Un romanzo da rivedere

 

 

Il cielo si sta coprendo di nuvoloni neri ed io incomincio a chiedermi se non ho fatto un grosso errore a spingermi così lontano da casa. Ieri ho guardato le previsioni del tempo, che non erano rassicuranti: forte probabilità di pioggia nel pomeriggio e rischio di temporali. Avevo stabilito di terminare il mio giro in bici poco dopo mezzogiorno, in modo da tornare a casa prima della pioggia, ma questa mattina il sole splendeva e non si vedevano nuvole all’orizzonte. Ho concluso che le previsioni erano sbagliate, come era successo la settimana scorsa: io avevo rinunciato al mio giro in bicicletta perché sembrava che dovesse scatenarsi il diluvio universale, ma in tutto il sabato non si era vista una goccia di pioggia. Mi sarei morso le mani per essermi lasciato scoraggiare. Così questo sabato, vedendo il cielo terso, mi sono spinto molto più lontano di quanto avessi programmato, in un’area che conosco poco: sono andato a zonzo come un perfetto imbecille, senza preoccuparmi troppo dell’itinerario. E ora sono a tre ore di bici da casa, con un cielo che diventa più nero a ogni minuto. Rientrare sotto il diluvio è pericoloso. Ho una mantellina, ma il tragitto è lungo e, anche se adesso fa ancora abbastanza caldo, quando incomincerà a piovere la temperatura scenderà in fretta. Senza contare che c’è il rischio di beccarsi un fulmine. Merda!

Devo cercare un rifugio. Quest’area è poco popolata, di sicuro non trovo un paese. Non so dove porti questa strada, l’ho presa perché mi piaceva la valle che percorre, la fioritura della brughiera. Mi sono detto che tanto sarei potuto tornare seguendo all’inverso lo stesso percorso. L’unica è guardare sul navigatore dove mi trovo e vedere qual è il paese più vicino: non ne ho visti dopo che ho svoltato per prendere questa maledetta strada, un’ora fa.

Mentre tiro fuori il cellulare, vedo il lampo sulla mia destra e il tuono mi fa sussultare. Merda! Come se fosse il segnale atteso, si aprono le cateratte del cielo: prima che abbia tirato fuori la mantellina, sono già fradicio. Volto la bici e riprendo a pedalare. Quello che scende dal cielo è un vero diluvio, accompagnato da fulmini. La mantellina serve a poco, tanto più che il vento la solleva. Non posso pensare di procedere a lungo in questo modo. Devo trovare un riparo.

Dopo dieci minuti vedo una casa. Non l’avevo notata arrivando, ma è un po’ arretrata rispetto alla strada e rimane nascosta. Spero che ci sia qualcuno e che siano disposti a ospitarmi finché non smette. Mal che vada, mi riparo sotto il tetto sporgente. Sono bagnato come un pulcino.

Percorro il viale che porta alla casa. Appoggio la bici contro una parete e mi dirigo all’ingresso. Prima che possa bussare, la porta si apre e un uomo appare sulla soglia: deve avermi visto arrivare.

- Mi scuso, sono stato sorpreso dalla pioggia…

Mi blocco, allibito. Nella mia testa si è creato un vuoto, perché l’uomo che ho davanti è Jeff Walker. Devo fare uno sforzo per riuscire a dire:

- Non so dove ripararmi.

- Entra pure.  

Anche la voce è la sua, una voce baritonale, profonda, calda.

Walker chiude la porta, mi guarda e dice:

- Mi sa che è meglio se ti fai una doccia calda.

Dovrei dire di no, che non voglio disturbare, ma nelle mie condizioni una doccia calda è necessaria per evitare di beccarmi una polmonite.

- Vieni.

Mi accompagna nel bagno, un locale ampio, con una grande doccia.

- Togliti tutto e fatti una doccia. Puoi usare quell’accappatoio, è pulito. Io intanto prendo dei vestiti asciutti. Devi avere una taglia in meno, non dovrebbero esserci problemi.

- Ma non vorrei…

Non proseguo: è assurdo. Non posso certo rimettermi i vestiti bagnati. Ho bisogno di vestiti caldi e asciutti. Sto già tremando per il freddo.

Walker esce. Mentre mi spoglio, penso a lui, Jeff Walker, che certamente non si chiama così: tutti gli attori porno usano pseudonimi.

Walker è stato una stella di prima grandezza nel mondo dei film porno gay, anche se la sua carriera è durata pochissimo: tre anni. Prima ha recitato in una dozzina di film che lo hanno portato a vincere il premio XBIZ (che sta per X business, cioè tutto ciò che ha a che fare con il porno) come migliore attore porno gay. Poi ha scritto e prodotto una serie di dieci film western, in cui è Douglas il Toro, un fuorilegge spietato, che fotte le sue vittime prima di ucciderle. Nell’ultimo film della serie Douglas viene catturato da un gruppo di cacciatori di taglie, che lo violentano prima di impiccarlo: per la prima volta Walker non era il maschio alfa, ma subiva uno stupro di gruppo.

La sera stessa in cui fu girata l’ultima scena, Walker annunciò il suo addio al mondo del porno e scomparve nel nulla.

A un certo punto si diffuse la voce che la conferenza stampa in cui aveva annunciato la fine della sua carriera di attore fosse stata tenuta prima che si girasse l’ultima scena e che Walker fosse davvero morto impiccato durante la ripresa della scena finale. Alcuni dicevano per errore, altri per una scelta deliberata. L’avevo pensato anch’io: di lui non si sapeva più niente e sembrava impossibile che potesse essere scomparso nel nulla.

Invece Jeff Walker non è morto. Due anni dopo quell’ultimo film, campione d’incassi, è qui, nella campagna scozzese, in una bella casetta isolata. Si è accorciato i capelli, che portava piuttosto lunghi, e si è fatto crescere la barba, che gli sta benissimo, ma rimane perfettamente riconoscibile. O almeno lo è per me, che l’ho sempre ammirato e mi sono visto parecchi dei suoi film.

La doccia calda è una meraviglia, che scaccia i brividi. Mi metto l’accappatoio e mi asciugo. Quando ho finito anche con i capelli, sento la voce di Walker:

- Ti lascio gli abiti qui, nell’antibagno. Appendi i tuoi allo stenditoio.

Quando apro la porta, è già sparito.

Mi vesto. Camicia e maglione sono un po’ larghi. Pantaloni e mutande invece mi vanno bene. Infilarmi le mutande di Jeff Walker mi fa un certo effetto. Ripenso ad alcune scene che ho visto (in cui le mutande se le toglieva) e ovviamente mi viene duro. Per fortuna il maglione è abbastanza lungo da coprire un po’ l’erezione. Sono in imbarazzo all’idea di trovarmi a parlare con Jeff Walker. Nei suoi vestiti, per di più.

