L’officina - Ha telefonato Goran
Zafer, quello che fa il meccanico da Arslan. Dice che ha colpito Arslan in un
litigio, giù al garage. Ha già chiamato l’ambulanza. Il commissario Macit Kamal
impreca, infilando una serie di parolacce, anche se il poliziotto Rizgar
Ghassem è molto pudico e il commissario di solito si modera per non
offenderlo. Questa volta però gli verrebbe anche da bestemmiare: Diyar Arslan
è un amico, uno dei pochi che ha; Goran Zafer… su Goran Zafer il commissario
preferisce non pronunciarsi. E ora uno è nei guai e l’altro ferito. - Andiamo. Escono dal commissariato e
prendono l’auto. Il garage non è molto lontano e potrebbero benissimo andarci
a piedi, ma non è il caso di perdere tempo e poi dovranno arrestare Goran e
tornare con lui. Nel breve tragitto Macit si chiede che cosa possa aver
spinto un giovane come Goran, con un buon carattere e la testa sul collo, a
colpire il suo datore di lavoro. Quando arrivano, i
barellieri stanno caricando sull’ambulanza Diyar, che è incosciente e ha la
faccia imbrattata di sangue. Goran Zafer sta abbracciando il fratello Samal,
quello mezzo scemo, che piange disperatamente. C’è
un tavolino con tre bicchieri, due vuoti e uno pieno. Bevevano insieme, poi
devono aver litigato e Goran ha colpito Diyar. Ma perché mai? Macit conosce
Goran da alcuni anni, da quando il giovane lavora nell’officina di Diyar,
dove lui porta sempre l’auto, e ha avuto modo di parlare con lui molte volte.
È un gran bravo ragazzo, che si prende cura del fratello ritardato. Il tipo
di cui diresti che è incapace di far male a una mosca. E ora ha colpito il
proprietario dell’officina. Ma che gli sarà saltato in mente? Macit lo apostrofa: - Sei stato tu a conciarlo
così, eh? - Sì, commissario. Non
volevo… ho bevuto, abbiamo litigato. Gli ho dato un pugno. Lui è caduto e ha
battuto la testa. - Adesso vieni al
commissariato. - Sì, signor
commissario. Se può aspettare solo un momento, viene mia sorella. È per
Samal. Non posso lasciarlo da solo. Il commissario annuisce. In altre circostanze Macit
Kamal non accetterebbe che il colpevole gli dicesse di attendere, ma conosce
la situazione: Samal Zafer è il gemello di Goran; al momento del parto
qualche cosa non ha funzionato e Samal ha un grave ritardo mentale. Goran è
rimasto con la madre per accudire il fratello e poi,
dopo che la madre è morta, ha continuato a vivere con lui. Gli fa da madre,
se lo porta in giro, non lo lascia mai da solo: il mattino, quando Goran va
all’officina, Samal sta qualche ora con una vicina. Il pomeriggio Samal va
anche lui all’officina e rimane a guardare il fratello che lavora. Non ha
bisogno d’altro e anche se Goran fa tardi perché deve sistemare a ogni costo
un’auto per un cliente, Samal aspetta, paziente. Gli basta stare vicino al
fratello. In città tutti conoscono la loro storia e di Goran nessuno si
permette di parlare male. Beyan, la sorella di Goran
e Samal, arriva poco dopo. È più vecchia dei
fratelli di una decina d’anni, ma è ancora una gran bella donna, benché ci
sia nel suo viso una durezza che manca nei tratti di Goran. - Che cosa è successo? - Ho litigato con il
padrone e l’ho colpito. Per favore, prenditi cura di Samal finché non esco. Il commissario si chiede
se davvero Goran conta di uscire tanto presto: se è così, potrebbe farsi
delle illusioni. Se Diyar dovesse morire, Goran uscirà tra un bel po’ di
anni. - Finché non esci? Io non
posso occuparmi di lui, lo sai benissimo. Ho i bambini a cui badare. E poi
Aso non vuole che stia con i bambini. Aso dev’essere il marito
della donna. - Per favore, solo per
questa notte. Poi troviamo una sistemazione. Quale sistemazione possa
trovare Goran, che ormai è senza lavoro, il commissario se lo chiede, anche
se non sono cazzi suoi. Senza una lira, Samal finirà in manicomio mentre il
fratello marcirà in galera. Quella testa di cazzo di Goran doveva pensarci
prima, a suo fratello, prima di colpire il padrone. E anche se Diyar se la
dovesse cavare senza problemi e Goran avesse una condanna lieve, col cazzo che
qualcuno lo prenderà a lavorare con sé, dopo che ha mandato all’ospedale il
datore di lavoro precedente. Il commissario si ripete
che sono cazzi di Goran, che doveva pensarci prima, ma la faccenda lo
disturba. Passa spesso all’officina, anche solo per fare due chiacchiere con
Diyar e ogni volta lo commuove vedere il fratello scemo che se ne sta lì
sorridente e felice di guardare Goran che lavora. E lo ha sempre colpito la
dedizione di Goran, che ha rinunciato ad avere una vita sua per badare al
fratello, per evitare che finisse in manicomio. La sorella ha preso in
