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   Un romanzo da rivedere 
 Il cielo si sta coprendo
  di nuvoloni neri ed io incomincio a chiedermi se non ho fatto un grosso
  errore a spingermi così lontano da casa. Ieri ho guardato le previsioni del
  tempo, che non erano rassicuranti: forte probabilità di pioggia nel
  pomeriggio e rischio di temporali. Avevo stabilito di terminare il mio giro
  in bici poco dopo mezzogiorno, in modo da tornare a casa prima della pioggia,
  ma questa mattina il sole splendeva e non si vedevano nuvole all’orizzonte.
  Ho concluso che le previsioni erano sbagliate, come era successo la settimana
  scorsa: io avevo rinunciato al mio giro in bicicletta perché sembrava che
  dovesse scatenarsi il diluvio universale, ma in tutto il sabato non si era
  vista una goccia di pioggia. Mi sarei morso le mani per essermi lasciato
  scoraggiare. Così questo sabato, vedendo il cielo terso, mi sono spinto molto
  più lontano di quanto avessi programmato, in un’area che conosco poco: sono
  andato a zonzo come un perfetto imbecille, senza preoccuparmi troppo
  dell’itinerario. E ora sono a tre ore di bici da casa, con un cielo che
  diventa più nero a ogni minuto. Rientrare sotto il diluvio è pericoloso. Ho
  una mantellina, ma il tragitto è lungo e, anche se adesso fa ancora
  abbastanza caldo, quando incomincerà a piovere la temperatura scenderà in
  fretta. Senza contare che c’è il rischio di beccarsi un fulmine. Merda! Devo cercare un rifugio.
  Quest’area è poco popolata, di sicuro non trovo un paese. Non so dove porti
  questa strada, l’ho presa perché mi piaceva la valle che percorre, la
  fioritura della brughiera. Mi sono detto che tanto sarei potuto tornare
  seguendo all’inverso lo stesso percorso. L’unica è guardare sul navigatore
  dove mi trovo e vedere qual è il paese più vicino: non ne ho visti dopo che
  ho svoltato per prendere questa maledetta strada, un’ora fa. Mentre tiro fuori il
  cellulare, vedo il lampo sulla mia destra e il tuono mi fa sussultare. Merda!
  Come se fosse il segnale atteso, si aprono le cateratte del cielo: prima che
  abbia tirato fuori la mantellina, sono già fradicio. Volto la bici e riprendo
  a pedalare. Quello che scende dal cielo è un vero diluvio, accompagnato da
  fulmini. La mantellina serve a poco, tanto più che il vento la solleva. Non
  posso pensare di procedere a lungo in questo modo. Devo trovare un riparo. Dopo dieci minuti vedo una
  casa. Non l’avevo notata arrivando, ma è un po’ arretrata rispetto alla
  strada e rimane nascosta. Spero che ci sia qualcuno e che siano disposti a
  ospitarmi finché non smette. Mal che vada, mi riparo sotto il tetto
  sporgente. Sono bagnato come un pulcino.  Percorro il viale che
  porta alla casa. Appoggio la bici contro una parete e mi dirigo all’ingresso.
  Prima che possa bussare, la porta si apre e un uomo appare sulla soglia: deve
  avermi visto arrivare. - Mi scuso, sono stato
  sorpreso dalla pioggia…  Mi blocco, allibito. Nella
  mia testa si è creato un vuoto, perché l’uomo che ho davanti è Jeff Walker.
  Devo fare uno sforzo per riuscire a dire: - Non so dove ripararmi. - Entra pure.    Anche la voce è la sua,
  una voce baritonale, profonda, calda. Walker chiude la porta, mi
  guarda e dice: - Mi sa che è meglio se ti
  fai una doccia calda. Dovrei dire di no, che non
  voglio disturbare, ma nelle mie condizioni una doccia calda è necessaria per
  evitare di beccarmi una polmonite. - Vieni.  Mi accompagna nel bagno,
  un locale ampio, con una grande doccia.  - Togliti tutto e fatti
  una doccia. Puoi usare quell’accappatoio, è pulito. Io intanto prendo dei
  vestiti asciutti. Devi avere una taglia in meno, non dovrebbero esserci
  problemi. - Ma non vorrei… Non proseguo: è assurdo.
  Non posso certo rimettermi i vestiti bagnati. Ho bisogno di vestiti caldi e
  asciutti. Sto già tremando per il freddo.  Walker esce. Mentre mi
  spoglio, penso a lui, Jeff Walker, che certamente non si chiama così: tutti
  gli attori porno usano pseudonimi. Walker è stato una stella
  di prima grandezza nel mondo dei film porno gay, anche se la sua carriera è
  durata pochissimo: tre anni. Prima ha recitato in una dozzina di film che lo
  hanno portato a vincere il premio XBIZ (che sta per X business, cioè tutto
  ciò che ha a che fare con il porno) come migliore attore porno gay. Poi ha
  scritto e prodotto una serie di dieci film western, in cui è Douglas il Toro,
  un fuorilegge spietato, che fotte le sue vittime prima di ucciderle.
  Nell’ultimo film della serie Douglas viene catturato da un gruppo di
  cacciatori di taglie, che lo violentano prima di impiccarlo: per la prima
  volta Walker non era il maschio alfa, ma subiva uno stupro di gruppo.  La sera stessa in cui fu
  girata l’ultima scena, Walker annunciò il suo addio al mondo del porno e
  scomparve nel nulla. A un certo punto si
  diffuse la voce che la conferenza stampa in cui aveva annunciato la fine
  della sua carriera di attore fosse stata tenuta prima che si girasse l’ultima
  scena e che Walker fosse davvero morto impiccato durante la ripresa della
  scena finale. Alcuni dicevano per errore, altri per una scelta deliberata.
  L’avevo pensato anch’io: di lui non si sapeva più niente e sembrava
  impossibile che potesse essere scomparso nel nulla.  Invece Jeff Walker non è
  morto. Due anni dopo quell’ultimo film, campione d’incassi, è qui, nella
  campagna scozzese, in una bella casetta isolata. Si è accorciato i capelli,
  che portava piuttosto lunghi, e si è fatto crescere la barba, che gli sta
  benissimo, ma rimane perfettamente riconoscibile. O almeno lo è per me, che
  l’ho sempre ammirato e mi sono visto parecchi dei suoi film. La doccia calda è una
  meraviglia, che scaccia i brividi. Mi metto l’accappatoio e mi asciugo.
  Quando ho finito anche con i capelli, sento la voce di Walker: - Ti lascio gli abiti qui,
  nell’antibagno. Appendi i tuoi allo stenditoio. Quando apro la porta, è
  già sparito. Mi vesto. Camicia e
  maglione sono un po’ larghi. Pantaloni e mutande invece mi vanno bene.
  Infilarmi le mutande di Jeff Walker mi fa un certo effetto. Ripenso ad alcune
  scene che ho visto (in cui le mutande se le toglieva) e ovviamente mi viene
  duro. Per fortuna il maglione è abbastanza lungo da coprire un po’
  l’erezione. Sono in imbarazzo all’idea di trovarmi a parlare con Jeff Walker.
