La tela del ragno

 

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Faccio accomodare il cliente. È un uomo sui cinquanta, con abiti firmati e scarpe di gran lusso. Ottimo: è il tipo di cliente che preferisco, quello che ha i soldi e paga. Ho sempre ammirato Sherlock Holmes, ma l’eroico investigatore che indaga per amore della giustizia, disponibile anche a non farsi pagare, vive soltanto nei libri: i personaggi di carta non hanno bisogno di mangiare, io sì. E se magari posso mangiare in un buon ristorante invece che in una bettola, ancora meglio. Preferisco l’aragosta alla zuppa di cipolle e un appartamento a Nizza nei mesi estivi, quando Parigi è invivibile, è meglio di una soffitta nella banlieu, dove gli arabi sono più numerosi dei pidocchi.

Il tizio si presenta come il duca René de Hauteclaire. Anche se cerco di selezionare la clientela, credo che sia la prima volta che ho a che fare con un duca.

- Mi dica.

- I signori Blanchard di Nizza mi hanno detto che lei è molto bravo a risolvere i casi.

Ho presente la faccenda dei Blanchard. Quella volta in effetti ho risolto brillantemente il caso e se hanno ottenuto l’eredità della madre di lei, nonostante il testamento, è senza dubbio merito mio, più che del loro avvocato. Abitualmente non lavoro a Nizza: ci vado in vacanza. Il mio studio è a Parigi, dove vivo da settembre a giugno. Ma trascorro due mesi in riva al Mediterraneo e in qualche occasione ho svolto la mia attività anche in vacanza, se i clienti sborsavano abbastanza. I Blanchard pagavano bene e avevano buoni motivi per farlo.

- Grazie.

Lui prosegue:

- Sa far venire fuori le prove.

La frase potrebbe essere del tutto innocente, ma non lo è: mi sta dicendo che sa benissimo che, quando occorre, le prove le fabbrico, come nel caso dei Blanchard. Se è davvero questo che intende, ancora meglio: per questo tipo di lavoro il cliente deve pagare parecchio.

Mi limito a un generico:

- Cerco di fare del mio meglio.

Se la sua frase voleva dire quello che ho capito, lui vi leggerà una conferma, senza che io mi sia compromesso.

L’uomo annuisce. Poi dice:

- Voglio che indaghi sulla morte di mia sorella, Laure de Hauteclaire.

Ricordo questo nome, devo aver sentito al telegiornale qualche cosa nei giorni scorsi: ricchissima duchessa precipita dalla scogliera della sua villa di superlusso, in Costa Azzurra. Non ho seguito molto, non mi interessava granché: per mia sfortuna non frequento quella società. Però ero a Nizza e non si parlava d’altro.

Il tipo prosegue:

- So che è stata uccisa dal marito, Félix Hermine, ma la polizia ha concluso che è stato un incidente.

Rimango spiazzato. Fabbricare le prove per far risultare che un marito è adultero quando non gli passa neanche per la testa, è una faccenda: vorrà dire che pagherà un po’ di più di alimenti alla moglie. Fabbricarle per incastrare uno per omicidio, è un po’ diverso: il tipo rischia di farsi venti o trent’anni di galera, innocente. Venendo al sodo, significa che il cliente deve sborsare molto di più, per tacitare la mia sensibile coscienza.

- Mi racconti tutto. Se il marito è colpevole, in qualche modo lo incastreremo.

Detto in soldoni: “Se mi paghi a sufficienza, dimostreremo che è colpevole, quand’anche fosse santa Giovanna d’Arco.”

L’uomo annuisce.

- Mia sorella si è sposata tre anni fa, con uno che ha conosciuto a Montecarlo. Lui l’ha sposata solo per i soldi, per fare una vita comoda. Era un pezzente. Ma mia sorella dopo un po’ si è stufata di averlo intorno e allora lui ha deciso di ucciderla per intascare l’eredità.

- Non ci sono figli? L’unico altro erede sarebbe lei?

Questo tanto per fargli capire che so benissimo perché vuole che il marito vada in galera: per intascare lui l’eredità.

- Sì. Non ci sono altri parenti stretti.

- Allora mi dica: come è morta sua sorella?

- È precipitata dalla scogliera nei pressi della villa, vicino a Mentone. Secondo la polizia è un incidente, ma io sono sicuro che l’ha fatta uccidere il marito.

Mi faccio raccontare un po’ più di dettagli. Il marito si è assentato per tutta la giornata e ha un alibi di ferro: non l’ha di sicuro fatta volare giù lui, anche se potrebbe aver incaricato qualcun altro. La servitù ha visto la signora allontanarsi verso la scogliera: le piaceva molto passeggiare da sola. Dopo una mezz’ora, un ospite della villa, tal Raymond Granges, ha chiesto ai domestici se avevano visto la signora e, quando gli hanno comunicato che era uscita per una passeggiata, si è diretto verso la scogliera. Dieci minuti dopo è tornato, comunicando di aver visto il corpo di mia sorella sfracellato sugli scogli. 

- Quindi potrebbe averla uccisa quel Granges.

- Non aveva motivo per farlo: erano amanti e aveva tutto l’interesse che lei rimanesse in vita.

- Come sa che erano amanti?

- Me lo disse lei stessa, l’ultima volta che ci siamo parlati.

- Quindi, secondo lei il marito di sua sorella l’ha fatta uccidere da qualcun altro, in modo che sembrasse un incidente.

- Esatto: temeva che lei chiedesse il divorzio e lui si sarebbe ritrovato con il culo a terra. Come le ho detto, era un pezzente.

- Non è una situazione semplice. Se suo cognato ha un alibi, vuole dire che ci dev’essere un complice e bisogna trovare delle prove nei confronti di tutti e due.

- Spetta a lei trovarle.

Sì, spetta a me trovarle, cioè fabbricarle, ma la faccenda è alquanto delicata. È sempre difficile costruire prove fasulle a posteriori: non a caso i tradimenti li preparo con cura in anticipo e faccio sorprendere il marito - o la moglie - in flagrante, come un moscone che finisce nella ragnatela. Ma se non hai preparato la tela prima, acchiappare il moscone diventa difficile. Inoltre in un caso di omicidio tutto diventa anche molto rischioso: le indagini sono molto più accurate e io non ci tengo a finire in galera.

Potrei cercare di far ricadere la colpa su Granges, facendo risultare che il marito l'ha pagato per uccidere la moglie: è l'unico che potrebbe in effetti averla spinta dalla scogliera e uccisa. Magari l'ha fatto per davvero, perché lei voleva mollarlo. Ma come dimostrare che invece è stato il marito a pagarlo? Qualche chat o qualche mail che risultasse inviata prima del delitto andrebbe benissimo: Bertrand si occupa per me di queste cose, al computer è un vero genio (e si fa pagare in proporzione, accidenti a lui). Ma di fronte a un caso di omicidio i controlli sarebbero accurati e potrebbero scoprire che si tratta di un falso.

Scuoto la testa. Non sono convinto, per niente. Rischio di perdere un sacco di tempo senza cavare un ragno dal buco.

Il tipo prosegue:

- Mille euro a settimana, più le spese, quelle reali. Cinquecentomila euro se mio cognato viene condannato per l'omicidio.

