La tela del ragno Faccio
accomodare il cliente. È un uomo sui cinquanta, con abiti firmati e scarpe di
gran lusso. Ottimo: è il tipo di cliente che preferisco, quello che ha i soldi
e paga. Ho sempre ammirato Sherlock Holmes, ma l’eroico investigatore che
indaga per amore della giustizia, disponibile anche a non farsi pagare, vive
soltanto nei libri: i personaggi di carta non hanno bisogno di mangiare, io
sì. E se magari posso mangiare in un buon ristorante invece che in una
bettola, ancora meglio. Preferisco l’aragosta alla
zuppa di cipolle e un appartamento a Nizza nei mesi estivi, quando Parigi è
invivibile, è meglio di una soffitta nella banlieu, dove gli arabi sono più numerosi dei pidocchi. Il
tizio si presenta come il duca René de Hauteclaire. Anche se cerco di
selezionare la clientela, credo che sia la prima volta che ho a che fare con
un duca. - Mi
dica. - I
signori Blanchard di Nizza mi hanno detto che lei è molto bravo
a risolvere i casi. Ho
presente la faccenda dei Blanchard. Quella volta in effetti
ho risolto brillantemente il caso e se hanno ottenuto l’eredità della madre
di lei, nonostante il testamento, è senza dubbio merito mio, più che del loro
avvocato. Abitualmente non lavoro a Nizza: ci vado in vacanza. Il mio studio
è a Parigi, dove vivo da settembre a giugno. Ma trascorro due mesi in riva al
Mediterraneo e in qualche occasione ho svolto la mia attività anche in
vacanza, se i clienti sborsavano abbastanza. I Blanchard pagavano bene e
avevano buoni motivi per farlo. -
Grazie. Lui
prosegue: - Sa
far venire fuori le prove. La
frase potrebbe essere del tutto innocente, ma non lo è: mi sta dicendo che sa
benissimo che, quando occorre, le prove le fabbrico, come nel caso dei
Blanchard. Se è davvero questo che intende, ancora meglio: per questo tipo di
lavoro il cliente deve pagare parecchio. Mi
limito a un generico: -
Cerco di fare del mio meglio. Se
la sua frase voleva dire quello che ho capito, lui vi leggerà una conferma,
senza che io mi sia compromesso. L’uomo
annuisce. Poi dice: -
Voglio che indaghi sulla morte di mia sorella, Laure de Hauteclaire. Ricordo
questo nome, devo aver sentito al telegiornale qualche cosa nei giorni
scorsi: ricchissima duchessa precipita dalla scogliera della sua villa di
superlusso, in Costa Azzurra. Non ho seguito molto, non mi interessava
granché: per mia sfortuna non frequento quella società. Però ero a Nizza e
non si parlava d’altro. Il
tipo prosegue: - So
che è stata uccisa dal marito, Félix Hermine, ma la polizia ha concluso che è
stato un incidente. Rimango
spiazzato. Fabbricare le prove per far risultare che un marito è adultero
quando non gli passa neanche per la testa, è una faccenda: vorrà dire che
pagherà un po’ di più di alimenti alla moglie. Fabbricarle per incastrare uno
per omicidio, è un po’ diverso: il tipo rischia di farsi venti o trent’anni
di galera, innocente. Venendo al sodo, significa che il cliente deve sborsare
molto di più, per tacitare la mia sensibile coscienza. - Mi
racconti tutto. Se il marito è colpevole, in qualche modo lo incastreremo. Detto
in soldoni: “Se mi paghi a sufficienza, dimostreremo che è colpevole,
quand’anche fosse santa Giovanna d’Arco.” L’uomo
annuisce. -
Mia sorella si è sposata tre anni fa, con uno che ha conosciuto a Montecarlo.
Lui l’ha sposata solo per i soldi, per fare una vita comoda. Era un pezzente.
Ma mia sorella dopo un po’ si è stufata di averlo intorno e allora lui ha
deciso di ucciderla per intascare l’eredità. -
Non ci sono figli? L’unico altro erede sarebbe lei? Questo
tanto per fargli capire che so benissimo perché vuole che il marito vada in
galera: per intascare lui l’eredità. -
Sì. Non ci sono altri parenti stretti. -
Allora mi dica: come è morta sua sorella? - È precipitata
dalla scogliera nei pressi della villa, vicino a Mentone. Secondo la polizia
è un incidente, ma io sono sicuro che l’ha fatta uccidere
il marito. Mi
faccio raccontare un po’ più di dettagli. Il marito si è assentato per tutta
la giornata e ha un alibi di ferro: non l’ha di sicuro fatta volare giù lui,
anche se potrebbe aver incaricato qualcun altro. La servitù ha visto la
signora allontanarsi verso la scogliera: le piaceva molto passeggiare da
sola. Dopo una mezz’ora, un ospite della villa, tal Raymond Granges, ha
chiesto ai domestici se avevano visto la signora e, quando gli hanno
comunicato che era uscita per una passeggiata, si è diretto verso la
scogliera. Dieci minuti dopo è tornato, comunicando di aver visto il corpo di
mia sorella sfracellato sugli scogli. -
Quindi potrebbe averla uccisa quel Granges. -
Non aveva motivo per farlo: erano amanti e aveva tutto l’interesse che lei
rimanesse in vita. -
Come sa che erano amanti? - Me
lo disse lei stessa, l’ultima volta che ci siamo parlati. - Quindi,
secondo lei il marito di sua sorella l’ha fatta uccidere da qualcun altro, in
modo che sembrasse un incidente. -
Esatto: temeva che lei chiedesse il divorzio e lui si sarebbe ritrovato con
il culo a terra. Come le ho detto, era un pezzente. -
Non è una situazione semplice. Se suo cognato ha un alibi, vuole dire che ci
dev’essere un complice e bisogna trovare delle prove nei confronti di tutti e
due. -
Spetta a lei trovarle. Sì,
spetta a me trovarle, cioè fabbricarle, ma la faccenda è alquanto delicata. È
sempre difficile costruire prove fasulle a posteriori: non a caso i
tradimenti li preparo con cura in anticipo e faccio sorprendere il marito - o
la moglie - in flagrante, come un moscone che finisce nella ragnatela. Ma se
non hai preparato la tela prima, acchiappare il moscone diventa difficile.