Esco dal bagno e raggiungo il salotto, dove Jeff Walker è seduto in poltrona. Mi guarda e sorride.

- Tutto bene?

- Sì, adesso sì. Grazie.

- Ti ho preparato un tè caldo. Ho pensato che ti servisse.

- Un’ottima idea, grazie. È quello che ci vuole.

Mi siedo e mi verso il tè. In questo modo rimando il momento in cui dovrò parlargli. Non so bene che cosa dire. Ringraziamenti, qualche banalità, certamente senza fare nessun riferimento alla sua identità. Non sapessi chi ho di fronte, non mi sentirei a disagio, ma così mi sembra quasi di mentirgli, non dicendogli che so chi è. Chi è o piuttosto chi è stato, perché chi è lui oggi, non lo so proprio.

Sorseggio il tè e poi mi dico che non posso rimanere in silenzio.

- Grazie davvero. Non so se sarei mai riuscito a tornare a casa e in ogni caso non so in che condizioni sarei arrivato.

- Dove abiti?

- A Inverness

- In bicicletta ci vorranno due ore, se non di più.

- Sì, mi sono spinto troppo lontano. Avevo guardato le previsioni, ma pensavo di farcela a tornare prima della pioggia. È stata una cazzata, lo so.

Lui sorride.

- Ne facciamo tutti.

Dopo un momento di pausa, dice:

- Se ti va bene, puoi fermarti qui fino a che smette o almeno rallenta un po’. Poi carichiamo la bici sull’auto e ti porto a casa.

- Ma non voglio disturbare.

Alza le spalle.

- Nessun disturbo.

Sorride e aggiunge:

- E poi non voglio mica che rovini i miei vestiti andando in bici sotto la pioggia.

Rido.

- Hai ragione. Mi hai rivestito da capo a piedi e sarebbe poco gentile rovinarti gli abiti.

Un tuono molto forte ci fa voltare verso la finestra. Quando torniamo a guardarci, Jeff Walker dice:

- No, direi che non è proprio il caso di partire adesso.

- Non posso darti torto.

Solo ora mi rendo conto che non gli ho neanche detto il mio nome. Non l’ho fatto subito, ma trovarmi davanti Jeff Walker mi ha completamente spiazzato.

- Non mi sono presentato. Scusa. Mi chiamo Thomas, Thomas Strout.

- Piacere di conoscerti, Thomas. Io mi chiamo Hermann Grundwall, non Jeff Walker.

Sorride mentre lo dice. Io mi sento in imbarazzo, non so bene che cosa dire. È lui a proseguire:

- Ho capito subito che mi hai riconosciuto, ma ho preferito far finta di niente: non sapevo come avresti reagito e preferivo evitare una situazione che poteva diventare imbarazzante. Mi è capitato di incontrare uomini, non pochi, convinti che io ci dovessi comunque stare: sai com’è, sei un attore porno, allora sei disponibile a scopare con tutti. L’ho sempre trovato piuttosto fastidioso. Ormai ho capito che sei una persona sensata, anche se guardi i film porno e parti per un giro in bici quando si prevedono temporali, per cui mi sembra inutile fingere di non aver capito che sai.

L’ha detto sorridendo e sorrido anch’io. Mi sento più a mio agio, ora. Ricambio il suo sorriso e gli rispondo:

- Pure tu mi sembri una persona sensata, anche se giravi film porno,

- A questo proposito ti chiedo una cosa.

- Di non dire a nessuno che ho incontrato Jeff Walker? Te lo garantisco,

- Hai capito subito. Sei anche intelligente, oltre che sensato. Hai un sacco di qualità.

Sorride, poi torna serio e aggiunge:

- Non mi pento del mio passato, per nulla. Ma qui nessuno mi conosce. O almeno nessuno vuole far sapere che guarda un certo genere di film. Comunque non ho molti contatti con altre persone.

- Vivi molto appartato?

- Sì. Non per non farmi riconoscere, sarebbe assurdo. Avevo bisogno di staccare. Tre anni continuamente sotto i riflettori, sempre sotto pressione. Ho capito che non era la vita che volevo. Mi è andato benissimo averlo fatto per tre anni, è stata un’esperienza positiva, mi ha dato un notevole benessere economico. Ma avevo raggiunto il limite oltre il quale un’esperienza diventa routine e noia, per non dire stress.

- Non ho mai pensato che la vita di un attore porno potesse essere noiosa. Me la sono sempre immaginata molto eccitante. Gente interessante, molto sesso e naturalmente soldi.

- Tu lo faresti?

Rimango un momento in silenzio. Mi ha preso in contropiede. Lui è serio, maledettamente serio, e io rispondo con sincerità:

- No, credo di no. Non me la sentirei. Non amo essere al centro dell’attenzione. E…

Non so come continuare. Quello che vorrei dire potrebbe suonare offensivo per lui. Ma Jeff/Hermann ha capito benissimo.

- E non ti andrebbe a genio di scopare a pagamento.

- E’ vero.

- A me non è spiaciuto farlo. Ho avuto occasione di scopare con molti bei maschi, alcuni davvero fantastici. Ma a un certo punto ne ho avuto abbastanza.

- E così adesso sei qui. Perché ti sei stabilito qui? Hai parenti?

- Sono per metà scozzese. La casa era dei miei nonni materni e mia madre è nata qui. Io ci ho passato più volte le vacanze estive, da bambino, soprattutto dopo la separazione dei miei. Mia madre ha ereditato la casa, ma non sapeva che farsene, ormai vive in Oregon, voleva venderla. Le ho detto che l’avrei comprata io, ma lei non ha voluto. Me l’ha ceduta.

- Così sei venuto a vivere qui, mettendo l’oceano tra te e quelli che frequentavi.

- Sì, è vero. Anche se nell’era di Internet stare da una parte o dall’altra dell’oceano poco cambia.

Vorrei chiedergli se non gli pesa la solitudine, come passa le sue giornate, se lavora, ma mi sembrerebbe di fare il ficcanaso.

E’ lui a chiedermi:

- Oltre ad andare in bici sotto il diluvio, che cosa fai di bello nella vita?

- Insegno in una scuola secondaria di Inverness.

- Che cosa insegni?

- Storia.

- Storia! Che bello! La storia mi ha sempre affascinato. Da bambino in estate ascoltavo mio nonno parlare dei re scozzesi, della regina Maria, della rivolta guidata da Wallace. Tutta la storia mi appassiona. Da quando vivo qui, ho letto parecchi libri di storia e…

Si ferma e sorride.

- E…?

- Non dovrei dirtelo, ma abbiamo stabilito che sei una persona sensata e non vai in giro a raccontare i fatti altrui, per cui te lo dico. Sto scrivendo un romanzo storico. Forse romanzo storico non è esatto. Diciamo una storia ambientata nell’Ottocento.