  Nei suoi vestiti, per di più. Esco dal bagno e raggiungo
  il salotto, dove Jeff Walker è seduto in poltrona. Mi guarda e sorride. - Tutto bene? - Sì, adesso sì. Grazie. - Ti ho preparato un tè
  caldo. Ho pensato che ti servisse. - Un’ottima idea, grazie.
  È quello che ci vuole. Mi siedo e mi verso il tè.
  In questo modo rimando il momento in cui dovrò parlargli. Non so bene che
  cosa dire. Ringraziamenti, qualche banalità, certamente senza fare nessun
  riferimento alla sua identità. Non sapessi chi ho di fronte, non mi sentirei
  a disagio, ma così mi sembra quasi di mentirgli, non dicendogli che so chi è.
  Chi è o piuttosto chi è stato, perché chi è lui oggi, non lo so proprio. Sorseggio il tè e poi mi
  dico che non posso rimanere in silenzio. - Grazie davvero. Non so
  se sarei mai riuscito a tornare a casa e in ogni caso non so in che
  condizioni sarei arrivato. - Dove abiti? - A Inverness - In bicicletta ci vorranno
  due ore, se non di più. - Sì, mi sono spinto
  troppo lontano. Avevo guardato le previsioni, ma pensavo di farcela a tornare
  prima della pioggia. È stata una cazzata, lo so. Lui sorride. - Ne facciamo tutti. Dopo un momento di pausa,
  dice: - Se ti va bene, puoi
  fermarti qui fino a che smette o almeno rallenta un po’. Poi carichiamo la
  bici sull’auto e ti porto a casa. - Ma non voglio
  disturbare. Alza le spalle. - Nessun disturbo. Sorride e aggiunge: - E poi non voglio mica
  che rovini i miei vestiti andando in bici sotto la pioggia. Rido. - Hai ragione. Mi hai
  rivestito da capo a piedi e sarebbe poco gentile rovinarti gli abiti. Un tuono molto forte ci fa
  voltare verso la finestra. Quando torniamo a guardarci, Jeff Walker dice: - No, direi che non è
  proprio il caso di partire adesso. - Non posso darti torto. Solo ora mi rendo conto
  che non gli ho neanche detto il mio nome. Non l’ho fatto subito, ma trovarmi
  davanti Jeff Walker mi ha completamente spiazzato. - Non mi sono presentato.
  Scusa. Mi chiamo
  Thomas, Thomas Strout.  - Piacere di conoscerti,
  Thomas. Io mi chiamo Hermann Grundwall, non Jeff Walker. Sorride mentre lo dice. Io
  mi sento in imbarazzo, non so bene che cosa dire. È lui a proseguire: - Ho capito subito che mi
  hai riconosciuto, ma ho preferito far finta di niente: non sapevo come
  avresti reagito e preferivo evitare una situazione che poteva diventare
  imbarazzante. Mi è capitato di incontrare uomini, non pochi, convinti che io
  ci dovessi comunque stare: sai com’è, sei un attore porno, allora sei disponibile
  a scopare con tutti. L’ho sempre trovato piuttosto fastidioso. Ormai ho
  capito che sei una persona sensata, anche se guardi i film porno e parti per
  un giro in bici quando si prevedono temporali, per cui mi sembra inutile
  fingere di non aver capito che sai. L’ha detto sorridendo e
  sorrido anch’io. Mi sento più a mio agio, ora. Ricambio il suo sorriso e gli
  rispondo: - Pure tu mi sembri una
  persona sensata, anche se giravi film porno, - A questo proposito ti
  chiedo una cosa. - Di non dire a nessuno
  che ho incontrato Jeff Walker? Te lo garantisco, - Hai capito subito. Sei
  anche intelligente, oltre che sensato. Hai un sacco di qualità. Sorride, poi torna serio e
  aggiunge: - Non mi pento del mio
  passato, per nulla. Ma qui nessuno mi conosce. O almeno nessuno vuole far
  sapere che guarda un certo genere di film. Comunque non ho molti contatti con
  altre persone. - Vivi molto appartato? - Sì. Non per non farmi
  riconoscere, sarebbe assurdo. Avevo bisogno di staccare. Tre anni
  continuamente sotto i riflettori, sempre sotto pressione. Ho capito che non
  era la vita che volevo. Mi è andato benissimo averlo fatto per tre anni, è
  stata un’esperienza positiva, mi ha dato un notevole benessere economico. Ma
  avevo raggiunto il limite oltre il quale un’esperienza diventa routine e
  noia, per non dire stress. - Non ho mai pensato che
  la vita di un attore porno potesse essere noiosa. Me la sono sempre
  immaginata molto eccitante. Gente interessante, molto sesso e naturalmente
  soldi. - Tu lo faresti? Rimango un momento in silenzio.
  Mi ha preso in contropiede. Lui è serio, maledettamente serio, e io rispondo
  con sincerità: - No, credo di no. Non me
  la sentirei. Non amo essere al centro dell’attenzione. E…  Non so come continuare.
  Quello che vorrei dire potrebbe suonare offensivo per lui. Ma Jeff/Hermann ha
  capito benissimo. - E non ti andrebbe a
  genio di scopare a pagamento. - E’ vero. - A me non è spiaciuto
  farlo. Ho avuto occasione di scopare con molti bei maschi, alcuni davvero
  fantastici. Ma a un certo punto ne ho avuto abbastanza. - E così adesso sei qui.
  Perché ti sei stabilito qui? Hai parenti? - Sono per metà scozzese.
  La casa era dei miei nonni materni e mia madre è nata qui. Io ci ho passato
  più volte le vacanze estive, da bambino, soprattutto dopo la separazione dei miei.
  Mia madre ha ereditato la casa, ma non sapeva che farsene, ormai vive in
  Oregon, voleva venderla. Le ho detto che l’avrei comprata io, ma lei non ha
  voluto. Me l’ha ceduta.  - Così sei venuto a vivere
  qui, mettendo l’oceano tra te e quelli che frequentavi. - Sì, è vero. Anche se
  nell’era di Internet stare da una parte o dall’altra dell’oceano poco cambia. Vorrei chiedergli se non
  gli pesa la solitudine, come passa le sue giornate, se lavora, ma mi
  sembrerebbe di fare il ficcanaso.  E’ lui a chiedermi: - Oltre ad andare in bici
  sotto il diluvio, che cosa fai di bello nella vita? - Insegno in una scuola
  secondaria di Inverness. - Che cosa insegni? - Storia. - Storia! Che bello! La
  storia mi ha sempre affascinato. Da bambino in estate ascoltavo mio nonno parlare
  dei re scozzesi, della regina Maria, della rivolta guidata da Wallace. Tutta
  la storia mi appassiona. Da quando vivo qui, ho letto parecchi libri di
  storia e… Si ferma e sorride. - E…? - Non dovrei dirtelo, ma
  abbiamo stabilito che sei una persona sensata e non vai in giro a raccontare
  i fatti altrui, per cui te lo dico. Sto scrivendo un romanzo storico. Forse
  romanzo storico non è esatto. Diciamo una storia ambientata nell’Ottocento. - In Scozia? - No, in Inghilterra e
  soprattutto alla Giamaica. Vorrei chiedergli qualche
  dettaglio, ma non so quanto abbia voglia di raccontare. Rimango sul generico: - Allora adesso ti dedichi
  a scrivere romanzi? - Sì, mi è sempre piaciuto
  scrivere. Avevo scritto alcuni racconti erotici quando facevo l’attore, ma
  parlandone con il mio agente avevamo deciso di non farli pubblicare. Penso che mi piacerebbe
  leggerli, ma non posso certo chiederglielo, per cui m’informo sul romanzo. - Conti di pubblicare il
  romanzo con il tuo vero nome? O come Jeff Walker? - Di sicuro non come Jeff
  Walker. Jeff Walker è morto, impiccato dai cacciatori di taglie. - Sai che molti lo credono
  davvero? Confesso che anch’io mi domandavo se non fosse vero. - Lo so. È stato Albert,
  il mio agente, a mettere in giro la voce. Diceva che avrebbe contribuito al
  successo del film. A me andava bene: credendomi morto, non mi avrebbero
  cercato. - Non ci furono indagini? - Volevano avviarne una.
