Vecchio West Tiro fuori dal taschino
l’orologio e lo guardo. Mancano dieci minuti per la rapina in banca.
Controllo di avere le pistole, il fazzoletto per coprirmi il viso e il sacco
per i soldi. Dalla finestra guardo la strada. C’è un sacco di gente: la
rapina è uno dei pezzi forti della giornata, anche se non attira tanta gente
quanto la mia impiccagione, che avverrà tra due ore. Esco dalla camera e scendo
a prendere il cavallo. Mi allontano dal paese, raggiungendo il ranch, dove
Walt mi sta già aspettando. Io ghigno e gli dico: - Pronto a crepare? - Meglio una pallottola al
cuore che la corda al collo. Alzo le spalle. - Questione di gusti.
Almeno mi viene duro. Ridiamo tutti e due. Io aggiungo: - Attento a non romperti
una gamba, quando cadi. Lui appoggia la mano
sinistra sull’avambraccio destro e solleva il braccio con il pugno chiuso.
Ridiamo di nuovo. - Dai, andiamo a
guadagnarci il pane. Ci mettiamo i fazzoletti davanti
alla bocca, da perfetti banditi western, e sproniamo i cavalli fino al paese.
Davanti alla banca, oltre il cordone, la folla è ancora aumentata. Scendo da
cavallo, lanciando le redini a Walt, tiro fuori una pistola e irrompo nella
banca. C’è un sacco di gente: tre di noi attori, oltre a Ronald, il cassiere,
e una ventina di spettatori, quelli che hanno pagato per assistere anche a
questa parte dello spettacolo. Gli uomini hanno tutti una giacca e un
cappello, le donne indossano un abito più o meno d’epoca, che magari non
copre i jeans, ma contribuisce a creare l’atmosfera: all’ingresso chi
acquista i biglietti per le scene all’interno riceve in prestito un capo di
abbigliamento adatto. - Fermi tutti! È una
rapina! Il primo che si muove è un uomo morto. Butto a Ronald il sacco. - Tu, riempi questo. E
muoviti, stronzo, o ti faccio secco. Intanto tengo sotto tiro
tutti i presenti. Jim mi dice che sono molto convincente e che sembro proprio
un vero rapinatore di banche. Ronald riempie il sacco di
soldi (falsi, se no magari scapperei davvero con il malloppo), mentre io
continuo a minacciare lui e qualcuno del pubblico. Oggi c’è una ragazza
carina, con i capelli rossi, ed io mi avvicino, ghignando, ma senza perdere
d’occhio Ronald e gli altri: - Magari oggi mi prendo
anche questa bella pollastrella, per passare il tempo. Quando faccio queste
battute, la reazione può essere molto diversa. La ragazza di oggi è una
sveglia e reagisce nel modo giusto: emette un gridolino e mi supplica di
risparmiarla. In realtà a me interesserebbe molto di più il tipo che c’è
vicino al banco, un bell’uomo sui quaranta, che sembra un perfetto cow-boy.
Quello lo rapirei volentieri. Intanto Ronald ha riempito
il sacco, ma, approfittando della mia apparente distrazione, mentre scambiavo
due parole con la ragazza, ha anche preso la pistola. Fa per puntarla, ma io
sono più rapido (ovviamente, altrimenti la scena finirebbe lì) e sparo.
Ronald grida, si porta le mani al petto, barcolla, mentre la macchia di
sangue si allarga: è il solito sacchetto con liquido rosso che si buca quando
Ronald lo preme con le mani, ma l’effetto è assicurato. Ronald cade a terra.
Nella sala qualcuno ha urlato: la detonazione è forte, sembra che io abbia
sparato davvero. Io afferro il sacco ed
esco. Lancio il denaro a Walt e salgo a cavallo, ma Ted, che era dentro la
banca, esce con la pistola e spara, colpendo Walt. Walt grida, anche lui si
porta le mani al petto e poi cade da cavallo. Walt è un professionista, fa la
controfigura nelle scene d’azione dei film e ha lavorato pure a Hollywood, ma
io mi chiedo come fa a cadere senza rompersi mai niente. Nella scena
dell’attacco al paese vola dal tetto del saloon: io ho sempre paura che si
ammazzi, ma lui sembra essere fatto di gomma. Io intanto sparo a Ted. Lo
becco al ventre e Ted barcolla, lasciando cadere le pistole. Porta le mani a