Sono io che dico le mie tariffe, non sono i clienti a propormele. Inoltre mille euro a settimana più le spese sono decisamente pochi, assai meno di quanto prendo abitualmente con clienti di questo tipo (purtroppo ci sono anche i periodi di magra, in cui devo accontentarmi di altri clienti, che non hanno grandi mezzi). La faccenda delle spese “reali” indica una mancanza di fiducia nei miei confronti che sinceramente trovo alquanto offensiva. Potrei mandarlo a fare in culo, ma cinquecentomila euro sono una sberla. Forse vale la pena di studiare meglio la situazione. Una bella rete si può costruire anche dopo, l’importante è che il moscone ci finisca dentro.

- Va bene, ma me lo mette nero su bianco.

- D’accordo.

Mentre la segretaria prepara l’occorrente, raccolgo ancora qualche informazione.

- In che modo sua sorella ha conosciuto il signor Granges?

- È un amico del marito. Lo hanno invitato più di una volta alle ville: in Toscana, a Saint-Moritz, in Costa Azzurra; è stato da loro anche nell’appartamento a New York. Insomma, era diventato un ospite quasi fisso.

Se questo tizio conta di mettere le mani su una villa in Toscana, una a Saint-Moritz, una in Costa Azzurra e un appartamento a New York, direi che cinquecentomila euro sono fin pochi. Intanto il tipo prosegue:

- Lui ha fatto la corte a mia sorella e l’ha conquistata. Con un marito come quello, di certo lei non poteva essere soddisfatta.

Il fatto che il Granges sia amico del marito è uno dei pochi elementi positivi in questa faccenda. Più facile inventare una complicità, anche se un amico che ti mette le corna non è precisamente il massimo. Ma il mondo è pieno di individui spregevoli, privi di principi morali.

- Dove si trovano adesso suo cognato e Granges?

- Mio cognato è qui a Parigi, nell’appartamento di Place des Vosges. Granges non so. Credo che abiti anche lui a Parigi, ma non so se adesso è qui. L’ho visto poche volte, quando andavo da mia sorella, ma dopo il matrimonio non capitava spesso: il marito non lo sopportavo.

Dopo avermi fornito ancora qualche dettaglio e aver firmato il contratto, René de Hauteclaire se ne va e io rimango a pensare.

Cerco di elaborare una strategia. Un primo passo sarebbe riuscire a inviare qualche mail dall’indirizzo di posta elettronica del marito, a quel Granges. Qualche mail in cui si possa cogliere un riferimento a un accordo rispettato, a un conto che verrà regolato in futuro. La polizia potrebbe pensare che il marito è tanto coglione da ritenersi al sicuro perché le indagini sono state chiuse. Lui negherebbe di averle scritte, naturalmente. Bisogna capire se il sistema è sicuro. Devo parlare con Bertrand e vedere se attraverso indagini accurate si può capire che una mail non proviene dall’indirizzo da cui risulta inviata.

L’alternativa sarebbe scriverle davvero dal computer del marito, allora nessuno crederebbe che non è stato lui. Ma mettere le mani sul computer del novello vedovo non deve essere così facile. Oltretutto si tratta di un milionario, a casa sua non si entra di certo tanto facilmente dalla finestra (mi capita di farlo, d’altronde il fine giustifica i mezzi e cinquecentomila euro sono un fine che giustifica qualunque mezzo): avrà sistemi di antifurto alquanto sofisticati, password e quant’altro. Provare ad allungare un po’ di denaro a qualche domestico? Rischioso, ma è un’eventualità da non escludere.

Per entrare a casa del marito senza correre rischi avrei bisogno di conquistare la sua fiducia, ma questa strada mi sembra la più difficile da percorrere.

E in ogni caso dovrei disseminare anche qualche altro indizio. Di che tipo? Una somma di denaro sul conto di questo Granges, ad esempio, ma dovrebbe essere una grossa somma. “Spese reali”, ha detto il fratello, no? Sarebbe disposto a tutto, pur di mettere le mani su quell’eredità. E in fondo non c’è bisogno di una cifra molto consistente: tanto il marito non pagherebbe tutto insieme, per non dare nell’occhio. Quindi magari ventimila euro potrebbero bastare, sarebbe un acconto, in attesa del saldo. Il marito potrebbe averlo inviato giustificandolo come un prestito all’amico in difficoltà. Ma anche questo non è semplice, perché deve apparire che li ha versati il marito o qualcuno a cui non si possa risalire: la polizia penserebbe che il marito ha pagato in modo da non apparire. Questo elemento e una mail compromettente senza dubbio sarebbero indizi pesanti, ma da soli non sarebbero sufficienti. La polizia è maledettamente cauta in questi casi. I piedi ai ricchi li pesta malvolentieri.

Ci vuole qualche cosa di più diretto, che la polizia possa ritrovare da Granges o dal marito o nella villa in Costa Azzurra. Che cosa? Ci dovrò pensare, ma perché mi venga l’idea giusta, devo conoscere meglio la situazione.

Va bene, ho riflettuto abbastanza, è arrivato il momento di darsi da fare. Ritrovare i giornali della settimana scorsa, girare un po’ su Internet e raccogliere tutte le informazioni di dominio pubblico sul caso. Poi individuare l’appartamento del marito e cercare di capire che vita fa. Infine capire dove si trova Raymond Granges.

Quando avrò tutti gli elementi in mano, vedrò che strategie usare. Non sarà facile costruire questa fottuta ragnatela.

 

Félix Hermine è un gran bell’uomo. Non mi stupisce che abbia conquistato il cuore della duchessa. Nelle foto che lo ritraggono viene sempre benissimo: non è solo fotogenico, è proprio bello. Sia nell’abito scuro di Armani, con cravatta di Yves Saint-Laurent, sia in costume da bagno sulla spiaggia. Di foto sue in Internet ce ne sono parecchie, di solito con la defunta moglie. Devo dire che con un tipo così ci farei un pensierino volentieri anch’io, ma devo fotterlo in un altro senso. Peccato. In galera lo fotteranno in tanti: a vederlo in costume direi che ha un culo da sogno. Non si annoierà. Quanto a me, cinquecentomila euro sono una buona compensazione. In fondo potrei permettermi un migliaio di notti con i migliori escort.

Di Raymond Granges ci sono solo poche foto, successive al delitto: è lui che ha trovato il corpo, per cui il suo viso è apparso più volte nei giorni successivi a questo incidente che deve diventare un omicidio. Avendo visto la sua faccia, lo riconosco anche in altre foto visibili su Internet, in compagnia della duchessa e di Félix Hermine, il marito cornuto e vedovo straricco. Anche lui non è niente male (d’altronde, perché una duchessa che naviga nell’oro dovrebbe prendersi uno qualunque come amante?), più alto del marito di almeno tre dita, spalle da atleta, viso dai lineamenti maschi. Non ci sono foto in costume. Peccato. A vederlo in giacca sembra promettere molto bene. Non riesco in nessun modo a trovare il suo indirizzo di casa.

