Giampiero

 

 

In estate trascorrevo almeno un mese a B***, il paese di montagna dove era nato mio nonno. Anche se lui si era trasferito a Torino a vent’anni, non aveva mai venduto la casa di B*** e io vi passavo parte delle vacanze estive, insieme ai miei nonni e a mio zio Giovanni, che era professore in una scuola media. In montagna godevo di una grande libertà e mi divertivo moltissimo con i miei coetanei.

C’erano diversi ragazzi e ragazze, in parte villeggianti e in parte residenti. Ci dividevamo in gruppi in base all’età e alle simpatie, ma non era una divisione rigida: non era raro che bambini e ragazzini si unissero a un gruppo di ragazzi più grandi per una breve escursione o per qualche gioco; c’erano ragazzi che avevano ricevuto dai genitori l’incarico di sorvegliare un fratellino o una sorellina e perciò se li portavano dietro; c’era chi si trovava più a suo agio con altri più giovani o invece con qualche anno in più. La compagnia era spesso mista, ma c’erano anche momenti in cui eravamo solo noi maschi, magari perché andavamo a bagnarci e le ragazze preferivano fare altro.

Io ero molto alto per la mia età e a quattordici anni stavo abitualmente con un gruppo di ragazzi tra i quindici e i diciassette. In loro compagnia mi sentivo più grande e questo mi faceva piacere. C’erano anche momenti in cui ero un po’ a disagio, soprattutto quando eravamo solo maschi e gli altri parlavano di sesso, ma non lo lasciavo trapelare. In quelle occasioni mi adeguavo al loro linguaggio sboccato, ma partecipavo poco.

Chiacchieravamo, qualche volta litigavamo, giocavamo con la palla, facevamo passeggiate nei boschi, raccoglievamo frutti di bosco, scendevamo a bagnarci al fiume, che in realtà era poco più di un grosso torrente. Mi trovavo bene con tutti, a parte Ennio, che aveva diciassette anni ed era molto aggressivo: era l’unico che alzava le mani e vedevo che anche gli altri tendevano a evitarlo. Lo giudicavo insopportabile, ma adesso mi rendo conto che doveva avere qualche problema. Per fortuna c’erano Andrea, che aveva sedici anni, ma era alto e forte, e Giovanni, anche lui piuttosto ben piantato, che in qualche modo riuscivano a tenerlo a bada. Se Ennio attaccava lite, loro due si mettevano di mezzo.

Nel gruppo con cui trascorrevo più tempo c’era anche Gianpiero, il figlio dei proprietari dell’unico negozio del paese. Lui aveva sedici anni ed era alto come me, ma di corporatura più robusta. Era l’unico ad avere già un po’ di barba e peli sul petto, che lo facevano sembrare più vecchio della sua età. Mi trovavo bene con lui, ma non passavamo molto tempo insieme: luglio e agosto erano i mesi in cui c’erano più villeggianti e il negozio era preso d’assalto, tanto più che l’unica rivendita del paese vicino aveva chiuso. Gianpiero aiutava i genitori e si univa a noi solo quando il negozio era chiuso: la domenica, il mercoledì (solo il pomeriggio ad agosto e tutto il giorno a luglio) e la sera, oltre a qualche momento subito dopo pranzo. Talvolta però doveva rimanere a dare una mano ai suoi anche nell’orario in cui il negozio era chiuso.

Un mercoledì pomeriggio i nostri amici andarono tutti al paese vicino, dove c’era la festa del patrono, San Rocco. Io passai a prendere Gianpiero, ma scoprii che doveva aiutare i genitori, per sistemare alcune merci che erano arrivate in mattinata. Dissi agli amici che li avremmo raggiunti, se Gianpiero non avesse finito tardi. Avrei potuto unirmi a loro e Gianpiero poteva arrivare dopo per conto suo, ma mi spiaceva lasciarlo da solo e tutto sommato la festa di San Rocco non mi interessava molto. C’ero stato due anni prima e non mi ero divertito. Il prete che la dirigeva mi sembrava un ufficiale dell’esercito: considerava tutti come suoi sottoposti e dava ordini. Quella volta, a dodici anni, non mi sentivo di disobbedirgli e avevo finito per passare metà del tempo al banchetto che vendeva i fazzoletti e gli asciugamani ricamati da due parrocchiane.

Gianpiero finì verso le quattro e mi ringraziò per averlo aspettato. Dato che ormai era tardi per andare alla festa, mi propose di scendere al fiume a bagnarci. Mi sembrò un’ottima idea: la giornata era calda e un bel bagno rinfrescante era quello che ci voleva. In dieci minuti si raggiungeva un tratto dove il corso d’acqua si divideva in due rami: lì l’acqua era abbastanza profonda per immergersi e la corrente non era forte, per cui era il posto ideale per un bagno. In alcuni tratti del fiume l’acqua arrivava appena al ginocchio e in altri la corrente era troppo impetuosa. 

- Passo a prendere il costume.

Spesso ci immergevamo solo fino a metà coscia, tenendoci i pantaloni corti, ma a volte ci immergevamo e allora usavamo il costume.