coprirsi la ferita. Io sparo di nuovo. Ted cade in ginocchio, mentre le mani
che tiene sul ventre si coprono di sangue. Mi insulta. - Ti impiccheranno, figlio
di puttana. - Crepa, fottuto
impiccione. Sparo per la terza volta e
Ted crolla al suolo. Dopo di che sprono il cavallo e scappo via, mentre
arriva lo sceriffo. Fuggo verso il ranch, ma
lo sceriffo e i suoi uomini mi raggiungono e mi catturano. Mi riportano nel paese,
nell’ufficio dello sceriffo. Lì mi preparano per l’impiccagione. Mi metto
l’imbracatura che mi permetterà di rimanere sospeso senza che il cappio
stringa troppo. Mi infilo il sacchetto con l’acqua, per bagnarmi i pantaloni,
passando il filo alla cintura: uno dei dettagli che rendono le nostre scene
più realistiche e mandano in visibilio il pubblico. Quando sono pronto, il
truccatore mi fa qualche segno sulla faccia, in modo che sembri che mi
abbiano menato, poi mi trascinano fuori. C’è il solito pienone: nessuno vuole
perdere l’impiccagione del bandito. Credo che molti di loro sarebbero ben
contenti di veder impiccare qualcuno sul serio, ma si devono accontentare di
me e di qualche altro attore qui a Sand Creek Town. Non c’è una forca (ma
hanno in progetto di costruirne una, nel nuovo ampliamento: le esecuzioni
capitali attirano un casino di gente). Due uomini lanciano una corda con il
cappio oltre una trave appesa in alto, poi mi passano il cappio intorno al
collo. Io mi dibatto, li insulto e mi becco due pugni nello stomaco. Mi piego
in due, insultandoli ancora. Loro mi colpiscono di nuovo e io smetto di
opporre resistenza. Agganciano la corda con il cappio all’imbracatura, per
cui quando mi solleveranno il cappio non si stringerà intorno al mio collo
(altrimenti dovrebbero cambiare attore a ogni impiccagione – ma farebbero
fatica a trovarne di disponibili), poi stringono bene il cappio: lo fanno
davvero, perché altrimenti si vedrebbe che è tutto finto. Devo dire che la
pressione del cappio intorno al collo non mi spiace e qualche volta mi
provoca davvero un’erezione. Poi mi sollevano e io incomincio a scalciare e
ad agitarmi. È una delle scene più impegnative. Devo essere convincente e
devo dare spettacolo: il pubblico vuole assistere a una lunga agonia e io
gliela regalo. Scalcio disperatamente con grande vigore, alzando le gambe,
divaricandole, muovendole in modo scomposto. Continuo a sussultare e ad
agitarmi, ma i miei movimenti diventano via via più lenti. Prima che cessino
del tutto, tiro il filo attaccato alla cintura, provocando la rottura del
sacchetto di acqua: i pantaloni si bagnano e il pubblico pensa che io mi
pisci addosso o che venga. Tutti scattano fotografie di questo, che è il
momento clou. Poi smetto del tutto di agitarmi: appena qualche sussulto. Due
uomini mi afferrano per le gambe e tirano con forza. In realtà non possono
tendere la corda più di quanto non sia già tesa. Io ho un ultimo sussulto e
rimango immobile, la lingua che sporge tra i denti, un po’ di saliva che
cola. Mi dicono tutti che come cadavere sono perfetto. Mi lasciano appeso a
lungo. Non è comodissimo rimanere così, ma la gente vuole vedere. Dopo un po’
finalmente mi depositano a terra e portano via il mio cadavere. Jack, che è
sempre bene informato, dice che meditano di creare qualche nuova scena: ad
esempio mettere in mostra i cadaveri degli impiccati e dei vari morti
ammazzati in una sala (dal becchino-barbiere), magari nudi, con solo un telo
addosso a coprire i genitali. Non so se realizzeranno queste idee, ma non mi
stupirebbe: la fortuna di Sand Creek Town è nata proprio dall’aver proposto
alcune scene che vanno molto oltre quello che di solito si fa in questi
parchi a tema. Al saloon ad esempio c’è
Matt, che fa il bagno in una tinozza il mattino. Esce nudo dalla sua camera,
l’asciugamano su una spalla e la sua attrezzatura da cavallo bene in vista.