- In Scozia?

- No, in Inghilterra e soprattutto alla Giamaica.

Vorrei chiedergli qualche dettaglio, ma non so quanto abbia voglia di raccontare. Rimango sul generico:

- Allora adesso ti dedichi a scrivere romanzi?

- Sì, mi è sempre piaciuto scrivere. Avevo scritto alcuni racconti erotici quando facevo l’attore, ma parlandone con il mio agente avevamo deciso di non farli pubblicare.

Penso che mi piacerebbe leggerli, ma non posso certo chiederglielo, per cui m’informo sul romanzo.

- Conti di pubblicare il romanzo con il tuo vero nome? O come Jeff Walker?

- Di sicuro non come Jeff Walker. Jeff Walker è morto, impiccato dai cacciatori di taglie.

- Sai che molti lo credono davvero? Confesso che anch’io mi domandavo se non fosse vero.

- Lo so. È stato Albert, il mio agente, a mettere in giro la voce. Diceva che avrebbe contribuito al successo del film. A me andava bene: credendomi morto, non mi avrebbero cercato.

- Non ci furono indagini?

- Volevano avviarne una. Io mi presentai e l’indagine fu chiusa prima di essere aperta, ovviamente.

- Capito. Quindi preferisci non usare il tuo pseudonimo perché non sospettino che sei ancora vivo?

- Non proprio. Prima o poi salterà fuori, questo lo so e mi va bene. Ma adesso voglio ripartire da zero e voglio che il libro sia valutato per quello che è e non come opera di Jeff Walker.

È tutto molto interessante per me, che lo ammiravo. Lui è alquanto disponibile, ma mi rendo conto che sono piombato a casa sua inatteso e adesso lo sto tenendo occupato, mentre lui ha sicuramente altro da fare.

- Senti, tu stavi facendo le tue cose ed io ti ho interrotto. Non voglio trattenerti qui, a tenermi compagnia. Riprendi a fare quello che stavi facendo ed io mi guardo le previsioni del tempo sul cellulare.

- Non c’è problema, staccare ogni tanto mi fa bene. A meno che tu non abbia delle cose da fare.

- Figurati. Avevo previsto di godermi una gita in bici…

- Va bene. Allora raccontami un po’ del tuo lavoro e di come cerchi di interessare i ragazzi alla storia. In che classi insegni?

- In tutte, dalla S1 alla S6, ma dipende dagli anni.

Gli racconto un po’ di cose e lo vedo interessato. Quando mi sembra che abbiamo esaurito l’argomento, gli chiedo:

- Che storia è, quella del romanzo? Se hai voglia di dirmelo, naturalmente.

- Come insegnante di storia, conoscerai la situazione che si creò nella prima metà dell’Ottocento, quando l’Inghilterra decise di proibire la tratta degli schiavi neri.

- Certo.

- Allora, ho immaginato che alcuni schiavisti della Giamaica abbiano deciso di procurarsi nuovi schiavi catturandoli a Haiti, dove i neri sono diventati liberi. Un giornalista e un tenente in congedo lasciano Londra per la Giamaica e fanno conoscenza sulla nave che li porta in America. Le loro storie s’intrecciano con quelle dei mercanti di schiavi e dei proprietari terrieri dell’isola.

- Sembra un romanzo molto serio.

- Molta avventura, una storia d’amore molto forte, diversi elementi sovrannaturali…

- E niente sesso?

- Ce n’è, parecchio. È un romanzo con una forte componente erotica, ma non è l’elemento dominante.

Chiacchieriamo ancora a lungo. Adesso sono a mio agio e mi trovo bene con lui. Tengo d’occhio il tempo e quando vedo un miglioramento, dico:

- Sta smettendo. Credo che, quando vuoi, possiamo andare.

Guarda anche lui fuori dalla finestra.

- Sì, direi di sì.

Carichiamo la bici sul portapacchi (così non devo smontarla). Mi riprendo i miei abiti, ancora fradici, e li metto in un sacco che lui mi dà.

Mi riporta a casa. Guida tranquillo, senza fretta. 

Quando arriviamo, dico:

- Ti lavo i vestiti e te li riporto.

- Non stare a lavare pantaloni e maglione. Non avrebbe senso.

- No, certo.

Ci scambiamo il numero di telefono, così possiamo metterci d’accordo per la riconsegna degli abiti.

Torno a casa. La gita ha avuto una conclusione imprevista ed io sono un po’ turbato. Certamente non pensavo di conoscere Jeff Walker. Mentre metto i miei abiti bagnati e la sua biancheria in lavatrice, mi dico che lo rivedrò per rendergli gli abiti. Magari potrei invitarlo a cena, per ringraziarlo dell’ospitalità, degli abiti e del passaggio. La fantasia incomincia a viaggiare (sono un sognatore), ma mi dico che Jeff/Hermann è stato molto chiaro: gli dà fastidio che qualcuno sia convinto di poterselo portare a letto perché è stato un attore porno. Quindi è meglio che Thomasognatore non si faccia venire strane idee.

Quando ho fatto partire la lavatrice, mi siedo al computer e ovviamente cerco i film che Jeff ha prodotto, quelli in cui è un fuorilegge. Scelgo il settimo, che è anomalo. Il protagonista, dopo aver ammazzato due banditi, si bagna in una pozza e incontra un uomo. I due sono attratti uno dall’altro e scopano. È una scena in cui non c’è violenza, come avviene invece spesso nella serie. C’è molta tenerezza. Alla fine il bandito prende la pistola e si capisce che pensa di ammazzare l’uomo con cui ha appena scopato, forse perché teme di essere denunciato, ma non lo fa. I due si baciano e si separano. Mi sono più volte immaginato che invece di lasciarsi decidano di vivere insieme e che il bandito cambi vita. Thomasognatore ha un animo romantico, lo so.

Ovviamente il filmato ha su di me un certo effetto (quello per cui è stato girato e viene acquistato), per cui concludo la giornata con una bella sega e l’immagine di Jeff Walker negli occhi.

 

La biancheria è asciugata. La signora che viene da me una volta a settimana l’ha stirata con cura ed è ora che riporti a Hermann Grundwall ciò che gli appartiene. Ho messo il tutto in una busta e posso caricarla in auto e portargliela in qualsiasi momento libero. Dovrei telefonargli, ma esito. Una parte di me, Thomasognatore, s’illude di poter combinare qualche cosa con lui e propone stratagemmi, alquanto risibili, per arrivare al letto. Un’altra parte di me, Thomasaggio, memore di quanto lui mi ha detto, m’invita a telefonare e chiudere la faccenda. Se Hermann dovesse dimostrare qualche interesse o disponibilità, il discorso cambia, ma se non prende lui l’iniziativa, rischio solo di fare una brutta figura.