Gianpiero rise e rispose:

- Non è necessario. Ti porto in un posto dove non ci vede nessuno. Possiamo starcene nudi, con il cazzo in vista.

L’idea di bagnarmi nudo con Gianpiero un po’ mi imbarazzava e un po’ mi stuzzicava. Risi anch’io e non dissi nulla. Ci incamminammo, scendendo lungo il solito sentiero, ma quando fummo quasi arrivati al fiume, Gianpiero prese una traccia appena visibile.

- Di qui. Ti porto nel mio posto segreto, ma tu non lo raccontare agli altri.

La traccia si perdeva completamente, coperta da cespugli e arbusti, ma Gianpiero sapeva dove andare.

- Qui ci togliamo le scarpe: dobbiamo proseguire in acqua.

Come al solito avevamo i pantaloni corti e, una volta tolte le scarpe, potemmo percorrere un tratto del fiume fino a un punto dove ci infilammo nuovamente tra gli arbusti. Era un’area in cui l’acqua si divideva in diversi rami, formando alcune isolette.

Arrivammo infine a un punto dove un ramo del torrente formava una pozza d’acqua tranquilla e abbastanza profonda, riparata tutt’intorno da alberi e alcune grandi rocce.

Gianpiero si spogliò velocemente, gettando gli indumenti a terra, e io lo imitai, più lentamente. Osservavo il suo corpo forte emergere e la vista mi turbava. Gianpiero rimase nudo e vidi che ce l’aveva grosso. Anche questo mi turbò.

Si mise a pisciare contro un albero. Io potevo vederlo di profilo e lo fissavo, incapace di muovermi. Avevo ancora la maglietta e le mutande.

Gianpiero voltò la testa verso di me e disse:

- Muoviti, Ferdi.

Annuii. Mi calai anche le mutande e mi tolsi la maglietta, posandole su una roccia perché non si macchiassero: mia nonna si sarebbe lamentata e sabato, quando i miei genitori sarebbero venuti a trovarci, mi sarebbe toccato il solito rimprovero. Il nonno e lo zio mi lasciavano grande libertà e mia nonna si limitava a scuotere la testa borbottando, ma quando arrivava mia madre aveva sempre qualche lamentela da fare e io mi dovevo sorbire i rimbrotti dei miei genitori. 

Gianpiero aveva finito di pisciare. Mi guardò in faccia, poi il suo sguardo scorse sul mio corpo. Sorrise e disse:

- Dai, in acqua!

Gianpiero saltò in acqua da una roccia. Io lo imitai. L’acqua ci arrivava al petto ed era piuttosto fredda. Non c’era molto spazio per nuotare, ma sguazzammo un po’, spruzzandoci a vicenda, poi uscimmo e ci stendemmo al sole su una grande roccia piatta, per asciugarci. Era piacevole sentire il tepore dei raggi sulla nostra pelle.

Io e Gianpiero eravamo molto vicini: la roccia  su cui ci eravamo messi era l’unica comoda, ma non era molto grande. Le nostre braccia si toccavano. La vicinanza del corpo del mio amico mi turbava. Eravamo tutti e due nudi, come non era mai successo prima di allora. Parlavamo della scuola: Gianpiero frequentava l’istituto per periti commerciali. Poi passammo a discutere di ragazze. Con lui si poteva parlare di tutto. A un certo punto chiese:

- Hai mai avuto rapporti, Ferdi?

- Rapporti… intendi…

Avevo capito benissimo, ma la domanda mi aveva spiazzato.

- Rapporti sessuali. Scopare, chiavare, fottere. Quella roba lì. Sai di che cosa sto parlando, vero?

L’ironia era bonaria: Gianpiero non mirava mai a ferire e preferiva ridere con gli altri, piuttosto che degli altri. Replicai anch’io ironico:

- Sì, ho sentito parlare di… quella roba lì.

- Mai provato neanche tu, vero?

Il “neanche tu” mi tolse ogni remora. Non dovevo vergognarmi di non aver combinato assolutamente nulla.

- No, Kim Basinger è arrivata in ritardo all’appuntamento che le avevo dato e dopo dieci minuti me ne sono andato. Sai che non sopporto i ritardatari.

9 settimane e 1/2 era stato il grande successo di quell’inverno. Non avevo potuto vederlo, perché era vietato ai minori di 14 anni ed era uscito a febbraio: io avevo compiuto gli anni solo a maggio, quando il film non era più in programmazione. Ma le foto di lei erano su tutti i giornali.

Gianpiero rise.

- Poveretta. Ci sarà rimasta malissimo scoprendo che non l’avevi aspettata.

- Peggio per lei. La prossima volta arriva puntuale.

- Avresti dovuto darle una seconda possibilità.

Tenevo gli occhi chiusi e ogni tanto li aprivo. Allora guardavo Gianpiero. Mi accorsi che il cazzo gli si stava ingrossando. La scoperta mi turbò alquanto. E mi resi conto che anche il mio cazzo stava alzando la testa.

- È proprio una figa pazzesca.

- Sì, è vero.

Gianpiero si guardò il cazzo, ormai mezzo duro, poi guardò il mio, che era nelle stesse condizioni, voltò la testa dalla mia parte, mi sorrise e chiese:

- Che ne dici, ci facciamo una sega?