Saluta chi passa, se c’è qualche bella ragazza le chiede se ha voglia di fare
il bagno con lui. Poi si mette nella tinozza e ci rimane per un’oretta,
insultando la gente che passa e lo guarda. Ogni tanto prende la pistola e si
alza dal catino, minacciando i visitatori con l’arma, mentre con la sinistra
si gratta le palle gocciolanti, e coprendoli di improperi. C’è gente che
passa quattro o cinque volte, nella speranza che si alzi e si faccia vedere. A Sand Creek Town c’è
anche il bordello, solo per maggiorenni e con biglietto d’ingresso a parte,
dove si possono vedere donne discinte, che si strusciano contro i visitatori
maschi, con la maîtresse che dice
le tariffe e fa battute sconce. Si può spiare attraverso alcuni buchi nelle
pareti e vedere qualche donna nuda o qualche scopata in costume (sono solo
filmati), mentre oltre le porte delle camere si sentono gemiti e sospiri. Io ho concluso. Questa
mattina ho fatto il duello, in cui ho ucciso il mio rivale, poi ho
partecipato alla rissa al saloon, ho fatto la partita a poker che si è
conclusa con un morto e adesso, dopo la rapina in banca e l’impiccagione,
posso riposarmi. Dal locale sul retro del negozio del barbiere-becchino, dove
hanno portato il mio cadavere, passo nell’albergo, dove al secondo piano, non
accessibile per i visitatori, ci sono gli spogliatoi. Dal retro raggiungo
l’edificio in cui dormiamo. Chi abita nei dintorni, quando ha finito torna a
casa. Chi, come me, Matt e Walt, sta in altri stati, dorme nelle stanze messe
a disposizione dall’impresa. C’è anche un angolo cucina in cui possiamo farci
da mangiare. Io ho la camera di fianco
a quella di Matt, che in questo momento sta prendendo il sole nudo sul
terrazzino che abbiamo in comune. Anche lui ha finito: nel pomeriggio ha
fatto il tiro a segno, colpendo dieci bottiglie con dieci colpi (è un
tiratore fantastico) e adesso è lì disteso, con gli occhi chiusi. È una gran
bella vista. Ha una decina d’anni più di me, un corpo robusto, una pelliccia
bella fitta nei punti giusti ed esibisce generosamente la sua merce quanto
mai appetitosa. Ma nulla nel suo comportamento mi fa pensare che possa essere
gay anche lui, per cui non mi sono mai fatto avanti. Nell’ambiente di lavoro
è meglio non provarci, per evitare complicazioni. Matt si accorge della mia
presenza e mi dice, senza aprire gli occhi: - Che hai da guardare,
pezzo di merda? Il tono è durissimo, ma
conosco abbastanza Matt da capire che è solo una battuta di quelle che spara
ai visitatori. Abbiamo un buon rapporto, di stima reciproca. Gli rispondo: - Hai ragione, non c’è
proprio niente da vedere. Lui inarca le
sopracciglia, apre gli occhi, mi guarda in faccia e dice: - Hai la faccia come il
culo. Domani uso te per il tiro a segno, invece delle bottiglie. - Non so se su dieci colpi
ne metti a segno uno. - Forse no perché prima
che io abbia tirato fuori la pistola, tu sei già schiattato di paura dopo
esserti cagato addosso. - Guarda che mi impiccano
tutti i giorni e non mi hanno mai sentito chiedere pietà. - Uno di questi giorni ti
impicco io e ti avviso che è inutile chiedere pietà. Rido, rientro in camera e
mi stendo una mezz’ora. Poi controllo la posta, chatto con un amico e infine
la fame mi spinge a muovermi. Volendo, potrei cenare gratis alla taverna del
villaggio, ma significa rivestirsi da cow-boy e recitare la parte. Lo faccio
ogni tanto, ma questa sera non ne ho voglia, per cui preferisco prendere
l’auto e andare in città. Potrei anche mangiare un boccone nella stanza, ma
questa sera scelgo il ristorante. Come spesso succede, qualcuno mi riconosce
e si avvicina per salutarmi. A volte mi attaccano dei bottoni terribili, ma
questa sera il tizio si congratula con me per quanto sono bravo a rapinare
banche e morire impiccato e poi se ne va. Dopo cena mi rilasso e
avrei voglia di andare a caccia, ma per trovare un locale gay dovrei fare
almeno cento miglia e non mi va. Vado un po’ a spasso, sperando di incrociare
qualcun altro che abbia la mia stessa voglia, ma non colgo nessun segnale,
per cui alla fine rinuncio e torno a casa. Altra giornata. Si
ricomincia. Questa volta il duello è a
quattro. Siamo io e Walt che uccidiamo i due rivali: il copione cambia, in
cicli di tre giorni. Se qualche visitatore decide di fermarsi un po’ di più e
di ritornare perché le scene del giorno prima gli sono piaciute, può
assistere a qualche cosa di un po’ diverso. Così questa volta dopo il duello
ammazzo anche un vicesceriffo che cerca di fermarmi, prima di scomparire. Poi torno a giocare al
saloon: questa volta sono io che devo fare secco il tizio che mi scopre
mentre baro (rapinatore di banche, assassino, baro, anche rapitore di
fanciulle: sono proprio un emerito figlio di puttana qui a Sand Creek Town). Nel saloon rivedo il tipo
che ho notato in banca il giorno prima. Evidentemente lui è uno di quelli che
tornano il giorno dopo. È vestito in modo impeccabile: sembra un vero
cow-boy, con tanto di cinturone e pistole d’epoca. Dev’essere un patito.
Questa volta i nostri sguardi si incrociano e lui sorride. Io faccio una
smorfia che è in carattere con il mio personaggio. La partita a poker
incomincia. Io a un certo punto tiro fuori un asso dalla manica. Lou mi afferra il polso della sinistra e mi insulta, ma
io estraggo la pistola con la destra e sparo, tenendo l’arma sotto il tavolo.
La detonazione è assordante. Lou porta le mani al
ventre, facendo rompere il sacchetto con il liquido rosso. Cade a terra,
contorcendosi. Io intanto mi sono alzato e con le due pistole spianate mi faccio
strada verso l’uscita, dopo aver messo in tasca i soldi che erano sul tavolo.