Inoltre in un caso di omicidio tutto diventa anche molto rischioso: le
indagini sono molto più accurate e io non ci tengo a
finire in galera. Potrei
cercare di far ricadere la colpa su Granges, facendo risultare che il marito
l'ha pagato per uccidere la moglie: è l'unico che potrebbe
in effetti averla spinta dalla scogliera e uccisa. Magari l'ha fatto
per davvero, perché lei voleva mollarlo. Ma come dimostrare che invece è
stato il marito a pagarlo? Qualche chat o qualche mail che risultasse inviata
prima del delitto andrebbe benissimo: Bertrand si occupa per me di queste
cose, al computer è un vero genio (e si fa pagare in proporzione, accidenti a
lui). Ma di fronte a un caso di omicidio i controlli sarebbero accurati e
potrebbero scoprire che si tratta di un falso. Scuoto
la testa. Non sono convinto, per niente. Rischio di perdere un sacco di tempo
senza cavare un ragno dal buco. Il
tipo prosegue: -
Mille euro a settimana, più le spese, quelle reali. Cinquecentomila euro se
mio cognato viene condannato per l'omicidio. Sono
io che dico le mie tariffe, non sono i clienti a propormele. Inoltre mille
euro a settimana più le spese sono decisamente pochi,
assai meno di quanto prendo abitualmente con clienti di questo tipo
(purtroppo ci sono anche i periodi di magra, in cui devo accontentarmi di
altri clienti, che non hanno grandi mezzi). La faccenda delle spese “reali”
indica una mancanza di fiducia nei miei confronti che sinceramente trovo alquanto offensiva. Potrei mandarlo a fare in culo,
ma cinquecentomila euro sono una sberla. Forse vale la pena di studiare
meglio la situazione. Una bella rete si può costruire anche dopo,
l’importante è che il moscone ci finisca dentro. - Va
bene, ma me lo mette nero su bianco. -
D’accordo. Mentre
la segretaria prepara l’occorrente, raccolgo ancora qualche informazione. - In
che modo sua sorella ha conosciuto il signor Granges? - È
un amico del marito. Lo hanno invitato più di una volta alle ville: in
Toscana, a Saint-Moritz, in Costa Azzurra; è stato da loro anche
nell’appartamento a New York. Insomma, era diventato un ospite quasi fisso. Se
questo tizio conta di mettere le mani su una villa in Toscana, una a
Saint-Moritz, una in Costa Azzurra e un appartamento a New York, direi che
cinquecentomila euro sono fin pochi. Intanto il tipo prosegue: -
Lui ha fatto la corte a mia sorella e l’ha conquistata. Con un marito come
quello, di certo lei non poteva essere soddisfatta. Il
fatto che il Granges sia amico del marito è uno dei pochi elementi positivi
in questa faccenda. Più facile inventare una complicità, anche se un amico
che ti mette le corna non è precisamente il massimo. Ma il mondo è pieno di
individui spregevoli, privi di principi morali. - Dove
si trovano adesso suo cognato e Granges? -
Mio cognato è qui a Parigi, nell’appartamento di Place des Vosges. Granges
non so. Credo che abiti anche lui a Parigi, ma non
so se adesso è qui. L’ho visto poche volte, quando andavo da mia sorella, ma
dopo il matrimonio non capitava spesso: il marito non lo sopportavo. Dopo
avermi fornito ancora qualche dettaglio e aver firmato il contratto, René de
Hauteclaire se ne va e io rimango a pensare. Cerco
di elaborare una strategia. Un primo passo sarebbe riuscire a inviare qualche
mail dall’indirizzo di posta elettronica del marito, a quel Granges. Qualche
mail in cui si possa cogliere un riferimento a un accordo rispettato, a un
conto che verrà regolato in futuro. La polizia potrebbe pensare che il marito
è tanto coglione da ritenersi al sicuro perché le indagini sono state chiuse.
Lui negherebbe di averle scritte, naturalmente. Bisogna capire se il sistema
è sicuro. Devo parlare con Bertrand e vedere se attraverso indagini accurate
si può capire che una mail non proviene dall’indirizzo da cui risulta
inviata. L’alternativa
sarebbe scriverle davvero dal computer del marito, allora nessuno crederebbe
che non è stato lui. Ma mettere le mani sul computer
del novello vedovo non deve essere così facile. Oltretutto si tratta di un
milionario, a casa sua non si entra di certo tanto facilmente dalla finestra
(mi capita di farlo, d’altronde il fine giustifica i mezzi e cinquecentomila
euro sono un fine che giustifica qualunque mezzo): avrà sistemi di antifurto
alquanto sofisticati, password e quant’altro.
Provare ad allungare un po’ di denaro a qualche domestico? Rischioso, ma è
un’eventualità da non escludere. Per
entrare a casa del marito senza correre rischi avrei bisogno di conquistare
la sua fiducia, ma questa strada mi sembra la più
difficile da percorrere. E in
ogni caso dovrei disseminare anche qualche altro indizio. Di che tipo? Una
somma di denaro sul conto di questo Granges, ad esempio, ma dovrebbe essere
una grossa somma. “Spese reali”, ha detto il fratello, no? Sarebbe disposto a
tutto, pur di mettere le mani su quell’eredità. E in fondo non c’è bisogno di
una cifra molto consistente: tanto il marito non pagherebbe tutto insieme,
per non dare nell’occhio. Quindi magari ventimila euro potrebbero
bastare, sarebbe un acconto, in attesa del saldo. Il marito potrebbe averlo
inviato giustificandolo come un prestito all’amico in difficoltà. Ma anche
questo non è semplice, perché deve apparire che li ha versati il marito o
qualcuno a cui non si possa risalire: la polizia penserebbe che il marito ha pagato in modo da non apparire. Questo elemento e una
mail compromettente senza dubbio sarebbero indizi pesanti, ma da soli non
sarebbero sufficienti. La polizia è maledettamente cauta in questi casi. I
piedi ai ricchi li pesta malvolentieri. Ci
vuole qualche cosa di più diretto, che la polizia possa ritrovare da Granges
o dal marito o nella villa in Costa Azzurra. Che cosa? Ci dovrò pensare, ma
perché mi venga l’idea giusta, devo conoscere meglio la situazione. Va
bene, ho riflettuto abbastanza, è arrivato il momento di darsi da fare.
Ritrovare i giornali della settimana scorsa, girare un po’ su Internet e
raccogliere tutte le informazioni di dominio pubblico sul caso. Poi
individuare l’appartamento del marito e cercare di capire che vita fa. Infine
capire dove si trova Raymond Granges. Quando
avrò tutti gli elementi in mano, vedrò che strategie usare. Non sarà facile
costruire questa fottuta ragnatela. Félix
Hermine è un gran bell’uomo. Non mi stupisce che abbia conquistato il cuore
della duchessa. Nelle foto che lo ritraggono viene sempre benissimo: non è
solo fotogenico, è proprio bello. Sia nell’abito scuro di Armani, con
cravatta di Yves Saint-Laurent, sia in costume da bagno sulla spiaggia. Di
foto sue in Internet ce ne sono parecchie, di solito con la defunta moglie.
Devo dire che con un tipo così ci farei un pensierino volentieri anch’io, ma
devo fotterlo in un altro senso. Peccato. In galera lo fotteranno in tanti: a
vederlo in costume direi che ha un culo da sogno. Non si annoierà. Quanto a
me, cinquecentomila euro sono una buona compensazione. In fondo potrei
permettermi un migliaio di notti con i migliori escort. Di
Raymond Granges ci sono solo poche foto, successive al delitto: è lui che ha
trovato il corpo, per cui il suo viso è apparso più volte nei giorni
successivi a questo incidente che deve diventare un omicidio. Avendo visto la
sua faccia, lo riconosco anche in altre foto visibili
su Internet, in compagnia della duchessa e di Félix Hermine, il marito
cornuto e vedovo straricco. Anche lui non è niente male (d’altronde, perché
una duchessa che naviga nell’oro dovrebbe prendersi uno qualunque come
amante?), più alto del marito di almeno tre dita, spalle da atleta, viso dai
lineamenti maschi. Non ci sono foto in costume.
