Faggot Immagini rielaborate da foto di InkedKenny Mi chiamo Faggot,
finocchio. È stato quel bastardo di mio padre a chiamarmi così. Non quando
sono nato, certo, ma il nome che avevo una volta l’ho buttato nel cesso. Da
quando ho tredici anni sono Faggot. Quella volta Abe mi aveva
passato una rivista gay. Io la stavo guardando e
intanto mi accarezzavo il cazzo. Non mi accorsi che mio padre era entrato. Mi
vide la rivista, me la strappò di mano e tirò fuori la cinghia. Incominciò a
frustarmi, mentre io mi cercavo di sottrarmi ai colpi e urlavo. Poi gettò via
la cinghia e mi assestò due pugni, mi prese per i capelli e mi rovesciò sul
letto. Pensai che volesse frustarmi ancora, ma si calò
i pantaloni e mi inculò. Urlai di nuovo. Ricordo ancora il dolore atroce. Era
la prima volta e fu un incubo. Quando venne dentro di
me, mi sputò sulla schiena, poi si rivestì e se ne andò, mentre io piangevo. Da allora mi chiamò
Faggot, sempre, anche quando c’era gente, e mi fotteva tutti i giorni, quando
rientrava dal lavoro o dal bar. Se aveva bevuto troppo e non gli veniva duro,
allora mi menava. Ci andava pesante e, anche se quando mi inculava mi faceva
un male bestiale, preferivo quando mi fotteva: certe volte dopo che mi aveva
menato non ero nemmeno in grado di alzarmi per ore e ore. Me ne andai di casa dieci
anni fa, a sedici anni, ma mi sono tenuto il nome
che quel porco mi ha dato: tutti mi conoscono come Faggot. Me lo sono perfino
fatto tatuare sulla pancia: FAGGOT, con caratteri gotici. È il mio
biglietto da visita. Ho fatto tanti lavori, di qua e di là, ma
non durano mai molto. Un finocchio bastardo come me non lo vogliono.
Adesso lavoro per Jerry, al Black Leather.
Mi esibisco quattro sere la settimana. Entro con gli stivali, i jeans, la
maglietta, il gilet con le borchie, la bandana o il berretto e la pistola. La
pistola è scarica, ma io la carico davanti a tutti, prendendo i proiettili da
una tasca del gilet, uno per uno. Poi faccio ruotare il caricatore e sparo a
una bottiglia, mandandola in frantumi. Così tutti possono vedere che non è
caricata a salve. Poi giro ancora il caricatore e incomincio a giocare con la
pistola. Me la punto alla tempia, succhio la canna, mi accarezzo. E intanto
mi spoglio. Poi, quando sono nudo,
magari solo con il cappello o la fascia con la svastica al braccio, mi stendo
sulla parete inclinata, mi infilo la pistola in culo e gioco con il
grilletto. Poi la tolgo, la rimetto in bocca, la infilo di nuovo nel culo. E
intanto mi faccio una sega. Lo so bene che cosa sperano quei porci che mi
guardano: che io prema il grilletto fino in fondo, magari senza volerlo, per
vedermi crepare con una pallottola in culo. Magari una volta lo faccio. Così
sono soddisfatti. Perché no? Al Black Leather guadagno abbastanza, perché c’è parecchia gente che
viene. Chi ama un certo genere di spettacolo, è disposto a farsi miglia e miglia per arrivare fin qui. Quello con la pistola non è
l’unico spettacolo. C’è anche quello in cui mi stuprano in nove. Prima mi
menano e le botte sono vere, i colpi quei porci che sono in sala li sentono
benissimo. Poi mi spogliano, mi stendono su una cassa e mi fottono. Ho fatto anche qualche
film porno per tirare a campare, di quelli dove mi torturano o mi menano. E
quando ne ho bisogno, do via il culo a pagamento. A volte, quando esco dal Black Leather, vado ai cessi
dell’autogrill, quello di Southgate, il più lercio di tutta l’Inghilterra. Mi
metto ai lavandini, a torso nudo, con la scritta bene in vista. Oppure mi
siedo a terra, vicino ai pisciatoi. Qualche volta mi siedo su uno dei cessi.
Mi abbasso i pantaloni, tiro su la canotta e me la faccio passare dietro la
testa, poi incomincio a farmi una sega. Con la porta aperta. Quelli che entrano a notte
fonda, camionisti o maiali in calore, quelli che vogliono un culo da
spaccare, vedono subito chi sono. Mi scopano contro uno dei pisciatoi,
bagnandomi il cazzo e i pantaloni, oppure dentro uno dei cessi, con l’odore
di merda. Qualcuno mi mette contro la parete e mi incula in piedi. Oppure se
lo fa succhiare. C’è di tutto. Certe volte
mi menano. Pugni e calci. Poi mi fottono. E prima di andarsene mi pisciano
addosso. Ci sono notti in cui faccio fatica a rialzarmi per andarmene, tante
ne ho prese. Non riesco a guidare la moto. Mi lavo la faccia, poi esco e
aspetto che l’aria del mattino mi tolga l’intontimento. Allora guido fino al Black Leather: Jerry mi ha dato una
cameretta con cesso sopra il locale. Mi capita di fare fatica a dirigere la
moto, perché i colpi mi hanno intontito e mi fa male tutto: le braccia, le
gambe, la faccia, il coglioni, il culo. Allora
magari sbando. Una volta sono passati due
poliziotti, lì al cesso dell’autogrill. Per controllare. O per menare i
finocchi. Quelli non li sopporto. Gli ho sputato in faccia. Mi hanno menato.
Ci sono andati duro, quelli. Pensavo che mi mettessero in galera, ma mi hanno
fottuto, uno in culo e l’altro in bocca, in uno dei cessi. Poi mi hanno
lasciato lì che non riuscivo neanche a respirare per il male. Meglio delle
volte in cui mi hanno portato dentro, per una rissa o per qualche motivo del
cazzo. Altre botte, altri cazzi in culo. Sono finito in galera, pure, sei
mesi una volta, otto un’altra. Anche là mi menavano, perché non accetto
ordini da nessuno. Allora mi venivano addosso in tanti e me le suonavano,
finchè non riuscivo più neanche a difendermi. Poi mi inculavano. Jerry dice che le botte me
le cerco. È vero. Non abbasso la cresta, faccio il galletto, come dice lui.