Il buon Thomasaggio ha il sopravvento. Telefono a Hermann e gli dico che i suoi vestiti sono pronti e che posso portarglieli in qualsiasi momento. Lui mi ringrazia e mi dice che deve passare dalle mie parti venerdì pomeriggio, per cui se mi va bene verrà a prenderseli. Ci mettiamo d’accordo sull’ora.

Il venerdì Hermann si presenta puntuale. Mi dico che è davvero un bell’uomo, oltre a essere molto dotato, e che con la barba sta proprio bene (sarà che ho un debole per gli uomini con la barba). Lo invito a entrare e bere qualche cosa, ma mi dice che ha un appuntamento. Gli passo la busta, ci stringiamo la mano e lui esce dalla mia vita, con un bel sorriso. Non che ci sia rimasto molto, nella mia vita. Nei miei sogni sì, ma in quelli rimarrà per un po’.  

 

*

 

Otto mesi sono passati e non ho più avuto molte occasioni di pensare a Hermann. Il messaggio mi prende di sorpresa. Sono solo due parole: “Posso telefonarti?”.  Rispondo positivamente e poco dopo il cellulare squilla.

- Ciao, Thomas. Spero di non disturbarti.

- Nessun disturbo.

- Ho una proposta indecente da farti.

- Mi sembra interessante. Dimmi.

Lui ride.

- Ho concluso il romanzo e l’ho riletto. Avrei bisogno di qualcuno che lo leggesse e mi dicesse se ci sono grossi errori storici. Non è un romanzo che posso far leggere a chiunque, per cui ho pensato a te. Ovviamente ti pago per questo.

La proposta mi spiazza. Di certo non me l’aspettavo. Sono curioso di leggere il romanzo, per cui rispondo:

- Lo leggerò molto volentieri.

- Benissimo. Mi dirai tu quanto vuoi.

Mi verrebbe da rispondergli che voglio essere pagato in natura, ma il cervello funziona, per cui gli dico:

- Se il romanzo è interessante e non ci sono troppi errori, lo faccio gratuitamente. Altrimenti ti faccio pagare per ogni errore che trovo e per ogni volta che mi addormento.

- Pagarti a errore mi sembra giusto, oltre a una somma fissa, che è doverosa. Preferisci un file o te lo stampo?

Esito. Non amo leggere al computer, ma se devo fare osservazioni e correzioni, è più comodo avere un file.

- Mandami un file. Se ho la necessità di stampare una pagina, posso farlo io.

Poi aggiungo:

- Ovviamente ogni pagina che devo stampare ha un costo.

- Va bene. Cercherò di preparare psicologicamente il mio conto in banca al salasso.

Rido. Gli do il mio indirizzo di posta e ci salutiamo.

Il romanzo mi arriva dopo pochi minuti: è un file sostanzioso. Lo scarico e lo metto in una cartella, che chiamo Jeff Walker. Poi ci ripenso e rinomino la cartella: Hermann. Sono molto curioso di leggerlo e comincerei subito, ma sto finendo un lavoro e voglio fare una revisione accurata.

 

Incomincio la sera, sul portatile. All’inizio mi appunto qualche osservazione minore, ma già nel secondo capitolo mi rendo conto che mi dà fastidio interrompere la lettura per segnarmi le osservazioni, per cui decido di leggere tutto il romanzo di seguito una prima volta, senza interruzioni, e poi una seconda volta prendendo nota di ciò che richiede una revisione.

La storia mi prende. Sesso e avventura non mancano, ma a colpirmi è soprattutto l’amore fortissimo che lega i due protagonisti, Adam e Thomas. Ci sono momenti in cui mi commuovo: sono un incurabile romantico e questo amore assoluto mi conquista.

Termino la lettura in tre serate e poi mi abbandono ai miei pensieri. Non mi aspettavo un romanzo del genere. Pensavo che Hermann, essendo stato un attore porno, avesse scritto un romanzo porno. Ma non è così. Deve avere anche lui un animo romantico.

Il fatto che uno dei due protagonisti si chiami Thomas, come me, mi colpisce. Hermann gli avrà mica dato il nome di Thomas dopo che ci siamo incontrati? Thomasaggio dice a Thomasognatore di non farsi venire strani pensieri. Dev’essere una coincidenza. Vero è che con il computer è facile cambiare il nome di un personaggio. Magari prima di spedirmi il romanzo ha messo Thomas al posto di Oliver o Richard. E quando lo spedirà all’editore, rimetterà il nome che aveva pensato. Insomma, magari ha voluto strizzarmi l’occhio, magari è una presa per il culo.

Nei giorni successivi riprendo il testo. Non ci sono grossi errori storici e le mie osservazioni sono tutte di dettaglio. Controllo alcuni elementi, per essere sicuro di non prendere cantonate, ma anche lui deve aver fatto i suoi controlli.

Prima di telefonare a Hermann, rifletto un momento su come muovermi. Ovviamente dobbiamo vederci per parlare del romanzo. Potremmo farlo a casa mia: potrei invitarlo a cena. Ci penso un momento e concludo che è meglio di no: non voglio che pensi a una manovra. Non mi rimane che telefonargli e dirgli che ho svolto il lavoro, che non ho molte osservazioni, che le ho segnate e ne possiamo discutere un momento quando gli fa comodo, a casa mia o a casa sua o al bar.

La sua risposta apre qualche spiraglio:

- Benissimo. Direi che t’invito a cena. Che sere sei libero?

Non ho molti impegni e concludiamo per venerdì sera. Sabato non lavoro e se dovessimo fare tardi… Non finisco il pensiero. Dico a Thomasognatore che Hermann è stato molto chiaro e che non deve aspettarsi nulla, a parte una buona cenetta e una chiacchierata piacevole con uno dei più bei maschi che abbia mai visto. Lui vorrebbe altro, ma non intendo lasciargli nessuna libertà d’azione.

Il venerdì fatidico mi lavo a fondo, infilo due preservativi in tasca (unica concessione che faccio a Thomasognatore).

Hermann ha preparato una cena leggera, molto semplice ma curata. Non è uno chef, ma se la cava bene in cucina.

Dopo cena passiamo nel suo studio, ci sediamo alla scrivania e vediamo il file con le mie osservazioni.

- Non ho trovato nessun errore espressivo. Le osservazioni sono tutte di dettaglio. Non posso garantirti di aver individuato tutti gli errori: non sono un esperto di storia della Giamaica.

- No, certo, ma se ci sono piccole forzature della realtà dell’epoca, non mi sembra un problema. Non credo che saranno molti gli storici a leggerlo. E in ogni caso è un’opera di fantasia, senza nessuna pretesa di ricostruire vicende reali.

