Ben Gardner 1943-1975

 

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Dai monti del Vento fino alla vasta pianura dello Zambesi, tutti coloro che possono questa sera sono davanti a un televisore. Alcuni, soprattutto i bianchi, attendono la trasmissione a casa loro, altri, tra i neri, hanno a volte camminato per un’ora per raggiungere l’unico locale dell’area provvisto di un televisore. Aspettano l’intervista che concluderà i mondiali di rugby. La nazionale ha vinto l’ultima partita, due ore fa, e adesso tutti vogliono sentire che cosa dirà Ben Gardner, il capitano della squadra. È l’uomo più popolare tra i bianchi, colui che ha saputo riscattare l’orgoglio della nazione, portando alla vittoria una squadra che all’estero molti avrebbero voluto escludere dai campionati, perché composta solo dalla minoranza bianca.

Ma davanti al televisore ci sono anche milioni di neri. Il rugby non è uno sport praticato dalla maggioranza di colore nel paese, ma le idee di Ben Gardner sono note e tutti vogliono sentire che cosa dirà. Non farà nessun accenno alla situazione interna, come di certo gli è stato imposto dai vertici della federazione nazionale, o avrà il coraggio di fare qualche critica, sia pure velata?

 

Ben Gardner è teso. Ha pensato molte volte a questo momento. Ha riflettuto a lungo e ha valutato le conseguenze di quanto sta per fare. Sa che la sua vita diventerà un inferno, ma non può non agire.

Entra nella sala delle conferenze stampa. I flash scattano a ripetizione. Incomincia il fuoco di fila di domande sulla vittoria ai campionati mondiali di rugby. Ben Gardner, capitano della squadra vincitrice, è l’eroe del giorno. Ma il paese di cui porta i colori è al centro delle critiche internazionali: la minoranza bianca detiene tutto il potere, come nel vicino Sud-Africa, e i neri ne sono esclusi. E la domanda arriva, ampiamente prevista:

- Capitano Gardner, la squadra del suo paese è composta solo da bianchi, anche se la popolazione è in larga maggioranza nera. Come mai?

Il giornalista conosce perfettamente la risposta, ma vuole sentire che cosa Ben ha da dire sull’argomento.

- Il rugby è uno sport praticato soprattutto da bianchi. E le regole della federazione escludono i neri.

- Non le sembra un’ingiustizia?

Ben avverte la tensione nella sala. Risponde con voce chiara e ferma.

- Sì, mi sembra un’ingiustizia. Credo che tutti dovrebbero poter far parte delle federazioni sportive, indipendentemente dal colore della pelle.

Non è nulla di diverso da quanto Ben ha sempre sostenuto: tutti lo sanno. Il terreno minato incomincia ora, perché questa risposta porterà altre domande. A porre quella che tutti si aspettano è un omino con gli occhiali, l’inviato di un quotidiano inglese.

- E questo non dovrebbe valere anche per la vita politica? Intendo dire, ha senso che la maggioranza della popolazione sia esclusa dal voto?

La domanda non è attinente ai campionati che si sono appena conclusi, non riguarda lo sport, ma la politica. Le istruzioni ricevute prima di lasciare il paese sono chiarissime: evitare di rispondere a qualsiasi domanda di questo tipo. Dire che si parlerà solo di sport. Ma Ben ha scelto un’altra strada e va avanti:

- No, non ha senso, il voto dovrebbe essere per tutti, in base al principio un cittadino, un voto.

I compagni di squadra guardano il loro capitano. Alcuni se lo aspettavano, almeno in una certa misura, altri sono esterrefatti. Jan interviene:

- Da noi i neri non sono pronti al voto. Hanno ancora un livello di istruzione molto basso.

L’inviato che ha posto la domanda si rivolge a Ben:

- Lei che ne pensa, capitano, dell’opinione di uno dei suoi giocatori?

- Bisogna dare a tutti la possibilità di studiare e in ogni caso il voto è un diritto, che non può essere negato.

- Non è l’opinione dell’attuale governo del suo paese.

Gardner allarga le braccia.

- Non sono al governo. Ma ho partecipato a questo campionato in nome di tutti i miei connazionali, quale che sia il colore della loro pelle. E vorrei dedicare la vittoria a tutti loro.

È una donna a parlare, ora:

- Non pensa che questa posizione le creerà problemi in patria?

Ben guarda la donna. Ha un viso molto serio. Sembra quasi preoccupata per lui.

- Credo di sì.

Ci sono ancora alcune domande. Ben ribadisce la sua posizione. Poi la conferenza stampa si conclude. Ben e gli altri giocatori escono dalla sala. Alcuni di loro se ne vanno senza nemmeno salutarlo. Jan gli sibila:

- Sei una testa di cazzo, Ben. E puoi essere sicuro che da domani non sarai più il capitano.

Questo Ben lo sapeva benissimo prima di parlare. La federazione lo escluderà. La sua carriera è finita. E la sua dichiarazione servirà a poco, forse a niente. Ma Ben riteneva di non avere scelta. Vuole potersi guardare allo specchio, il mattino, senza provare un senso di schifo.

Solo Mike e Richard condividono almeno in parte le sue idee, ma la scelta di Ben li spaventa. Mike è preoccupato e gli dice:

- Fa’ attenzione, Ben. Rischi grosso.

Richard scuote la testa. È irritato.

- Forse faresti meglio a non tornare in patria. Rimani qui. Tanto da noi sei tagliato fuori. Ti sei giocato tutto.

Richard si allontana. Ben rientra da solo in albergo.

Il “rimani qui” di Richard fa male a Ben. Per lui, Richard non è solo un compagno di squadra e un amico: da due anni hanno una relazione, che hanno sempre tenuto segreta. Il loro legame è basato più sul desiderio che sull’amore, ma Ben tiene molto a Richard e l’indifferenza che ora l’amico sembra dimostrare nei suoi confronti lo ferisce. Vagamente intuisce di aver messo fine anche alla loro relazione e non solo alla propria carriera sportiva. Si sente solo. E sa che sarà sempre più solo.

Ben ritorna nella sua camera. Non ha voglia di cenare. Si stende sul letto. Poche ore fa ha condotto la sua squadra alla vittoria nei campionati mondiali. In patria era un eroe. Ora è un appestato che tutti eviteranno.

 

Il collegamento televisivo con l’Australia per i mondiali di rugby termina subito dopo la conclusione dell’intervista a Ben Gardner.

- Merda!

Ronald Longfellow si alza di scatto.

- Merda!

Ronald ha seguito le partite dei mondiali di rugby e adesso ha appena finito di guardare l’intervista di Ben Gardner, l’uomo che fino a venti minuti fa era l’eroe nazionale. Ronald sale al primo piano della villetta, apre un cassetto e ne tira fuori una pistola. La impugna. Vorrebbe avere Ben Gardner davanti a lui, vorrebbe sparargli. Quella merda!

Ronald ripensa agli attivisti per i diritti dei negri negli Stati Uniti, a quel figlio di puttana che lui ha ammazzato, uno che da New York era venuto in Alabama a ficcare il naso nei loro affari, a sobillare         quei negri di merda, a mettergli in testa che avevano gli stessi diritti dei bianchi. Gli stessi diritti, quelli! Quelli pensano solo a scopare e a rubare, non hanno voglia di fare niente.

Ronald ha dovuto lasciare gli USA: troppi indizi portavano a lui. Ha trovato rifugio in questo paese e anche qui ci sono questi bastardi che vogliono sovvertire l’ordine naturale delle cose. Parità di diritti?! Tra uomini e bestie, ci può essere parità di diritti?

Ronald prende il telefono e, senza lasciare la pistola, compone un numero.

- Dave? Sono Ronald.

Dave Pales è un tenente dell’esercito. Lui e Ronald hanno spesso lavorato insieme per sistemare alcune faccende e far abbassare la cresta a quei fottuti negri che credono di fare i furbi. Su di loro la polizia non ha mai indagato. Qui gli agenti sanno da che parte stare.

- Sì.

- Dave, hai visto l’intervista a quel figlio di puttana?

- Sì.

- Bisogna dargli una lezione.

- Sì.

- Che sia d’esempio. Prima è, meglio è. Quella merda non merita di vivere.

- No.

Dave risponde a monosillabi e Ronald è stupito. Si aspettava una maggiore partecipazione. Ma forse Dave è con qualcuno e non può parlare liberamente. Sì, questa dev’essere la spiegazione.

- Sei occupato, Dave?

- No, no.

- Non sei con qualcuno?

- No, sono da solo.

- Ma l’hai vista l’intervista?

- Sì, l’ho vista.

- Dovremo lasciar passare un po’ di tempo per la lezione vera. Adesso il bastardo è troppo sotto i riflettori. Ma qualche avvertimento glielo possiamo dare fin d’ora. Potremmo vederci da Matthew tra un’ora. Ti va bene?

- Ci sarò.

Poi Dave esplode, di colpo:

- Merda, Ronald! Merda! Come ha potuto coprirci di merda in quel modo, lui? Si è pulito il culo con la bandiera, quello. Merda! Lui, che era… Oh, merda!

- Sì, Dave, proprio così. Ma la pagherà.

- Avviso io Jeffrey. A dopo.

 

Ben viene radiato dalla federazione del rugby il giorno stesso del suo rientro nel paese. Strana misura presa nei confronti di un giocatore che ha portato la sua squadra alla vittoria in tutte le partite giocate ai mondiali. Ma le polemiche della stampa internazionale non turbano il governo: dare un segnale chiaro a chi pensa di seguire l’esempio di Ben è più importante delle critiche che comunque ci sarebbero. Il paese vive una crisi profonda: le province del sud sono da tempo sfuggite al controllo del governo e un’avanzata dei ribelli è ormai imminente. Non ci si può permettere il lusso di mostrarsi deboli, i traditori devono sapere che cosa li aspetta.

Squalifica a vita, decisa all’unanimità dal comitato direttivo: Ben non potrà più giocare nel suo paese. Nei giorni seguenti, Ben riceve numerose proposte da diverse squadre europee, statunitensi, australiane e africane. Suo fratello Isaac vorrebbe che accettasse.

