Undici vite undici morti

 

Primi giorni di aprile. Un aprile insolitamente freddo: una nebbia grigia avvolge il paesaggio e l’aria è satura di umidità. Mentre cavalca, Pierre di Coudray sente il freddo pungergli il viso, ma il corpo è avvolto in un abito caldo: Pierre è sempre stato un po’ freddoloso e quando esce per cavalcare bada a coprirsi bene.

Ora è arrivato a Terrebasse, una distesa di terreni incolti che lo ha sempre affascinato. Il cavallo procede al passo e Pierre osserva gli alberi, le cui cime scompaiono nella nebbia. Spia i primi segni del risveglio primaverile, ma gli sembra che gli alberi siano ancora stretti nella morsa dell’inverno: le gemme sono chiuse, quasi avessero paura di aprirsi all’aria fredda. Eppure è già aprile.

Pierre ferma il cavallo, scende, lega l’animale a un albero e fa qualche passo lungo il sentiero, verso lo specchio d’acqua che è la sua meta. Sul bordo dello stagno si ferma e con lo sguardo percorre il paesaggio. Davanti a lui, nella grande chiazza d’acqua, si riflettono gli scheletri degli alberi dell’altra riva, ombre scure nell’acqua grigia. Macchie di nebbia sembrano sospese ai rami. Nell’acqua, venature di canne secche. Non si vede volare un uccello, anche se la garzaia della Lieubardière non è lontana.

Non si sentono rumori, forse, appena appena, lontano, uno sciabordio.

 

Dalla finestra

 

Pierre ama quest’angolo abbandonato proprio per il suo silenzio. È un silenzio che gli entra dentro e lo riempie, scacciando ogni altro pensiero. Pierre si ferma spesso a contemplare l’acqua immobile e lascia che la sua mente si svuoti.

Avanza ancora di un passo, fino a che i suoi piedi sfiorano l’acqua. Più volte, da ragazzo, ha provato il desiderio di avanzare nell’acqua, fino a immergersi completamente, fino a scomparire. Sciocchezze, fantasie di un adolescente infelice. Eppure ogni volta che ritorna allo stagno, quel ricordo riemerge.

China la testa e si vede riflesso nell’acqua. Vede il suo fisico asciutto, infagottato nei caldi abiti che ha scelto per questa giornata di un aprile ancora quasi invernale. Vede il volto, a cui l’aria e il movimento hanno dato colore, i capelli biondi, gli occhi grigi. Sa che molti lo giudicano un bell’uomo, ma il suo viso gli appare insignificante, anche il suo corpo gli appare insignificante. Ci sono momenti, come questo, in cui si dice che è la sua vita a essere insignificante.

Di nuovo, di nuovo lo riprende questo senso di futilità. Allo stagno di Terrebasse non gli era mai successo. A Parigi sì, infinite volte, nelle serate mondane, soprattutto, ma anche nel suo palazzo. Nel castello di Druyé molto più di rado, ma fuori, tra i campi o nei boschi, mai. Forse perché la giornata è così fredda, così grigia. Da molto tempo non viene a Druyé in questa stagione, non si ricordava che questo luogo potesse essere così triste. Ha fatto male a sceglierlo come meta per una passeggiata, in una giornata tanto uggiosa.

Sta mentendo a se stesso, lo sa benissimo. Non è così. La tristezza non dipende dalla giornata, non viene da fuori, sale da dentro. Continua a salire, mentre il vuoto lo stringe d’assedio, ogni giorno conquista un nuovo territorio, supera una nuova difesa, abbatte un’altra barriera.

Pierre si scuote, si volta e ritorna verso il cavallo, a capo chino. Sono sciocchezze, questo umore nero deve passare. Di che cosa si può lamentare? Ha venticinque anni, è in ottima salute, è considerato un bell’uomo, porta un titolo nobiliare che ha ormai tre secoli, è favolosamente ricco, ha una moglie e un figlio.

E se poco fa fosse entrato in acqua, se davvero si fosse addormentato per sempre al fondo dello stagno, adesso chi lo rimpiangerebbe? Nessuno. Certamente non Camille, che non è mai stata legata a lui. Né Georges, che è troppo piccolo, ha appena due anni.