  Io mi presentai e l’indagine fu chiusa prima di essere aperta, ovviamente. - Capito. Quindi
  preferisci non usare il tuo pseudonimo perché non sospettino che sei ancora
  vivo? - Non proprio. Prima o poi
  salterà fuori, questo lo so e mi va bene. Ma adesso voglio ripartire da zero
  e voglio che il libro sia valutato per quello che è e non come opera di Jeff
  Walker. È tutto molto interessante
  per me, che lo ammiravo. Lui è alquanto disponibile, ma mi rendo conto che
  sono piombato a casa sua inatteso e adesso lo sto tenendo occupato, mentre
  lui ha sicuramente altro da fare. - Senti, tu stavi facendo
  le tue cose ed io ti ho interrotto. Non voglio trattenerti qui, a tenermi
  compagnia. Riprendi a fare quello che stavi facendo ed io mi guardo le
  previsioni del tempo sul cellulare. - Non c’è problema,
  staccare ogni tanto mi fa bene. A meno che tu non abbia delle cose da fare. - Figurati. Avevo previsto
  di godermi una gita in bici… - Va bene. Allora
  raccontami un po’ del tuo lavoro e di come cerchi di interessare i ragazzi
  alla storia. In che classi insegni? - In tutte, dalla S1 alla
  S6, ma dipende dagli anni. Gli racconto un po’ di cose
  e lo vedo interessato. Quando mi sembra che abbiamo esaurito l’argomento, gli
  chiedo: - Che storia è, quella del
  romanzo? Se hai voglia di dirmelo, naturalmente. - Come insegnante di
  storia, conoscerai la situazione che si creò nella prima metà dell’Ottocento,
  quando l’Inghilterra decise di proibire la tratta degli schiavi neri. - Certo. - Allora, ho immaginato
  che alcuni schiavisti della Giamaica abbiano deciso di procurarsi nuovi
  schiavi catturandoli a Haiti, dove i neri sono diventati liberi. Un giornalista
  e un tenente in congedo lasciano Londra per la Giamaica e fanno conoscenza
  sulla nave che li porta in America. Le loro storie s’intrecciano con quelle
  dei mercanti di schiavi e dei proprietari terrieri dell’isola. - Sembra un romanzo molto
  serio. - Molta avventura, una
  storia d’amore molto forte, diversi elementi sovrannaturali… - E niente sesso? - Ce n’è, parecchio. È un
  romanzo con una forte componente erotica, ma non è l’elemento dominante. Chiacchieriamo ancora a
  lungo. Adesso sono a mio agio e mi trovo bene con lui. Tengo d’occhio il
  tempo e quando vedo un miglioramento, dico: - Sta smettendo. Credo
  che, quando vuoi, possiamo andare. Guarda anche lui fuori
  dalla finestra. - Sì, direi di sì. Carichiamo la bici sul
  portapacchi (così non devo smontarla). Mi riprendo i miei abiti, ancora
  fradici, e li metto in un sacco che lui mi dà. Mi riporta a casa. Guida
  tranquillo, senza fretta.   Quando arriviamo, dico: - Ti lavo i vestiti e te
  li riporto. - Non stare a lavare
  pantaloni e maglione. Non avrebbe senso.  - No, certo. Ci scambiamo il numero di
  telefono, così possiamo metterci d’accordo per la riconsegna degli abiti. Torno a casa. La gita ha
  avuto una conclusione imprevista ed io sono un po’ turbato. Certamente non
  pensavo di conoscere Jeff Walker. Mentre metto i miei abiti bagnati e la sua
  biancheria in lavatrice, mi dico che lo rivedrò per rendergli gli abiti.
  Magari potrei invitarlo a cena, per ringraziarlo dell’ospitalità, degli abiti
  e del passaggio. La fantasia incomincia a viaggiare (sono un sognatore), ma
  mi dico che Jeff/Hermann è stato molto chiaro: gli dà fastidio che qualcuno
  sia convinto di poterselo portare a letto perché è stato un attore porno.
  Quindi è meglio che Thomasognatore non si faccia venire strane idee. Quando ho fatto partire la
  lavatrice, mi siedo al computer e ovviamente cerco i film che Jeff ha
  prodotto, quelli in cui è un fuorilegge. Scelgo il settimo, che è anomalo. Il
  protagonista, dopo aver ammazzato due banditi, si bagna in una pozza e
  incontra un uomo. I due sono attratti uno dall’altro e scopano. È una scena
  in cui non c’è violenza, come avviene invece spesso nella serie. C’è molta
  tenerezza. Alla fine il bandito prende la pistola e si capisce che pensa di
  ammazzare l’uomo con cui ha appena scopato, forse perché teme di essere
  denunciato, ma non lo fa. I due si baciano e si separano. Mi sono più volte
  immaginato che invece di lasciarsi decidano di vivere insieme e che il
  bandito cambi vita. Thomasognatore ha un animo romantico, lo so. Ovviamente il filmato ha
  su di me un certo effetto (quello per cui è stato girato e viene acquistato),
  per cui concludo la giornata con una bella sega e l’immagine di Jeff Walker
  negli occhi. La biancheria è asciugata.