- Ben, sei un grande giocatore di rugby. Che senso ha rinunciare? Cambia paese. Qui ti renderanno la vita impossibile.

Ben lo sa benissimo. In dieci giorni si è già trovato l’auto rigata, le gomme squarciate, i vetri delle finestre di casa sua rotti a sassate. Il telefono squilla spesso e dall’altra parte arrivano oscenità, insulti e minacce di morte.

- È il mio paese, Isaac. Sono nato qui. Voglio vivere qui.

- E morire qui. La tua vita è in pericolo, Ben, lo sai.

Ben sa anche questo. Ci sono gruppi paramilitari che hanno ucciso diversi attivisti, neri e bianchi che sostenevano la parità dei diritti. Legge sul viso di Isaac la preoccupazione e gli dispiace: loro due sono molto attaccati l’uno all’altro e Ben non vorrebbe che il fratello si inquietasse per lui.

Isaac insiste:

- Ben, ti stanno voltando tutti le spalle.

È vero. Molti amici si sono allontanati, alcuni per disprezzo nei confronti delle sue idee, altri per paura. Farsi vedere con Ben Gardner non è una buona cosa. È meglio non frequentarlo. Ben ha cercato qualcuno al ritorno, ma intorno a lui si è creato il vuoto. Qualcuno gli ha detto chiaramente che in questo momento preferisce non essere visto con lui, altri hanno accampato scuse. Quasi nessuno ha accettato di uscire una sera con lui.

Altre persone invece hanno cercato Ben. Tra questi vi è l’avvocato Andy Whitecross, che è uno dei principali oppositori del governo e da vent’anni difende i diritti dei neri. È stato lui a telefonargli e a chiedergli un incontro. Lo invita a cena.

- Volevo ringraziarti, Ben. Con quell’intervista hai fatto moltissimo per i diritti dei neri.

- Ma figuriamoci, Andy! Non credo che sia servito a niente, se non per evitarmi di avere rimorsi.

- Ben, tu hai portato la questione al centro dell’attenzione di tutto il mondo. C’erano centinaia di milioni di persone a guardare l’intervista. Dedicare la vittoria a tutti, bianchi e neri allo stesso modo… ma lo sai che cosa ha voluto dire per tutti i cittadini di seconda classe di questo paese?

Ben non è convinto.

Andy ha vent’anni in più di Ben, ma loro due si trovano bene insieme. Andy lo invita spesso a casa sua e parlano a lungo del futuro del paese, dell’attività di Andy, di ciò che aspetta Ben.

- Questo periodo sarà difficile, Ben, e devi fare molta attenzione. Ma in futuro sarai il capitano della prima nazionale interrazziale di questo paese.

- Figurati! Non posso più giocare.

- Tornerai a giocare prima di quel che pensi: questo governo ha i giorni contati. E nessun altro giocatore potrebbe guidare la nuova nazionale.

Le parole di Andy fanno bene a Ben. Gli sembra di aver trovato un amico, ora che gli altri gli hanno voltato le spalle. Quando è con Andy, Ben si sente meno solo.

 

La stanza è piena di fumo. I sei uomini seduti intorno al tavolo hanno tutti una sigaretta e il portacenere è pieno di mozziconi.

È Dave Pales a parlare.

- Il Sud ormai è perso. La sconfitta a Georgetown ha provocato molto fermento tra i negri qui e nella capitale. Quelle merde hanno alzato le teste.

Ronald Longfellow annuisce.

- Sì, bisogna dargli una lezione, a loro e a quei fottuti bastardi come Gardner, che li appoggiano.

- In alto non vogliono che ammazziamo Gardner, non ancora.

“In alto” è l’espressione che Pales usa per riferirsi al governo o agli alti comandi militari, Ronald non sa. Pales continua.

- Però possiamo dargli una lezione. E intanto è ora di toglierci dai coglioni un’altra merda.

- Chi?

- Andy Whitecross.

 

La sera successiva Ben si accorge che c’è molta tensione a casa di Andy. Irma, la moglie di Andy, sembra avere le lacrime agli occhi. Ben chiede che cosa è successo. Andy dice che non è niente, che non è il caso di parlarne, ma Ben insiste. Irma apre un cassetto e gli porge un foglio con la scritta:

Andy Whitecross, 1924-1975

- Lo abbiamo trovato attaccato alla porta.

Ben annuisce. Può essere una minaccia generica, può essere una condanna a morte. A casa sua la vita è diventata impossibile. Ben tiene il telefono staccato durante la notte, ma più volte è stato svegliato da un sasso tirato contro i vetri da un’auto in corsa. Suo fratello lo ospita spesso a dormire, ma Ben ha paura che anche lui venga preso di mira. Benché Isaac non dica niente, Ben sa benissimo che ha già ricevuto minacce e alcune telefonate di insulti sono arrivate mentre Ben era da lui. Qualche volta Ben si ferma a dormire in uno dei sobborghi neri. Lì può riposare tranquillo.

- Andy, non è il caso che tu e Irma raggiungiate vostro figlio negli USA, per un po’ di tempo?

- No, Ben. Non posso lasciare questo paese. Non ora. Ora più che mai c’è bisogno di noi, per dare una mano a costruire un paese nuovo.

Irma ha un piccolo brivido. Ben cerca di convincere Andy, senza risultato.

 

Andy Whitecross è inquieto. È conscio dei rischi che corre. Lo è sempre stato. Il foglio con la sua data di morte non è la prima minaccia che riceve. Andy tiene il libro aperto tra le mani, ma non legge. La sua mente vaga, si perde, pensa a Ben, questo gigante dal cuore limpido per cui prova un affetto profondo, anche se lo frequenta da poco; pensa al figlio lontano, che forse non rivedrà più.

La telefonata lo scuote dai suoi pensieri. Arriva da Galesdale. Gli chiedono se può andare da loro: la polizia ha arrestato un operaio nero e c’è bisogno di un avvocato.

Galesdale è un sobborgo della città, in venti minuti Andy ci arriverà.

Andy dice a Irma che deve andare a Galesdale. Poi esce e sale nell’auto, parcheggiata in giardino. Ne approfitta per accendersi una sigaretta, prima di mettere in moto: in casa non può fumare, perché a Irma dà fastidio. Mentre aspira la prima boccata, vede un’ombra muoversi nel giardino e intuisce. Non ha il tempo di muoversi, di aprire la portiera, di tentare una fuga che sarebbe comunque inutile: il primo colpo lo prende al torace, sulla destra, spingendolo indietro contro il sedile e strappandogli un urlo. La sigaretta gli cade di bocca. Il secondo proiettile lo raggiunge al ventre, mentre il dolore cresce e lo stordisce. Andy emette appena un gemito. Il terzo lo colpisce al cuore e il mondo sprofonda in un’oscurità completa. Gli altri colpi Andy non li sente più. Quando Irma si precipita fuori dalla casa, Andy è già morto, sei pallottole in corpo, il viso imbrattato dal sangue che gli è uscito dalla bocca. Un’ombra si sta allontanando in fretta, sale su un’auto che ha il motore acceso e scompare.

 

Irma chiede a Ben di portare la bara di Andy: il loro figlio non può rientrare nel paese, è dovuto andarsene anni fa per sfuggire all’accusa di cospirare contro il governo. La foto di Ben Gardner che sostiene la bara di Andy Whitecross insieme a cinque neri fa il giro del mondo. L’ha scattata, in bianco e nero, un fotoreporter della White Star: Ben è perfettamente a fuoco, al centro dell’immagine. In tutto il mondo vi sono manifestazioni contro ciò che succede nel paese e quella foto è issata su centinaia e migliaia di cartelli. Ormai Ben è il simbolo di coloro che lottano per la giustizia nel suo paese. È come se Andy Whitecross gli avesse passato il testimone, ma la fama mondiale di Ben ha centuplicato la visibilità del movimento e posto al centro dell’attenzione la lotta in corso nel paese. Ben si sente del tutto inadeguato: gli sembra di non saper fare nulla. Ma in questo momento c’è bisogno di un simbolo e lui è perfetto per questo.

Gli insulti e le minacce nei confronti di Ben si moltiplicano. Sono poche le notti in cui il sonno di Ben non è interrotto da qualche oggetto lanciato contro le finestre della sua casa, da urla e da altri rumori. I vicini gli chiedono se non può trasferirsi: potrebbe andare a stare tra quei fottuti negri che gli piacciono tanto.

Ben pensa davvero di cambiare casa. Ogni tanto si chiede se non farebbe meglio a lasciare il paese, per un po’ o per sempre.

All’estero potrebbe riprendere a giocare. È il professionista più quotato al mondo e non gioca. Ma poi Ben pensa ad Andy e si dice che non vuole mollare.

Per il momento non ha problemi economici: proviene da una famiglia benestante e il rugby gli ha permesso di accumulare risparmi sufficienti per un po’ di tempo. Visto che non ha nessun impegno, insegna gratuitamente il rugby ai ragazzi di uno dei sobborghi neri della città in cui vive, la seconda del paese. L’intervista ai mondiali ha avuto una conseguenza che Ben non aveva previsto: ha scatenato tra i ragazzi neri una passione per il rugby e i corsi tenuti da Chris hanno moltiplicato i loro iscritti.

Chris è un nero alto quasi come Ben e alquanto robusto. È coetaneo di Ben ed è vissuto sei anni negli Stati Uniti. Ha lasciato il paese a diciott’anni, perché la polizia lo ricercava per attività sovversiva. Negli USA si è laureato e ha imparato a giocare a rugby. Sei anni fa ha deciso di tornare nel paese, dove svolge un lavoro che non corrisponde al suo titolo di studio e può giocare a rugby solo in gare amichevoli.

Con lui Ben si trova molto bene. Chris è un giocatore esperto. Con i più piccoli dimostra una pazienza infinita, mentre dai più grandi pretende molto. Con Ben è molto cordiale e tra loro si crea in fretta una forte complicità.