La proposta mi spiazzò: non me l’aspettavo.  Nel nostro gruppo si parlava molto di sesso, ma non ci eravamo mai fatti una sega insieme. L’idea comunque non mi dispiaceva, anche se mi metteva in imbarazzo. Avevo voglia di vedere Gianpiero con il cazzo duro, per cui risposi:

- Perché no?

Gianpiero sorrise e allungò la mano, afferrandomi il cazzo. La manovra mi prese del tutto di sorpresa: avevo pensato che ognuno avrebbe provveduto a farsi una sega per conto proprio.

- Cosa c’è, Ferdi?

- No… è che… è scomodo così.

Non era quello il problema, ma la scusa era buona.

- Hai ragione. Sediamoci lì, uno di fronte all’altro. Viene meglio.

Gianpiero si spostò e io lo seguii. Gli guardai il culo e, nonostante l’imbarazzo, la mia eccitazione crebbe ancora.

Ci sedemmo su due rocce vicine. Lui mi afferrò di nuovo il cazzo e incominciò a muovere la mano dall’alto in basso e viceversa. Mi sfuggì un gemito. Tesi la mano e gli presi il cazzo. Era grosso, più del mio, caldo, duro. Era bellissimo stringerlo.

Le sensazioni che mi trasmetteva la sua mano erano fortissime, ma quelle che provavo avvolgendo con le dita il suo cazzo non erano meno forti. Ansimavo e gemevo, tanto che a un certo punto Gianpiero disse:

- Più piano.

Io rallentai il movimento della mano. Lui rise e disse:

- No, più piano con la voce. Non vorrei che qualcuno ci sentisse.

Annuii, incapace di rispondere. In realtà il rumore del fiume copriva le voci, ma io ormai fluttuavo in un mondo in cui esistevano soltanto le nostre mani e i nostri cazzi. Infine venni e poco dopo venne anche lui.

Chiusi gli occhi. Era stata la migliore sega della mia vita.

Ci stendemmo nuovamente, ma Gianpiero posò una mano sul mio cazzo e la tenne lì. Io feci lo stesso con lui. Stavo bene così, in silenzio.

Forse dormimmo, forse fu solo un dormiveglia. Riemersi lentamente. Lo guardai e gli sorrisi.

Lui disse:

- È stato bello.

- Sì, molto. Facciamolo ancora… Cazzo! Dobbiamo aspettare fino a domenica… e…

La domenica avremmo dovuto inventare qualche scusa per non stare con gli amici e magari ci avrebbero visti scendere al fiume.

- No, possiamo farlo venerdì, subito dopo pranzo, se ti va bene. Poi tu raggiungi gli altri e io vado in negozio.

- Ottima idea.

Non avevamo un’ora fissa per ritrovarci: arrivavamo alla spicciolata, a meno che non avessimo un programma preciso, per cui ci davamo un orario.

Gianpiero aggiunse:

- Qualcuno può vederci scendere al fiume. È meglio che non inventiamo storie, se qualcuno ci chiede che cosa abbiamo fatto: siamo scesi a bagnarci al fiume.

 

Il venerdì ripetemmo l’esperienza e non fu meno bella. Rimanemmo distesi un momento, poi Giancarlo si alzò. Mi guardò e disse, sorridendo:

- Che ne diresti, la prossima volta potresti succhiarmelo, no?

Non mi era mai passato per la testa di succhiare il cazzo a un uomo e l’idea mi turbò parecchio.

Mi scappò un:

- Ma fa schifo!

Gianpiero finse di essere offeso, si guardò il cazzo e disse:

- Non sarà una meraviglia, ma dire che fa proprio schifo… sei poco gentile.

La battuta e la sua espressione mi fecero ridere.

- No, non il tuo cazzo, ma l’idea di prenderlo in bocca…

- Non hai mai provato, vero?

- No.

 Poi aggiunsi:

- E tu?

- Neppure io, ma sono convinto che il tuo cazzo deve avere un buon gusto.

E mentre diceva queste parole incominciò a rivestirsi. Io lo imitai. Gianpiero non disse più nulla sull’argomento, fino al momento in cui ci lasciammo. Allora aggiunse:

- Ferdi, facciamo solo quello che ti senti di fare.

Io sorrisi e annuii. Ero piuttosto turbato e in serata ripensai alla faccenda. L’idea di succhiarglielo mi ripugnava e nello stesso tempo mi attirava. E mi rendevo conto che man mano che ci pensavo, disgusto e desiderio sembravano crescere. Avevo voglia di farlo, ma mi faceva senso. La bilancia però non era in equilibrio, perché c’era un altro elemento che pesava e non poco: le parole di Gianpiero sembravano indicare che sarebbe stato reciproco. E l’idea che Gianpiero me lo succhiasse non mi faceva schifo, per niente.

La domenica ci vedemmo con gli altri. Facemmo un’escursione alla borgata di Bedies, due ore di cammino. Sapevamo che non ci sarebbe stata un’occasione di rimanere soli e notai che Gianpiero non cercava la mia compagnia. Parlava con me, come parlava con gli altri. Ma mentre scendevamo, in un momento in cui nessuno degli altri poteva sentirci, disse:

- Domani alle due ti va bene?