- Sì, sono d’accordo con te.

- Una cosa che mi sono chiesto è la verosimiglianza dei personaggi rispetto alla loro epoca. A volte leggi romanzi in cui antichi egizi parlano come la gente d’oggi e non mi convince.

- Certo. Ma siamo nell’Ottocento e non è un’epoca così lontana da oggi. Se leggi epistolari e diari privati dell’Ottocento, ti rendi conto che molti avevano gli stessi pensieri di tanti uomini d’oggi. Magari certe idee non erano espresse in pubblico, ma privatamente lo erano. E spesso con un linguaggio che non ritrovi nei romanzi dell’Ottocento, ma solo perché certi termini non potevano essere stampati in un libro.

- Non ho mai pensato di leggere diari ed epistolari dell’Ottocento. Romanzi sì ed è vero che ti rendi conto che, anche se le condizioni di vita erano molto diverse, i pensieri non lo erano. Il linguaggio sì.

- Non potevi scrivere certe parole in un testo da pubblicare, c’era la censura. Ma la gente le usava. E nelle lettere le trovi.

- Ottimo, questo mi conforta.

Vediamo insieme le mie osservazioni. Il lavoro non richiede molto tempo. Salviamo il file sul computer di Hermann. A questo punto gli dico:

- Comunque voglio dirti che il tuo romanzo mi è piaciuto molto. Mi ha preso. È una storia forte e l’amore dei due personaggi… ho un animo romantico e mi sono commosso.

- Mi fa molto piacere. Sei il primo lettore e il tuo parere conta. Adesso però dobbiamo parlare di compenso. Hai lavorato diverse ore…

Lo interrompo:

- L’ho letto molto volentieri e non mi ha richiesto molto lavoro. Lascia perdere. Se ne fai copie cartacee mi regali una copia con dedica. O conti di fare solo un e-book?

- Ho intenzione di fare entrambe le cose. E di pagarti.

- Mi hai prestato i tuoi abiti, riaccompagnato a casa evitandomi una polmonite, offerto una cena. Direi che siamo a posto così. Davvero, non è stato un gran lavoro.

Hermann non è convinto, ma alla fine cede.

Gli chiedo se ha già contatti con un editore e lui mi dice di sì. Ha conoscenze nell’ambiente gay, ovviamente, e sa chi potrebbe pubblicare il libro. Ha già un editore inglese e uno statunitense si è dichiarato interessato.

Vorrei fare un’osservazione sul fatto che uno dei protagonisti si chiama Thomas, ma mi dico che tutto sommato non è il caso.

A questo punto è abbastanza tardi e, a malincuore, gli dico che è ora che vada. Thomasognatore ha la vaga speranza di sentirsi dire “Devi proprio andare? Potresti fermarti a dormire qui”, ma Hermann non dice nulla del genere. Mi riaccompagna alla porta, mi saluta gentilmente (senza bacino) e Thomasognatore se ne va, con due inutili preservativi in tasca e la promessa di una copia con dedica. Ci rivedremo, quando mi farà avere il libro (sempre che non me lo spedisca per posta), ma ormai è chiaro che non combineremo niente.

Guidando verso casa Thomasognatore è un po’ triste, Thomasaggio gli dice che è un coglione. Thomasaggio non è molto gentile con Thomasognatore, ma devo ammettere che ha ragione.

A casa non ho voglia di mettermi a dormire, anche se è decisamente tardi. Decido di guardarmi il film in cui Jeff Walker viene stuprato e impiccato. È molto violento e non è uno dei miei preferiti, ma questa sera (notte) ho voglia di vedere ammazzare Jeff. La delusione di Thomasognatore si è trasformata in incazzatura. È stupido, Thomasognatore lo sa benissimo, ma è così.

Quando infine il corpo senza vita del bandito penzola dal ramo dell’albero, nudo e con il cazzo in tiro (un magnifico cazzo, peraltro), mi do una lavata (c’è una macchia di liquido appiccicoso sul ventre, chissà come mai) e vado a dormire, un po’ triste.

 

*

 

Passano quattro mesi, in cui Thomasognatore non ha pensato molto a Jeff Walker, anche se nel primo periodo ha rivisto alcuni dei suoi film e ha riletto una volta il romanzo.

Una sera, leggendo la pagina di un sito gay, scopro che il libro è stato pubblicato. Controllo su Amazon e in effetti è in vendita. Scoprirlo non mi fa piacere, per niente. Hermann mi aveva promesso una copia del romanzo e non si è più fatto vivo. Mi chiedo se comprare il libro, ma non ha senso: se voglio rileggermelo, posso farlo sul tablet.

La sera dopo mi viene in mente la faccenda del nome e vorrei verificare se uno dei due protagonisti si chiama sempre Thomas. Nella presentazione non è detto. Ci sono solo due recensioni, ma i nomi dei personaggi non sono citati. Mi dico che guarderò più avanti, magari in un’altra recensione qualcuno metterà anche i nomi.

Una settimana dopo arriva una telefonata di Hermann.

- Ciao, Thomas.

- Hermann, piacere di sentirti.

- Il libro è uscito, io ho avuto un po’ da fare per la pubblicazione e sono stato negli USA per due settimane, ma adesso sono tornato e ti voglio dare la copia del libro con dedica.

Mi fa piacere sapere che non se n’è dimenticato e che non si è fatto vivo prima perché era via.

- Molto volentieri.

- Benissimo. T’invito a cena da me.

Non so se ho voglia di andare a cena da lui. In realtà no, non ne ho voglia, ma rifiutare mi sembrerebbe scortese.

- Ti ringrazio.

Combiniamo per il sabato. Quando riattacca, cerco di chiarirmi le idee. La volta scorsa abbiamo chiacchierato serenamente. Hermann, oltre a essere un gran bell’uomo, è gentile e sensibile. Potrei dire che è stata una serata molto piacevole, ma a me non è piaciuta. Perché? La risposta è ovvia: avevo troppe aspettative, che naturalmente sono state deluse. Thomasognatore ha rovinato tutto. Questa volta dovrei lasciarlo a casa…

 

Il sabato mi preparo. I preservativi non li prendo. Thomasognatore dice che non è un problema, Hermann sicuramente ne ha. Lo mando a fare in culo. Lui risponde “Magari!” ed io lascio perdere. Thomasaggio mi chiede se dobbiamo portarci sempre dietro quel rompicoglioni. Non rispondo.

