Il piacere di uccidere - V Wadistan Il tizio è davvero un
bell’uomo, Herman se lo divora con gli occhi. Dev’essere
sui quaranta-quarantacinque, capelli e barba neri,
occhi scuri, ben piantato, impeccabile nell’abito
scuro. Le parole di Colton richiamano Herman alla realtà: con il responsabile
della sezione antiterrorismo del Wadistan, Herman e
Rod devono collaborare, non scopare. Una cosa non escluderebbe l’altra, non
sarebbe la prima volta che i due agenti conciliano piacere e dovere, ma adesso
è meglio concentrarsi sul lavoro. - Colonnello Saedi, vuole illustrare lei la situazione? Saedi annuisce. - Il governo del nostro
paese, che ha una lunga tradizione di amicizia con il vostro, è minacciato
dall’azione di gruppi di guerriglieri e di terroristi: essi mirano a
rovesciarlo, per assumere il controllo dello stato e delle sue risorse.
Alcuni aspirano a creare una repubblica islamica, sul modello del vicino
Iran, altri vorrebbero l’indipendenza delle regioni abitate da minoranze,
altri ancora si pongono obiettivi diversi, più o meno definiti. La democrazia
nel nostro paese è a rischio, per questo ci siamo rivolti a voi. Herman non sa quali
interessi il governo inglese abbia in Wadistan, ma
di sicuro ne ha, altrimenti il colonnello Saedi non
sarebbe nella sede dei servizi segreti britannici. - A finanziare e in parte
manovrare i diversi gruppi, rifornendoli di armi, è l’organizzazione Mansoor. Si spaccia per un gruppo religioso, ma di fatto è un’organizzazione criminale. Mansoor fa capo a un uomo che si fa chiamare Hami, il protettore. Non conosciamo la sua vera identità,
ma abbiamo raccolto diverse informazioni su di lui. Anche se porta un nome
iraniano, non è detto che non sia wadiri o di
origine uzbeca o kazaka. Pensiamo che abbia accumulato la sua fortuna nel
periodo successivo allo scioglimento dell’URSS, facendo affari sporchi con
altri criminali. Tra l’altro fu sicuramente socio di un uomo che si faceva
chiamare Korzuchin ed era riuscito a impadronirsi
di materiale nucleare russo. Com’è piccolo il mondo! Questo Hami era socio di quel Korzuchin che Herman ha avuto modo di conoscere e spedire
al creatore dopo averlo fottuto (e che ha fottuto anche cadavere, subito dopo
averlo ammazzato: esperienza mai più ripetuta, di cui ha parlato solo a Rod.
Il suo amico gli ha assicurato che il giorno in cui lo farà secco, subito
dopo lo fotterà: su Rod si può sempre contare). Saedi prosegue: - Mansoor
non si limita a fornire armi e denaro: organizza anche attentati. Sappiamo
con sicurezza che è responsabile del massacro di Faladah
e di numerosi altri. Herman ne ha sentito
parlare: tre autobombe esplose davanti a una scuola,
alla fine delle lezioni, un centinaio di morti, moltissimi bambini. Saedi continua: - Il gruppo controlla il
traffico della droga e delle armi nel nostro paese, in Uzbekistan, in
Turkmenistan e in diverse aree del Kazakistan. Dove siano tutti questi “stan”, Herman non sa, ma ha capito che gli toccherà
informarsi. Saedi fa una pausa. Colton
ne approfitta per inserirsi: nel suo ufficio non è abituato al ruolo
dell’ascoltatore. - Mansoor
ha una struttura fortemente accentrata. Eliminando Hami,
il colpo inferto porterebbe a una grave crisi del gruppo e sarebbe possibile
intervenire per eliminarlo del tutto. Herman lancia un’occhiata
a Rod, a cui brillano gli occhi. Si sa, fottere un figlio di puttana per lui
è il massimo. Rod sarebbe felice di fottere (in senso letterale) il qui
presente Saedi e poi di fottere (in senso
metaforico – se è un bell’uomo, anche in tutti e due i sensi) Hami. Colton prosegue: - Abbiamo individuato un
modo per entrare in contatto con il gruppo di Hami.
Non è stato facile, ma ci abbiamo lavorato parecchio e abbiamo avuto un
pizzico di fortuna. Mansoor cerca affiliati in Europa,
che non siano di origine araba o iraniana o comunque
immigrati. Vogliono gente del posto, in grado di muoversi senza
destare sospetti. Progettano azioni importanti. Herman interviene: - E la gente del posto
saremmo io e Rod. - Esatto. Voi verrete reclutati
da un agente di Hami. Vi chiederà di portare in Wadistan un carico di cocaina. In questo modo
dimostrerete di essere affidabili e pronti a correre dei rischi. Interviene Saedi: - Nel nostro paese il
traffico di droga è punito con la morte. Coloro che sono trovati in possesso
di grandi quantità sono processati per direttissima e impiccati. Il rischio
di essere scoperti alla frontiera c’è. In questo caso, dopo il processo
sarete inviati nella prigione di Kara-Bami, dove
vengono eseguite le condanne a morte. È probabile che gli uomini di Hami vi facciano evadere. Ma se questo non avvenisse, due
ore prima dell’esecuzione avviserei io il primo ministro e vi garantisco che
l’esecuzione sarà sospesa. Saedi fa una pausa, poi aggiunge: - Naturalmente, se nel
frattempo fossero riusciti a uccidermi, non potrei proteggervi: sono al primo
posto nella lista degli uomini che vogliono eliminare. Colton interviene: - Se tutto filerà liscio e
potrete consegnare il carico senza problemi o se invece sarete arrestati, ma
poi il gruppo di Hami vi farà evadere, entrerete in
contatto con lui. Conoscere il gruppo e la sua organizzazione è utile, ma la
missione fondamentale è eliminare Hami. Herman si rivolge a Saedi: - Avete una fotografia di questo Hami? - No, non conosciamo il
suo aspetto. Pare che anche tra i membri del Mansoor
quasi nessuno lo abbia visto in viso: si presenta sempre con il viso coperto da un passamontagna o da un cappuccio. Anche
quando deve parlare, di solito delega qualcun altro dei suoi uomini più fidati. - Allora non potremo
vederlo in faccia se lo incontreremo. - No, ma se la persona con
cui parlate ha il viso coperto e sembra avere una posizione di potere, allora
è sicuramente il capo supremo. - Come fa a essere certo
che avremo modo di vederlo? - Mira a organizzare una
rete in Inghilterra e di sicuro vorrà parlare direttamente con voi. Non sarà
la prima persona che incontrerete, ma se avrete svolto il vostro compito, vi
porteranno da lui. Saedi fa una pausa, poi aggiunge: - Quando sarete nella sua
sede, le vostre vite saranno appese a un filo. Sei mesi fa siamo
riusciti a infiltrare un nostro agente nell’organizzazione. Saedi sospira: - Ne trovammo il cadavere
sbranato dai leoni. - Ci sono leoni in Wadistan? Saedi scuote la testa. - Non in libertà. Dicono
che Hami ne tenga in una delle sue residenze. E il
nostro uomo fu dato in pasto ai leoni, vivo. Poi lasciarono quello che
rimaneva in montagna, avvertendoci in modo che potessimo ritrovare i resti e
vedere quello che gli avevano fatto. Saedi aggiunge: - Non era un bello
spettacolo. Su questo Herman non ha
dubbi. - Un’altra cosa che dovete
sapere è questa: il Mansoor controlla diversi
traffici illegali nell’area e tende a allargare la
sua sfera d’azione, ma questo ovviamente non fa piacere ad altre
organizzazioni criminali. Due anni fa uno degli elementi di spicco del Mansoor fu catturato e ucciso dalla mafia russa. Anche in
quel caso il cadavere non costituiva un bello spettacolo… Saedi fa un attimo di pausa, poi conclude: - Parecchi uomini del Mansoor sono stati trucidati e i cadaveri mutilati per
dare un esempio. Quindi se riuscirete a entrare nel Mansoor,
badate a non farvi sorprendere dai russi. La missione sembra
promettere bene: ci sono molte possibilità di finire ammazzati a opera del boia di stato o del Mansoor
o dei russi, in modi più o meno spettacolari. Seguono i dettagli
tecnici, numerosi. Quando hanno concluso, il collonnello Saedi si alza. - Va bene, io torno in
albergo. Anche Rod si alza. - Se non hai altro da
dirci, Colton, accompagniamo il colonnello in
albergo. Magari ci viene in mente qualche cos’altro da chiedergli. Herman vede che Colton rimane un momento perplesso, poi sembra capire e
nei suoi occhi passa un lampo omicida. Fa per aprire bocca, ma il colonnello
lo precede: - Qualcuno del Mansoor potrebbe sorvegliare l’albergo, probabilmente
sanno che sono a Londra. Ho controllato di non essere seguito mentre venivo qui, ma è bene che nessuno vi veda con me. Colton ghigna: evidentemente la risposta lo ha
soddisfatto. Aggiunge: - In ogni caso io devo
parlarvi ancora un momento. Herman si dice che dev’essere una scusa: Colton
non ha nessun motivo per trattenerli, tanto dovranno ancora prendere contatto
con lui prima di partire. Il colonnello Saedi saluta e se ne va. Herman e Rod rimangono. Colton sembra sul punto di esplodere. Tace un momento,
poi dice, rabbioso: - Cazzo, ma avete in testa
solo il cazzo, voi due? Riuscite a pensare solo a scopare? Herman prende nota che è
stato coinvolto anche lui, pur essendo innocente (almeno per quanto riguarda
le parole: con il pensiero ha senza dubbio peccato, con le opere no,
purtroppo). Rod sorride e dice: - Perché sei così nervoso
sull’argomento, Colton? Si direbbe che non scopi
più. Colton sussulta e Herman si dice che Rod ha azzeccato. Colton apre il cassetto, tira fuori un
pacchetto di sigarette, ne estrae una e l’accende, senza offrirne ai due
agenti. Tira due boccate, in silenzio, poi scuote la testa. La rabbia è
sbollita. - Meg aspetta un figlio.
Gravidanza a rischio, per cui sta a letto tutto il
tempo e non può avere rapporti. Herman sa che Colton e Meg hanno già due figli grandicelli, ma si vede
che hanno deciso di farne un terzo. - Congratulazioni, Colton. Per la prossima paternità. - E condoglianze per l’astinenza.
Ma si può rimediare. Colton fissa Rod come se volesse incenerirlo. - Rod, credo che potrei
spaccarti la faccia. Rod si alza e si va a
sedere sulla scrivania, di fianco alla sedia su cui Colton
sta fumando. Gli sorride. - Se non scopi, diventi nervoso.