Georges! Al pensiero di suo figlio, Pierre sorride, quel piccolo essere suscita la sua tenerezza, ma di fronte a lui Pierre si sente del tutto inadeguato, gli sembra di essere troppo grande, troppo goffo. Georges gli appare così fragile: Pierre ha quasi paura di fargli male quando lo prende in braccio, soprattutto ora, dopo questo inverno terribile.

Il ricordo della malattia gli fa aggrottare la fronte: a febbraio ha temuto per la vita di Georges, appesa a un filo. Ora il peggio è passato, ma il medico ha suggerito un periodo in campagna.

 Pierre è partito immediatamente. È stato ben felice di lasciare il vuoto di Parigi e soprattutto di rifugiarsi a Druyé, lontano da Camille.

Povera Camille, lei non ha davvero nessuna responsabilità. O almeno, ne ha assai meno di lui. Se il loro matrimonio è fallito così in fretta, è perché lui è un marito incapace, lo sa benissimo. Lo sa e ne soffre. Non è la sofferenza di un grande amore finito: non ha mai amato Camille, né Camille l’ha mai amato.

Ora che sono separati, ora che nel palazzo parigino dei Coudray sono stati avviati i lavori per creare due appartamenti indipendenti, uno per lui e uno per Camille, Pierre si trova spesso a chiedersi perché non è riuscito a essere un marito migliore.

Suo zio diceva che il matrimonio è un affare e lui sposando Camille ha fatto un ottimo affare, sul piano economico, ha accresciuto ulteriormente un patrimonio già ingente. Da questo punto di vista, suo zio aveva ragione a volere quel matrimonio.

Da questo punto di vista… Ce n’è un altro? Forse, forse quello dei pochi romanzi che c’erano nella biblioteca del castello di Druyé, come quel Paul et Virginie che da ragazzo Pierre ha letto e riletto e che gli ha fatto sognare una grande storia d’amore. Quel romanzo su cui ha fantasticato, sognando di dargli una fine diversa, di salvare Virginie dalle onde e di meritarsi così l’eterna riconoscenza di Paul.

O i romanzi che ha letto in seguito, quelli che legge ora. Gli piacciono i romanzi d’amore. Ma l’amore abita nei romanzi, non nella realtà, non nel matrimonio, soprattutto, non nel suo matrimonio, comunque. Non nella sua realtà.

Pensare che da un matrimonio possa nascere l’amore, che una donna scelta dallo zio, in base a considerazioni economiche, possa trasformarsi in una donna amata, illudersi di essere amato dalla propria moglie. Quante sciocchezze!

L’errore è stato tutto suo, Camille non aveva in testa tante stupidaggini romantiche, Camille ha i piedi per terra. Il sognatore è lui. E i sognatori non sanno muoversi nella realtà.

Non si è innamorato di sua moglie e sua moglie non l’ha amato. Non ha neppure mai veramente desiderato Camille. È stato un marito mediocre, rispettoso di sua moglie. Questo è tutto quanto può dire, a propria difesa: ha sempre cercato di rispettare Camille, le sue esigenze. È tutto, ma è poco, troppo poco per mantenere in piedi un matrimonio: non è un caso, se il bilancio finale è fallimentare.

Ora è ben contento di essere a Druyé. Non intende ritornare a Parigi fino al completamento dei lavori nel suo palazzo. Lo scacco del suo matrimonio lo mortifica e non ha voglia di incontrare Camille ogni giorno. Gli sembra di leggere nei suoi occhi un rimprovero ed ha la sensazione di meritarselo.

Suo zio aveva scelto per il suo bene, ma lo aveva sovrastimato: non è stato all’altezza del compito. Forse, se lo zio non fosse morto, ora saprebbe essergli d’aiuto, gli darebbe il consiglio giusto, come ha fatto tante volte in passato. Ma non può più farlo.

Pierre vorrebbe potergli parlare ancora, sentirne la carezza. Pierre è stato accarezzato così poco, nella sua vita, gli sembra di avere sempre fame di carezze, di un sorriso affettuoso. Né sua madre, chiusa nel proprio sdegno, né suo padre, che ha appena conosciuto, né Camille, nessuno ha mai risposto alla sua fame d’affetto. Le poche carezze dello zio sono un piccolo tesoro, di cui rimane solo il ricordo.