Nessuno si muove. Qualche visitatore commenta. Passo vicino al tipo che mi ha
salutato e gli punto la pistola tra gli occhi. - Non ti muovere, se ci
tieni alla pelle. Lui mi fissa, senza
abbassare gli occhi, senza sorridere. Poi esco, salgo a cavallo
e galoppo via. Tornerò più tardi per la rapina alla banca e l’impiccagione. Tutto si svolge come
previsto. Il tipo è di nuovo in banca. Questa volta lo fisso in modo
minaccioso. Dopo che sono stato
catturato, è il turno dell’impiccagione. Anche qui ci sono alcuni
cambiamenti: oggi non mi legano le mani dietro la schiena, per cui mi dibatto
a lungo cercando di allentare il laccio o di sospendermi alla corda con un
braccio. Tutti guardano la mia agonia, i miei disperati tentativi di
liberarmi. Infine lo sceriffo tira fuori la pistola e avanza. Al primo colpo
mi porto le mani al torace, poi al ventre. Il liquido rosso si diffonde sui
miei abiti e dopo altri tre colpi i miei movimenti rallentano fino a cessare
del tutto. Rimango inerte, finché mi calano. Salgo a togliermi
l’imbracatura e a cambiarmi, poi scendo. Mi dico che questa sera andrò a
caccia: ho fame, fame di carne, ma non di quella cucinata. Apro la porta sul
retro dell’albergo per andare nella mia stanza e mi trovo davanti il tizio
che c’era in banca ieri e oggi e al saloon (e in prima fila
all’impiccagione). Mi sorride e mi dice: - Ho detto che volevo un
autografo dell’attore e mi hanno suggerito di aspettare qui. Questo vuole un mio
autografo come io voglio il trono d’Inghilterra, ma non mi spiace vederlo
qui. Non so che cosa abbia in testa, ma se per caso fosse interessato a una
cavalcata, di quelle in cui uno dei due fa il cavallo, io ci sto. Uno così,
più alto di me di quattro dita, spalle larghe, forte, con qualche anno in
meno, be’, uno così mi fa venire l’acquolina in bocca. - Hai una penna? Ho dato alla frase
un’intonazione ironica, in modo che lui capisca che ho mangiato la foglia. Il
suo sorriso si allarga: - Temo di averla lasciata
in auto, ma se vieni con me… oppure se andiamo da te… - Vieni da me. Tanto ho
una camera qui dietro. E mentre mi avvio, gli
dico: - Io mi chiamo Clint. - Come Eastwood? Cazzo! Il
destino nel nome. Io sono Ethan. Poi aggiunge: - Così vivete qui, durante
la stagione? Incomincia a chiedere e io
gli rispondo volentieri: non mi dispiace conoscere un po’ un uomo con cui sto
per scopare. Lui è davvero curioso e mi fa diverse domande sulla nostra
sistemazione, il contratto, la paga, scusandosi per l’invadenza. Comincio a
temere di essermi fatto delle illusioni: magari vuole davvero solo conoscere
meglio come funzionano le cose qui. Ce ne sono che vogliono sapere tutto. Una
volta ne ho trovato uno che credeva che vivessimo davvero come cow-boy
dell’Ottocento e mi chiedeva persino com’erano i cessi. Questo sembra più
sveglio. Adesso che siamo in
camera, gli offro da bere e lo invito a sedersi. Prendo anch’io una birra
(non ho altro) e una sedia. Parliamo ancora del
vecchio West e dei trucchi di Sand Creek Town. Potrebbe essere una normale
chiacchierata tra un appassionato del periodo storico e un attore che sette
mesi l’anno vive e lavora in una finta cittadina del West. Ma c’è nel suo
sorriso, nel modo in cui mi fissa, un chiaro ammiccamento e so che finiremo
presto a letto. - Da come parli, si
direbbe che sei davvero un esperto del Far West. - Sì, è sempre stata la
mia passione, fin da quando da piccolo mi facevo le seghe sui fumetti
western. Rido. - E vedo che sei vestito
come un perfetto cow-boy. - Se vengo in una
cittadina del vecchio West devo essere in tono, no? - Fossero tutti come te,
l’impresa risparmierebbe un sacco di soldi per le comparse. Annuisce. - Era un bel periodo, di
uomini forti e rudi. - Non so se conducevano
una bella vita. - Comoda no, però vera, a
contatto con un ambiente selvaggio, sfidando pericoli di ogni tipo. - Ti sarebbe piaciuto
vivere allora? - Credo di sì. - Guarda che era facile
morire giovani… - Forse, ma era un mondo
di veri uomini. Come il personaggio che tu interpreti. Mi piace un casino. - Un vero figlio di
puttana. - Senza dubbio. Sei così
anche nella realtà? Rido di nuovo. - Secondo te? - Secondo me no, hai
l’aria di un bravo ragazzo. Peccato. - Peccato? Preferiresti che
tirassi fuori la pistola e ti facessi secco? Questa volta è lui a
ridere. - No, anche se un bel
duello… Affrontarti nella via… Si direbbe che l’idea lo
stuzzichi, ma cambia subito argomento: - Credo che mi piacerebbe
lavorare qui. Cerca un lavoro? Mi ha
contattato per questo? Non so perché, ma ho la sensazione che voglia altro,
oltre alla scopata che si annuncia. - Puoi fare domanda per
l’anno prossimo: c’è sempre un certo ricambio. Ma è tutto finto. Annuisce. - C’è poco sesso, però,
per essere realistico. Sorrido, stando al gioco. - Ce n’è di più che negli
altri villaggi di questo tipo, se vai al bordello. - Sai benissimo anche tu
che in questi villaggi di frontiera dove c’erano poche donne, non tutti gli
uomini andavano a puttane. Potrei chiedergli che cosa
facevano, ma non vedo perché dovrei fare il finto tonto. - Certo, molti non si
facevano problemi a scopare tra di loro, come Butch
Cassidy e Sundance Kid, anche se magari non lo dicevano in giro. - Queste scene mancano.
