Sull’orlo

 

 

Sono quasi le sei quando arrivano in cima alla Rocca Scausa.

Guido è rimasto un po’ spiazzato dalla richiesta di Massimo: partire alle due da Torino per un’escursione che richiede un’ora di auto e quasi tre ore di cammino è per lo meno insolito. È tardi, anche se è giugno e le giornate sono lunghe: un qualsiasi imprevisto li costringerebbe a tornare di notte. Ma nella voce di Massimo c’era una tale urgenza che Guido non ha saputo dirgli di no.

Il viaggio non è stato piacevole. Massimo non ha aperto bocca, chiuso in un mutismo ostile che ha del tutto spiazzato Guido. Ad un certo punto Guido gli ha chiesto:

- Ti ho fatto qualche cosa? Ce l’hai con me?

La risposta di Massimo non lo ha tranquillizzato.

- No, con te no.

C’era una tale furia in quella frase, che Guido non ha più aperto bocca. Ha incominciato a pensare e ancora adesso rimugina, in questa camminata assurda, con Massimo che sembra uno deciso a battere un record e Guido ad arrancare dietro, anche se dei due lui è il più allenato, quello che va più spesso in montagna. Lui non è sposato.

Il pensiero del matrimonio di Massimo è il suo eterno cruccio. Perché Massimo si è sposato? Perché si è sposato con quella, poi.

Perché si è sposato, lo sa benissimo: perché l’ha messa incinta ed i genitori hanno combinato il matrimonio in quattro e quattr’otto, come se nel XXI secolo due dovessero sposarsi solo perché lei è rimasta incinta.

Il matrimonio li ha allontanati, in un primo tempo, almeno. Adesso, tre mesi dopo la nascita del bambino, Nadia sembra insofferente nei confronti di Massimo. E Massimo nei confronti di Nadia, anche se non lo esprime pienamente.

E il legame tra Massimo e Guido è ritornato quello di prima, questa amicizia sempre sull’orlo di diventare qualche cosa di più.

Non sono mai andati oltre l’orlo, non sono precipitati. Ma ci sono andati molto vicino, soprattutto prima del matrimonio di Massimo. Quel loro sfidarsi nella lotta e quel contatto dei loro corpi, che accendeva i sensi, non è mai stato solo un gioco. Lottavano, si stringevano e poi ridevano entrambi dei loro uccelli duri, come se davvero fosse solo un divertimento innocuo, ma Guido avvertiva la violenza del desiderio ed in certi sguardi di Massimo leggeva la stessa tensione.

Ormai non lottano più, Massimo si sottrae. Ma il loro legame è ritornato forte.

 

Sono ormai quasi arrivati. Guido è rimasto un po’ indietro. L’ultimo pezzo è più impegnativo, bisogna superare alcune rocce, con uno strapiombo che incute timore a Guido: da quella volta che cadde in Val di Lanzo, gli è rimasta addosso una certa apprensione di fronte ai passaggi troppo esposti.

 

E il ricordo ritorna a quel giorno, quella gita solitaria, perché Massimo faceva gli straordinari ed era andato a lavorare di sabato: anche allora era giugno, i giorni in cui scadeva la dichiarazione dei redditi.

Una gita qualunque, su un percorso ben noto: quando andava da solo Guido sceglieva sempre sentieri che conosceva bene, una misura di sicurezza di base. E poi la foto scattata e il tappo dell’obiettivo che gli sfuggiva e scivolava al fondo del pendio, in cima alla scarpata. La discesa lungo un pendio molto ripido per recuperarlo, una cazzata enorme. E poi il sasso che cede di colpo e il rotolare verso il vuoto, con la certezza di morire.

Non si era ammazzato, il salto era di pochi metri e la botta venne attutita dal suolo erboso e dallo zaino, che stupidamente, ma forse fortunatamente, Guido non si era tolto prima di scendere a recuperare il tappo. Ma una gamba e un braccio, quelli sì, rotti. Il cellulare non prendeva e Guido non riusciva a muoversi. Le ore che passavano, La luce che diminuiva ed infine svaniva. E l’angoscia, perché era in un punto non visibile dal sentiero e nessuno sapeva l’escursione che aveva scelto.