Lo zio è morto e della grande eredità che ha lasciato, a Pierre importa ben poco: è altro denaro e di denaro ne ha più che a sufficienza, tanto che non sa che cosa farsene. Lo investirà in terre, ama la terra, ama quelle terre, i boschi, i campi, i torrenti, qui si sente a casa.

Pierre si dice che la vita è assurda. A lui, che ha tanto denaro, la vita continua a regalare ricchezza, ma gli nega l’affetto che vorrebbe. Non chiede l’amore, gli sembra al di fuori della sua portata, un sogno irrealizzabile. Gli basterebbe un po’ d’affetto, un amico con cui confidarsi. Quante volte da bambino, nel grande palazzo di Druyé, ha sognato di avere un amico, un amico con cui condividere gioie, paure, sofferenze, dubbi. Aveva finito per inventarsi un amico invisibile che veniva a trovarlo ogni notte. Altri amici non ha mai saputo crearseli. I motivi sono tanti: prima l’isolamento in cui è vissuto fino a sedici anni; poi, quando si è trasferito a Parigi, la difficoltà a inserirsi in un mondo in cui non conosceva nessuno; e, più forte ancora, la sensazione di essere diverso dagli altri, di non amare le stesse cose. Gli uomini della sua età passano le ore a discutere di abiti e di attrici, si appassionano al gioco, vantano le loro conquiste. E di tutto quello che dicono a lui non importa niente. Né a loro interessa quello che lui vorrebbe dire, delle sue letture, del suo amore per i boschi, dei suoi sogni, del suo desiderio di viaggiare.

Il bambino invisibile, che veniva a trovarlo al castello, è rimasto l’unico amico che ha avuto.

La vita non è solo assurda, sa essere feroce.

Pierre si scuote. Non ha senso continuare a rimuginare, si sta lasciando influenzare troppo dal grigio del cielo. L’umore nero passerà, come questa nebbia che già si solleva, scoprendo le cime degli alberi. A Druyé sta bene. Ama la campagna con tutta l’anima, in tutte le stagioni. La campagna scaccerà la tristezza. Non porterà l’allegria, forse, ma la serenità, sì.

 

Pierre volta il cavallo, per tornare verso il suo palazzo, e in quel momento vede venirgli incontro un uomo che non conosce. Un uomo massiccio, bruno, il viso scurito dal sole, la folta barba nera. Quell’uomo che si dirige verso di lui gli appare quasi minaccioso. Per un attimo si sente a disagio e si guarda intorno, ma non c’è nessuno in vista, neppure in lontananza. Il silenzio è diventato inquietante, carico di minacce. Pierre non è coraggioso, vorrebbe spronare il cavallo e fuggire via, ma è orgoglioso, si controlla. Si dice che la sua paura è assurda, ma è teso, fissa l’uomo cercando di leggere nel suo viso.

Ora che è più vicino, l’uomo gli sorride, un sorriso cortese. Non c’è minaccia nella sua espressione. Adesso che lo può vedere meglio, non sembra un malintenzionato. Pierre si sente un po’ rinfrancato. Si vergogna del suo timore, spera che lo sconosciuto non se ne sia accorto.

Quando è di fronte a lui, l’uomo gli si rivolge con grande cortesia.

      - Buongiorno. Mi scusi se la importuno, signor marchese.

      Pierre ora è tranquillo. Si chiede se l’uomo, che deve avere la sua stessa età, non sia qualcuno dei giovani che conobbe da ragazzo, quando visse per tanto tempo nel castello di famiglia, e che ora, a distanza di anni, non sempre riconosce.

Il viso non gli dice niente. L’uomo cavalca con sicurezza, ma a giudicare dall’abito liso, lo si direbbe un domestico.

      - Nessun disturbo. Mi dica.

      - Sono l'intendente del duca di Thilouze, Philippe Cabrera. Mi scusi se mi presento direttamente, ma volevo dirle che ho avviato una serie di lavori al Ros, non lontano da qui, proprio ai confini delle sue terre. Spero di non crearle fastidi.