Dice anche che uno di questi giorni mi taglieranno i coglioni e allora farò
il cappone. Può succedere. Di calci ai coglioni ne ho presi tanti. Jerry pensa che mi piaccia
farmi menare o pisciare addosso, ma non è vero. Non mi viene duro. Quando
glielo dico, lui mi chiede perché lo faccio. Gli rispondo di farsi i cazzi
suoi. Non lo so perché lo faccio. Jerry gestisce anche un
giro di incontri di lotta, quella in cui sono permessi tutti i colpi. Un giro
illegale, va da sé. Ci si ritrova in una vecchia
fabbrica in disuso di cui Jerry ha risistemato un’ala oppure in uno stanzone
sotterraneo che non so che cazzo fosse. Mi piace vedere questi che
si menano, dandosi botte da orbi. Prima o poi ci scappa il morto. Secondo me
ce ne sono tanti che vengono qui proprio perché
sperano che uno ci rimanga, come quelli che vengono a vedere il mio numero al
Black Leather. Alcuni sono gli
stessi, gente che Jerry conosce bene. Intorno c’è un giro di scommesse, come
sempre in questi casi. Qualche volta ho
partecipato anch’io. Conosco quasi tutti quelli che vengono a combattere
regolarmente. Ogni sera ci sono da due a quattro incontri. Nel primo,
talvolta sono due, si affrontano lottatori che non si sono ancora fatti un
nome, e magari non se lo faranno mai; talvolta c’è qualcuno che vuole provare
un’esperienza nuova, di solito uno spettatore che ha contattato Jerry e che
Jerry mette contro un lottatore con poca o nessuna esperienza. Su questi
incontri non c’è un giro di scommesse, almeno niente di organizzato: magari
gli amici di uno dei due scommettono tra di loro. Poi c’è un incontro tra due
lottatori già noti e allora i clienti abituali sono in grado di fare
previsioni: qui si punta. Alla fine della serata di solito c’è l’incontro tra
due lottatori forti e allora volano i bigliettoni. Questa sera c’è un tizio
nuovo, ma che ho già visto: viene ogni tanto ad
assistere agli incontri. Dev’essere sui quaranta,
viso largo, capelli corti, barba e baffi neri con qualche filo grigio, un po’
stempiato. Quando si toglie la camicia, mette in mostra un torace muscoloso,
ma non da palestrato, coperto da un pelame anche quello nero e bianco. Devo
dire che fisicamente mi piace. Di solito mi piacciono gli uomini con
quindici-vent’anni più di me. Con uno così ci andrei
gratis. Magari dopo glielo chiedo, se non ha preso tante botte da non stare
più in piedi. Il tizio mena duro e
incassa bene. Paul, quello che combatte contro di lui, si trova presto in
difficoltà, finché riesce a mettere a segno un buon colpo in faccia e l’altro
incomincia a perdere sangue dal naso. Però non si arrende, neanche dopo due
colpi in pancia che lo fanno piegare in due. È un tipo tosto, ma ormai è
fottuto, per me che sono abituato a seguire questi incontri è evidente che
non reggerà ancora a lungo: i colpi devono averlo intontito e non è più in
grado di difendersi in modo efficace. Paul lo incalza e il tipo incassa
ancora. Perde un po’ di sangue anche dal labbro. Un’altra serie di colpi e
vedo che barcolla. Paul lo afferra e gli stringe il collo. Il tizio cerca
ancora di difendersi, ma è costretto a cedere. Un bell’incontro. Il tipo
mi è piaciuto. Peccato che abbia perso. Quando incomincia
l’incontro successivo, il tizio si dirige al cesso. Lo seguo. Lui si lava la
faccia e si guarda le ferite. Mi vede nello specchio
che lo fisso e mi sorride. - Ne ho prese, di botte,
eh!? Io alzo le spalle. Mi
avvicino. Lui si volta verso di me. Ora siamo a una spanna. Lui avvicina la
bocca alla mia e mi bacia. Non me l’aspettavo, i tizi che frequento non
badano ai preliminari, vanno subito al sodo. Lui si stacca, poi mi bacia di
nuovo. E questa volta la sua lingua si infila tra i miei denti e le sue mani
si posano sul mio culo. L’ho appena visto menare –
e andarci giù deciso – e adesso invece è tutto diverso, molto dolce. Non mi
piace, non sopporto le smancerie. O forse mi piace, non lo so. Di nuovo si stacca e mi
sorride. Io scivolo in ginocchio e gli slaccio il bottone dei pantaloni. Lui ride. - Non qui. Andiamo da me. Vorrei farlo qui, dove
magari tra poco, finito il secondo incontro, entra qualcuno e ci insulta
perché io gli succhio il cazzo nel cesso. Alzo lo sguardo. Lui mi accarezza
la testa. Non mi piace questa faccenda. Mi dico che è meglio lasciar perdere. Mi alzo di scatto. - Come non detto. Non ne
facciamo niente. Lui ci rimane male. - Vuoi proprio farlo qui? - Sì. - Va bene, dentro uno dei
cessi, però. E mi spinge, piuttosto
deciso, nell’ultimo cesso. Chiude la porta. Mi sorride e mi bacia ancora. Io
mi inginocchio e gli abbasso la lampo. Gli tiro
fuori il cazzo. È un bel cazzo, che già non è più a riposo. È pulito. A me
piacciono sporchi, ma non mi dispiace questo bel cazzo che al contatto con la
mia lingua si drizza. Prendo in bocca la cappella e incomincio a
succhiarglielo. Lui mi tiene la testa tra le mani, si china su di me, mi passa
le mani sulla schiena. - Alzati. Il tono è deciso. Io
obbedisco. Mi bacia ancora, poi mi volta contro la parete, mi passa le mani
davanti, slaccia la cintura e mi abbassa i pantaloni. Sotto non ho niente.
Lui si ritrae, non so bene che cosa fa, ma poi getta a terra la bustina di un
preservativo. Uno che prende le sue precauzioni. Io me ne fotto.
Probabilmente mi sarò già contagiato. Non me ne fotte un cazzo. Sento il suo cazzo, che
preme contro il buco del culo, mentre lui mi mordicchia un orecchio e poi mi
bacia sul collo. Ritrae il cazzo, passa due dita umide e poi, con lentezza,
mi infilza. Lo sento, caldo e duro, dentro il mio
culo. Mi piace. Mi piace come mi fotte con lentezza, mi piace anche come mi
accarezza il culo, come lo stringe. Mi piace come mi bacia, come mi tiene
stretto tra le sue braccia, fin quasi a farmi male. È un’emozione forte, molto
più di quello che provo di solito. Lui non ha fretta. E adesso le sue mani mi
stuzzicano i coglioni, li maltrattano un po’, mi accarezzano il cazzo. Mi sta
facendo una sega, lentamente, a tratti delicato, a tratti
brutale. Cazzo, che bello! Lui spinge con vigore, ci sa fare, cazzo!