Peccato. A vederlo in giacca sembra promettere molto bene. Non riesco in
nessun modo a trovare il suo indirizzo di casa. Sulla
morte della duchessa non ho trovato niente di interessante. Tutti hanno
accettato per buona la versione della polizia. Dovrò costruirmi tutta la
ragnatela a partire da zero. C’è molto sulla vita della nobildonna, una vita alquanto movimentata (due divorzi, un buon numero di
amanti, tante ville) Era evidentemente un nome famoso nella società “che
conta”. Quella che conta milioni, per intenderci. Adesso
devo alzare il culo dalla sedia e muovermi. Andrò a Mentone, a vedere la
villa. Ho un’idea precisa del luogo: come sempre in queste occasioni, i
giornali pubblicano un sacco di dettagli. Ma devo vederla direttamente, per
capire come trasformare una caduta poco produttiva (almeno per me, per il
marito è un altro discorso) in un fruttuoso omicidio premeditato. Mentre
io sarò a Mentone, è bene che qualcuno mi procuri un po’ di informazioni che
mi permettano di procedere. Prendo il cellulare e seleziono il nome di Jamal.
Jamal
è un bel ragazzo, arrivato dall’Algeria due anni fa con la madre, in fuga da
non so bene che cosa. Giunto nel paradiso francese in pieno regno di Sarkozy,
non risulta in regola con i documenti e, vista la crisi e la giovane età, le
sue possibilità di trovare lavoro sono scarsissime. Io lo aiuto volentieri,
per puro buon cuore. Naturalmente lo pago poco: non voglio che si abitui ad una vita di agi, che indebolisce il carattere. Va molto
bene per i pedinamenti, perché un ragazzino non dà nell’occhio e lui ci sa
fare. Mi
risponde subito: -
Buongiorno, Hervé. - Ho
un lavoro per te, Jamal. Vieni da me. - In
ufficio? -
No, a casa. Ti aspetto tra un’ora Emette
un sospiro di rassegnazione e risponde: - Va
bene. Preferisco
che venga a casa: in ufficio il mattino c’è la segretaria. E poi il letto è
più comodo della scrivania. Se Jamal vuole che gli dia del lavoro, se lo deve
meritare: in questo mondo non ottieni niente gratuitamente. Io sono ben
disposto a fargli guadagnare qualche soldo, visto che ne ha bisogno, ma anche
lui deve mostrarsi gentile nei miei confronti. Jamal
arriva un po’ in ritardo, come al solito. -
Allora, come va, bello? - Di
merda. -
Adesso però papà Hervé ti dà un lavoro, se fai il bravo. - Per
quanto tempo? E quanto mi paghi? Jamal
pensa solo ai soldi. -
Per almeno tre o quattro giorni e ti pago bene. -
Bene quanto? -
Quaranta al giorno. -
Tutto il giorno al lavoro per quaranta? Stai scherzando? - Ma
che lavoro è, seguire uno, controllare a che ora entra ed esce di casa, in compagnia di chi, chi va a trovarlo? Un
giochetto. -
Per meno di cento non se ne parla neanche. Cazzo!
Jamal sta diventando esigente. E i cento al giorno,
anche se sono spese “reali”, non li posso mica documentare al pidocchio,
Jamal non mi rilascia la ricevuta. Mi mangerei quasi metà della prima
settimana di lavoro. -
Sessanta, non un centesimo di più. Ma se lo perdi di vista, non vedi neanche
una moneta. E adesso fai il bravo con me. Jamal
storce la bocca. -
Sei proprio tirchio, Hervé. Alzo
le spalle e mi avvicino a lui. Gli metto due mani sui fianchi, poi le infilo
sotto la maglietta e la sollevo. Mi
piace il corpo di Jamal, mi piace il suo petto
glabro, il colore un po’ scuro della pelle. Mi piace
da impazzire il suo culo da adolescente, i fianchi stretti, le natiche
snelle. Lui
lascia fare, senza opporre resistenza: sa bene che se vuole il lavoro deve
essere carino con me. Finisco
di spogliarlo e lo sollevo, nudo come un piccolo Adone. Lo porto in camera da letto e lo poso sulle lenzuola. Poi mi tolgo gli
abiti, mentre lui si stende sulla pancia e allarga bene le gambe. Io ho il
cazzo già duro, ma voglio gustarmi un po’ il suo culo con la bocca, prima di
gustarlo con il cazzo, per cui gli assesto qualche
bel morso, poi gli passo la lingua lungo il solco, più volte, indugiando sul
bel buchetto. Con le mani gli stringo le natiche, poi le mordo, prima piano,
dopo con forza. Prendo
dal cassetto un preservativo: non è che mi vada molto usarlo, ma è meglio
essere prudenti. So benissimo che Jamal dà via il culo per soldi e non
intendo beccarmi l’AIDS o quant’altro. Una volta che sono attrezzato,
avvicino la cappella al buco. Mi piace vedere il mio cazzo chiaro che si
infila tra le natiche di colore più scuro di Jamal. Mi piace vederlo forzare
l’apertura e entrare lentamente. Mi piace vederlo
affondare fino all’elsa in questo culo caldo e accogliente. Lo
fotto con lentezza, perché voglio far durare questo piacere che dal cazzo si
diffonde in tutto il corpo. È bello sentire il calore di questa guaina
stretta che avvolge il mio cazzo. È bello uscire e poi rientrare, facendo
sussultare questo corpo che stringo tra le mani. È bello spingere fino in
fondo, strappando un gemito, e poi ritrarmi lentamente. Vorrei che non
finisse mai. Solo
quando sento che la tensione diventa troppo forte, spingo con vigore, mentre
il piacere dilaga ed esplode dal mio cazzo, percorrendomi come una scarica
elettrica. Mi abbandono su di lui, soddisfatto. Dopo
un po’ Jamal si muove e lascio la mia comoda posizione. Ci alziamo dal letto
e, ancora nudi, ci sediamo al tavolo di cucina. Io
bevo un bicchiere di bianco e gli chiedo se vuole un po’ di aranciata, ma lui
non ha sete. Guardo il suo corpo snello e ancora sento il desiderio, anche se
sono venuto da pochi minuti. Poi
ci mettiamo sotto la doccia e io ne approfitto per
provocarlo ancora un po’, infilandogli un dito in culo. Lui cerca di
sottrarsi, gli sembra di aver dato già abbastanza, ma la sua ritrosia mi
stuzzica. Il cazzo mi sta tornando duro: era una settimana che non scopavo e
questo bell’adolescente mi eccita. Allora lo forzo a inginocchiarsi davanti a
me, sotto il getto della doccia, anche se lui oppone resistenza. Non gli
piace succhiare un cazzo, me l’ha detto tempo fa, ma adesso lo fa, o se lo fa, per papà Hervé lo fa! Lo costringo ad
aprire la bocca e glielo infilo dentro. Lui collabora poco, per cui devo
darmi da fare io: inizio a spingere con forza, fottendolo in bocca come prima
l’ho fottuto in culo, mentre l’acqua scende su di noi. E infine gli vengo in
gola. Lui tossisce e sputa. Io lo lascio fare. Mi
sento soddisfatto. Dopo
che ci siamo rivestiti, gli do le istruzioni e gli faccio vedere le foto.