Il freddo della notte, perché con grande fatica era riuscito a coprirsi un po’, ma non poteva infilarsi la giacca. E l’angoscia.

La luce del mattino, un momento di sollievo. E poi altre ore, la giornata che nuovamente declinava, la febbre che saliva. E la certezza di morire lì.

Una seconda notte, senza più speranza. La luce del mattino e l’attesa della morte.

Poi la sensazione che una voce lo chiamasse. Forse delirava. E di colpo, al suo fianco, Massimo, che si chinava su di lui, gli sorrideva. E le lacrime. Un’allucinazione, aveva pensato. Non era così. Massimo era davvero lì.

I genitori di Guido lo avevano chiamato nella serata di sabato, sperando che lui sapesse dove si era diretto il loro figlio, che non ritornava e non dava notizie di sé. Allora Massimo era partito, girando in auto per raggiungere i punti di partenza dei sentieri che loro due percorrevano abitualmente. Li aveva girati tutti, uno dopo l’altro, valle dopo valle, senza fermarsi, se non per fare il pieno e mangiare un panino. Era arrivato all’alba di lunedì al parcheggio dove Guido aveva lasciato l’auto. Aveva avvisato il soccorso alpino e i suoi genitori e poi si era avviato. Nei punti più esposti si era sporto, per controllare. E infine lo aveva trovato.

Aveva chiamato di nuovo il soccorso alpino e poi era ridisceso per stare accanto a lui.

Aveva perso il lavoro, Massimo, per avergli salvato la vita: il commercialista da cui lavorava lo aveva licenziato per quell’assenza ingiustificata proprio nel periodo di maggior lavoro. Ma Massimo non glielo aveva neppure detto, Guido lo aveva scoperto dopo.

 

Da quel giorno gli è rimasta quella paura davanti ad uno strapiombo. In quelle occasioni Massimo lo aiuta sempre, senza bisogno che lui chieda nulla. La presenza dell’amico, la mano che gli tende, sono sufficienti a calmare l’ansia che gli mette addosso il baratro ai suoi piedi. Ma Massimo sembra averlo dimenticato e Guido si arrampica da solo, cercando di non guardare in basso.

Ora è arrivato in cima. Massimo è in piedi, sull’orlo e guarda verso l’abisso. E Guido prova una sensazione di paura, violenta. 

Rapidamente si avvicina a Massimo. Ora è di fianco a lui. Lo chiama, sottovoce:

- Massimo!

Massimo si volta verso di lui e lo fissa, ma Guido ha la sensazione che Massimo non lo veda.

La mano di Massimo si muove, fulminea, e ora gli stringe la camicia e gli preme alla base del collo. Guido lo guarda, incapace di parlare.

A bloccargli la parola non è la pressione della mano, che quasi gli rende difficile respirare. È la certezza che Massimo lo ha afferrato per scagliarlo nel baratro che si apre davanti a loro. E di fronte a questo, all’odio feroce che crede di leggere negli occhi di Massimo, Guido non ha nulla da dire, sopraffatto dal dolore. Se Massimo vuole ucciderlo, Guido non è in grado di difendersi.

Di colpo, con la stessa rapidità con cui l’ha afferrato, Massimo lo molla, si siede o forse si accascia e si stringe la testa tra le mani.

Guido lo guarda, mentre riprende a respirare e l’aria gli brucia la gola.

- Vattene, Guido, vattene subito. Sono pazzo. Vattene o non rispondo di me.

Guido si siede accanto a Massimo. Non può lasciarlo in quelle condizioni.

Non sa che cosa dire, si sente del tutto inadeguato. Deve trovare le parole, in qualche modo.

- Massimo.

