Il bar di Luca

 

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È diventato buio. Non sono neanche le sei ed è già notte. Fa freddo, un freddo che mi entra dentro, anche se sono ben coperto. Ma sono in giro da quattro ore. Continuo a camminare, senza nessuna meta. So che questo mio vagabondare non ha nessun senso. Ma che cosa potrei fare? Che cosa avrebbe senso? Scendere al Po e buttarmi in acqua, forse.

Potrei tornare al commissariato e chiedere l’aiuto che mi è stato offerto questa mattina, ma non cambierebbe molto. Anche se mi trovassero una struttura per qualche tempo, sarebbe solo un modo per rimandare il momento in cui mi troverò in mezzo a una strada.

I Giardini Reali hanno ancora qualche spruzzo di neve. Guardo gli alberi e mi chiedo se anche lì qualcuno va a stendersi la notte. Rabbrividisco. Devo entrare in un bar e prendere qualche cosa di caldo. Risalgo via Rossini e raggiungo la Cavallerizza. Una sera, andando al cinema, sono passato di lì. Ci sono i barboni che dormono sotto i portici. Mi accetterebbero tra di loro se mi presentassi? Non credo proprio. E anche se mi accettassero? Dove troverei i soldi per mangiare? Di chiedere l’elemosina, no, non me la sento. Come mi coprirei la notte? Posseggo solo quello che ho addosso: gli abiti invernali e 32 euro, quello che avevo in tasca questa mattina quando sono uscito di casa. Perché non ho atteso mezz’ora prima di uscire? O perché non sono uscito prima e rientrato per mezzogiorno, quando il postino ha suonato il campanello dell’inquilino del piano di sotto e la sua abitazione, satura di gas, è saltata in aria?

Adesso sarei morto nel crollo o nell’incendio che ne è seguito. Il suicidio del vicino avrebbe fatto un’altra vittima, il sottoscritto, e i miei problemi sarebbero tutti risolti. Definitivamente.

Il conto in banca non esiste: l’ho chiuso un mese fa, per ridurre le spese, visto che ero senza lavoro da ottobre. Ho ritirato quello che mi era rimasto e in casa avevo i 1300 euro che, insieme ai vestiti e a qualche mobile, era tutto quanto possedevo. Ora ho 32 euro e non mi basteranno neppure per trovare un posto per dormire questa notte. Dovrei rivolgermi agli amici, ma non ne ho. Dopo che mio padre mi ha sbattuto fuori di casa (per lui, pure della Lega, un figlio frocio era quanto di peggio potesse immaginare), ho lasciato il paese. Quando la ditta di Pisa ha chiuso, mi sono trasferito a Torino, ma il lavoro è durato sei mesi. A chi posso rivolgermi? Gli amici del paese li ho persi, perché non ci sono mai più tornato. A Pisa non ho stretto delle vere amicizie. Qui a Torino non ho fatto in tempo e in ogni caso i miei ex-colleghi sono disoccupati come me.

In conclusione: niente famiglia, niente amici, niente lavoro, niente casa, niente abiti di ricambio, 32 euro. Detesto compatirmi, ma ho la precisa sensazione di essere scalognato.

Devo andare in un bar: mangiare qualche cosa e soprattutto stare un po’ al caldo. Penso al bar di Luca.

Rivedo Luca.

Mi piace Luca, mi piace molto. O forse dovrei dire che mi piaceva. Non l’ho più visto da novembre. Forse stava nascendo una storia, anche se non ci eravamo neppure sfiorati. Ma quando lui non era occupato a servire i clienti, parlavamo e ci sorridevamo. Stava davvero nascendo qualche cosa.

Sono stato io a tirarmi indietro, a scomparire, quando ho capito che ero di nuovo senza lavoro, con il culo a terra e nessuna possibilità di venirne fuori. Non volevo trovarmi a dipendere da lui, a scroccargli una birra la sera o magari un panino quando saltavo cena.

Così ho incominciato a cambiare strada al ritorno dal lavoro (Luca è quasi sempre al bar da mezzogiorno alla chiusura, verso le otto). Non ho cambiato bar: i soldi per prendermi un caffè non li avevo più.

Che cosa avrà pensato Luca? Niente, che sono uno stronzo e basta. Se mi mettessi a chiedere l’elemosina, magari un giorno mi passerebbe davanti e mi vedrebbe… Cazzo! Sarebbe meglio che mi gettassi nel Po, davvero.

Devo sedermi e bere qualche cosa di caldo. Di mangiare posso fare a meno: ho già mangiato il pane che avevo comprato questa mattina. L’unica è proprio cercarmi un bar. Ma ancora esito. Ho paura di intaccare i miei 32 euro, come se mantenendo intatta questa cifra avessi qualche possibilità di cavarmela.

Sto andando verso casa mia, che non esiste più: l’intero palazzo è stato sgombrato, anche se i danni seri sono stati solo al quarto piano, quello del suicida, e al quinto, il mio, dalla mia parte. Chissà dove si sono sistemati i vicini? Al commissariato si sono offerti di trovare una sistemazione provvisoria. Avrei dovuto accettare. Almeno avrei rimandato di qualche giorno il problema, avrei avuto un tetto, un letto e un pasto caldo. Per qualche giorno. Ma qualche cosa ha ceduto e me ne sono andato.

Sono arrivato a un isolato dal bar di Luca. Vorrei vederlo ancora una volta. E se voglio vederlo deve essere oggi, perché domani, dopo aver dormito per terra, i miei abiti avranno già incominciato a trasformarsi in stracci.

Non me la sento. Mi fa stare male.

Volto in una via secondaria e cammino ancora. Non ce la faccio più. Ho freddo e sono stanco. Le gambe non mi reggono. In via Garibaldi ci sono le panchine. Ne raggiungo una e mi siedo. Ma fa troppo freddo per rimanere a lungo fermo. Mi piego in due, stravolto dalla sofferenza.

Devo andare al cesso. Ce n’è uno in piazza Statuto, a pagamento. Costa sempre meno che prendere qualche cosa al bar.

Quando esco dal cesso mi sembra che sia ancora più buio e più freddo. Non ce la faccio più. Credo che se fossi più vicino al Po, andrei davvero a gettarmi in acqua, per farla finita. Ma adesso dovrei percorrere troppa strada. Sono stanco.

Sono fermo davanti al cesso, ma non posso continuare a rimanere immobile. Fa troppo freddo. Mi dirigo di nuovo verso quella che era la mia casa.

C’è parecchia gente in giro, ma non è strano: la gente esce dal lavoro e torna a casa. Chi ha una casa. Sono di nuovo vicino al bar di Luca.

Raggiungo rapidamente la porta ed entro. L’ho fatto senza ragionare. Mi prenderò qualche cosa di caldo, mi riposerò, vedrò Luca ancora una volta, parlerò ancora con lui, se non è incazzato con me per come sono scomparso, poi darò i miei ultimi soldi a qualche barbone e andrò a gettarmi nel Po.

Ma mentre lo penso, mi dico che non avrò il coraggio di farlo. Il coraggio no, la disperazione sì.

- Lorenzo! Sono contento di vederti.

Luca sta servendo due clienti a un tavolo. Mi si avvicina.

- Ho saputo della tua casa. Avrei voluto cercarti, ma non sapevo dove trovarti.

Quasi mi vengono le lacrime agli occhi. Luca non ce l’ha con me per come sono scomparso e si è preoccupato per me quando ha saputo dell’incendio della casa (non è strano che l’abbia saputo: casa mia è a pochi isolati di distanza).

Non riesco a parlare, ma mi faccio forza. Nel bar ci sono diverse persone, ma nessuno sembra badare a noi, per cui gli dico.

- Scusa, Luca, se non sono più passato.

Non riesco ad aggiungere altro. Lui forse coglie la mia tensione e la mia stanchezza e mi sorride:

- Siediti, Lorenzo. Intanto ti porto qualche cosa di caldo. Sembri congelato.

- Grazie, Luca. Una bella cioccolata calda che è quello che mi ci vuole, direi.

- Però prometti che ti fermi. Voglio parlarti un po’, con calma.

- Sì, volentieri.

Non ho nessun posto in cui andare e parlo volentieri con Luca. Ma cercherò di non fargli capire la mia situazione.

Luca mi fa accomodare in un angolo, dove c’è il sedile imbottito che corre lungo la parete. Un posto comodo. Appoggio la schiena e mi viene da chiudere gli occhi e dormire. Luca serve altri clienti e poco dopo arriva con una cioccolata.

- Grazie.

Mi tolgo il giaccone. Sto bene qui, al caldo. Guardo Luca che ora è al banco. Mi piace, Luca. Mi è sempre piaciuto. Ha un viso dolce e un bel sorriso. Ha più o meno la mia età e anche lui non ha avuto una vita facile: ha perso prestissimo la madre e il padre è morto quando lui aveva appena diciotto anni e stava finendo l’alberghiero. Il bar era di proprietà dei suoi, così lui ha preso il loro posto, prima con un unico cameriere adesso con due.