Ci sa fare eccome! E anche le sue mani ci sanno fare. Io sento che il piacere
sale, che sta per traboccare. Le sue spinte diventano più forti, il ritmo più
intenso e le sue mani si muovono con più decisione. Lui grugnisce come un
porco, io emetto un gemito, mentre vengo e il mio sborro ricade sul muro. Lui non si stacca, non
esce. Mi tiene tra le sue braccia. È assurdo, ma sto bene. È stata una bella
scopata. Si scioglie. - Grazie. Questa, poi! Credo che sia
la prima volta che qualcuno mi ringrazia. Mi tiro su i pantaloni.
Sento delle voci. L’incontro dev’essere finito e alcuni vengono a pisciare.
Anche lui si è rivestito. Apro la porta ed esco, mentre tre o quattro maschi
guardano i due finocchi che hanno scopato nel cesso. Di me non si stupiscono,
parecchi mi conoscono, mi hanno visto al Black
Leather. E gli altri mi conoscono di fama. Pensano che il tipo ha fottuto il finocchio. È vero. Mentre rientriamo nella
sala, il tipo sorride e dice: - Mi chiamo Bart. E che me ne fotte?
Comunque gli rispondo: - Mi chiamo Faggot. Non fa una piega. Anche
lui mi conosce di fama, evidentemente. - Andiamo a bere qualche
cosa? O vuoi assistere all’ultimo incontro? Che cazzo vuole ancora da
me, questo qui? Abbiamo scopato, mica ci siamo
sposati in chiesa. Perché dovremmo andare a bere qualche cosa? Scrollo le spalle. - Fa’ quel che cazzo vuoi. Lui sorride. - Quello che vorrei è stare
ancora un po’ con te. - Lascia
perdere. E mentre lo dico gli volto
la schiena e mi allontano. Mi metto tra gli altri, per assistere all’ultimo
incontro. Il culo mi fa un po’ male ed è una bella sensazione. Bart scopa
bene. Ma non mi piacciono i tipi che si appiccicano come sanguisughe. Anche lui si è fermato.
Due o tre volte lo controllo con la coda
dell’occhio, ma non guarda dalla mia parte. Il terzo incontro è
l’ultimo della serata ed è tosto. I due sono bravi e menano duro. Stinky Ben
si becca un pugno sul naso, che incomincia a sanguinare copiosamente, ma non
si arrende. Dopo un bel po’ di botte, Stinky assesta un bel calcio nei
coglioni di Brad, che si piega in due. Stinky gli salta addosso, lo spinge a
terra e lo blocca. Alla fine dell’incontro cerco
con gli occhi Bart. Sta parlando con uno che conosco di vista. Il pubblico
incomincia a defluire. Bart esce tra i primi, sempre chiacchierando. Io
aspetto un momento, scambio due parole con Jerry, poi esco anch’io. Bart è fuori, a cavallo di
una moto, parcheggiata proprio di fianco alla mia. Sta salutando il tipo con
cui parlava dentro. Quando salgo sulla mia moto, mi sorride e mi dice. - Bella moto. Anche la sua mi piace. Mi
scappa detto: - La mia è più veloce. Non so perché ho detto
questa stronzata. Lui guarda la mia moto, storce la bocca e risponde: - Non direi. - Vediamo. Vienimi dietro,
se ce la fai. Non so perché l’ho detto,
ma di sicuro non ce la farà. Si cagherà sotto quando pigerò l’acceleratore a
tavoletta. Parto rombando e accelero
in fretta. Lui viene dietro. Supero presto i limiti. Chi se ne fotte dei
limiti? Lui però non molla e in un tratto rettilineo mi affianca. Non riesco
ad andare più forte: la mia non è una moto da ricchi, una moto
di quelle super non me la posso permettere. Neanche la sua lo è, ma è
migliore della mia. Non me ne fotte un cazzo. Lui mi supera. Quando arriviamo in città,
lo supero di nuovo, perché lui rallenta parecchio. Anch’io sono costretto a
farlo: ci sono semafori e incroci. Mi fermo al Black Leather. Lui si ferma accanto a
me. Io apro la porta del cancello che immette nel cortile e spingo dentro la
moto, così almeno non me la fregano. - Posso metterla dentro
anch’io? E che cazzo vuole, adesso?
Perché deve mettere la moto qui? Rispondo brusco: - Fa’ quel che cazzo vuoi. - Si apre da dentro o
serve la chiave? Gentile come sei non vorrei che mi sbattessi fuori senza
poter recuperare la moto. Lo ha detto ridendo e rido anch’io. Si è autoinvitato. Mi piace, ‘sto tipo. - Ma lo sai che sei
proprio stronzo? Comunque da dentro puoi aprire anche senza chiavi. Sistemiamo le moto e io faccio strada. Casa mia non è una reggia.
Una stanza, con un angolo per cucinare, e il cesso. È sporca. Jerry dice che mi piace vivere nel
sudiciume. Non è che mi piaccia, non me ne fotte un cazzo. - Ecco il mio regno. Bart si guarda intorno. - E il salone per le feste
da ballo, dov’è? Rido. Non rido spesso.
Jerry dice che sono perennemente ingrugnito con il
mondo. Ha ragione. Bart aggiunge: - Posso pisciare? Lo guardo e gli rispondo: - Certo, addosso a me. Lui sorride e dice: - Volentieri. Io lo guardo, poi mi
spoglio e mi siedo sul piatto della doccia. Anche lui si spoglia. Ha il cazzo
di nuovo mezzo duro. Si mette tra le mie gambe e mi piscia in faccia. Apro la
bocca e bevo. Mi piace. Quando non riesco più a bere, chiudo la bocca, ma non
inghiotto. Lui mi piscia sul torace e sul ventre, fino al cazzo, che si sta
indurendo. Quando ha finito io mi
alzo, avvicino la faccia alla sua e gli sputo in
faccia il suo piscio. Lui ride, mi abbraccia e mi bacia in bocca. Spinge la
lingua dentro e intanto le sue mani mi stringono, pizzicano, accarezzano.