Insieme allenano ragazzi dagli undici ai vent’anni, divisi in gruppi di età. Per Chris è un lavoro a tempo pieno, finanziato da un’associazione metodista statunitense. Ben inizia andando tre volte la settimana, ma poi finisce per andare tutti i giorni: la sua presenza attira tantissimi giovani e Ben è felice di essere utile.

Dopo gli allenamenti, Ben e Chris discutono della giornata, poi si fanno una doccia e tornano ognuno nella propria casa. Ben ha modo di ammirare il corpo possente di Chris. Non ha mai avuto rapporti con un nero, anche se più volte l’ha desiderato. Si guarda bene dal far capire a Chris che è attratto da lui: non sa come potrebbe reagire. Evita di indugiare troppo con lo sguardo, anche perché teme che il suo corpo lo tradisca.

Sta bene con Chris. E sa di desiderarlo. Ma è uno dei tanti sogni che deve rimanere chiuso in un cassetto: per uno come lui amare liberamente, avere amici, camminare senza problemi per le strade della sua città, giocare a rugby, lavorare, tutto è un sogno impossibile.

A volte a casa, dopo l’allenamento, Ben lascia che la sua mente vaghi. Chris ritorna spesso in queste fantasie e qualche volta Ben cede e lascia che la sua mano gli dia quel piacere che la vita gli nega. E mentre sparge il seme, vede il corpo di Chris come lo può ammirare sotto la doccia, le spalle larghe, le braccia potenti, il bell’uccello vigoroso, le grosse palle.

Dopo qualche settimana però, Chris prende l’abitudine di fermarsi dopo l’allenamento per sistemare alcune cose. Ben si dichiara disponibile a dargli una mano, ma Chris gli dice di farsi la doccia, che lui arriverà dopo. Ben si chiede se Chris non abbia notato i suoi sguardi: ha sempre cercato di controllarsi, ma magari si è tradito senza volerlo. Gli spiacerebbe che Chris lo disprezzasse, perché tiene molto a lui. Ma Chris sembra dimostrargli la stessa amicizia di sempre.

Ben è contento di aver trovato un amico. Chris non sarà mai quello che lui desidera, ma in questo momento avere un amico è un balsamo sulle sue ferite. E di ferite Ben ne ha tante, inferte dagli sguardi di odio che sente su di sé, dagli insulti, dalle minacce.

 

Il sobborgo in cui Ben allena i ragazzi non è un posto per bianchi: ben pochi osano mettervi piede. Ma Ben si muove in assoluta sicurezza: tutti lo conoscono e nessuno oserebbe fargli del male. I pericoli sono invece nei quartieri residenziali dei bianchi, come quello in cui Ben abita.

Ben continua a cercare un lavoro, ma tutte le porte sono chiuse, anche quelle degli amici: assumere Ben Gardner significa schierarsi e questo fa paura. Ben è solo. Isaac è l’unico che lo appoggia incondizionatamente, ma anche lui è sotto pressione, in quanto fratello di Ben.

 

Ben è invitato a un giro di conferenze negli USA. È molto incerto se accettare o meno. Se andrà, per un po’ potrà rilassarsi e anche i suoi familiari vivranno più tranquilli: Ben vede che Isaac è sempre più preoccupato per lui e gli spiace perché sa che il fratello riceve insulti e minacce. Però, anche se le conferenze vertono sul rugby, di sicuro nelle interviste verranno fuori domande sulla politica e Ben sa che non potrà tirarsi indietro. Invece di calmare gli animi, rischia di esacerbare la situazione.

Ci sono due aspetti sicuramente positivi in un giro di conferenze all’estero. In primo luogo potrà guadagnare un po’ di soldi e questo sarebbe un’ottima cosa: non può vivere per sempre dei suoi risparmi. E poi potrà godere di una maggiore libertà, camminare per le strade senza essere insultato, dormire senza che il suo sonno venga interrotto infinite volte. Magari avrà anche occasione di incontrare un uomo, di conoscere di nuovo il piacere. Da tempo Ben non ha più rapporti. Ormai vive in una condizione di totale astinenza: il suo nome non deve essere infangato, perché è diventato una bandiera. Negli Stati Uniti potrà muoversi con una maggiore libertà.

Ben discute con Isaac del giro di conferenze. Isaac preme perché parta, a ogni costo. Ben sa che vuole vederlo al sicuro. Spinto da Isaac, Ben accetta. Comunica a Chris che per tre settimane non presenzierà agli allenamenti. Anche Chris gli dice che fa bene a partire. Ben guarda il suo amico, l’unico che gli è rimasto. Di nuovo dentro di lui affiora il desiderio, ma Ben lo ricaccia a fondo. Il giorno prima della partenza, si limita ad abbracciare Chris e se ne va.

 

Il giorno previsto Ben arriva all’aeroporto alle otto e trenta, due ore prima del volo. Porge il suo biglietto al banco e ottiene la carta d’imbarco. Poi si dirige al controllo dei passaporti. Il poliziotto guarda il suo documento, poi lo passa a un ufficiale. Questi si rivolge a Ben:

- Il suo passaporto lo teniamo noi. Lei non può lasciare il paese.

Ben è sbalordito: non aveva previsto che potesse accadere una cosa del genere.

- Non potete…

La risposta è secca:

- Decisione governativa.

Ben torna al banco. Non gli concedono il rimborso del volo: se non ha i documenti per uscire, è un problema suo.

Ben torna a casa. Telefona a Isaac e lo informa dell’accaduto. Nella voce del fratello sente l’angoscia.

Poi Ben avvisa Chris che riprenderà ad allenare nel pomeriggio, perché non è potuto partire.

 

Dave Pales e Ronald Longfellow sono appostati dietro la siepe, con altri nove uomini. Ken è dall’altra parte della strada, per segnalare l’arrivo della vittima. Il loro bersaglio è un uomo dotato di una forza immensa e, a meno di non sparargli subito, non è facile avere ragione di lui. Gli uomini sono tutti impazienti: non esiste in tutto il paese un bianco più odiato dai suoi connazionali di Ben Gardner. Ronald Longfellow conta di ammazzarlo. Non possono sparargli, deve essere solo un pestaggio, ma anche i calci possono uccidere un uomo. Dall’altra parte della strada Ken si accende la sigaretta: è il segnale. Il bastardo sta per arrivare. Quando Ben svolta l’angolo, trova ad aspettarlo una dozzina di uomini incappucciati. Gli sono addosso immediatamente. Ben si difende, menando pugni micidiali, che mandano a terra quattro avversari. Ma non può competere con dodici uomini. In breve si ritrova a terra e può solo cercare di riparare la testa e i genitali dalla gragnuola di colpi che continua ad abbattersi su di lui.

Ronald sta per vibrare un calcio alla testa di Ben, ma Dave lo ferma: l’ordine è di non ucciderlo.

- Basta, ragazzi. Ora andiamo.

Ronald cerca di liberarsi della stretta di Dave, ma non ci riesce. Ma quel bastardo prima o poi lo ammazza, vero com’è vero Dio, lo ammazza, come un cane lo ammazza.

 

Qualcuno ha visto Ben a terra e ha chiamato un’ambulanza, che arriva subito. Appena lo vede, uno dei barellieri esclama:

- Cazzo, è Ben Gardner!

In ospedale due medici e un infermiere spogliano rapidamente Ben, mentre controllano la respirazione e il battito cardiaco. Non pare esserci un pericolo immediato di vita. Ben emette un gemito e dopo qualche momento riprende conoscenza. È lucido e i medici possono chiedergli dove avverte dolore.

Ben ha un braccio fratturato in due punti, tre dita rotte, alcune costole incrinate e una serie di ematomi, contusioni ed escoriazioni. Nulla che non possa guarire. Ben si dice che gli è andata bene.

Ben viene ingessato e poi ricoverato nell’ospedale. Alla porta della sua camera viene messa una guardia. Ben sospetta che l’aggressione abbia avuto una certa eco sulla stampa internazionale e che perciò il governo abbia deciso di proteggerlo per un po’ di tempo. Anche Isaac è dello stesso parere, ma il giorno in cui un giornalista si presenta in ospedale, la guardia lo allontana: il suo compito non deve essere solo quello di proteggere Ben, posto che lo sia. Isaac però introduce una macchina fotografica di nascosto e scatta alcune immagini, che fanno il giro del mondo. Quando appaiono, la guardia viene cambiata e da quel giorno anche Isaac viene perquisito quando arriva, come tutti gli altri visitatori, pochissimi. Chris è tra quei pochi. Ben è sempre contento di vederlo e Chris passa spesso, di mattina, prima di incominciare ad allenare i ragazzi.

 

I giorni passano. Ben è ancora alquanto malconcio, ma i medici contano di lasciarlo andare tra non molto. Quando il momento delle dimissioni si avvicina, Isaac arriva in compagnia di un uomo che presenta come Peter. Vuole che Ben parli con lui. Da ciò che Peter dice, Ben capisce che Peter fa parte dell’opposizione che agisce in clandestinità. Peter può fargli lasciare il paese e, in attesa, cercherà di proteggerlo.

Quando viene dimesso, Ben si trasferisce in uno dei quartieri neri. Che un bianco possa scegliere di vivere tra i neri per sicurezza, è paradossale, ma questa è la situazione.

Ma non basta, non è sufficiente. Un giorno, tornando a casa, Ben trova sulla porta un foglio.

Ben Gardner 1943-1975

Ben lo guarda. Pensa ad Andy. Sapeva che sarebbe potuto accadere, ma sapere che una condanna a morte è stata pronunciata cambia la sua percezione del pericolo. Ben si chiede che cosa fare. Lasciare clandestinamente il paese? Deve contattare Peter.

Quel pomeriggio Isaac passa a trovare Ben. Va da lui ogni giorno. Vuole verificare che stia bene, che non sia stato aggredito, che non abbia bisogno d’aiuto. Quando suona alla porta, Ben va ad aprirgli. Solo mentre Isaac sta entrando, Ben si rende conto di aver lasciato il foglio sul tavolino. È troppo tardi per farlo scomparire. Isaac l’ha già visto. Lo prende in mano e incomincia a tremare. Ben si spaventa: non ha mai visto Isaac così.