  La signora che viene da me una volta a settimana l’ha stirata con cura ed è
  ora che riporti a Hermann Grundwall ciò che gli appartiene. Ho messo il tutto
  in una busta e posso caricarla in auto e portargliela in qualsiasi momento
  libero. Dovrei telefonargli, ma esito. Una parte di me, Thomasognatore,
  s’illude di poter combinare qualche cosa con lui e propone stratagemmi,
  alquanto risibili, per arrivare al letto. Un’altra parte di me, Thomasaggio,
  memore di quanto lui mi ha detto, m’invita a telefonare e chiudere la
  faccenda. Se Hermann dovesse dimostrare qualche interesse o disponibilità, il
  discorso cambia, ma se non prende lui l’iniziativa, rischio solo di fare una
  brutta figura. Il buon Thomasaggio ha il
  sopravvento. Telefono a Hermann e gli dico che i suoi vestiti sono pronti e
  che posso portarglieli in qualsiasi momento. Lui mi ringrazia e mi dice che
  deve passare dalle mie parti venerdì pomeriggio, per cui se mi va bene verrà
  a prenderseli. Ci mettiamo d’accordo sull’ora. Il venerdì Hermann si
  presenta puntuale. Mi dico che è davvero un bell’uomo, oltre a essere molto
  dotato, e che con la barba sta proprio bene (sarà che ho un debole per gli
  uomini con la barba). Lo invito a entrare e bere qualche cosa, ma mi dice che
  ha un appuntamento. Gli passo la busta, ci stringiamo la mano e lui esce
  dalla mia vita, con un bel sorriso. Non che ci sia rimasto molto, nella mia
  vita. Nei miei sogni sì, ma in quelli rimarrà per un po’.    * Otto mesi sono passati e
  non ho più avuto molte occasioni di pensare a Hermann. Il messaggio mi prende
  di sorpresa. Sono solo due parole: “Posso telefonarti?”.  Rispondo positivamente e poco dopo il
  cellulare squilla. - Ciao, Thomas. Spero di
  non disturbarti. - Nessun disturbo. - Ho una proposta
  indecente da farti. - Mi sembra interessante.
  Dimmi. Lui ride. - Ho concluso il romanzo e
  l’ho riletto. Avrei bisogno di qualcuno che lo leggesse e mi dicesse se ci
  sono grossi errori storici. Non è un romanzo che posso far leggere a
  chiunque, per cui ho pensato a te. Ovviamente ti pago per questo. La proposta mi spiazza. Di
  certo non me l’aspettavo. Sono curioso di leggere il romanzo, per cui
  rispondo: - Lo leggerò molto
  volentieri. - Benissimo. Mi dirai tu
  quanto vuoi. Mi verrebbe da
  rispondergli che voglio essere pagato in natura, ma il cervello funziona, per
  cui gli dico: - Se il romanzo è
  interessante e non ci sono troppi errori, lo faccio gratuitamente. Altrimenti
  ti faccio pagare per ogni errore che trovo e per ogni volta che mi
  addormento. - Pagarti a errore mi
  sembra giusto, oltre a una somma fissa, che è doverosa. Preferisci un file o
  te lo stampo? Esito. Non amo leggere al
  computer, ma se devo fare osservazioni e correzioni, è più comodo avere un
  file. - Mandami un file. Se ho
  la necessità di stampare una pagina, posso farlo io.  Poi aggiungo: - Ovviamente ogni pagina
  che devo stampare ha un costo. - Va bene. Cercherò di
  preparare psicologicamente il mio conto in banca al salasso. Rido. Gli do il mio
  indirizzo di posta e ci salutiamo. Il romanzo mi arriva dopo
  pochi minuti: è un file sostanzioso. Lo scarico e lo metto in una cartella,
  che chiamo Jeff Walker. Poi ci ripenso e rinomino la cartella: Hermann. Sono
  molto curioso di leggerlo e comincerei subito, ma sto finendo un lavoro e
  voglio fare una revisione accurata. Incomincio la sera, sul
  portatile. All’inizio mi appunto qualche osservazione minore, ma già nel
  secondo capitolo mi rendo conto che mi dà fastidio interrompere la lettura
  per segnarmi le osservazioni, per cui decido di leggere tutto il romanzo di
  seguito una prima volta, senza interruzioni, e poi una seconda volta
  prendendo nota di ciò che richiede una revisione. La storia mi prende. Sesso
  e avventura non mancano, ma a colpirmi è soprattutto l’amore fortissimo che
  lega i due protagonisti, Adam e Thomas. Ci sono momenti in cui mi commuovo: sono
  un incurabile romantico e questo amore assoluto mi conquista. Termino la lettura in tre
  serate e poi mi abbandono ai miei pensieri. Non mi aspettavo un romanzo del
  genere. Pensavo che Hermann, essendo stato un attore porno, avesse scritto un
  romanzo porno. Ma non è così. Deve avere anche lui un animo romantico. Il fatto che uno dei due
  protagonisti si chiami Thomas, come me, mi colpisce. Hermann gli avrà mica
  dato il nome di Thomas dopo che ci siamo incontrati? Thomasaggio dice a
  Thomasognatore di non farsi venire strani pensieri. Dev’essere una
  coincidenza. Vero è che con il computer è facile cambiare il nome di un
  personaggio. Magari prima di spedirmi il romanzo ha messo Thomas al posto di
  Oliver o Richard. E quando lo spedirà all’editore, rimetterà il nome che
  aveva pensato. Insomma, magari ha voluto strizzarmi l’occhio, magari è una
  presa per il culo. Nei giorni successivi
  riprendo il testo. Non ci sono grossi errori storici e le mie osservazioni
  sono tutte di dettaglio. Controllo alcuni elementi, per essere sicuro di non
  prendere cantonate, ma anche lui deve aver fatto i suoi controlli. Prima di telefonare a
  Hermann, rifletto un momento su come muovermi. Ovviamente dobbiamo vederci
  per parlare del romanzo. Potremmo farlo a casa mia: potrei invitarlo a cena.