      Pierre ha sentito parlare dell’intendente del duca, Cabrera, ci fu anche una storia, alcuni anni fa, per il bosco del Gerfault. Che cosa gli hanno raccontato? In questo momento non gli viene in mente, ma era un affare losco, ci furono anche diversi morti, bracconieri, forse. Che cosa c’entrava Cabrera? Risente una vaga inquietudine, ma l’uomo non appare minaccioso. Comunque, al suo ritorno chiederà al castello.

      - Non penso proprio, quella proprietà è del tutto abbandonata e nessuno se ne occupa.

      - Tanto meglio. Se dovesse insorgere qualche problema, mi avvisi e farò il possibile per risolverlo.

      L’incontro si conclude con uno scambio di saluti e Pierre ritorna al castello, dandosi del babbeo per la paura provata. Cabrera non costituisce certo un pericolo. Però deve chiedere di quella faccenda del bosco del Gerfault, sì, senz’altro.

Arrivando, passa nello studio di Manthelan. Il suo intendente è vicino al fuoco, un libro tra le mani. Posa il volume, in modo che non si veda il titolo, e si alza per venirgli incontro.

- Buongiorno, signor marchese.

- Buongiorno, signor Manthelan. Oggi ho incontrato il signor Cabrera. Mi ha detto che sta facendo dei lavori a Terrebasse. 

Manthelan ha una smorfia sprezzante.

- Sì, sta buttando via un sacco di quattrini del suo padrone. Quelle terre non valgono nulla.

Manthelan vorrebbe aggiungere qualche cosa, ma si frena. Dev’essere un giudizio negativo su Cabrera.

- Senta, anni fa ci fu una storia, con dei bracconieri, per il bosco del Gerfault, no? Era coinvolto anche il signor Cabrera, mi pare.

- Sì, ci furono quattro morti, no, tre, e uno che finì alla ghigliottina.

- Che c’entrava il signor Cabrera?

- Non so, si beccò pure lui una pallottola.

- Non ne sa altro? Il signor Cabrera non le ha mai raccontato nulla?

- No, non lo vedo quasi mai. Quello se ne sta sempre per conto suo, è una specie di eremita, fa una vita molto solitaria, è un fanatico, butta i soldi a palate per portare avanti i suoi progetti folli.

Pierre è un po’ deluso, vorrebbe saperne di più, ma a Manthelan Cabrera non sta simpatico, questo è evidente. Forse Bertrand ne sa di più.

 

      Bertrand è ben informato, sua sorella conosce Anne Michaud, la moglie del guardacaccia implicato nell’affare. Il maggiordomo gli racconta in tutti i particolari la vicenda e Pierre ascolta con interesse crescente. Ora prova ammirazione per Cabrera. Quell’uomo ha del fegato!

Quando Bertrand se ne va, Pierre rimane a lungo a pensare alla faccenda.

      Quando, pochi giorni dopo, ritorna a Terrebasse, è quasi dispiaciuto di non incontrare Cabrera. Ma il posto è talmente bello, ora, che ben presto se ne scorda: il vento caldo degli ultimi giorni ha diffuso un piacevole tepore nell’aria, le piogge di ieri hanno portato nuova linfa e le gemme si sono aperte: il verde tenero delle nuove foglie si irradia intorno ai rami neri. Pierre è contento, guarda le macchie verdi del riflesso nell’acqua azzurra dello stagno, che il vento agita leggermente. In cielo passa un airone.

      Rimane a lungo allo stagno e quando torna al palazzo è appagato. Ha fatto bene a venire a Druyé, si sente bene.

      Quattro giorni dopo Pierre ritorna a Terrebasse e questa volta vede in lontananza Cabrera. Si avvicina e lo saluta. Mentre scambia con lui due parole di cortesia, lo guarda. Non è bello, no, certamente: un viso troppo largo e poi quella barbaccia nera, le labbra spesse, le orecchie grandi e irregolari. Gli era parso meno brutto, la volta scorsa, o forse all’impressione del loro primo incontro si era sovrapposta l’immagine eroica dell’intendente che sfida gli assassini e riesce a sconfiggerli.