Deve segnarsi a che ora Félix Hermine entra ed esce di
casa e fotografare con il telefonino la gente che va a trovarlo. Se esce a
piedi deve seguirlo. Anche se prende un autobus o la metropolitana, ma
considerando che Hermine nuota nell’oro, non credo proprio che si serva dei
mezzi pubblici. Se dovesse comparire Raymond Granges, deve
seguire lui e scoprire dove abita, anche a costo di prendere un taxi (però mi
porta la ricevuta della corsa). Le informazioni che mi procurerà
Jamal dovrebbero aiutarmi a farmi un quadro più preciso della situazione di
Félix Hermine e magari, con un po’ di culo, mi permetteranno anche di
scoprire dove abita Raymond Granges, mentre io sarò a Mentone. A
Monaco mi sistemo al Metropole, un albergo a cinque stelle: “spese reali”, no? Gli oltre 500 euro a notte sono reali,
quel pidocchio di René de Hauteclaire può stare sicuro. Poi prendo l’auto che
ho affittato all’aeroporto di Nizza e raggiungo la villa. Dalla strada è
appena visibile, un po’ arretrata rispetto alla scogliera, ai piedi di
un’alta parete. Da
quel che ho trovato sui giornali, il punto in cui è precipitata la duchessa
non è all’interno della recinzione della villa, ma io preferisco studiare il
percorso che ha fatto e parlare con qualcuno. Perciò suono al citofono. Alla
domanda, rispondo: -
Ispettore René Bellevue, polizia. Mi
chiamo René Bellevue esattamente come sono ispettore di polizia. Se mi
beccano, mi tolgono la licenza di investigatore e sono fottuto, ma è l’unico
modo di parlare con il personale. Il
custode è un omaccione nero. Mi guarda, diffidente, ma non mi chiede il
tesserino della polizia (comunque ho anche quello, falso come tutto il
resto). Mi muovo con la sicurezza e l’arroganza di chi è abituato a dare ordini e non ha niente da nascondere, con il giusto
disprezzo nei confronti di questi negri di merda che vengono qui a
delinquere. -
Stiamo verificando alcuni elementi che non quadrano nella ricostruzione della
morte della duchessa. L’uomo
appare perplesso. - Ma
il commissario Dambord… Lo
interrompo, brusco. - Il
commissario Dambord è stato un po’ frettoloso nell’arrivare a una conclusione
e alcuni elementi emersi ci hanno convinti che non si tratta di un incidente.
Sono stato inviato per raccogliere altre informazioni. Il
custode annuisce. Il mio tono perentorio lo mette in soggezione. -
Portami al luogo in cui è stato ritrovato il corpo. Il
tizio mi fa strada. Passiamo di fronte alla villa,
poi usciamo da un cancello sul retro e raggiungiamo il sentiero che corre
lungo la scogliera. Ho visto le ricostruzioni sui giornali e ho un’idea del
punto preciso da cui è precipitata la duchessa: è un tratto non visibile
dalla villa. Superiamo un piccolo promontorio e raggiungiamo un’insenatura.
Riconosco il posto dalle foto che ho visto. Il custode mi indica con la mano
alcune rocce appuntite alla base della parete. -
Laggiù. Sembra
rabbrividire. È un
bel salto, di quelli che non lasciano nessuna possibilità di cavarsela: oltre tutto si cade tra le rocce, non in acqua, perché il
mare è un po’ oltre. Mi guardo intorno e controllo: in
effetti di qui la villa non si vede (e viceversa). La parete incombe a
strapiombo, sopra e sotto di noi, e il punto è piuttosto nascosto. Difficile
che qualcuno possa vedere ciò che avviene. Studio con attenzione tutta
l’area. -
Questo sentiero si può prendere solo dalla villa o si raggiunge anche da
altre parti? -
Credo che si possa prendere anche più avanti. -
Credi, eh? Non sai nemmeno questo! Devo
capire come posso raggiungere questo posto senza passare dalla villa: quando
ci tornerò, nessuno deve vedermi. Questo coglione non è in grado di aiutarmi,
ma non ha importanza, lo scoprirò da solo. Adesso
che so esattamente dove è avvenuto il crimine (tale sarà in futuro, anche se
magari ieri non lo era), devo capire come incastrare
Granges. Potrei far cadere qualche cosa di suo tra quegli scogli, ad esempio:
qualche cosa che la duchessa potrebbe avergli strappato cercando di
appigliarsi a lui mentre la spingeva nell’abisso. Qualche cosa di piccolo,
come il bottone di una camicia, da far trovare lì sotto. Assicurandosi che lo
trovino. Però dev’essere un bottone che si possa ricondurre a Granges. E che
possa essere stato perso quel giorno. Non è facilissimo da realizzare. -
Com’era vestito il signor Granges quel giorno? Il
custode sembra non capire. Non si aspettava la domanda. -
Com’era vestito? -
Sì, che cosa indossava? Non capisci il francese? Hai i documenti in regola,
tu? Rimane
un attimo disorientato, poi risponde: - La
giacca blu, quella che portava spesso in casa. E una delle sue camicie
azzurre. Non so quale, ne ha parecchie. Ma hanno fatto le foto, quando ha parlato
con i giornalisti. Non si era mica cambiato…, non credo, almeno, non so… ma
perché…? Faccio
cenno alla parete sopra le nostre teste. -
C’è chi ha visto qualche cosa, non sono mica tutti ciechi come certa gente… Lascio
in sospeso la frase, mi volto e mi dirigo verso la villa, senza aggiungere
altro. Il
custode mi segue. Quando arriviamo al cancello, gli dico, perentorio: -
Non fare cenno a nessuno della mia visita. Non vogliamo che gli assassini
scoprano che siamo sulle loro tracce. -
Assassini! Allora lei pensa… -
Non penso, so. Ma non dire una parola, chiaro? Se i
nostri sospetti saranno confermati, il commissario Dambord riaprirà
l’inchiesta: vogliamo incastrare quei figli di puttana, ma non vogliamo
neanche che la polizia locale sia accusata di incapacità. Tu fai conto che
nessuno sia passato di qui, oggi. Capito? -
Sapete chi è stato a uccidere la povera contessa? Lo
guardo negli occhi, fisso. -
Certo! Annuisce.
Starà zitto, probabilmente. Adesso
che ho un quadro preciso della villa, devo vedere come raggiungere il luogo
del delitto per collocare l’indizio che serve. Non ci metto molto a trovare,
a un chilometro dalla villa, un sentiero che dall’alto scende fino a quello
da cui è precipitata la duchessa. È un sentiero da capre, ma va bene. Adesso
devo solo capire qual è l’indizio adatto da seminare. Mi
farò ancora una notte al Metropole: si dorme d’incanto e si mangia benissimo.