- Sì, certo.

- Ti aspetto sotto la casa di Giacomo.

Era uno dei punti da cui si poteva scendere al fiume.

Per il resto della giornata fui piuttosto distratto. Pensavo a che cosa avremmo fatto il giorno dopo. Glielo avrei succhiato? Me l’avrebbe succhiato? In diversi momenti mi venne duro, mettendomi in imbarazzo, perché temevo che qualcuno potesse accorgersene.

L’indomani arrivammo entrambi puntuali. Scendemmo al fiume e raggiungemmo il posto segreto di Gianpiero. Lì ci spogliammo.

Gianpiero entrò in acqua fino alla cintola e si lavò con cura, poi emerse. Il cazzo non era più a riposo. Io lo imitai, nel lavaggio e nell’erezione.

- Allora, Ferdi, che facciamo? La solita sega o ci dedichiamo alla sperimentazione?

Risi, un po’ nervoso. Mi piaceva l’ironia del mio amico. Dopo un momento di esitazione, mi decisi a rispondere:

- Sperimentiamo.

Non ero così sicuro di volerlo, ma la curiosità fu più forte di tutto.

- Allora facciamo un bel 69!

Avevo sentito parlare del 69, ma me l’ero sempre immaginato con un uomo e una donna.

Gianpiero si stese sulla roccia piatta e io feci per stendermi accanto a lui, come il primo giorno, ma lui mi fermò con un gesto:

- Al contrario, Ferdi. Altrimenti come facciamo a prenderlo in bocca?

Rimasi un momento perplesso, poi capii. Mi stesi in modo da avere il suo cazzo davanti alla faccia e il mio a portata della sua bocca.

Fu lui a prendere l’iniziativa: avvolse la cappella con la bocca, succhiò un momento, poi lasciò il cazzo e lo percorse con la lingua, prima di riprendere a succhiarlo. Le sensazioni che mi trasmetteva la sua bocca erano fortissime e il mio cazzo si tese molto in fretta. Guardai il suo, che si era già ingrossato alquanto. Avvicinai la testa e lo percorsi con la lingua, come lui stava facendo con me. Mi faceva un po’ senso, ma non era spiacevole, per niente. Infine lo presi in bocca e mi misi a succhiare. Non avevo nessuna esperienza, come non l’aveva Gianpiero, ma la buona volontà c’era e mi diedi da fare.

Il piacere che mi procurava la bocca di Gianpiero crebbe fino a che divenne troppo forte e venni. Non feci in tempo ad avvertirlo, non mi passò neanche per la mente. Lui bevve.

Io rimasi immobile, stordito dall’intensità dell’esperienza. Il mio amico non disse nulla per un momento, poi, vedendo che continuavo a non darmi da fare, osservò:

- Dai, tocca a te assaggiare la mia sborra.

Dava in qualche modo per scontato che, poiché lui aveva bevuto la mia, io avrei bevuto la sua, ma a colpirmi fu un altro dettaglio: nel gruppo di ragazzi che frequentavo in città si usava “sborro”, al maschile. Mi venne da chiedergli perché lui usasse la parola al femminile, ma avevo la bocca piena e rimandai la domanda, rimettendomi invece al lavoro.

Gianpiero venne poco dopo. Quando sentii il fiotto, mi ritrassi e solo il primo getto mi finì in bocca, il resto si sparse tra il mio mento, il collo e la roccia.

Dopo un momento Gianpiero si alzò e s’immerse, lavandosi. Io lo imitai e poi ci stendemmo uno a fianco dell’altro, ma questa volta nella stessa direzione. Lui appoggiò di nuovo la mano sul mio cazzo e io feci altrettanto. Mi piaceva il contatto della sua mano, mi piaceva quell’intimità.

- Com’è stato Ferdi?

Non risposi subito. Com’era stato? Non lo sapevo bene neanch’io. Cercai di esprimere le mie sensazioni.

- Farmelo succhiare è stato bellissimo. Molto meglio di una sega…

Non sapevo bene come continuare. Fu lui a completare il mio pensiero:

- Succhiarmelo un po’ ti è piaciuto, un po’ ti ha fatto schifo. Non è così?

- Non proprio. Non è che mi abbia fatto schifo… un po’ senso, sì, ma… non era così male. Non so neanch’io, Gianpiero.

Dopo un momento di silenzio, aggiunsi:

- E per te? Com’è stata per te?

- Mi è piaciuto, molto. Più il farmelo succhiare che il succhiare, ma non mi è dispiaciuto neanche quello.

- No, in fondo neanche a me.

Dopo un momento Gianpiero disse:

- Adesso è ora che io vada. Ricordati: se qualcuno ci ha visto o ha visto solo te, siamo venuti a bagnarci e a fare due chiacchiere. Non negare e non inventare.

- Va bene.

- Prima o poi qualcuno chiederà.

In effetti, quello stesso pomeriggio, Giovanni mi chiese:

- Hai visto Gianpiero?

Io risposi, senza esitare:

- Sì, due ore fa. Siamo andati a bagnarci al fiume.