      Cabrera intanto gli parla della costruzione di un canale proprio al confine delle sue terre, Pierre lo ascolta attento. Quest’uomo sembra sapere quello che fa, ma Pierre non ha gli strumenti per giudicare. Se davvero è come lo descrive Manthelan, se quei lavori sono la sua idea fissa, non è strano che sappia parlarne in modo così convincente. Lui non ha la competenza per valutare. Manthelan sì, è possibile che abbia ragione lui.

 

      Ogni giorno Pierre passa lunghe ore a cavalcare e spesso si spinge fino a Terrebasse. Così, in questo mese di aprile, ha modo di incontrare più volte Cabrera.

Gli chiede dei lavori che sta facendo: non che sia particolarmente interessato agli investimenti del duca di Thilouze, ma a Druyé non frequenta nessuno e talvolta la solitudine gli pesa. È ben contento di poter conversare.

Cabrera gli spiega i suoi progetti, lo porta a vedere l’area in cui sta facendo costruire un argine e alcuni canali di drenaggio, gli spiega come intende riparare ai danni dell’incuria. Anche lui sembra parlare volentieri.

Le spiegazioni di Cabrera sono molto interessanti, le sue idee gli sembrano valide. Pierre comincia a chiedersi perché Manthelan non fa nulla del genere. Un giorno decide di parlargliene.

- Signor Manthelan, oggi a Terrebasse il signor Cabrera mi ha spiegato i suoi progetti su quell’area: conta di trasformarla in terreni molto produttivi.

Manthelan non appare molto convinto, lo guarda dubbioso, quasi ironico.

- Quando avranno cominciato a rendere, vedremo.

- Ma il signor Cabrera mi ha detto che ha già cominciato a ottenere i primi raccolti e che i risultati sono persino superiori alle sue aspettative.

- Credo che ci vorrà molto tempo prima che recuperi i fondi investiti. Cabrera ha speso una fortuna in quei lavori. Tanto non erano soldi suoi.

- Non pensa che si potrebbe investire per rendere produttiva anche l’area di Terrebasse di mia proprietà?

- Ci vogliono forti investimenti e non è detto che i risultati siano poi soddisfacenti. Io non glielo consiglio. È meglio che compri altre terre, piuttosto: Terrebasse è una voragine e bisognerebbe riempirla d’oro per ricavarne qualche cosa. Forse riusciamo a mettere le mani sul fondo di Lançon.

Il marchese si fida abbastanza della competenza del suo intendente e comunque, se Manthelan non è disposto a occuparsene, non saprebbe a chi affidare il compito. Perciò lascia perdere, ma a malincuore. Ogni volta che incontra Cabrera, gli viene di nuovo voglia di proporre a Manthelan di avviare dei lavori, ma ha capito che non è il caso di riprendere il discorso.

 

Un mattino di fine aprile il cielo è limpido, ma soffia di nuovo un vento freddo e Pierre rabbrividisce. È arrivato al confine tra le sue terre e quelle del duca di Thilouze, dove Cabrera sta facendo eseguire i suoi lavori. Si spinge spesso in quest’area, perché sa che può incontrare facilmente Cabrera e segue interessato il progredire dei lavori.

Oggi Cabrera è tra gli operai, si è tolto la giacca ed ha arrotolato le maniche della camicia, sta aiutando a sollevare una grande trave che dev’essere scivolata fuori posto. Cabrera tira la corda con energia e Pierre guarda le sue braccia. Sono scure per la fitta lanugine che le ricopre: c’è qualche cosa di animalesco in quelle braccia, nei muscoli che si gonfiano. Quell’uomo deve avere una forza formidabile.

Quando hanno finito, Cabrera si accorge di lui. Mentre srotola le maniche, si avvicina, zoppicando un poco. Pierre lo guarda in viso. Sulla fronte ci sono alcune goccioline di sudore e la camicia madida aderisce al corpo in più punti. I pantaloni sono tutti inzaccherati. Sembra un bifolco, non l’intendente. Manthelan di certo non lo si vede in quelle condizioni.

- Mi scuso per il disordine in cui mi trova, ma c’è stato un inconveniente e sono due ore che lavoriamo. Ho dato una mano anch’io, altrimenti si andava troppo per le lunghe.

Cabrera sorride e il suo viso cambia, diventa meno cupo.