Sulla morte della duchessa non ho trovato niente di interessante. Tutti hanno accettato per buona la versione della polizia. Dovrò costruirmi tutta la ragnatela a partire da zero. C’è molto sulla vita della nobildonna, una vita alquanto movimentata (due divorzi, un buon numero di amanti, tante ville) Era evidentemente un nome famoso nella società “che conta”. Quella che conta milioni, per intenderci.

 

Adesso devo alzare il culo dalla sedia e muovermi. Andrò a Mentone, a vedere la villa. Ho un’idea precisa del luogo: come sempre in queste occasioni, i giornali pubblicano un sacco di dettagli. Ma devo vederla direttamente, per capire come trasformare una caduta poco produttiva (almeno per me, per il marito è un altro discorso) in un fruttuoso omicidio premeditato.

Mentre io sarò a Mentone, è bene che qualcuno mi procuri un po’ di informazioni che mi permettano di procedere. Prendo il cellulare e seleziono il nome di Jamal.

Jamal è un bel ragazzo, arrivato dall’Algeria due anni fa con la madre, in fuga da non so bene che cosa. Giunto nel paradiso francese in pieno regno di Sarkozy, non risulta in regola con i documenti e, vista la crisi e la giovane età, le sue possibilità di trovare lavoro sono scarsissime. Io lo aiuto volentieri, per puro buon cuore. Naturalmente lo pago poco: non voglio che si abitui ad una vita di agi, che indebolisce il carattere. Va molto bene per i pedinamenti, perché un ragazzino non dà nell’occhio e lui ci sa fare.   

Mi risponde subito:

- Buongiorno, Hervé.

- Ho un lavoro per te, Jamal. Vieni da me.

- In ufficio?

- No, a casa. Ti aspetto tra un’ora

Emette un sospiro di rassegnazione e risponde:

- Va bene.

Preferisco che venga a casa: in ufficio il mattino c’è la segretaria. E poi il letto è più comodo della scrivania. Se Jamal vuole che gli dia del lavoro, se lo deve meritare: in questo mondo non ottieni niente gratuitamente. Io sono ben disposto a fargli guadagnare qualche soldo, visto che ne ha bisogno, ma anche lui deve mostrarsi gentile nei miei confronti.

Jamal arriva un po’ in ritardo, come al solito.

- Allora, come va, bello?

- Di merda.

- Adesso però papà Hervé ti dà un lavoro, se fai il bravo.

- Per quanto tempo? E quanto mi paghi?

Jamal pensa solo ai soldi.

- Per almeno tre o quattro giorni e ti pago bene.

- Bene quanto?

- Quaranta al giorno.

- Tutto il giorno al lavoro per quaranta? Stai scherzando?

- Ma che lavoro è, seguire uno, controllare a che ora entra ed esce di casa, in compagnia di chi, chi va a trovarlo? Un giochetto.

- Per meno di cento non se ne parla neanche.

Cazzo! Jamal sta diventando esigente. E i cento al giorno, anche se sono spese “reali”, non li posso mica documentare al pidocchio, Jamal non mi rilascia la ricevuta. Mi mangerei quasi metà della prima settimana di lavoro.

- Sessanta, non un centesimo di più. Ma se lo perdi di vista, non vedi neanche una moneta. E adesso fai il bravo con me.

Jamal storce la bocca.

- Sei proprio tirchio, Hervé.

Alzo le spalle e mi avvicino a lui. Gli metto due mani sui fianchi, poi le infilo sotto la maglietta e la sollevo.

Mi piace il corpo di Jamal, mi piace il suo petto glabro, il colore un po’ scuro della pelle. Mi piace da impazzire il suo culo da adolescente, i fianchi stretti, le natiche snelle.

Lui lascia fare, senza opporre resistenza: sa bene che se vuole il lavoro deve essere carino con me.

Finisco di spogliarlo e lo sollevo, nudo come un piccolo Adone. Lo porto in camera da letto e lo poso sulle lenzuola. Poi mi tolgo gli abiti, mentre lui si stende sulla pancia e allarga bene le gambe. Io ho il cazzo già duro, ma voglio gustarmi un po’ il suo culo con la bocca, prima di gustarlo con il cazzo, per cui gli assesto qualche bel morso, poi gli passo la lingua lungo il solco, più volte, indugiando sul bel buchetto. Con le mani gli stringo le natiche, poi le mordo, prima piano, dopo con forza.

Prendo dal cassetto un preservativo: non è che mi vada molto usarlo, ma è meglio essere prudenti. So benissimo che Jamal dà via il culo per soldi e non intendo beccarmi l’AIDS o quant’altro. Una volta che sono attrezzato, avvicino la cappella al buco. Mi piace vedere il mio cazzo chiaro che si infila tra le natiche di colore più scuro di Jamal. Mi piace vederlo forzare l’apertura e entrare lentamente. Mi piace vederlo affondare fino all’elsa in questo culo caldo e accogliente.

Lo fotto con lentezza, perché voglio far durare questo piacere che dal cazzo si diffonde in tutto il corpo. È bello sentire il calore di questa guaina stretta che avvolge il mio cazzo. È bello uscire e poi rientrare, facendo sussultare questo corpo che stringo tra le mani. È bello spingere fino in fondo, strappando un gemito, e poi ritrarmi lentamente. Vorrei che non finisse mai.

Solo quando sento che la tensione diventa troppo forte, spingo con vigore, mentre il piacere dilaga ed esplode dal mio cazzo, percorrendomi come una scarica elettrica. Mi abbandono su di lui, soddisfatto. 

Dopo un po’ Jamal si muove e lascio la mia comoda posizione. Ci alziamo dal letto e, ancora nudi, ci sediamo al tavolo di cucina. Io bevo un bicchiere di bianco e gli chiedo se vuole un po’ di aranciata, ma lui non ha sete. Guardo il suo corpo snello e ancora sento il desiderio, anche se sono venuto da pochi minuti.

Poi ci mettiamo sotto la doccia e io ne approfitto per provocarlo ancora un po’, infilandogli un dito in culo. Lui cerca di sottrarsi, gli sembra di aver dato già abbastanza, ma la sua ritrosia mi stuzzica. Il cazzo mi sta tornando duro: era una settimana che non scopavo e questo bell’adolescente mi eccita. Allora lo forzo a inginocchiarsi davanti a me, sotto il getto della doccia, anche se lui oppone resistenza. Non gli piace succhiare un cazzo, me l’ha detto tempo fa, ma adesso lo fa, o se lo fa, per papà Hervé lo fa! Lo costringo ad aprire la bocca e glielo infilo dentro. Lui collabora poco, per cui devo darmi da fare io: inizio a spingere con forza, fottendolo in bocca come prima l’ho fottuto in culo, mentre l’acqua scende su di noi. E infine gli vengo in gola. Lui tossisce e sputa. Io lo lascio fare. Mi sento soddisfatto.

Dopo che ci siamo rivestiti, gli do le istruzioni e gli faccio vedere le foto. Deve segnarsi a che ora Félix Hermine entra ed esce di casa e fotografare con il telefonino la gente che va a trovarlo. Se esce a piedi deve seguirlo. Anche se prende un autobus o la metropolitana, ma considerando che Hermine nuota nell’oro, non credo proprio che si serva dei mezzi pubblici. Se dovesse comparire Raymond Granges, deve seguire lui e scoprire dove abita, anche a costo di prendere un taxi (però mi porta la ricevuta della corsa). Le informazioni che mi procurerà Jamal dovrebbero aiutarmi a farmi un quadro più preciso della situazione di Félix Hermine e magari, con un po’ di culo, mi permetteranno anche di scoprire dove abita Raymond Granges, mentre io sarò a Mentone.