consegna Samal, che continua a piangere e vorrebbe stare con Goran. Il
fratello cerca di calmarlo. Il commissario sbuffa. Quello che davvero lo
disturba è un’altra faccenda: Goran gli è sempre piaciuto un casino. Sui
venti, venticinque anni, un bel viso con uno sguardo dolce, un gran bel
corpo. Da quando sua moglie se n’è andata, Macit si è fatto diverse seghe
pensando a Goran: gli uomini gli piacciono, anche se ha sempre combinato ben
poco, e Goran è il più bel giovane che lui abbia mai visto. La cittadina è piccola e
del commissario non si deve chiacchierare, per cui Macit ha sempre evitato di
fare a Goran anche solo un accenno. C’è andato vicino, una volta,
quest’estate. Faceva caldo, il caldo fottuto dell’altopiano a luglio, e
quando è entrato nel garage, un mattino sul tardi, perché la sua auto faceva
le bizze, Goran era steso a terra che lavorava sotto un’auto. Il commissario
l’ha chiamato e Goran è uscito sorridente. Era a torso nudo, sporco di grasso
e di olio, e uscendo i pantaloni gli si erano ulteriormente abbassati,
mettendo in mostra il ventre fino al pube. Goran si era scusato e si era
voltato per rassettarsi. Aveva calato un po’ i pantaloni e se li era ritirati
su, seminascosto dall’auto. Per un attimo Macit aveva visto il suo culo e
l’effetto era stato dirompente. Macit aveva fatto due passi in avanti, preda
di un desiderio che lo accecava: era stato sul punto di saltargli addosso,
anche se sarebbe stata una pazzia. Ma Goran si era voltato, sorridente, e gli
aveva chiesto che cosa poteva fare per lui. A Macit la risposta era venuta
alle labbra: “Abbassarti i pantaloni e stenderti sul cofano dell’auto”, ma
l’aveva ricacciata in gola. A fatica, ma era riuscito a ricacciarla in gola.
Quella notte però si era fatto due seghe pensando a Goran. E ora il culo di Goran se
lo sarebbero gustato in abbondanza in galera, come capita a tutti gli uomini
giovani e più che mai a quelli che, oltre a essere giovani, sono anche belli. - Muoviamoci. - Sì. Signor
commissario. Scusi, signor commissario. Salgono in macchina. Macit
si mette sul sedile posteriore, accanto al prigioniero, perché tale è ormai
Goran. Lo guarda con la coda dell’occhio. È angosciato, con le lacrime agli
occhi, il corpo percorso da un leggero tremito. Testa di cazzo, poteva
pensarci, prima di rovinarsi la vita. In commissariato
l’interrogatorio è breve. Non c’è molto da dire. Goran racconta. - Ci ha offerto da bere.
Io non bevo mai, ma il padrone ha insistito. - Certo, è colpa sua, no? Macit si dice che sta
sfogando la sua irritazione su Goran e non è giusto. Goran replica: - No, non volevo dire
questo, no. No, lui l’ha fatto in segno di ospitalità. - Va bene, continua. - Io non volevo bere, ma
mi sembrava scortese rifiutare. Ho bevuto. Non molto, ma reggo poco l’alcol.
Lui ha fatto un’osservazione scherzosa. - Su che cosa? Che cos’ha
detto? - Che… non ricordo… ah sì,
che… battevo la fiacca sul lavoro. Macit è alquanto
perplesso. Diyar gli ha sempre detto che Goran era il miglior meccanico che
avesse mai avuto, uno che non smetteva mai di lavorare: diceva che certe
volte doveva dirgli lui di andare a casa, perché Macit avrebbe continuato a
cercare la causa di un guasto fino a notte, mentre il fratello lo guardava.
Ma doveva essere stata una battuta. - Io mi sono arrabbiato,
gli ho detto che non era vero. Credo di averlo insultato. - Che cosa gli hai detto? - Non so, non ricordo. So
che lui mi ha detto di calmarmi, ma io gli sono saltato addosso, gli ho dato
un pugno. Lui è caduto e ha battuto la testa sul pavimento. Non volevo fargli
male, glielo assicuro, signor commissario. - Che cosa hai fatto,
dopo? - Ho cercato di
rianimarlo, poi ho chiamato l’ambulanza, il commissariato e mia sorella. Non c’è più molto da dire.
Goran passerà la notte in carcere. E anche molte altre notti, se la
situazione di Diyar è seria. Il commissario chiama l’agente che sarà di
guardia la notte e che è appena arrivato. Se lo metterà nella cella
dove ci sono gli altri uomini fermati, prima di domani mattina Goran avrà
avuto modo di gustare una dozzina di cazzi. Succederà comunque, se finisce in
carcere. Uno come Goran sarà una preda ambita e non sarà lui a poter
scegliere. - La cella femminile è
libera? La cella femminile è
sempre libera: ben di rado qualche donna finisce in commissariato per la
notte. - Sì, commissario. - Mettilo nella cella
femminile, da solo. Chiaro? - Sì signor
commissario. L’agente ha capito
benissimo. Magari un pensierino su Goran l’avrebbe fatto anche lui, ma se il
commissario ha deciso altrimenti, la storia è chiusa. È ora di tornare a casa.