- Se non le dispiace, ne approfitto per esporle un piccolo problema. Se non ha tempo, però, posso parlarne con il suo intendente.

- No, va benissimo, ho tutto il tempo che vuole.

      A Pierre non dispiace discutere con Cabrera.

      - Mi aspetti solo un attimo.

      Cabrera si dirige dagli operai, parla un momento con uno di loro, poi prende il cavallo e si avvicina a Pierre.

      - Venga con me, le faccio vedere sul posto.

      È un intervento sul confine delle due proprietà. Cabrera ha deciso di costruire un argine a difesa di un’area che intende mettere a coltura. Gli spiega il tipo di lavoro che effettuerà. Pierre segue con attenzione, ma non capisce perché Cabrera gliene parli.

      - Ma è tutto sulla proprietà del duca, non mi riguarda.

      - Sì, ma tenga conto che al termine di questi lavori, se il livello delle acque dovesse salire in modo anomalo, come talvolta avviene, l’acqua si riverserebbe per intero sui terreni di sua proprietà, creando danni maggiori. A meno che anche lei non faccia eseguire un lavoro analogo.

      - Sono terre incolte, improduttive. Anche se venissero allagate, non ci sarebbero danni. La ringrazio comunque per avermi avvertito.

      - Come preferisce. Era mio dovere avvisarla.

 

      Nascono spesso piccoli problemi relativi ai confini di Terrebasse: fino a che le terre erano improduttive, i confini venivano trascurati, ma ora che Cabrera sta realizzando molti lavori nella zona, è necessario definirli. Manthelan non si spinge mai fino a Terrebasse e a Pierre non dispiace affrontare direttamente queste faccende.

      Ormai lui e Cabrera hanno preso l'abitudine di discutere personalmente tutti i problemi in sospeso, quando si incontrano. Le questioni vengono sempre risolte senza controversie e Pierre ha modo di apprezzare più di una volta l'estrema correttezza di Cabrera: a volte i problemi che l’intendente del duca pone gli sembrano del tutto irrilevanti, ma è Cabrera stesso a spiegargli le conseguenze che certi interventi possono avere sulle terre di Pierre. È un piacere parlare con Cabrera.

      Pierre si rende conto che si reca sempre più spesso a Terrebasse, proprio per poter scambiare due parole con Cabrera. È un uomo interessante, dietro l’aspetto di bifolco si celano grande competenza e cortesia. A volte, quando parla con lui, a Pierre sembra quasi di avere a che fare con un uomo della sua condizione, sicuro di sé, colto, perfettamente padrone delle buone maniere; altre volte, quando lo vede dare una mano agli operai, magari sporco di fango, sudato, quando gli guarda le grandi mani con i ciuffi di peli sulle nocche e sul dorso, Cabrera gli sembra un operaio come gli altri.

 

      L’affare di Lançon si sta concretizzando e Pierre è contento di ampliare le sue terre e di investire una parte dell’eredità dello zio. Aspetta una risposta da Manthelan, che ha quasi convinto l’erede del fondo, il signor Pourin.

Un mattino ritorna a Terrebasse. In lontananza vede Cabrera, fermo sul ciglio della strada. Lo vede avvicinarsi, lanciare una rapida occhiata intorno, come se volesse assicurarsi che non ci sia nessuno in grado di sentirli, poi rallentare il passo del suo cavallo fino a fermarlo. Pierre fa altrettanto, un po’ perplesso. Sembra che Cabrera lo stia aspettando, che sia venuto lì apposta. Stupidaggini: Cabrera va molto spesso al Ros. Eppure, era fermo proprio lungo la strada, i suoi operai non lavorano in questa zona e poi, quel modo di fare guardingo…

      - Buon giorno, signor marchese.

      - Buon giorno, signor Cabrera.

      - Signor marchese, mi scuserà se mi intrometto in affari che non sono miei. Mi risulta che intende acquistare la terra di Lançon dal signor Pourin.

      - Sì, è vero.

      Pierre è piuttosto stupito. Non capisce che cosa voglia Cabrera.