Tanto il conto spese lo paga il pidocchio. A
Parigi Jamal ha fatto un buon lavoro: ha controllato i movimenti di Félix Hermine
e così ha avuto modo di vedere anche Granges. Jamal l’ha seguito e adesso ho
l’indirizzo di Granges, che non abita molto lontano da Hermine. Però il
marito della duchessa sta in una delle piazze più prestigiose di Parigi e
Granges in via Michel Le Comte, abbastanza centrale, ma non particolarmente
lussuosa. Jamal mi dice che i due si sono visti due volte. Se
la casa di Granges non ha un antifurto, posso procurarmi un bottone di una
camicia azzurra, magari con un brandello di stoffa, da far cadere tra gli
scogli. E poi nascondere la camicia da qualche parte vicino alla villa, in
modo che la polizia possa ritrovarla. Dev’essere una camicia che lui ha
usato, che non è stata lavata. Così la polizia crederebbe che lui se l’è tolta, perché la duchessa aggrappandosi a lui ha
strappato un bottone, e che l’ha nascosta per evitare di destare sospetti. Ma
entrare come un ladro in casa altrui presenta sempre diversi rischi: se mi
beccano perdo la licenza, per cui è meglio che mandi in avanscoperta qualcun
altro. È senz’altro preferibile sguinzagliare la mia arma segreta: 90-60-90. Sono le misure, ovviamente, quelle di Natasha,
che si chiama Natasha come io mi chiamo Arsenio
Lupin, ma viene da qualche posto della Russia, dove ha lasciato la verginità
e diverse persone che sarebbero felici di ritrovarla per farle la pelle (dopo
averle fatto qualche altro servizio: una come Natasha sarebbe un peccato
ucciderla senza averla provata da davanti e da dietro, fica, culo e bocca;
non ne ho fatto esperienza diretta, ma, anche se preferisco quelli con il
batacchio tra le gambe, non sono mica cieco). Natasha è la chiave giusta per
aprire le serrature dei giovani maschi e Granges ha trentacinque anni, pochi
in più del marito della duchessa (la nobildonna invece ne aveva quarantacinque).
Escludo che Granges possa rimanere insensibile alle grazie di Natasha: se
scopava con la duchessa, che nonostante la chirurgia estetica non era
propriamente Venere, Natasha di certo glielo fa drizzare appena la vede. Natasha
è in gamba e sa come portarsi a letto un uomo. Mi servo spesso di lei. So
alcune cose del suo passato e soprattutto so come contattare qualcuno che
avrebbe molto piacere di scoprire dove si trova ora la bella Natasha. Questo
mi aiuta a contenere i prezzi delle prestazioni di Natasha. Dopo
aver risolto la faccenda della camicia, passerò al resto. Per il momento la
camicia è la cosa più urgente: deve rimanere qualche giorno nel posto dove la
nasconderò, come pure il bottone con il frammento di stoffa, altrimenti potrebbero scoprire che l’indizio è fasullo. Manderò
Natasha all’attacco di Granges, con il compito di portarselo a letto e di
rubargli una camicia sporca, azzurra. Questo non dovrebbe essere difficile:
porta quasi sempre camicie azzurre, a giudicare dalle foto e da quanto mi ha
riferito Jamal. Telefono
a Natasha. - Ho
un lavoro per te, bella. -
Con la solita paga di merda, Hervé? Anche
lei pensa subito al denaro: è proprio vero che la gente ha
in testa solo i soldi! - Pensavo
che lavorare per me fosse un tale piacere per te… - Ma
certo, Hervé, come no? Dimmi che cosa devo fare. Natasha
mi porta la camicia due sere dopo: su di lei si può sempre contare. Io uso i
guanti per strappare un bottone con un lembo di stoffa. Non è facilissimo:
Granges usa camicie di marca e la stoffa non cede facilmente. Ma una donna
disperata, che si sente spingere nell’abisso dall’amante, si aggrappa a tutto
quello che può. Anche il ragno si aggrappa a quello che può per costruire la
sua tela. Questa
volta a Mentone vado in auto, senza fermarmi in albergo in zona: nessuno deve
essere in grado di ricostruire i miei movimenti. Quando sta diventando buio,
raggiungo la scogliera e faccio cadere il bottone con il lembo di camicia ai
piedi della scarpata: se faranno ricerche, lo troveranno, perché lì il mare
non arriva. Poi mi avvicino alla villa e nascondo la camicia tra alcune
rocce, in modo che non sia visibile. Torno
a Parigi il giorno dopo, stanco, ma soddisfatto. Il
piano procede. Adesso mi servono le doti informatiche di Bertrand. Lui
purtroppo si fa pagare, pure caro. La gente oggi è
così meschina e interessata! Lo
contatto e ci vediamo in un caffè del Quartiere Latino. Bertrand mi dice che
può spedire la mail da un internet point vicino a Place
des Vosges, dove abita Hermine, fingendosi un turista. Spesso ai turisti non
chiedono i documenti, per cui non dovrebbe esserci nessun problema. Sa come
scoprire la password che usa Hermine per la posta elettronica. Come riesca a
farlo, non so, ma non mi stupisce: lo conosco bene. Come
far arrivare a Granges ventimila euro (che mi dovrà dare il pidocchio), lo
so. Risulteranno un versamento fatto da qualcuno con un’identità falsa. Riepilogando:
la camicia strappata (di Granges) nascosta da qualche parte nell’area intorno
alla villa; il bottone con il lembo della camicia alla base della scogliera;
ventimila euro sul conto di Granges; una mail di Hermine che dice a Granges
che provvederà quanto prima a saldare. E la testimonianza del pidocchio, che
dirà che la sorella voleva lasciare il marito. Altre cose salteranno fuori
non appena si incomincerà a parlarne: degli screzi tra i due consorti di
sicuro sono informate tante persone. Il tutto è abbastanza? Deve esserlo. La
mail e il versamento saranno fatti tra una settimana: tempo che la camicia e
il frammento a Mentone “invecchino” a sufficienza. * La
settimana passa in fretta e adesso siamo a posto. La ragnatela è pronta: i ventimila euro sul conto di Granges sono stati inviati
ieri; la mail dall’indirizzo di Hermine, oggi. Mi
manca solo l’ultimo passo: domani farò in modo che la polizia riprenda le
indagini sul delitto, prima che magari Granges, controllando sul suo conto,
scopra la cifra anomala. Il moscone vola ancora libero, ma le sue ore sono
contate. E cinquecentomila euro stanno per entrare nelle mie tasche. Questa
sera per festeggiare vado al Quetzal Bar, a caccia di prede. È un posto che
non mi dispiace. Appena
entro do un’occhiata in giro, ma non vedo niente di interessante. Mi prendo
il mio bicchiere di porto e dal mio posto al banco tengo d’occhio la porta,
per vedere se entra qualcuno che valga la pena di abbordare. E di
colpo, chi ti vedo? Félix Hermine! Cazzo! Cazzo! Hermine fa parte della
confraternita? Un piede in due scarpe, la ricca duchessa e qualche avventura
occasionale con gli uomini? O magari di preferenza uomini e una moglie come
libretto degli assegni? Vale
la pena di cercare di contattarlo? Magari per fabbricare all’ultimo momento
qualche altro indizio? Non direi, non credo molto nell’improvvisazione, anche
se forse a casa sua potrei dare l’ultimo tocco alla ragnatela, per renderla a
prova di moscone. Mentre ci penso, seguo con lo sguardo Hermine e lui si
accorge che lo sto fissando. Abbozza un mezzo sorriso e si avvicina. Cazzo! Il
moscone sta dirigendosi dritto dritto verso il
ragno. Prima di farlo finire in galera a vita, se non altro mi gusto il suo
culo, che dev’essere di prima classe. Félix
si siede al banco, di fianco a me, e ordina da bere. Io gli sorrido e gli
dico: -
Non ti ho mai visto da queste parti. Lui
ricambia il sorriso e dice: -
Non vengo spesso, ma questa sera… avevo appetito. Rido. -
Anch’io sono affamato. - Se
sei già al livello di fame, è meglio non farti aspettare troppo. Andiamo da