- Potevi dirmelo. Sarei venuto anch’io.

L’idea che ci fosse qualcun altro certamente non poteva piacermi, ma non lo diedi a vedere.

- Abbiamo combinato nella mattinata, quando sono andato al negozio a prendere il pane.

Non dissi che non era la prima volta. Mi aspettavo ancora domande, ma la conversazione deviò rapidamente: a nessuno interessava se eravamo andati a bagnarci.

 

Cercavamo di trovarci ogni due giorni. Il mercoledì successivo ci limitammo a una sega, ma il venerdì Gianpiero me lo succhiò e poi io gli resi il favore. Mi piacque di più del 69, perché potevo assaporare pienamente quello che stavo facendo o quello che Gianpiero mi faceva, senza che troppe sensazioni costituissero fattori di distrazione. E mi resi conto che era bello, sia quando era lui a succhiarmelo, sia quando glielo succhiavo io.

La domenica ci ritrovammo insieme agli altri, nel pomeriggio. Le ragazze non c’erano, perché erano andate al mercatino che facevano nel paese vicino, così si parlò di sesso: era un argomento che ricorreva nelle conversazioni del gruppo, ma se erano presenti le ragazze, se ne parlava in modo più generico. Quando eravamo solo noi maschi, il discorso diventava più esplicito.

Ennio si vantava delle sue conquiste, di cui tutti noi dubitavamo. Nessuno gli dava retta e a un certo punto, rendendosi conto che non riusciva a fare colpo, disse:

- Io con le ragazze ci scopo. Non sono mica un finocchio, io, come qualcuno qui.

Mi sentii gelare. Guardai Gianpiero, ma lui non ricambiò il mio sguardo. Sembrava del tutto indifferente, per non dire un po’ annoiato.

Fu Andrea a rispondere, secco:

- Che cosa vorresti dire?

Ennio ghignò e rispose:

- So io quello che intendo.

- Hai lanciato il sasso e adesso ritiri la mano? Parla chiaro, se hai il coraggio.

Ennio non era tipo da tirarsi indietro, ma rimase sul vago.

- Ne so io, di cose.

Nuovamente Andrea rispose a muso duro:

- Se hai qualche cosa da dire, dilla. Altrimenti evita di sparare cazzate.

Ennio era a disagio. Incominciavo a sospettare che non sapesse un bel niente e avesse parlato solo per imporsi all’attenzione.

- Se raccontassi tutto quello che so…

A questo punto fu Giovanni, che parlava sempre poco, a sbottare.

- E piantala!

Ennio lo guardò e disse, ghignando:

- Ti dà fastidio, eh?

Giovanni si alzò di scatto e si avvicinò a Ennio. Anche Andrea si mosse: era chiaro che temeva uno scontro. Giovanni era furente:

- Senti, pezzo di merda: se non ti piace questo gruppo, puoi levarti dai coglioni. Non sentiremo la tua mancanza.

Ennio stava per saltargli addosso, ma Andrea si mise in mezzo:

- Adesso basta. Ennio, se in questo gruppo c’è gente che non ti piace, puoi cercarti altri amici. Se vuoi rimanere qui, comportati in un altro modo.

- Sono io che devo cercarmi altri amici?

- Sì, Ennio.

Era stato Gianpiero a parlare e il suo intervento sorprese Ennio. Probabilmente solo in quel momento si rese davvero conto di essere isolato. Ci guardò con odio e disse:

- Mi fate schifo!

Si voltò e si allontanò. Dopo dieci passi si voltò e urlò:

- Siete una banda di finocchi.

Nessuno gli rispose. Si girò e se ne andò.

Paolo, il cui padre era inglese, disse:

- Good riddance.

Io non capii e chiesi:

- Che cosa significa?

- Più o meno: ce ne siamo liberati, evviva!

Giovanni scosse la testa:

- Non sarei così sicuro. Mi sembra troppo bello per essere vero.

Mi stupii che Giovanni fosse così polemico: di solito interveniva pochissimo e non era mai aggressivo, neanche a parole. Mi chiesi se le insinuazioni di Ennio non fossero dirette contro di lui e se fosse questo ad aver provocato la sua reazione. In ogni caso io avevo bisogno di parlare un po’ con Gianpiero, di confrontarmi con lui. La faccenda mi aveva turbato, parecchio.

Mentre tornavamo in paese, feci in modo di dirgli, mentre nessuno ci sentiva:

- Ci vediamo un momento, questa sera? Vorrei parlarti.

- Va bene. Passo da te subito dopo cena.

Noi cenavamo presto e la famiglia di Gianpiero aveva orari simili ai nostri. A volte succedeva che noi due fossimo i primi ad arrivare in piazza dopo cena.

 

Gianpiero passò da me e ci fermammo a parlare in un angolo del giardino. Ci potevano vedere dalla strada e da casa, ma se parlavamo a bassa voce, nessuno poteva sentire quello che ci dicevamo.