Macit non abita molto lontano dal commissariato e di solito ci va a piedi, ma
oggi gli serviva l’auto, per cui è motorizzato. Decide di approfittarne per
fare un salto all’ospedale, a chiedere notizie di Diyar. Pare che non sia nulla di
grave: non c’è nessuna frattura. Probabilmente un modesto trauma cranico.
Meglio così. Chiede di essere informato in mattinata
se riprende coscienza. Il mattino dopo Diyar si è
risvegliato. Il commissario va subito a trovarlo. Spera che la faccenda possa
risolversi in fretta. Se non è successo niente di grave, può mettere Goran in
libertà provvisoria. Il medico conferma che è
un trauma leggero e che dimetteranno il paziente entro pochi giorni, magari
già domani. Diyar è a letto, un po’
pallido, ma a parte questo sembra in ottima forma. - Allora Diyar Arslan, mi
dicono che stai bene. - Benissimo, Macit Kamal. - Per fortuna non ci sono
state conseguenze gravi. Hai rischiato grosso. - Sì sono stato un
coglione, ma avevo bevuto un bicchierino e lo faccio di rado. Devo smettere…
oppure devo bere più spesso, così mi abituo. Diyar ride e aggiunge: - Delle due possibilità,
mi piace di più la seconda. Ride ancora. Macit non ha
voglia di ridere. Osserva: - Tu puoi bere, ma
dovresti evitare di dar da bere a chi non è abituato. Diyar ritorna serio. - Sì, sono stato un
coglione. E dire che Goran mi aveva avvisato. Ma io avevo bevuto, ero su di
giri e volevo vedere come reagiva. E così ho approfittato di un momento in
cui Goran si era alzato e gli ho dato da bere. Mi sono meritato la botta. Qualche cosa non quadra
nelle parole di Diyar. - Bastava che non bevesse,
se non voleva. - Macit! Non puoi
pretendere che uno come Samal abbia buon senso. Spettava a me averlo. - Samal? Ma non è stato
Goran a colpirti? - Goran? Ma che cazzo
dici, Macit?! Goran?! Ma
hai bevuto? Goran!? Ha bloccato Samal che mi era
saltato addosso, ma io ormai avevo perso l’equilibrio e sono caduto. Poi non
ricordo più nulla. Ma penserai mica che Goran possa
aggredire qualcuno? Macit sa benissimo che
Diyar ha ragione. La sola idea è assurda. Ma lui ci è cascato in pieno. Dice,
a sua discolpa: - L’ha confessato lui. Diyar rimane un attimo
interdetto, poi ride: - Certo, per proteggere
Samal, per evitare che finisse in manicomio solo perché il padrone è stato
tanto coglione da farlo bere. E tu sei stato tanto coglione da crederci!? Macit sa benissimo di
meritarsi l’insulto, ma i coglioni gli girano lo stesso. - Ha confessato, spontaneamente.
E l’ho messo in galera. - In galera? Goran in
galera? Ma non sai nemmeno distinguere un criminale da un uomo onesto? Cazzo,
dovevi fare un altro mestiere, Macit. In galera! L’hai messo in galera!? Diyar non riesce a capacitarsi:
ha sempre avuto una grande stima di Macit e non gli sembra vero che il
commissario abbia potuto commettere un simile errore. - E che altro potevo fare?
Lesioni gravi, magari omicidio. - E se io ci rimanevo,
Goran passava il resto della sua vita in galera dopo che ha cercato di non
far bere Samal e poi di fermarlo quando mi ha aggredito! Cazzo, Macit! Macit è sempre più
incazzato. Si rende conto di essere stato ingenuo, ma proprio perché di Goran
si fidava, non ha messo in dubbio la sua parola. Diyar riprende: - Bene, adesso ti muovi a
tornare in commissariato e liberi Goran: il garage doveva essere aperto due
ore fa. C’è un sacco di lavoro da fare. Digli che gli chiedo scusa. Poi lo
farò di persona, appena mi fanno uscire. Macit annuisce poi dice: - Va bene, vedremo come
fare con Samal. - Con Samal? Tu non fai un
cazzo con Samal. Io ieri sono inciampato e sono caduto. Ho battuto il naso e
poi la testa e Goran ha chiamato l’ambulanza. Non mi sono fatto niente di
grave e quei due non c’entrano niente, chiaro? Indagine chiusa. - Si direbbe che sia tu il
commissario. - Questo caso l’avrei
affrontato meglio di te. Muoviti, Macit. Va’ a
rimediare ai guai che hai combinato. Goran in galera! Se ci penso ti strozzerei, Macit! Goran in galera! Macit si alza. Annuisce. - Va bene, un incidente.