Dopo che ci siamo baciati, a lungo, lui apre la doccia e prende il sapone. Mi
lava, come potrebbe fare con un bambino, insaponandomi e poi sciacquandomi,
con delicatezza. Rimango disorientato. È strano, questo tizio. Mi passa più volte il
sapone tra le natiche e poi prende un altro preservativo dai pantaloni che ha
lasciato a terra fuori dalla doccia. - Puoi farne a meno. Lui non mi dà ascolto. Se lo mette, poi mi spinge
contro la parete e per la seconda volta nella notte mi fotte in piedi. Ci sa
fare. Ha un bel cazzo, duro, e ha resistenza; va avanti a lungo, senza
stancarsi. Mi piace sentirlo in culo, mi piace
sentire le sue spinte decise, che mi farebbero cadere se non fossi appoggiato
alla parete. E intanto le sue mani percorrono la mia schiena, il mio culo,
salgono e scendono, accarezzano e stringono, pizzicano e solleticano. Mi
bacia sul collo, mi morde. E io sento che il piacere
cresce, si espande e infine esplode, violento, mentre il seme si sparge. Lui
è ancora dentro di me e ora le sue spinte diventano violente. Mi fa male e mi
piace, mi piace un sacco. Poi emette di nuovo una
serie di grugniti forti, proprio come un maiale, e si appoggia su di me,
ansimando. Poi mi cinge con le
braccia, appoggia la sua testa sulla mia spalla e mi dice: - Mi piaci. Anche lui mi piace. Ma
tutte queste smancerie mi danno fastidio. - Posso dormire qui? E perché cazzo vuole
dormire da me? - Guarda che le lenzuola
non le cambio. - Lo so che sei ospitale.
Prometto che me ne vado prima di colazione. - Tanto non te la offro. - Per quello me ne vado
prima. Ridiamo tutti e due. Lui
mi tiene sempre tra le sue braccia. - Intendi rimanere così
tutta la notte? - Più o meno sì. - E piantala. Mi sciolgo, ridendo. Esco
dalla doccia, mi asciugo, piscio e mi stendo nel letto. Lui viene a stendersi
accanto a me e mi mette un braccio intorno alla
vita. Bart è fuori come un balcone. Però stare così non è male. - Buona notte. Ti proporrò
per il premio Gentilezza e ospitalità 2013. Rido. - Buona notte,
rompicoglioni. Il mattino mi alzo sempre
tardi. Sono un po’ rintronato e non capisco subito che cosa c’è di insolito.
Poi mi rendo conto che sono tra le braccia di
qualcuno. È Bart, dietro di me. - L’angioletto si è
svegliato? Mi stiracchio. - Ancora qui? Ma non
dovevi andartene? - Mi spiaceva lasciarti
mentre dormivi. Tanto entro tardi, oggi. - Che cazzo di lavoro fai? - Infermiere. - A svuotare i pappagalli
ai vecchi bavosi? Bart ride. - Di rado. Di solito
lavoro in sala operatoria. Bart mi sta baciando sulla
nuca. Ma questo tipo è tutto smancerie. - Sei sempre così
appiccicoso? - Peggio della melassa. E ride. - Allora vatti ad
appiccicare da qualche altra parte e non rompermi i coglioni. - Va bene, tesoro. Posso
ripassare questa sera? - Ma allora non hai
proprio capito… - O vieni tu da me? - Va a cagare. Mi stacco e lo ignoro. Lui
si alza, si dà una lavata, si veste. Si china su di me. Io mi copro con il
lenzuolo, ma lui mi fa il solletico e mi metto a ridere. Lui ne approfitta
per scoprirmi e baciarmi ancora una volta. Poi se ne va. È fuori di melone,
completo. Sto per incominciare lo
spettacolo al Black Leather.
Sbircio tra le tende il pubblico, come faccio sempre: guardo se c’è qualche
viso noto. Ci sono alcuni clienti abituali e altri tizi. Di solito do
un’occhiata e basta, ma questa sera perlustro con
gli occhi tutta la sala, controllando gli uomini uno per uno. Perché? Che
cosa sto cercando? La risposta mi viene subito: guardo se c’è Bart. Quello lì
è appiccicoso, magari davvero vuole scopare di nuovo questa sera. Non mi
spiacerebbe, perché è bravo a fottere. Ma magari non sa neanche che lavoro
qui. In ogni caso non c’è ed è meglio così. Non riuscirei più a levarmelo di
torno. Finito lo spettacolo,
torno nella mia camera. Non ho voglia di andare in cerca questa sera e non ho
bisogno di battere. La sera dopo c’è un altro
incontro di lotta. Ci vado. Lo vedo appena entro. Bart mi sorride e si
avvicina. - Sono contento che tu sia
venuto. Ho perso il numero del tuo cellulare, così non sapevo come
contattarti. Il numero non gliel’ho dato e lo sappiamo benissimo tutti e due: mi sta
pigliando per il culo. Ma la sua ironia fa sorridere anche me. Scuoto la testa: - Sei proprio un po’ duro
di comprendonio. - Talvolta. Ma ho capito
benissimo che fremi dalla voglia di venire a casa mia e scopare per tutta la
notte. L’idea di passare tutta la
notte a scopare con Bart non mi dispiace. E allora, perché no? Quando avremo
finito, me ne andrò. La casa di Bart è più
grande della mia, ma non è niente di speciale: due stanze, cucina e bagno. La
differenza principale è che è pulita e ordinata. - Dove sono le pattine da
mettere sotto le scarpe per non sporcare? - Non servono. Poi faccio
pulire a te. Con la lingua. Ridiamo tutti e due. Bart
mi fa ridere. Credo che sia l’unico uomo che conosco che mi fa ridere. - Risparmi sui detersivi? - Esatto. Ma intanto mi ha
abbracciato e incomincia a baciarmi. Spinge la lingua tra i denti e mi piace.