  Ci penso un momento e concludo che è meglio di no: non voglio che pensi a una
  manovra. Non mi rimane che telefonargli e dirgli che ho svolto il lavoro, che
  non ho molte osservazioni, che le ho segnate e ne possiamo discutere un
  momento quando gli fa comodo, a casa mia o a casa sua o al bar. La sua risposta apre
  qualche spiraglio: - Benissimo. Direi che
  t’invito a cena. Che sere sei libero?  Non ho molti impegni e
  concludiamo per venerdì sera. Sabato non lavoro e se dovessimo fare tardi…
  Non finisco il pensiero. Dico a Thomasognatore che Hermann è stato molto
  chiaro e che non deve aspettarsi nulla, a parte una buona cenetta e una
  chiacchierata piacevole con uno dei più bei maschi che abbia mai visto. Lui
  vorrebbe altro, ma non intendo lasciargli nessuna libertà d’azione. Il venerdì fatidico mi
  lavo a fondo, infilo due preservativi in tasca (unica concessione che faccio
  a Thomasognatore). Hermann ha preparato una
  cena leggera, molto semplice ma curata. Non è uno chef, ma se la cava bene in
  cucina. Dopo cena passiamo nel suo
  studio, ci sediamo alla scrivania e vediamo il file con le mie osservazioni. - Non ho trovato nessun
  errore espressivo. Le osservazioni sono tutte di dettaglio. Non posso
  garantirti di aver individuato tutti gli errori: non sono un esperto di
  storia della Giamaica. - No, certo, ma se ci sono
  piccole forzature della realtà dell’epoca, non mi sembra un problema. Non
  credo che saranno molti gli storici a leggerlo. E in ogni caso è un’opera di
  fantasia, senza nessuna pretesa di ricostruire vicende reali. - Sì, sono d’accordo con
  te. - Una cosa che mi sono
  chiesto è la verosimiglianza dei personaggi rispetto alla loro epoca. A volte
  leggi romanzi in cui antichi egizi parlano come la gente d’oggi e non mi
  convince. - Certo. Ma siamo
  nell’Ottocento e non è un’epoca così lontana da oggi. Se leggi epistolari e
  diari privati dell’Ottocento, ti rendi conto che molti avevano gli stessi
  pensieri di tanti uomini d’oggi. Magari certe idee non erano espresse in
  pubblico, ma privatamente lo erano. E spesso con un linguaggio che non
  ritrovi nei romanzi dell’Ottocento, ma solo perché certi termini non potevano
  essere stampati in un libro. - Non ho mai pensato di
  leggere diari ed epistolari dell’Ottocento. Romanzi sì ed è vero che ti rendi
  conto che, anche se le condizioni di vita erano molto diverse, i pensieri non
  lo erano. Il linguaggio sì. - Non potevi scrivere
  certe parole in un testo da pubblicare, c’era la censura. Ma la gente le
  usava. E nelle lettere le trovi.  - Ottimo, questo mi
  conforta.  Vediamo insieme le mie
  osservazioni. Il lavoro non richiede molto tempo. Salviamo il file sul
  computer di Hermann. A questo punto gli dico: - Comunque voglio dirti
  che il tuo romanzo mi è piaciuto molto. Mi ha preso. È una storia forte e
  l’amore dei due personaggi… ho un animo romantico e mi sono commosso. - Mi fa molto piacere. Sei
  il primo lettore e il tuo parere conta. Adesso però dobbiamo parlare di
  compenso. Hai lavorato diverse ore… Lo interrompo: - L’ho letto molto
  volentieri e non mi ha richiesto molto lavoro. Lascia perdere. Se ne fai
  copie cartacee mi regali una copia con dedica. O conti di fare solo un
  e-book? - Ho intenzione di fare
  entrambe le cose. E di pagarti.  - Mi hai prestato i tuoi
  abiti, riaccompagnato a casa evitandomi una polmonite, offerto una cena.
  Direi che siamo a posto così. Davvero, non è stato un gran lavoro. Hermann non è convinto, ma
  alla fine cede. Gli chiedo se ha già
  contatti con un editore e lui mi dice di sì. Ha conoscenze nell’ambiente gay,
  ovviamente, e sa chi potrebbe pubblicare il libro. Ha già un editore inglese
  e uno statunitense si è dichiarato interessato. Vorrei fare
  un’osservazione sul fatto che uno dei protagonisti si chiama Thomas, ma mi
  dico che tutto sommato non è il caso. A questo punto è
  abbastanza tardi e, a malincuore, gli dico che è ora che vada. Thomasognatore
  ha la vaga speranza di sentirsi dire “Devi proprio andare? Potresti fermarti
  a dormire qui”, ma Hermann non dice nulla del genere. Mi riaccompagna alla
  porta, mi saluta gentilmente (senza bacino) e Thomasognatore se ne va, con
  due inutili preservativi in tasca e la promessa di una copia con dedica. Ci
  rivedremo, quando mi farà avere il libro (sempre che non me lo spedisca per
  posta), ma ormai è chiaro che non combineremo niente. Guidando verso casa
  Thomasognatore è un po’ triste, Thomasaggio gli dice che è un coglione.
  Thomasaggio non è molto gentile con Thomasognatore, ma devo ammettere che ha
  ragione. A casa non ho voglia di
  mettermi a dormire, anche se è decisamente tardi. Decido di guardarmi il film
  in cui Jeff Walker viene stuprato e impiccato. È molto violento e non è uno
  dei miei preferiti, ma questa sera (notte) ho voglia di vedere ammazzare
  Jeff. La delusione di Thomasognatore si è trasformata in incazzatura. È
  stupido, Thomasognatore lo sa benissimo, ma è così. Quando infine il corpo
  senza vita del bandito penzola dal ramo dell’albero, nudo e con il cazzo in
  tiro (un magnifico cazzo, peraltro), mi do una lavata (c’è una macchia di
  liquido appiccicoso sul ventre, chissà come mai) e vado a dormire, un po’
  triste. * Passano quattro mesi, in
  cui Thomasognatore non ha pensato molto a Jeff Walker, anche se nel primo
  periodo ha rivisto alcuni dei suoi film e ha riletto una volta il romanzo.  Una sera, leggendo la
  pagina di un sito gay, scopro che il libro è stato pubblicato. Controllo su
  Amazon e in effetti è in vendita. Scoprirlo non mi fa piacere, per niente.
  Hermann mi aveva promesso una copia del romanzo e non si è più fatto vivo. Mi
  chiedo se comprare il libro, ma non ha senso: se voglio rileggermelo, posso
  farlo sul tablet.  La sera dopo mi viene in
  mente la faccenda del nome e vorrei verificare se uno dei due protagonisti si
  chiama sempre Thomas. Nella presentazione non è detto. Ci sono solo due
  recensioni, ma i nomi dei personaggi non sono citati. Mi dico che guarderò
  più avanti, magari in un’altra recensione qualcuno metterà anche i nomi. Una settimana dopo arriva
  una telefonata di Hermann. - Ciao, Thomas. - Hermann, piacere di
  sentirti. - Il libro è uscito, io ho
  avuto un po’ da fare per la pubblicazione e sono stato negli USA per due
  settimane, ma adesso sono tornato e ti voglio dare la copia del libro con
  dedica. Mi fa piacere sapere che
  non se n’è dimenticato e che non si è fatto vivo prima perché era via. - Molto volentieri. - Benissimo. T’invito a
  cena da me. Non so se ho voglia di
  andare a cena da lui. In realtà no, non ne ho voglia, ma rifiutare mi
  sembrerebbe scortese. - Ti ringrazio. Combiniamo per il sabato.
  Quando riattacca, cerco di chiarirmi le idee. La volta scorsa abbiamo
  chiacchierato serenamente. Hermann, oltre a essere un gran bell’uomo, è
  gentile e sensibile. Potrei dire che è stata una serata molto piacevole, ma a
  me non è piaciuta. Perché? La risposta è ovvia: avevo troppe aspettative, che
  naturalmente sono state deluse. Thomasognatore ha rovinato tutto. Questa
  volta dovrei lasciarlo a casa… Il sabato mi preparo. I
  preservativi non li prendo. Thomasognatore dice che non è un problema,
  Hermann sicuramente ne ha. Lo mando a fare in culo. Lui risponde “Magari!” ed
  io lascio perdere. Thomasaggio mi chiede se dobbiamo portarci sempre dietro
  quel rompicoglioni. Non rispondo. Hermann mi accoglie con un
  bel sorriso. La serata procede come la precedente: una buona cenetta, curata
  ma senza pretese di alta cucina, poi in salotto per una chiacchierata.