      - Volevo avvisarla che la proprietà di quel fondo è in discussione in tribunale. Esiste un ricorso dei parenti del conte di Chessel contro l'erede designato, per captazione d'eredità. Quando il conte ha fatto testamento, non era più lucido e il medico deve averne approfittato per far nominare erede universale un suo complice. Alcuni sostengono addirittura che il testamento possa essere falso. In questa situazione l'acquisto del fondo rischia di essere nullo: è probabile che la sentenza del tribunale dia ragione ai parenti e allora non credo che riuscirebbe a recuperare facilmente dal signor Pourin, che non è certo un campione di onestà, la somma versata.

      Pierre è rimasto a bocca aperta.

      - È sicuro di quello che mi dice?

      - Abbastanza, ma lei potrà verificarlo: la causa è in discussione a Parigi e l'avvocato Derville potrà darle tutte le informazioni necessarie.

      - Non so come ringraziarla.

      - Di nulla.    

Cabrera è stato davvero gentile, non era certo tenuto a dargli queste informazioni. Ma che dire di Manthelan? Possibile che non sappia niente della faccenda?

Pierre scrive a Derville e non dice nulla a Manthelan, fino a che questi non gli dice di aver convinto Pourin. Allora avanza dei dubbi e intanto osserva la reazione del suo intendente. Manthelan è spiazzato, questo è evidente. Gli dà ragione, subito, troppo in fretta. Pierre si dice che Manthelan già sapeva.

      Le informazioni si rivelano esatte e Pierre rinuncia all’acquisto. Qualche mese dopo Pourin viene condannato e la proprietà resa agli eredi legittimi.

      I dubbi di Pierre su Manthelan acquistano maggiore consistenza.

 

      L’estate passa in fretta. Georges sta bene e Pierre gioca spesso con lui, qualche volta lo porta a cavallo: brevi passeggiate, ma il bambino è felice. Anche Pierre sta bene, Parigi è lontana, la tristezza lo assale di rado, ora è sereno.

      Si reca a Terrebasse molto spesso ed è contento quando incontra Cabrera. Ne segue i lavori con attenzione, comincia a capirne di più e si convince sempre più che Cabrera sa benissimo quello che fa. Ogni tanto lo accompagna per un pezzo di strada. È piacevole parlare con lui. Un giorno gli chiede anche della storia del bosco del Gerfault. Cabrera gli racconta, ma sul suo ruolo è piuttosto evasivo, a sentire lui sembra che non abbia fatto nulla di particolare. Ma la pallottola nella gamba se l’è beccata e alla fine è costretto ad ammettere che, se non fosse stato per lui, sarebbero finiti male in parecchi.

      Pierre si rende conto che ammira quell’uomo; quando parla con lui, spesso lo trova affascinante. Altre volte invece, quando lo vede sporco, sudato, indaffarato con gli operai, prova quasi una sensazione di fastidio.

      Un giorno arriva al cantiere. Non vede subito Cabrera, ci sono solo gli operai. Uno di loro, tutto infangato, è seduto ai piedi di un albero, il dorso appoggiato al tronco, la testa reclinata all’indietro, gli occhi chiusi. Un altro, a torso nudo, un po’ appartato, sta svuotando la vescica di fronte un albero. Ha il dorso coperto da una fitta peluria nera che gli arriva fino alle spalle. Pierre lo guarda un attimo e sussulta: non l’ha riconosciuto subito, ma è Cabrera. Distoglie lo sguardo, è infastidito e imbarazzato. È arrivato nel momento sbagliato, vorrebbe andarsene, ma non può farlo, che cosa penserebbero di lui? Si avvicina agli operai, come se non avesse visto Cabrera e lo cercasse tra di loro.

      Quando Cabrera gli si avvicina, ha già indossato la camicia, tutta sporca di fango e bagnata, che già aderisce al corpo sudato e lascia intravedere la densa peluria sul torace. Pierre finge di accorgersi solo ora della presenza dell’intendente. Cabrera deve avere di nuovo lavorato con gli operai, nonostante il caldo di questo giorno d’agosto: quando si avvicina, Pierre sente la zaffata di sudore. Un odore intenso, che gli toglie il fiato. Prova ribrezzo e nuovamente vorrebbe allontanarsi, ma non vuole apparire scortese.