Io ero ancora piuttosto turbato per l’episodio del pomeriggio. Ci avevo riflettuto, parecchio, e mi ero posto molte domande: sulle parole di Ennio, ma anche su noi due. Che cosa facevamo? Eravamo anche noi due “finocchi”, come diceva Ennio? Farsi una sega a vicenda non era niente di strano. Ma succhiare il cazzo? Non affrontai direttamente l’argomento con Gianpiero: m’imbarazzava. Parlai invece di quello che era successo.

- Secondo te Ennio aveva in mente qualcuno di preciso quando ha parlato di finocchi?

- No, non credo. Secondo me l’ha sparata tanto così.

- Non può essersi accorto che noi… sì, insomma…

- No, Ferdi. Se avesse saputo qualche cosa, avrebbe fatto un’allusione diretta, quando Andrea gli ha detto di parlare chiaro. Ci avrebbe sputtanati.

Le parole di Gianpiero mi riportavano alla domanda che mi ero posto nel pomeriggio e a cena: eravamo due finocchi? Avrei voluto chiederglielo, ma non me la sentivo.

- Non c’è il rischio che ci scopra, se continuiamo a vederci?

- No, quel posto è sicuro.

Rimanemmo un momento in silenzio, poi chiesi:

- E Giovanni?

- Giovanni che cosa?

- Ha reagito piuttosto bruscamente. Non è da lui.

Gianpiero alzò le spalle e chiese:

- Tu pensi che si sia sentito toccato dalle parole di Ennio?

- Non potrebbe essere?

- Forse. Cambia qualche cosa? Sono cazzi suoi.

- Sì, è vero.

Avrei ancora voluto chiedere, parlare di noi due, ma non sapevo da che parte incominciare. Gianpiero disse:

- Se non c’è altro, andiamo in piazza.

- Insieme? Non è meglio…

- Ferdi, sono passato a prenderti, abbiamo chiacchierato un momento e poi raggiungiamo gli altri. Se qualcuno ci ha visto parlare qui e poi ci vede arrivare separatamente, magari si pone qualche domanda. Se arriviamo insieme, nessuno penserà che abbiamo qualche cosa da nascondere.

Mi resi conto che aveva ragione.

- Va bene. Senti, per domani… non è meglio aspettare che qualche giorno?

Gianpiero mi guardò, poi disse:

- Non abbiamo molto tempo, tu te ne vai alla fine del mese, ma se preferisci così, va bene. Non voglio che tu ti preoccupi.

- Grazie.

Quella sera Ennio non si fece vedere e io sperai che il “Good riddance” di Paolo corrispondesse alla realtà. Il giorno dopo però Ennio si unì di nuovo a noi. Non fece riferimento a quanto era successo il giorno prima ma aveva l’aria di dire: “Provate a mandarmi via!” Noi maschi lo salutammo appena. Alcune delle ragazze scambiarono qualche frase con lui, ma anche a loro Ennio non piaceva. Non c’era una bella atmosfera.

 

Io mi ero già pentito di aver detto a Gianpiero di aspettare che Ennio se ne andasse: avevo voglia di ritrovarmi con lui, di riprendere i nostri giochi, di provare qualche cosa di nuovo. Il martedì accompagnai mia madre al negozio, ma non mi fu possibile parlare con Gianpiero senza che nessuno sentisse. Lo fissavo e lui se ne accorse. Mi fece un cenno d‘intesa. Non sapevo che significato avesse: mi stava dicendo che aveva capito e che ci saremmo incontrati dopo pranzo? O invece era solo un piccolo segno di complicità?

A ogni buon conto mi ritrovai sotto la casa di Giacomo, dove ci eravamo dati appuntamento le altre volte, alle due. Gianpiero arrivò poco dopo. Non commentò, limitandosi a dire:

- Andiamo.

Scendemmo al fiume e raggiungemmo il solito posto.

Usammo la bocca, prima io su Gianpiero e poi lui su di me e alla fine ci stendemmo al sole.

E allora la domanda che da due giorni mi frullava in testa, venne fuori:

- Secondo te, siamo due finocchi?

Gianpiero rise.

- Non lo so e non m’importa. Le cose che facciamo insieme mi piacciono. Scoperei volentieri con Anna, ma non ci starebbe mai. E neanche le altre. Scoperei volentieri anche con alcuni degli altri maschi.

- Noi scopiamo? Voglio dire… succhiarlo è scopare?

Gianpiero scosse la testa.

- Direi di sì. È un problema per te?

- Non saprei. Forse no, credo di no. Ma non pensavo…

- Non pensavi che fosse scopare? Pensi che scopare per due maschi sia solo metterlo o prenderlo in culo? Può darsi, ma davvero, non m’importa. Mi piace succhiartelo e farmelo succhiare. Mi piace quando ci facciamo una sega. Mi piacerebbe anche mettertelo in culo, credo.

Le sue parole mi turbarono molto e Gianpiero se ne accorse. Rise.

- Ferdi, non preoccuparti. Non intendo saltarti addosso.

- No, no… è che…

Non sapevo neanch’io che cosa volevo dire.

- Ti spaventerebbe?

L’idea mi spaventava, ma le parole di Gianpiero avevano destato una certa curiosità in me. Risposi con un generico:

- Non lo so.

- Che ne dici se proviamo?

Guardai Gianpiero. Ero realmente spaventato.