Bisogna farne una, no? Che ne dici? - Se proprio ci tieni,
solo perché voglio conoscere meglio il vecchio West, per interpretare bene la
mia parte. - Ti insegno che cosa
facevano. Si alza, si toglie la
giacca e la camicia e le posa sulla sedia. Poi si risiede e si sfila gli
stivali. Io preferirei spogliarlo ed essere spogliato da lui, ma lui non
sembra interessato e allora incomincio a togliermi gli abiti anch’io, mentre
lui conclude il suo spogliarello. Il tipo mi piace, davvero, e sono contento
che abbia deciso di farsi avanti. Ha un bel corpo, forte, come piacciono a
me. Meno pelo di Matt (peccato), ma in discreta quantità intorno ai capezzoli
e sul ventre. Mani possenti, braccia vigorose, spalle larghe: si vede che va
in palestra. Bel cazzo, anche se devo ammettere che essendo affamato il mio
parere può non essere obiettivo. Insomma: una gran bella vista. Anche lui mi ha guardato
ben bene e direi che il risultato dell’osservazione non gli sembra così
negativo, perché il cazzo gli si sta tendendo. Anche a me. - Vediamo come scopano i
banditi. E dicendo questo si stende
sul letto. Mi aspettavo che fosse lui a fottermi: io preferisco la parte del
cavallo a quella del cavaliere. Ma sono versatile, ho fame e questo bel culo
che mi si offre di certo non fa schifo né a me, né al mio cazzo, che è già
quasi pronto all’uso. Prendo il preservativo dal
cassetto. Scherzo: - Questo non credo che lo
usassero… - Per me possiamo farne a
meno. La risposta di Ethan mi
spiazza, ma proprio perché mi dice che potrebbe farne a meno, non intendo
rinunciare ad usarlo: non rischio la pelle per una scopata. - Preferisco essere
prudente. Mi infilo il preservativo
e mi stendo sul letto. Gli mordo il culo. Mi piace questo culo, muscoloso,
forte, abbastanza peloso. Lui mugola. Io mordo ancora. Avvicino il cazzo all’apertura.
Ethan dice: - Vai deciso. A quei tempi
non si preoccupavano per un po’ di dolore fisico. Erano davvero uomini. Sono un po’ perplesso. Non
sto recitando ora. Ma se Ethan vuole che gli faccia un po’ male, perché no? E
se gli fa piacere immaginarsi in un film western, va bene anche questo. Non
mi spiace giocare un po’, quando scopo, anche se di solito non recito. - Bene, adesso te lo
prendi in culo. E mentre lo dico spingo,
abbastanza deciso da fargli un po’ male, come mi dice il verso che emette.
Non troppo però, almeno spero. Mi do da fare e cavalco
con energia, spingendo a fondo e ritraendomi, fino a che il cazzo quasi non
esce dal suo culo. Ethan non dice nulla, si limita a emettere una specie di
grugnito quando spingo a fondo. Di solito mi piace accarezzare e baciare, ma
mi rendo conto che a Ethan non interessa e allora mi concentro sul mio cazzo
che entra ed esce, sulla tensione che sale dentro di me, sul piacere che
cresce, sul calore di questo culo, sul corpo che stringo. E infine la tensione
diventa intollerabile ed esplode, mentre spingo violentemente, senza pensare
a nulla, se non al piacere che dal cazzo si diffonde a tutto il corpo,
schiantandomi. Mi abbandono sul corpo di Ethan. Volevo andare a caccia e
invece ho fatto la preda, volevo fare il cavallo e ho fatto il cavaliere. Ma
sono soddisfatto, perché questo tizio mi piace. Vorrei andare a cena con lui
e magari fare un bis dopo aver mangiato: non mi dispiacerebbe che ci
scambiassimo le parti. Ma non voglio sembrare troppo appiccicoso: mi hanno
già fatto notare che aver scopato insieme non significa essere disponibili a
condividere altro. Isaac dice che sono un vecchio romantico, che vorrebbe
mettere su famiglia. Ho il netto sospetto che Isaac abbia ragione (non sul
vecchio: a trentasei anni non mi considero ancora tale). - La cavalcata mi ha messo
appetito. Che ne diresti di andare a mangiare un boccone? Lui sembra incerto. - Dobbiamo proprio
rivestirci e uscire? - Se ti accontenti
possiamo mangiare qui. Ho un po’ di provviste in frigo. Mangiamo e chiacchieriamo
ancora un po’. Ethan continua a fare domande e mi chiedo se il suo interesse
principale non sia davvero il funzionamento di Sand Creek Town. Diciamo che
mi ha puntato perché ho una parte importante qui, altrimenti non si sarebbe
nemmeno accorto che esisto. Direi che del West sa
proprio tutto e infatti ha da ridire su diversi dettagli dell’ambientazione.