Mi stringe con le mani il culo, forte, e anche questo mi piace. Ha delle
manacce grosse e rudi, che si infilano dappertutto, che accarezzano e
stringono, sanno essere leggere, ma a tratti ci vanno giù pesante. Una mi sta
afferrando il cazzo e mi fa sussultare, perché è brutale. Scende ai coglioni
e strizza. Mi viene da emettere un gemito, ma ci stiamo baciando, ho la sua
lingua in bocca, non riesco. Poi la sua mano diventa delicata, sfiora appena
la pelle, scivola dietro, rimanendo nei pantaloni, scorre lungo il solco del
culo, fino ad arrivare al buco, un dito si infila dentro, senza fare
complimenti, da padrone. Poi Bart si stacca e
incomincia a spogliarmi, ma ogni trenta secondi è di
nuovo lì a baciarmi e accarezzarmi. È fuori di testa, decisamente. - Mi piaci un casino, lo
sai, vero? - Piantala di dire
stronzate. Questa faccenda mi rompe i
coglioni. Scopa bene, d’accordo. Scopo volentieri con lui, lo ammetto. Ma lasciamo perdere queste smancerie. Lui ride e dice: - So benissimo che ti
piaccio anch’io, ma sei troppo timido per dirlo. E mi impedisce di
rispondere, baciandomi di nuovo. Intanto siamo ormai nudi
(mi sono dato da fare anch’io) e lui mi spinge sul letto. C’è un po’ di movimento, baci, abbracci, morsi, poi mi trovo
sotto, il suo cazzo a una spanna dalla bocca, mentre lui ha afferrato il mio
e se lo è messo in bocca, come se volesse divorarlo. Lavora con la lingua,
con le labbra, con tutta la bocca. Usa anche la mano, che accarezza, stringe,
spinge un dito nel buco del culo. Io intanto gli ho preso il
cazzo in bocca e ci facciamo questo bel 69. Ha un bel cazzo, ma questo lo
sapevo già. Mi piace succhiarlo e leccarlo. Vorrei continuare a lungo così,
perché sono forti le sensazioni che mi trasmettono il suo cazzo nella mia
bocca, la sua bocca intorno al mio cazzo, le sue
mani. È davvero bello. Sento la tensione che sale
e dai coglioni si riversa fuori. Lui ritrae la bocca, ma lavora ancora con la
mano, mentre lo sborro mi si sparge sul ventre. Io non tolgo la bocca quando
lui viene, con i soliti versi animali, e bevo fino all’ultima goccia, finché
è costretto a dire: - Basta! Si ritrae. - Cazzo, che bello! Mi piaci davvero un casino. E la sua mano mi accarezza
il torace, il ventre, il cazzo, i coglioni. Rimango disteso un buon
momento, perché la sensazione è stata davvero troppo forte. Poi mi alzo e
incomincio a rivestirmi, prima che il desiderio si accenda di nuovo. Non
voglio rimanere qui. Non voglio lasciare troppo spazio a questo tipo. Troppo
appiccicoso. Scopa benissimo, ma voglio tenere le distanze. - Non puoi fermarti qui
questa notte? Abbiamo appena incominciato. - No, vado a casa mia. Steso sul letto Bart mi
guarda. Non insiste. - Questa volta il numero
di cellulare me lo dai, vero? Perché se non me lo dai, col cazzo che ti
lascio uscire di qui. Chiudo a chiave la porta. Sorride mentro lo dice. - Col cazzo che te lo
lascio. No, non intendo
lasciarglielo. Questo non mi molla più. Lui intanto si è alzato e
mi ha afferrato. Cerco di liberarmi, rabbioso. Bart la deve piantare, deve lasciarmi in pace. Ma lui mi stringe e dice: - Facciamo un patto. - Che cazzo vuoi? - Se non ti viene duro nei
prossimi cinque minuti, ti lascio andare via. Se però ti viene duro, ti fermi
qui. - Levati dai coglioni,
stronzo! E lasciami. Ma lui non mi lascia e la
sua mano scende e incomincia a giocherellare con il cazzo, che è una testa di
cazzo, perché diventa duro subito. - Hai un cazzo
intelligente. Mi viene da ridere. La
rabbia mi sta passando. Lascio che Bart mi riporti sul letto e mi spogli di
nuovo. Poi incomincia a percorrere tutto il mio corpo con baci, fermandosi
soprattutto sul cazzo e sui coglioni, ma risalendo poi ai capezzoli, che
succhia avidamente e poi mordicchia, facendomi male. E poi la sua lingua fa
lo stesso percorso delle labbra, la bocca avvolge la cappella, risale. Mi
bacia, più volte. Io vorrei mandarlo a cagare, ma mi piace troppo. Infine mi volta, con
dolcezza. Di nuovo la sua bocca che mi bacia il culo, i denti che mordono,
più volte, la lingua che accarezza, fino al buco del culo. E infine, dopo una pausa
per il solito preservativo del cazzo, sento due dita che mi entrano in culo,
escono, ritornano, si muovono un po’, poi lasciano
la strada al suo cazzo, grosso, duro, caldo, che lentamente affonda dentro di
me. Cazzo! È bello sentirlo su di me,
il calore del suo corpo sul mio. È bello sentirlo dentro di
me, il calore del suo cazzo dentro il mio culo. Mi fotte, mi fotte alla grande, lavorando con lentezza, accelerando a tratti,
martoriandomi il culo. E intanto mi bacia, mi morde, mi lecca, mi succhia. Incomincio a fluttuare, perdo coscienza di dove sono. La stanza scompare. Esiste
solo Bart che mi fotte e il piacere che dal mio culo sale, cresce, divampa.
Mi sembra di non riuscire a reggere più, troppo forte la
tensione dentro di me, invece vado avanti, avanti, sprofondando o volando
sempre più in altro, non lo so, lontano di qui, da questa vita di merda, da
tutto. Adesso il culo mi fa male, ma anche questo è piacere. E infine Bart emette
quella serie inconfondibile di grugniti che accompagnano il momento in cui
viene e mi rendo conto che io sto gridando, perché sono venuto anch’io. Poi, distesi sul letto,
lui ancora su di me, mi dice: - Grazie. Di nuovo! Ancora con
questi ringraziamenti. Ma sono spossato, non riesco a reagire. Lascio che mi
stringa, mi avvolga completamente. E mi abbandono al sonno. Quando mi sveglio il
mattino dopo ho recuperato la lucidità. Sono tra le braccia di Bart, ne sento
il respiro pesante. Questa faccenda non mi va. Non ho capito bene che cosa
sta succedendo. O forse l’ho capito e non mi piace per niente. Devo sganciarmi da Bart.
Mi ha invischiato in una rete da cui fatico a uscire. Anche adesso non vorrei
sciogliermi da questo abbraccio. Che stronzata! Sono fuori di testa. Devo alzarmi, rivestirmi e
andarmene, dicendo a Bart che si levi dai coglioni. Eppure rimango qui, steso
nel letto, tra le sue braccia. Il suo bacio mi dice che
anche lui si è svegliato. Preme contro di me e dice: - Buon mattino, angioletto.
Che ne dici se dopo che ho pisciato riprendiamo il discorso di ieri sera? - Devo andare. Mi libero dalla sua
stretta, anche se mi costa. Non ho nessun impegno. Ma non mi piace questa
storia. Devo andarmene, devo staccare.
Definitivamente. Chiudere. Mi dà il suo numero di
cellulare. Lo butterò via appena esco. Col cazzo che gli telefono. Io non gli
do il mio. La faccenda finisce qui. Appena esco, straccio il
biglietto con il numero di Bart e lo getto per terra. Magari quando esce lo
vede e capisce. In ogni caso io ho chiuso. I miei buoni propositi
durano come tutti i buoni propositi. Bart viene ad
assistere alle lotte clandestine tutte le sere in cui c’è un incontro – prima
non lo faceva, lo so benissimo, lo avrei notato – e ogni volta mi aggancia.