me? Mai visto
un moscone fare la corte al ragno in questo modo. Sorrido
e dico: - Va
benissimo. Se aspetto ancora un po’, potrei mordere chi mi capita a tiro… Paga
la sua consumazione (un gin di cui ha appena bevuto un sorso, ma lui non ha
problemi di soldi) e usciamo. Mi accorgo subito che non ci dirigiamo verso
Place des Vosges. Probabilmente Hermine usa un pied-à-terre
per le sue avventure. Di certo quando la moglie era a casa, non ci poteva
portare uomini (o donne). E poi far entrare uno sconosciuto in un appartamento
di superlusso presenta sempre qualche rischio. Raggiungiamo
via Michel Le Comte. Ci metto un attimo a connettere. Ma certo! Raymond
Granges abita in questa via. Ci
fermiamo davanti a una vecchia casa a due piani, più le mansarde. Guardo il
citofono di fianco al portone verde e vedo il nome di Granges. Faccio il
finto ingenuo e chiedo: -
Abiti qui? -
No, è un amico che mi presta il suo appartamento quando ne ho bisogno. Intanto
entriamo. Io proseguo il suo discorso. -
…per qualche scappatella. Eri sposato, vero? -
Come lo sai? -
Dal segno della fede al dito. Divorziato? -
No, vedovo. Mi
impongo una faccia di circostanza, anche se non ho visto un’espressione di
sofferenza sul suo viso. -
Scusa, non sapevo… Félix
alza le spalle. Intanto siamo arrivati al secondo piano. Anche sul campanello
c’è il nome di Granges. Félix apre. L’appartamento
ha due stanze, spaziose, e una cucina. Passiamo subito in camera
da letto, dove una settimana fa Natasha ha scopato con Granges. Mi
dico che è davvero una coincidenza notevole: conosco Félix Hermine ed entro
nell’appartamento di Raymond Granges, i due che sto per mandare in galera, i
mosconi che saranno pappati dal ragno in un solo boccone. Un
boccone davvero gustoso, questo che mi sorride e si sta spogliando davanti a
me. Sto per scopare con uno dei più bei maschi che abbia mai incontrato in
vita mia. Capisco perché la duchessa l’ha sposato. Incomincio
a spogliarmi anch’io. Félix è nudo, davanti a me. Un fisico perfetto, in ogni
dettaglio. Si volta e mette su un CD. Cazzo! Ha un culo da non crederci. Ma
come si fa ad avere un culo così, a trent’anni? Non capisco proprio perché la
duchessa si è presa un amante. Mi
avvicino, lo bacio sul collo e gli stringo il culo con le dita, forte. Intanto
lui ha premuto il tasto Play e la musica esplode. Heavy Metal, un po’ forte
per i miei gusti. Lui dice: -
Così i vicini non sentono. Io
scivolo in ginocchio dietro di lui e incomincio a mordergli il culo. Mordo
con delicatezza, poi con forza, lasciando i segni. Lui mi accarezza la testa
con la mano. Passo la destra davanti e gli accarezzo i coglioni e il cazzo,
che si sta drizzando. Faccio scorrere la lingua
lungo il solco, fino al buco. Cazzo! Che meraviglia. Un culo così me lo
ricorderò finché campo. Quasi quasi invidio i compagni di galera che avranno
modo di gustarselo nei prossimi anni. Lecco avidamente, spingo la lingua,
premendo. Lui geme. Le mie mani ora gli stringono il culo. Cazzo! Mi spiace
mandarlo in galera. Mi viene voglia di rimandare il tutto, anche se so che
sarebbe una follia, per godermi altre volte questo culo. La lingua percorre
di nuovo tutto il solco, si infila nel buco, poi riprendo a mordergli le
natiche, mentre lui geme. È nelle mani del ragno, il povero moscone, ma non
lo sa e gode mentre io mi gusto questo culo da favola. Lui
continua ad accarezzarmi la testa, le sue mani si impigliano nei miei
capelli, a tratti li tirano, quando il lavorio della mia lingua fa crescere
la tensione dentro di lui. Geme senza ritegno, tanto la musica copre ogni
rumore. Rimarrei
così per sempre, ma il mio cazzo è ormai una lama d’acciaio e ha urgentemente
bisogno di un fodero in cui infilarsi. Mi sollevo, gli mordo una spalla e lo
spingo sul letto. Lui collabora. Si limita ad aprire il cassetto del
comodino, dove fanno bella mostra di sé diversi preservativi. Penso che tra
qualche tempo dovrà fare a meno dei preservativi, ma i cazzi di sicuro non
gli mancheranno. Con un culo così, ne avrà a bizzeffe ogni notte, a meno che
qualche boss del carcere non se lo prenda solo per sé. Ma rischierebbe: si
potrebbe ammazzare per un culo così. Apro
la bustina, mi infilo il preservativo e mi stendo su di lui. La mia lingua ha
abbondantemente lubrificato il buco, il cazzo è tanto pronto da essere
decisamente impaziente. Non mi resta che premere ed entrare, con un gemito.
Cazzo, che bello! Caldo, umido, accogliente. Le mie mani riprendono a
stringere questo culo divino, mentre gusto le sensazioni che mi trasmette il cazzo. Mi spingo in avanti. Lui geme, di
piacere. Prendo a muovermi, con molta lentezza: non voglio venire subito.
Magari dopo possiamo fare il bis (farei anche il
tris), ma voglio assaporare ogni secondo di questa che è la più bella scopata
della mia vita. Mi muovo avanti e indietro, piano, pianissimo. Il mio cazzo
affonda nella carne, trasmettendomi brividi di piacere, poi si ritrae. Lui
geme senza ritegno. Che bello! Non
mi rendo conto di come accade. Vedo un braccio accanto al mio e di colpo
sento il peso di un corpo sopra di me. -
Che cazzo… Dietro
la mia testa risuona una voce profonda: -
Spero che non ti spiaccia una cosa a tre. Non è gentile scopare nel letto del
padrone di casa senza invitarlo. Questa
poi! Raymond Granges! Rimango
completamente spiazzato. È vero che mi sono occupato molto di questi due
nelle ultime settimane e che ho deciso delle loro vite, ma non mi aspettavo
una conoscenza in senso biblico, con tutti e due insieme,
poi. Le
mani di Granges sono sul mio culo, divaricano le natiche e sento che
all’ingresso posteriore sta premendo una mazza alquanto voluminosa. Entra con
una spinta e mi sfugge un lamento. Non è un gemito
di piacere: ‘sto porco mi ha fatto davvero male. Ce l’ha grosso e non ha preparato l’ingresso in nessun
modo. È uno stronzo. -
Cazzo! Vacci piano. Ma
Raymond Granges se ne fotte di quello che dico. Incomincia a spingere
vigorosamente, avanti e indietro. Mi fa male, questo
figlio di puttana. Mi fotte come se volesse squartarmi con il suo cazzo, che
se non è fatto d’acciaio, poco ci manca. Non mi dispiace prendermelo in culo
ogni tanto, ma quando uno entra così, il dolore è troppo forte. Vorrei che
uscisse, che mi permettesse di tirare il fiato. Poi magari me lo riprenderei
anche in culo, un cazzo così voluminoso non si trova tutti i giorni. Ma
adesso queste spinte fanno solo esplodere il dolore. Cazzo! Devo
fare buon viso a cattivo gioco: anche se lo volessi, non ho molte possibilità
di sottrarmi all’impalamento; non riuscirei a scrollarmi di dosso questo
fottuto Ercole. Ma il dolore è forte, per cui gli ripeto: -
Merda! Non puoi andarci un po’ più piano?! Lui
continua a spingere con la stessa energia, scavandomi il culo. Non gli
importa niente di me. Non so se si è incazzato perché scopavamo a casa sua,
ma le chiavi a Félix Hermine deve averle date lui. E
allora? Oppure scopa sempre così? Certo che quelli che scopa devono avere male al culo un giorno sì e l’altro pure. E di
colpo mi passa per la testa un’idea: Félix Hermine è gay
(o almeno non disdegna di prenderselo in culo ogni tanto), Raymond Granges
pure (o almeno non gli spiace fottere un bel culo – il mio non è bello come
quello di Félix, ma non è da buttare), non sarà che Félix fa da esca per i
maschi che poi Granges si scopa? E non sarà che questi due sono amanti? Il
mio cazzo si è un po’ sgonfiato, perché il male al culo è troppo forte.