Hermann mi accoglie con un bel sorriso. La serata procede come la precedente: una buona cenetta, curata ma senza pretese di alta cucina, poi in salotto per una chiacchierata. Hermann mi racconta brevemente della pubblicazione del libro, negli USA e nel Regno Unito. Le due edizioni sono uscite in simultanea, con lo stesso titolo, ma con copertine diverse, una non vendibile in America e l’altra non in vendita in Europa. Mi piace molto l’edizione inglese, sia per i caratteri usati, sia per la copertina, che è inquietante, ma suggestiva. Vedo che Hermann non ha pubblicato con il suo nome, ma con lo pseudonimo di Paul Warren.

Prendo in mano i due volumi e li sfoglio, così posso anche controllare il nome del protagonista: verifico che si chiama sempre Thomas.

- E adesso facciamo le dediche per Thomas.

- Le dediche? Me ne fai più d’una?

- Certo, una per l’edizione inglese e una per l’edizione americana. Due copie autografate.

Sorride e aggiunge:

- Quando vincerò il Nobel, varranno un fottio di soldi. Potrai venderle.

Rido.

- Senz’altro. Datti da fare a vincere il Nobel.

Hermann sorride e prende l’edizione inglese. Ci scrive la data e poi la dedica:

A Thomas, che mi ha aiutato a rivedere il testo e corregger gli errori. Con amicizia,

Paul Warren alias Hermann.

La dedica dell’edizione statunitense è simile. Hermann sorride e conclude:

- E così Thomas ha le sue due copie in cui leggere la storia di un altro Thomas.

Sorrido anch’io e osservo:

- Mi ha colpito ritrovare il mio nome. Una bella coincidenza.

- Ho chiamato il personaggio Thomas Hardy in omaggio all’attore Tom Hardy, che ho avuto modo di conoscere.

C’è un sorriso che appare per un attimo sulle labbra di Hermann e poi scompare. Mi chiedo se non sia dovuto a un ricordo. Quanto a fondo ha conosciuto l’attore, che è davvero un bell’uomo, oltre a essere molto bravo? In un’intervista Hardy disse che aveva avuto anche rapporti omosessuali. Con Jeff Walker? Non glielo posso chiedere, ma provo una forte invidia per entrambi. Cambio discorso e chiedo:

- E Adam?

- Mi piace il nome. Contiene l’innocenza del primo uomo e il personaggio è proprio così. Un uomo che vive serenamente la propria vita e accetta i propri desideri, senza assurdi sensi di colpa. Fisicamente me lo sono immaginato come Alan Bates, un attore che è morto una ventina d’anni fa. Lui non l’ho mai incontrato.

La serata prosegue tranquilla, fino a quando dico che è meglio che vada a dormire. Ci salutiamo e me ne esco con le due copie del libro. È stata una serata piacevole, ma in realtà sono di nuovo un po’ deluso, anche se è stupido da parte mia. Avevo aspettative assurde. Forse perché dopo la fine della storia con Bruce vivo un vuoto affettivo e la mia vita sessuale è davvero misera. Gli incontri occasionali vanno bene, ma non mi bastano. Certo che se pensavo che uno come Jeff Walker potesse essere attratto da me, sono più scemo di quanto sospettassi. Uno che ha avuto tutti i più bei maschi del cinema porno. E magari anche Tom Hardy…

Mi dico che se mai Hermann dovesse invitarmi un’altra volta, rifiuterò con qualche scusa, ma tanto non vedo perché dovrebbe invitarmi ancora.

In effetti Hermann non si fa più vivo.

 

*

 

Passano altri tre mesi e una sera dopo cena vengono a trovarmi Scott e Paul, due amici gay.

Conosco Paul da otto anni, mentre Scott si è trasferito in città poco più di un anno fa e insegna in un’altra scuola superiore. Ci siamo conosciuti a un corso d’aggiornamento e pochi giorni dopo ci siamo incontrati al Pride e ho scoperto che è gay. Siamo andati a cena con Paul, che lavora nella segreteria della sua scuola, e così abbiamo cominciato a frequentarci.

Scott curiosa sempre tra i miei libri: è un grande lettore, come me, e nella mia biblioteca trova spesso qualche cosa che lo attira. Ci siamo scambiati più volte libri.

- Oh, hai La maledizione. Ho letto due recensioni, molto positive. Ma… ce n’è un altro, due libri con lo stesso titolo… no, anche l’autore è lo stesso, ma la copertina è diversa.

Scott ha preso in mano i due libri, cosa che fa spesso a casa mia, come a me capita di guardare un libro della sua biblioteca: è una cosa del tutto naturale per noi. Io mi tendo, ho paura che apra i libri e veda le dediche. 

- Come mai hai due versioni? Ci sono differenze, scene tagliate?

Non so bene che cosa dire. Non ho voglia di mentire, ma non ho neppure voglia di raccontare di Hermann.

- No, sono identiche. Una è l’edizione inglese e l’altra quella statunitense.

Scott apre bocca, ma poi la richiude. Deve aver intuito che non ho voglia di parlarne: è molto sensibile e attento agli altri e questo è senz’altro uno dei motivi per cui mi trovo bene con lui.

- Me ne presti uno? Sono curioso di leggerlo.

Se glielo presto, vedrà la dedica, ovviamente.

Esito e Scott, che ormai ha colto l’esistenza di un problema, rimette i due libri a posto e cambia velocemente argomento:

- Te lo chiedo un’altra volta, magari. Hai visto In from the Side?

- Non ancora. Tu l’hai visto?

- Sì, ieri sera.

Nasce una discussione tra Paul, che non ha apprezzato il film, e Scott, a cui invece è piaciuto. Del libro non si parla più, ma non mi piace che tra noi rimanga qualche cosa in sospeso.

Paul riceve una telefonata della figlia (è stato sposato) ed esce per andare a prenderla. Scott si alza anche lui e dopo che ho accompagnato Paul alla porta mi dice:

- Ora vado anch’io.

Io prendo La maledizione, nell’edizione inglese, e la porgo a Scott.

- Te lo presto volentieri. Capirai perché ho esitato. Conto che tu ti tenga per te quello che scoprirai.

Scott mi guarda perplesso, poi dice:

- Questo te lo posso garantire. Certo che adesso mi hai fatto venire la curiosità… è quasi mezzanotte, ma mi sa che incomincerò a leggerlo appena arrivo a casa.

Sorrido e dico:

- Non dovrai fare tardi. Ti basterà leggere la prima pagina.

Ci salutiamo. Mi fido di Scott (assai meno di Paul, che è una brava persona, ma non sa tenere un segreto) e non credo che possa risalire a Hermann dal nome. In ogni caso non può sapere che è (era) Jeff Walker.

 

Scott mi telefona tre giorni dopo.

- Ho letto il libro e la dedica. Sono curioso, ma se preferisci non parlarne, lasciamo perdere.

- No, con te posso parlarne. Non dirti tutto, ma l’essenziale. Ti chiedo solo di non raccontare a nessuno di questa faccenda.