Chiudo gli occhi. La voce di Luca mi riscuote:

- Bevi la cioccolata, Lorenzo, altrimenti si raffredda.

Mi sono addormentato, sì. Assurdo. Questa notte ho dormito. Ma il freddo mi è entrato nelle ossa e adesso sono intontito.

Prendo la tazza e la porto alle labbra. È bella calda e la bevo con piacere. Mi trasmette una sensazione di calore. Guardo Luca e penso che forse avremmo potuto davvero combinare qualche cosa, io e lui. Ma nessuno dei due è molto intraprendente, siamo cauti, abbiamo paura di farci male. O forse sono solo io che mi immagino che anche Luca sia così. Magari lui è del tutto diverso e non era molto interessato a me.

Nel bar c’è parecchia gente. Il bar di Luca è sempre pieno, soprattutto il mattino: c’è la gente del mercato, vecchi clienti che venivano qui quando c’erano ancora i suoi genitori, gente che va a fare la spesa a Porta Palazzo, immigrati. Nel pomeriggio è meno affollato, a parte il sabato, ma non è mai vuoto. Luca è gentile con tutti, ma sa anche essere molto fermo, se necessario: una dote importante in un bar come questo, porto di mare frequentato da un’umanità molto varia. Il bar è una piccola oasi di pace e questa sera lo avverto in modo ancora più forte. Ho fatto bene a venire qui. Guardo l’orologio: ho più di un’ora di pace e calore, prima di sprofondare nella notte. Mi piacerebbe parlare con Luca, ma è molto indaffarato: c’è sempre gente che arriva, consuma e se ne va.

Forse è meglio così. Lo guardo e quando i nostri occhi si incrociano, ci sorridiamo. Vorrei che il mio cuore si fermasse ora, nella serenità di questo momento.

Il bar incomincia a svuotarsi. Luca sistema le cose. Non si è avvicinato.

È ora che me ne vada. Il pensiero di staccarmi da questo rifugio è doloroso, ma devo farlo. Mi alzo. Luca è alla cassa; quando mi avvicino e tiro fuori il portafogli per pagare, mi dice:

- Scherzi? La cioccolata te l’offro io.

Insisto, ma lui non si lascia convincere, per cui ci rinuncio. Luca aggiuge:

- Torna a sederti, Lorenzo. Ne ho ancora per un po’.

- Ma tra poco chiudi.

- Appunto, così potremo parlarci tranquillamente.

Luca sorride. Io annuisco. L’idea di avere ancora un po’ di tempo mi fa piacere, anche se non vorrei più parlare con Luca: ho paura di non riuscire a nascondergli la verità e non voglio chiedergli aiuto.

Mi risiedo. Quando l’ultimo cliente è uscito, Luca tira giù a metà la saracinesca e si mette a pulire il locale. Ammiro la sua rapidità e la sua efficienza: ho sempre detestato fare le pulizie e sono una frana. In venti minuti lui pulisce pavimento, tavole, sedie, bancone. Mi aspettavo che si sedesse con me e parlassimo, ma evidentemente prima vuole finire il lavoro.

Si volge verso di me e mi dice:

- Andiamo.

Pensavo che avremmo parlato qui. Dove pensa di andare? Ma lui intanto ha tirato su la saracinesca e adesso mi aspetta sulla porta. Lo raggiungo e gli chiedo:

- Dove andiamo? In un altro bar dove fanno un caffè migliore?

Lui ride alla mia battuta e dice:

- A casa mia: ho una fame da lupo e mi tieni compagnia a cena. Così mi racconti.

Sono spaventato. Raccontargli sarebbe chiedere aiuto e non voglio farlo. Perché? Che c’è di male a chiedere aiuto? Non a Luca, non a lui che mi piace, con cui mi sarebbe piaciuto costruire un progetto di vita. Non voglio usarlo come una stampella. Non ho nessun altro a cui chiedere. E allora?

Sto seguendo Luca, che intanto ha raggiunto l’auto. Luca abita abbastanza lontano, in una casa di sua proprietà, a Santa Rita, un quartiere popolare, ma non povero.

Appena siamo saliti, Luca mi dice:

- Sono contento che tu sia venuto al bar, Lorenzo. Quando mi hanno raccontato della casa e ho capito che era la tua, mi sono preoccupato. Ho perfino…

Si blocca, conscio di aver detto qualche cosa di troppo. Allora gli chiedo:

- Perfino che cosa?

Luca è in imbarazzo, ma mi risponde:

- Per un momento ho temuto che il suicida fossi tu, ma per fortuna mi hanno detto che era un pensionato. Però, sapendo che eri senza lavoro… non l’hai trovato, vero?

Scuoto la testa.

- Va bene, tra un quarto d’ora siamo a casa. Non ci vedo più dalla fame.

- Non puoi mangiarti qualcuno dei tuoi panini al bar? O sono talmente schifidi che preferisci evitare?

Cerco di ritrovare la mia ironia, che da tempo sta svanendo insieme a ogni progetto di futuro. Luca ride.

- Stronzo! Se mi metto a mangiare al bar quando sono affamato, è un casino. A parte il fatto che di sicuro arriva subito un cliente, finisce che mi ingozzo e non è sano. Non voglio finire obeso. Già così non mi vuole nessuno, figurati una volta che ho la pancia.

Ride ancora.

In un’altra situazione, la battuta finale di Luca mi aprirebbe tutta una serie di possibilità e non mi stupirei che Luca l’avesse lanciata apposta, ma adesso no, non ha più senso. In ogni caso, che non lo voglia nessuno, non è proprio possibile: non sarà un apollo, ma è tutt’altro che brutto.

In auto fa freddo, ma sono ben coperto e al bar mi sono scongelato. In casa di Luca c’è un tepore che mi avvolge.

- Luca, non voglio scroccarti anche una cena.

Luca scuote la testa.

- Allora collabora, così te la guadagni. Posate nel primo cassetto, piatti là sotto e bicchieri lì sopra.

Mentre Luca mette sul fuoco l’acqua per la pasta, mi indica dove trovare tutto l’occorrente per preparare la tavola.

Intanto mi chiede della casa. Gli racconto. Non che ci sia molto da dire. Il pensionato lo conoscevo appena, ci salutavamo per le scale. Non mi ero neanche accorto che fosse depresso: probabilmente sono talmente concentrato sui miei problemi che non bado agli altri. Una volta non ero così. Ma una volta avevo un lavoro e dei sogni.

- E cosa hanno fatto per le famiglie rimaste senza casa?

- Ci hanno offerto una sistemazione per qualche tempo.

- Allora telefona che questa notte ti fermi qui.

- No, Luca, non voglio approfittare.

- Pazienza, approfitterai anche se non lo vuoi. Telefona per avvisare. Tanto di qui non esci: chiudo a chiave la porta e non credo che dal quarto piano uscirai attraverso la finestra.

Tiro fuori il telefonino. Non so bene che fare. Io me ne sono andato senza dire nulla, stupidamente. Ero troppo scoraggiato. Accendo il telefonino. Arrivano in successione diversi messaggi, da due numeri che non conosco: sono tutte chiamate a cui non ho risposto, perché ho tenuto il telefono spento.

Luca sorride.

- Sei un uomo molto ricercato.

- Non so neanche chi siano questi che mi chiamano.

Luca alza le spalle.

- Hai il numero del posto dove devi andare a dormire?

- No.

- Come si chiama? Lo troviamo su Internet.

Non dico nulla. Mi sento bloccato in un angolo. Luca ha un’espressione preoccupata.

- Lorenzo…

Mi salva il mio cellulare, che si mette a suonare. Non conosco il numero: è uno di quelli da cui sono partite diverse chiamate nel pomeriggio. Rispondo.

- Pronto.

- Signor Padoan? Sono Mattia Farassi, l’agente con cui ha parlato questa mattina. Se n’è andato prima che io le dessi le indicazioni per questa notte.

Mi stupisce che l’agente si sia preoccupato per me.

- Sì, è vero.

- Ha un posto per dormire oggi e nei prossimi giorni?

Faccio fatica a formulare una risposta. Dico:

- Un amico si è offerto di ospitarmi questa notte.

- Signor Padoan, mi sta dicendo la verità?

- Sì, sì, è vero.

- Questa mattina era sconvolto e lo capisco benissimo, nella sua situazione.

- No, guardi, sono a casa di questo amico, è vero.

Interviene Luca, che ha capito di che cosa si tratta:

- Passamelo, Lorenzo.

- Guardi, glielo passo.

Luca e l’agente parlano un buon momento. Luca ribadisce che per i prossimi giorni io dormirò qui, “con le buone o con le cattive”, fornisce l’indirizzo e promette che ripasserò in commissariato. Poi saluta e chiude la chiamata.

- Una gran bella persona, questo agente. Si è preoccupato per te e ti ha cercato molte volte, anche dopo aver smontato.