Massimo non risponde, non lo guarda, non scosta le mani. Si direbbe che non abbia neppure sentito.

- Che cosa ti è successo, Massimo?

- Lasciami in pace, Guido. Vattene e lasciami in pace.

Guido tace un buon momento. Si dice che forse è meglio che Massimo si calmi, ma la verità è che non sa come aiutare Massimo.

- Massimo, non possiamo parlare…

La voce di Massimo è tesa di rabbia, la faccia è una smorfia di rabbia, anche le parole sono un grido di rabbia:

- Vaffanculo, Guido, vaffanculo! Mi hai capito? Vaffanculo! Togliti dai coglioni! Mi hai capito? Togliti dai coglioni!

Guido ha capito, ma non ha nessuna intenzione di andarsene. Massimo insiste:

- Ti levi dai coglioni, una buona volta?

Guido si dice che avrebbe fatto meglio a stare zitto, ma è troppo tardi. Massimo lo fissa, furente.

- No Massimo, non me ne vado…

Non prosegue la frase perché la manata che si abbatte su di lui quasi lo fa cadere all’indietro e il dolore al naso è tanto forte da intontirlo.

Si porta una mano al naso e non si stupisce di vedere le dita arrossarsi.

Mai Massimo lo ha colpito e il dolore che scava dentro Giulio è molto più forte di quello che avverte al naso. Guarda la mano insanguinata e una tristezza sconfinata lo avvolge. Alza gli occhi sul viso di Massimo.

Non c’è più rabbia in quella faccia, c’è solo dolore, lo stesso dolore che sta provando Guido.

- Perdonami, Guido, perdonami.

Massimo tende le braccia, gli prende la testa tra le mani, lo guarda sconsolato.

Guido non sente più dolore, quelle mani sono un balsamo che cura ogni ferita. Ormai Guido soffre solo perché vede la sofferenza di Massimo. Appoggia la destra sulla mano di Massimo, la preme sulla sua guancia, gli sorride.

Massimo chiude gli occhi, respira a fondo, poi guarda Guido e di colpo la sinistra passa dietro la nuca di Guido e preme, avvicinando le loro teste, fino a che le loro due bocche si sfiorano e le loro labbra si incontrano.

Guido si sente mancare il fiato. Per anni ha desiderato quello che sta avvenendo. Ricambia il bacio con passione, il dolore non esiste più.

È un bacio lungo, appassionato. Si staccano si guardano un momento:

- Guido, Guido…

- Massimo.

Poi Massimo si mette in ginocchio e incomincia a sbottonargli la camicia. Guido lo lascia fare e poi fa lo stesso con lui. I loro movimenti diventano frenetici, mentre si spogliano, in un intreccio di mani. Ogni tanto s’interrompono per baciarsi.

Ora sono mezzo nudi, pantaloni e mutande abbassati, camicie aperte e i loro corpi aderiscono. Sono stesi uno sull’altro, Guido sotto, Massimo sopra, e si baciano, si accarezzano. Le mani di Massimo percorrono il corpo di Guido, le loro bocche si incontrano.

Massimo solleva un po’ il capo e guarda Guido.

- Guido, Guido… posso… posso prenderti?

Guido sorride. L’ha sempre desiderato, anche se ora ha paura: nessuno lo ha mai preso.

- Prendimi, Massimo. Lo desidero anch’io.

Massimo accarezza ancora il corpo dell’amico, poi, con delicatezza, lo volta. Si china su di lui e lo bacia, lo accarezza, gli assesta piccoli morsi.

- Guido, Guido, amore mio…

Poi Massimo si ferma e, accarezzando il capo di Guido gli dice:

- Lo vuoi, Guido? Lo vuoi davvero?

Guido non esita. Ha un po’ di paura, ma desidera quello che sta per avvenire.

- Sì, Massimo.

Per un attimo Guido pensa che scopare in cima a una montagna, dove potrebbe arrivare qualcuno, è una follia. E non hanno neanche un preservativo… Ma sono pensieri che durano poco, perché il desiderio è troppo forte.