- Calmati, Isaac, non…

Non riesce a continuare: Isaac lo interrompe, aggredendolo.

- Calmati?! Calmati?! Devo calmarmi? Ti condannano a morte e io devo calmarmi? Ben, tu questa sera vieni a dormire a casa mia e appena Peter riesce a organizzare, te ne vai per sempre da questo paese. È chiaro, Ben? In questa casa non metti più piede.

- Corro meno rischi qui che in un quartiere per bianchi.

Isaac cerca di replicare, poi di colpo si affloscia su una sedia e scoppia a piangere. Ben si dice che non l’ha mai visto piangere da quando erano entrambi bambini. Si sente in colpa, gli spiace che suo fratello viva in ansia per le scelte che ha fatto lui, Ben. Lo abbraccia, senza dire niente, e aspetta che il pianto si calmi.

Ben rimane a dormire a casa propria: non vuole mettere in pericolo Isaac.

Nella notte Ben si chiede se non sia davvero il caso di partire, come dice Isaac. Forse suo fratello ha ragione. È meglio che se ne vada. Ha fatto quello che ha potuto.

 

Non fa in tempo a mettere in atto la sua decisione. Il mattino seguente, alle cinque, viene svegliato da un gruppo di agenti, che lo arrestano e lo caricano su un cellulare. Quando il furgone si ferma e vengono aperte le porte, Ben può vedere la destinazione: è il carcere di Stonebridge, all’estremità settentrionale della città. Ben sa che non ne uscirà vivo. Di rado un bianco vi viene rinchiuso: è un carcere per neri, riservato agli autori dei delitti più gravi e ai prigionieri politici. Non è gestito dalla polizia, ma dall’esercito. Vi sono stati rinchiusi almeno tre attivisti bianchi in passato e sono tutti morti, in circostanze mai chiarite.

Ben non viene interrogato. Lo conducono in una delle celle sotterranee. La porta viene aperta e Ben può vedere che il locale, piuttosto vasto, è strapieno di neri. I prigionieri bianchi non vengono mai messi insieme ai neri, questo Ben lo sa benissimo.

Il sergente Pales, che ha accompagnato Ben insieme a due soldati, dice:

- Un culo bianco per tanti cazzi neri.

Pales ride. Una risata aspra. Poi spinge con violenza Ben dentro la cella, facendolo cadere a terra.

 

Dave Pales richiude la porta. Ben Gardner sarà violentato dai neri, come succede molto spesso con i prigionieri appena arrivati, più che mai se un bianco viene messo in una cella di neri. Qui i ribelli sono pochi, si tratta per lo più di fottuti criminali. Lo fotteranno per ore e ore, Ben Gardner.

E mentre lo pensa, Pales sente che il sangue gli affluisce al cazzo. Immagina Gardner spogliato e poi inculato dai neri.

Dave raggiunge rapidamente l’ufficio in cui lavora abitualmente. Chiude la porta. Poi si appoggia contro la parete. Abbassa le palpebre. Immagina quei luridi negri che fottono Ben Gardner, che lo menano, lo costringono a mettersi a quattro zampe e poi immergono i loro grossi cazzi neri dentro il suo culo, sfondandolo.

Pales si accarezza i coglioni, li stringe un po’. Poi la destra risale lungo il cazzo.

Prima che Ben Gardner dicesse quelle cazzate in televisione, Dave si è spesso fatto una sega pensando al capitano della nazionale di rugby. Lo ha sempre ammirato. Ammirato non è il termine esatto: Ben Gardner è stata la sua ossessione, lo è ancora. Due anni fa il cronista di The Truth lo accompagnò negli spogliatoi della squadra di rugby dove Ben e i compagni stavano facendo la doccia: da quel momento il desiderio che già prima Dave provava per Ben è esploso, si è tramutato in un chiodo fisso. L’odio che Dave Pales prova per questo fottuto eroe dei negri non riesce a spegnere un desiderio violento.

Dave si stringe vigorosamente il cazzo, la mano sinistra scende, scivola nel solco tra le natiche e cerca il buco del culo. Un dito vi entra dentro, brutalmente, e Dave sussulta. La destra si muove freneticamente in alto e in basso, stringendo il cazzo.

- Godi, eh, troia? Godi a farti inculare da un negro di merda?!

Il dito penetra ancora più a fondo, poi si ritrae. Dave infila due dita, con forza, e nuovamente trasale. La mano scende un attimo ai coglioni, li strizza, e poi risale al cazzo per completare l’opera. E nella testa di Dave guizzano immagini di cazzi neri che sfondano il culo di Ben, che gli riempiono la bocca, che lo inondano di piscio e di sborro, di mani nere che gli spaccano i coglioni. E le due dita che spingono nel suo culo sono il cazzo di Ben che è dentro di lui, la mano che stringe il cazzo è quella di Ben che gli sta facendo una sega mentre lo possiede, lui, Dave Pales, che nessuno ha mai posseduto, perché lui è un vero maschio.

 

Nella cella i prigionieri si sono avvicinati a Ben, perplessi di vedere un bianco tra di loro: chi è quest’uomo che è tanto odiato da quelli della sua razza da essere offerto in pasto ai nemici? Il loro stupore dura solo un attimo: non appena Ben si rialza, diversi lo riconoscono.

- Ben Gardner!

- Gardner!

- Il capitano della nazionale di rugby!

È un incrociarsi di voci e di domande. Ben risponde e rapidamente nella cella tutti tacciono per ascoltare che cosa ha da dire.

I prigionieri si organizzano. A Ben viene assegnato un angolo tranquillo, vicino ai prigionieri politici, che faranno da guardia. Sono ben pochi nella cella quelli che penserebbero di approfittare di Ben, di un uomo che per i neri del paese è diventato un eroe, ma gli attivisti non vogliono correre rischi di nessun genere. Ben è la loro bandiera.

 

Ben viene prelevato ogni giorno dalla cella, per interrogatori che non interessano a nessuno: sanno tutti benissimo che Gardner non fa parte dell’opposizione armata, che non si è mai occupato di politica, che non ha contatti con i ribelli. Ma continuano a chiedergli di confessare. Non ci sono informazioni da estorcere, ma Dave Pales vuole umiliare quest’uomo che odia, spezzarlo. È convinto che Ben venga violentato dai compagni di cella, ma questo non gli basta.

Ben viene legato a una sedia, schiaffeggiato. Spesso gli viene infilato in testa un sacchetto di pelle, che viene inzuppato d’acqua. A Ben manca il respiro, ha la sensazione di soffocare, si dibatte, senza riuscire a liberarsi. Altre volte Dave spinge a terra la sedia su cui Ben è legato e ordina ai suoi uomini di pisciargli addosso. Vorrebbe farlo anche lui, ma ha il cazzo duro.

Quando hanno finito, ordina agli uomini di uscire. Chiude la porta. Guarda Ben, steso a terra, nella pozza di piscio. Si apre i pantaloni e incomincia a farsi una sega. Lascia che il suo sborro scenda sul corpo del prigioniero.

Altre volte lo fanno rimanere in piedi per ore e ore, oppure lo lasciano abbandonato su una sedia, ma poi qualcuno passando lo colpisce, all’improvviso. È un logoramento continuo. Dagli interrogatori Ben ritorna sempre stremato, anche se i danni fisici sono di solito limitati. I compagni lo accolgono, lo puliscono quando è sporco, gli danno da bere, da mangiare. Lo accudiscono. Nella cella è impossibile stendersi tutti contemporaneamente, ma per Ben c’è sempre un posto. Ben si dice che se non fosse per loro, crollerebbe. Ma i compagni gli danno la forza per resistere

 

Isaac cerca di capire dove è finito Ben. Sa che è stato arrestato dall’esercito. Teme che possa essere stato ucciso o portato a Stonebridge. Si rivolge alla polizia, alle autorità locali, alla federazione di rugby. Contatta anche la stampa internazionale, pur sapendo che questo lo espone a gravi rischi.

Non ottiene nulla se non di essere arrestato un mattino e portato in prigione per attività sovversiva. È una prigione normale, non quella di Stonebridge. Isaac sa che ne uscirà solo quando i ribelli giungeranno in città. Ma non è la sua sorte a preoccuparlo, è quella di Ben.

Intanto i quartieri bianchi si stanno svuotando. I neri stanno per arrivare e la città non può più essere difesa. L’intero paese cadrà presto nelle mani dei ribelli: corre voce che il governo abbia avviato trattative segrete per evitare una strage e garantire ai bianchi una fetta del potere o almeno evitare ritorsioni troppo pesanti.

Ma per il momento non si è arrivati a un accordo e molti bianchi preferiscono lasciare la città e raggiungere la capitale, anche se la distanza è di sole cinquanta miglia. Alcuni sanno che comunque dovranno emigrare: il loro passato li accusa e nel nuovo paese che nascerà non c’è posto per loro.

 

Anche la prigione di Stonebridge viene evacuata: tutti i prigionieri sono trasferiti, a parte Ben Gardner. Per lui Pales ha altri progetti, per cui ha finalmente ricevuto l’approvazione degli alti comandi.

Il tenente Pales apre la cella. Il fetore lo prende alla gola: tanfo di chiuso, di piscio, di sudore, di merda. Le celle sotterranee sono tutte così, c’è un unico buco che serve come cesso e i prigionieri venivano ammassati come bestie. Parecchi si ammalavano e quando si scatenava una malattia, il contagio si diffondeva in fretta: meglio così, era un buon modo per sbarazzarsi di un po’ di merde.

Ora nella cella è rimasto solo Ben. È seduto a terra, sporco, con gli abiti laceri. Fissa l’ufficiale senza dire nulla. Pales sente l’irritazione invaderlo. Odia quest’uomo, questo traditore, che le botte e le umiliazioni non hanno piegato e che ora di certo gode della sconfitta della civiltà in questa terra. Eppure questo figlio di puttana deve aver capito che lui non vivrà abbastanza per vedere il trionfo dei suoi amici negri.