C’è un momento di pausa, poi Luca dice:

- Non ti chiedo perché non hai voluto l’indirizzo della struttura che ti avrebbe accolto questa notte. Non ti chiedo che cosa intendevi fare. Però tu mi prometti di fermarti qui per un po’ di tempo e di non fare cazzate. D’accordo?

Vorrei dire a Luca che non voglio accettare, ma non riesco a parlare. Le lacrime incominciano a scorrere. Riesco solo a fare cenno di sì con la testa.

Luca mi lascia piangere. Non dice niente: anche lui è in imbarazzo. Si limita a posare la sua mano sulla mia e a stringerla. Quando le lacrime smettono di scendere, mi asciugo gli occhi.

- Scusa, Luca. Non avrei voluto… Ma in questi giorni sono teso e il colpo di oggi…

Mi fermo di nuovo: so che rischio di riprendere a piangere.

- Di che ti scusi? Mi spiace vederti in queste condizioni, ma cercheremo una soluzione.

Annuisco. So che non esiste una soluzione, ma l’ottimismo di Luca mi fa bene.

Intanto la pasta è pronta e ci mettiamo a mangiare: questo ci permette di ridurre l’imbarazzo. Parliamo solo del cibo: la pasta ha un sugo squisito e l’insalata mista che Luca ha preparato è tanto bella d’aspetto quanto buona da mangiare.

Quando abbiamo finito, Luca dice:

- Mi spiace, ma non ho un dolce.

- Questa è una grave pecca.

- Non ne tengo mai: sono troppo goloso e finirei per sbafarmeli tutti.

- Ti preoccupi molto della tua linea, a quanto vedo.

- Lorenzo, ho trent’anni e ho già la pancetta. Non è un grande problema, ma preferisco controllare un po’ quello che mangio.

- Mi avevi detto che andavi in palestra, no?

- Sì, mi tengo in esercizio il mattino, ma purtroppo non sono uno di quelli che mangiano a quattro palmenti e sono sempre magri come un chiodo. Mi sembra che per ingrassare mi basti guardare il cibo.

Ho l’impressione che continui a parlare di cibo per distrarmi dai miei problemi e gli sono grato della sua attenzione.

Dopo cena arriva il momento di fare il punto della situazione. È presto fatto:

- Niente lavoro, niente casa, niente vestiti, a parte quelli che ho addosso, nessuna proprietà, niente auto, niente conto in banca, 32 euro in tasca.

Luca sorride e dice:

- Va bene, hai di che pagare la cena che hai consumato. Non ti resterà abbastanza per lasciare la mancia al cameriere, però.

- La mancia non si usa più. E poi la tavola l’ho preparata io.

- Tirchio!

Luca riflette un attimo e poi dice:

- Una casa ce l’hai: la mia camera da ragazzo è diventata la camera degli ospiti e ora ho un ospite. Qui puoi mangiare, magari cucinando tu ogni tanto, così torno a casa e trovo la cena pronta. Per i vestiti, mi sa che i miei non ti vadano bene: sei troppo lungo. Domani mattina facciamo un giro per negozi e compriamo il necessario.

- No, Luca, non se ne parla neanche.

- Non ho nessuna intenzione di avere in casa uno che puzza perché ha sempre addosso le stesse cose. Il computer c’è e puoi mandare il tuo curriculum a destra e a manca.

- Credo che ormai il mio curriculum lo abbiano tutti, dall’ONU alle associazioni dei senza fissa dimora. Manca solo che lo mandi a qualche casa cinematografica che gira film porno.

- Non te lo consiglio. Chi vuoi che ti prenda?

Sorrido. Luca è riuscito a strapparmi un sorriso. Gli sono grato anche di questo.

Luca riprende:

- Qualche lavoro saltuario al mercato te lo trovo: conosco tutti. Vuol dire lavori pesanti e paga da fame, ma almeno potrai guadagnare due spiccioli e non stare tutto il giorno in ozio.

- Per me va bene qualunque cosa.

- In nero, ovviamente. Ma tanto non credo che tu intenda mettere nel tuo curriculum l’esperienza fatta a scaricare cassette di verdura.

Parliamo ancora un po’, poi prepariamo il mio letto e infine ci mettiamo davanti al televisore. Mi addormento di nuovo: la tensione della giornata si è trasformata in una stanchezza senza fine. Luca mi sveglia verso mezzanotte, consigliandomi di andare a letto. Ha tirato fuori per me un asciugamano e un pigiama, che mi va corto, come ha previsto.

Mi faccio una doccia (ho anche un “mio” bagno, in quanto la casa di Luca ha i doppi servizi) e vado a letto. Mi addormento subito.

 

Il mattino Luca mi trascina a fare acquisti di vestiario. Io sono riluttante, ma Luca mi dice che si farà restituire i soldi fino all’ultimo centesimo quando avrò vinto al lotto (afferma perentorio che giocheremo tutte le settimane insieme). Nel pomeriggio, mentre Luca è al lavoro, ripasso in commissariato e riparlo con l’agente. Mattia Farassi è davvero una bella persona, come ha detto Luca. Non che abbia molto da offrirmi, a parte un bel sorriso, una grande attenzione e una serie di consigli pratici. In effetti non avevo pensato ai problemi legati alle bollette, all’affitto (ho diritto a riavere dal padrone di casa la cauzione versata, in quanto la distruzione dell’alloggio non è certo colpa mia) e ad altre faccende.

Chiacchieriamo un buon momento. Poi ci salutiamo, stringendoci la mano. Lui mi lascia il suo numero di cellulare, caso mai avessi bisogno di qualche cosa quando lui non è in servizio. A casa (di Luca) mi metto in contatto con il proprietario dell’appartamento in cui vivevo. È una persona molto corretta e non fa storie per restituirmi la cauzione, anche se si lamenta a lungo dell’accaduto. Lo capisco perfettamente: era l’unico alloggio che possedeva, oltre al proprio, e adesso ha perso questa fonte di reddito. Nessuno dei due può essere contento.

 

Ho preparato la cena e spero sia decente: me la cavo ai fornelli, avendo incominciato a vivere da solo a vent’anni, ma non sono certo un esperto. Luca invece lo è: brutta cosa cucinare per uno che ha frequentato l’istituto alberghiero e che apprezza la buona tavola.

Luca arriva a casa, si dimostra entusiasta all’idea di trovare la cena pronta e sicuro che sarà ottima. Poi, mentre mangiamo (e lui mi fa complimenti del tutto immeritati), mi informa che questa sera mi converrà andare a letto presto perché domani mattina incomincio a lavorare alle sei.

- Il lavoro è come ti ho detto: fatichi tanto e ti danno poco. Se preferisci aspettare a riprendere, mi basta dare un colpo di telefono.

- No, va benissimo.

Preferisco davvero incominciare subito, per non avere la sensazione di vivere del tutto a sbafo. 

Luca mi fornisce i dettagli. Poi aggiunge:

- Troverò di meglio, ma ho capito che vuoi darti da fare senza perdere tempo. E questo è quanto c’è.

Il mattino dopo inizio il mio nuovo lavoro. Nessun contratto, naturalmente, ma almeno so che verrò pagato regolarmente (e poco). Il freddo è bestiale, ma non sto fermo a lungo. Lavoro due ore, ricevo la paga e passo da Luca, che insiste per offrirmi una seconda colazione.

 

Passano i giorni, le settimane e anche i mesi. La primavera arriva. Io sono abbastanza sereno. Faccio ogni giorno un sacco di esercizio fisico, senza dover pagare la palestra, e guadagno una miseria, ma ho una casa, che non mi costa niente. Do a Luca una piccola cifra solo per il vitto: lui dice che il riscaldamento lo pagherebbe lo stesso, indipendentemente dalla mia presenza, e che anche per mangiare non spende quasi niente, perché al mercato ottiene tutto a basso prezzo e spesso gli regalano anche del cibo. So benissimo che i suoi conti sono fasulli, ma i soldi del lavoro sono proprio pochi, per cui non insisto. Nel pomeriggio spesso ho altri lavoretti nella zona del mercato: Luca ha messo in giro la voce e funziona meglio di un’agenzia di collocamento. Ogni tanto mando il mio curriculum in giro senza ottenere neanche una risposta.

Con Luca sto benissimo. Chiacchieriamo e scherziamo spesso, la sera. Non è nata una storia e mi va bene così. Ho un amico, con cui posso confidarmi. Gli ho detto che sono gay e anche lui mi ha rivelato di esserlo e non c’è stato altro. Nessuno dei due ha preso un’iniziativa. Anche se non scopo da mesi, non voglio fare nulla che possa incrinare questo rapporto.

 

Ad aprile, quasi tre mesi dopo la distruzione del mio appartamento, Luca mi avvisa che avremo un ospite a cena, la domenica: se deve invitare qualcuno, lo fa sempre nei giorni festivi, quando è libero. Penso che sia un amico suo, ma è invece l’agente Mattia Farassi, che è passato dal bar di Luca e ha chiesto mie notizie. Luca ha deciso di invitarlo a cena.