Massimo si siede sulle cosce dell’amico, fa scorrere le mani lungo la schiena, più volte, poi si solleva, divarica le gambe di Guido, si bagna con la saliva il palmo della mano e lo passa sulla cappella.

Guido sa che sta per avvenire. Lo desidera e lo teme. Si irrigidisce. Sente le dita di Massimo, umide, scorrere lungo il solco, poi allontanarsi e ritornare, indugiando un attimo sull’apertura. Un dito percorre l’anello, lentamente, spingendosi dentro. Guido sussulta. Massimo ripete più volte la manovra e Guido si rilassa, abbandonandosi al piacere che quel dito risveglia dentro di lui. Poi avverte un forte morso al culo, un secondo. Ride. Massimo si stende su di lui, gli morde la spalla, e Guido sente che sta entrando dentro di lui, lentamente.

Massimo si ferma. Guido chiude gli occhi. Si tende nuovamente, ma Massimo lo accarezza e la tensione svanisce. Allora Massimo lentamente avanza, spingendo più a fondo. Carezze e morsi accompagnano l’avanzata. Guido geme.

- Ti faccio male?

- No, no.

Non è vero. Fa male. Ma il dolore è intrecciato al piacere.

Massimo si ferma. Le sue mani accarezzano la testa di Guido, poi scendono al culo. I suoi denti mordono una spalla, il lobo di un orecchio. La sua lingua scorre dietro l’orecchio, sul collo.

Poi l’avanzata riprende. Guido si abbandona completamente. Massimo gli lascia un momento di respiro, poi inizia a muoversi avanti e indietro, mentre le sue mani gli accarezzano i capelli.

Guido sente il piacere crescere, più forte del dolore che avverte. Geme nuovamente. Massimo si ferma, poi riprende il movimento, a cui imprime ora un ritmo più deciso. Guido urla il nome di Massimo.

Massimo non si interrompe, ma bacia il collo di Guido e la sua guancia.

E infine, con una serie di spinte decise, che paiono durare un tempo infinito, Massimo viene dentro di lui.

Ora che il sesso di Massimo perde volume e consistenza, il sentirlo dentro di sé è puro piacere.

Massimo afferra Guido e si volta. Ora Guido è steso su Massimo, che gli sta stuzzicando i coglioni. Poi la sua mano afferra il sesso e incomincia ad accarezzarlo. Infine lo stringe, muovendosi rapidamente, fino a che il piacere deflagra in un urlo. Guido sente un’esplosione dentro di sé e ondate di puro godimento che paiono attraversarlo tutto, mentre il suo seme si spande sul ventre e sul torace.

Guido vorrebbe rimanere per sempre così: nulla esiste di più bello al mondo che rimanere disteso sul corpo di Massimo, sentirne in culo lo spiedo, essere avvolto tra le sue braccia. Ma Massimo, dopo averlo accarezzato, gli dice:

- È ora che andiamo. Venire qui a quest’ora è una cazzata… non dire niente, l’ho proposto io, lo so. Un’altra della lunga serie di cazzate che ho fatto in quest’ultimo anno, ma ora la serie è finita, te lo garantisco. Adesso è meglio che scendiamo.

Massimo bacia ancora Guido. Poi si rivestono e incominciano a scendere. Massimo aiuta Guido a superare il pezzo più esposto. Sembra essere ritornato quello di sempre. Ogni tanto si ferma e bacia Guido. A un certo punto lo spinge contro la parete rocciosa che costeggiano, lo abbraccia e lo bacia sulla bocca, sugli occhi, sulla fronte, sul collo. Sembra ebbro.

Quando hanno superato la parte più impegnativa e possono camminare affiancati, Massimo dice:

- Ti devo una spiegazione, lo so.

- Diciamo che mi farebbe piacere averla. Ma non è urgente.