Senza fatica, perché non riesco a dirgli di no. Ho voglia di scopare con lui.
Non vado più ai cessi di Southgate, non vado a battere. Scopo solo più con
Bart e quella sera alla settimana in cui mi violentano sulla scena, ma non ho
neanche più voglia di fare quella scena. Scopiamo a casa sua o da me. Poi lui
mi abbraccia. E io perdo ogni volontà. Il cervello
va in merda. Cazzo, non va, proprio non va. Non può
continuare così. La domenica mi propone di
fare un giro sulla sua moto. Non viaggio mai come passeggero, ma accetto. E
mentre andiamo a fare i turisti della domenica, penso che è
bello stargli attaccato e stringerlo. A un certo punto gli infilo una
mano nei pantaloni. Il cazzo gli diventa duro in fretta. Mi porta al Leeds Castle, mi racconta la storia della fortezza.
Bart sa un casino di cose, gli piace la storia inglese. Ha sempre avuto
questa passione, fin da bambino. Suo padre insegnava storia. Lui ha avuto un
padre normale. Ce l’ha ancora, ogni settimana passa
a trovare i suoi. Io manco so se mio padre è ancora vivo. Spero che sia
crepato. Alla fine della visita
vorrei trascinarlo nei cessi per scopare, ma lui non ci sta. Tornando in
moto, mi appiccico a lui e gli faccio una sega
mentre andiamo. Mi piace. In serata mi dice: - Domenica prossima ti
porto a Canterbury, se ti va. Scopare con Bart, dormire
abbracciato a Bart, viaggiare con lui, fare colazione insieme: sembriamo una
coppia perbene. Non ha senso, non ha nessun senso.
Io non sono perbene. E di nuovo, mentre siamo
abbracciati nel suo letto, mi dico che devo assolutamente chiudere. Devo
riuscire a farlo ora, perché poi sarà troppo tardi. Forse è già troppo tardi.
Io non sono quello che lui
pensa. E allora un buon modo per staccarmi potrebbe essere proprio questo:
fargli vedere chi sono. - Adesso devo andare.
Stasera non vengo, ma se vuoi vedermi mi esibisco al Black Leather. Non sembra stupito del mio
invito, anche se fino a ora non gli ho mai parlato del mio lavoro e non gli
ho mai detto di venire a vedermi: eppure ci frequentiamo da oltre un mese. Ma
Bart sembra non stupirsi di nulla. - A che ora? - Verso le undici. - Molto volentieri. È
sotto casa tua, no? - Sì, la stanza me l’ha
data Jerry, il proprietario del Black
Leather. Lui si alza mentre mi sto
vestendo, mi abbraccia e mi bacia ancora. - E piantala! Faccio fatica ad
andarmene, ogni giorno di più. E questo mi fa paura. Quando guardo attraverso
le tende il pubblico in sala, Bart è in seconda fila. È venuto davvero. Non
gli ho dato un biglietto, non ho detto alla cassa di farlo entrare gratis.
Quindi s’è pure pagato l’ingresso. Mi vedrà e capirà che sono una merda.
Allora si toglierà dai coglioni e mi lascerà in pace. Non sono convinto di
quello che mi dico, per nulla. Ho l’impressione che Bart abbia capito
benissimo che razza di stronzo sono. E questo mi spaventa. In ogni caso
l’idea che lui se ne vada mi fa male. Lo voglio, ma mi fa stare male. Merda! Scorro con gli occhi gli
altri spettatori e con gli occhi mi fermo di nuovo su di lui. Perché mi
sembra diverso da tutti gli altri? Merda! Entro in scena. Faccio il
mio numero, come sempre, evitando di guardare dalla parte di Bart. Quando
però mi infilo la pistola in culo, lo fisso. E mi dico che adesso premerò il
grilletto. Così mi sparerò in culo, degna fine di un finocchio. Bart sembra
teso, non si diverte lui, come quei porci che applaudono e mi gridano di
sparare, fingendo di scherzare. Non mollo con gli occhi Bart, mentre il mio
dito accarezza il grilletto e incomincia a esercitare una pressione maggiore.
Qual è il limite, il punto oltre cui il colpo
partirà? Sto per scoprirlo, ma sarà l’ultima scoperta della mia vita. Bart
aggrotta la fronte, chiaramente in tensione, ed io di colpo allento la
pressione sul grilletto. Finisco il numero male,
senza voglia. Il cazzo mi si è ammosciato. Questa sera ho fatto schifo. Bart mi raggiunge nel
camerino, se così si può chiamare lo stanzino in cui chi si esibisce si
prepara. - Ti è piaciuto il mio
spettacolo? Bart storce la bocca. - No. Non mi aspettavo un
giudizio negativo così diretto. - Perché no? - Perché quando mi hai
guardato ho pensato che volevi spararti davvero. No, non mi è piaciuto. Penso
che potresti spararti anche per errore. No, non mi va. Sono senza parole. Bart mi
ha letto negli occhi. Non mi era mai successo. Mi disorienta. - Non ti piacerebbe vedere
un finocchio che si spara in culo? - No, in nessun caso. E
ancora meno se quell’uno sei tu. Reagisco con rabbia, per
scacciare qualche cosa che sale da dentro e che non voglio ascoltare. - Questo sono io. Sono
così. Quindi adesso puoi toglierti dai coglioni e lasciare in pace il
sottoscritto. - Mi piaci così. Oh merda! Merda! Merda!
Sono fottuto. Bart sorride e mi dice: - Andiamo da me? - La mia stanza non ti va?
Troppo lercia? Bart mi fissa e sorride. - Con te va benissimo
qualunque posto. - Anche i cessi di
Southgate? Non so perché l’ho detto.
O forse lo so. Voglio che veda il peggio. - Non li conosco. Ma vanno
bene anche quelli. - Allora andiamoci. Usciamo. Io prendo dal
cortile la mia moto e ci avviamo. Appena usciamo
dalla città pigio sull’acceleratore. Non mi volto indietro a controllare se
Bart mi segue. Quando parcheggio la moto, Bart è in arrivo. Io entro nei
cessi. Adesso non c’è nessuno. - Vengo spesso qui, Bart,
a notte fonda. Mi siedo a terra e mi faccio una sega. Magari viene qualcuno e
mi piscia addosso. O se lo fa succhiare. O mi incula. Non mi faccio pagare.