Fai anche male il tuo lavoro. - Rod… Rod continua imperterrito: - Vieni qui,
Herman. Herman obbedisce: è
curioso di vedere come se la caverà Rod, per cui tace e asseconda il gioco
del suo compagno. - Togliti la giacca e la
cravatta, Herman. Colton fissa Rod. Se uno sguardo potesse
incenerire, di Rod rimarrebbe poco più della cenere che si accumula sulla
sigaretta di Colton e che tra poco finirà a terra. Herman si è tolto giacca e
cravatta. - Se intendete trasformare
questo ufficio in un bordello… - Vedi, Colton, Herman – e intanto incomincia a togliergli la
camicia – anche se è un emerito stronzo e un figlio di buona donna,
fisicamente non fa schifo. Herman sorride. Certo che
Rod è proprio gentile nei suoi confronti. - Magari a te piacciono di
più le fighe, ma in mancanza di meglio – Rod ha
finito con la camicia e ha già slacciato la cintura – un bel culo… insomma… Colton sibila: - Rod, se non ti levi dai
coglioni in trenta secondi… Rod lo interrompe: - Trenta secondi? Soffri
di eiaculazione precoce? Colton emette una specie di ruggito e si alza
in piedi. La cenere della sigaretta cade a terra, poi cade anche la
sigaretta, mentre Rod cala i pantaloni di Herman (i jock-strap
non occorre abbassarli). Colton apre la bocca, ma non dice niente. Si
direbbe che gli manchi l’aria. Rod poggia una mano sulla
schiena di Herman e lo fa appoggiare sulla scrivania. Il culo di Herman è a
una spanna da Colton. - Non è male, bisogna
riconoscerlo. Io casualmente… Rod mette una mano in
tasca e tira fuori un preservativo (Rod è sempre attrezzato). - …ho
l’occorrente. Colton guarda Rod, scuote la testa, furibondo, ma chiaramente tentato. - Svuoti i coglioni e poi
lavori meglio, Colton. Rod sorride e aggiunge: - E non mi dire che non ti
tenta: tu puoi anche mentire, lui no. Il “lui” di Colton, indicato con un cenno del capo da Rod, è senza
dubbio tentato. Più che tentato, impaziente. Con un gesto nervoso, Colton cala i jock-strap di
Herman: non c’è motivo per farlo, il buco è perfettamente raggiungibile. È
una presa di possesso. Colton si slaccia la cintura, abbassa pantaloni
e boxer e strappa di mano a Rod il preservativo, bestemmiando. Ripete la
bestemmia, si infila il preservativo con gesti bruschi e poi infilza Herman
con un colpo secco che gli strappa un mezzo urlo. - Chiudi la bocca, troia! L’ingresso brusco gli ha
fatto un male bestiale. Herman ama farsi strapazzare, ma c’è un limite a
tutto. Colton spinge con furia, le mani sul culo di
Herman. I suoi pantaloni sono scivolati alle caviglie e Rod si china dietro
di lui. Gli stringe le natiche con le mani e con la lingua scorre lungo il
solco. - Che cazzo fai, stronzo?! Rod non dà ascolto a Colton. Continua a passare la lingua, indugia sul buco,
preme un po’. Poi mordicchia il culo, più volte. Con lentezza infila un dito. - Merda! Togli quel dito,
stronzo. Rod obbedisce. Passa
ancora la lingua, poi il dito ritorna a infilarsi. La bocca morde, più volte,
a tratti con molta delicatezza, a tratti invece con
forza. Colton bestemmia, ancora una volta, ma non
dice più a Rod di togliere il dito. Continua a fottere Herman come se volesse
trapassarlo da parte a parte. Herman ha male e si
dice che Rod non ha avuto una buona idea. Rod si alza e il suo corpo
aderisce a quello di Colton, ma prima che abbia
avuto il tempo di fare altro, Colton emette un
mugolio, inarca il corpo, tanto che la sua testa si appoggia sulla spalla di
Rod, e viene dentro Herman. Con le braccia Rod avvolge
Colton, che ancora muove il culo, finendo di
svuotare i coglioni. Poi, per un momento, si abbandona completamente alla
stretta di Rod. Ma dopo un attimo, Colton solleva il capo e dice: - Togliti,
Rod. E levatevi dai coglioni tutti e due. Rod si stacca e si
rassetta. Colton si ritrae e si tira su i pantalini, mentre Herman, il culo in fiamme, si riveste. Quando sono pronti, Rod
dice a Colton: -Adesso dicci dove sta Saedi. Così gli chiediamo due cose. Colton scuote la testa, come se non credesse
alle sue orecchie. - Vi ha detto che potrebbe
essere sorvegliato. Rod inarca le sopracciglia. - Penserai mica che due tuoi agenti non sappiano come entrare in un
albergo senza farsi vedere? Colton è ancora incredulo. Poi dice: - Hotel Beaufort, a Chelsea. Camera 512. - Sei un angelo. Colton grugnisce qualche cosa che non deve essere
un complimento. Herman esce per primo.
Mentre Rod è sulla porta, Colton aggiunge: - Voi due dovreste mettere
su un bordello, non fare gli agenti. Rod sorride e risponde: - Potrebbe essere una
buona idea. Poi aggiunge, mentre esce: - Tu saresti uno dei
nostri migliori clienti. Rod chiude la porta in
fretta, mentre si sente un colpo secco. Che cosa Colton
abbia lanciato contro Rod, Herman non lo sa, ma comunque il suo amico è stato
abbastanza veloce da evitare il proiettile. Rod fa una deviazione
verso i cessi e Herman si chiede se non intenda scoparlo nel cesso, come ha
già fatto un’altra volta. Herman avrebbe bisogno di lasciare a riposo il suo
culo per un po’, anche se non è venuto e la cavalcata gli ha messo
l’appetito. Rod però si limita a lavarsi le mani. Herman non sa se è
sollevato o deluso. Tutt’e due le cose, probabilmente. Poi escono dalla sede. Introdursi di nascosto in
un albergo per due agenti segreti non presenta grandi difficoltà. Herman si
dice che è una follia, ma deve riconoscere che Saedi
gli fa venire l’acquolina in bocca. Saedi potrebbe non essere ancora rientrato:
non è detto che sia venuto subito in albergo. Potrebbe essere a pranzo fuori,
visto che ormai è quasi l’una. Partirà in serata per
il Wadistan, via Ankara, e magari tornerà solo per
ritirare i bagagli. Quando i due agenti
arrivano al quinto piano, vedono un uomo uscire dalla porta delle scale. È
strano che qualcuno sia salito a piedi. L’uomo non sembra inglese. È alto,
robusto, con capelli e barba neri. Herman si chiede se non provenga dal Wadistan. Un agente che accompagna Saedi?
O un assassino inviato per ucciderlo? Supera la porta del 512,
come se si stesse dirigendo altrove. Rod, che lo segue, non dice nulla: anche
lui deve aver sospettato qualche cosa o il comportamento di Herman gli ha
fatto mangiare la foglia. Svoltano l’angolo, come se
dovessero raggiungere una delle camere che si trovano nell’altro corridoio.
Ma si fermano. Dopo un attimo Herman sporge la testa. L’uomo è fermo davanti
alla porta del 512, armeggia con la serratura: deve avere un passepartout.
Anche Herman e Rod ce l’hanno: sono sempre
attrezzati. L’uomo ha tirato fuori una
pistola con silenziatore. Fa scattare la serratura ed entra. Herman e Rod
raggiungono la porta. Dentro si sente la voce di Saedi. Rod tira fuori la pistola.
Herman apre la porta e si precipitano dentro. L’uomo che è entrato è
davanti a loro, con la pistola puntata su Saedi. Li
sente entrare e si volta, ma Rod lo colpisce con il calcio della pistola e
gli salta addosso. Lo bloccano. Gli infilano un bavaglio in bocca, anche se
l’uomo non ha motivo per urlare. - Grazie. Mi avete salvato
la vita. Saedi indossa solo l’accappatoio: si era
appena fatto una doccia. - Mi dia la cintura, che
lego questo tipo. Saedi si sfila la cintura. Rod lega le mani
del tipo dietro la schiena. Herman ammira lo spettacolo che l’accappatoio
aperto offre. È un gran bello spettacolo: un petto abbastanza villoso, un
ventre un po’ prominente, ma muscoloso, un signor
cazzo, di tutto rispetto per lunghezza e volume. - Bisogna avvisare Colton. Saedi annuisce. Rod compone il numero e
spiega l’accaduto. - Vi ha visti?
Vi può riconoscere? - Sì. - Merda. Potevate… Colton si interrompe. Sa benissimo che se
Herman e Rod non fossero andati all’albergo, Saedi sarebbe
stato ucciso e che questo avrebbe messo a rischio la missione: senza una
protezione sul posto, se all’aeroporto qualcuno scoprisse la droga, Herman e
Rod verrebbero giustiziati senza nessuna possibilità di portare a termine il
loro compito. Colton prosegue: - È vivo? Il tipo,
intendo. Non lo avete ammazzato? - No, vivo e vegeto. - Merda, sarebbe stato
meglio se lo aveste ammazzato. Rod sorride, anche se Colton non può vederlo. - Siamo sempre in tempo. Colton riflette un momento, poi dice: - Rimanete in camera con Saedi. Non fate nulla. Vi ritelefono più tardi. Rod lega meglio il
prigioniero, gli copre la testa, in modo che non possa vedere, poi lo
trascina in bagno e chiude la porta: non vuole nessuno tra i coglioni. Saedi si è seduto sul letto. Non sembra
preoccuparsi dell’accappatoio aperto. Rod rientra, si sistema su
una delle sedie e dice: - Dobbiamo aspettare le
indicazioni dei servizi. Intanto ne approfitteremmo per chiederle due cose. Saedi annuisce. - Ma certo. Intanto mi
rivesto. Rod annuisce e incomincia
a parlare: - Ci piacerebbe sapere
qualche cosa di più sugli usi del paese, per muoverci meglio ed evitare di
commettere errori. Ci è capitato, ad esempio in
alcuni paesi arabi, di avere qualche problema perché non conoscevamo certe
usanze locali. Il colonnello è un po’
perplesso, ma si mostra disponibile: - Il Wadistan
non è un paese arabo. La popolazione è più affine agli iraniani, anche se
parla una lingua turca. In comune con gli arabi abbiamo solo la religione
musulmana, che ci venne imposta dai kirghisi. Prego, mi dica che cosa vuole
sapere. Intanto Saedi ha finito di asciugarsi con l’accappatoio e se l’è
tolto. A Herman viene duro in un attimo: la veduta completa fa davvero venire
l’acquolina in bocca. Saedi ha raccolto dal letto i
boxer e sta per infilarseli, quando Rod dice: - Ad esempio, per quanto
riguarda il sesso fra uomini, come viene considerato nel Wadistan? Saedi guarda Rod, interrompendo il gesto. Si
siede sul letto. Apre la bocca, ma non dice nulla. Poi sorride. Herman si
dice che ha colto (non che Rod ci abbia proprio girato intorno) e che l’idea
non deve fargli schifo. - Il sesso tra uomini è
condannato, anche se la legge non lo proibisce. Come in tutti i paesi in cui
le donne tendono a essere segregate, è ampiamente praticato, ma non se ne
parla e non viene mai esibito. Saedi sorride e Herman giurerebbe che c’è
stata una leggera crescita di volume in un’area in basso. Rod prosegue, con lo
stesso tono con cui potrebbe parlare della reintroduzione del leopardo delle
nevi nel Kazzinkulistan: - Perché spesso capita di
trovarsi in situazioni in cui il sesso può diventare un modo per ottenere
informazioni senza dare nell’occhio o per avvicinare un nemico da eliminare. Saedi sta sorridendo. Un sorriso un po’
ironico. La crescita di volume prosegue. - Le occasioni possono
presentarsi. In effetti bisogna saperle cogliere. Rod continua: - In più occasioni abbiamo
visto che il culo di Herman può rivelarsi un’arma più efficace del denaro.