- Secondo me gli piaci.

- Ma figurati, mi ha visto due volte!

- E comunque è una bella persona.

- È la seconda volta che me lo dici. Incomincio a pensare che lui piaccia a te.

- In effetti, mi aveva fatto una gran bella impressione al telefono e quando è passato al bar… è proprio carino.

- Ma allora questa sera faccio il terzo incomodo.

- Ma no, che dici, fai da… collezione di farfalle, no? Una volta si invitavano le ragazze con la scusa di far vedere la collezione di farfalle. Io ho invitato Mattia dicendogli che così avrebbe visto te…

Ridiamo tutti e due. Poi dico:

- Pure il candeliere mi tocca fare…

Mentre aiuto Luca a preparare, rifletto un po’ sulla situazione. E se Mattia è davvero gay e gli piace Luca? Sarei davvero di troppo e non solo questa sera, ma tutte le volte che loro due vorrebbero vedersi. E se poi si mettessero insieme? Dovrei andarmene. La casa di Luca è molto grande, ma due che si sono appena messi insieme hanno bisogno di un po’ di intimità. Non guadagno abbastanza per affittare un appartamento, al massimo una soffitta in comproprietà e l’idea non mi entusiasma, anche se mi rendo conto che è sempre meglio di niente.

Sono inquieto, ma cerco di nascondere la mia agitazione. Ogni tanto guardo Luca. A un certo punto lui se ne accorge. Mi sorride e mi dice:

- Che hai, Lorenzo? Mi sembri preoccupato.

- Niente, niente. Non so bene come fare a scomparire se le cose promettono bene tra voi due.

- Ti do la chiave della cantina. Ti porti giù una coperta e sei a posto.

- Stronzo!

Ridiamo di nuovo, ma io non rido di cuore. In questi mesi sono vissuto senza pensare al futuro: solo così sono riuscito a tirare avanti. I lavoretti che mi procura Luca (e quelli che mi procuro io: al mercato ormai mi conoscono e non faccio fatica a trovare qualche cosa) mi aiutano a sopravvivere, in attesa di qualche cosa di meglio. La casa di Luca, ampia e comoda, mi offre il calore di un riparo e l’amicizia di Luca il sostegno di cui ho bisogno. Ma adesso mi sembra che tutto questo sia minacciato e mi rendo conto di quanto precaria sia la mia situazione.

In qualche modo Luca ha colto la mia inquietudine, perché mi dice:

- Non so nemmeno se è gay, Lorenzo. E in ogni caso non intendo saltargli addosso questa sera. Per cui non c’è problema.

- E se lui rimane affascinato da te?

- Sììììì! Me lo vedo proprio. Mal che vada, gli propongo una cosa a tre…

Non ho mai fatto “una cosa a tre”. Sono sempre stato imbranato per quanto riguarda il sesso. Guardo Luca, con un sorriso da deficiente. Lui scoppia a ridere:

- Scherzavo, dai! Mattia mi sembra uno serio. Una cosa a tre gliela proponiamo solo la seconda volta che viene.

Scuoto la testa.

- Sei senza speranza!

Non è una gran risposta, ma altro non mi viene.

La domenica Mattia arriva puntuale. È davvero un bel ragazzo, con un sorriso molto dolce. Luca propone subito di darci del tu e ci sediamo a tavola. Io sono a disagio: mi sento il classico pesce fuor d’acqua. Parteciperei poco alla conversazione, se Mattia non si rivolgesse spesso a me. Mi chiede dei miei progetti, su cui posso dire ben poco. Anche quando si parla di cinema, che a Mattia piace molto, sono tagliato fuori: non ci vado più, avevo già smesso molto prima di perdere la casa, era una spesa che non potevo permettermi. Finisce che parliamo un po’ di televisione e poi di politica. Incomincia una discussione animata tra Luca e Mattia, sostenitore del PD l’uno, grillino convinto l’altro. Io li guardo, ma è come se stessi vedendo un dibattito in TV. Loro due però non ci stanno e mi coinvolgono, chiedendomi che cosa ne penso. Io non so che cosa dire. Loro riprendono a discutere.

Dopo cena ci sediamo in salotto. Io vorrei ritirarmi in camera mia: mi rendo conto che i miei silenzi creano imbarazzo. Cerco di vincermi e ogni tanto dico qualche parola.

Quando Mattia se ne va, Lorenzo si avvicina, mi abbraccia e mi dice:

- Non te la prendere, Luca. Questo periodo finirà. Te lo garantisco.

Il suo abbraccio e le sue parole mi fanno bene, ma in camera ripenso ancora alla serata e mi sento a disagio.

 

Nella settimana successiva Luca mi telefona due volte per dirmi che non torna a casa. Sospetto che abbia qualche incontro, ma non voglio mostrarmi curioso, per cui non gli dico niente. Le uscite serali di Luca diventano molto più frequenti. Non gli chiedo e lui si limita a dirmi che forse si sta innamorando. Anche se non me l’avesse detto, l’avrei capito da me: c’è nei suoi occhi una luce nuova. Sono contento per lui, anche se mi pongo problemi per il mio futuro. E devo dire che quando torno nella casa vuota, sento la sua mancanza.

Credo che si tratti del poliziotto, perché in diverse occasioni sento Luca rispondere al telefono e dire il nome di Mattia.

Un’altra novità arriva a maggio, quando Luca mi dice che vuole che io incontri un uomo che ha un negozio vicino al mercato. Costui sospetta che il suo commercialista lo imbrogli e Luca gli ha detto che io sono in grado di controllare i conti. In effetti nella ditta per cui ho lavorato qui a Torino mi occupavo anche delle dichiarazioni delle tasse.

Luca mi presenta Antonino Mirandola, che è sui trentacinque-quaranta, capelli rasati cortissimi, barba pure molto corta sul rossiccio e un viso non bello, ma con due occhi azzurri che mi incantano. Ha un fisico massiccio e scopro che gioca a rugby.

- Luca mi ha detto che sei bravo e io di Luca mi fido. Del mio commercialista no, ormai sono convinto che sia un figlio di puttana. Verificami questi conti. Mi dici tu quello che vuoi che ti paghi per il lavoro.

Vorrei dirgli che fa male a fidarsi di Luca, perché lui non può sapere se sono bravo o no, ma credo di sapermela cavare.

Lavoro due pomeriggi sui suoi conti, verificando su Internet se ci sono stati cambiamenti nelle normative rispetto a un anno fa. C’è poco da dire: Mirandola ha visto giusto, il suo commercialista è un figlio di puttana, che vuole farsi versare un assegno che è il doppio di quello che effettivamente Mirandola deve al fisco. Poi probabilmente lui si terrà la parte in eccedenza. Per inciso, non si tratta di noccioline, perché Mirandola di negozi ne ha tre e, tra quelli, una piccola impresa di trasporti e le due case (non appartamenti) di sua proprietà a Torino, guadagna un casino.

Gli presento tutta la situazione. Lui mi fa un terzo grado, per sincerarsi che io abbia tenuto conto di tutto, poi batte il pugno sul tavolo.

- Cazzo! A quello spacco la faccia.

Se gli molla un pugno del genere in faccia, “quello” si trova il naso infilato nella nuca.

Gli chiedo da quanto tempo ha questo commercialista. Risulta che va in quello studio da dodici anni, ma che fino a due anni fa l’attività era gestita dal padre dell’attuale responsabile. Gli chiedo se vuole farmi vedere anche i conti degli anni precedenti.

- Certo!

Mi passa i diversi incartamenti in suo possesso. Altri due pomeriggi di lavoro per verificare che i conti di due anni fa sono in regola, quelli dell’anno scorso hanno una maggiorazione del 30%.

Quando gli presento il tutto, lui mi chiede se posso accompagnarlo dal commercialista. Gli dico di sì. Telefona al tizio in mia presenza. Non gli spiega il motivo per cui vuole un colloquio e non lascia trapelare la sua rabbia. L’altro fissa l’incontro per domani nel primo pomeriggio. Lui riattacca.

- Lorenzo, Luca mi aveva detto che sei in gamba e come al solito ha ragione. Sono molto contento del lavoro che hai fatto.

L’incontro del giorno dopo non è piacevolissimo per me: le situazioni di forte tensione mi danno fastidio. Il commercialista prima nega, ma quando gli dico di farmi vedere le ricevute degli avvenuti pagamenti incomincia a balbettare. Dice che sono in archivio, che adesso non può tirarle fuori.

Mirandola si alza, lo afferra per il bavero e gli sibila:

- Senti, pezzo di merda. Tu fai portare subito qui dalla tua fottuta segretaria tutti i miei incartamenti, per quest’anno e l’anno scorso, altrimenti prima ti spacco la faccia e il culo, poi ti denuncio alla polizia.

Il commercialista cede, di certo perché convinto dalla dialettica di Nino.