 

A Monaco mi sistemo al Metropole, un albergo a cinque stelle: “spese reali”, no? Gli oltre 500 euro a notte sono reali, quel pidocchio di René de Hauteclaire può stare sicuro. Poi prendo l’auto che ho affittato all’aeroporto di Nizza e raggiungo la villa. Dalla strada è appena visibile, un po’ arretrata rispetto alla scogliera, ai piedi di un’alta parete.

Da quel che ho trovato sui giornali, il punto in cui è precipitata la duchessa non è all’interno della recinzione della villa, ma io preferisco studiare il percorso che ha fatto e parlare con qualcuno. Perciò suono al citofono. Alla domanda, rispondo:

- Ispettore René Bellevue, polizia.

Mi chiamo René Bellevue esattamente come sono ispettore di polizia. Se mi beccano, mi tolgono la licenza di investigatore e sono fottuto, ma è l’unico modo di parlare con il personale.

Il custode è un omaccione nero. Mi guarda, diffidente, ma non mi chiede il tesserino della polizia (comunque ho anche quello, falso come tutto il resto). Mi muovo con la sicurezza e l’arroganza di chi è abituato a dare ordini e non ha niente da nascondere, con il giusto disprezzo nei confronti di questi negri di merda che vengono qui a delinquere.

- Stiamo verificando alcuni elementi che non quadrano nella ricostruzione della morte della duchessa.

L’uomo appare perplesso.

- Ma il commissario Dambord…

Lo interrompo, brusco.

- Il commissario Dambord è stato un po’ frettoloso nell’arrivare a una conclusione e alcuni elementi emersi ci hanno convinti che non si tratta di un incidente. Sono stato inviato per raccogliere altre informazioni.

Il custode annuisce. Il mio tono perentorio lo mette in soggezione.

- Portami al luogo in cui è stato ritrovato il corpo.

Il tizio mi fa strada. Passiamo di fronte alla villa, poi usciamo da un cancello sul retro e raggiungiamo il sentiero che corre lungo la scogliera. Ho visto le ricostruzioni sui giornali e ho un’idea del punto preciso da cui è precipitata la duchessa: è un tratto non visibile dalla villa. Superiamo un piccolo promontorio e raggiungiamo un’insenatura. Riconosco il posto dalle foto che ho visto. Il custode mi indica con la mano alcune rocce appuntite alla base della parete.

- Laggiù.

Sembra rabbrividire.

È un bel salto, di quelli che non lasciano nessuna possibilità di cavarsela: oltre tutto si cade tra le rocce, non in acqua, perché il mare è un po’ oltre. Mi guardo intorno e controllo: in effetti di qui la villa non si vede (e viceversa). La parete incombe a strapiombo, sopra e sotto di noi, e il punto è piuttosto nascosto. Difficile che qualcuno possa vedere ciò che avviene. Studio con attenzione tutta l’area.

- Questo sentiero si può prendere solo dalla villa o si raggiunge anche da altre parti?

- Credo che si possa prendere anche più avanti.

- Credi, eh? Non sai nemmeno questo!

Devo capire come posso raggiungere questo posto senza passare dalla villa: quando ci tornerò, nessuno deve vedermi. Questo coglione non è in grado di aiutarmi, ma non ha importanza, lo scoprirò da solo.

Adesso che so esattamente dove è avvenuto il crimine (tale sarà in futuro, anche se magari ieri non lo era), devo capire come incastrare Granges. Potrei far cadere qualche cosa di suo tra quegli scogli, ad esempio: qualche cosa che la duchessa potrebbe avergli strappato cercando di appigliarsi a lui mentre la spingeva nell’abisso. Qualche cosa di piccolo, come il bottone di una camicia, da far trovare lì sotto. Assicurandosi che lo trovino. Però dev’essere un bottone che si possa ricondurre a Granges. E che possa essere stato perso quel giorno. Non è facilissimo da realizzare.

- Com’era vestito il signor Granges quel giorno?

Il custode sembra non capire. Non si aspettava la domanda.

- Com’era vestito?

- Sì, che cosa indossava? Non capisci il francese? Hai i documenti in regola, tu?

Rimane un attimo disorientato, poi risponde:

- La giacca blu, quella che portava spesso in casa. E una delle sue camicie azzurre. Non so quale, ne ha parecchie. Ma hanno fatto le foto, quando ha parlato con i giornalisti. Non si era mica cambiato…, non credo, almeno, non so… ma perché…?

Faccio cenno alla parete sopra le nostre teste.

- C’è chi ha visto qualche cosa, non sono mica tutti ciechi come certa gente…

Lascio in sospeso la frase, mi volto e mi dirigo verso la villa, senza aggiungere altro.

Il custode mi segue. Quando arriviamo al cancello, gli dico, perentorio:

- Non fare cenno a nessuno della mia visita. Non vogliamo che gli assassini scoprano che siamo sulle loro tracce.

- Assassini! Allora lei pensa…

- Non penso, so. Ma non dire una parola, chiaro? Se i nostri sospetti saranno confermati, il commissario Dambord riaprirà l’inchiesta: vogliamo incastrare quei figli di puttana, ma non vogliamo neanche che la polizia locale sia accusata di incapacità. Tu fai conto che nessuno sia passato di qui, oggi. Capito?

- Sapete chi è stato a uccidere la povera contessa?

Lo guardo negli occhi, fisso.

- Certo!

Annuisce. Starà zitto, probabilmente.

Adesso che ho un quadro preciso della villa, devo vedere come raggiungere il luogo del delitto per collocare l’indizio che serve. Non ci metto molto a trovare, a un chilometro dalla villa, un sentiero che dall’alto scende fino a quello da cui è precipitata la duchessa. È un sentiero da capre, ma va bene.

Adesso devo solo capire qual è l’indizio adatto da seminare.

Mi farò ancora una notte al Metropole: si dorme d’incanto e si mangia benissimo. Tanto il conto spese lo paga il pidocchio.

 

A Parigi Jamal ha fatto un buon lavoro: ha controllato i movimenti di Félix Hermine e così ha avuto modo di vedere anche Granges. Jamal l’ha seguito e adesso ho l’indirizzo di Granges, che non abita molto lontano da Hermine. Però il marito della duchessa sta in una delle piazze più prestigiose di Parigi e Granges in via Michel Le Comte, abbastanza centrale, ma non particolarmente lussuosa. Jamal mi dice che i due si sono visti due volte.

Se la casa di Granges non ha un antifurto, posso procurarmi un bottone di una camicia azzurra, magari con un brandello di stoffa, da far cadere tra gli scogli. E poi nascondere la camicia da qualche parte vicino alla villa, in modo che la polizia possa ritrovarla. Dev’essere una camicia che lui ha usato, che non è stata lavata. Così la polizia crederebbe che lui se l’è tolta, perché la duchessa aggrappandosi a lui ha strappato un bottone, e che l’ha nascosta per evitare di destare sospetti.