Herman, spogliati, così il colonnello capisce che cosa intendo. In realtà nelle occasioni
in cui hanno lavorato insieme, Herman non ricorda di aver usato il suo culo
come arma. In ogni caso l’esattezza nella ricostruzione dei fatti non è
fondamentale. Oggi Rod gli fa fare la puttana, ma è
un ruolo che a Herman non dispiace quando i maschi sono come Saedi (e Colton). Herman si spoglia, senza
fretta, di fronte a Saedi, che lo guarda. Il
responsabile della sezione antiterrorismo del Wadistan
pare apprezzare lo spogliarello, almeno a giudicare dall’ergersi del suo
cazzo. Quello di Herman è già in tiro. Rod prosegue: - D’altronde, anche un
cazzo può rivelarsi un’arma notevole. Rod si alza e si spoglia
anche lui. La sua arma è pronta ed è, come sempre, uno spettacolo
affascinante. Saedi si alza e dice: - Vediamo l’uso di queste
armi. Anche a me è capitato talvolta di usarle, in tempi passati, quand’ero
più giovane. Adesso mi capita di rado, visto il mio ruolo. Rod ha tirato fuori dalla
giacca una manciata di preservativi (difficile trovarlo impreparato quando si
tratta di scopare) e ne porge uno a Saedi. Questi
lo prende e lo passa a Herman, dicendo: - Mettimelo tu, Herman. Poi aggiunge: - Io mi chiamo Ahmed. Herman apre la bustina,
estrae il preservativo e lo appoggia sulla cappella di Ahmed. Con la destra
accarezza l’asta, dalla punta ai coglioni, poi srotola il preservativo
coprendo il cazzo, ormai perfettamente teso. Ahmed Saedi
prende Herman e lo guida a stendersi supino sul letto. Poi gli solleva le
gambe, se le pone sulle spalle e avvicina la cappella all’apertura di Herman.
Il cazzo di Ahmed è alquanto voluminoso, ma Herman è
abituato a quello di Rod, notoriamente di misura extra-large, per cui non è
un problema accoglierlo, tanto più che il colonnello entra con delicatezza,
non come Colton. La sensazione è piacevolissima. -Sì, credo che sia una
buona arma, un’ottima arma. Herman si dice che anche
il cazzo di Ahmed lo è. Questo bel pezzo di carne
che avanza lentamente, spingendosi fino in fondo, poi si ritrae fin quasi ad
uscire, è davvero un’arma letale. E le mani che percorrono il torace di
Herman, accarezzandolo e tirandogli un po’ i peli, poi scendono sul ventre,
afferrando con vigore il cazzo, mollandolo, stringendo i coglioni fino a far
male, quelle mani sono anch’esse armi il cui effetto è devastante.
Herman geme senza ritegno. Rod intanto sta
accarezzando la schiena del responsabile della sezione antiterrorismo del Wadistan. Il movimento del culo di Ahmed rende difficile
lavorare bene con la lingua e la bocca, per cui per il momento Rod si limita
a passare la mano sulla schiena e sul culo, a pizzicare e a stringere con
forza. Herman si abbandona
completamente al cazzo poderoso che lo trafigge, dilatandogli la carne,
riempiendolo completamente. Lascia che Ahmed gli torturi i capezzoli, gli
passi una mano sul viso, due dita tra i denti, mentre le sue spinte crescono
di intensità e forza. Il movimento violento rende dolorosa la presenza
estranea nel culo, ma Herman vorrebbe che Ahmed non
smettesse mai. E in effetti Ahmed non sembra
minimamente intenzionato a smettere: ci dà dentro con grande foga, con
un’energia inesauribile. Rod intanto si bagna le
dita e accarezza il solco tra le natiche di Ahmed, fino a trovare il buco. Il
responsabile della sezione antiterrorismo del Wadistan
emette un verso, una specie di grugnito, che potrebbe essere di apprezzamento
o di minaccia. Rod se ne fotte dell’interpretazione, tanto lui la lingua del Wadistan (il wadiri) mica la
conosce. Bagna di nuovo le dita e questa volta il medio trova l’apertura e si
infila dentro, senza preoccuparsi dei movimenti vigorosi con cui Ahmed ara il
culo di Herman. Ahmed dice qualche cosa,
che dal tono potrebbe essere una bestemmia o un apprezzamento o tutt’e due.
Rod si dice che tra poco, quando Ahmed avrà concluso, toccherà a lui arare il
campo. Per il momento ha piantato la zappa, ma quando sarà giunta l’ora,
userà l’aratro. Herman sente che il
piacere cresce, dal suo culo si diffonde in tutto il corpo, tanto violento da
essere quasi intollerabile. Geme di nuovo e Ahmed gli afferra il cazzo con la
destra, lo stringe vigorosamente e aumenta ancora il ritmo delle spinte.
Herman ha l’impressione che il suo culo sia sfondato da un martello
pneumatico. Cerca di trattenere l’urlo che si dilata dentro i suoi polmoni,
mentre il piacere deborda, schizza dal suo cazzo verso l’alto, spargendoglisi sul torace e sul ventre. E nel suo culo
un’ultima serie di spinte che paiono trapassarlo completamente segna il
culmine anche per Ahmed, che si affloscia su Herman, boccheggiando. Rod si dice che è giunto
il suo momento. Avvicina la testa al culo di Ahmed e con delicatezza percorre
il solco, fino a raggiungere il buco, dove indugia. Ahmed mormora: - Aspetta, cambiamo
posizione. Si solleva e, senza uscire
da Herman, lo gira sulla pancia e si abbandona su di lui. Rod avvicina nuovamente la
bocca, quando il suo cellulare squilla. - Merda! È Colton,
che fornisce alcune istruzioni. Rod è chiaramente scazzato, ma alla fine Colton dice qualche cosa che gli fa tornare il sorriso.
Rod chiude la comunicazione. - Dobbiamo rivestirci. Tra
cinque minuti arriva qui Norman. Colonnello, tra un
quarto d’ora deve lasciare la camera. Troverà un’auto dei servizi che la
porterà in luogo sicuro e poi all’aeroporto. Rod rimane di nuovo a
bocca asciutta per la seconda volta. Herman guarda quel magnifico cazzo
scomparire nei jockstrap e poi i pantaloni coprire,
senza nascondere, il rigonfio. Hanno appena finito di
rivestirsi, quando Norman telefona. Ha preso una camera al piano. Bisogna
trasportare il prigioniero nella stanza di Norman. Rod occupa l’ascensore.
Herman controlla la porta sulle scale. Norman rimane di sentinella all’angolo
del corridoio e Saedi trasporta il prigioniero da
una stanza all’altra. Norman si mette nella
stanza, la 517, con l’uomo legato. Poco dopo ritorna per rendere il bavaglio
e la cintura dell’accappatoio di Saedi: ha
sistemato il prigioniero in modo che nessuno possa collegarlo alla stanza 512
e al suo occupante. Saedi finisce di preparare il
bagaglio, poi saluta Rod e Herman. - È stato davvero un
piacere. Spero che riuscirete a compiere questa missione e a ritornare vivi.
Nel qual caso, se sarò anch’io vivo, potremo riprendere un discorso
interrotto. Saedi sorride. Rod ricambia il sorriso. - Certamente: non bisogna
lasciare le cose a metà. È un piacere collaborare con lei. Herman e Rod passano alla
517. Norman se ne va poco dopo Saedi. Il prigioniero è steso a
terra. - Che dobbiamo fare, Rod? - Rimanere qui tre ore. La
camera di Saedi verrà sistemata, senza che si trovi
nulla. E nessuno potrà pensare che Saedi, che se
n’è andato verso le due dalla 512, c’entri qualche cosa con quanto avvenuto
nella 517 alle cinque del pomeriggio. Norman ha dato documenti falsi e in
ogni caso anche lui è uscito. Rod non dice altro, ma
Herman ha abbastanza chiare le idee su ciò che succederà alle cinque. Se il
prigioniero dovesse essere consegnato alla polizia per essere interrogato e
processato, sarebbe già stato fatto. - Possiamo rilassarci,
ora. Rod si spoglia e si stende
sul letto. Ha il cazzo turgido, anche se non proprio in tiro. Herman si toglie anche lui
gli abiti e si mette di fianco a Rod. - Allora, Herman, che ne
dici dei due maschi che hai provato oggi? - La puttana, mi hai fatto
fare. La puttana. Rod ride: - Non mi dire che ti è
spiaciuto. - Colton
ha una buona attrezzatura, ma nessuna tecnica. - Poveretto, ha tutto da
imparare. - Non credo che intenda
imparare. - L’esperienza gli è
piaciuta e la ripeteremo. Ma la prossima volta voglio
gustare il suo culo. Herman ha dei dubbi che i progetti
di Rod possano realizzarsi. Però non si può mai dire. Un maschio etero in
astinenza è tanto meno etero quanto più è in
astinenza. Rod riprende: - E Ahmed? - Da leccarsi i baffi. - Me li sarei leccati
anch’io, se non fossimo stati interrotti. Tutta colpa di questo stronzo. E Rod guarda il
prigioniero, legato e imbavagliato, e aggiunge: - Ma me la paga. Poi prosegue: - Adesso, però lavori un
po’ con la lingua. E mentre lo dice, Rod
passa una mano dietro la nuca di Herman, lo attira a sé, lo bacia sulla
bocca, gli infila la lingua tra i denti e poi, dopo che si sono baciati un
buon momento, guida la testa di Herman fino al proprio cazzo, ormai in
posizione. Herman non si fa ripetere l’invito: il cazzo di Rod è il boccone
più ghiotto che Herman conosca e lo assaggerebbe volentieri tutti i giorni. In effetti lo fa piuttosto spesso. Gli piace
il gusto, l’odore, il calore, la consistenza. Herman sa lavorare di
lingua, labbra e denti, con gran soddisfazione di Rod. Anche le sue mani non
rimangono inoperose, stuzzicando i coglioni, accarezzando, pizzicando il
culo, tirando qualche pelo (al che Rod reagisce con scappellotti, anche
abbastanza decisi quando Herman esagera). Herman sente il gusto delle prime
gocce e poco dopo la scarica che gli riempie la bocca. Inghiotte tutto, con
piacere (anche se in quanto a gusto, gli piace di più quello del piscio di
Rod). Poi pulisce con cura, in ogni angolo. Rod lo forza a lasciare la
presa. Si baciano e poi Rod dice: - Adesso riposiamo un po’. Rod mette la sveglia sul
cellulare e poi si addormenta. Herman controlla che il prigioniero non possa
liberarsi, poi decide che una dormita non gli farà male e si stende anche
lui. Quando la sveglia suona,
Rod si alza, afferra il prigioniero e lo solleva, mettendolo con il torace
sul letto e le gambe che poggiano a terra. Gli abbassa pantaloni e mutande e
gli dice: - Volevi fottere Saedi, eh? Adesso però sarai tu a essere fottuto. Rod ride. Herman osserva
Rod sfilare il preservativo dalla bustina e infilarselo. Poi Rod avvicina la
cappella al buco e infilza il prigioniero, che ha un guizzo disperato. Essere
trapassato in quel modo da un cazzo come quello di Rod non può certo essere
un’esperienza piacevole, neanche per uno abituato a
incassare. E magari il tipo non aveva mai avuto modo di provare. Nel qual
caso, non dovrebbe lamentarsi: vuole dire che prima di passare a miglior
vita, farà anche un’esperienza che gli mancava. Il prigioniero si dibatte,
per quanto i legacci gli permettono di fare. Emette una serie di suoni che il
bavaglio soffoca quasi completamente, ma che non devono essere
d’apprezzamento. Rod prosegue incurante dei movimenti e dei suoni della sua
vittima. Herman assiste e il cazzo gli torna duro in fretta: guardare Rod che
fotte è sempre uno spettacolo. Ci dà dentro con regolarità ed è instancabile.
Il prigioniero non sembra apprezzare altrettanto, ma la sua opinione è del
tutto ininfluente. Sul viso di Rod ci sono goccioline di sudore, ma l’agente
prosegue senza fermarsi mai. Infine, dopo venti minuti
di una cavalcata in grado di sfiancare qualsiasi destriero, Rod emette un
verso e, con una serie di spinte più decise, viene. Allora prende una
scatoletta che ha lasciato Norman. Ne estrae una siringa e immerge l’ago
dietro lo scroto. Svuota la siringa e poi toglie l’ago e chiude il tutto in
una scatoletta. L’uomo si agita
debolmente, poi rimane inerte. Dopo dieci minuti, Rod gli toglie il bavaglio
e i legacci, finisce di spogliarlo e lo stende sul letto. Herman vede che
l’uomo respira ancora, ma sempre più debolmente. - Merda, ammazzare così
non dà nessuna soddisfazione. Herman ghigna. Rod è
deluso. Ma evidentemente la sostanza contenuta nella siringa dev’essere difficile da individuare e i servizi faranno
in modo che la morte dell’uomo venga archiviata come naturale. Rod e Herman si rivestono,
danno ancora un’occhiata all’uomo, che ormai rantola, e se ne vanno. Una settimana dopo Herman
e Rod vengono contattati da un emissario del Mansoor,
attraverso un intermediario che fa il doppio gioco per i servizi segreti.