Ma quando ho bisogno di soldi, do via il culo. Ecco, adesso ho detto tutto.
Bart si guarda intorno, poi mi dice: - Vuoi che scopiamo qui?
Per me va bene. Oh, cazzo! Entrano due, che ci
guardano. Vanno ai pisciatoi. Uno continua a fissarmi. La faccia è familiare.
Si tira fuori l’uccello, ma non si mette a pisciare subito. Ghigna e mi dice: - Faggot, che ne dici di berti il mio
piscio? Poi me lo succhi, come la volta scorsa. Sì, era questo che volevo.
Così Bart capisce che razza di merda sono e si leva
dai coglioni. Ma Bart risponde: - Mi spiace, amico, ma questa
sera me lo prendo in esclusiva. L’ha detto con un tono
cordiale. Intanto mi mette una mano sulla spalla e mi spinge verso uno dei
cessi. Il tipo dice: - Potete farlo anche qui,
così guardiamo. Bart replica con lo stesso
tono: - Questa sera facciamo pagare
il biglietto, amico. Bart mi fa entrare e
chiude la porta: credo che sia l’unico dei cessi che si può chiudere. Lui
l’ha beccato subito. - Lascia aperto. Mi piace
se ci guardano. - Va bene. Bart riapre la porta. Poi
mi abbraccia da dietro, mi bacia sul collo, mi stringe forte e mi cala i
pantaloni. Si abbassa anche i suoi, armeggia con il
solito preservativo del cazzo, e mi infilza, mentre mi mordicchia un
orecchio. E questa mazza che mi trafigge mi trasmette dolore e piacere, ma
sono le mani di Bart e la bocca di Bart che di nuovo mi trascinano via. I due
si sono messi a guardarci, li vedo voltando un po’ la testa,
ma Bart se ne fotte, mi accarezza, mi bacia, mi passa la lingua sul
collo e dietro l’orecchio. Non nasconde la sua tenerezza, solo perché ci guardano. È pazzo. Bart ci dà dentro con
energia e intanto una mano scende a lavorare il mio cazzo. E
io sto bene, qui, in questo cesso lurido, tra le braccia di Bart che mi fotte
e mi fa una sega. Veniamo tutti e due insieme, di nuovo. E mi sembra di non essere qui, ma
fuori dal mondo. - Adesso che te lo sei
preso in culo, Faggot, ce lo succhi, vero? Non puoi
mandarci a casa a bocca asciutta. Tanto ti piace. Dovrei dire a Bart che per
me va bene, che posso succhiarglielo a questi due porci. Ma non è vero. Non
mi va bene. Non ne ho voglia. Non ne ho mai avuto
voglia. È di nuovo Bart a
rispondere: - Mi spiace, amico, ma ti
ho detto che questa sera ho l’esclusiva. Verrà qualcun altro che può farti il
servizio. So che se fossi da solo,
mi stuprerebbero senza farsi nessun problema, ma
Bart è forte e non è difficile capire che mena duro. Si lamentano, ma non
cercano di fermarci, per cui usciamo senza problemi. - Vieni a dormire da me? Gli piace proprio dormire
insieme. So che piace anche a me. - Va bene. A casa sua ci facciamo una
doccia e poi un bis. Volevo mandarlo via, ma
non ho ottenuto il risultato. E mi rendo conto che non volevo ottenerlo. Quando infine siamo a
letto, mi dice: - Potresti venire a vivere
qui. - Cazzo dici? - Qui in due ci stiamo. Guadagno
abbastanza per vivere in due. Puoi cercarti un altro
lavoro, se ti va, oppure continuare a fare lo spettacolo, se proprio ci
tieni. O farti mantenere… Bart sorride. - Vengo qui
a fare la mogliettina che tiene in ordine la casa? Vedo una scintilla di
ironia nei suoi occhi, mentre dice: - Sì, sono sicuro che sei un esperto di detersivi per pulire il pavimento… - Bart, sei una testa di
cazzo. - Certo, altrimenti non mi
sarei mai messo con te. Mi bacia, di nuovo. - A nanna, ora, perché io
domani incomincio presto. Mi stringe e poco dopo si
addormenta. Io rimango sveglio. Devo
uscire da questa situazione. Devo uscirne. Il mattino dopo Bart si
alza dal letto con molta cautela, tanto che non me ne accorgo neanche. Però
dopo un po’ mi sveglio. Lui ha finito la colazione e sta per uscire, ma ha
preparato per me. - Fermati qui, se hai
voglia. Ti lascio un paio di chiavi. Mi indica le chiavi sul
tavolo. Poi mi bacia e se ne va. Ritorno a letto. Cerco di
capire. C’è un’unica cosa che
posso fare. Incomincio a frugare nei
cassetti e a prendere tutto ciò che c’è di valore. Non che ci sia molto: la
macchina fotografica, un portatile e un po’ di soldi. Poi cerco una busta in
cui mettere il tutto. E quando ho finito, mi siedo sul letto e guardo il mio
bottino. Sto male, male da cani. Qualche volta ho rubato, è vero. Non sono
mai stato un ladro, in galera sono finito per risse e cose del genere. Però
mi è capitato di fregare un portafoglio o un cellulare incustoditi, quando
avevo bisogno di grana. Ma non posso rubare a Bart. Non ce la faccio. Lascio
sul letto la borsa con le cose che ci ho messo dentro, così vedrà che volevo
rubarle. Le chiavi non le prendo. Me ne vado. Giro tutto il
giorno per la città senza fare un cazzo. La sera faccio
il solito spettacolo. E ho voglia di premere davvero il grilletto e spararmi
in culo, ma non voglio dargli la soddisfazione, a questi fottuti stronzi di
merda. Meglio andare su in camera mia, salire su uno sgabello, mettermi una
corda intorno al collo e dare un calcio a questa vita di merda. Perché devo
crepare per quattro finocchi stronzi? Dopo lo spettacolo Jerry
si avvicina: - Che cazzo hai questa
sera? - Perché? - Sembrava volessi sparare
agli spettatori. - Buona idea, peccato non
averci pensato prima. - Faggot, non voglio farmi
i cazzi tuoi… Lo interrompo: - Appunto, non farteli. Potrei salire nella mia
camera, ma non ne ho voglia. Potrei andare all’autogrill di Southgate. Ora
che ho chiuso con Bart, mi posso riprendere la mia vita. Monto in sella alla
moto e parto. Non so perché ci vado. Non
ne ho voglia, lo so benissimo. Non ho voglia di farmi fottere da qualche
camionista o di farmi pestare da un poliziotto bastardo. Non ho voglia di
andare in quei luridi cessi. Non ho voglia. Ma non cambio direzione. Devo
andarci, altrimenti sono fottuto. Mi siederò di fianco ai pisciatoi e mi farò
una sega, in attesa che arrivi qualcuno a spaccarmi il culo e la faccia.