      - Buongiorno, signor marchese. Mi scuso se non sono presentabile, ma oggi abbiamo avuto un po’ di problemi.

      - Si figuri, stanno lavorando, sono io che disturbo…

      Pierre cerca di essere cortese, ma è intenzionato ad andarsene il più in fretta possibile. In questo momento prova solo fastidio: quell’odore, quella camicia lercia e poi, in che stato è ridotto Cabrera! Dev’essersi rotolato nel fango, i pantaloni sembrano essere stati immersi in un pantano, ha del fango persino sulla faccia, tra i peli della barba e tra i capelli. Sembra una bestia, più che un uomo. È il caso di conciarsi in quel modo? È l’intendente o un operaio?

      Cabrera si allontana subito, pare quasi che abbia capito.

      - Mi scuso, ma devo accompagnare un operaio dal medico. C’è stato un incidente.

      Prende le redini del cavallo, si avvicina all’operaio seduto ai piedi dell’albero. Lo prende in braccio e senza sforzo apparente lo solleva, lo mette sulla sella, le gambe di lato. Poi sale e invita l’operaio ad aggrapparsi a lui. L’operaio è molto pallido. Gli cinge la vita con il braccio e mormora:

      - Grazie ancora, signor Cabrera, se non era per lei, sotto quella trave ci rimanevo.

      - Lascia stare, Octave. Adesso vediamo cosa dice il dottore per la gamba.

      Cabrera saluta e se ne va.

      Pierre lo guarda allontanarsi. Gli pare di avvertire ancora quell’odore intenso, ripensa a Cabrera che urina davanti all’albero, a quel dorso peloso. Quell’uomo ha qualche cosa di bestiale. Eppure dimostra sempre una cortesia e una correttezza ineccepibili. E oggi deve aver salvato quell’operaio.

Pierre non sa cosa pensare. Quel piccolo episodio lo ha turbato, più di quanto non voglia ammettere. Gli sembra di avere in testa una grande confusione.

      Per qualche giorno rimane lontano da Terrebasse. Quando vi ritorna la prima volta non incontra Cabrera e ne è quasi sollevato, eppure gli dispiace. Lo vede pochi giorni dopo, a cavallo, il solito abito consunto, ma pulito, l’incedere sicuro di chi è abituato ad andare a cavallo, i modi cortesi, lo sguardo franco, il sorriso che gli illumina il viso. Pierre non ci teneva a incontrarlo, ma ora che lo vede è contento. Gli chiede notizie dell’operaio, che ha una gamba rotta, ma si rimetterà. Si fa raccontare l’incidente, una trave che ha ceduto, travolgendo un operaio nella caduta e spezzandogli la gamba. Nel terreno fangoso la trave sprofondava, schiacciando il malcapitato, ma sono riusciti a tirarlo fuori prima che fosse troppo tardi. Come al solito Cabrera è reticente sulla parte che ha avuto nel salvataggio, ma alla fine Pierre riesce a capire che l’intendente si è infilato sotto la trave, sollevandola a forza, prima che il suo peso soffocasse l’uomo. Gli altri operai hanno così potuto tirare fuori il loro compagno e legare l’asse. Cabrera deve aver corso un bel rischio. E lui che si è lasciato disgustare da un po’ di fango e di sudore!

 

      L’estate finisce, l’autunno accende i boschi di colori sgargianti, Pierre passerebbe le giornate a cavalcare per la campagna. Continua a incontrare spesso Cabrera, si trova bene con lui. Non parlano più soltanto dei lavori agricoli, le loro conversazioni spaziano, toccando temi diversi: la vita in campagna, i problemi della regione, il colera, la monarchia. Non parlano quasi mai di se stessi, ma incominciano a conoscersi meglio.

A fine ottobre Camille comunica a Pierre che i lavori nel palazzo parigino sono ormai finiti. È ora che Pierre ritorni a Parigi, per dare le istruzioni relative alle rifiniture del suo appartamento.

Prima di partire, Pierre cerca ancora Cabrera e questa volta si ferma a lungo a parlare con lui, lo accompagna anche fino alla sua abitazione, una delle case del borgo a fianco del castello del duca. Gli spiace pensare che non lo vedrà più per parecchi mesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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