Contrattano a lungo sulla paga: Herman ha l’impressione che Rod tiri un po’
troppo la corda, ma alla fine l’inviato accetta. Il giorno seguente una
splendida rossa consegna loro una valigia e i biglietti aerei per la capitale
del Wadistan. I due agenti partono tre
giorni dopo. Il viaggio si svolge senza intoppi. Al loro arrivo Herman e Rod
superano il controllo dei passaporti senza problemi. I loro documenti sono
perfettamente regolari: non portano i loro veri nomi, ma li ha stampati il
Regno Unito, per cui non si possono neppure definire falsi. Poi i due agenti passano a
ritirare le loro valigie, dove, accuratamente sigillati, vi sono i sacchetti
di cocaina che dovranno consegnare. Si dirigono verso la dogana. Vestiti con
l’abito e la cravatta, sembrano due uomini d’affari in viaggio (come turisti
non sarebbero credibili, visto che il Wadistan ha
un flusso turistico intenso come quello dell’Afghanistan). - Merda! L’esclamazione di Rod ha
un senso ben preciso: alla dogana ci sono quattro poliziotti con cani antidroga.
Rod e Herman non hanno molta scelta. Proseguono per la loro strada simulando
indifferenza, ma appena si avvicinano ai cani, questi scattano. Digrignano i
denti e si fiondano su di loro. Si fermano davanti ai due agenti, bloccando
la strada. I poliziotti li hanno già circondati e li invitano a seguirli:
quel tipo di invito a cui non si può proprio dire di no. Un rapido controllo porta
alla scoperta dei pacchi. Rod e Herman conosceranno le prigioni del Wadistan. Chi si lamenta della
lentezza dei processi in alcuni paesi europei apprezzerà certamente
l’efficienza del Wadistan: per chi è scoperto con
grandi quantità di droga, il processo avviene per direttissima e dopo un
giorno di interrogatori e un’ora di processo, Herman e Rod vengono condannati
a morte per impiccagione e trasferiti il giorno stesso nella prigione di Kara-Bami, dove verranno giustiziati. La condanna per
traffico di droga non prevede la possibilità di ricorrere in appello e la
sentenza verrà eseguita entro tre giorni. Herman e Rod vengono messi
in una delle celle del braccio della morte. È un piccolo corridoio, con solo
sei celle: anche se nel carcere le esecuzioni sono frequenti, le celle
destinate ai condannati a morte sono poche, perché tra il trasferimento alla
prigione e l’impiccagione passa sempre pochissimo tempo. - Direi che la prima parte
non è andata proprio benissimo. - No, ma era un rischio
previsto. Speriamo che ci liberino quelli del Mansoor:
se dovesse intervenire Saedi, la nostra missione
sarebbe fallita. Rod annuisce. Poi
aggiunge: - Speriamo che qualcuno ci
liberi. Herman concorda. C’è anche
questo rischio, lo sanno benissimo tutti e due: che il Mansoor
non riesca a organizzare una fuga (o non ci provi neppure, ritenendo che il
gioco non valga la candela) e che Saedi non faccia
in tempo. Il mattino successivo
Herman e Rod vengono ammanettati e portati in una stanza al fondo del
corridoio. Appena si apre la porta, vedono la forca. Per un attimo, entrambi
pensano che sia arrivata la loro ultima ora. Scoprono che oggi loro
sono solo spettatori: assisteranno all’impiccagione di un altro prigioniero.
Ci sono otto detenuti, evidentemente quelli del braccio della morte, un buon
numero di guardie e il boia, che ha il viso coperto da un cappuccio nero con
due aperture per gli occhi. Il condannato entra per
ultimo. Quando vede la forca, incomincia a dibattersi, ma le guardie lo
trascinano sotto il cappio e gli infilano un cappuccio in testa. Poi il boia
gli passa il cappio intorno al collo e lo stringe. Il condannato grida. Il boia abbassa una leva e
il braccio della forca si solleva. - Cazzo! Lo fanno crepare
per strangolamento. Che figli di puttana. Senza il salto che spezza
le vertebre del collo, l’agonia è lunghissima: il condannato si dibatte
disperatamente, scalciando e sollevando le gambe, in una danza selvaggia che
suscita le risa delle guardie. Ci vogliono alcuni minuti prima che la danza
rallenti, ma solo dopo un quarto d’ora i movimenti
cessano e il corpo rimane inerte, mentre una macchia scura si allarga sui
pantaloni. Herman nota che parecchie
delle guardie fissano ora il giustiziato, ora i prigionieri, ghignando. Si
divertono a vedere alcuni dei condannati spaventati alla vista di ciò che li
attende. Dopo l’esecuzione sono
ricondotti in cella, dove trascorrono l’intera giornata. I condannati a morte
non possono uscire dalle loro celle, dove ricevono anche i pasti: l’unico
momento in cui vengono accompagnati fuori è quello della doccia. Il locale si
trova nel braccio della morte ed è costituito da uno stanzone, con due panche
su cui posare gli abiti e quattro docce. Rod e Herman vengono accompagnati a
lavarsi la sera, sotto la sorveglianza di quattro agenti. I poliziotti assistono al
lavaggio e si scambiano commenti e risate. Sembrano apprezzare soprattutto
Rod (la cui attrezzatura suscita spesso invidia e fa venire l’acquolina in
bocca a molti). Herman e Rod non possono capire che cosa si dicono, ma il
senso dei commenti è chiaro. Se non possono uscire
dalla cella, in compenso uno schermo televisivo trasmette cinque volte al giorno le preghiere e la sera il telegiornale,
rigorosamente in wadiri, con sottotitoli in farsi.
A Herman e Rod spiace molto non conoscere nessuna delle due lingue,
soprattutto per le preghiere. Non potendo seguire le preghiere, si dedicano
ad altre attività con grande impegno. Le due giornate prima
dell’esecuzione passano senza nessuna novità. L’esecuzione avverrà domani
mattina. Il telegiornale della sera porta invece una grossa notizia: si vede
la foto di Ahmed Saedi, poi una macchina crivellata
di colpi, due cadaveri. Il nome di Saedi ritorna
più volte, insieme alle sue foto, ma non lo si vede nel filmato. Rod formula la domanda che
hanno entrambi in testa: - Hanno ammazzato Saedi? - È probabile. Se fosse
vivo, si vedrebbe lui o l’ospedale in cui è ricoverato.
Ma ci sono solo le sue foto. - Cazzo! Siamo fottuti. È così: Saedi non potrà intervenire per liberarli ed è ben
difficile che dall’Inghilterra qualcuno riesca ad arrivare al primo ministro
in tempo. È quasi mezzanotte. Rod e
Herman non dormono. Attendono. Se il Mansoor non
agisce questa notte, l’unica possibilità è che Colton
raggiunga il primo ministro britannico e che questi riesca a convincere il
collega del Wadistan: poco probabile. C’è un rumore fuori dalla
cella, si sentono delle voci. Sono venuti a liberarli? In
effetti la porta
della cella viene aperta ed entrano degli uomini, ma sono guardie in divisa,
almeno una dozzina. E Herman e Rod hanno l’impressione che non siano venuti
nella cella per farli fuggire. Che cosa dicano, Herman e
Rod non sono in grado di capire, ma che cosa vogliano, quello si capisce in
fretta. Si capirebbe anche senza il “Fuck, fuck” detto da uno che evidentemente conosce alcune
parole di base dell’inglese (le più utili, insomma). Herman e Rod sono a torso
nudo e due degli uomini gli calano pantaloni e mutande. I prigionieri non
oppongono resistenza: sanno benissimo che finirebbero per essere pestati a
sangue senza poter evitare la violenza. Le guardie capiscono che i due
intendono collaborare e li mettono in posizione: Herman in ginocchio, in modo
che possa lavorare con la bocca, e Rod a gambe larghe e chinato in avanti,
pronto per essere infilzato. Herman è un po’ stupito: di solito i maschi
preferiscono il suo culo, più snello e meno villoso, a quello di Rod. Di Rod
tutti apprezzano soprattutto il cazzo, ma ovviamente qui nessuno vuole
mostrarsi disponibile a prenderselo in culo davanti ai colleghi. Uno degli uomini si mette
davanti a Herman, estrae il cazzo e lascia che l’agente lo lavori con cura.
Herman ci sa fare, questo è noto (il suggerimento dato da Colton,
di aprire un bordello, in effetti non è per nulla
sbagliato). Il cazzo dell’uomo si drizza in fretta e Herman può assaporarne
la consistenza e il calore. È bello sentire in bocca un bel
cazzo caldo. Ma si sa: le cose belle durano poco. L’uomo si stacca e passa
dietro a Rod. Sputa sul buco del culo dell’agente, poi si prende il cazzo in
mano e avvicina la cappella al buco. Spinge dentro. Rod si morde il labbro.
L’ingresso non è stato molto delicato e a Rod non capita spesso di
prenderselo in culo (anche se non disdegna di farlo ogni tanto: per quanto
riguarda il sesso, sono pochissime le cose che Rod non apprezza; Herman non
ha ancora scoperto quali siano, noi neppure). Intanto Herman ha ripreso
a lavorare, perché si è trovato un secondo cazzo davanti alla bocca. Appare
piuttosto voluminoso e ha un odore intenso: il tizio non ama molto la
pulizia. Herman comunque è anche lui di bocca buona, quando si tratta di
cazzi, per cui non si fa pregare (anche perché le preghiere avrebbero la
forma di botte). Il cazzo cresce in fretta, più del primo, ed è davvero
imponente. Dato che il culo di Rod è ancora occupato dal primo ospite, Herman
può lavorare in santa pace il boccone che sta gustando. Dopo un po’ sente il
sapore delle prime gocce. L’uomo però si ritrae, senza dare a Herman il tempo
di completare l’opera. Intanto vicino a lui la guardia che fotte Rod emette
un verso animale, mentre spinge freneticamente, poi si ritrae. Il suo posto è subito
preso dal secondo uomo, ma anche Herman non rimane inoperoso: si direbbe una
catena di montaggio in due fasi. In effetti si
prosegue con lo stesso ritmo: progressivamente si riduce la coda (i servizi
pubblici inglesi, si sa, sono efficienti e Herman e Rod appartengono ai
servizi inglesi), mentre aumenta il numero di clienti soddisfatti, che hanno
svuotato i coglioni nel culo di Rod. Soddisfatti, ma non sazi. Non è strano,
visto che sono in maggioranza giovani, tra i venti e i trenta, massimo quaranta. Per cui, dopo una prima tornata molto
ordinata, la catena di montaggio si trasforma in un’officina più creativa.