  Hermann mi racconta brevemente della pubblicazione del libro, negli USA e nel
  Regno Unito. Le due edizioni sono uscite in simultanea, con lo stesso titolo,
  ma con copertine diverse, una non vendibile in America e l’altra non in
  vendita in Europa. Mi piace molto l’edizione inglese, sia per i caratteri
  usati, sia per la copertina, che è inquietante, ma suggestiva. Vedo che
  Hermann non ha pubblicato con il suo nome, ma con lo pseudonimo di Paul
  Warren. Prendo in mano i due
  volumi e li sfoglio, così posso anche controllare il nome del protagonista:
  verifico che si chiama sempre Thomas. - E adesso facciamo le
  dediche per Thomas. - Le dediche? Me ne fai
  più d’una? - Certo, una per
  l’edizione inglese e una per l’edizione americana. Due copie autografate.  Sorride e aggiunge: - Quando vincerò il Nobel,
  varranno un fottio di soldi. Potrai venderle. Rido. - Senz’altro. Datti da
  fare a vincere il Nobel. Hermann sorride e prende
  l’edizione inglese. Ci scrive la data e poi la dedica: A
  Thomas, che mi ha aiutato a rivedere il testo e corregger gli errori. Con
  amicizia, Paul
  Warren alias Hermann. La dedica dell’edizione
  statunitense è simile. Hermann sorride e conclude: - E così Thomas ha le sue
  due copie in cui leggere la storia di un altro Thomas. Sorrido anch’io e osservo: - Mi ha colpito ritrovare
  il mio nome. Una bella coincidenza. - Ho chiamato il
  personaggio Thomas Hardy in omaggio all’attore Tom Hardy, che ho avuto modo di
  conoscere. C’è un sorriso che appare
  per un attimo sulle labbra di Hermann e poi scompare. Mi chiedo se non sia
  dovuto a un ricordo. Quanto a fondo ha conosciuto l’attore, che è davvero un
  bell’uomo, oltre a essere molto bravo? In un’intervista Hardy disse che aveva
  avuto anche rapporti omosessuali. Con Jeff Walker? Non glielo posso chiedere,
  ma provo una forte invidia per entrambi. Cambio discorso e chiedo: - E Adam? - Mi piace il nome.
  Contiene l’innocenza del primo uomo e il personaggio è proprio così. Un uomo
  che vive serenamente la propria vita e accetta i propri desideri, senza
  assurdi sensi di colpa. Fisicamente me lo sono immaginato come Alan Bates, un
  attore che è morto una ventina d’anni fa. Lui non l’ho mai incontrato.  La serata prosegue tranquilla,
  fino a quando dico che è meglio che vada a dormire. Ci salutiamo e me ne esco
  con le due copie del libro. È stata una serata piacevole, ma in realtà sono
  di nuovo un po’ deluso, anche se è stupido da parte mia. Avevo aspettative
  assurde. Forse perché dopo la fine della storia con Bruce vivo un vuoto
  affettivo e la mia vita sessuale è davvero misera. Gli incontri occasionali
  vanno bene, ma non mi bastano. Certo che se pensavo che uno come Jeff Walker
  potesse essere attratto da me, sono più scemo di quanto sospettassi. Uno che
  ha avuto tutti i più bei maschi del cinema porno. E magari anche Tom Hardy… Mi dico che se mai Hermann
  dovesse invitarmi un’altra volta, rifiuterò con qualche scusa, ma tanto non
  vedo perché dovrebbe invitarmi ancora. In effetti Hermann non si
  fa più vivo.  * Passano altri tre mesi e
  una sera dopo cena vengono a trovarmi Scott e Paul, due amici gay.  Conosco Paul da otto anni,
  mentre Scott si è trasferito in città poco più di un anno fa e insegna in
  un’altra scuola superiore. Ci siamo conosciuti a un corso d’aggiornamento e
  pochi giorni dopo ci siamo incontrati al Pride e ho scoperto che è gay. Siamo
  andati a cena con Paul, che lavora nella segreteria della sua scuola, e così
  abbiamo cominciato a frequentarci.  Scott curiosa sempre tra i
  miei libri: è un grande lettore, come me, e nella mia biblioteca trova spesso
  qualche cosa che lo attira. Ci siamo scambiati più volte libri. - Oh, hai La maledizione. Ho letto due
  recensioni, molto positive. Ma… ce n’è un altro, due libri con lo stesso
  titolo… no, anche l’autore è lo stesso, ma la copertina è diversa. Scott ha preso in mano i
  due libri, cosa che fa spesso a casa mia, come a me capita di guardare un
  libro della sua biblioteca: è una cosa del tutto naturale per noi. Io mi
  tendo, ho paura che apra i libri e veda le dediche.   - Come mai hai due
  versioni? Ci sono differenze, scene tagliate?  Non so bene che cosa dire.
  Non ho voglia di mentire, ma non ho neppure voglia di raccontare di Hermann. - No, sono identiche. Una
  è l’edizione inglese e l’altra quella statunitense. Scott apre bocca, ma poi
  la richiude. Deve aver intuito che non ho voglia di parlarne: è molto
  sensibile e attento agli altri e questo è senz’altro uno dei motivi per cui
  mi trovo bene con lui. - Me ne presti uno? Sono
  curioso di leggerlo. Se glielo presto, vedrà la
  dedica, ovviamente. Esito e Scott, che ormai
  ha colto l’esistenza di un problema, rimette i due libri a posto e cambia
  velocemente argomento: - Te lo chiedo un’altra
  volta, magari. Hai visto In
  from the Side?  - Non ancora. Tu l’hai
  visto? - Sì, ieri sera. Nasce una discussione tra
  Paul, che non ha apprezzato il film, e Scott, a cui invece è piaciuto. Del
  libro non si parla più, ma non mi piace che tra noi rimanga qualche cosa in
  sospeso. Paul riceve una telefonata
  della figlia (è stato sposato) ed esce per andare a prenderla. Scott si alza
  anche lui e dopo che ho accompagnato Paul alla porta mi dice: - Ora vado anch’io. Io prendo La maledizione, nell’edizione inglese,
  e la porgo a Scott.  - Te lo presto volentieri.
  Capirai perché ho esitato. Conto che tu ti tenga per te quello che scoprirai. Scott mi guarda perplesso,
  poi dice: - Questo te lo posso
  garantire. Certo che adesso mi hai fatto venire la curiosità… è quasi
  mezzanotte, ma mi sa che incomincerò a leggerlo appena arrivo a casa. Sorrido e dico: - Non dovrai fare tardi.