Ascoltandolo, mi rendo conto che ha ragione: la ricostruzione è
approssimativa, perché presenta elementi di periodi diversi. A me non sembra
un gran problema se la borsa di Mary è degli anni ’70 dell’Ottocento e il
saloon potrebbe risalire a vent’anni dopo, ma Ethan è di una pignoleria pari
solo alla sua immensa cultura sul West. Allora gli dico: - Potresti fare il
consulente, qui. Se racconti le cose che hai notato, licenziano il
responsabile e ti assumono. Ethan alza le spalle. - Non intendo far
licenziare nessuno. Piuttosto, parlami ancora dell’impiccagione. - Che vuoi che ti dica?
Sai già tutto. Hai visto come avviene. - L’imbracatura. Com’è? - È un insieme di cinghie
che forma una specie di gabbia, per sostenere il corpo senza premere troppo
in nessun punto. Rimane un po’ perplesso. - È possibile vederla? Ce
l’hai qui? - No, me la tolgo nel
camerino. Poi Fred, che sistema il villaggio la sera, la porta nell’ufficio
dello sceriffo, dove me la metto il giorno dopo. - Mi incuriosisce. Ha un sorriso beffardo.
Aggiunge: - Perché non me la fai
provare? Sono perplesso. - Non so se è possibile.
Potrebbero fare storie, se ci vedessero. - Aspettiamo ancora un
momento e poi andiamo. Non ci vede nessuno. C’è un guardiano notturno? - Sì, Fred. - Va in giro a
controllare? - No, se ne sta sempre
nella sua casetta, all’ingresso. Non fa certo giri di perlustrazione: non c’è
nulla da rubare, qui. Così combiniamo di andare
tra un’oretta, quando siamo sicuri che non ci sia più nessuno. Io avrei
un’idea su come passare il tempo che manca, ma Ethan dice che preferisce fare
il bis dopo, magari in paese, nell’ufficio dello sceriffo, vestiti di tutto
punto. L’idea lo eccita. Continua a chiedermi e si
informa anche sulla mia carriera come attore. Non è stata una grande
carriera, devo dire, anche se in questi anni ho sempre lavorato, con parti
secondarie. Ho interpretato diversi film western. Ethan li ha visti, ma si
ricorda di me solo in alcuni: negli altri, soprattutto nei primi, facevo solo
una breve apparizione. Il lavoro qui a Sand Creek
Town è una bella comodità, perché mi garantisce un buon reddito, sufficiente
per tutto l’anno, anche se la cittadina è aperta solo sette mesi. Negli altri
cerco di girare sempre almeno un film o due. Finisco dicendogli: - E di certo un giorno
sarò il protagonista di un grande film western. - Certo, un bandito che
viene impiccato dallo sceriffo. Mi offro come sceriffo. Ridiamo tutti e due. Quando infine sono sicuro
che Fred sia davanti al televisore a casa sua, ci vestiamo e raggiungiamo
l’albergo, dove io mi cambio, e poi entriamo nell’ufficio dello sceriffo. La
porta sul retro è sempre aperta. Ethan accende una lampada
a petrolio. Lo vedo osservare affascinato l’imbracatura. Poi si spoglia e se la
mette. Quando si è rivestito annuisce, soddisfatto. - Adesso mi impicchi. - Va bene. Usciamo sulla strada. Sono
stato impiccato tante di quelle volte che so benissimo come si fa, anche se
sono sempre stato all’estremità sbagliata della corda. Gli faccio vedere il
nodo scorsoio che in realtà non è scorsoio. - Il cappio è bloccato da
questo gancio: in ogni caso non può stringersi più di così. Per quanto mi
agiti, non rischio di stringere la corda più di tanto. Ethan annuisce. - Legami le mani, però. Gliele lego dietro la
schiena, poi chiedo: - Sei pronto? - Certo. Un po’ di colore,
adesso. Entriamo nella parte. - Va bene. Gli metto il cappio
intorno al collo e gli dico: - Stai per crepare, figlio
di puttana. E non sarà una morte rapida. - Spero che ti fottano
presto, bastardo. Stringo il cappio tirando,
fino al punto in cui si blocca. Ethan ha un leggero sussulto. La sensazione
della corda che stringe la gola è forte e se uno non l’ha mai provata, fa
davvero un effetto notevole. La prima volta ho avuto un’erezione quasi
immediata. Fisso il gancio all’anello
dell’imbracatura e tiro la corda. Ethan è pesante, ma io ho un buon
allenamento e lo sollevo quanto basta. Poi lego la corda. Ethan rimane un
momento immobile, poi si agita e scalcia, a lungo. Io mi accendo un sigaro e
ghigno, mentre lo guardo. - È un piacere vederti
crepare. Lui si agita ancora un
po’, poi i movimenti rallentano e rimane immobile. Tutto sommato potrebbe
prendere il mio posto, con un po’ di allenamento. Lo calo. - Allora, che ne dici? - Una sensazione niente
male. Anche se è fasullo. - Sand Creek Town è tutta
fasulla. È il regno dell’illusione. Ethan si accarezza il
collo, poi allenta il cappio e io glielo tolgo. - Senti, mi permetti di
impiccarti? Non so perché, ma l’idea