Qualcuno si fa pulire il cazzo da Rod stesso, qualcun altro fa mettere Herman
nella stessa posizione di Rod e incomincia ad accarezzargli il culo, menando
pacche vigorose. L’ordine della prima ora svanisce. Herman sente due dita che
gli inumidiscono l’apertura, poi un cazzo affonda, piuttosto deciso. Intanto
un altro degli uomini gli impone di fargli una sega. A Herman non spiace
afferrare con la destra un bel cazzo vigoroso, già mezzo teso, mentre ne
gusta uno in bocca e uno in culo. Non è proprio comodissimo, ma è comunque
piacevole. Uno degli uomini, dopo
essere venuto una seconda volta, gli ordina di
aprire la bocca (che Herman ha appena chiuso dopo aver finito un servizio
completo) e gli fa bere il proprio piscio direttamente alla fonte. Ora sono tutti intorno ai
due prigionieri, in un’ammucchiata senza ordine. Herman vede mani che
scivolano ad accarezzare altri corpi, in un contatto che vorrebbe apparire
casuale, ma di certo non lo è. Nessuno sembra
badarci, ma Herman è sicuro che molti apprezzino queste carezze. Gli uomini
si scambiano battute, si toccano a vicenda, dicendosi frasi che paiono essere
scherzose. Nessuno si sottrae. E intanto Herman e Rod non rimangono inoperosi.
Herman ha il culo che gli
fa male e per Rod, che è stato inculato molte più volte, dev’essere
ancora peggio. Ma non sono loro a decidere i tempi e
gli uomini non sono ancora sazi. Progressivamente, però, la
ressa diminuisce, gli attori diventano spettatori e dopo che un magnifico
stallone ha inculato per la terza volta Rod e ha pisciato in bocca a Herman,
le guardie si rivestono e se ne vanno. L’ultimo a uscire guarda
Herman e Rod ghignando, poi mi mette una mano intorno al collo e scoppia a
ridere. La porta viene richiusa e
i due agenti rimangono da soli, sporchi di sborro e
piscio. Dopo essersi puliti con un
lenzuolo e rassettati un po’, si stendono su uno dei due letti. Rod dice: - Cazzo, erano oltre
vent’anni che non mi stupravano in branco! - Ti era già successo? Per Herman è la prima
volta. Nelle sue esplorazioni di gioventù gli è capitato in qualche occasione
di subire un rapporto che non voleva (magari anche solo che non voleva più) e una volta anche di essere attirato in
trappola e preso con la forza da due uomini. Ma mai uno stupro di gruppo. Rod ghigna. - Ci scontravamo con le
altre bande e se qualcuno veniva catturato, veniva servito di
tutto punto. A me capitò due volte. Però non ti
inculavano solo: ti menavano anche. Tutt’e due le
volte finii in ospedale. - Non me l’avevi mai
raccontato. Rod abbraccia Herman e,
tenendolo stretto tra le braccia, dice: - Non ti ho raccontato
tutta la mia vita, Herman. E credo che ormai non avrò più occasione di farlo. Lo sanno entrambi: sono le
due e mancano poche ore all’esecuzione. Rimangono abbracciati.
Herman, malgrado il male al culo, prova una
sensazione di benessere. Il tempo passa. Arrivano
infine le cinque del mattino. Ormai le speranze di essere liberati stanno
svanendo a ogni minuto che passa. Herman e Rod sono ancora abbracciati, nel
buio. - Un’ultima scopata,
Herman. Tra un’ora sarà l’alba e sarà finita. Herman annuisce. Il culo
gli fa ancora male, ma vuole gustare un’ultima volta il cazzo di Rod. Scivola di lato e allarga
bene le gambe. - Vacci piano, Rod. Rod non dice nulla.
Accarezza il culo di Herman, poi risale lungo la schiena. La sua bocca morde
con decisione le natiche, poi si posa sulla nuca di Herman in un bacio. Poi
Herman sente la pressione familiare. Il cazzo di Rod si affaccia all’ingresso
ed entra con molta lentezza. Ora Rod è dentro di lui. Rod gli passa una mano tra
i capelli, accarezzandoli. Poi le sue mani scivolano intorno al collo di
Herman e stringono leggermente. - Lo farò io, Herman. Herman non vorrebbe
morire. Non ne ha nessuna voglia. Vorrebbe continuare a vivere, scopare,
rischiare la pelle, stringersi a Rod, passeggiare, scopare, andare in
palestra, andare al cinema, scopare, girare per
locali, leggere, scopare, viaggiare, scopare (eventuali ripetizioni nell’elenco
non sono dovute a distrazione). Ma non ha più possibilità di scelta e allora
va bene che sia Rod a farlo. - Va bene. - Poi fotterò il tuo
cadavere. Già, un’idea che gli ha
dato Herman, raccontandogli di quando ha ammazzato Korzuchin. - Sì. Rod lavora con lentezza.
Herman si dice che è l’ultima scopata, che non ce ne sarà un’altra, che
morirà con la sensazione di questo cazzo magnifico che gli scava il culo. Rod gli accarezza il viso
e il collo, poi stringe un po’ le mani, mentre continua a fotterlo
metodicamente. Non si accorgono subito
che qualcuno è alla porta, ma il rumore, leggero, della chiave che scatta, li
avverte. Si separano in fretta. L’uomo che entra è uno di
quelli che hanno gustato il culo o la bocca (o entrambi) di Herman o di Rod
(o di entrambi). Un dito sulla bocca è sufficiente per far capire ai due
agenti che forse le loro vite non sono arrivate al capolinea. La cosa non
dispiace a nessuno dei due e in ogni caso, se avessero ripensamenti, non
mancheranno le occasioni per recuperare. L’uomo ha tutte le chiavi. Si muove
molto silenziosamente. Sembra non esserci nessuna sentinella, il che è
inverosimile: molte mani devono essere state unte e qualcuno ha deciso che
una punizione accompagnata da una borsa piena di soldi è preferibile a niente. Raggiungono un cortile
interno, dove si trova un camioncino. L’uomo apre la porta posteriore e fa
scorrere una lastra che chiude il fondo. Il furgone ha un doppio fondo, alto
meno di mezzo metro, in cui ci si può nascondere. L’uomo ripete il cenno per
indicare di rimanere in silenzio, poi li fa entrare. Herman e Rod strisciano
fino a che sono tutti dentro il doppio fondo e l’uomo rimette la lastra al
suo posto. Herman si aspetta che il
camioncino venga messo in moto, ma non succede nulla. D’altronde che un
furgone esca nel cuore della notte, non appare probabile. Il tempo passa. Si
incominciano a sentire rumori e voci. Poi c’è una certa agitazione. Il
camioncino viene aperto e richiuso più volte. Stanno cercandoli, ma nessuno sospetta che il camioncino possa avere un doppio
fondo. Passano altre ore.
Incomincia a fare un caldo fottuto. Herman e Rod sudano. Sono scampati
all’impiccagione per finire cotti a bagnomaria? Infine il camioncino viene
messo in moto. Fa poca strada e si ferma. Viene nuovamente
aperto. Questo succede ancora due volte, poi il camion prende velocità:
devono essere usciti dalla prigione, dopo aver superato i controlli. Procedendo la temperatura
scende un po’, ma a Herman pare di essere in sauna. A tratti ha la sensazione
di svenire. Dei due avrebbe preferito venire impiccato: magari gli veniva duro. Mentre lo pensa, il
camioncino si ferma e poco dopo la lastra viene tolta. L’aria che entra è
abbastanza fresca: siamo in montagna e, per quanto batta il sole, le
temperature non sono elevate. - Uscite. I due agenti si trascinano
fuori. Sono entrambi gocciolanti di sudore, con gli abiti fradici appiccicati
addosso. Accanto al furgone c’è un’auto con i vetri scuri. L’uomo che li ha
fatti uscire porge loro abiti civili, che Herman e Rod indossano dopo essersi
sbarazzati delle divise da detenuti ed essersi asciugati un po’ il sudore.
Poi l’uomo li fa salire sul sedile posteriore dell’auto e si rimette alla
guida del camioncino, che prosegue per la sua strada. Nella vettura c’è l’autista
e accanto a lui siede un signore elegante. - Benvenuti. - Grazie. L’uomo dà
un ordine all’autista, che mette in moto e si avvia. - Tra due ore
raggiungeremo la capitale. In caso ci fossero posti di blocco, ci penso io. L’uomo parla in un buon
inglese. Non dice altro e i due agenti ritengono opportuno non mostrarsi
troppo curiosi. Approfittano invece del viaggio per recuperare un po’ del
sonno perso: il bagno turco del camion ha accentuato la stanchezza delle
ultime notti in cui hanno dormito poco. La loro meta è una casa
alla periferia della capitale, una villa in cui entrano attraverso un
cancello automatico, per poi raggiungere direttamente il garage: nessuno li
può aver visti arrivare e nessuno li vede scendere. L’uomo che li ha
accompagnati gli mostra una camera a due letti e i servizi, poi dice loro che
tornerà per parlare nel tardo pomeriggio. Herman e Rod si fanno una lunga
doccia, si stendono e dormono tutto il tempo, finché non vengono a chiamarli. Li aspetta l’uomo che li
ha accompagnati il mattino. Li fa accomodare, si presenta come Kamal e poi incomincia a parlare. - Credo che sappiate chi
siamo. È Herman a rispondere: - Penso di sì.
L’organizzazione che ci aveva affidato un compito. - Che non avete portato a
termine. Interviene Rod, alquanto scazzato: - Abbiamo seguito le
istruzioni che ci erano state date, anche se avevamo qualche dubbio:
nascondere la droga in valigia non è una grande idea. - Volevamo essere sicuri
che faceste quello che vi veniva detto e che non parlaste una volta catturati. Kamal sorride e aggiunge: - Questo magari comporta
qualche inconveniente in prigione, ma chi fa parte del nostro gruppo deve
essere pronto a tutto. “Qualche inconveniente” fa
riferimento allo stupro di gruppo, di sicuro. Herman e Rod non commentano.
Herman osserva: - Anche farci arrestare
qui non è stata un’ottima idea: ora hanno le nostre foto e questo potrebbe
creare problemi alla nostra azione in Inghilterra. - Hanno le foto, ma associate a nomi falsi. E faremo scomparire anche
le foto. Adesso però dovete dimostrare di essere in grado di portare a
termine un’azione. È Rod a chiedere: - Di che si tratta? Kamal prende una borsa di pelle e la apre. Ne
estrae alcune foto. In tutte si vede un uomo sui cinquanta, ripreso in primo piano
o a figura intera, vestito in abiti occidentali e in un’unica foto in costume
da bagno, ai bordi di una piscina. Questa immagine permette di vedere i
numerosi tatuaggi che l’uomo ha sul petto. A vederlo così sembra un
mafioso russo. - Dovete uccidere
quest’uomo. Né Herman, né Rod si aspettavano questa richiesta: si era parlato di
organizzare una rete del Mansoor nel Regno Unito,
non di fare secco un mafioso russo, posto che tale sia il tizio. - Chi è? Non è una domanda da
farsi, Herman lo sa benissimo, ma non possono certo ammazzare un agente di
polizia o un ministro. E per uccidere qualcuno che non sia Hami (o uno dei suoi uomini) hanno
bisogno di un’autorizzazione dei servizi. - Aleksandr Karelev. I russi lo hanno mandato qui per estendere la
loro rete. Ma noi fotteremo lui e tutti quelli come lui. Herman annuisce. - Non deve essere tanto
facile. Di sicuro starà in guardia e viaggerà ben protetto. - Esatto. Noi vi forniremo
tutte le informazioni necessarie sui suoi spostamenti e le armi. Spetta a voi
trovare come farlo secco. Poi lo castrate, tanto perché i russi sappiano che
cosa li aspetta se vengono qui. Nei giorni seguenti Herman
e Rod sono liberi di muoversi. Trascorrono una parte del tempo in una casa di
fronte alla residenza di Karelev, che esce solo con
una scorta armata di quattro uomini, su una macchina blindata. Insieme agli
uomini del Mansoor, che lo seguono dal suo arrivo
in Wadistan, controllano i movimenti, alla ricerca
di una falla nel sistema di protezione. Nel tempo libero seguono
qualche trasmissione in lingua inglese e guardano un po’ la televisione,
oltre a dedicarsi alla loro attività preferita. I film in wadiri
non sono particolarmente interessanti, ma ci sono alcuni esemplari di maschi
davvero notevoli: questi wadiri non sono malaccio.