Chiudiamo la faccenda. Ma Goran me la paga. - Si è già fatto una notte in galera. E Samal? Dove ha dormito? - Con la sorella. Me ne
vado, che è meglio. Dopo aver salutato
l’amico, Macit si allontana. È sempre più incazzato. Con se stesso, in primo
luogo, per l’ingenuità di cui ha dato prova, per non aver capito quello che
anche un bambino avrebbe saputo vedere. Per la figura di merda che ha fatto
davanti a Diyar e soprattutto davanti a Goran. Diyar lo prenderà per il culo
per il resto dei suoi giorni e questo passi, ma
Goran… Più ci pensa,
più Macit è incazzato con Goran. Gliela fa pagare,
questa gliela fa pagare. Adesso lo libera, ma poi gliela fa pagare. In commissariato tutti
colgono che l’umore del capo non è dei migliori. - Portami Zafer, subito. - Certo, signor commissario.
Goran entra nella cella. È
pallido, l’abito stazzonato, i capelli in disordine. Non deve aver dormito
molto. Ma anche così è bellissimo, forse ancora più bello, di una bellezza
quasi oltraggiosa. - Siediti, stronzo. Il tono di Macit è
durissimo. Goran obbedisce. Macit rimane in piedi, appoggiato alla scrivania. Il
poliziotto fissa
stupito il commissario, che di solito non maltratta così i prigionieri. Il
commissario lo guarda e sibila: - Tu esci. Macit vorrebbe strozzare
Goran. - E così tu hai bevuto e
hai dato un pugno al tuo padrone, facendolo cadere. Goran dice, con una voce
incerta, non sapendo come interpretare la furia che vibra nella voce del
commissario: - È la verità, signor commissario. - È una fottuta bugia e tu
sei un fottuto bugiardo. È stato tuo fratello a colpirlo, è lui che doveva
finire in galera. Se avesse colpito Goran,
il pugno non avrebbe avuto un effetto altrettanto forte. Goran è sbiancato in
volto e sembra sul punto di mettersi a piangere. - Non è vero… non è vero… - Me lo ha detto il tuo
padrone. Goran si getta in
ginocchio ai piedi di Macit, mescolando lacrime e parole: - No, commissario, no… se
lo accusano, lo mettono in manicomio… è buono come il pane… è stato perché ha
bevuto… Se lo mettono in manicomio lo ammazzano… lei sa quello che succede ai
giovani… li violentano… commissario, la prego, convinca il signor Arslan a
dire che sono stato io. È suo amico, lo farà. Mi faccia parlare con lui… la
prego… Goran non riesce più a
parlare, le lacrime e i singhiozzi soffocano le parole. Si copre il viso con
le mani e piange. Macit è stato preso del tutto in contropiede, non aveva
nessuna intenzione di far credere a Goran che intendeva arrestare Samal, di
provocare questa disperazione che fa stare male anche lui, ma Goran deve aver
passato una notte d’inferno temendo che la verità potesse venire a galla e
che Samal potesse essere arrestato. Macit appoggia le mani
sulla testa di Goran e gli dice: - Basta Goran, non
arresterò Samal. La faccenda verrà chiusa come un incidente, il tuo padrone
sostiene di essere caduto da solo. Tu puoi tornare a casa, anzi al garage: il
tuo padrone vuole che tu riprenda a lavorare e mi ha detto di farti le sue
scuse per aver fatto bere Samal. Goran sta fissando Macit.
Piange ancora, ma i singhiozzi si stanno calmando. Macit toglie le mani,
perché quel contatto lo turba, e prosegue: - Ti chiedo scusa anch’io,
non volevo proprio farti pensare che avrei arrestato Samal. Mi rendo conto
della situazione e direi che va bene così. Per me la faccenda è chiusa, il
caso archiviato. Il gesto di Goran è troppo
rapido perché Macit riesca a fermarlo: gli prende una mano e la bacia, mentre
lo ringrazia. Macit cerca di ritrarre la mano. È a disagio. In tutta questa
storia non ne ha azzeccata una e non si merita certo un ringraziamento. - Alzati, Goran. E
ricomponiti. Penseranno che io ti abbia menato. Goran si alza. - Ha ragione… mi scusi, commissario. No… che dice… Davvero è finita così? - Sì, Goran. E se Samal
dovesse ficcarsi ancora nei guai, cerca di avere un po’ più di fiducia in me.
- Grazie, signor commissario, grazie. Se mai potrò fare qualche cosa
per lei… Ci sarebbe una cosa che
Goran potrebbe fare, ma non è il caso di chiederla. Il commissario chiama
l’agente e comunica che il caso è chiuso. Macit rimane di pessimo
umore per tutta la giornata. Il pensiero va in continuazione a Goran. A un
certo punto Macit prende la scheda, che verrà strappata, e guarda l’età:
ventiquattro anni, dodici in meno di lui. Che vita fa, sempre a badare al
fratello? Il giorno dopo Macit
prende l’auto: vuole passare in ospedale da Diyar, che sta bene e già smania
per essere dimesso. Ma i medici non lo lasceranno andare prima di domani
mattina. Nell’intervallo di pranzo
decide di passare dal garage. Goran è al lavoro. C’era da scommetterci: ha
incominciato tardi ieri e deve recuperare. Che importa se ha aperto dopo
perché era in galera, dopo una notte in bianco, passata a macerarsi
nell’angoscia? - Commissario, buongiorno. Goran appare un po’
preoccupato a vederlo lì, perciò Macit lo tranquillizza subito: - Tutto a posto, Goran.