- Alzati, stronzo.

Ben si alza, rimanendo in silenzio.

- Muoviti.

L’ufficiale esce dalla cella. Ben lo raggiunge. I due soldati si mettono ai suoi lati. Salgono al primo piano ed entrano nel locale delle docce. Anche lì non c’è nessuno: la prigione è stata in gran parte evacuata, perché ormai i ribelli sono alle porte della città. Tra mezz’ora anche gli ultimi uomini della guarnigione lasceranno la caserma e si dirigeranno verso la capitale. Ben no, Ben rimarrà nella prigione, un regalino per i negri.

- Spogliati e lavati.

Uno dei soldati toglie le manette dai polsi di Ben, che incomincia a spogliarsi. È un mese che non gli viene permesso di lavarsi, ma adesso può farlo. Gli abiti lerci vengono portati via. C’è già un ricambio completo.

Pales osserva Ben, che si strofina con energia. Non riesce a non ammirarne la potenza: Ben è davvero una forza della natura, con spalle larghe, torace muscoloso, gambe e braccia possenti, un grosso cazzo e due magnifici coglioni. Ha alcuni segni delle botte prese in questo mese: qualche escoriazione, lividi, tagli. Niente di particolarmente appariscente. Pales ha il cazzo duro.

Pales guarda il collo taurino di Ben e ghigna. In quel momento sorprende lo sguardo del giocatore, che lo sta fissando. È probabile che abbia capito, ma tanto non può farci nulla.

- Adesso basta.

Ben chiude l’acqua, prende il telo e si asciuga con cura. Poi, a un cenno di Pales, si mette gli abiti puliti che sono stati deposti su uno sgabello.

Pales gli fa rimettere le manette, dietro la schiena, poi lo conduce a una delle celle del primo piano: sono migliori di quelle dei sotterranei, hanno tutte una finestra in alto e un gabinetto decente. Prima di entrare, Pales fa bendare Ben.

 

Ben sa benissimo che cosa significa questo: stanno per ammazzarlo. Se lo aspettava: se non lo hanno portato via con gli altri prigionieri, di sicuro non è per lasciare che i ribelli lo liberino. Ben conosce l’odio degli altri bianchi, che vedono in lui un traditore. Non sa come morirà: magari lo fucileranno, fregandosene delle reazioni della stampa internazionale; oppure gli spareranno alcuni colpi, dicendo poi che lo hanno lasciato vivo e che devono essere stati i ribelli a ucciderlo, magari per errore; oppure simuleranno un suicidio. Di una cosa sola Ben è certo: la sua vita è arrivata alla fine. Non è facile accettare di morire a trentadue anni, ma Ben non rimpiange nessuna delle scelte che ha fatto. Ora però sente la rabbia salire dentro di lui. Ma che cosa può fare, con le mani ammanettate dietro la schiena? Può solo morire con dignità.

 

Pales apre la porta. A una delle sbarre della finestra è già pronto il cappio, preparato con una cinghia dei pantaloni. Ben Gardner non può vederlo. Il tenente sorride. Veder crepare Gardner sarà un bello spettacolo: ci metterà un po’, con quel collo muscoloso. Bene, ci sarà da divertirsi.

Stanno spingendo il prigioniero verso la finestra, quando la porta viene nuovamente aperta ed entra il tenente Badlands, con due soldati.

- Pales, il comandante ha detto che Groove e Beals devono raggiungere subito le truppe in partenza. Li sostituiscono Morrison e Fitzpatrick. Sanno già quello che devono fare.

Pales non capisce il perché di questo cambiamento, ma se i due nuovi soldati sono informati su quello che è il loro compito, non fa differenza. Fa un cenno di congedo ai due che si allontanano senza nascondere la loro irritazione per essere stati tagliati fuori. Badlands si ferma.

- Tutto è pronto, a quanto vedo.

Pales annuisce.

Badlands chiude la porta. Pales ordina:

- Procedete.

Uno dei due soldati si avvicina a Ben. L’altro è rimasto indietro, ma fa un passo in avanti. Mentre passa accanto all’ufficiale, con un movimento fulmineo colpisce Pales alla nuca con un manganello. L’ufficiale stramazza al suolo, privo di coscienza. I due soldati lo imbavagliano e lo legano. Uno dei due dice:

- Secondo me l’hai ammazzato.

L’altro soldato alza le spalle.

 

Ben non ha potuto vedere nulla. La frase di Badlands gli ha fatto capire che verrà ucciso qui ed ora. Non riesce invece a dare un senso a quello che ha sentito dopo: il colpo, il tonfo e le parole di uno dei soldati.

Qualcuno è dietro di lui. Ben si tende. Non vuole che lo ammazzino. Si controlla a fatica. Qualcuno gli ha aperto le manette. Perché? Ben solleva le mani e con un gesto rapido si toglie la benda: vuole vedere, vuole lottare. Davanti a lui c’è solo la parete, con il cappio che pende da una delle sbarre della finestra. Si volta, pronto a difendere la sua vita, anche se sarà inutile. Rimane senza parole. Davanti a lui c’è Peter. Ben scuote la testa, incredulo. A terra c’è il tenente Pales, legato e imbavagliato, immobile.

Ben guarda Peter, incapace di formulare la domanda che gli preme dentro.

- Pensavi mica che ti avremmo lasciato ammazzare, Ben?

- Ma… come avete fatto?

- Il sergente Badlands è dei nostri. Ci ha fatto entrare lui, con le divise.

Ben guarda l’uomo che gli sorride.

- La ringrazio, ma quando scopriranno che sono ancora vivo, rischia di essere fucilato per tradimento.

- Lo so, mi allontanerò dalla colonna durante la strada. Adesso lei rimane qui con Peter e Steve. Dirò che ho assistito alla sua esecuzione e nessuno dovrebbe venire a controllare. Ma per ogni evenienza loro sono armati.

Ben guarda il corpo del tenente Pales.

- E lui?

- Dirò che è già andato via.

- Grazie.

Ben è frastornato. Il sergente Badlands apre con cautela la porta, controlla che non ci sia nessuno e si allontana. Peter chiude la porta a chiave dall’interno.

- Ed eccoci qui con il cadavere del traditore.

Il secondo soldato lancia un’occhiata a Pales, che è disteso dove l’hanno lasciato, del tutto immobile.

- Mi sa che un cadavere ci sia davvero. Secondo me l’hai ammazzato, Peter.

Peter alza le spalle.

- Poco male, Tom.

Ben si avvicina a Pales e gli prende il polso.

- No, non è morto.

Pales si risveglia e geme. Peter dice:

- Meglio così. Lo processeremo.

Peter e Tom chiedono a Ben della prigionia. Ben racconta. A tratti si interrompe. Gli sembra incredibile di essere ancora vivo.

Presto nella caserma scende il silenzio. Ben si mette sotto la finestra e Peter sale sulle sue spalle, per guardare nel cortile. Non è rimasto nessuno.

Riprendono a parlare.

È trascorsa quasi un’ora, quando in cortile si sente una voce che chiama:

- Ben, Ben!

Ben riconosce immediatamente la voce del fratello.

- Isaac, qui!

Si rivolge ai due finti soldati:

- È mio fratello, è venuto a cercarmi.

Tom prende l’iniziativa.

- Vado a controllare. Voi non vi muovete.

Tom apre la porta e controlla che nel corridoio non ci sia nessuno. Esce e Peter chiude di nuovo a chiave.

Tom scende rapido. Al piano terreno trova Isaac, che continua a chiamare Ben, passando da una stanza all’altra, nella prigione vuota. Isaac si ferma a guardare lo sconosciuto che gli viene incontro.

- Suo fratello è vivo, signor Gardner. Venga con me.

Isaac lo guarda. Apre la bocca per parlare, ma non dice nulla. Annuisce, non sa se credere a quest’uomo che gli restituisce una speranza. Tom lo accompagna al primo piano e si fa aprire. Non appena Isaac vede Ben, gli corre incontro, lo abbraccia. Ben stringe il fratello, cerca di calmarne l’angoscia. Nuovamente si sente in colpa per tutta la sofferenza che gli ha procurato.

Isaac è stato liberato un’ora fa ed è subito venuto a Stonebridge: in carcere aveva saputo che Ben era lì.

I ribelli arrivano dopo tre ore.

 

Dave Pales viene lasciato nella cella: ci sono cose più urgenti di cui occuparsi. In serata si occuperanno di lui. Si limitano a chiudere la cella dall’esterno, senza pensare ad altro.

Dave incomincia a lavorare per liberarsi della corda con cui gli hanno legato le mani. Non è difficile: ai due uomini importava solo che Dave non potesse togliersi il bavaglio e richiamare l’attenzione degli altri mentre l’esercito abbandonava la caserma. Trafficando un po’, Dave riesce a liberare le mani e poi, più facilmente, i piedi. Sa che non può uscire dalla cella. E sa che rimarrà in carcere tutta la vita, se non lo condanneranno a morte: troppe persone sanno che lui era a capo di un gruppo che ha commesso diversi omicidi e quando anche la capitale sarà caduta, le prove verranno fuori.

Dave si siede e guarda il cappio ancora appeso alla parete. Pensa a Ben Gardner. Ben è vivo, quel figlio di puttana è stato liberato. Tocca a lui, Dave, morire. Il cappio che avrebbe dovuto spegnere la vita del giocatore spegnerà quella dell’ufficiale.

Dave si alza. In quel momento vede il manganello che lo ha colpito e che Peter ha lasciato nella cella. Un pensiero folle lo prende. Dave si china, prende l’oggetto in mano, lo accarezza. Guarda il cappio. Dave si cala i pantaloni e le mutande, avvicina il manganello al buco del culo. Pensa che è il cazzo di Ben Gardner che ora gli entrerà in culo, quel bastardo ha avuto la meglio e ora lo fotterà. Dave spinge con forza e trattiene a fatica un urlo: il dolore è violento. Ma Dave spinge ancora, senza esitare, finché gli sembra che la stanza incominci a roteare su se stessa. Chiude gli occhi. Cerca di riprendere fiato. Ben Gardner lo sta fottendo, facendogli un male bestiale. Quel porco lo sta inculando. Può sentire tutto il suo grosso cazzo in culo.