- Va bene. Che ne dici di venire a cena da me? Cenetta leggera, sai che sono un salutista. Colazione da re, pranzo da principe e cena da povero. Per quello invito solo a cena: risparmio.

Rido, poi dico:

- Per me va benissimo. Al massimo mi prendo un hamburger da McDonald quando esco da casa tua.

In realtà detesto McDonald e lui lo sa benissimo.

Lui ride:

- Va bene. Hai intolleranze, allergie, antipatie?

- Allergie e intolleranze no, una profonda antipatia per la cucina britannica in generale, ma dopo trentadue anni mi sono rassegnato.

- Non ti preoccupare. Ho trascorso quattro anni della mia vita in Italia e ho scoperto che mangiare può essere un piacere.

Non sapevo che Scott fosse vissuto in Italia. Mi farò raccontare.

 

Scott ha preparato una cena leggera, ma molto gustosa, che apprezzo molto.

- E così hai imparato a cucinare in Italia.

- Sì, la scuola superiore l’ho fatta in Toscana. Dopo che mio padre se n’era andato di casa, mia madre si mise con un olandese che aveva acquistato una villa nel Chianti. Lui era un amante della cucina italiana e un ottimo cuoco. Io ero molto curioso e lui era felice di insegnarmi.

- Così cucini italiano, di solito.

- Sì, quando cucino davvero e non mi limito a cose molto semplici, è quasi sempre cucina italiana, anche se dubito che uno chef italiano mi promuoverebbe.

Chiacchieriamo della sua vita in Italia, poi, quando abbiamo finito di mangiare, passiamo in salotto, dove La maledizione fa bella mostra di sé sul tavolino. Guardiamo tutti e due il libro e sorridiamo. Prendo l’iniziativa:

- Prima che ti racconti di come sono arrivato a fare il consulente storico per un libro ad alto contenuto erotico, dimmi le tue impressioni.

- A me è piaciuto molto. Soprattutto il rapporto d’amore tra i due personaggi, un amore assoluto, per cui sono entrambi disposti a dare la vita.

- Anche a me. Dobbiamo avere tutti e due un animo romantico.

- Dev’essere così.

- Molto bello, ma mi chiedo quanto sia reale.

Mi guarda perplesso.

- In che senso?

- Esistono uomini che amano così? Fuori dai romanzi, intendo.

- Senz’altro. Esistono uomini che amano profondamente, disposti a sacrificarsi per coloro che amano. Certo, abitualmente non devono affrontare antiche maledizioni, fantasmi, assassini e riti di morte. Viviamo una vita più tranquilla, per fortuna.

- Non pensi che la vita più tranquilla possa avere spento anche la capacità di amare davvero?

- No, perché dici questo?

Non rispondo, non lo so neanch’io.

- Non so, rimango sempre un po’ in dubbio quando leggo queste storie.

- Mi sembri pessimista. Io credo che tra gli uomini, come tra le donne, ce ne siano molti che sanno amare.

- Forse hai ragione. Ho parlato senza riflettere. Lasciamo stare.

- Va bene. Possiamo riprendere l’argomento un’altra volta. Adesso hai voglia di spiegarmi come ti sei trovato a rivedere un testo erotico. Sei stato contattato da un editore?

- No, direttamente dall’autore, incontrato per caso.

- Suppongo un incontro molto piacevole, se poi ti ha dato da rivedere il romanzo.

Sorride, un po’ malizioso.

- Ahimè no, non quello che pensi tu. C’è una parte che non posso raccontarti, ma a grandi linee è andata così: ho fatto la cazzata di partire per una gita in bici un giorno di tempo incerto e ho preso una lavata micidiale. Tuoni e fulmini, me la sono vista brutta. Allora ho chiesto ospitalità in una casa e… il padrone di casa è l’autore del libro. Abbiamo parlato di noi e gli ho raccontato che insegnavo storia. Lui mi ha detto che stava scrivendo un romanzo, che è appunto La maledizione. La cosa sarebbe finita lì, ma lui mi aveva dato un ricambio di vestiario, perché ero fradicio, per cui ci siamo scambiati i numeri di telefono perché io potessi restituirgli il tutto. Qualche mese dopo, io gli avevo già restituito gli abiti, naturalmente, mi telefona e mi propone di rivedere il romanzo.

- Tu sapevi già di che tipo di romanzo si trattava?

- Intendi le scene erotiche? Sì, sapevo che c’erano.

Sorrido e aggiungo:

- Lo so, manca un pezzo: com’è che a questo tizio, che non avevo mai incontrato, è venuto in mente di farmi la proposta? Purtroppo non siamo finiti a letto, anche se mi sarebbe piaciuto moltissimo.

- È così affascinante?

- È affascinante, ma devo fermarmi qui,

- Va bene.

 

Mentre torno a casa, rifletto su Scott e sul nostro rapporto.

Lo conosco da meno di un anno e mi trovo bene con lui, ma non l’ho mai considerato un possibile compagno di vita o anche solo di letto. Tra i sedici e i venticinque sono stato molto promiscuo quando non ero impegnato in una relazione di coppia (e qualche volta anche quando ero impegnato, lo ammetto): ogni occasione mi andava bene. Poi c’è stata la storia con Bruce, il primo vero amore: sei anni di un rapporto fortissimo, che ho visto sfilacciarsi e morire dall’altra parte. Dopo la fine della nostra storia c’è stato un vuoto. Pochissime scopate senza nessun coinvolgimento emotivo e un tenermi a distanza da tutti coloro che potevano piacermi. C’è voluto un anno per riaprirmi al mondo, ma sono ancora molto guardingo.

E adesso, mentre penso a Scott, mi dico che mi piace, che ne apprezzo la riservatezza, l’intelligenza che dimostra in molte occasioni, la grande sensibilità. E mi dico che è pure un bell’uomo. Anche lui è molto riservato e il nostro è sempre stato un rapporto amichevole, più che di vera amicizia. Ma mi rendo conto che qualche cosa sta cambiando. Devo cercare di conoscerlo meglio. Mi viene in mente che sabato ad Aberdeen c’è il Grampian Pride. Potrei chiedere a Scott se ha voglia che ci andiamo insieme.

Gli telefono il giorno dopo e Scott mi risponde che gli va benissimo. Sembra molto contento dell’idea o è solo un’impressione di Thomasognatore? Combiniamo di andare in treno ed io mi offro di occuparmi dei biglietti. Lui propone di passare l’intera giornata ad Aberdeen e di tornare solo in serata: possiamo girare per conto nostro in mattinata e poi sfilare nel pomeriggio. L’idea mi piace. Nessuno dei due propone di dirlo a Paul o a qualche altra conoscenza comune: sembra che anche lui preferisca che siamo solo noi due.