Risolleverà la testa dopo, quando questo toro avrà finito. Ma
lui sembra non voler concludere mai. Ha un’energia da vulcano in eruzione.
Non ce la faccio più a reggere. Félix Hermine muove un po’ il culo e,
nonostante il dolore, sento di nuovo l’eccitazione crescere. Raymond Granges
continua a spingere come se a muoverlo fosse una sega a motore, senza mai
rallentare. Finalmente
viene, con un suono strozzato, e sento il suo cazzo riprendere dimensioni più
umane. Se non fosse stato così stronzo, sarebbe stata una grande scopata. -
Adesso puoi andare. Ma
che cazzo?! Prima mi fotte senza neanche
chiedermelo, poi mi liquida come se fossi una puttana di second’ordine. E fa
pure di peggio: si stacca da me e mi prende per le
spalle, forzandomi ad alzarmi. - Ma… -
Fuori dai coglioni, muoviti. O devo buttarti sul pianerottolo nudo e poi
gettare i tuoi vestiti in strada? Sarebbe
capace di farlo, questo stronzo! Mi
rivesto e me ne vado, senza salutare. Sono incazzato nero. Che serata di
merda! Avevo a disposizione il più bel fondoschiena che abbia mai visto e ne
ho ricavato solo un male bestiale al culo. Mi consolo dicendomi che questi due la pagheranno cara: presto avranno modo di
conoscere le prigioni francesi e non credo che si divertiranno molto. * Oggi
è una grande giornata. Una lettera anonima, alquanto
convincente (posso assicurarlo: l’ho scritta io) ha rimesso in moto le
indagini: qualcuno sostiene di aver visto Granges spingere la duchessa nel
dirupo e fornisce diversi elementi interessanti. Di solito la polizia
non dà credito alle lettere anonime, ma quando contengono i dettagli giusti,
non le ignora completamente. Jamal,
che ho mandato a sorvegliare Granges, mi ha detto che la polizia è stata da
lui. Perfetto. In serata al telegiornale viene data la
notizia che sono state riaperte le indagini sulla morte della duchessa di
Hauteclaire. La polizia ha nuovamente interrogato il marito e l’uomo “che era
spesso al suo fianco nell’ultimo periodo”: un bel giro di parole per indicare
l’amante della riccona. Passano
tre giorni, in cui i quotidiani riprendono il caso, aggiungendo aria fritta
(altro non hanno), ma insinuando sospetti,
soprattutto su Granges (l’unico che avrebbe potuto spingere nel precipizio la
ricca troia) e sul marito (l’unico che aveva interesse a vederla morta). Rientro
a casa dall’ufficio sorridente, ma il sorriso svanisce quando vedo i due
uomini che mi aspettano davanti al portone. Quei due non mi piacciono per
niente: io i piedipiatti li riconosco subito. Che cazzo vogliono, questi due
che mi aspettano? Perché aspettano me, su questo non
ho dubbi, anche se nel palazzo vivono diverse famiglie. E infatti: -
Hervé Mastay? Annuisco. - È
pregato di seguirci in commissariato. - In
commissariato? E perché mai? L’agente
sorride, ma non è un sorriso cordiale. - Le
domande le facciamo noi. L’ispettore
non sembra molto ben disposto. Ma che cazzo vuole? Mi informa dei miei
diritti, mi dice che posso procurarmi un avvocato. Ma che cazzo significa?
Incomincio a sentirmi a disagio. Poi, dopo aver menato il can per l’aia il
tempo giusto per innervosirmi, mi chiede: -
Perché è entrato nella villa di Laure de Hauteclaire a Mentone spacciandosi
per ispettore di polizia? Cazzo!
Incomincio a sudare. Negare sarebbe assurdo: in un confronto quel coglione
del custode mi riconoscerebbe subito. -
Per indagare sulla morte della duchessa. -
Per conto di chi? -
Non posso rivelarlo. L’ispettore
ghigna. - Io
credo che le convenga dirmelo. Risparmiamo tempo tutti e due. Tanto lo so già
e in ogni caso i miei uomini stanno perquisendo il suo studio e la sua casa. -
Cosa?! Lei non può… - Io
posso: ho regolare mandato. Un
mandato? Cazzo! La cosa si mette peggio del previsto. Ma come è possibile?
Come ha potuto ottenere un mandato? Certo non per la mia visita a Mentone. E allora?
A questo punto devo dire la verità: non ho
alternative. - Mi
ha inviato il fratello della duchessa. Anche lui è convinto che non sia stato
un incidente, come è stato concluso, un po’ frettolosamente. Piccola
stoccata, tanto per dire a questo stronzo che la polizia ha sbagliato
clamorosamente. -
Frettolosamente. Ha ragione. Anche lei pensa che sia stato un delitto, vero? -
Credo proprio di sì, ispettore. - Ha
un alibi per il giorno del delitto? - Un
alibi? Io? Ma che cosa c’entro? L’ispettore
sorride. Non mi piace il modo in cui sorride. -
Direi che c’entra, se ha continuato a occuparsi della faccenda anche dopo,
no? -
Non sapevo neanche che esistesse, la duchessa, prima della sua morte. -
Ma, guarda caso, si trovava da quelle parti proprio il giorno in cui è stata
uccisa, perché è stata uccisa, no? - E
che ne so, io?! -
Poco fa mi sembrava molto sicuro che fosse stata uccisa. - Lo
credo anch’io, ma non ho le prove. - E
allora le prove le abbiamo fabbricate, no? Con l’aiuto della seducente
sedicente Natasha. Cazzo!