  Ti basterà leggere la prima pagina. Ci salutiamo. Mi fido di
  Scott (assai meno di Paul, che è una brava persona, ma non sa tenere un segreto)
  e non credo che possa risalire a Hermann dal nome. In ogni caso non può
  sapere che è (era) Jeff Walker. Scott mi telefona tre
  giorni dopo. - Ho letto il libro e la
  dedica. Sono curioso, ma se preferisci non parlarne, lasciamo perdere. - No, con te posso
  parlarne. Non dirti tutto, ma l’essenziale. Ti chiedo solo di non raccontare
  a nessuno di questa faccenda. - Va bene. Che ne dici di
  venire a cena da me? Cenetta leggera, sai che sono un salutista. Colazione da
  re, pranzo da principe e cena da povero. Per quello invito solo a cena:
  risparmio. Rido, poi dico: - Per me va benissimo. Al
  massimo mi prendo un hamburger da McDonald quando esco da casa tua. In realtà detesto McDonald
  e lui lo sa benissimo.  Lui ride: - Va bene. Hai
  intolleranze, allergie, antipatie? - Allergie e intolleranze
  no, una profonda antipatia per la cucina britannica in generale, ma dopo
  trentadue anni mi sono rassegnato. - Non ti preoccupare. Ho
  trascorso quattro anni della mia vita in Italia e ho scoperto che mangiare
  può essere un piacere. Non sapevo che Scott fosse
  vissuto in Italia. Mi farò raccontare.  Scott ha preparato una
  cena leggera, ma molto gustosa, che apprezzo molto. - E così hai imparato a
  cucinare in Italia. - Sì, la scuola superiore
  l’ho fatta in Toscana. Dopo che mio padre se n’era andato di casa, mia madre
  si mise con un olandese che aveva acquistato una villa nel Chianti. Lui era
  un amante della cucina italiana e un ottimo cuoco. Io ero molto curioso e lui
  era felice di insegnarmi. - Così cucini italiano, di
  solito. - Sì, quando cucino
  davvero e non mi limito a cose molto semplici, è quasi sempre cucina
  italiana, anche se dubito che uno chef italiano mi promuoverebbe. Chiacchieriamo della sua
  vita in Italia, poi, quando abbiamo finito di mangiare, passiamo in salotto,
  dove La maledizione fa bella mostra
  di sé sul tavolino. Guardiamo tutti e due il libro e sorridiamo. Prendo
  l’iniziativa:  - Prima che ti racconti di
  come sono arrivato a fare il consulente storico per un libro ad alto
  contenuto erotico, dimmi le tue impressioni. - A me è piaciuto molto.
  Soprattutto il rapporto d’amore tra i due personaggi, un amore assoluto, per
  cui sono entrambi disposti a dare la vita. - Anche a me. Dobbiamo
  avere tutti e due un animo romantico. - Dev’essere così. - Molto bello, ma mi
  chiedo quanto sia reale. Mi guarda perplesso. - In che senso? - Esistono uomini che
  amano così? Fuori dai romanzi, intendo. - Senz’altro. Esistono
  uomini che amano profondamente, disposti a sacrificarsi per coloro che amano.
  Certo, abitualmente non devono affrontare antiche maledizioni, fantasmi,
  assassini e riti di morte. Viviamo una vita più tranquilla, per fortuna. - Non pensi che la vita
  più tranquilla possa avere spento anche la capacità di amare davvero? - No, perché dici questo? Non rispondo, non lo so
  neanch’io.  - Non so, rimango sempre
  un po’ in dubbio quando leggo queste storie.  - Mi sembri pessimista. Io
  credo che tra gli uomini, come tra le donne, ce ne siano molti che sanno
  amare. - Forse hai ragione. Ho
  parlato senza riflettere. Lasciamo stare. - Va bene. Possiamo
  riprendere l’argomento un’altra volta. Adesso hai voglia di spiegarmi come ti
  sei trovato a rivedere un testo erotico. Sei stato contattato da un editore? - No, direttamente
  dall’autore, incontrato per caso. - Suppongo un incontro
  molto piacevole, se poi ti ha dato da rivedere il romanzo. Sorride, un po’ malizioso. - Ahimè no, non quello che
  pensi tu. C’è una parte che non posso raccontarti, ma a grandi linee è andata
  così: ho fatto la cazzata di partire per una gita in bici un giorno di tempo
  incerto e ho preso una lavata micidiale. Tuoni e fulmini, me la sono vista
  brutta. Allora ho chiesto ospitalità in una casa e… il padrone di casa è
  l’autore del libro. Abbiamo parlato di noi e gli ho raccontato che insegnavo
  storia. Lui mi ha detto che stava scrivendo un romanzo, che è appunto La maledizione. La cosa sarebbe finita
  lì, ma lui mi aveva dato un ricambio di vestiario, perché ero fradicio, per
  cui ci siamo scambiati i numeri di telefono perché io potessi restituirgli il
  tutto. Qualche mese dopo, io gli avevo già restituito gli abiti,
  naturalmente, mi telefona e mi propone di rivedere il romanzo. - Tu sapevi già di che
  tipo di romanzo si trattava? - Intendi le scene
  erotiche? Sì, sapevo che c’erano. Sorrido e aggiungo: - Lo so, manca un pezzo:
  com’è che a questo tizio, che non avevo mai incontrato, è venuto in mente di
  farmi la proposta? Purtroppo non siamo finiti a letto, anche se mi sarebbe
  piaciuto moltissimo. - È così affascinante? - È affascinante, ma devo
  fermarmi qui, - Va bene.   Mentre torno a casa,
  rifletto su Scott e sul nostro rapporto.  Lo conosco da meno di un
  anno e mi trovo bene con lui, ma non l’ho mai considerato un possibile
  compagno di vita o anche solo di letto. Tra i sedici e i venticinque sono
  stato molto promiscuo quando non ero impegnato in una relazione di coppia (e
  qualche volta anche quando ero impegnato, lo ammetto): ogni occasione mi
  andava bene. Poi c’è stata la storia con Bruce, il primo vero amore: sei anni
  di un rapporto fortissimo, che ho visto sfilacciarsi e morire dall’altra
  parte. Dopo la fine della nostra storia c’è stato un vuoto. Pochissime
  scopate senza nessun coinvolgimento emotivo e un tenermi a distanza da tutti
  coloro che potevano piacermi. C’è voluto un anno per riaprirmi al mondo, ma
  sono ancora molto guardingo. E adesso, mentre penso a
  Scott, mi dico che mi piace, che ne apprezzo la riservatezza, l’intelligenza
  che dimostra in molte occasioni, la grande sensibilità. E mi dico che è pure
  un bell’uomo. Anche lui è molto riservato e il nostro è sempre stato un
  rapporto amichevole, più che di vera amicizia. Ma mi rendo conto che qualche
  cosa sta cambiando. Devo cercare di conoscerlo meglio. Mi viene in mente che
  sabato ad Aberdeen c’è il Grampian Pride. Potrei chiedere a Scott se ha
  voglia che ci andiamo insieme.  Gli telefono il giorno
  dopo e Scott mi risponde che gli va benissimo. Sembra molto contento
  dell’idea o è solo un’impressione di Thomasognatore? Combiniamo di andare in
  treno ed io mi offro di occuparmi dei biglietti. Lui propone di passare
  l’intera giornata ad Aberdeen e di tornare solo in serata: possiamo girare
  per conto nostro in mattinata e poi sfilare nel pomeriggio. L’idea mi piace.