Ma entrare come un ladro in casa altrui presenta sempre diversi rischi: se mi beccano perdo la licenza, per cui è meglio che mandi in avanscoperta qualcun altro. È senz’altro preferibile sguinzagliare la mia arma segreta: 90-60-90. Sono le misure, ovviamente, quelle di Natasha, che si chiama Natasha come io mi chiamo Arsenio Lupin, ma viene da qualche posto della Russia, dove ha lasciato la verginità e diverse persone che sarebbero felici di ritrovarla per farle la pelle (dopo averle fatto qualche altro servizio: una come Natasha sarebbe un peccato ucciderla senza averla provata da davanti e da dietro, fica, culo e bocca; non ne ho fatto esperienza diretta, ma, anche se preferisco quelli con il batacchio tra le gambe, non sono mica cieco). Natasha è la chiave giusta per aprire le serrature dei giovani maschi e Granges ha trentacinque anni, pochi in più del marito della duchessa (la nobildonna invece ne aveva quarantacinque). Escludo che Granges possa rimanere insensibile alle grazie di Natasha: se scopava con la duchessa, che nonostante la chirurgia estetica non era propriamente Venere, Natasha di certo glielo fa drizzare appena la vede.

Natasha è in gamba e sa come portarsi a letto un uomo. Mi servo spesso di lei. So alcune cose del suo passato e soprattutto so come contattare qualcuno che avrebbe molto piacere di scoprire dove si trova ora la bella Natasha. Questo mi aiuta a contenere i prezzi delle prestazioni di Natasha.

Dopo aver risolto la faccenda della camicia, passerò al resto. Per il momento la camicia è la cosa più urgente: deve rimanere qualche giorno nel posto dove la nasconderò, come pure il bottone con il frammento di stoffa, altrimenti potrebbero scoprire che l’indizio è fasullo.

Manderò Natasha all’attacco di Granges, con il compito di portarselo a letto e di rubargli una camicia sporca, azzurra. Questo non dovrebbe essere difficile: porta quasi sempre camicie azzurre, a giudicare dalle foto e da quanto mi ha riferito Jamal.

Telefono a Natasha.

- Ho un lavoro per te, bella.

- Con la solita paga di merda, Hervé?

Anche lei pensa subito al denaro: è proprio vero che la gente ha in testa solo i soldi!

- Pensavo che lavorare per me fosse un tale piacere per te…

- Ma certo, Hervé, come no? Dimmi che cosa devo fare.

 

Natasha mi porta la camicia due sere dopo: su di lei si può sempre contare. Io uso i guanti per strappare un bottone con un lembo di stoffa. Non è facilissimo: Granges usa camicie di marca e la stoffa non cede facilmente. Ma una donna disperata, che si sente spingere nell’abisso dall’amante, si aggrappa a tutto quello che può. Anche il ragno si aggrappa a quello che può per costruire la sua tela.

Questa volta a Mentone vado in auto, senza fermarmi in albergo in zona: nessuno deve essere in grado di ricostruire i miei movimenti. Quando sta diventando buio, raggiungo la scogliera e faccio cadere il bottone con il lembo di camicia ai piedi della scarpata: se faranno ricerche, lo troveranno, perché lì il mare non arriva. Poi mi avvicino alla villa e nascondo la camicia tra alcune rocce, in modo che non sia visibile.

 

Torno a Parigi il giorno dopo, stanco, ma soddisfatto. Il piano procede. Adesso mi servono le doti informatiche di Bertrand. Lui purtroppo si fa pagare, pure caro. La gente oggi è così meschina e interessata!

Lo contatto e ci vediamo in un caffè del Quartiere Latino. Bertrand mi dice che può spedire la mail da un internet point vicino a Place des Vosges, dove abita Hermine, fingendosi un turista. Spesso ai turisti non chiedono i documenti, per cui non dovrebbe esserci nessun problema. Sa come scoprire la password che usa Hermine per la posta elettronica. Come riesca a farlo, non so, ma non mi stupisce: lo conosco bene.

Come far arrivare a Granges ventimila euro (che mi dovrà dare il pidocchio), lo so. Risulteranno un versamento fatto da qualcuno con un’identità falsa.

Riepilogando: la camicia strappata (di Granges) nascosta da qualche parte nell’area intorno alla villa; il bottone con il lembo della camicia alla base della scogliera; ventimila euro sul conto di Granges; una mail di Hermine che dice a Granges che provvederà quanto prima a saldare. E la testimonianza del pidocchio, che dirà che la sorella voleva lasciare il marito. Altre cose salteranno fuori non appena si incomincerà a parlarne: degli screzi tra i due consorti di sicuro sono informate tante persone. Il tutto è abbastanza? Deve esserlo.

La mail e il versamento saranno fatti tra una settimana: tempo che la camicia e il frammento a Mentone “invecchino” a sufficienza.

 

*

 

La settimana passa in fretta e adesso siamo a posto. La ragnatela è pronta: i ventimila euro sul conto di Granges sono stati inviati ieri; la mail dall’indirizzo di Hermine, oggi.

Mi manca solo l’ultimo passo: domani farò in modo che la polizia riprenda le indagini sul delitto, prima che magari Granges, controllando sul suo conto, scopra la cifra anomala. Il moscone vola ancora libero, ma le sue ore sono contate. E cinquecentomila euro stanno per entrare nelle mie tasche.

Questa sera per festeggiare vado al Quetzal Bar, a caccia di prede. È un posto che non mi dispiace.

Appena entro do un’occhiata in giro, ma non vedo niente di interessante. Mi prendo il mio bicchiere di porto e dal mio posto al banco tengo d’occhio la porta, per vedere se entra qualcuno che valga la pena di abbordare.

E di colpo, chi ti vedo? Félix Hermine! Cazzo! Cazzo! Hermine fa parte della confraternita? Un piede in due scarpe, la ricca duchessa e qualche avventura occasionale con gli uomini? O magari di preferenza uomini e una moglie come libretto degli assegni?

Vale la pena di cercare di contattarlo? Magari per fabbricare all’ultimo momento qualche altro indizio? Non direi, non credo molto nell’improvvisazione, anche se forse a casa sua potrei dare l’ultimo tocco alla ragnatela, per renderla a prova di moscone. Mentre ci penso, seguo con lo sguardo Hermine e lui si accorge che lo sto fissando. Abbozza un mezzo sorriso e si avvicina. Cazzo! Il moscone sta dirigendosi dritto dritto verso il ragno. Prima di farlo finire in galera a vita, se non altro mi gusto il suo culo, che dev’essere di prima classe.

Félix si siede al banco, di fianco a me, e ordina da bere. Io gli sorrido e gli dico:

- Non ti ho mai visto da queste parti.

Lui ricambia il sorriso e dice:

- Non vengo spesso, ma questa sera… avevo appetito.

Rido.

- Anch’io sono affamato.

- Se sei già al livello di fame, è meglio non farti aspettare troppo. Andiamo da me?

Mai visto un moscone fare la corte al ragno in questo modo.