In particolare in alcuni film d’azione si vede un tizio molto atletico, che
assomiglia un po’ ad Ahmed Saedi. Uno degli uomini,
che parla inglese, gli spiega: - È Omar Vastan, il nostro più grande attore. Tra due mesi
interpreterà la parte di Zohad in un grande film. - E chi è Zohad? Non che a Herman gliene
fotta un cazzo, ma gli sembra scortese non mostrare nessun segno di
interessamento e preferisce avere buoni rapporti con questi uomini con cui
deve lavorare. - Il nostro eroe
nazionale, al tempo delle lotte contro i kirghisi. Herman e Rod non chiedono
di più: non hanno nulla contro la cultura, ma la storia del Wadistan non è precisamente tra i loro massimi interessi.
Approfittando della
completa libertà di movimento, raggiungono un negozio di abbigliamento che è
il loro punto di riferimento nella capitale. Qui Herman riceve un cellulare e
telefona a Colton. Spiega la missione che è stata
affidata loro. Colton controlla rapidamente e dà
via libera: questo Karelev è un pezzo grosso della
mafia russa e i servizi non hanno niente da obiettare alla sua eliminazione.
In un certo senso potrebbe essere considerato un portarsi avanti con il
lavoro. Il problema è come portare
a termine la missione. Non possono far saltare in aria l’auto su cui viaggia Karelev o attaccare lui e la scorta all’uscita di casa: al di là delle difficoltà che comporterebbero queste
azioni, c’è il rischio di fare una strage di passanti. La casa di Karelev è sempre sorvegliata. E allora? Karelev va quasi ogni giorno al bagno turco, ma
ci va con la sua scorta. Due uomini rimangono all’ingresso e due lo
accompagnano dentro. Rod e Herman decidono di
verificare la situazione al bagno turco. Herman ci va prima di Karelev e studia il posto. Quando Karelev
arriva, Herman controlla i suoi movimenti. Karelev
si mette in una saletta a parte, con i due uomini all’ingresso, che rimangono
armati. Quando Karelev esce dalla saletta e si
dirige alle docce, Herman lo imita. Fa la doccia vicino a lui, sperando di
cogliere qualche segno di interessamento che potrebbe aprire uno spiraglio, ma Karelev lo guarda
appena. Peccato: se Karelev fosse gay, sarebbe più facile avvicinarlo. Peccato anche perché Karelev non è precisamente un bell’uomo, ma è un tipo
interessante (categoria molto ampia per Herman) e Herman ci farebbe
volentieri un pensierino. Dopo tre giorni in cui
hanno studiato ogni movimento di Karelev, Herman e
Rod si trovano al punto di partenza. - L’unica è entrare in
casa di nascosto e farlo fuori. - Sei pazzo, Rod? La casa
è sorvegliata e le guardie non sono certo incapaci. - Non si aspettano che
qualcuno cerchi di entrare di soppiatto. Magari un attacco armato, quello sì.
Ma se entriamo quando Karelev è fuori, secondo me
ce la facciamo. A Herman sembra una
follia. Gli uomini del Mansoor hanno una pianta
della casa, con molte informazioni utili e i due agenti studiano il tutto con
la massima attenzione. Ci sono sei guardie, quando Hami
è in casa, e un custode. Quando Hami esce,
rimangono due uomini, oltre al custode, che sta in
una guardiola con un impianto di videosorveglianza. Hami
vive in un appartamento al primo piano. Tiene sempre in camera
e nello studio diverse armi, cariche. La sera seguente Karelev esce con gli uomini della scorta. Dentro
rimangono il custode e due sentinelle. Alle undici la corrente elettrica
salta in tutto il quartiere. L’impianto di videosorveglianza della casa è
fuori uso, ma probabilmente le guardie e il custode non si allarmano
più di tanto, visto che Karelev è fuori casa.
Herman e Rod scavalcano il muro di cinta e si introducono nel giardino.
Vedono vicino al cancello la luce di una torcia elettrica: una delle guardie
sta facendo un giro di perlustrazione per verificare che nessuno si introduca
mentre manca la corrente. Herman e Rod raggiungono silenziosamente la porta
ed entrano nella casa, mentre l’uomo controlla il giardino. C’è una luce
nella stanza al piano terra che serve come guardiola e si sentono le voci di
due uomini: devono essere il custode e l’altra guardia. Mentre salgono le
scale, dalla guardiola esce un uomo, anche lui con una torcia elettrica.
Herman e Rod si bloccano, le pistole con il silenziatore in mano: se l’uomo
punterà la torcia sulle scale, dovranno sparare e allora le possibilità di
uccidere Karelev scenderanno a zero. La guardia però si dirige
verso la porta d’ingresso. Esce e chiude. Herman e Rod raggiungono le camere
che sanno costituire l’appartamento di Karelev. Rod
preme un tasto del cellulare, per comunicare che sono giunti a destinazione,
e subito dopo la luce ritorna. La corrente è mancata per pochi minuti, niente
di particolare. L’appartamento è
costituito da un ufficio e una camera da letto. Le
finestre dei due locali si affacciano sul cortile interno. Herman e Rod
passano nella stanza da letto, che è immersa nell’oscurità: un po’ di luce
filtra appena da fuori. Rod e Herman entrano in
bagno e si nascondono dietro la porta. Pochi minuti dopo c’è un
rumore di passi e si sentono le voci delle due guardie, che stanno facendo un
giro di controllo per la casa. Aprono anche la porta della stanza del capo,
attraversano lo studio e danno un’occhiata nella camera da
letto. Arrivano fino al bagno. Accendono la luce. Herman e Rod sono pronti a
sparare, ma l’uomo non guarda dietro la porta: non pensa che qualcuno possa
davvero essere entrato, è solo un controllo per essere sicuri. Ora non rimane che
aspettare. Herman e Rod saprebbero benissimo come passare il tempo, ma non
sarebbe saggio distrarsi. Nessuno dei due però è molto saggio, per cui dopo
mezz’ora di palpeggiamenti, Rod volta Herman contro la parete e incomincia ad
armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni. Herman si dice che sta per
prenderselo in culo, che Rod è una testa di cazzo e che anche il suo cazzo lo è, perché ha già alzato la testa. Ma prima di
poter procedere, sentono dei rumori e delle voci. Rod impreca e si ritira. I
due agenti si sistemano rapidamente. Poco dopo, viene accesa la
luce dell’ufficio e poi quella della camera. Qualcuno si sta muovendo, di
certo Karelev. Non parla, per cui dovrebbe essere
solo: ottima cosa. Dopo due minuti Karelev accende
la luce del bagno ed entra, dirigendosi verso la tazza del gabinetto. Herman
chiude la porta di scatto, Karelev si volta e,
prima che faccia in tempo ad aprire bocca, Herman e Rod incominciano a
sparare. Sei colpi, al ventre e al torace, che sbattono Karelev
contro la cabina della doccia. Il corpo scivola lentamente a terra, lasciando
sulla parete della cabina una traccia di sangue. Rod e Herman si avvicinano
al russo, che agonizza, mentre una chiazza di sangue si allarga sul
pavimento, mescolandosi al piscio: l’uomo ha perso il controllo della
vescica. Karelev respira ancora, a fatica, e fissa
il suo sguardo annebbiato sui due agenti. Rod lo prende per la nuca e lo
trascina in camera da letto. Il corpo lascia dietro
di sé una scia di sangue. Rod lo sbatte sul letto, poi si abbassa
i pantaloni. - Che cazzo fai, Rod? Non
abbiamo tempo da perdere. Neanche Rod ne ha: il
cazzo è duro come la rivoltella che l’agente stringe in mano. Rod si infila
il preservativo e poi infilza Karelev, facendolo
sussultare. Incomincia a fotterlo, con tutta la sua energia. Herman osserva,
incapace di distogliere lo sguardo. Rod è una testa di cazzo (questo l’ha già
pensato poco fa), ma ha un cazzo superlativo (questo l’ha
pensato infinite volte, per cui è ancora meno originale). Quando sta per venire, Rod
punta la pistola alla nuca di Karelev e spara. Poi
assesta alcune spinte vigorose e conclude l’opera, con visibile
soddisfazione. Tira fuori il coltello e
procede a fare quanto richiesto da Kamal. Getta
cazzo e coglioni del morto sul letto, poi si lava le mani in bagno. Ora il problema è uscire
dalla casa. Rod prende il fucile mitragliatore che Karelev teneva nella sua camera da letto (un altro è
nello studio). Herman traffica un momento con i fili di una lampada, che poi
infila in una presa. L’impianto salta e la casa piomba nel buio. Herman e Rod si dirigono
verso l’uscita. Ci sono sei guardie del corpo, che di certo sanno sparare
benissimo, e un custode che con ogni probabilità lo sa fare altrettanto bene.
Se li vedono, saranno cazzi acidi. Mentre scendono le scale
due guardie escono dalla stanza del custode con le torce elettriche. Questa
volta il raggio di una delle torce illumina Herman. Rod spara con il
mitragliatore, falciando i due uomini. Il custode esce subito dal suo
stanzino, ma viene abbattuto anche lui. Adesso il problema è che
ci sono quattro guardie, che sanno che la casa è sotto attacco. Dovrebbero
essere al piano terra, o nelle loro camere, come è probabile, vista l’ora, o
nel giardino. Herman e Rod scendono. Herman prende una delle torce e,
lasciandola a terra, la punta verso il corridoio, poi si sposta. Qualcuno arriva di corsa.
Gli uomini hanno sentito gli spari, ma non possono sapere se gli assalitori
sono già dentro la casa o nel giardino. Quando la luce della torcia illumina
due paia di gambe, Herman e Rod sparano di nuovo. Due guardie cadono a terra,
uno finisce proprio nel tratto illuminato dal fascio di luce. Qualcun altro grida. Rod spara ancora nel corridoio, che è immerso
nel buio completo. Un altro grido, un tonfo. Dovrebbe esserci solo più
un uomo. Dov’è? Herman fa scattare la
serratura della porta d’ingresso. Nel giardino l’oscurità non è completa,
perché un po’ di luce arriva dalla strada. Se qualcuno è alle finestre della
casa, loro due diventeranno un ottimo bersaglio non appena cercheranno di
attraversare il giardino. Herman e Rod scivolano
lungo il muro fino al retro, dove contano di scavalcare. La raffica risuona senza
che abbiano visto nessuno. I proiettili si conficcano nel muro subito sopra
la loro testa. I due agenti si gettano a terra e sparano nella direzione da
cui gli è sembrato che provenissero i colpi. Quando hanno finito di
sparare, si crea silenzio. Dov’è la guardia? Certamente nel giardino, ma non
si riesce a vedere nessuno. Cercare di raggiungere il muro significa
rischiare di farsi falciare proprio adesso. E allora? Herman e Rod rimangono in
assoluto silenzio, immobili. Non sono visibili, ma l’uomo sa più o meno dove
sono. La seconda raffica arriva
poco dopo, molto più bassa della prima: se fossero in piedi o accovacciati, li falcerebbe, ma sono sdraiati a terra.
