua vita felice.

– Alla tua.

Alfredo non è felice. Ed è stufo di farglielo credere.

– La mia vita fa schifo.

– Sapessi la mia.

– Pensavo che almeno tu...

– No, amico mio. Ho fatto solo scelte sbagliate, quasi sempre. Mi ci sono rassegnato, questo sì. Ma ho capito una cosa. Tutte quelle scelte non le ho fatte io. Ci sono capitato in mezzo, come un'aragosta che entra nella nassa, senza poterne più uscire. Se avessi scelto davvero, se ci avessi riflettuto bene, avrei fatto altre cose, avrei frequentato altre persone e sarei andato a vivere altrove. Il mio reato è di non aver mai riflettuto bene su quello che volevo davvero, su quello che mi avrebbe reso felice. Ci muoviamo come robot telecomandati, come marionette tirate da un filo, per recitare una commedia che non abbiamo scritto noi e che nemmeno abbiamo studiato. E infatti recitiamo da cani. In fondo, sono convinto che nessuno aspiri davvero al proprio bene e alla propria felicità, perché non ci conosciamo.

– Tu, forse, reciti da cani. Io sono un attore professionista.

E poi Alfredo sapeva benissimo cosa voleva, ma si è diretto dalla parte opposta.

Fausto ride.

– No, bello, nemmeno tu riesci a recitare tanto bene.

– Dici?

– Ma sì.

– È bello avere amici che sanno come tirarti su il morale.

– Per quello c'è il vino.

– Allora, in vino veritas, dimmi che faresti, oggi, per rimediare.

Fausto se lo guarda. Per rimediare una figura di merda? Potrebbe dirgli la verità, certo, ma poi dovrebbe sparire.

– Non c'è più niente da fare, caro Alfredo. Ormai i giochi sono fatti. E tu? Che faresti?

– Io dovrei sbronzarmi ancora un po', credo.

– Lasciamo perdere. Anche tu hai poca voglia di sputtanarti con un vecchio amico. Lasciamo le cose come stanno. Tanto sarebbero tutte parole al vento.

Fausto solleva di nuovo il bicchiere.

– Alle nostre vite di merda!

– Che non puzzino troppo! ­– dice Alfredo, ridendo.

 

Fausto torna al residence, lievemente alticcio. Le strade sono ancora piene di gente che passeggia, nonostante l'ora tarda. Gli viene voglia di fare il giro largo, passando dal porto. Una volta tutti i bar chiudevano a mezzanotte, mentre ora non hanno limiti. Alcuni alle due offrono le brioches appena sfornate. E si ricomincia da capo. Alle quattro rientrano le barchette dei pescatori che vanno a lampara, mentre partono quelli che vanno a gettare le reti. C'è sempre movimento alla banchina. È bello sedersi sull'ultima bitta di pietra in fondo al molo vecchio. Da lì si vede tutto il movimento nella baia, mentre il faro alle sue spalle proietta il suo fascio di luce da una punta all'altra. La pietra rilascia ancora il calore che ha raccolto durante la giornata. Il silenzio è rotto dagli scricchiolii delle funi che tirano a ogni movimento di risacca. Non sarebbe una brutta cosa mollare tutto e venirsene a vivere qui, se non fosse che tutto il resto è cambiato. Fausto si rende conto di avere nostalgie da vecchio. Tra poco sarà di quelli che raccontando qualcosa dice "ai miei tempi...".

Alfredo ha finito di lavare i piatti. Ogni scusa è buona per immergere le mani nell'acqua, anche se non è quella salata del mare. È una predilezione che ha sempre avuto. Si è rilassato. Si siede in terrazza, al buio. La vista del mare lo aiuta a pensare. Il paese sotto di lui sembra un presepe con le lucine fioche, posizionate strategicamente da un bravo scenografo di paesaggi natalizi. I vasti orizzonti che si allargano davanti a lui lo aiutano a spaziare nella sua mente. Forse Fausto aveva voglia di confidarsi e lui l'ha bloccato. Può darsi. Ma lui non vuole sapere. Ha timore della verità. Ha timore che qualcosa venga a turbare il suo equilibrio, la sua immobilità. Lo sa benissimo, Alfredo, di essersi fermato, dentro. Per questo è sempre in giro per il mondo. Deve spostare continuamente il suo corpo, perché non può smuovere i suoi sentimenti e le sue emozioni profonde, più di quanto non faccia una statua di pietra. Questa invasione di Fausto nella sua immobilità è un grave pericolo per la sua sopravvivenza, un attentato alla sua staticità interiore, un'istigazione alla speranza. A che serve un raggio vivificante di sole su un campo ormai sterile?