E adesso Ben Gardner lo ammazza, mentre lo fotte.

Dave riapre gli occhi, guarda il cappio. Prende lo sgabello e lo mette sotto la corda. Sale sullo sgabello, infila la testa nel cappio, stringe. Poi spinge ancora dentro il culo il manganello, mentre dà un calcio allo sgabello. Quando il respiro si blocca, Dave cerca di liberare il collo, ma le forze gli mancano. Scalcia a lungo, poi i movimenti diventano più lenti, fino a fermarsi del tutto.

 

 

Ben è di nuovo il capitano della nazionale. Ha ripreso a giocare, ma non ha lasciato la sua attività come allenatore in uno dei sobborghi neri. Adesso ci va soltanto tre volte la settimana, nei giorni in cui non è impegnato con la squadra. Chris è entrato in una delle squadre di rugby. Probabilmente sarà il primo giocatore nero della nazionale. Ben è contento di poter ancora lavorare con lui. Sta bene al fianco di Chris. Vorrebbe vivere accanto a lui. Questo è rimasto un sogno impossibile, ma adesso Ben può lavorare, giocare a rugby, camminare per le vie della sua città. Dopo l’incubo dei mesi precedenti, Ben si sente finalmente sereno.

La televisione lo ha intervistato più volte e Ben ha accettato, senza entusiasmo, il suo ruolo di personaggio famoso. Sa che anche il rugby può contribuire a costruire una società più giusta, in cui bianchi e neri possano vivere fianco a fianco.

Chris avvisa Ben che si profila un’altra intervista, a loro due, sull’attività che svolgono insieme. A condurla sarà Fortin Katikaze, che Ben ha visto alcune volte in televisione. Chris non sembra entusiasta dell’idea e Ben pensa che anche lui sia infastidito dalla presenza alquanto invadente dei mezzi di comunicazione.

Fortin arriva il giorno previsto con la piccola troupe. Visto dal vivo, è davvero un bellissimo ragazzo. Intervista Chris, ma soprattutto Ben, anche se Ben insiste nel dire che l’attività è stata avviata e viene condotta da Chris e che lui gli dà solo una mano. Ma Ben è il capitano della nazionale, l’eroe della lotta per l’uguaglianza dei diritti. A Ben sembra di non aver fatto niente per meritarsi questa fama, a parte le botte che gli hanno dato.

Alla fine dell’intervista, Fortin sorride a Ben e gli dice:

- Per ringraziarla, posso invitare a cena il capitano della nazionale?

Ben accetta: gli sembrerebbe scortese rifiutare.

Fortin se ne va e Chris e Ben possono infine tornare ad allenare: l’intervista è stata fatta nell’orario di allenamento, perché la troupe voleva riprendere anche i ragazzi, ma così ha fatto perdere quasi tutto il tempo dedicato all’attività. Ai ragazzi non importa, sono contenti di essere stati ripresi e di aver visto la troupe della televisione, ma Chris è nervoso.

Ben non capisce perché Chris sia così scocciato: in fondo l’intervista è un’ottima propaganda per i corsi di rugby, che adesso vengono finanziati dal governo. Chris lavora come allenatore, accanto a Ben, che rifiuta ogni compenso. Ma Chris è di cattivo umore. Anche a Ben risponde secco, in modo ostile.

- Che cosa c’è, Chris?

- Niente.

- Chris, ti ho fatto qualche cosa?

- Piantala di rompere i coglioni, Ben.

Ben non dice più nulla. Spera che a Chris passi, perché a Chris tiene moltissimo. Troppo, lo sa.

Alla fine dell’allenamento Chris e Ben fanno spesso vedere ai ragazzini un po’ di azione, suscitando il loro entusiasmo. Ben prende la palla, come ha fatto tante volte, e cerca di scartare, per evitare che Chris lo blocchi, ma non ci riesce. Nello scontro Chris colpisce Ben al sopracciglio destro, lacerando la pelle. Il dolore è forte, ma a far soffrire Ben è la certezza che non è stato un incidente: Chris lo ha colpito deliberatamente. Perché?

I ragazzini si spaventano vedendo il sangue che cola lungo la faccia di Ben. Ben sorride, spiega che nel rugby può capitare di farsi male e che non bisogna preoccuparsi: non è niente e passerà in fretta.

La lezione è conclusa e Ben va nello spogliatoio che usano lui e Chris: una stanzetta con due docce e pochi armadietti. Si siede sulla panca. Di solito si spoglia, si fa la doccia, si riveste e non appena Chris arriva lo saluta e se ne va, sfuggendo alla tentazione di rimanere a guardare l’uomo che ama mentre si sveste.

Ma questa volta rimane seduto, a guardare il vuoto. Sente una tristezza mortale invaderlo. Chris lo ha colpito, deliberatamente. Perché?

Ben rimane a lungo a fissare il muro. È ancora lì quando Chris entra.

Chris è sorpreso di trovare Ben nello spogliatoio: è rimasto molto più a lungo del solito nel campo, proprio per evitare di incontrarlo.

Ben non dice niente. Chris rimane un momento fermo sulla porta, poi entra.

- Che cazzo ci fai ancora qui?

- Ti aspettavo, Chris.

- Che cosa vuoi? Che ti chieda scusa?

Ben fissa Chris. Si alza.

- No, che tu mi spieghi.

Chris scrolla le spalle.

- Lascia perdere, Ben.

- Chris, è un anno che lavoriamo insieme. Se ho fatto qualche cosa che non dovevo, dimmelo.

- No, Ben, tu non fai mai niente di sbagliato. Sei sempre a posto. L’eroe bianco che piace anche ai neri, come ti ha definito Fortin Katikaze. Chi ti potrebbe rimproverare qualche cosa? Sprechi persino il tuo tempo a insegnare gratis il rugby ai ragazzi neri.

Il tono di Chris è sarcastico, ma Ben non riesce a spiegarsi i motivi dell’ostilità che avverte.

- Che cosa ti ho fatto, Chris?

- Niente, piantala con queste stronzate. Vestiti e levati dai coglioni.

- No, Chris, non me ne vado. Mi devi spiegare.

Chris quasi urla:

- Io non ti devo spiegare niente, hai capito? Fattele dare da Fortin Katikaze, le spiegazioni.

- Che cazzo c’entra lui?

Chris ha una specie di sorriso ironico.

- Non c’entra un cazzo.

Ben scuote la testa, senza capire. Chris riprende.

- Levati dai coglioni, Ben. Oggi non è giornata. Vattene tu o me ne vado io.

Ben china il capo. Poi lo rialza.

- No, ho diritto di sapere.

Chris si dirige alla porta. Ben si muove in fretta, mettendosi in mezzo.

Il pugno lo coglie del tutto impreparato. Sente solo il dolore violento al ventre e le gambe che cedono. Crollerebbe in ginocchio, se Chris non lo sostenesse.

Ben ha le lacrime agli occhi. Non è il dolore fisico, per quanto sia forte. È la coscienza dell’odio che Chris sembra provare nei suoi confronti. Non alza la testa a guardarlo.

Ben si stacca, si siede sulla panca. Cerca di riprendere fiato, tenendo il capo chino.

Chris esce.

Ben ricaccia indietro le lacrime. Non si lava, non si cambia. Prende le sue cose e raggiunge l’auto. Farà la doccia a casa.

 

Sabato Ben si allena con la sua squadra. Tutti si accorgono che il loro capitano è cupo, ma alle domande Ben risponde in modo evasivo. Domenica c’è la partita, che viene vinta: la squadra di Ben è in testa al campionato, come è sempre successo negli ultimi anni, a parte il periodo in cui Ben è stato radiato dalla federazione.

In serata Ben ha la cena con Fortin Katikaze. Rimarrebbe volentieri in casa: lo scontro con Chris, se di scontro si può parlare, ha lasciato un segno profondo. Ben non ha voglia di vedere nessuno, vorrebbe rimanere a casa a leccarsi le ferite. Ma gli sembrerebbe scortese, per cui si presenta all’appuntamento, puntuale come sempre.

Fortin è un gran parlatore, come Ben ha già notato durante il servizio televisivo, per cui Ben non deve sforzarsi troppo per sostenere la conversazione.

Verso la fine della cena, Fortin scherza sull’intervista:

- Sono stato molto discreto, nessuna domanda personale.

- Spero bene, era un’intervista sul rugby per i ragazzi, non su di me.

- Tutt’e due le cose. Nonostante questo, non ti ho chiesto niente della tua vita sessuale.

Ben ridacchia, senza convinzione. Nonostante l’umore nero, una luce si è accesa nel suo cervello. Ha intuito che Fortin non sta parlando a casaccio e si chiede dove voglia arrivare. Ben cerca di metterla sul ridere:

- Non credo che sarebbe stata una buona domanda. La risposta sarebbe stata insignificante oppure da censurare.

Fortin ride.

- Potevo prenderla più alla larga. Ad esempio: hai progetti matrimoniali?

- Per il momento non penso a sposarmi.

Fortin annuisce.

Se Ben non fosse gay, non farebbe molto caso alla piega che ha preso la loro conversazione, ma Ben conosce il gioco delle mezze domande, delle battute apparentemente innocenti: anche uno come lui, che è sempre andato poco a caccia, sa quali sono le regole del gioco. In una realtà in cui certi rapporti devono essere nascosti, le proposte non sono mai dirette.

- E non hai neanche una compagna. Non mi dirai che vivi in castità, perché mi sembra poco probabile.

Ben non ha più dubbi sulle mire di Fortin. Il nero è un gran bel ragazzo, come Ben ha già notato. In un altro momento Ben, che non ha rapporti da oltre un anno, non esiterebbe neppure un attimo. Ma la tristezza che lo avvolge gli impedisce di apprezzare l’opportunità che gli si offre. Ed è un altro il corpo che desidera, senza speranze.