Sono passato in ospedale e probabilmente domani mattina dimettono
il tuo padrone. Sono venuto solo per vedere se ti eri rimesso. Ieri eri
sconvolto. - Sì, mi scusi, signor commissario. Ero preoccupato per Samal. Macit si guarda intorno. - A proposito, dov’è? Il
pomeriggio viene sempre in officina, a guardarti lavorare, no? - Sì, di solito vado a
mangiare a casa e poi torno con lui. Ma oggi non vado: ho parecchio da fare.
Così Samal mangia da Zayele, la donna che sta con lui il mattino, poi lei lo
accompagna qui. Arriverà tra un’oretta. Goran guarda l’orologio e
aggiunge: - Adesso tiro giù la
saracinesca, per evitare che qualcuno arrivi. Tanto lei sa che può uscire
dalla porta sul lato. Macit conosce bene
l’officina: non è raro che passi verso sera a trovare Diyar e quando Diyar
chiude, escono dalla porta laterale, attraversando uno stanzino che serve
come deposito degli attrezzi e spogliatoio. Macit si rende conto che
ora lui e Goran sono da soli e che nessuno verrà a disturbarli. Il pensiero
lo infastidisce. È sovrappensiero e la voce
di Goran quasi lo fa sobbalzare. - Commissario, deve
scusarmi. Non volevo mentirle, ma Samal è fragile, è abituato al suo piccolo
mondo composto da me e Zayele. Separarlo da noi, metterlo in manicomio,
esporlo alle violenze, sarebbe ucciderlo. - Anche tu avresti subito
violenza, Goran. Già ieri notte, se ti avessi messo nella cella comune. A
questo non hai pensato? Goran annuisce: - Sì, lo sapevo, ma per
Samal sarebbe stato peggio. Macit non risponde: è
turbato, nella sua testa si agitano pensieri torbidi. Sono soli, lui e Goran.
Nessuno può entrare. E allora? Che cosa significa? Se dicesse qualche cosa a
Goran, l’unico risultato sarebbe quello di farsi guardare con disgusto,
probabilmente. E compromettere la sua amicizia con Diyar. O magari Goran ci
starebbe, per paura di ritorsioni, per ringraziarlo di aver chiuso la
faccenda. Sarebbe ancora peggio. - Volevo ringraziarla, commissario. Macit alza lo sguardo. - Di che? Di essermi
lasciato ingannare come un coglione? Goran sorride. - No, di aver accettato di
chiudere la faccenda. - Era l’unica cosa sensata
da fare. Adesso vado, Goran. Mi spiace se ti ho fatto passare una brutta
notte. - È stata colpa mia,
commissario. Macit sorride. D’impulso
tende la mano a Goran. - Arrivederci, Goran. - Arrivederci commissario. Macit esce e va a
mangiare. Di avere lasciato l’auto davanti all’officina si è completamente
dimenticato. Se ne rende conto solo verso sera, al momento di uscire. Allora
torna all’officina per recuperarla. Goran sta ancora
lavorando, ovviamente. E Samal è seduto a guardarlo. Samal passerebbe la vita
a guardare suo fratello lavorare: non ha bisogno d’altro. I due non si accorgono di
lui e Macit non si fa vedere. Ritira l’auto che ha parcheggiato poco oltre e
torna a casa, inquieto. Nei mesi successivi Macit
dirada le sue visite da Diyar. Diyar si lamenta che Macit lo trascura, lo
prende per il culo, insinua che adesso fa la corte a una bella ragazza e
allora non si ricorda più dei vecchi amici. La verità è un’altra: Macit vuole
evitare di vedere Goran. La voglia in realtà ce
l’avrebbe, ma vederlo lo fa stare peggio. Quelle rare volte che cede alla tentazione e arriva quando c’è Goran, torna a
casa con una tensione addosso che gli impedisce di dormire, anche se si fa
due seghe. Finisce per andare all’officina solo quando è sicuro che Goran non
ci sia. Questo però non significa
che il pensiero non vada sempre a lui. La sera Macit si siede in poltrona e
si dice che la sua casa potrebbe ospitarli tutti benissimo: lui, Goran e
Samal, perché Goran non si muoverebbe senza il fratello. Poi metterebbero a
letto Samal e loro farebbero l’amore. Sarebbe bello svegliarsi il mattino al
fianco di Goran e magari scopare ancora, prima di correre ai loro rispettivi
lavori. Sarebbe bello che in casa ci fosse Goran, ritornare la sera e trovare
gli oggetti di Goran, a ricordare la sua presenza, aspettare che torni per
abbracciarlo. Macit fantastica e lascia che i giorni scorrano. Non vede più
Goran e gli sembra che la sofferenza si vada stemperando. Il desiderio no,
quello sembra quasi diventare più forte, un’ossessione a cui Macit non si