Adesso però hanno individuato il punto da cui l’uomo ha sparato e premono
entrambi il grilletto. C’è un grido soffocato e un
tonfo. Herman e Rod raggiungono
correndo il muro, lo scavalcano e si dirigono verso l’angolo dove un’auto li
aspetta. L’autista, che ha sentito gli spari, ha già messo in moto. I due
agenti salgono e l’auto parte. Herman telefona a Kamal,
come d’accordo, e comunica che il cugino è partito, con tutta la sua
famiglia: la frase concordata. Herman e Rod vengono
lasciati nella loro base dove, dopo una bella doccia, possono stendersi (uno
sull’altro). Il giorno dopo Kamal passa da loro. È visibilmente soddisfatto. Mostra
loro una serie di foto del cadavere di Karelev e di
quelli delle guardie. Come sia riuscito a procurarsele, i due agenti non
saprebbero dire: qualche aggancio nella polizia, evidentemente. Ma anche far
saltare la corrente nel quartiere richiedeva agganci. Il Mansoor
li ha o sa come procurarseli. - Avete fatto un ottimo
lavoro. Chi vi ha raccomandato a noi non si è sbagliato. Ci sarebbe molto da dire
su questo punto, ma Herman e Rod si guardano bene
dal dirlo. Kamal prosegue: - Domani mattina
partirete. È ora che conosciate Hami. Il viaggio in auto è molto
lungo: circa dodici ore. L’auto si dirige verso le montagne, ma questa volta
non sono più quelle a est della capitale, più vicine e impervie, ma quelle a
nord, più lontane e meno alte. I due agenti sanno che li portano alla
residenza di Hami, l’uomo che ha fatto uccidere Saedi e li ha fatti liberare dal
carcere perché eliminassero Karelev, con
l’obiettivo di far loro organizzare la rete britannica del Mansoor. Questa è un’ottima cosa, perché loro sono lì proprio per Hami, anche se lui
non lo sospetta (il giorno in cui lo sospettasse, sarebbe l’ultimo per Herman
e Rod). Giungono a destinazione
che è quasi notte. Vengono accompagnati nelle
loro camere e viene detto loro che non possono
uscirne fino a quando non verranno mandati a chiamare, il mattino successivo. Dopo colazione, vengono
condotti in un’ampia stanza che serve da ufficio. Su una scrivania d’epoca vi
sono computer, tablet e
quant’altro serve al capo per collegarsi con il mondo da questo angolo sperduto
del Wadistan. Hami, perché evidentemente si tratta di lui,
è seduto alla scrivania, il viso coperto da un cappuccio di stoffa che lascia
visibili solo gli occhi. Hami dà loro il
benvenuto, in un inglese perfetto, poi si complimenta per l’uccisione di Karelev. Infine chiede a loro di raccontare le loro
esperienze e perché sono interessati a lavorare per
il Mansoor. Dopo aver raccontato una notevole
quantità di balle, quelle concordate prima di partire, Rod risponde per tutti
e due alla domanda finale. - L’incarico ci sembra
interessante perché c’è molto da guadagnare. Hami annuisce: era la risposta che si
aspettava. Hami tira fuori un po’ di fotografie. - Questi sono i risultati
di una delle nostre azioni, a Faladah. Herman e Rod sanno di che
cosa si tratta, ma vedere le foto di bambini dilaniati dalle bombe non è
propriamente piacevole. La domanda arriva a
bruciapelo: - Che ne pensate? Rod risponde, senza
esitare: - Che se volete qualche
cosa del genere in Inghilterra, dovete pagare un fottio di sterline. Hami annuisce. Anche questa risposta gli deve
essere piaciuta. - Non avrete di che
lamentarvi della paga, se fate quello che vi verrà richiesto. Herman replica, perché Hami non pensi che lui possa
avere dei dubbi: - Faremo tutto quello che ci
verrà richiesto, se la paga è adeguata. Hami è soddisfatto.
Rod e Herman pensano che a questo punto sarebbero felici di farlo secco anche se non fosse il loro compito. Lo farebbero anche se Colton gli
dicesse che non devono più farlo. - Benissimo. C’è un’ultima
cosa che dovete fare, qui, prima che parliamo del futuro. - Ci dica. - Dovete preparare un uomo
per l’esecuzione. Herman si chiede che cosa
significhi la frase e Rod formula la domanda. - Di che si tratta? - Tra due ore uccideremo
un prigioniero da cui non abbiamo potuto ottenere la collaborazione che
volevamo. Era comunque destinato a morire. Far fuori un prigioniero
non è il massimo. Chi è quest’uomo? Magari un agente o un uomo politico. In
ogni caso Herman e Rod non hanno molta scelta. - E in che modo dobbiamo
prepararlo? - Ve lo spiegherà Kamal. I due agenti escono.
Mentre camminano per il corridoio, Rod sussurra: - Quello deve metterci un
po’ a crepare. Non voglio una cosa rapida. Herman concorda. Kamal dice loro che
spiegherà tutto davanti all’uomo, perché sappia che cosa lo aspetta. Herman e Rod entrano nella
cella. Il locale ha un’intera parete aperta sul parco, bloccata da una doppia
inferriata, che forma una specie di gabbia. Disteso su una brandina vi è un
uomo, completamente nudo, che si alza quando entrano. Herman e Rod sono
abituati a fingere e a controllare ogni parola, ma a entrambi è venuto alle
labbra il nome del prigioniero: Ahmed Saedi. Evidentemente le notizie
del telegiornale si riferivano al rapimento del responsabile dell’antiterrorismo
in Wadistan e non alla sua uccisione. Peraltro solo
rimandata. - Dovete legarlo in modo
che non possa liberare le mani e mettergli il cappuccio, in modo che non
possa toglierselo. I leoni non lacereranno la pelle del cappuccio, piuttosto
resistente, così la testa non subirà danni e sarà riconoscibile. - Va bene. - Poi lo metterete nella
gabbia esterna. Questa è la chiave. La “gabbia esterna” è lo
spazio creato dalla doppia inferriata che chiude la parete affacciata sul
parco. Mentre parla, Herman cerca
disperatamente di trovare una soluzione, che non vede. Non vuole ammazzare
Ahmed. - Quando dobbiamo
procedere? - Ora. Tra un’ora il capo si metterà alla finestra per assistere.
Azioneremo il comando per aprire l’inferriata esterna e i leoni potranno
infine mangiare. Herman vede con la coda
dell’occhio qualche cosa muoversi e si volta a guardare verso il parco: con
perfetto tempismo è apparsa una leonessa, che si struscia contro le sbarre
della gabbia. Herman sente un brivido corrergli lungo la schiena. - È tutto chiaro? Perfettamente. A Herman
non resta che rispondere: - Sì. Kamal se ne va. Rod, Herman e Ahmed si
guardano. Ahmed sussurra: - Dovete farlo.
L’importante è portare a termine la missione. Rod annuisce. Rimangono in silenzio, incapaci
di trovare le parole. Cercano una soluzione. Devono trovarla. Dieci minuti dopo Rod esce
dalla cella e dice alle guardie che deve parlare subito con il capo. Uno solo
parla un po’ d’inglese. Gli chiede il perché, ma Rod risponde che non può
dirlo. Una delle guardie sale a sentire se Hami
intende riceverlo. Poco dopo torna e lo fa salire. Hami è seduto alla
scrivania. - Che cosa vuoi? Rod fa segno con la testa
in direzione della guardia che lo ha accompagnato e dice: - Posso parlare solo con
lei. - Non credo che Bashir parli l’inglese, comunque… Hami congeda il suo uomo con un gesto. - Allora? - Il prigioniero dice che
intende parlarle. Ha qualche cosa di molto importante da dirle. Non vuole che
nessuno lo sappia. Da quel che ho capito… Rod esita un attimo, poi
conclude: - … c’è un infiltrato
dell’antiterrorismo, qui. Saedi è disposto a
rivelare il suo nome se lei gli promette di lasciarlo in vita. Saedi si è alzato. Si passa una mano sotto il
mento, pensieroso. - Non mi sembra probabile.
Anche se… Hami si interrompe e rimane pensieroso. Dopo
un momento di silenzio, Rod prosegue: - Io ho ritenuto mio
dovere informarla. Forse è solo una manovra per guadagnare mezz’ora di vita,
ma magari… Non so, è lei che deve decidere il da
farsi. Hami preme un tasto di un apparecchio e dice: - I due inglesi mi portano
su il prigioniero. Poi si rivolge a Rod. - Vai a prenderlo. Rod china il capo. Pochi minuti dopo Rod e
Herman risalgono con il prigioniero che già indossa il cappuccio. Sul corpo nudo
è stata gettata una coperta. Rod ci dà dentro a
fottere. Il prigioniero non gradisce le sue attenzioni: anche se il bavaglio
soffoca la voce e il cappuccio non permette di vedere neppure la faccia, è
evidente dal modo in cui il corpo si agita e cerca di sfuggire al palo che lo
infilza. Rod prosegue, senza nessun
riguardo. D’altronde l’uomo sarà sbranato dai leoni tra mezz’ora, per cui non
vale la pena di preoccuparsi tanto per lui. Rod si diverte anche a
stringere un po’ i coglioni. Non un po’: tanto, perché l’uomo ha guizzi
disperati. Rod allora stringe ancora di più. Infine Rod viene. Esce da
lui e Herman prende il suo posto: vedere Rod scopare
gli fa sempre effetto e non intende rimanere a bocca asciutta. Anche lui
entra senza fare i complimenti, con una bella spinta decisa che fa sussultare
il prigioniero. Quando hanno finito,
tirano su il prigioniero. Rod gli afferra ancora i coglioni e questa volta
stringe fino a che non li sente cedere, prima il sinistro, poi il destro.