non mi piace. - Mi hai già visto
impiccato. Ieri e oggi. - Eddai,
me lo fa venire duro. Già adesso… Mi prende la mano e
l’appoggia sulla sua patta. In effetti ce l’ha mezzo duro. Prosegue: - Ti impicco, ti calo e
poi scopiamo, qui, mentre hai ancora la corda al collo. Mi rassegno, senza
entusiasmo. Ci spogliamo tutti e due,
lui per togliersi l’imbracatura, io per mettermela. Poi mi rivesto. Alla luce
della lampada, poggiata a terra, il viso di Ethan appare spettrale. E di
colpo mi sento inquieto. - È proprio necessario? - Certo che lo è! Ethan mi lega le mani
dietro la schiena. - Non stringere tanto! - Le cose si fanno sul
serio. C’è una nota diversa nella
sua voce e di colpo mi rendo conto che non voglio farlo, che questa faccenda
non mi piace. - Lascia stare, Ethan.
Slegami, mi è passata la voglia. Ethan non risponde. Ignora
la mia richiesta e intanto prende il cappio. Me lo infila intorno al collo.
Poi armeggia con la corda. - Ethan, lasciamo stare
questa pagliacciata. - Non è una pagliacciata,
questa. La voce è dura, ostile,
con una sfumatura di ferocia. - È ora di fare sul serio,
Clint. Di morire da uomini. - Ethan, non scherzare! So benissimo che non sta
scherzando. Lo capisco dal tono della sua voce. Ma voglio credere che sia uno
scherzo. Perché ormai ho le mani legate dietro la schiena e il cappio al
collo e, se non è un gioco, io sono fottuto. Ethan tira la corda con
forza, stringendola intorno al mio collo. - Cazzo! Respiro a fatica. Passa davanti a me. In
mano ha il blocco che ha tolto dal cappio. - Come vedi, non è uno
scherzo, Clint. È un’impiccagione vera e questa volta se vieni o ti pisci
addosso, non è un trucco. Ride e la sua risata mi
trasmette un brivido. - Ethan! Che cazzo fai? - Sei pronto? Ride di nuovo. - Ma perché? Perché? Che
senso ha? Cerco disperatamente di
capire, per trovare un appiglio, una via d’uscita da questa situazione. Non
voglio farmi impiccare da uno psicopatico. Ethan afferra la corda. Io
grido: - Aiuto! Aiuto! Nessuno verrà, lo so. Fred
guarda la televisione e la sua casa è all’ingresso del paese, troppo lontano
perché possa sentire. Un’ondata di puro terrore
mi travolge. Non voglio morire così! Ethan tira la corda con forza
e il cappio mi stringe il collo, spegnendo la mia voce. La pressione della
corda mi impedisce di respirare. Mi sento sollevare in aria. Penso che sto
per morire. - Lascialo o sparo. La voce è quella di Matt. Ethan
molla la corda, io finisco a terra. Vedo Matt uscire dall’ombra, le pistole
puntate. - Tieni le mani in alto. Ethan risponde, mentre
abbassa le mani: - Stavo scherzando. Volevo
solo fargli prendere uno spavento. Non è così, lo so
benissimo. Vorrei dirlo a Matt, ma il cappio mi stringe ancora il collo e sto
ansimando, mentre cerco di recuperare il fiato. Ethan fissa Matt, che lo
avverte: - Non cercare di prendere
le pistole, stronzo, o ti riempio di piombo. Ethan sa bene come spara
Matt, ma con un movimento rapidissimo estrae le pistole e fa per sparare.
Matt è più rapido: lo sparo lacera l’aria, facendomi sussultare. Ethan lancia
un urlo e le pistole gli cadono a terra. Si porta le mani al petto, barcolla
e poi cade in ginocchio, con una bestemmia. Infine crolla disteso. Matt si avvicina. Con due
calci allontana le pistole di Ethan dalle sue mani. Poi mi allenta la corda. - Tutto a posto, Clint? Annuisco, poi dico: - Sì. Non ha fatto in
tempo… grazie, Matt. Mi hai salvato la vita. Matt chiama l’ambulanza e
la polizia. Alla centrale di polizia
rimaniamo oltre due ore. Io riferisco quello che è successo, ma sorvolo sul
fatto che abbiamo scopato. Matt racconta che è uscito dalla residenza perché
aveva voglia di fare due passi e che ci ha visti. Ha sospettato che ci fosse
qualche cosa di losco ed è rimasto a guardare. Meno male che non se n’è
andato. I poliziotti sono
piuttosto perplessi: non capiscono che cosa può aver spinto Ethan a cercare
di uccidermi. Non lo capisco neanch’io e mi rendo perfettamente conto che
l’intera storia appare poco credibile. Ma lavoriamo qui e gli agenti
conoscono benissimo me e Matt: hanno portato tutti e due le famiglie e Sand
Creek Town, in più d’una occasione. Perciò non mettono in dubbio la nostra
versione dell’accaduto. Faranno le indagini su Ethan, frugheranno nel suo
passato e cercheranno di capire le sue motivazioni. Intanto io e Matt di
certo non scapperemo. È molto tardi quando
usciamo dalla stazione di polizia, ma non ho sonno. Sono ancora teso. Essere
impiccato sul serio, anche solo per pochi secondi, non è un’esperienza
gradevole. Ethan è all’ospedale.