Guido può anche aspettare. Si sente bene, nonostante il dolore al culo, che il movimento rinnova: si dice che la prossima volta lo faranno in camera, sul letto, perché dover camminare per qualche ora con il culo indolenzito non è il massimo. Eppure non gliene importa niente.

- Tanto vale che ti dica tutto subito.

Massimo fa una pausa, poi riprende:

- Guido, sapevo di aver fatto una cazzata sposando Nadia, ma non immaginavo quanto grande fosse.

Guido è d’accordo con l’affermazione di Massimo, ma non dice nulla: si è sempre ripromesso di non mettere becco nella vita coniugale dell’amico, che d’altronde non gliene ha mai parlato. Massimo prosegue:

- Il bambino non è mio. Nadia me lo ha confessato. Il tizio che l’ha messa incinta si è rifatto vivo e lei vuole tornare con lui.

Guido rimane a bocca aperta. Questa non se l’aspettava proprio.

- Non è tuo? Oh, cazzo!

Massimo scuote la testa.

- Sono stato proprio un coglione…

- No, è che… non pensavo…

Massimo rimane di nuovo in silenzio un momento, poi dice:

- Guido, sapevo di essermi innamorato di te, ma esitavo. Non era facile accettare di amare un altro uomo, di desiderarlo. Poi… una sera, quella della cena da Giorgio, ho accompagnato a casa Nadia. Lei sorrideva, mi ha fatto capire che le piacevo e io… ci sono cascato come un perfetto coglione. Mi sono detto che era meglio così, che mi avrebbe aiutato a togliermi dalla testa te. Perché… perché sono un coglione…

Massimo scuote la testa e prosegue:

- Qualche settimana dopo mi ha detto che era rimasta incinta e io ci ho creduto. Ho creduto di averla messa incinta io.

Di nuovo scuote la testa, ma questa volta ride.

- Sono stato un coglione, lo so benissimo. Non occorre che tu lo dica.

Guido sorride.

- Te lo sei già detto tu una dozzina di volte, ma no, non è così. Sei leale e a volte non sospetti che gli altri non lo siano.

Massimo lo guarda, si avvicina a lui e lo bacia sulla bocca.

- In ogni caso sono stato un coglione a combattere contro l’amore che provavo per te, a sposarmi per non accettare i miei sentimenti. Perché sapevo benissimo di amarti.

Dopo aver ripreso a camminare, prosegue:

- Comunque, ieri Nadia mi ha detto la verità, al termine di un litigio, l’ennesimo. Ci separeremo, ci siamo già separati di fatto, disconoscerò il bambino, che sarà riconosciuto dal suo vero padre. È l’unica cosa che mi spiace, perché mi ci sono affezionato, anche se Nadia cercava sempre di tenerlo lontano da me: “Non lo prendere in braccio, con quelle manacce… lo fai piangere… non ci sai fare…” Che stronza!. Sai che non scopiamo da mesi? Prima era incinta e temeva che potesse fare male al bambino, poi, in questi ultimi tre mesi, era sempre stanca. Sapere che il matrimonio è finito è stata una liberazione. Sono andato a dormire da Giorgio. Il mio vecchio appartamento l’ho affittato, lo sai. Di tornare dai miei, non avevo voglia, avrei dovuto spiegare… lo farò, più avanti. Avrei voluto chiamare te, ma… non me la sentivo.

- Perché mai?

- Perché sentivo di averti tradito. Ero furibondo con me stesso. Mi dicevo che avevo rinunciato a te, a quello che davvero volevo.

- Oggi in effetti eri davvero furioso. Prima sembrava quasi che volessi uccidermi.

Massimo si ferma.

- Perdonami, Guido. Stavo da cani e ho rovesciato la mia rabbia su di te. Ti ho dato un ceffone.

Massimo si porta le mani a coprire il viso.

- Non ha importanza, Massimo.

Guido gli prende le mani e le abbassa.

- Non me lo perdonerò mai.

- Non c’è nulla da perdonare. E questa sera ti trasferisci da me.

                                              

 

2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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