Invita Fortin a cambiare argomento, dicendo che non ha voglia di parlare di cose molto personali. Lascia che la loro conversazione spazi su altri temi e quando, in due occasioni, Fortin si lascia scappare un’allusione o una battuta, la ignora. Fortin nasconde bene la sua delusione e si lasciano serenamente.

 

Il lunedì Ben si chiede se presentarsi all’allenamento dei ragazzi neri. L’idea di vedere Chris gli pesa. Sentire l’odio dell’uomo che ama è una sofferenza violenta. Si trovano sempre un’ora prima, per organizzare il lavoro della settimana e fare il punto della situazione. Oggi Ben vorrebbe farne a meno, ma si dice che ha preso un impegno e che lo porterà fino in fondo, a meno che non sia Chris ad allontanarlo.

Forse oggi a Chris sarà passata e gli chiederà scusa, gli spiegherà.

Ben arriva puntuale, come sempre. Chris è già in ufficio. Alza la testa, vedendolo entrare. Nel suo sguardo Ben legge che non gli è passata, che ce l’ha ancora con lui.

- Pensavo che non saresti venuto.

- Se non vuoi che venga, me lo devi dire.

Chris lo guarda e Ben legge un’avversione profonda nei suoi occhi.

- Non venire più, Ben.

Ben annuisce.

- Come vuoi. Ma quando si sbatte fuori uno, almeno gli si dice perché.

- Di nuovo con questa storia? Sei ostinato.

- Sì, lo sono. Credevo che tu lo sapessi. Non sarei qui se non lo fossi e questo lo sai anche tu, Chris.

Sì, anche Chris sa che allenare i ragazzini neri ha attirato su Ben un mare di critiche, contribuendo a complicargli la vita nel periodo in cui era già oggetto dell’odio di tanti. Ben però non ha mollato.

Chris non dice nulla.

- Che cosa dirai ai ragazzi, Chris? Perché gli devi dire la verità.

Chris lo guarda e di nuovo Ben gli legge in faccia l’odio.

- Perché mi odi, Chris? Perché di colpo mi detesti così?

- Ben, gira i tacchi e levati dai coglioni.

Ben annuisce. Si volta, le spalle un po’ curve, e apre la porta.

- Ti è piaciuto il culo di Fortin?

La domanda lo spiazza completamente. Ben si gira e guarda Chris, che ridacchia, fingendosi divertito.

- Non fare quella faccia, Ben. Lo sanno tutti che a Fortin piace prenderselo in culo da un bel bianco forte, ancora meglio se è un idolo della folla.

Ben sta cercando di capire. Che Chris abbia intuito che a lui piacciano gli uomini, non lo stupisce. Si sono frequentati troppo nell’ultimo anno perché Chris non abbia colto qualche cosa, tanto più che Ben è riservato, ma non mente. Che Chris detesti gli omosessuali, è possibile. Ma perché questo odio si rivela solo ora? È stata l’intervista di Fortin a scatenarlo? Chris conosce i gusti di Fortin e si è convinto che Ben sarebbe andato a letto con Fortin e questo ha tirato fuori tutta la sua rabbia nei confronti degli omosessuali?

Risponde, secco:

- Non ho scopato con Fortin.

Chris aggrotta la fronte.

- Non mi dire che non ci ha provato. Non ci credo.

- Non so se ci ha provato, come dici tu. Se lo ha fatto, non ho raccolto. Ma questo che cazzo c’entra?

Chris ha perso la maschera di ostilità. Pare disorientato.

- Fortin è un gran bel ragazzo. Non ti piace?

- Chris, che cazzo significa? Sì, è un gran bel ragazzo. Sì, mi piace. No, non ho scopato con lui. Non mi interessava.

Chris abbassa lo sguardo. Poi lo rialza e dice:

- Pensavo che i maschi ti piacessero.

Non c’è più odio, ora, neppure sarcasmo. L’osservazione è stata fatta con un tono neutro.

- È vero. È per questo che mi odi, Chris?

Chris scuote il capo.

- Scusa, Ben. Mi sono comportato da stronzo. Ti chiedo scusa, ma, per favore, non chiedermi una spiegazione. Mi spiace averti colpito, più di quanto tu possa immaginare. Non ci ho dormito, venerdì notte. Sono uno stronzo.

Ben vorrebbe capire, ma si dice che è meglio aspettare.

- Chris, chiudiamola lì. Uno di questi giorni mi spiegherai, ma adesso, se preferisci non farlo subito, parliamo dei ragazzi.

Chris annuisce.

- Grazie, Ben.

 

Ronald sta seguendo Ben Gardner. Si mantiene a una certa distanza. Intende saldare i conti con quella merda.

Ben non si accorge di essere seguito. Abitualmente è abbastanza vigile e ogni tanto controlla nello specchietto retrovisore: sa di non essere al sicuro. Il cambio di governo è avvenuto da pochi mesi e ci sono in giro ancora molte persone che vedono Ben Gardner come il fumo negli occhi: non tutti i membri dei gruppi paramilitari sono stati arrestati e Ben è sicuramente un bersaglio. Ma questa sera Ben è turbato. Il comportamento di Chris lo ha disorientato.

Ronald Longfellow ha pensato a tutto. Quando è sicuro che Ben si sta dirigendo verso casa lo supera e parcheggia nell’isolato successivo all’abitazione di Ben: sa che il lunedì Ben lascia l’auto a casa e poi va a piedi al supermercato vicino per fare la spesa. Questa volta saranno solo in tre: non deve apparire una spedizione punitiva, ma una banale lite di strada. Ronald ha sotto la giacca il coltello: sa dove colpire per uccidere.

Ben se li trova davanti dopo aver voltato l’angolo. Sta sempre sul chi vive e intuisce che sono venuti per lui, anche se fingono di chiacchierare tra di loro.

Ben guarda se arrivano auto e fa per attraversare la strada, anche se casa sua è da quel lato della via, ma uno dei tre lo blocca:

- Ehi, amico, puoi mica offrirmi un goccetto?

Ben non intende tirare fuori il portafoglio e sa che non è saggio fermarsi, ma stanno passando due auto.

- No, non ho niente.

Il tipo si mette davanti a lui.

- Che cazzo vuol dire, che non vuoi darmi niente?

Gli altri due si muovono in fretta. Ben arretra di un passo, ma i due uomini gli hanno preso le braccia, bloccandole, e Ronald si avventa su di lui. Ben fa in tempo a vedere il coltello, quando un braccio blocca la mano di Ronald. Ben alza la testa e vede che è Chris. È lui che stringe il braccio di Ronald in una morsa.

Tutto è molto rapido: uno dei due bianchi lo molla per dare man forte a Ronald e Ben colpisce con un pugno l’altro. L’uomo crolla al suolo, mentre l’altro si avventa su di lui, ricevendo un calcio nelle palle e poi un pugno in faccia. I due bianchi sono a terra, Chris e Ronald lottano, ma Chris piega dietro la schiena il braccio di Ronald, fino a che questi non lascia il pugnale e lancia un urlo di dolore. Chris molla la presa e il braccio di Ronald pende inerte.

Quando arriva la polizia, i tre aggressori vengono portati in ospedale e poi in centrale.

Chris e Ben escono due ore dopo. Sono andati in commissariato con l’auto di Chris.

- Grazie, Chris, mi hai salvato la vita.

Chris sorride.

- Spero che questo contribuisca a farmi perdonare.

Ben sorride.

- Al 99%, Chris.

- E per l’altro 1%?

- Devi spiegare.

Chris annuisce.

- Adesso ti accompagno a casa: se non sei impegnato, domani sera vengo da te dopo l’allenamento e vedo di guadagnarmi il restante 1%.

Ben sorride. Gli sembra che gli abbiano tolto un peso dal cuore.

- Va bene. Adesso però mi spieghi come mai eri vicino a casa mia.

- Avevo bisogno di parlarti, Ben. Ti aspettavo vicino a casa. Ho visto la tua auto, ma tu non c’eri. Ho atteso. Poi ho visto quei tre tipi, ho capito che erano in attesa di qualcuno. Ho pensato che quel qualcuno potessi essere tu e mi sono avvicinato.

- E di che cosa dovevi parlarmi?

- Abbiamo detto che è per domani sera, no?

Ben annuisce. Può aspettare, l’importante è che Chris sia tornato quello di sempre.

 

Ronald Longfellow ha detto che è stato un banale litigio di strada, ma nessuno gli ha creduto. I falsi documenti che ha con sé non sono sufficienti: controllando gli archivi risalgono in fretta alla sua vera identità. Ronald è sotto accusa per l’omicidio di quattro attivisti, tre neri e un bianco, per l’incendio di una cascina in cui è morta un’intera famiglia e per diversi pestaggi. Dopo la fine del regime, molti hanno incominciato a parlare e Ronald Logfellow è uno degli uomini più ricercati del paese. Sanno tutti che lui e Dave Pales erano a capo di un gruppo paramilitare, tre membri del quale sono già stati condannati a morte.

Ronald viene interrogato per sei ore, poi gli agenti lo mettono in una cella dove ci sono già nove prigionieri, tutti neri. Prima i prigionieri bianchi venivano tenuti separati dai neri. Anche adesso di solito è così: fa parte delle misure per evitare di inasprire le tensioni, ancora forti, tra bianchi e neri. Se proprio lui, che ha passato una vita a combattere per la supremazia dei bianchi, viene rinchiuso tra quei luridi negri, allora significa che vogliono darlo in pasto a quelle merde.

I neri si avvicinano. Ronald sa benissimo che cosa intendono fare. Preferirebbe farsi ammazzare piuttosto che lasciare che questi fottuti bastardi lo inculino, ma è da solo, ha un braccio ingessato e gli uomini che lo circondano sono forti e non esitano. Un po’ di pugni in faccia e in pancia hanno ragione della sua resistenza. Gli tolgono gli abiti, lacerandoli. Quattro uomini lo tengono fermo, per quanto Ronald cerchi di dibattersi. Poi il nero che sembra comandare agli altri, gli spinge il cazzo in culo, forzando l’apertura.