Sorrido e dico:

- Va benissimo. Se aspetto ancora un po’, potrei mordere chi mi capita a tiro…

Paga la sua consumazione (un gin di cui ha appena bevuto un sorso, ma lui non ha problemi di soldi) e usciamo. Mi accorgo subito che non ci dirigiamo verso Place des Vosges. Probabilmente Hermine usa un pied-à-terre per le sue avventure. Di certo quando la moglie era a casa, non ci poteva portare uomini (o donne). E poi far entrare uno sconosciuto in un appartamento di superlusso presenta sempre qualche rischio.

Raggiungiamo via Michel Le Comte. Ci metto un attimo a connettere. Ma certo! Raymond Granges abita in questa via.

Ci fermiamo davanti a una vecchia casa a due piani, più le mansarde. Guardo il citofono di fianco al portone verde e vedo il nome di Granges. Faccio il finto ingenuo e chiedo:

- Abiti qui?

- No, è un amico che mi presta il suo appartamento quando ne ho bisogno.

Intanto entriamo. Io proseguo il suo discorso.

- …per qualche scappatella. Eri sposato, vero?

- Come lo sai?

- Dal segno della fede al dito. Divorziato?

- No, vedovo.

Mi impongo una faccia di circostanza, anche se non ho visto un’espressione di sofferenza sul suo viso.

- Scusa, non sapevo…

Félix alza le spalle. Intanto siamo arrivati al secondo piano. Anche sul campanello c’è il nome di Granges. Félix apre.

L’appartamento ha due stanze, spaziose, e una cucina. Passiamo subito in camera da letto, dove una settimana fa Natasha ha scopato con Granges. Mi dico che è davvero una coincidenza notevole: conosco Félix Hermine ed entro nell’appartamento di Raymond Granges, i due che sto per mandare in galera, i mosconi che saranno pappati dal ragno in un solo boccone.

Un boccone davvero gustoso, questo che mi sorride e si sta spogliando davanti a me. Sto per scopare con uno dei più bei maschi che abbia mai incontrato in vita mia. Capisco perché la duchessa l’ha sposato.

Incomincio a spogliarmi anch’io. Félix è nudo, davanti a me. Un fisico perfetto, in ogni dettaglio. Si volta e mette su un CD. Cazzo! Ha un culo da non crederci. Ma come si fa ad avere un culo così, a trent’anni? Non capisco proprio perché la duchessa si è presa un amante.

Mi avvicino, lo bacio sul collo e gli stringo il culo con le dita, forte.

Intanto lui ha premuto il tasto Play e la musica esplode. Heavy Metal, un po’ forte per i miei gusti. Lui dice:

- Così i vicini non sentono.

Io scivolo in ginocchio dietro di lui e incomincio a mordergli il culo. Mordo con delicatezza, poi con forza, lasciando i segni. Lui mi accarezza la testa con la mano. Passo la destra davanti e gli accarezzo i coglioni e il cazzo, che si sta drizzando. Faccio scorrere la lingua lungo il solco, fino al buco. Cazzo! Che meraviglia. Un culo così me lo ricorderò finché campo. Quasi quasi invidio i compagni di galera che avranno modo di gustarselo nei prossimi anni. Lecco avidamente, spingo la lingua, premendo. Lui geme. Le mie mani ora gli stringono il culo. Cazzo! Mi spiace mandarlo in galera. Mi viene voglia di rimandare il tutto, anche se so che sarebbe una follia, per godermi altre volte questo culo. La lingua percorre di nuovo tutto il solco, si infila nel buco, poi riprendo a mordergli le natiche, mentre lui geme. È nelle mani del ragno, il povero moscone, ma non lo sa e gode mentre io mi gusto questo culo da favola.

Lui continua ad accarezzarmi la testa, le sue mani si impigliano nei miei capelli, a tratti li tirano, quando il lavorio della mia lingua fa crescere la tensione dentro di lui. Geme senza ritegno, tanto la musica copre ogni rumore.

Rimarrei così per sempre, ma il mio cazzo è ormai una lama d’acciaio e ha urgentemente bisogno di un fodero in cui infilarsi. Mi sollevo, gli mordo una spalla e lo spingo sul letto. Lui collabora. Si limita ad aprire il cassetto del comodino, dove fanno bella mostra di sé diversi preservativi. Penso che tra qualche tempo dovrà fare a meno dei preservativi, ma i cazzi di sicuro non gli mancheranno. Con un culo così, ne avrà a bizzeffe ogni notte, a meno che qualche boss del carcere non se lo prenda solo per sé. Ma rischierebbe: si potrebbe ammazzare per un culo così.

Apro la bustina, mi infilo il preservativo e mi stendo su di lui. La mia lingua ha abbondantemente lubrificato il buco, il cazzo è tanto pronto da essere decisamente impaziente. Non mi resta che premere ed entrare, con un gemito. Cazzo, che bello! Caldo, umido, accogliente. Le mie mani riprendono a stringere questo culo divino, mentre gusto le sensazioni che mi trasmette il cazzo. Mi spingo in avanti. Lui geme, di piacere. Prendo a muovermi, con molta lentezza: non voglio venire subito. Magari dopo possiamo fare il bis (farei anche il tris), ma voglio assaporare ogni secondo di questa che è la più bella scopata della mia vita. Mi muovo avanti e indietro, piano, pianissimo. Il mio cazzo affonda nella carne, trasmettendomi brividi di piacere, poi si ritrae. Lui geme senza ritegno. Che bello!

Non mi rendo conto di come accade. Vedo un braccio accanto al mio e di colpo sento il peso di un corpo sopra di me.

- Che cazzo…

Dietro la mia testa risuona una voce profonda:

- Spero che non ti spiaccia una cosa a tre. Non è gentile scopare nel letto del padrone di casa senza invitarlo.

Questa poi! Raymond Granges!

Rimango completamente spiazzato. È vero che mi sono occupato molto di questi due nelle ultime settimane e che ho deciso delle loro vite, ma non mi aspettavo una conoscenza in senso biblico, con tutti e due insieme, poi. 

Le mani di Granges sono sul mio culo, divaricano le natiche e sento che all’ingresso posteriore sta premendo una mazza alquanto voluminosa. Entra con una spinta e mi sfugge un lamento. Non è un gemito di piacere:sto porco mi ha fatto davvero male. Ce l’ha grosso e non ha preparato l’ingresso in nessun modo. È uno stronzo.

- Cazzo! Vacci piano.

Ma Raymond Granges se ne fotte di quello che dico. Incomincia a spingere vigorosamente, avanti e indietro. Mi fa male, questo figlio di puttana. Mi fotte come se volesse squartarmi con il suo cazzo, che se non è fatto d’acciaio, poco ci manca. Non mi dispiace prendermelo in culo ogni tanto, ma quando uno entra così, il dolore è troppo forte. Vorrei che uscisse, che mi permettesse di tirare il fiato. Poi magari me lo riprenderei anche in culo, un cazzo così voluminoso non si trova tutti i giorni. Ma adesso queste spinte fanno solo esplodere il dolore. Cazzo! 