Vivo i giorni seguenti in uno stato di leggera euforia. Thomasognatore sembra avere grandi aspettative, come se fosse già convinto di avere scoperto una miniera d’oro. Thomasaggio cerca di tenerlo a freno, sapendo che Thomasognatore finisce sempre per sbattere la faccia contro il muro. Avere in casa uno così è un bel problema: hai la garanzia di riuscire sempre a farti male.

Il viaggio in treno è piacevole e la mattinata per le vie della città lo è ancora di più: siamo entrambi allegri, sembriamo due studenti il primo giorno delle vacanze estive. A un certo punto vediamo in lontananza un conoscente e Scott propone di svoltare in una via, per non incontrarlo. Il povero Rod è simpatico, ma anch’io preferisco che rimaniamo da soli e l’idea che Scott abbia lo stesso desiderio mi piace molto. Nel pomeriggio al Pride sono sicuro di incontrare un bel po’ di gente che conosco e magari qualcuno si unirà a noi, ma adesso è bello girare per conto nostro.

All’ora di pranzo propongo di trovare un bar o una tavola calda.

- Benissimo, ma non in centro. Troppa gente. Un posto dove possiamo stare tranquilli noi due.

- Mi sembra una bellissima idea.

Troviamo un ristorantino fuori dal centro, molto tranquillo. Il cibo non è eccellente, ma direi che a nessuno dei due importa. Chiacchieriamo, scherziamo, ridiamo. Da tempo non mi sentivo così allegro. So che cosa sta succedendo e una parte di me ha paura, ma ormai Thomasognatore è partito per la tangente.

Raggiungiamo infine il corteo. Incontriamo alcuni conoscenti, ma nessuno di noi due sembra intenzionato a rimanere con altri, per cui scambiamo due parole con ognuno e poi ci stacchiamo. Troviamo anche Paul, che è un po’ stupito:

- Non pensavo che veniste anche voi. Potevamo venire insieme.

Risponde Scott:

- Abbiamo deciso di prenderci la giornata. Siamo arrivati nella mattinata.

Paul annuisce, con l’aria di chi ha mangiato la foglia. Sorride e dice:

- Allora non vi disturbo.

Mi sa che domani racconterà a qualche amico che ci ha incontrato e ci ricamerà sopra. Non è un problema.

A un certo punto sento una voce alle mie spalle:

- Thomas! Che piacere vederti!

Mi volto ed è lui: Hermann alias Jeff Walker alias Paul Warren. Mi stupisce di vederlo al Pride, dove parecchi possono riconoscerlo. Probabilmente ha concluso il periodo in cui se ne stava appartato. D’altronde non poteva pensare di vivere come un eremita per sempre.

Hermann è insieme a uno che non conosco, ma che mi è già capitato di incontrare al Pride: un gigante rosso di capelli, che in queste occasioni indossa sempre il kilt. Anche Hermann ha un bel kilt.

- Ciao, Hermann.

Segue una breve presentazione. Il gigante si chiama Fergus e il nome mi sembra appropriato, dato che significa “uomo vigoroso”. Infatti ha pure una stretta di mano molto energica.

Io mi chiedo se sentendo il nome di Hermann, Scott lo collegherà al romanzo. La faccenda non mi va, ma non posso farci niente.

Hermann mi chiede come va il mio lavoro ed io gli do una risposta generica. Lui sorride e dice:

- Ho cominciato un secondo romanzo. Ti prenoto per la revisione storica.

Le sue parole mi tranquillizzano: non intende mantenere segreto l’aver scritto il libro, per cui se Scott ha capito che lui è Paul Warren non è un problema.

- Va bene.

In effetti Scott ha capito e chiede:

- Sei tu l’autore della Maledizione?

- Sì. Thomas te ne ha parlato?

- In realtà no. Mi sono fatto prestare il libro da lui, ho visto la dedica e gli ho chiesto di raccontare come mai si è trovato a rivedere il testo, ma è stato molto abbottonato.

- Gliel’avevo chiesto io.

- Thomas è uno che mantiene quel che promette.

Il complimento mi fa piacere e corrisponde a verità, anche se non so bene come lui faccia a saperlo.

Scott riprende:

- Comunque il tuo romanzo m’è piaciuto molto. È proprio una bella storia.

- Grazie.

Si mettono a parlare del romanzo mentre continuiamo a sfilare e di colpo mi accorgo che l’euforia della giornata è svanita. Sono infastidito. Vorrei che Hermann e il suo amico si levassero dai piedi e ci lasciassero da soli.

Mi sembra che Scott e Hermann siano troppo allegri. Camminano davanti a me e mi dico che se io e Fergus sparissimo non se ne accorgerebbero neanche. Ci mancherebbe solo che questi due si mettessero insieme: Thomasognatore potrebbe suicidarsi. Thomasaggio dice che non sarebbe una grande perdita per l’umanità. Cerco di ironizzare, ma ho la luna storta. Il brusco cambiamento di umore mi preoccupa. Sono già a questo punto? Sono già geloso?

Per fortuna dopo pochi minuti, Scott si volta e mi guarda interrogativamente, poi m’invita con un cenno ad accostarmi. Eseguo e, con mia grande soddisfazione, subito dopo Hermann e Fergus si staccano da noi.

- Che hai, Thomas? Mi sei sembrato di cattivo umore.

- No, no.

- Sono contento di aver conosciuto l’autore. Un gran bell’uomo, davvero. Capisco perché non ti sarebbe spiaciuto andarci a letto insieme.

Scott non ha fatto riferimento al fatto che Hermann è Jeff Walker. Sembra che non l’abbia riconosciuto.

- Certamente, un bell’uomo, su questo non c’è dubbio.

- La sua faccia mi è vagamente familiare.

Non so bene che dire, per cui taccio. Scott ride e dice:

- Mi sa che ho toccato di nuovo un tasto delicato, qualche cosa che non puoi dire.

- È vero.

- Bene, ne farò a meno.

Scott cambia argomento e pian pianino mi riprendo e ritorno euforico.

Abbiamo un treno verso le 20, per cui mangiamo un boccone e raggiungiamo la stazione. Chiacchieriamo ancora sul treno. Io sono stanco, ma avverto una sensazione di benessere.

Quando arriviamo, Scott dice:

- Andiamo a piedi?

Scott abita a un quarto d’ora di strada dalla stazione ed io un po’ più lontano, diciamo altri dieci minuti.

- D’accordo.

Quando siamo davanti alla porta della sua casa, Scott mi sorride e mi dice:

- Potresti fermarti qui a dormire. Ho uno spazzolino da denti nuovo e posso prestarti un pigiama, se ti serve.

Mi manca il fiato. Mentre Thomasognatore sta per svenire, dico:

- Se mi prometti una colazione italiana, mi fermo senz’altro.

 

2025   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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