sottrae. Macit va a trovare Diyar
la sera. Chiacchierano di tante cose. Diyar gli chiede se pensa ancora alla
moglie che se n’è andata, se intende continuare a vivere da solo. - Ci sono tante ragazze
che sarebbero ben contente di avere un uomo come te, Macit. - Per carità, un errore mi
è bastato. Diyar sorride, un sorriso
ironico. - Ci sono anche tanti
ragazzi che si leccherebbero i baffi se potessero mettersi con il
commissario. Macit guarda Diyar un po’
stupito e lui ride: - Ognuno ha i suoi gusti,
Macit. Che importanza ha? Macit scrolla le spalle:
non ha voglia di affrontare l’argomento, ma non nega. Non sa come Diyar abbia
capito, ma in fondo non gli dispiace: preferisce che non ci siano menzogne
tra di loro. - Insomma, è ora che tu ti
sistemi, Macit. Macit scuote la testa. - Impossibile trovare
qualcuno che mi sopporti. Un altro giorno Diyar gli
parla di Goran. È preoccupato. - Goran è triste. Lo vedo
certe volte guardare nel vuoto. Sorride molto meno di qualche mese fa. - Aumentagli la paga,
Diyar. Diyar guarda Macit
perplesso. Il denaro è il suo punto debole: non ama separarsene. Se non lo si
può definire tirchio, poco ci manca. - Lo pago a sufficienza,
gli ho affittato la casa per un tozzo di pane. - Gli hai affittato la
casa per riprenderti un po’ di quello che gli dai. Che è poco. - Piantala! Non è questo, Macit. Non è una faccenda di soldi. - Pensa alla vita che fa,
Diyar, sempre con questa palla al piede del fratello. - Lo fa da sempre, si è
sempre occupato lui del fratello. E Samal è dolcissimo e gli vuole un bene
dell’anima. No, non credo che gli pesi, di solito. C’è altro. Sono preoccupato per lui, è un bravo ragazzo, un ragazzo
d’oro. Lo vorrei vedere sereno. - Magari vorrebbe
sposarsi, avere una famiglia. Magari è innamorato. - Credo anch’io che soffra
per amore, ma è molto riservato, non ne cavi niente. Quasi come te. Macit si stringe nelle
spalle. Macit torna a casa per le
vie della città. La primavera avanza e la notte si sta bene. Macit non ha
sonno. Si ferma in cima a una strada e guarda la piccola piazza. Pensa a
Goran, che non vede da due mesi. Sprofonda in una tristezza che lo avvolge
completamente. Anche Goran soffre per amore? Chi ama? Magari ama lui, Macit. Macit scuote la testa, si
dà del coglione, si volta e si dirige verso casa. Man mano che i giorni
passano, Macit perfeziona il suo sogno a occhi aperti. Goran e Samal abitano
in due camere in una casetta di proprietà di Diyar, nell’appartamento di
fianco a quello in cui sta la figlia di Diyar. Adesso la donna aspetta il
secondo figlio e quelle due camere servirebbero. Se Diyar sfrattasse Goran e
Samal, nessuno si stupirebbe. Diyar, che è un amico e conosce tutti in città,
potrebbe spargere la voce che ha chiesto lui al commissario di affittare un
piano della sua casa ai due fratelli, visto che ha una casa grande e ci vive
da solo. Ogni tanto Macit si chiede
se non sta rincoglionendo, poi ci riflette e conclude che era già coglione prima. Un coglione innamorato. L’estate ritorna e l’auto
di Macit incomincia a produrre strani rumori. Macit si rassegna a portarla
all’officina di Diyar, un mattino molto presto, prima di andare in ufficio.
Sa che Diyar soffre di insonnia e spesso apre all’alba, anche se non ci sono
clienti a quell’ora. Goran non ci sarà, arriva verso le
sette e mezzo, dopo aver preparato la colazione a Samal. L’officina è ancora
chiusa, ma Macit parcheggia davanti alla saracinesca e prova a vedere se la
porticina sul lato è aperta. Altrimenti metterà le chiavi dell’auto in
qualche angolo e telefonerà dopo a Diyar per avvisarlo: tanto Diyar
riconoscerà la sua auto non appena la vedrà fuori dall’officina. La maniglia cede, la
porticina è aperta. Meglio così. Macit sente lo scroscio dello sciacquone:
Diyar è andato al cesso. La porticina del cesso si apre. Appare Goran, che
indossa solo un paio di slip. Macit ha la sensazione che lo abbiano colpito allo stomaco. Goran si blocca. - Mi scusi,
io… Macit sa benissimo che è
lui che dovrebbe scusarsi: è entrato, senza bussare, in un orario in cui
l’officina è chiusa. Ma la visione del corpo di Goran gli ha tolto la parola.