Devo fare buon viso a cattivo gioco: anche se lo volessi, non ho molte possibilità di sottrarmi all’impalamento; non riuscirei a scrollarmi di dosso questo fottuto Ercole. Ma il dolore è forte, per cui gli ripeto:

- Merda! Non puoi andarci un po’ più piano?!

Lui continua a spingere con la stessa energia, scavandomi il culo. Non gli importa niente di me. Non so se si è incazzato perché scopavamo a casa sua, ma le chiavi a Félix Hermine deve averle date lui. E allora? Oppure scopa sempre così? Certo che quelli che scopa devono avere male al culo un giorno sì e l’altro pure.

E di colpo mi passa per la testa un’idea: Félix Hermine è gay (o almeno non disdegna di prenderselo in culo ogni tanto), Raymond Granges pure (o almeno non gli spiace fottere un bel culo – il mio non è bello come quello di Félix, ma non è da buttare), non sarà che Félix fa da esca per i maschi che poi Granges si scopa? E non sarà che questi due sono amanti?

Il mio cazzo si è un po’ sgonfiato, perché il male al culo è troppo forte. Risolleverà la testa dopo, quando questo toro avrà finito.

Ma lui sembra non voler concludere mai. Ha un’energia da vulcano in eruzione. Non ce la faccio più a reggere. Félix Hermine muove un po’ il culo e, nonostante il dolore, sento di nuovo l’eccitazione crescere. Raymond Granges continua a spingere come se a muoverlo fosse una sega a motore, senza mai rallentare.

Finalmente viene, con un suono strozzato, e sento il suo cazzo riprendere dimensioni più umane. Se non fosse stato così stronzo, sarebbe stata una grande scopata.

- Adesso puoi andare.

Ma che cazzo?! Prima mi fotte senza neanche chiedermelo, poi mi liquida come se fossi una puttana di second’ordine. E fa pure di peggio: si stacca da me e mi prende per le spalle, forzandomi ad alzarmi.

- Ma

- Fuori dai coglioni, muoviti. O devo buttarti sul pianerottolo nudo e poi gettare i tuoi vestiti in strada?

Sarebbe capace di farlo, questo stronzo! 

Mi rivesto e me ne vado, senza salutare. Sono incazzato nero. Che serata di merda! Avevo a disposizione il più bel fondoschiena che abbia mai visto e ne ho ricavato solo un male bestiale al culo. Mi consolo dicendomi che questi due la pagheranno cara: presto avranno modo di conoscere le prigioni francesi e non credo che si divertiranno molto.

 

*

 

Oggi è una grande giornata. Una lettera anonima, alquanto convincente (posso assicurarlo: l’ho scritta io) ha rimesso in moto le indagini: qualcuno sostiene di aver visto Granges spingere la duchessa nel dirupo e fornisce diversi elementi interessanti. Di solito la polizia non dà credito alle lettere anonime, ma quando contengono i dettagli giusti, non le ignora completamente.

Jamal, che ho mandato a sorvegliare Granges, mi ha detto che la polizia è stata da lui. Perfetto.

In serata al telegiornale viene data la notizia che sono state riaperte le indagini sulla morte della duchessa di Hauteclaire. La polizia ha nuovamente interrogato il marito e l’uomo “che era spesso al suo fianco nell’ultimo periodo”: un bel giro di parole per indicare l’amante della riccona.

 

Passano tre giorni, in cui i quotidiani riprendono il caso, aggiungendo aria fritta (altro non hanno), ma insinuando sospetti, soprattutto su Granges (l’unico che avrebbe potuto spingere nel precipizio la ricca troia) e sul marito (l’unico che aveva interesse a vederla morta).

Rientro a casa dall’ufficio sorridente, ma il sorriso svanisce quando vedo i due uomini che mi aspettano davanti al portone. Quei due non mi piacciono per niente: io i piedipiatti li riconosco subito. Che cazzo vogliono, questi due che mi aspettano? Perché aspettano me, su questo non ho dubbi, anche se nel palazzo vivono diverse famiglie.

E infatti:

- Hervé Mastay?

Annuisco.

- È pregato di seguirci in commissariato.

- In commissariato? E perché mai?

L’agente sorride, ma non è un sorriso cordiale.

- Le domande le facciamo noi.

 

L’ispettore non sembra molto ben disposto. Ma che cazzo vuole? Mi informa dei miei diritti, mi dice che posso procurarmi un avvocato. Ma che cazzo significa? Incomincio a sentirmi a disagio. Poi, dopo aver menato il can per l’aia il tempo giusto per innervosirmi, mi chiede:

- Perché è entrato nella villa di Laure de Hauteclaire a Mentone spacciandosi per ispettore di polizia?

Cazzo! Incomincio a sudare. Negare sarebbe assurdo: in un confronto quel coglione del custode mi riconoscerebbe subito.

- Per indagare sulla morte della duchessa.

- Per conto di chi?

- Non posso rivelarlo.

L’ispettore ghigna.

- Io credo che le convenga dirmelo. Risparmiamo tempo tutti e due. Tanto lo so già e in ogni caso i miei uomini stanno perquisendo il suo studio e la sua casa.

- Cosa?! Lei non può…

- Io posso: ho regolare mandato.

Un mandato? Cazzo! La cosa si mette peggio del previsto. Ma come è possibile? Come ha potuto ottenere un mandato? Certo non per la mia visita a Mentone. E allora? A questo punto devo dire la verità: non ho alternative.

- Mi ha inviato il fratello della duchessa. Anche lui è convinto che non sia stato un incidente, come è stato concluso, un po’ frettolosamente.

Piccola stoccata, tanto per dire a questo stronzo che la polizia ha sbagliato clamorosamente.

- Frettolosamente. Ha ragione. Anche lei pensa che sia stato un delitto, vero?

- Credo proprio di sì, ispettore.

- Ha un alibi per il giorno del delitto?

- Un alibi? Io? Ma che cosa c’entro?

L’ispettore sorride. Non mi piace il modo in cui sorride.

- Direi che c’entra, se ha continuato a occuparsi della faccenda anche dopo, no?

- Non sapevo neanche che esistesse, la duchessa, prima della sua morte.

- Ma, guarda caso, si trovava da quelle parti proprio il giorno in cui è stata uccisa, perché è stata uccisa, no?

- E che ne so, io?!

- Poco fa mi sembrava molto sicuro che fosse stata uccisa.

- Lo credo anch’io, ma non ho le prove.

- E allora le prove le abbiamo fabbricate, no? Con l’aiuto della seducente sedicente Natasha.

Cazzo! Cazzo! Cazzo! Mi manca l’aria. Non è possibile che sappia anche questo, non è possibile. Come cazzo fa ‘sto stronzo, che si diverte pure con i giochi di parole, a essere così ben informato? L’ispettore prosegue:

- So molte cose di lei, Mastay, come può vedere. E le conviene dirmi la verità. Perché è andato nella villa della duchessa?

- Gliel’ho detto: per indagare sulla sua morte.

- O per cercare questo?

L’ispettore apre un cassetto e tira fuori la mia agenda telefonica.

- Dove… come…

- Lungo il sentiero che scende dalla strada verso la scogliera, dove ha spinto nel vuoto Laure de Hauteclaire.

- Io non ho spinto nessuno!