- No, non ora, siamo appena venuti. Non avremmo neanche il tempo per fare le cose bene. Giovedì. Io porto l’occorrente.

Non mi era chiaro che cosa fosse “l’occorrente”. Pensai ai preservativi e mi chiesi come Gianpiero potesse procurarseli. Il negozio vendeva alimentari e altre cose per la casa, non certo preservativi. E poi, a che serviva un preservativo, per noi due che non avevamo mai scopato con altri, non avevamo nessuna malattia e di certo non potevamo rimanere incinti?

Non dissi nulla, frastornato, e Gianpiero prese il mio silenzio per un assenso.

Ci rivestimmo e lasciammo il nostro posto segreto. Ritornammo in paese senza incontrare nessuno. Io andai in cerca degli altri, che si stavano ritrovando come al solito in piazza, Gianpiero andò a casa sua: mancava una mezz’ora all’apertura del negozio.

Sul muretto vicino alla chiesa c’erano già alcuni di noi. Arrivò anche Ennio, che cercava di attaccare bottone con le ragazze e ci guardava con disprezzo. Noi lo ignorammo.

 

Il giovedì ero piuttosto agitato. Avevo pensato a lungo alle parole di Gianpiero. L’idea di prendermelo in culo continuava a spaventarmi, ma c’era anche molta curiosità. Mentre prendevo il sentiero che scendeva verso la casa di Giacomo, scorsi Ennio, seminascosto tra i cespugli. Mi fermai, paralizzato. Lui non mi aveva visto: non guardava nella mia direzione e probabilmente non si aspettava che qualcuno arrivasse da quella parte. Mi chiesi che cosa stesse facendo. Sembrava controllare un altro sentiero, che passava più in basso, tra le ultime case del paese.

Non avevo nessuna voglia di farmi vedere da lui. Tagliai tra gli orti e raggiunsi il sentiero che Ennio stava controllando, ma in un punto che lui non poteva vedere. Di lì sarei potuto arrivare al posto dove mi trovavo con Gianpiero, senza che lui potesse vedermi. Rimasi fermo un momento: la presenza di Ennio mi turbava. E mentre, seminascosto dall’angolo di una casa, pensavo al da farsi, vidi arrivare Giovanni e Roberto, uno degli altri ragazzi del gruppo. Mi videro e rimasero un po’ stupiti.

- Ciao, Ferdi.

- Ciao. Sentite, c’è Ennio che sta spiando questo sentiero, vicino alla casa dei Matteis. Non so che cos’abbia in mente, ma si è nascosto tra i cespugli.

- Ennio? Merda! Grazie per l’avviso.

Giovanni e Roberto si guardarono un momento, poi Giovanni disse:

- Non ho nessuna voglia di incontrare quel rompicoglioni Torniamo indietro.

- Va bene.

Fecero dietrofront e se ne andarono. Io tagliai per i campi, fino alla casa di Giacomo. Gianpiero era già lì. Gli raccontai tutto mentre scendevamo. Gianpiero non disse nulla e alla fine gli posi la domanda che mi frullava in testa:

- Pensi che Giovanni e Roberto scopino? Che Ennio sospetti qualche cosa e voglia sorprenderli?

Gianpiero si fermò, mi guardò e sorrise.

- Non lo so, Ferdi. Potrebbe essere. O magari Ennio si fa solo delle seghe mentali, immaginandosi cose che non sono reali. Ti dirò: non m’interessa, per me possono fare quello che vogliono.

- Va bene. Credo che tu abbia ragione.

La faccenda di Ennio mi aveva distratto da quella che era stata la mia preoccupazione nei due giorni precedenti, ma arrivando al nostro posto, il pensiero ritornò alla proposta di Gianpiero. Speravo che se ne fosse dimenticato, ma le prime parole che disse quando fummo arrivati dimostrarono che non era così:

- Ho portato l’occorrente.

Chiesi, un po’ brusco:

- Che cazzo è l’occorrente?

- In primo luogo il cazzo.

Mi venne da ridere e replicai:

- Credevo che l’avessi sempre con te.

- Non si sa mai, magari uno se lo dimentica a casa.

Scossi la testa, ridendo.

- Scemo!

Gianpiero tirò fuori da una tasca un pacchetto di carta stagnola.

- Un po’ di burro, così entra meglio.

Mi venne di nuovo da ridere.

- Burro? La marmellata no?

- No, la marmellata l’ho mangiata tutta.

Gianpiero si spogliò in fretta ed entrò in acqua. Ci bagnavamo sempre, prima di scopare, lavandoci con cura.

- Muoviti, Ferdi.

Gianpiero dava per scontato che io fossi d’accordo. Non avevo avuto obiezioni quando l’aveva proposto e anche scendendo non gli avevo detto di aver cambiato idea.

Mi spogliai, un po’ incerto, combattuto tra la curiosità di provare e la paura che fosse doloroso. Entrai in acqua fino alla cintola e mi lavai. Poi uscii e guardai Gianpiero, che ce l’aveva già duro.

Ero incerto e stavo per dirgli che non me la sentivo, quando lui disse:

- Andrò piano e se ti faccio troppo male, me lo dici e mi fermo.