Ronald grida e insulta quel bastardo. Un calcio in faccia lo mette a tacere.

Lo prendono tutti, qualcuno due volte. E poi lo lasciano disteso a terra, lo sborro che gli cola dal culo misto a sangue.

- Domani mattina facciamo il bis.

I neri ridono, soddisfatti. Ronald non può fare nulla per impedire loro di prendersi quello che vogliono. Pensa che d’ora in poi sarà sempre così: finché non lo giustizieranno, perché di sicuro verrà condannato a morte, questi negri bastardi lo inculeranno per umiliarlo.

L’idea gli viene, improvvisa. È l’unica strada da percorrere. Non si ferma a riflettere. Dice:

- Figli di puttana, vi farò ammazzare come ne ho fatti ammazzare altri. Sono Ronald Longfellow e so come farvela pagare.

I neri lo circondano. Uno di loro gli solleva la testa.

- Ronald Longfellow… Hai fatto bene a dirci chi eri. Così ti possiamo dare quello che ti meriti.

 

Ora che sono seduti nel salotto di Ben, Chris appare incerto.

- Ben, so di essermi comportato in modo indegno. Posso dirti che le due volte che ti ho colpito, ho agito d’impulso e che non me lo perdonerò mai.

- Non ha importanza, Chris. Ho bisogno di sapere perché mi odiavi.

Chris scuote la testa, quasi sorridendo, poi fissa in volto Ben.

- Quando Fortin ti ha invitato a cena, ho subito capito a che cosa mirava. E ho pensato che ci saresti stato, perché avevo intuito che ti piacciono gli uomini. Non me l’hai mai detto chiaramente, ma non ti sei neppure nascosto.

- Va bene. E allora?

- Non lo sospetti, Ben?

- No, non sono riuscito a darmi una spiegazione.

Chris respira a fondo.

- Ben, non sopportavo l’idea che tu scopassi con Fortin, che lo prendessi.

Ben si gratta una guancia.

- Ti dà fastidio l’idea che un bianco lo metta in culo a un nero? E che quel bianco fossi io, questo vuoi dire? Che dopo quello che avevo fatto…

- Merda, Ben, non capisci proprio un cazzo!

Ben guarda Chris. Davvero non capisce.

- Ben, mi piaci un casino. Non è solo attrazione fisica, è di più, accidenti a te, molto di più. Ero geloso. Tanto coglione da essere geloso.

Ben è rimasto senza parole.

- Cazzo, Chris, non mi hai mai fatto capire di desiderarmi… Quando mi spogliavo, evitavi sempre di esserci.

- Già, mi sarebbe diventato duro in dieci secondi… Ben, non potevo accettare l’idea che Fortin potesse scopare con te… Gelosia… Idiota, da parte mia, lo so, dillo pure. Non ho nessun diritto. Ma… ormai l’hai capito.

Ben sorride. Il cuore gli batte forte.

- Credo di sì. Anche se siamo più bravi a giocare a rugby che a dirci che cosa proviamo, Chris. Perché anch’io…

Chris chiude un attimo gli occhi. Li riapre, sogghigna. Ben si alza. Chris lo imita. Si avvicinano. Si guardano, si sorridono.

E poi Ben prende tra le braccia Chris e lo bacia sulla bocca. È la prima volta che bacia un nero. È la prima volta che ama davvero.

Si stringono, si baciano. Ben incomincia a sbottonare la camicia di Chris, mentre le sue labbra avvolgono il labbro inferiore di Chris e poi la sua lingua, che è uscita a incontrare la bocca di Ben.

Chris sfila la maglia di Ben. Guarda le sue grandi mani scure sulla pelle chiara di Ben, accarezza la leggera peluria rossiccia. Ben incomincia a spogliare Chris, ma quando gli cala i pantaloni, esita. Il gonfiore nelle mutande è inquietante. Di colpo Ben prova vergogna. Chris però ha superato l’imbarazzo e si cala le mutande con un gesto deciso, sorridendo.

Ben guarda il cazzo di Chris, magnificamente teso, e deglutisce: gli pare minaccioso, per lunghezza e soprattutto per volume.

Quasi intimidito, Ben allunga la mano e accarezza con delicatezza l’asta, con l’indice e il medio, poi, prendendo coraggio, avvolge i coglioni tra le sue grandi dita. Chris lo bacia ancora, mentre le sue mani finiscono di togliere gli indumenti di Ben.

Le mani di Chris stringono il culo di Ben, forte, poi si poggiano sulle sue spalle e lo guidano a inginocchiarsi davanti a lui. Ben ha ora davanti agli occhi il grande cazzo nero di Chris e lo guarda, turbato. Si chiede se dovrà accoglierlo in culo. Lo desidera, ma ha paura.

Ben apre la bocca e avvolge la cappella. Passa la lingua con cura intorno alla carne, cerca di inghiottire quanto più può del cazzo, ma è troppo voluminoso. Succhia un po’, incerto, poi acquista sicurezza e procede più deciso, mentre le sue mani stringono le natiche di Chris, passano dietro, la punta dell’indice scivola lungo il solco, indugia sull’apertura.

Chris gli accarezza la testa, poi dice:

- Mettiti in posizione, Ben.

Ben si alza, guarda sgomento il cazzo di Chris, poi appoggia le braccia al tavolino e divarica le gambe.

Chris si inginocchia dietro di lui e gli passa la lingua sul solco. Ben geme. Chris ripete l’operazione, più volte. Spinge la lingua contro l’apertura. Ben cerca di non opporre resistenza, ma è teso.

Chris passa ancora la lingua, morde più volte il culo di Ben, poi si alza e Ben sente il cazzo dell’amico premere.

Il cazzo avanza e Ben si morde il labbro. Fa male, fa maledettamente male. È la prima volta per Ben e l’attrezzatura di Chris è davvero eccessiva. Ben è abituato al dolore, come atleta non ha paura della sofferenza, ma adesso è troppo.

Chris capisce.

- Ti fa tanto male?

Ben annuisce. Il dolore è davvero troppo forte.

Chris si ritrae.

- Scusa, Chris. Ma… sei dotato come un elefante…

Ben ridacchia, poi aggiunge, imbarazzato:

- … ed è la prima volta che me lo piglio in culo.

- Cazzo, Ben… davvero?

Ben annuisce.

- Devi lasciarmi il tempo di abituarmi. Il tuo cazzo non è precisamente uno stuzzicadenti.

Chris accarezza il capo a Ben lo stringe a sé. L’idea di essere il primo a possedere Ben gli dà una sensazione fortissima. Ma non vuole fargli male. Non a Ben. Non all’uomo che ama.

- Non è necessario che ti prenda, Ben.

Ben sorride, mentre si tira su, con una smorfia di dolore.

- Lo voglio anch’io. Non rinunciamoci. Devo avere del burro in casa.

Ben va a prendere un pacchetto di burro dal frigorifero, ne taglia un pezzetto e lo mette su un piattino che porta in salotto. Chris ride, mentre lo bacia.

- Un bel maialino al burro…

Chris passa il dito sul burro e incomincia a ungere l’apertura. Lo fa più volte, fino a che sente che il dito entra senza nessuno sforzo. Allora unge anche la cappella.

- Ma se ti fa troppo male, me lo dici.

Ben annuisce. Questa volta il dolore è molto meno forte e Ben avverte invece il piacere: questo palo di carne che lo trafigge e lo riempie, dilatandogli le viscere, gli trasmette brividi, gli strappa gemiti.

- Sì, Chris, cazzo, sì!

Chris sorride, felice. Pensa che sta possedendo Ben, che Ben era vergine, che lui è il primo. Le sue mani percorrono il corpo di Ben, strizzano i capezzoli, stringono il petto, scompigliano i capelli, si infilano nella bocca di Ben, che morde.

E poi Chris sente che il piacere è sempre più vicino, gli sembra di aprire le ultime porte che lo separano dalla meta, di squarciare gli ultimi veli e infine grida, mentre il suo seme si scaglia nelle viscere di Ben, in una lunga serie di spinte violente.

Accarezza Ben, lo bacia. Finalmente riesce a dirgli:

- Amore mio.

Ben ha male al culo, un male forte, eppure si sente bene, tra le braccia di Chris.

Chris lo accarezza, a lungo. Gli stuzzica il cazzo, che si inturgidisce. Poi gli sussurra:

- Adesso tocca a te, Ben.

Lo bacia ancora una volta e poi si mette a quattro zampe, le braccia conserte appoggiate sul tavolino.

Ben morde il culo che gli si offre. Anche lui passa la lingua, prima incerto, poi ci prende gusto e ripete l’operazione più volte. Infine prende il burro. Anche lui è piuttosto ben dotato, anche se non certo come Chris, e non vuole fargli male.

Unge un dito e lo immerge, per tre volte. La carne cede.

- Non ti preoccupare, Ben. Non è la prima volta e in ogni caso, se mi fai male, mi sembrerà di pareggiare i conti.

Ben scuote la testa. Avvicina la cappella all’apertura e spinge in avanti, lentamente. La sensazione del suo cazzo che affonda nella carne di Chris è splendida. Guarda il bel culo scuro e il suo cazzo chiaro che lentamente affonda. Quasi gli leggesse nel pensiero, Chris gli dice:

- Ben, è la prima volta che un bianco me lo mette in culo. Avevo sempre pensato che non l’avrei permesso a nessuno di quei fottuti bianchi.

Ben ride.

- E invece un bianco, che hai appena fottuto, lo fa…

Ben arriva in fondo. Accarezza il corpo di Chris e poi prende a spingere, con vigore. Il desiderio imprime alla sua cavalcata un ritmo intenso, più di quello che Ben vorrebbe. Chris geme, di piacere, e Ben accelera ancora il ritmo, finché non viene in un parossismo di piacere.

Si stendono sul divano, Ben sotto e Chris su di lui. A tutti e due il culo fa male, non poco. Eppure non si sono mai sentiti così bene.

 

2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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