La voce mi è uscita stridula. Lui si limita a sorridere. Aggiungo, cercando di calmarmi:

- Non ho perso l’agenda il giorno in cui la duchessa è morta.

È vero, mi è scomparsa pochi giorni fa… Cazzo! Ora capisco: me l’ha presa Granges a casa sua. Non me la sono più ritrovata il giorno dopo!

- No? Quella volta sei stato attento a non perdere niente? L’hai persa la volta dopo, quando sei tornato a mettere la camicia che Natasha aveva sottratto a Granges? Tu sei tornato tre volte in quel fottuto posto.

Mi sta dando del tu. So che cosa significa. E non mi piace.

- No, solo due.

- Una per ammazzare la duchessa, una per indagare su com’era vestito Granges, una per portare la camicia. Magari di aver perso l’agenda non ti sei nemmeno accorto.

- Non l’ho ammazzata io!

- L’hai ammazzata per conto del fratello, per poi far ricadere la colpa sul marito e sul suo amico.

- No, non è vero!

Tutto mi sarei aspettato, ma non di essere accusato di aver ucciso la duchessa.

Proprio ora arriva la telefonata. L’ispettore sorride e annuisce. Riattacca e mi guarda. Conosco benissimo il senso di quello sguardo: in qualche modo sono fottuto. Ma che cazzo…

La risposta arriva subito, sotto forma di domanda:

- Qual è l’origine dei duecentomila euro che tieni a casa tua e che non hai depositato in banca?

- Cosa?

- Non fare lo gnorri, stronzo! Sappiamo benissimo che è il pagamento per l’omicidio.

Non ci sono duecentomila euro a casa mia. Quando mai ho visto una cifra del genere? Ma se l’ispettore me lo dice è perché li hanno trovati davvero.

 

*

 

Mentre mi dirigo alle docce ripenso ancora a tutta questa fottuta storia. Il moscone è davvero finito nella tela del ragno, come avevo previsto. Peccato che il moscone fossi io.

Ci ho messo un po’ a collegare e capire. Pezzo per pezzo ho ricostruito tutto quello che è successo.

Granges è stato un mio collega: questo l’ho scoperto al processo, l’ha detto lui stesso per spiegare come ha fatto a capire che c’era qualche cosa che non andava. Quel figlio di puttana si è rivolto alla polizia per segnalare le cose strane che stavano succedendo.

Quello che al processo non ha detto è che ha deciso di rendermi pan per focaccia. Quella volta che l’altro stronzo, il vedovo, mi ha agganciato al Quetzal Bar, l’ha fatto perché mentre scopavamo Granges potesse fottermi l’agenda. Granges l’ha poi lasciata lungo il sentiero e ha messo a casa mia i soldi, per far credere che quel fottuto duca mi aveva pagato.

Natasha ha ottenuto la protezione della polizia in cambio della sua collaborazione. Dopo tutto quel che ho fatto per lei, quella stronza mi ha ficcato nella merda fino al collo, dicendo che l’avevo mandata io da Granges e che le avevo detto di prendere una delle sue camicie. Anche Jamal ha collaborato con la polizia: sua madre ha misteriosamente ottenuto un permesso di soggiorno (tra i soldi di Hermine e i contatti di Granges non deve essere stato difficile) e lui ha testimoniato contro di me, dicendo anche che lo costringevo ad avere rapporti sessuali. I giornali mi hanno additato al pubblico disprezzo come un mostro pedofilo.

Che io volessi incastrare Granges e Hermine, non potevo negarlo. Solo che l’ispettore si era convinto che avessi anche ammazzato la troia, per poi montare tutta la messinscena, su ordine del fratello.

Altre cose sono saltate fuori, un po’ per volta. La polizia non ha mai davvero creduto all’incidente: Laure de Hauteclaire aveva graffiato qualcuno prima di precipitare e c’erano ancora frammenti di pelle e un po’ di sangue sotto due delle sue unghie. La polizia aveva fatto perfino il controllo del DNA al marito, nonostante l’alibi, e a Granges. Ai giornali avevano detto di aver chiuso il caso come suicidio o incidente per evitare di averli troppo addosso: la morte della nobildonna era un boccone troppo ghiotto e rischiavano di avere i giornalisti tra i piedi ogni secondo. Ma cercavano un assassino.

Non avevano pensato di fare l’esame del DNA al fratello, ma dopo che mi hanno arrestato l’hanno fatto a me e a lui. E così hanno scoperto che quel figlio di puttana aveva ammazzato la sorella. Non credo che sia stato un omicidio premeditato: secondo me le ha dato un appuntamento, fuori dalla villa perché non voleva incontrare il marito; devono aver litigato e lui l’ha spinta. A quel punto ha deciso di far “scoprire” l’omicidio, cambiando il colpevole. Se quel coglione me l’avesse detto, avrei lavorato in modo diverso.

Il duca si è convinto che è stato scoperto per colpa mia, perché sono un incapace: me l’ha anche detto nel confronto. Si è vendicato alla grande: prima di impiccarsi in carcere, ha lasciato una lettera in cui confessava il delitto e rivelava che ero stato suo complice.

A questo punto non avevo più nessuna possibilità di cavarmela.

 

Nello spogliatoio mi libero dei vestiti. Vorrei tornare nella mia cella, ma mi hanno detto di farmi la doccia e so che devo farlo: non posso oppormi, ci ho provato una volta e ne porto ancora i segni.

Entro nel locale delle docce. Sono in otto. Cazzo!

Mi fanno mettere a quattro zampe. Obbedisco. La prima volta ho opposto resistenza, ma non ha senso farsi pestare a sangue. So che prima o poi mi beccherò l’AIDS, ma probabilmente è l’unico modo per uscire di qui: in una cassa, con i piedi in avanti.

Il primo è Charles, detto Pelo, il boss. Mi sputa sul buco del culo e poi mi infilza. Gemo. Fa un male cane, come sempre: la prima volta qui dentro mi hanno provocato diverse lacerazioni e quando mi inculano, sanguino sempre. Intanto Roland mi si mette davanti. Apro la bocca. Lui ci infila il cazzo e incomincia a fottermi in bocca. Non è necessario che io faccia niente: ci pensa lui, spingendo fino in fondo, tanto che faccio fatica a respirare. Ogni tanto mi lascia tirare il fiato. Lui viene in fretta e lascia il posto ad Alì, che invece ama farselo succhiare. Ormai conosco i loro gusti, così almeno li assecondo ed evito pugni e sberle. Charles infine mi viene in culo e poi, non appena Alì ha finito, se lo fa pulire. Intanto il suo posto è preso da Steve, il giamaicano, e quando entra non riesco a trattenere un urlo: ha un cazzo da cavallo. Con questa storia che sono un pedofilo assassino, sono diventato la puttana del carcere. I secondini fingono di non vedere, quei figli di puttana.

Penso che Granges e Hermine staranno scopando tranquillamente a casa loro. Tra l’altro quel coglione del duca mi aveva mentito: Granges non era l’amante della duchessa, ma del marito. Ma lui questo non lo sapeva: io l’ho capito mettendo insieme i diversi elementi. Ora si godono i soldi della troia ed io mi faccio fottere in culo e in bocca. Non c’è davvero giustizia.

 

2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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