  Nessuno dei due propone di dirlo a Paul o a qualche altra conoscenza comune:
  sembra che anche lui preferisca che siamo solo noi due. Vivo i giorni seguenti in
  uno stato di leggera euforia. Thomasognatore sembra avere grandi aspettative,
  come se fosse già convinto di avere scoperto una miniera d’oro. Thomasaggio
  cerca di tenerlo a freno, sapendo che Thomasognatore finisce sempre per
  sbattere la faccia contro il muro. Avere in casa uno così è un bel problema:
  hai la garanzia di riuscire sempre a farti male. Il viaggio in treno è
  piacevole e la mattinata per le vie della città lo è ancora di più: siamo
  entrambi allegri, sembriamo due studenti il primo giorno delle vacanze
  estive. A un certo punto vediamo in lontananza un conoscente e Scott propone
  di svoltare in una via, per non incontrarlo. Il povero Rod è simpatico, ma
  anch’io preferisco che rimaniamo da soli e l’idea che Scott abbia lo stesso
  desiderio mi piace molto. Nel pomeriggio al Pride sono sicuro di incontrare
  un bel po’ di gente che conosco e magari qualcuno si unirà a noi, ma adesso è
  bello girare per conto nostro. All’ora di pranzo propongo
  di trovare un bar o una tavola calda. - Benissimo, ma non in
  centro. Troppa gente. Un posto dove possiamo stare tranquilli noi due. - Mi sembra una bellissima
  idea. Troviamo un ristorantino
  fuori dal centro, molto tranquillo. Il cibo non è eccellente, ma direi che a
  nessuno dei due importa. Chiacchieriamo, scherziamo, ridiamo. Da tempo non mi
  sentivo così allegro. So che cosa sta succedendo e una parte di me ha paura,
  ma ormai Thomasognatore è partito per la tangente.  Raggiungiamo infine il
  corteo. Incontriamo alcuni conoscenti, ma nessuno di noi due sembra
  intenzionato a rimanere con altri, per cui scambiamo due parole con ognuno e
  poi ci stacchiamo. Troviamo anche Paul, che è un po’ stupito: - Non pensavo che veniste
  anche voi. Potevamo venire insieme. Risponde Scott: - Abbiamo deciso di
  prenderci la giornata. Siamo arrivati nella mattinata. Paul annuisce, con l’aria
  di chi ha mangiato la foglia. Sorride e dice: - Allora non vi disturbo. Mi sa che domani
  racconterà a qualche amico che ci ha incontrato e ci ricamerà sopra. Non è un
  problema. A un certo punto sento una
  voce alle mie spalle: - Thomas! Che piacere
  vederti! Mi volto ed è lui: Hermann
  alias Jeff Walker alias Paul Warren. Mi stupisce di vederlo al Pride, dove
  parecchi possono riconoscerlo. Probabilmente ha concluso il periodo in cui se
  ne stava appartato. D’altronde non poteva pensare di vivere come un eremita
  per sempre.  Hermann è insieme a uno
  che non conosco, ma che mi è già capitato di incontrare al Pride: un gigante
  rosso di capelli, che in queste occasioni indossa sempre il kilt. Anche
  Hermann ha un bel kilt. - Ciao, Hermann. Segue una breve
  presentazione. Il gigante si chiama Fergus e il nome mi sembra appropriato,
  dato che significa “uomo vigoroso”. Infatti ha pure una stretta di mano molto
  energica.  Io mi chiedo se sentendo
  il nome di Hermann, Scott lo collegherà al romanzo. La faccenda non mi va, ma
  non posso farci niente. Hermann mi chiede come va
  il mio lavoro ed io gli do una risposta generica. Lui sorride e dice: - Ho cominciato un secondo
  romanzo. Ti prenoto per la revisione storica. Le sue parole mi
  tranquillizzano: non intende mantenere segreto l’aver scritto il libro, per
  cui se Scott ha capito che lui è Paul Warren non è un problema. - Va bene. In effetti Scott ha capito
  e chiede: - Sei tu l’autore della Maledizione? - Sì. Thomas te ne ha
  parlato? - In realtà no. Mi sono
  fatto prestare il libro da lui, ho visto la dedica e gli ho chiesto di
  raccontare come mai si è trovato a rivedere il testo, ma è stato molto
  abbottonato. - Gliel’avevo chiesto io. - Thomas è uno che
  mantiene quel che promette. Il complimento mi fa
  piacere e corrisponde a verità, anche se non so bene come lui faccia a
  saperlo. Scott riprende: - Comunque il tuo romanzo
  m’è piaciuto molto. È proprio una bella storia. - Grazie. Si mettono a parlare del
  romanzo mentre continuiamo a sfilare e di colpo mi accorgo che l’euforia
  della giornata è svanita. Sono infastidito. Vorrei che Hermann e il suo amico
  si levassero dai piedi e ci lasciassero da soli. Mi sembra che Scott e
  Hermann siano troppo allegri. Camminano davanti a me e mi dico che se io e
  Fergus sparissimo non se ne accorgerebbero neanche. Ci mancherebbe solo che
  questi due si mettessero insieme: Thomasognatore potrebbe suicidarsi.
  Thomasaggio dice che non sarebbe una grande perdita per l’umanità. Cerco di
  ironizzare, ma ho la luna storta. Il brusco cambiamento di umore mi
  preoccupa. Sono già a questo punto? Sono già geloso? Per fortuna dopo pochi
  minuti, Scott si volta e mi guarda interrogativamente, poi m’invita con un
  cenno ad accostarmi. Eseguo e, con mia grande soddisfazione, subito dopo
  Hermann e Fergus si staccano da noi. - Che hai, Thomas? Mi sei
  sembrato di cattivo umore. - No, no. - Sono contento di aver
  conosciuto l’autore. Un gran bell’uomo, davvero. Capisco perché non ti
  sarebbe spiaciuto andarci a letto insieme. Scott non ha fatto
  riferimento al fatto che Hermann è Jeff Walker. Sembra che non l’abbia
  riconosciuto.  - Certamente, un bell’uomo,
  su questo non c’è dubbio. - La sua faccia mi è
  vagamente familiare. Non so bene che dire, per
  cui taccio. Scott ride e dice: - Mi sa che ho toccato di
  nuovo un tasto delicato, qualche cosa che non puoi dire. - È vero. - Bene, ne farò a meno. Scott cambia argomento e
  pian pianino mi riprendo e ritorno euforico.  Abbiamo un treno verso le
  20, per cui mangiamo un boccone e raggiungiamo la stazione. Chiacchieriamo
  ancora sul treno. Io sono stanco, ma avverto una sensazione di benessere.  Quando arriviamo, Scott
  dice: - Andiamo a piedi? Scott abita a un quarto
  d’ora di strada dalla stazione ed io un po’ più lontano, diciamo altri dieci
  minuti. - D’accordo. Quando siamo davanti alla
  porta della sua casa, Scott mi sorride e mi dice: - Potresti fermarti qui a
  dormire. Ho uno spazzolino da denti nuovo e posso prestarti un pigiama, se ti
  serve. Mi manca il fiato. Mentre
  Thomasognatore sta per svenire, dico: - Se mi prometti una
  colazione italiana, mi fermo senz’altro. 2025      |