Goran prende i pantaloni e la giacca della tuta e se li infila in fretta. Macit cerca di
riprendersi, nascondendo l’erezione. Con uno sforzo, riesce a dire quanto
deve: - Buona giornata, Goran.
Scusa se sono entrato così. Il tuo padrone non c’è? - No, oggi non viene, è
partito alle sei per andare a Erzurum. Macit annuisce. Solo ora realizza che Goran si è fatto crescere la barba. - Stai bene con la barba,
Goran. - Grazie. C’è di nuovo silenzio.
Macit si rende conto che anche Goran è turbato. Goran sorride, un sorriso
un po’ forzato: - È un piacere vederla, commissario! Non passa più in officina da tempo. Goran aspetta che Macit
parli, ma il commissario riesce solo a dire: - È vero. Un altro assurdo momento
di silenzio. Macit sa che dovrebbe dire quanto ha da dire e andarsene, ma non
ci riesce. Gli sembra che non potrà mai andarsene da questo stanzino. - Che cosa posso fare per
lei, commissario? Macit tace, guardandolo.
Gli viene in mente la risposta che avrebbe voluto dargli a una domanda molto
simile, un anno fa, ma non può darla. Goran appare perplesso di
fronte al silenzio di Macit. Lo guarda, imbarazzato. Anche il suo sorriso è
imbarazzato. Macit ha la sensazione di
non reggersi in piedi. Le parole gli vengono fuori da un angolo del cervello
che non controlla, insieme a un ghigno che vorrebbe essere ironico, ma è solo
spaventato: - Dipende. Che cosa sei
disposto a fare, Goran? Goran non dice nulla. Si
limita a fissare Macit, cercando di leggere nel viso del commissario il senso
della domanda. Poi il suo sorriso si allarga e forse ora c’è un po’ di
malizia. - Più o meno tutto quello
che è in mio potere. Macit incassa la risposta
come un buon pugile incassa un pugno allo stomaco. Sente la sua voce dire
altre cose di cui non si assume la responsabilità: - Bada: stai mettendoti su
una strada pericolosa. Goran ride e intanto fa
scorrere il chiavistello della porta che conduce all’esterno. Il gesto è
chiaro. - Il pericolo non mi spaventa,
commissario, come può vedere. Sono nelle sue mani. Ma c’è un tremito nella
sua voce. Macit sente che il cuore
ha preso a correre. Si avvicina a Goran, fin
quasi a toccarlo. Goran gli sorride, un po’ incerto: pare
spaventato. Macit gli passa una mano dietro la nuca e avvicina la
testa alla sua. Con delicatezza, lo bacia. Sente che le mani di Goran si
appoggiano su di lui, ancora esitanti, poi le
braccia lo stringono, tradendo un desiderio che brucia. Il loro bacio diventa
ardente, la lingua di Macit si apre la strada tra le labbra di Goran, che
accolgono l’intrusa. Le mani di Macit scorrono lungo il corpo di Goran gli
sollevano la giacca della tuta, gli abbassano i pantaloni, gli slip. Macit
sente il sapore della bocca di Goran, l’odore del suo corpo, il calore e la
morbidezza della sua pelle. Macit ha spinto Goran contro una parete e lo
bacia, lo abbraccia, lo accarezza, lo stringe, in un delirio di desiderio. Il
suo corpo preme contro quello di Goran, lo schiaccia
contro il muro, le sue mani stringono i fianchi. - Goran, Goran… - Commissario! - Macit, cazzo! mi chiamo
Macit! - Macit! Macit… A Goran sfugge, appena
sussurrato: - …amore mio. Di nuovo la sensazione di
un pugno allo stomaco e un’ondata di tenerezza, che non attenua il desiderio,
ma pare centuplicarlo. - Goran, Goran… sono
impazzito per il desiderio di te. Goran… Goran ha i pantaloni alle
caviglie, gli slip a mezza coscia e la giacca della tuta all’altezza dei
capezzoli. Anche Macit sta perdendo i pezzi del vestiario, anche se lui è
partito svantaggiato, con più roba da togliersi. Macit finisce di
spogliarsi, buttando le sue cose a terra, e pazienza se oggi in ufficio il
commissario avrà la camicia sporca di grasso. Adesso ci sono cose che premono
di più, ad esempio il suo cazzo che preme contro il ventre di Goran, a fianco
di quello di Goran stesso, non meno caldo e duro. Si baciano ancora. Macit ha scopato di rado
con uomini. Gli è successo qualche volta prima di sposarsi e in due occasioni
dopo che sua moglie se n’è andata, ma prima di innamorarsi di Goran. Sa bene
di non essere molto bravo con i maschi: il tizio con cui ha scopato a Izmir
due anni fa gliel’ha fatto capire. Questa volta Macit non vuole commettere
errori, non vuole deludere Goran. Perciò, dopo aver baciato Goran, mentre le
sue mani stringono quello splendido corpo, chiede: - Goran… che cosa ti piace
fare? Goran sembra arrossire: - Non lo so, Macit. China la testa e aggiunge: - È la prima volta, per
me. Macit riconosce di essere proprio
un coglione. È logico che Goran non sia piazzato molto meglio di lui, quanto
a esperienza: di certo non ha la possibilità di andarsene in giro la sera a
scopare con altri maschi. Ma l’idea che il ragazzo sia vergine desta in lui
emozioni contraddittorie: da una parte lo spaventa, perché lo carica di
responsabilità; dall’altra l’idea di essere il primo lo esalta. - Io non sono bravo,
Goran… Goran sembra guardarlo
senza capire. Sì, Macit deve riconoscerlo: ha detto un’altra cazzata, Goran
non è interessato a grandi prestazioni, Goran lo ha chiamato “amore mio”.