Basta guardare le ricevute dei pagamenti per vedere che la cifra versata è inferiore a quella che Mirandola ha pagato. I miei conti si rivelano esatti. Anche per quest’anno il calcolo reale è di molto inferiore alla cifra richiesta.

Il commercialista piagnucola, dice che ha avuto dei grossi problemi, ma Nino lo interrompe.

- Piantala, pezzo di merda. Adesso mi fai un assegno di quello che mi devi e ringrazia il cielo se non ti denuncio. Lorenzo, per favore, fa’ tu il calcolo.

Il calcolo è presto fatto e il commercialista firma l’assegno. Usciamo con l’incartamento. Quando siamo fuori, Mirandola mi propone di andare al bar di Luca.

È un momento di grande affluenza. Mirandola racconta a Luca i dettagli della storia, a voce piuttosto alta. Parecchi fanno domande. Mirandola dice che io sono un genio e che il dottor Pia, il commercialista, è un figlio di puttana. Credo che abbia raccontato tutto in questo modo per far circolare la voce: non ha voglia di andare alla polizia, ma intende comunque rovinare il commercialista. Nella zona conoscono tutti il dottor Pia, perché ha lo studio qui vicino, e di sicuro in pochi giorni la faccenda avrà fatto il giro del mercato e quindi di mezza Torino.

Io sono contento, un po’ perché ho fatto un lavoro che finalmente corrisponde alla mia preparazione e ho svolto bene il compito che mi era stato assegnato, un po’ perché Luca non ha motivo di pentirsi di avermi consigliato a Mirandola: non gli ho fatto fare una brutta figura. Inoltre ho guadagnato qualche cosa: non so quanto, perché non so bene che cosa chiedere a Mirandola.

- Lorenzo, d’ora in poi la dichiarazione dei redditi me la fai tu.

Sorrido.

- Va bene, signor Mirandola.

- Nino.

- Va bene, Nino.

- Promesso, eh? Anche se ti trovi un lavoro da un’altra parte.

- Promesso.

- Adesso mi accompagni in banca, che verso l’assegno. Sperando che non sia scoperto.

Nino versa l’assegno e poi ritira dal suo conto la metà della somma versata: evidentemente ha bisogno di contanti. Mi dico che è una gran bella somma, io di certo tanto denaro così in una volta sola non lo vedrò mai. E mentre lo penso, lui mi porge i soldi.

- Questa è la tua parte.

Rimango allibito a guardarlo. Non posso prendere la somma che mi sta offrendo.

- Che hai, Lorenzo? Non basta?

Scuoto la testa.

- Non intendo certo chiedere una cifra del genere per il mio lavoro, signor Mirandola.

- Nino.

- Nino.

- Mi hai permesso di recuperare questa somma e la metà è quello che ti spetta. Ma non sono disinteressato: voglio tenerti buono, perché voglio davvero che la mia dichiarazione me la faccia tu.

Lui continua a tenere il braccio teso con in mano i soldi. Io non li prendo.

- La faccio volentieri. Ma non posso, signor Mirandola, Nino, scusami. È troppo.

Nino abbassa il braccio, sconcertato.

- Cazzo, Lorenzo! Sei bravissimo a fare i conti, ma se non ti fai pagare, che senso ha?

Mi rendo conto che mi sto comportando da idiota, come mi sembra che mi accada molto spesso in questo periodo.

Lui mi prende la mano e ci mette dentro la busta con i soldi.

- Hai un conto in banca, Lorenzo?

Scuoto la testa.

- Non è il caso che tu ne apra uno? I clienti ti pagheranno con assegni.

Sorrido.

- Non ho clienti.

- Ne avrai e tra un po’ dovrai aprire una partita IVA. Te lo garantisco io.

Non so bene come, mi trovo a parlare con il direttore della banca, che Nino costringe ad aprirmi un conto a spese zero, a parte le tasse. Fa tutto lui, io mi limito a firmare, frastornato.

È Nino a chiedermi se voglio depositare tutto o se preferisco tenermi una parte della cifra. Ho sempre desiderato restituire a Luca i soldi dei vestiti, per cui mi tengo qualche centinaio di euro.

Quando usciamo dalla banca, dico a Nino:

- Non è possibile, non posso accettare.

Lui ride, di cuore. In effetti, avendo già versato la somma, la mia osservazione è ridicola.

Ci lasciamo sulla porta della banca. Lui va in negozio, io a casa.

La sera Luca si congratula per il mio successo. Nel suo bar non si è parlato d’altro tutto il giorno. Pare che adesso io sia considerato un genio. Un genio disoccupato. Non credo che questo mi permetterà di chiedere di più per scaricare le cassette. Comunque gli posso restituire i soldi dei vestiti. Quando glieli porgo, Luca ci rimane male:

- Ma… Lorenzo! È proprio il caso?

- Sì, lo è.

Luca scuote la testa, poi mi dice che domani sarà di nuovo fuori a cena. Io decido di parlare:

- Luca, non è che sei sempre fuori perché non vuoi ricevere qui? Perché io posso anche affittarmi un appartamento, ora, grazie a quanto mi ha pagato Nino.

- Nino? Siamo già grandi amici, eh?

- Non deviare il discorso.

Luca alza le spalle.

- È un po’ che volevo parlartene. Io e Mattia ci siamo messi insieme, credo che tu l’abbia già capito.

- L’avevo intuito. Ne sono contento.

- Anch’io, moltissimo.

- Però a questo punto è ora che io me ne vada.

- No, non ancora, Lorenzo. Per il momento ci muoviamo con i piedi di piombo. O, meglio, mi muovo con i piedi di piombo io, perché ho avuto una brutta esperienza. Mattia sarebbe già disposto a convivere. Ma quando lo faremo, e sarà presto, tu potrai trasferirti a casa sua. Io preferisco che lui non lasci subito l’appartamento che affitta. Se le cose vanno storte, lui ritornerà a casa sua e tu qui. Così potrò passare le serate a piangere sulla tua spalla.

- Mi sembri eccessivamente prudente. 

Non credo che sia solo la prudenza a muovere Luca: so che si preoccupa per me e vuole garantirmi il futuro.

La sera ripenso alla giornata di oggi. Ho una bella somma in banca, più di quanto avrei mai pensato di avere. Potrò, quando sarà necessario, affittare un piccolo appartamento, senza tante preoccupazioni.

 

Due giorni dopo arriva la telefonata. È lo studio del commercialista Terzi. Hanno bisogno di un impiegato e il dottor Mirandola (non sapevo che fosse laureato) ha consigliato il mio nome. Quando me lo dicono, incomincio a tremare. Per fortuna Luca è già uscito per andare al lavoro e non può vedermi. Mi vorrebbero lì tra mezz’ora, ma dico che non posso, ci andrò tra due ore. Ho bisogno di calmarmi. Riattacco il telefono. Sono tutto sudato e tremo, come se avessi un attacco di febbre.

Mi riprendo, ma quando arrivo allo studio sono di nuovo agitato. Nonostante questo, il colloquio va benissimo: ho l’impressione che avessero già deciso di assumermi prima di parlarmi. Mi prenderanno in prova. Incomincio domani. Lo stipendio non è alto, ma è molto di più di quello che guadagno con i miei lavoretti in nero e finalmente riprenderò a fare un lavoro che corrisponde ai miei studi.

Passo dal bar di Luca per raccontargli della faccenda. E mentre gli sto parlando, in un momento in cui non c’è molta gente, mi vengono le lacrime agli occhi. Luca se ne accorge e mi dice di andare in bagno. Lo faccio e mi metto a piangere come una fontana. Mi dico che sono proprio scemo. Scemo e felice.

Poi mi lavo la faccia ed esco. Luca mi dice che domani sera dobbiamo festeggiare. Questa sera non è possibile, perché lui ha combinato con Mattia.

Arrivo a casa e, mentre mi metto le pantofole, mi chiedo per quanto tempo ancora sarà la mia casa. Per pochissimo, lo so: il tempo di trovare un appartamento in affitto, che magari potrà essere proprio quello di Mattia, non so, non so neppure dove abita. Ma ormai posso camminare con le mie gambe. Grazie a Luca. E anche a Nino.

La telefonata arriva proprio mentre sto pensando a Nino. È lui.

- Allora, Lorenzo, festeggiamo la tua assunzione?

Non gli chiedo come lo sa: evidentemente ha parlato con il proprietario dello studio.

- Ti ringrazio, Nino. So che la devo a te.

- Non dire cazzate. La devi a te. Adesso che quel figlio di puttana di Pia sta perdendo clienti a tutto spiano, Terzi ha bisogno di un impiegato in più e naturalmente che scelta migliore poteva fare che assicurarsi te? Tutti sanno che sei stato tu a smascherare Pia e sapendo che lavori da Terzi, andranno da lui.

Non è esattamente così, anche se di certo Nino a Terzi l’ha presentata così. Nino aggiunge:

- E scommetto che non ne hai neanche approfittato per farti pagare di più.