L’uomo si affloscia a terra, privo di sensi. Rod lo sveglia con un po’
di calci, poi con un coltello incide il ventre, in modo che un po’ di sangue
coli sul cazzo e su quel che rimane dei coglioni. Infine lui e Herman
sollevano di peso l’uomo, lo mettono nella gabbia esterna e richiudono la
porta. Escono dalla cella e dicono che tutto è pronto. Insieme agli altri uomini
di Hami, si mettono a una delle finestre a
osservare la scena. Il capo appare alla finestra dei suoi appartamenti e fa
un cenno. Un pulsante viene premuto e il lato esterno della gabbia si
solleva. Il prigioniero sembra
rendersi conto di ciò che sta per succedere. Si alza. Striscia contro le
sbarre, cercando disperatamente di liberarsi, di trovare una via d’uscita. Due leonesse si stanno
avvicinando. Una delle due salta
addosso al prigioniero, che cade a terra. L’altra, attratta dall’odore del
sangue addenta e lacera. Sì, Ahmed aveva ragione,
non è un bello spettacolo vedere che cosa i leoni affamati possono fare a un
uomo. Le guardie sghignazzano. Forse se sospettassero la verità, non si
divertirebbero tanto. Herman e Rod invece, sapendo la verità, sono ben
contenti di quello che vedono, anche se non sono amanti del genere splatter. Quando lo spettacolo è
finito, una guardia viene a chiamare Herman e Rod: il capo li vuole. I due
salgono. Un’ora dopo il capo dice all’autista di prepararsi. Herman e Rod
scendono con il capo, portando quattro borsoni. Li caricano in macchina. È Herman a dire la
destinazione: una città di cui ha scoperto l’esistenza dieci minuti prima. L’auto si avvia e al primo
bivio prende a salire sulle montagne. Arrivati a un punto da cui si vede la
residenza di Hami, il capo fa un cenno. L’autista
accosta e ferma. Herman, che è seduto dietro di lui, estrae la pistola e gli
spara. L’uomo si accascia sul volante. Herman e Rod scaricano il
corpo e lo nascondono tra le rocce. - Dove ci dirigiamo? Ahmed Saedi
risponde: - Rimaniamo qui. Rod e Herman si guardano,
perplessi, ma il capo dell’antiterrorismo in Wadistan
sa quello che fa. Dieci minuti dopo due aerei
spuntano verso est. Quando sono più vicini, Rod e Herman vedono che non sono
normali aerei, ma droni. Passano sul palazzo di Hami e incominciano a sganciare bombe. In pochi minuti la
residenza è ridotta a un cumulo di macerie. - Hai fatto intervenire i
droni. È una constatazione, più
che una domanda. - Sì, gli Usa sono molto
disponibili a collaborare e abbiamo una loro base non lontano da qui. Ho
comunicato di colpire l’obiettivo alle quattro. - E se qualche cosa fosse andato storto e non avessimo potuto allontanarci? - Distruggere il centro
del terrorismo nel nostro paese era molto più
importante delle nostre vite. Herman e Rod avrebbero da
obiettare, ma dato che nulla è andato storto, non esternano
le loro perplessità. - Ora possiamo andare. Tra
il tablet di Hami, l’hard
disk del suo computer e i documenti che mi sono procurato, credo che potremo
polverizzare il Mansoor come abbiamo polverizzato la sua base centrale. Il boia avrà molto da
fare nei prossimi mesi. Considerando le foto che ha mostrato loro Hami, Rod e
Herman non hanno obiezioni di sorta su questa grande attività del boia. Tre giorni dopo,
nell’ufficio di Ahmed Saedi Rod e Herman celebrano
il successo della loro spedizione. Ahmed si è rimesso dal periodo trascorso
in prigionia, che non è certo stato piacevole. Rod e Herman stanno per
partire. Dopo qualche commento su
ciò che è successo negli ultimi giorni (essenzialmente: il completo
smantellamento della rete del Mansoor), Rod
introduce l’argomento che gli sta a cuore. - A Londra avevamo
lasciato in sospeso un discorso. - Sì, Rod. Direi che
possiamo riprenderlo. Riguardava l’uso di armi…
particolari. Ahmed sorride. Ha un gran
bel sorriso. Poi aggiunge: - Ve ne siete serviti? Rod scuote il capo. - No. Non per nostra iniziativa,
almeno. Ahmed annuisce: - In carcere, vero? È
inevitabile. L’avevamo messo in conto. Herman pensa che avrebbero
almeno potuto dirglielo, visto che i culi da infilzare erano i loro, ma ormai
ha capito che per Ahmed Saedi ciò che conta è la
missione. Il resto viene dopo. Ahmed prosegue: - Spero che non sia stato… troppo spiacevole. Comunque l’incidenza dell’AIDS
nel Wadistan è praticamente nulla, per cui non
dovreste aver corso grandi rischi. Rod incomincia a stufarsi
della conversazione. - Che ne direste di
passare alla parte pratica? E mentre lo dice
incomincia a spogliarsi. Ahmed però gli si avvicina e si mette a spogliarlo
lui. - Credo che in prigione le
guardie fossero molto più interessate al tuo culo che a quello di Herman. O
sbaglio? Herman rimane a bocca
aperta. Rod dice, a denti stretti (lo stupro non lo ha entusiasmato): - Non ti sbagli, ma come
cazzo fai a saperlo? - Rientra nella nostra
mentalità. Inculare un maschio molto vigoroso e molto dotato, dà più
soddisfazione. Ahmed si rivolge a Herman: - Non che tu non vada
benissimo, ma potendo scegliere, Rod è più appetibile. Più maschio. Non credo
che conosciate il Canto di Zohad. Herman e Rod si scambiano
un’occhiata. Herman ha l’impressione di aver già sentito quel nome, ma non
saprebbe dire quando. - È il nostro poema epico.
Zohad è l’eroe nazionale, che lotta contro gli
invasori kirghisi e infine viene catturato. - Glielo mettono in culo? Rod ha azzeccato (quando
si parla di cazzi e culi, è difficile che sbagli). - Sì, quattordici capi,
kirghisi e di altre nazionalità. Non credo che ci siano molti poemi epici in
cui si celebra con un centinaio di versi lo stupro dell’eroe a opera di quattordici maschi vigorosi, prima della sua
esecuzione. Ahmed ha concluso il suo
lavoro: ora Rod è nudo. Anche lui si è dato un po’
da fare, ma per evitare di intralciare Ahmed, si è mosso con maggiore
lentezza e il capo dell’antiterrorismo in Wadistan
è ancora semivestito. Ma Rod, ora che è libero dagli abiti, non ci mette
molto a spogliarlo. Ahmed rimane solo con una spessa catena d’oro al collo,
il Rolex, un anello e un bracciale al polso, pure quelli d’oro: quattro
oggetti che gli sono stati lasciati in eredità, se così si può
dire, da Hami. Ahmed se li è messi quando ha preso il suo posto ed evidentemente ha deciso di
tenerseli. Ahmed si inginocchia
davanti a Rod. Guarda il cazzo dell’agente, che sta rapidamente riempiendosi
di sangue, poi prende in bocca la cappella e l’avvolge con le labbra.
Incomincia a succhiare, con molto gusto, mentre le sue mani si posano sul
culo di Rod e lo stringono vigorosamente. Herman non vorrebbe
rimanere a stecchetto, ma è speranzoso: prima che la prova delle armi
particolari abbia fine, ci sarà pure qualche cosa anche per lui. Non sarebbe
gentile da parte di Rod e Ahmed lasciarlo nel ruolo di osservatore, lui non
fa mica parte dell’ONU. Ahmed succhia con vigore,
avvolgendo la presa il più possibile e poi lasciandola andare. Ben presto il
cazzo di Rod non sta più nella bocca di Ahmed, che si mette a leccarlo, dalla
base alla cappella, poi scende fino ai coglioni, li percorre delicatamente
con la lingua, mentre le sue mani scivolano dietro, fino a che le dita della
destra scorrono lungo il solco. Herman si chiede chi dei due farà la parte di
Zohad e chi quella dei capi kirghisi. Magari
faranno a turno. Lui sarebbe disponibile per entrambe le parti, ma i due
valorosi guerrieri non sono molto interessati al povero Herman. Il cazzo di Rod è ormai
pronto per la sua azione letale, un vero kalashnikov, grande e impaziente di
sparare i suoi colpi. Ahmed lo contempla un
momento, poi annuisce e si alza. Si appoggia alla scrivania, offrendo il culo
a Rod. - Zohad
è pronto. A voi. Rod si avvicina. Sputa sul
culo e con due dita inumidisce bene l’apertura, dilatandola, per prepararla
ad accogliere l’arma. Poi prende dalla tasca un preservativo (Ahmed non
gliel’ha chiesto, ma anche per questo Rod preferisce essere prudente) e se lo
infila. Herman guarda, affascinato, la cappella di Rod avanzare fino a
premere sul buco, forzarlo e poi scomparire dentro il culo di Ahmed, che
contrae il viso in una smorfia di dolore. Intanto Herman ha deciso
che se Rod fa la parte del capo kirghiso, anche lui può recitare nel film: in
fondo i capi erano quattordici. Vero è che se erano tutti come Rod, il povero
Zohad doveva essere mezzo morto dopo la fine della
cerimonia. Herman incomincia a spogliarsi, mentre osserva la scena. Rod avanza fino in fondo.
Ahmed chiude gli occhi e stringe i pugni. Rod gli lascia un momento per
abituarsi alla presenza, alquanto ingombrante, poi prende a lavorare, dandoci
dentro di gran lena. Ahmed ha riaperto gli occhi e sembra respirare a fatica.
Herman osserva: Rod che fotte è sempre uno spettacolo affascinante. Il
kalashnikov affonda nelle viscere del responsabile dell’antiterrorismo e poi
ne esce, per immergersi nuovamente con una spinta vigorosa. Ahmed non riesce
a trattenere un gemito. Rod prosegue,
imperterrito, con la costanza e la potenza di cui ha sempre dato prova. Herman è stufo di aspettare il suo turno: sa,
per diretta esperienza, che con Rod i tempi sono lunghi. Ma i movimenti di
Rod rendono difficile agire su di lui e Ahmed è bloccato in una posizione
poco raggiungibile. Herman ormai è nudo e si
accarezza lentamente. Non che ne abbia bisogno per passare poi all’azione: è
perfettamente pronto. Ma tanto per ingannare il tempo. Quando infine Rod emette
una specie di grugnito e chiude gli occhi, squassato dal piacere che lo
travolge, Herman si avvicina. Si è già infilato il preservativo e non appena
Rod esce, prende il suo posto. Cerca di entrare
lentamente, ma per Ahmed, che deve avere il culo in fiamme, il dolore è
senz’altro forte. Sul suo viso scorrono goccioline di sudore. Herman si ferma. Si gode il calore del culo di Ahmed e la pressione della
carne sulla cappella, mentre le sue mani scorrono sul corpo dell’uomo. Poi
anche Herman si mette al lavoro. Non ha la resistenza e l’arma di Rod, ma
probabilmente in questo momento per Ahmed è preferibile. Herman fa la sua
parte, con cura. Dopo un quarto d’ora di
movimento metodico, Herman sente il piacere dilatarsi ed esplodere. Si
abbandona sul corpo di Ahmed, sudato e appagato. Quando Herman si ritrae,
Ahmed si volta. Ha il cazzo un po’ turgido, ma non duro, e appare pallido. - Cazzo, ragazzi! Sono
davvero armi letali. Avrò male al culo per quindici
giorni. A Zohad il palo dev’essere
sembrato uno scherzo se i kirghisi erano così dotati. - Il palo? - Sì, lo impalarono, dopo. Herman intanto è scivolato
in ginocchio. In fondo il povero Ahmed non è nemmeno venuto: bisogna
rimediare. Herman accoglie la cappella con la bocca e incomincia a lavorare.
Ahmed chiude gli occhi. Herman ci sa fare
(l’abbiamo già detto, ma è la verità) e il cazzo di Ahmed raggiunge presto un
volume e una consistenza di tutto rispetto. Herman prosegue, utilizzando
anche le mani per stuzzicare i coglioni e il buco del culo di Ahmed. E infine
sente in bocca la scarica. Ahmed non lo ha avvertito che stava per venire. A
questo punto Herman inghiotte. Un po’ di seme gli scivola da un angolo della
bocca fin sul mento. Quando si sono rivestiti
tutti e tre, Ahmed consegna a Herman e Rod un libro: è Il canto di Zohad, in versione inglese
(testo wadiri a fronte, ma temiamo che i due agenti
non se ne serviranno), una lussuosa edizione rilegata in pelle. - Questo è un piccolo
ringraziamento per il lavoro che avete svolto. Vi consiglio di leggerlo, vi
servirà. Ahmed fa una breve pausa e
aggiunge: - Gireranno un film su Zohad. - Sì, lo sappiamo, con il
più grande attore wadiri, come cazzo si chiama?
Omar qualche cosa… Ahmed scuote la testa. - Non lo gireranno con
Omar Vastan. Vastan non
girerà più film. Herman non è molto
interessato alla carriera cinematografica degli attori wadiri,
ma ha l’impressione che la faccenda in qualche modo li riguardi. - Come mai? - È morto. Sbranato dai
leoni. Herman intuisce, ma è Rod
a dire: - Cazzo! Era lui Hami? Ahmed annuisce. - Per quello girava sempre
con il viso coperto anche nella base del Mansoor:
chiunque l’avrebbe riconosciuto. - Certo. Herman e Rod guardano
l’orologio: devono andare, tra poche ore partiranno. - È stato un piacere
lavorare con te, Ahmed. In tutti i sensi. Ahmed sorride. - Bene, allora non vi
dispiacerà lavorare ancora insieme. - Ma certo. - A presto
allora. Si salutano e i due agenti
escono. - Rod, hai avuto anche tu
l’impressione che Ahmed abbia in testa qualche cosa per noi due? - Sì. Di sicuro intende
servirsi ancora di noi per qualche impresa. - Se comprende qualche
altra lezione pratica sull’epica wadiri, potrebbe
essere interessante. - Secondo me c’entra
questo volume. O il film. Vastan doveva girare quel
film, no? - Esatto. - Se dobbiamo ancora
lavorare con Ahmed, non mi dispiace. - Speri che ti regali
qualche altro poema epico in wadiri, vero? 2013 |