 

Tra poco sarà l'alba. Fausto non ha alcuna voglia di andare a dormire. Vorrebbe vedere di nuovo il sole alzarsi dal mare, come quella volta. Ritrovare il posto. Sa come arrivarci, se parte subito farà in tempo. Una bella passeggiata notturna, senza premeditazione. Quelle cose che si fanno solo perché ce n'è venuta l'idea, all'improvviso, anche se può far male. Ma è anche un modo di dire addio a un ricordo che vuole lasciarsi indietro, finalmente. Potersi dire una volta per tutte, hai visto? Ti sei costruito un mondo di sogni e d'illusioni inutili, che ti hanno fatto da zavorra nella vita, rendendoti il passo pesante, rallentandoti, frenandoti. Da qui in poi, sarai libero.

Alfredo è rimasto sulla terrazza, a scavare indietro nel tempo, nei suoi motivi, nelle strane spinte che l'hanno catapultato a quel momento, al cumulo di menzogne che si è raccontato, con la tecnica perfezionata negli anni, sviando ogni pensiero di autocritica, per non impattare con la realtà dei fatti. Ma in fondo, di fatto ce n'è stato uno solo. Quello negato per così tanto tempo, che l'ha costretto a smettere di guardare negli occhi Fausto, a fingere di non vederlo, a evitargli il saluto. Il fatto. Roba di poco conto, che ha però influenzato tutto il resto dei suoi giorni. A vederle da lì sono solo sciocchezze immaginarie di un ragazzino immaturo, troppo sensibile, influenzabile e ingenuo. Un ragazzino che ha costruito immensi castelli di sogni su un pugno di sabbia. Non c'è più stato alla caletta, da allora. Se n'è ben guardato. Ma adesso la vorrebbe rivedere, per cancellare per sempre un ricordo, aggiungendone un altro. Basterebbe mettersi a lanciare sassi dalla riva contro il sole che sorge. E magari farcisi un bagno.

 

La caletta è nascosta dal muro che limita la strada, ma Fausto si ricorda come scendere là sotto. Ha solo timore che al buio possa rimetterci le penne inciampando tra gli scogli. È stato un pazzo a venire qui senza una torcia. Ma ormai la spinta è troppo forte, il pericolo aggiunge solo un pizzico di pepe alla sua strana avventura. Quando è a metà della discesa, all'improvviso, la piccola scogliera viene illuminata dall'alto. Sono i fari di un'auto. Fausto si domanda chi possa essere, a quell'ora. Forse un pescatore. È davvero un buon posto per pescare da riva, ma a quell'ora? Comunque approfitta della luce per arrivare sotto, prima che i fari si spengano. Si siede sul bordo, in attesa. La scia luminosa di una torcia comincia a scendere verso di lui, con prudenza. Non sembra un pescatore. La sagoma nera non trasporta attrezzature. Il fascio di luce colpisce per caso anche lui, ma passa via. Poi torna, come per un ripensamento. Fausto solleva un braccio per riparare gli occhi dalla luce accecante. La torcia si spegne.

– Fausto. Che cosa...

– Alfredo? Sei tu?

In silenzio Alfredo si siede accanto a lui. C'è del panico nel suo respiro. Ce n'è anche in quello di Fausto.

Essere entrambi lì, proprio in quella caletta, non può certo essere un caso. Questo lo sanno. È una sensazione devastante. Devono sbrigarsi a buttare giù tutti i muri che hanno innalzato, a fare luce su tutte le menzogne che si sono raccontati, a risucchiare in un buco nero tutti gli anni che hanno sprecato. Non è facile. Ma a volte in un attimo si compiono miracoli, si fanno viaggi nel tempo, ci si tuffa di petto nel proprio destino.

Non stanno guardando l'orizzonte quando la prima scintilla di sole appare e il primo raggio li colpisce. Tuttavia, non li si può certo biasimare. Sono crollati lì senza paracadute.

 

 

 

 

 

 

 

 

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