Cazzo! Cazzo! Mi manca l’aria. Non è possibile che sappia anche questo, non è
possibile. Come cazzo fa ‘sto stronzo, che si diverte pure con i giochi di
parole, a essere così ben informato? L’ispettore prosegue: - So
molte cose di lei, Mastay, come può vedere. E le conviene dirmi
la verità. Perché è andato nella villa della duchessa? -
Gliel’ho detto: per indagare sulla sua morte. - O
per cercare questo? L’ispettore
apre un cassetto e tira fuori la mia agenda telefonica. -
Dove… come… - Lungo
il sentiero che scende dalla strada verso la scogliera, dove ha spinto nel
vuoto Laure de Hauteclaire. - Io
non ho spinto nessuno! La
voce mi è uscita stridula. Lui si limita a sorridere. Aggiungo, cercando di
calmarmi: -
Non ho perso l’agenda il giorno in cui la duchessa è morta. È
vero, mi è scomparsa pochi giorni fa… Cazzo! Ora capisco: me l’ha presa Granges a casa sua. Non me la sono più ritrovata
il giorno dopo! -
No? Quella volta sei stato attento a non perdere
niente? L’hai persa la volta dopo, quando sei tornato a mettere la camicia
che Natasha aveva sottratto a Granges? Tu sei tornato tre volte in quel
fottuto posto. Mi
sta dando del tu. So che cosa significa. E non mi piace. -
No, solo due. -
Una per ammazzare la duchessa, una per indagare su com’era vestito Granges,
una per portare la camicia. Magari di aver perso l’agenda non ti sei nemmeno accorto. -
Non l’ho ammazzata io! -
L’hai ammazzata per conto del fratello, per poi far ricadere la colpa sul
marito e sul suo amico. -
No, non è vero! Tutto
mi sarei aspettato, ma non di essere accusato di
aver ucciso la duchessa. Proprio ora arriva la telefonata. L’ispettore
sorride e annuisce. Riattacca e mi guarda. Conosco benissimo il senso di
quello sguardo: in qualche modo sono fottuto. Ma che cazzo… La
risposta arriva subito, sotto forma di domanda: -
Qual è l’origine dei duecentomila euro che tieni a casa tua e che non hai
depositato in banca? -
Cosa? -
Non fare lo gnorri, stronzo! Sappiamo benissimo che è il pagamento per
l’omicidio. Non
ci sono duecentomila euro a casa mia. Quando mai ho visto una cifra del
genere? Ma se l’ispettore me lo dice è perché li hanno trovati davvero. * Mentre
mi dirigo alle docce ripenso ancora a tutta questa fottuta storia. Il moscone
è davvero finito nella tela del ragno, come avevo previsto. Peccato che il
moscone fossi io. Ci
ho messo un po’ a collegare e capire. Pezzo per pezzo
ho ricostruito tutto quello che è successo. Granges
è stato un mio collega: questo l’ho scoperto al processo, l’ha detto lui
stesso per spiegare come ha fatto a capire che c’era qualche cosa che non
andava. Quel figlio di puttana si è rivolto alla polizia per segnalare le
cose strane che stavano succedendo. Quello
che al processo non ha detto è che ha deciso di rendermi pan per focaccia.
Quella volta che l’altro stronzo, il vedovo, mi ha agganciato al Quetzal Bar,
l’ha fatto perché mentre scopavamo Granges potesse fottermi l’agenda. Granges
l’ha poi lasciata lungo il sentiero e ha messo a casa mia i soldi, per far
credere che quel fottuto duca mi aveva pagato. Natasha
ha ottenuto la protezione della polizia in cambio della sua collaborazione.
Dopo tutto quel che ho fatto per lei, quella stronza mi ha ficcato nella
merda fino al collo, dicendo che l’avevo mandata io da Granges e che le avevo
detto di prendere una delle sue camicie. Anche Jamal ha collaborato con la
polizia: sua madre ha misteriosamente ottenuto un permesso di soggiorno (tra
i soldi di Hermine e i contatti di Granges non deve essere stato difficile) e
lui ha testimoniato contro di me, dicendo anche che lo costringevo ad avere
rapporti sessuali. I giornali mi hanno additato al pubblico disprezzo come un
mostro pedofilo. Che
io volessi incastrare Granges e Hermine, non potevo
negarlo. Solo che l’ispettore si era convinto che avessi anche ammazzato la
troia, per poi montare tutta la messinscena, su ordine del fratello. Altre
cose sono saltate fuori, un po’ per volta. La polizia non ha mai davvero
creduto all’incidente: Laure de Hauteclaire aveva graffiato qualcuno prima di
precipitare e c’erano ancora frammenti di pelle e un po’ di sangue sotto due
delle sue unghie. La polizia aveva fatto perfino il controllo del DNA al
marito, nonostante l’alibi, e a Granges. Ai giornali avevano detto di aver
chiuso il caso come suicidio o incidente per evitare di averli troppo
addosso: la morte della nobildonna era un boccone troppo ghiotto e
rischiavano di avere i giornalisti tra i piedi ogni secondo. Ma cercavano un
assassino. Non
avevano pensato di fare l’esame del DNA al fratello,
ma dopo che mi hanno arrestato l’hanno fatto a me e a lui. E così hanno
scoperto che quel figlio di puttana aveva ammazzato la sorella. Non credo che
sia stato un omicidio premeditato: secondo me le ha dato
un appuntamento, fuori dalla villa perché non voleva incontrare il marito;
devono aver litigato e lui l’ha spinta. A quel punto ha deciso di far
“scoprire” l’omicidio, cambiando il colpevole. Se quel coglione me l’avesse
detto, avrei lavorato in modo diverso. Il
duca si è convinto che è stato scoperto per colpa mia, perché sono un
incapace: me l’ha anche detto nel confronto. Si è vendicato alla grande:
prima di impiccarsi in carcere, ha lasciato una lettera in cui confessava il
delitto e rivelava che ero stato suo complice. A
questo punto non avevo più nessuna possibilità di cavarmela. Nello
spogliatoio mi libero dei vestiti. Vorrei tornare nella mia cella, ma mi
hanno detto di farmi la doccia e so che devo farlo: non posso oppormi, ci ho
provato una volta e ne porto ancora i segni. Entro
nel locale delle docce. Sono in otto. Cazzo! Mi
fanno mettere a quattro zampe. Obbedisco. La prima volta ho
opposto resistenza, ma non ha senso farsi pestare a sangue. So che prima o
poi mi beccherò l’AIDS, ma probabilmente è l’unico modo per uscire di qui: in una cassa, con i piedi in avanti. Il
primo è Charles, detto Pelo, il boss. Mi sputa sul buco del culo e poi mi
infilza. Gemo. Fa un male cane, come sempre: la prima volta qui dentro mi hanno provocato diverse lacerazioni e quando mi inculano,
sanguino sempre. Intanto Roland mi si mette davanti. Apro la bocca. Lui ci
infila il cazzo e incomincia a fottermi in bocca. Non è necessario che io
faccia niente: ci pensa lui, spingendo fino in fondo, tanto che faccio fatica
a respirare. Ogni tanto mi lascia tirare il fiato. Lui viene in fretta e
lascia il posto ad Alì, che invece ama farselo succhiare. Ormai conosco i
loro gusti, così almeno li assecondo ed evito pugni e sberle. Charles infine
mi viene in culo e poi, non appena Alì ha finito, se lo fa pulire. Intanto il
suo posto è preso da Steve, il giamaicano, e quando entra non riesco a
trattenere un urlo: ha un cazzo da cavallo. Con questa storia che sono un
pedofilo assassino, sono diventato la puttana del carcere. I secondini
fingono di non vedere, quei figli di puttana. Penso
che Granges e Hermine staranno scopando tranquillamente a casa loro. Tra
l’altro quel coglione del duca mi aveva mentito: Granges non era l’amante
della duchessa, ma del marito. Ma lui questo non lo sapeva: io l’ho capito
mettendo insieme i diversi elementi. Ora si godono i soldi della troia ed io
mi faccio fottere in culo e in bocca. Non c’è davvero giustizia. 2013 |