- No.

- Sei una frana! Ma non ha importanza. Allora festeggiamo. So che Luca non c’è e non puoi inventare scuse per non venire a cena con me. Ti offro una cena con i fiocchi.

La proposta mi spiazza: non me l’aspettavo proprio. Nino aggiunge:

- Vestiti bene.

- Nino, io… non possiedo neanche una giacca.

- Scusami, Lorenzo, ogni tanto sono proprio una testa di cazzo.

Poi ride e aggiunge:

- Solo ogni tanto, almeno spero… Però fatti una doccia, così almeno non puzzi.

Rido. Avessi più familiarità con lui, gli darei dello stronzo, ma non oso.

- Non ti dico quello che penso di te…

- …ma incomincia con bast e finisce con ardo.

- Più o meno… il concetto c’è.

Ci salutiamo. Sono frastornato. Troppe cose in troppo poco tempo. Soldi in banca (tanti, per i miei parametri, di che darmi tranquillità per un po’ di tempo) e un lavoro: la possibilità di costruirmi una vita. E magari troverò in Nino un altro amico. Mi piace la sua energia, la sua irruenza, la sua sicurezza. Sì, lo ammetto, mi piace lui. Non significa niente, ma sono contento di provare di nuovo questa attrazione per un uomo: da tempo avevo smesso di desiderare.

Il pensiero di Nino mi dà una certa irrequietezza. È buffa: una settimana fa non lo conoscevo neppure. Ma una settimana fa è un’immensità di tempo, in mezzo è successo di tutto.

Nino passa a prendermi alle sette e trenta, puntualissimo, su una bella auto. Non so che modello sia (sono sempre stato un disastro per quanto riguarda i modelli delle macchine), ma è un’auto che non mi potrò permettere mai. È vestito con giacca e cravatta e mi piace vedere il suo corpo forte nell’abito elegante. Io ho messo quanto di meglio avevo, ma ovviamente accanto a lui faccio la figura dello straccione. Mi chiedo se non vuole portarmi in un posto troppo elegante, ma il locale che ha scelto, per quanto bello, non sembra un posto esclusivo.

Tra una portata e l’altra, chiacchieriamo. Lui vuole conoscermi meglio. È molto diretto, a volte anche un po’ invadente, ma si blocca se si rende conto di aver oltrepassato il segno.

Io gli racconto di me. Mi chiede anche perché non ho più rapporti con la mia famiglia. Io gli dico che mio padre mi ha sbattuto fuori casa.

- Perché sei gay, vero?

Sono un po’ in imbarazzo, ma l’ha detto con tale naturalezza, che rispondo:

- Sì.

- Meno male, ci contavo.

Rimango a bocca aperta. Lui ride e dice:

- Lorenzo, ormai avrai capito come sono fatto. Non sono abituato a girare intorno alle cose. Ciò che Luca mi aveva raccontato di te mi aveva incuriosito, molto. Ti ho guardato lavorare qualche volta al mercato. Facevi il tuo lavoro, seriamente. Non so spiegarti, ma… mi piacevi già allora. Poi c’è stata questa faccenda di Pia e ho deciso che era anche una buona occasione per conoscerti. E… cazzo, Lorenzo! mi sei piaciuto, mi sei piaciuto un casino. Non solo fisicamente.

Sono imbarazzato. La sua franchezza mi sconcerta. Cerco di essere altrettanto franco.

- Anche tu mi piaci molto, Nino.

Lui sorride, uno splendido sorriso.

- Non vedo l’ora di finire questa cena. Saltiamo il dolce. Oppure sei uno di quelli che al primo incontro non vogliono?

Sorrido, mentre il cuore ha accelerato il battito.

- Sono uno di quelli, è vero, ma… non è mica la prima volta che ci vediamo. Ci conosciamo già da una settimana.

Lui ride, mentre il cameriere ci posa davanti i piatti con il dolce.

- Ci porti subito il conto, per favore. Abbiamo un impegno e siamo in ritardo.

Poi mi guarda e ride, mentre immerge il cucchiaino nel bonet (un dolce piemontese che non conoscevo e che mi ha consigliato lui: lo trovo delizioso).

Appena arriva il conto, Nino paga, lasciando una bella mancia, e usciamo.

Saliamo in auto, che è nel parcheggio del ristorante. Nino dà una rapida occhiata intorno, poi si sporge in avanti, mi prende il viso tra le mani, mi guarda e mi bacia sulla bocca.

Quanto tempo è che non vengo baciato? Da quando ho perso il lavoro. Non ho più cercato nessuno.

Nino si stacca, mi sorride e accende il motore.

Ci dirigiamo a casa sua, in riva al Po. È una casa con un piccolo giardino sul davanti. Nino infila la macchina in uno dei box sotterranei e poi mi bacia di nuovo. Scendiamo dall’auto e saliamo nell’appartamento, che è un attico. Mi sento un po’ a disagio: ho l’impressione di essere fuori posto in questa casa così grande.

Nino si è diretto subito in camera da letto. Sulla soglia si sposta per farmi entrare per primo. Guardo l’ampia stanza, con il letto matrimoniale. L’appartamento che è stato distrutto ci stava tutto, qui dentro. Ma Nino si è messo dietro di me e mi stringe. È una sensazione bellissima. Le sue braccia mi cingono, la sua testa si appoggia sulla mia spalla, il suo corpo preme contro il mio. Poi una delle sue mani mi accarezza il viso.

Nino ha mani forti, grandi, ma c’è una delicatezza estrema in queste dita che mi sfiorano la pelle, che giocano con i miei capelli, che mi passano sulla camicia e si fermano alla cintura. E sono delicate anche le sue labbra che mi baciano il collo, i suoi denti che mi stringono il lobo di un orecchio.

Rimaniamo in piedi, sulla soglia: sto bene così, tra queste braccia. Mi sembra di non volere altro. Ma Nino incomincia lentamente a spogliarmi. Mi toglie la felpa e poi le sue dita si mettono a giocherellare con i bottoni della mia camicia. La apre completamente e la sua destra mi accarezza il torace, mi stringe con forza i pettorali, prima uno, poi l’altro, mentre la sinistra accarezza più in basso. Sento che il desiderio si tende. Emetto un piccolo gemito. Lui continua a baciarmi la nuca e il collo, a mordicchiarmi un orecchio o la spalla, a pizzicarmi i capezzoli, ad accarezzarmi, dal ventre al viso. Io chiudo gli occhi e mi abbandono completamente a queste sensazioni così intense. Mi è sempre piaciuto essere abbracciato da un uomo forte, mi fa sentire protetto.

Lascio che lui continui a spogliarmi e mi ritrovo del tutto nudo, tra le sue braccia. Lui mi volta e mi bacia. Questa volta è un bacio appassionato, le nostre lingue si cercano, si trovano, si accarezzano, si lasciano. Io lo guardo e mi sembra che sia bellissimo, vestito così, con la giacca, la cravatta e la camicia. Non lo è, Nino non è bello, ma è forte come un toro e la sua forza mi soggioga completamente. Le sue mani mi scorrono lungo la schiena e lui si inginocchia davanti a me e mi bacia il cazzo, una, due, tre volte. Lo bacia ancora, lo mordicchia, gli passa la lingua sopra, dalla cappella alla base, più volte, poi lo avvolge con le labbra e incomincia a succhiarlo, con energia. Io gli accarezzo la testa, sento la pelle sotto i capelli cortissimi. Chino il capo fino a sfiorare il suo, sento il leggero odore di acqua di colonia e di pulito. Ho voglia di baciarlo.

Lui lavora un buon momento, mi gira e incomincia a mordicchiare il mio culo. Tanti morsi, ora leggeri, ora più decisi. Poi sento la sua lingua tra le mie natiche, lungo il solco, fino al buco, che stuzzica e accarezza. Infine sono le dita che incominciano a giocare con l’apertura, spingendosi dentro, uscendo, ritornando ad avanzare, mentre l’altra mano mi stringe le palle, le accarezza, percorre il cazzo e risale lungo il ventre. Io gemo, mentre il piacere sale, sempre più forte.

Nino si alza e passa davanti a me. Ci baciamo e ora sono le mie mani che incominciano a spogliarlo, con lentezza. Gli slaccio la cravatta, faccio scivolare a terra la giacca, gli sbottono la camicia, la apro, passo la mano aperta sul suo torace, coperto da una leggera peluria rossastra. Mi piace da impazzire, questo maschio vigoroso che mi sorride, che mi bacia di nuovo, che mi accarezza. Nino si sfila le scarpe e finisce di spogliarsi. Io guardo affascinato il suo cazzo, che svetta contro la peluria più scura del ventre. Mi sembra magnifico.

Nino appoggia la testa sul mio petto, la sfrega un po’, poi le sue labbra incominciano a succhiarmi un capezzolo, la sua lingua lo avvolge, morde deciso, strappandomi un gemito più forte.