Annuii, frastornato.

- Appoggiati su quella roccia, con il culo in alto.

Obbedii. Il sole aveva riscaldato la roccia ed era piacevole sentirla contro il petto.

Gianpiero incominciò a spargere il burro lungo il solco e il passaggio delle sue dita era piacevole, tanto che il cazzo incominciò a drizzarsi. Andò avanti un buon momento, poi incominciò a insistere sul buco, ungendo bene e spingendo anche un dito dentro. Entrò senza sforzo. Era un po’ fastidioso, ma non doloroso. Proseguì ancora un po’, poi sentii il suo peso su di me. Mi morse un orecchio e senza darmi il tempo di rendermene conto, fu dentro di me. Non mi fece davvero male, anche se lo sentivo come qualche cosa di estraneo, leggermente fastidioso. La sensazione era piacevole. Le sue mani mi accarezzavano. Poi mi morsicchiò una spalla e prese a muoversi avanti e indietro. Ora che aveva incominciato a spingere, a tratti era un po’ doloroso, ma era anche bello. Mi piaceva sentirlo dentro di me, mi piaceva il movimento deciso con cui avanzava e poi si ritraeva.

- Ti faccio male, Ferdi?

- Un po’. Ma va bene così.

Proseguì a lungo. Il dolore crebbe e desideravo che finisse, ma le sue mani che mi accarezzavano e mi stuzzicavano il cazzo mi trasmettevano sensazioni piacevoli e quando incominciò a farmi una sega, scordai il dolore. Venne poco prima di me.

Dopo che fui venuto anch’io, rimase su di me, accarezzandomi ancora.

- Com’è stato, Ferdi?

Non sapevo come rispondere. Ero confuso.

- Mi ha fatto un po’ male, ma niente di terribile.

Gianpiero si ritrasse, entrò in acqua per lavarsi. Mentre si puliva, mi disse:

- Muoviti, Ferdi. Per me è ora di andare.

Sarei rimasto volentieri lì al sole, ma avevo capito che Gianpiero aveva ragione: era meglio che tornassimo insieme, perché qualcuno poteva averci visto scendere insieme.

Mi alzai e sentii una fitta. Mi lavai, ci rivestimmo e tornammo al paese. Camminavo piano, perché se facevo un movimento brusco, il culo mi faceva male.

Io raggiunsi il solito luogo d’incontro, dove c’erano già diversi degli altri. Ennio arrivò subito dopo di me e gli altri lo ignorarono completamente, come se non esistesse. Giovanni e Roberto avevano riferito di essere stati avvisati da me e di averlo visto che spiava il sentiero. Tutti avevano deciso di non parlargli più. Ennio se ne rese conto e a un certo punto se ne andò. Nei giorni seguenti non si fece più vedere. Senza di lui stavamo tutti molto meglio.

 

Due giorni dopo Gianpiero e io ci ritrovammo. Lui aveva portato di nuovo il burro. Io dissi:

- Adesso però tocca a me.

- Certo. Ho pensato che desiderassi anche tu provare.

Rise e aggiunse:

- E ho voglia di provare anch’io.

- Non l’hai mai fatto, vero?

- No, te l’ho detto.

Mentre parlavamo ci eravamo spogliati. Gianpiero entrò in acqua e si lavò con cura, poi si stese sulla roccia, divaricando bene le gambe.

Il vederlo così mi paralizzò per un momento, ma il desiderio era forte.

Mi avvicinai. Posai le mani sulle sue natiche.

- Il burro, Ferdi!

Annuii. Presi il burro e ripetei i gesti che lui aveva fatto con me. Mettergli il dito in culo mi diede i brividi.

Poi, con molta lentezza, avvicinai la cappella al buco e la appoggiai. Mi parve che il suo culo fosse caldissimo. Entrai e fu una sensazione intensissima, di certo la più forte che avessi mai provato. Spinsi dentro e quando arrivai fino in fondo, mi appoggiai su di lui, gustando il momento.

Presi a muovermi, avanti e indietro. Avrei voluto far durare a lungo il piacere che provavo, ma l’eccitazione era troppo forte e venni in fretta.

Dopo ci lavammo e rimanemmo stesi sulla roccia, le mani intrecciate.

- Che cosa ti è piaciuto di più, Ferdi?

Non avrei saputo dirlo.

- Mettertelo in culo è stato bellissimo, ma anche quando mi hai preso tu… Non lo so. Mi piace tutto.

- Sì, anche a me. Scopare è proprio bello.

Io ripensai alle parole di Ennio. Forse eravamo due finocchi, come diceva lui, ma non me ne fotteva un cazzo. Stavo bene con Gianpiero e mi piaceva scopare con lui. Altro non volevo.

 

Sono passati quasi quarant’anni da allora. Gianpiero si è sposato e ha tre figli. Gestisce il negozio del paese. Io vivo, da oltre vent’anni, con Marco. Ho continuato ad andare al paese, trascorrendovi ogni anno talvolta solo una settimana, talvolta un periodo più lungo.

E ogni anno, almeno una volta, Gianpiero e io riprendiamo i nostri vecchi giochi.

 

 

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