Macit non è riuscito a dirglielo, ma lo farà. Macit bacia Goran, poi lo
fa girare e appoggiare sul tavolo che c’è nello stanzino. Goran allarga le
gambe, docile. Macit si china e passa la lingua
lungo il solco tra le natiche. Lo ha visto fare in un film su Internet. Non
l’ha mai fatto. Goran geme, subito. È una sensazione
piacevole, maledettamente piacevole. Macit passa la lingua più volte. Goran
ha un bell’odore, di pulito, di giovane maschio sano. Poi Macit si alza,
stringe le natiche con le dita e avvicina la cappella al buco. Non vuole fargli male. Si
sputa sulla mano e bagna la cappella. Ripete l’operazione più volte,
lubrificando bene. Poi preme e con lentezza spinge. Goran chiude gli occhi e
solleva la testa. - Ti faccio male? - No, no, va bene così. Macit si ritrae: dalla
tensione nella voce del ragazzo, ha capito che Goran mentiva. Ma Goran gli
passa le due mani sul culo e lo tira verso di sé. Macit sorride e di nuovo la
cappella preme contro il buco. Macit sputa, lubrificando ancora un po’, poi
spinge. Goran mormora: - Sì! Macit avanza, lentamente,
fermandosi per dare il tempo a Goran di abituarsi. E mentre procede pensa che
sta possedendo Goran, che Goran è suo. E prova un
desiderio violento di urlare la sua gioia. Le mani di Macit
percorrono il corpo di Goran, in una carezza continua. Macit vuole esplorare
il corpo che gli si offre e le sue dita lo percorrono
tutto, dal viso alle cosce. E intanto, con grande lentezza, Macit avanza e
arretra. Il piacere lo avvolge
completamente e ora la sua destra scivola sotto il ventre di Goran, stringe
in una morsa l’uccello e lo stuzzica. Goran geme e Macit ora spinge con
forza, trascinato da un desiderio che non può più essere contenuto, un
desiderio che ora diventa piacere e si scioglie in una successione di spinte
violente e in un grido. Il grido con cui Goran risponde al suo gli dice che
anche il giovane è venuto e sulle dita che stringono l’uccello di Goran,
Macit sente scivolare il seme. Si lascia andare sul giovane e, baciandogli la
nuca, mormora: - Amore mio. Macit ricomincerebbe:
passerebbe tutta la giornata a scopare con Goran, anche solo ad abbracciarlo
e a baciarlo. Ma per tutti e due deve incominciare una giornata di lavoro.
Allora, a malincuore, Macit si stacca e si riveste, interrompendo ogni tanto
l’operazione per baciare e abbracciare Goran, che si rimette la tuta senza
smettere di guardarlo. Quando sono pronti, Goran
dice: - Grazie, Macit. C’è un velo di tristezza
negli occhi di Goran. Macit non capisce. - Perché sei triste? - Spero di vederti ancora,
Macit, ma so che non sarà facile… Macit ha in testa piani
precisi per il loro futuro, ma non li ha ancora condivisi con Goran. Si dice
che è ora di farlo. - Goran, per me non è una
scopata e basta. Io voglio te. Goran sorride, ma c’è
ancora tristezza nel suo sorriso. - Grazie. Ma sai che non
sono libero di muovermi. Non posso lasciare Samal da solo… - Tu mi vuoi, Goran? Vorresti
provare a vivere con un commissario coglione che ti ha sbattuto in carcere? Goran sorride: - Sì, Macit, sarebbe la
cosa più bella che posso immaginare… è un bellissimo
sogno. Anche Macit sorride,
soddisfatto. - Tu e Samal verrete a
vivere da me. - Ma… commissario… Macit… - A casa mia c’è posto per
tutti. Samal è un caro ragazzo e gli voglio bene, se non altro perché gliene
vuoi tu. Avrà la sua camera. Vorrei vivere con te, Goran, non scopare quando
riusciamo a trovare un’occasione, facendo i tripli salti mortali. Goran chiude gli occhi: - Macit… È vero? - Certo che è vero! - Che cosa dirà la gente…
Il commissario, con un meccanico… non è possibile. - A questo ci penso io,
non ti preoccupare. So come fare. Se tu lo vuoi. Goran lo guarda e sorride,
ma ha le lacrime agli occhi. - Se lo voglio? Macit bacia Goran. Domani
il ragazzo riceverà lo sfratto. 2013 |