Si china ancora e, cogliendomi di sorpresa, mi solleva da terra, caricandomi sulla sua spalla destra. Si muove verso il letto, portandomi con sé. Poi mi posa sulle lenzuola, con dolcezza, e si stende su di me. È pesante e mi piace sentire il suo peso su di me, mi piace la sensazione di essere prigioniero di questo corpo forte. Ci baciamo ancora a lungo e poi, con dolcezza, lui mi volta. Mi allarga le gambe e nuovamente la sua lingua scorre lungo il solco.

- Lo vuoi, Lorenzo?

- Sì.

Apre il cassetto del comodino e dopo un momento passa ancora una volta la sua lingua tra i miei fianchi, giocherella un po’ con le dita, stuzzicando ancora l’apertura, e infine sento la pressione della sua cappella che entra dentro di me. Si muove con lentezza, dandomi il tempo di abituarmi: è parecchio che non provo più questa sensazione, splendida, di un cazzo dentro di me. Nino si muove lentamente, a lungo, avanti e indietro, mentre le sue mani ancora mi accarezzano il viso e le spalle, mi stringono il culo e i pettorali. A lungo Nino procede e il piacere sale dal mio culo, facendomi gemere senza ritegno. Nino mi sussurra all’orecchio parole dolci e frasi sconce, ma quasi non sento quello che mi dice, travolto da un piacere che ormai mi avvolge tutto.

E infine Nino geme forte e spinge con violenza, facendomi male. Una rapida successione di spinte conclude l’opera. Nino si abbandona su di me, poi ci gira su un lato e la sua mano mi porta al piacere. Urlo quando il seme sgorga, abbondante, spargendosi sulle lenzuola.

È stato bello, molto bello.

Nino mi abbraccia e rimaniamo così. Ho ancora il suo cazzo dentro di me e la sua mano mi accarezza.

Sto bene, così. È il paradiso.

Eppure, guardando questa stanza così grande ed elegante, riemerge una sensazione di disagio. Cerco di ignorarla, mi dico che non ha importanza se Nino è molto ricco e io sono povero e ho trovato un lavoro solo grazie a lui.

- Sono contento di averti trovato, Lorenzo.

Le parole di Nino mi colpiscono. Dovrei rispondere, ma sono bloccato. Dico:

- Sono stato fortunato io a trovare te.

Nino ride.

- Non prenderti meriti che non hai: ti ho trovato io.

Non posso negare. Nino mi bacia sul collo.

- Fermati qui, questa notte. È anche più comodo per andare al lavoro.

Questo è vero, la casa di Nino è più vicina al mercato e all’ufficio del commercialista di quella di Lorenzo.

- Non posso, Nino. Devo cambiarmi la biancheria.

Lui annuisce.

- Peccato. Non posso prestarti le mie cose, temo che ti sarebbero larghe.

Di sicuro ci nuoterei dentro.

Mi spiace staccarmi da Nino, ma è tardi e domani devo andare in ufficio. Devo essere là verso le otto: più tardi di quando scaricavo cassette al mercato (cioè di questa mattina), ma devo ancora tornare a casa di Luca.

- Io devo andare.

- Ti accompagno.

- Ma no, che dici? Prendo il tram.

- Scherzi? Dai, rivestiti.

Nino sta già indossando gli abiti.

Saliamo in auto e lui mi prende una mano e la bacia, poi se l’appoggia sulla patta.

- Tienila lì.

Mette in moto e andiamo. Sotto la mia mano sento il calore del suo cazzo che si riempie di sangue. Quando arriviamo sotto casa di Luca, abbiamo tutti e due voglia di fare il bis.

Gli dico:

- Sali da me. Se Luca non c’è… sperando che non arrivi subito.

Sorride. Cerca un parcheggio, ma l’impresa non è facile. Infine ne trova uno.

Raggiungiamo la casa. Luca non è ancora rientrato. Andiamo rapidamente in camera mia e io chiudo la porta. Lui mi abbraccia subito. Ci baciamo in piedi, io contro la porta, lui appoggiato su di me. Poi mi spinge sul letto. Ci baciamo di nuovo.

Mi slaccia la cintura, mi abbassa la cerniera dei pantaloni. Io faccio lo stesso con lui.

Poi si gira, in modo che ora la sua bocca può avvolgere il mio cazzo e la mia il suo. Un bel 69 in piena regola, come non facevo da tempo. Mi piace il calore del suo cazzo, il gusto, l’odore intenso. Il desiderio e la coscienza che Luca potrebbe arrivare da un momento all’altro ci spingono ad accelerare i tempi.

- Lorenzo, sto per venire…

Completo l’opera con la mano e lui fa altrettanto. Un po’ del mio seme macchia i suoi pantaloni. Io vorrei pulirli con il mio fazzoletto, ma lui mi ferma la mano.

- No, Lorenzo, va bene così. È un piccolo ricordo della nostra prima serata. Mi piace l’idea di tornare a casa con un po’ di te sui miei pantaloni.

Ride. Le sue parole mi turbano, ma sorrido.

Ci rassettiamo, poi, dopo un nuovo, lungo, bacio, lui mi dice:

- Mi piacerebbe dormire con te. Domani sera?

- Ho detto a Luca che avrei festeggiato anche con lui.

Nino aggrotta la fronte, ghignando.

- Non allo stesso modo, spero.

Sto al gioco.

- Si incomincia con una cena, poi non so…

- Mi sa che mi faccio invitare anch’io. In fondo Luca non è bello come te, ma non è malaccio.

- Ma lo sai che sei proprio stronzo?

Mi bacia di nuovo.

- Ti lascio dormire. Non voglio che domani sbagli i conti e poi mi accusi di averti fatto perdere il lavoro.

Dopo un altro bacio se ne va.

Io ho appena finito di lavarmi i denti quando arriva Luca.

- Ancora sveglio? Come è andata la serata con Nino?

- Benissimo.

Luca mi guarda, un po’ sornione.

- Benissimo, quanto?

- Mi sa come la tua con Mattia.

Luca mi abbraccia.

- Sono contentissimo. Nino è proprio una bella persona.

Luca usa spesso questa espressione. L’ha usata anche per Mattia. Probabilmente l’ha usata anche parlando di me con Mattia e con Nino. È generoso ed è contento quando può dare un giudizio positivo sugli altri. È lui una bella persona.

- Luca, non correre. Abbiamo passato una splendida serata, ma questo non vuol dire niente. Ci conosciamo appena.

Parliamo ancora un momento, poi andiamo a letto. Domani Luca si alza tardi, io no.

 

Incomincio il mio nuovo lavoro. Devo prendere le misure dell’ambiente, ma i compiti che devo svolgere non sono nuovi per me. Ci sono due impiegati che ricevono i clienti e tre che si occupano dei conti. Mi accolgono con cordialità: spero che mi troverò bene con loro. Non ci sono intoppi e tutto sembra filare liscio.

La sera esco con Luca e lui mi parla di Mattia. Poi mi chiede di Nino. Sembra convinto che io e lui ci siamo messi insieme. Io non ne sono così sicuro. In quel momento squilla il mio cellulare. Guardo il display e dico:

- È Nino.

- Lupus in fabula. E poi non sei così sicuro…

Intanto io rispondo. Dopo i saluti, Nino mi dice:

- Allora, sei davvero a cena con Luca?

- Mi controlli anche? Vergognati! Se vuoi verificare, te lo passo.

- Va bene, così gli dico due cose.

Non mi aspettavo che volesse davvero parlargli, ma porgo il cellulare a Luca, dicendogli:

- È Nino, vuole te.

Nino parla un buon momento. Luca ride. Poi dice:

- Se è d’accordo, senz’altro. Lo accompagno io.

C’è ancora un momento di silenzio. Poi Luca saluta e mi ripassa il telefonino:

- Vuole parlarti.

- Dimmi.

- Senti, Lorenzo. Se ti va bene, mi farebbe piacere che tu venissi a dormire qui, questa notte. Ritiri a casa di Luca quello che ti serve per domani. Ti avviso: se mi dici di no, passerò una notte triste e solitaria.

Rido.

- Va bene, però sei un po’ esigente.

- È vero. Mi sa che dovrai abituarti.

Lo saluto e riprendo la conversazione con Luca. Lui mi chiede, ironico:

- Cosa dicevi, scusa, sul fatto che tu e Nino non siete una coppia? Che non sei così sicuro…

- Ci conosciamo appena. Non è un po’ presto per dire?

- Ho già sentito questo discorso. Conosco Nino fin da quando io ero un ragazzino. Non è un farfallone. È irruente e molto diretto, ma sa sempre quello che fa.

Parliamo ancora un po’ di Nino, poi di Mattia e infine di me. Dopo cena passiamo a casa, io ritiro la biancheria per domani e Luca mi accompagna da Nino.

È bello fare l’amore con lui. È bello dormire abbracciati, bellissimo.