Magari mi infilerà la testa in uno dei cessi mentre mi fotte e poi mi
taglierà la gola. Sì, così va bene. Oppure un poliziotto mi infilerà la canna
della sua pistola in culo e svuoterà il caricatore. Sarebbe il modo giusto,
per un pezzo di merda come me. Che cazzo faccio? Che
cazzo voglio? Non lo so, non lo so. Non voglio
pensare a Bart, non voglio, ma quel figlio di
puttana mi ritorna sempre nella testa. Arrivo ai cessi. Scendo
dalla moto. Entro. Questo posto fa schifo. Il tipo che esce da uno
dei cessi mi vede e ghigna. - Ecco qui Faggot. Avevo
giusto voglia di farmi succhiare il cazzo da un finocchio. - Lasciami in pace, stronzo. - Dai, che ti piace. No, non mi piace, non il
suo. Non ho voglia di succhiare cazzi. Ma devo farlo, altrimenti non ne verrò
mai fuori. Mi ha messo una mano sul
collo e mi trascina verso i pisciatoi. Oppongo resistenza. - Lasciami,
stronzo. Ti ho detto di no. Lui non mi molla e allora
lotto. Lo stronzo si scoccia. Mi molla un pugno in pancia, poi un secondo, un
terzo. Mi piego. Mi spinge a terra. Mi prende a calci. Poi mi piscia addosso
e se ne va. Ci metto un po’ ad
alzarmi. I colpi mi hanno intontito, ma devo andarmene. Se rimango qui, ne
verranno altri. Mi fotteranno. Ed io non voglio. Non voglio che succeda
quello per cui sono venuto fino qui. Esco, barcollando.
Raggiungo la moto. Dovrei aspettare, non sono nelle condizioni di guidare,
non ce la faccio. Ma metto in moto e mi avvio. Parto piano, poi accelero. Faccio fatica a guidare.
Sbando verso sinistra, quasi esco di strada. Sterzo,
mi rimetto in carreggiata, ma poi sbando di nuovo, questa volta verso destra.
Per fortuna dall’altra parte non arriva nessuno. Ritorno nella mia corsia. Dall’altra parte passano
delle auto. Ogni tanto la moto tende a scivolare verso destra. Un’auto mi fa
i fari. Vedo le luci più grandi e distanziate di un camion. Di nuovo mi
accorgo che sto per invadere la corsia opposta. Il camion si avvicina. Sono
oltre la linea di mezzeria. Devo sterzare. Il camionista suona il clacson, mi
fa i fari. Se non sterzo, tra poco ci scontreremo, mi prenderà in pieno. Devo sterzare, ora,
altrimenti gli finirò addosso. Di
colpo mi rendo conto che va bene così, che non ho voglia di evitarlo. È la
soluzione giusta. È l’unica soluzione. Non ce n’è un’altra. Lascio che la moto vada.
Gli sto tagliando la strada. Lui sterza verso destra, spostandosi verso la
mia corsia, e frena. Mi evita per un soffio. Gli grido che è uno stronzo
mentre riprende velocità e si allontana. Mi fermo lungo il bordo
della strada, dalla corsia opposta. Sono tutto sudato e tremo tanto che non
riuscirei a guidare. Arrivo davanti al Black Leather. Bart è lì, accanto al
cancello. Deve avermi cercato a casa. Fermo la moto e lo guardo.
Non dico niente. Adesso mi chiederà perché ho cercato di rubargli le sue
cose. Mi dirà che sono un ladro, che sono un coglione. Ha ragione. Mi faccio
un’armatura di rabbia per rispondergli. Bart chiede: - È così difficile? L’armatura va in pezzi.
Non voglio rispondergli. Se gli dico di sì, sono fottuto. Se gli dico di no,
sono fottuto. Se gli parlo sono fottuto. Devo mandarlo via. - Levati dai coglioni. Che
cazzo vuoi da me? Bart mi guarda, serio. - Vivere con te. Rido. Cerco di ridere.
Quello che viene fuori non ha niente di una risata. Non è convincente. Non ho
nessuna voglia di ridere. Ho voglia di piangere. Ho una grande rabbia dentro. - Vattene, Bart. Perché se
non te ne vai, ti ammazzo di botte. - Se vuoi, puoi farlo. - Merda, Bart. Vattene,
togliti dai coglioni o ti meno davvero. - Ti farà stare meglio? No, non mi farà stare
meglio. Mi farà stare peggio. - Bart… Scendo dalla moto. E lo
colpisco. Un pugno allo stomaco, violento. Lui reagisce prendendomi la faccia
tra le mani e baciandomi. Mi infila la lingua in bocca. Ed io so che sono
fottuto, perché lui è più forte di me. Non fisicamente, forse lo è anche
fisicamente. Ma il problema è che mi batte perché deve lottare solo contro
una parte di me. Io devo combattere contro di lui e contro me stesso, perché
c’è una parte di me che vuole questo abbraccio, questa stretta. E quella
parte lascia che lui mi baci, mi volti, mi cali i pantaloni, poi mi metta
sulla mia moto, il culo alzato, in modo da offrirglielo. Mi fotte così, sopra la
moto, in strada, davanti al cancello del cortile, dove può passare un’auto in
qualunque momento. Magari tra poco saremo illuminati dai fari di una
macchina. Una della polizia. Ci meneranno tutti e due. Ma nessuno passa e Bart
continua a spingere il cazzo fino in fondo nel mio culo e a tirarlo indietro,
mentre le sue mani mi accarezzano la testa, le spalle, la schiena
il culo. Mani voraci, che si impossessano di me. Mani. E poi viene, con quei suoi
grugniti, e vengo anch’io. E mi sembra di non volere
altro dalla vita. Rimane appoggiato su di
me, il suo cazzo nel mio culo. - Ti amo,
Harry. Mi manca il fiato. Non so
come faccia a sapere il mio nome. Solo
ora mi rendo conto che Bart non mi ha mai chiamato Faggot. E che
Faggot sta morendo. Cercherà di ritornare, lo so. È ancora dentro di me. Mi
impedisce di dire a Bart che anch’io lo amo. Ma sta perdendo terreno. Bart è
più forte di lui. Harry. Nessuno mi ha mai
più chiamato così da anni. Chissà che tipo è Harry. 2013 |