 

Nei giorni seguenti passo moltissimo del mio tempo libero con Nino. A pranzo vedo Luca, perché vado a mangiare nel suo bar, e quasi litighiamo: io voglio pagare quello che mangio, lui non vuole. Minaccio di andare in un altro bar e lui dice che se lo faccio mi toglie il saluto.

La sera vado da Nino. Torno a casa di Luca solo quando Nino ha un impegno. Il fine settimana lo trascorro da Nino e la domenica vado a vederlo giocare a rugby. Non ho mai seguito il rugby, ma mi faccio spiegare le regole. Dopo la partita, vado negli spogliatoi, dove i giocatori chiacchierano e poi si spogliano per fare la doccia. Mi piace vederlo nudo in mezzo a tutti quegli altri maschi. Dopo che si è rivestito, torniamo a casa sua.

Nino sembra aver fretta, vorrebbe che io mi trasferissi da lui in pianta stabile. Visto che tanto da Luca sono un ospite, posso passare a essere ospite da lui. Io sono spaventato. Nino mi piace, moltissimo, da ogni punto di vista, ma c’è un tale abisso tra noi, che mi sgomenta. Non voglio vivere a sue spese, non voglio dipendere da lui per la sistemazione: con Luca è più facile, perché siamo solo amici. Con Nino non è così e io voglio che questo rapporto possa crescere o morire senza che entrino in gioco considerazioni economiche. Anche se dormo quasi sempre da lui, ho ancora qualcuna delle mie (poche) cose da Luca.

Sono tre settimane che stiamo insieme, quando Nino mi chiede se posso accompagnarlo a fare spese: ha bisogno di rinnovare un po’ il suo guardaroba. Non possiamo andarci di sabato, il mio giorno libero: lui rimane quasi tutto il tempo in uno dei suoi negozi, perché è il giorno di maggiore affollamento. Perciò mi viene a prendere un giovedì pomeriggio quando esco dall’ufficio. Mentre lui prova, discutiamo di capi di abbigliamento, colori e taglie. Lo prendo in giro dicendo che è grasso (non lo è: però di certo è massiccio), lui mi dice che sono uno stecchino. Torniamo carichi di pacchi e pacchetti. Io scherzo:

- Non mi ero accorto che andassi in giro nudo… Da quello che hai comprato si direbbe che non hai più niente da metterti.

Lui sorride e dice:

- Vediamo un po’ che cosa c’è.

Incomincia ad aprire i pacchi e scopro capi diversi da quelli che l’ho visto provare. Non capisco.

- Questa maglia è troppo stretta. Provala un po’ tu.

Intuisco. Lo guardo, senza parole. La maglia è bellissima, ma non me la sento di indossarla.

- Dai, provala!

Me la infilo, riluttante. Mi va benissimo, naturalmente. Guardo i diversi pacchi. Ma non sorrido.

Nino ora è in imbarazzo.

- Eddai, Lorenzo! Mi fa piacere regalarti qualche cosa, hai perso tutto nell’incendio… Che senso ha che io abbia un sacco di soldi che non mi servono, mentre l’uomo che amo manca di biancheria di ricambio?

“L’uomo che amo” è un’espressione forte: non ci siamo mai detti di amarci. La registro, ma l’accantono: in questo momento ho altri pensieri. Scuoto la testa. Lo guardo e dico, serio:

- Non sono in vendita, Nino.

La sua espressione cambia completamente. L’imbarazzo lascia il posto a una sofferenza che mi spaventa, perché mi dà la misura del mio potere su di lui. Non voglio questo potere.

China la testa, umiliato, e io mi pento delle mie parole. Non volevo ferirlo, non se lo merita. Voglio scusarmi, non avevo il diritto di usare quell’espressione. Ma lui non me ne dà il tempo e parla:

- Mi spiace, Lorenzo. Davvero, non volevo comprarti…

Cerca di ritrovare un sorriso.

- Mettiamo via queste cose. Ho fatto una cazzata, ma mi faceva piacere… pensavo che… sono stato un coglione. Non volevo...

So che dovrei abbracciarlo e dirgli che non ha nessuna importanza. È vero, non ha nessuna importanza, le sue intenzioni erano le migliori. Sono io a essere bacato nella testa. Ma il suo gesto ha dato forza alle mie paure. Non posso vivere con Nino. Siamo separati da un abisso, nonostante quello che proviamo. Non può essere.

- Io torno da Luca, Nino.

Il dolore che gli leggo in faccia mi fa stare male, ma non voglio tornare indietro. Nino si morde il labbro.

- Lorenzo, ho fatto una cazzata. Non puoi perdonarmi? È così terribile? Non mi vuoi bene abbastanza da perdonarmi?

- Non è questo, Nino. Mi spiace. Torno a casa di Luca.

Non voglio vederlo soffrire così. Non voglio. Ma non posso rimanere. Non posso spiegare. Devo andarmene. Subito.

Nino mi guarda negli occhi.

- Lorenzo, sai dove trovarmi. A casa, in negozio, alle partite di rugby. Io…

Non aggiunge altro. China la testa e io me ne vado, senza baciarlo, perché so che se lo toccassi, non riuscirei più ad andarmene.

Ma quando arrivo in strada, mi sembra che mi abbiano pugnalato. La sofferenza è tanto forte che non mi rendo neanche conto di dove sto andando. Ogni tanto mi calano le lacrime e le asciugo con la mano.

 

Per fortuna Luca non è in casa e io vado a letto presto. Non ho quasi niente qui: le mie cose sono da Nino, ma chiederò a Luca di passare a ritirarle.

Il mattino dopo Luca si alza mentre io sto per uscire. Mi dice:

- Come mai qui?

Io mi limito a dire:

- Ti spiego poi.

La giornata in ufficio passa, ma è come se dovessi trascinare un masso tutto il tempo.

La sera Luca, appena rientra, mi chiede:

- Che è successo con Nino?

- Abbiamo rotto.

- Hai rotto tu, Lorenzo.

- Te l’ha detto lui?

- No, ma basta guardare come Nino va in giro. Sembra che lo abbiano bastonato. Non voglio forzarti a raccontarmi i fatti tuoi, ma… Nino è una bella persona.

Luca prosegue:

- Nino ti vuole davvero bene. E… va bene, dimmi che devo farmi i cazzi miei.

- No, Luca, non è questo. Ma non me la sento di parlarne.

Ceniamo insieme. Luca non esce con Mattia: o Mattia è di turno, o Luca ha rinunciato a uscire per parlare con me. Lui cerca di affrontare l’argomento due volte, ma di fronte al mio rifiuto, infine rinuncia.

 

Il venerdì al lavoro è stato pesante, ma il sabato è un incubo. Né a casa, né camminando per Torino, riesco a trovare un attimo di pace. Il pensiero gira intorno a quell’unico chiodo fisso. So quello che provo per Nino, so quello che lui prova per me. Perché l’ho ferito così? Perché non posso accettare di vivere con lui, solo perché lui ha molti soldi e io pochissimi, solo perché lui è generoso? Ripenso al viso di Nino l’altra sera e mi sento in colpa. Perché l’ho fatto soffrire così?

La sera Luca è fuori con Mattia, per fortuna.

La notte fatico ad addormentarmi.

Quando mi sveglio, mi accorgo che Luca non c’è: si è fermato a dormire da Mattia. Mi dico che devo trovarmi un appartamento in affitto, in fretta.

Mi preparo la colazione, ma non prendo nulla. Butto via il caffelatte e rimetto a posto i biscotti. A pranzo riesco a inghiottire appena due bocconi di pane e formaggio.

Nel pomeriggio esco di casa. Mi sembra di camminare senza meta, ma le mie gambe sanno dove andare. Me ne rendo conto a metà strada: mi sto dirigendo verso il campo di rugby dove gioca Nino.

Ho la tessera di abbonamento che Nino mi ha regalato, ma non entro: non voglio che mi veda mentre sta giocando. Aspetto la fine della partita, facendo gli ultimi conti con le mie paure. Quando la gente incomincia a uscire, raggiungo gli spogliatoi.

L’allenatore mi riconosce e mi sorride:

- Lorenzo! Entra pure. Nino si sta facendo la doccia.

Mi dirigo verso il locale delle docce. I giocatori si stanno lavando, disposti contro la lunga parete. Individuo subito Nino. Lui in qualche modo sente che qualcuno lo sta osservando, perché volta la testa dalla mia parte. I nostri sguardi si incrociano. Lui chiude gli occhi un attimo, poi li riapre e si dirige verso di me, gocciolante e con ancora un po’ di sapone sul petto. Mi sembra che non sia saldo sulle gambe; nel suo viso leggo una tensione che mi spaventa.

Quando è davanti a me, sussurra:

- Lorenzo.

Sembra che non riesca a dire altro. Qualcuno ci sta guardando, ma nessuno è tanto vicino da potermi sentire se parlo piano. Senza sorridere, sussurro:

- Scusami per l’altra sera. Ti amo, Nino.

 

2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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