Credo che lo stiano operando. Per quel che mi riguarda, può benissimo
crepare. Abbiamo dovuto contattare anche George, il responsabile di Sand
Creek Town, tirandolo giù dal letto. Non se l’è presa con me: ha detto che la
faccenda servirà come pubblicità. Domani (cioè oggi) metterà al lavoro lo
staff che si occupa della propaganda. Mentre torniamo alla
nostra residenza, nell’auto di Matt, dico: - Grazie Matt. Sono molto contento
che tu abbia deciso di sgranchirti le gambe qualche ora fa. - Non ho deciso di
sgranchirmi le gambe, come dici tu. Vi ho seguiti perché quel tipo non mi
convinceva. - L’avevi visto? - Certo, era da te. - Ma… come… Matt sghignazza e dice: - Clint, forse non te ne
rendi conto, ma sei alquanto rumoroso quando scopi. Se non vuoi farti
sentire, chiudi la porta che dà sul terrazzino, no? Prima ho sentito le voci.
Poi i rumori, che sembravano promettere bene. Allora sono uscito a vedere che
succedeva. Devo dire che hai un bel culo, Clint. - Ma… ci hai spiato? Matt alza le spalle. - Ho dato un’occhiata…
solo per quella mezz’ora che avete scopato. - Sei… sei… Matt mi guarda, inarcando
le sopracciglia. - Sì? Scuoto la testa, senza
parole. - Da te non me lo sarei
mai aspettato. - E perché? Non riesco proprio a dare
una risposta. Bofonchio: - Ti credevo una persona
seria. - Anch’io ti credevo una
persona seria, magari pure etero, per quello non ci ho mai provato con te. Ma
nella vita ogni tanto bisogna ricredersi. Matt ha parcheggiato
davanti alla residenza. Lo guardo. - Matt… Lui si volta verso di me. Rimaniamo un attimo a
guardarci, anche se ci vediamo appena, perché il parcheggio è poco
illuminato. Matt mi prende la testa
tra le sue mani e l’avvicina alla sua. Mi bacia. Io schiudo le labbra, ma
Matt si stacca e dice: - Questo me lo sono preso
come ringraziamento per averti salvato la pelle. Adesso a nanna. E intanto scende. Io lo
imito e, mentre chiudo la portiera, gli dico: - Tutto lì il ringraziamento?
Ti accontenti di poco. - Non sono esoso. Ma se
hai paura di dormire da solo, posso tenerti compagnia. - Mi sembra una buona
idea. Ho sempre desiderato avere una guardia del corpo. Saliamo in camera mia.
Appena entrati Matt mi spinge contro la porta, si appoggia su di me e mi
bacia, infilandomi la lingua in bocca. La sua lingua avanza decisa, poi si
ritrae e i suoi denti mi mordicchiano il labbro inferiore. Quando Matt si
stacca, mi dice: - Come guardia del corpo, pretendo un
pagamento anticipato. E intanto le sue mani mi
stanno spogliando. Mi piace sentire le sue mani forti sulla pelle. Mi piace
quando mi stringe con forza e mi accarezza con delicatezza. Mi piace quando
riprende a baciarmi. Adesso sono in camicia,
con l’imbracatura. Mentre Matt cerca di
capire come slacciarla, io ne approfitto per baciarlo sulla bocca e
incominciare a spogliarlo. Le mie mani gli sfilano la giacca, la camicia,
accarezzano la pelle, si perdono tra la peluria, si infilano nei pantaloni
per raggiungere gli slip, ma trovano ciò che cercano senza bisogno di
scendere molto. Le mie dita non riescono a chiudersi intorno al pezzo di
carne vigoroso che ora stringono. Bacio ancora Matt, mentre le mie dita
palpeggiano quel ben di Dio. Quelle di Matt hanno lasciato perdere l’imbracatura
e stringono con forza il mio culo. E poi riprendiamo a
spogliarci a vicenda. Matt capisce come liberarmi dall’imbracatura e ora
siamo tutti e due nudi, avvinghiati, che ci baciamo, ci accarezziamo, ci
lecchiamo, ci mordicchiamo. Poi Matt sussurra: - Che cosa vuoi fare? Sono contento che me
l’abbia chiesto. Gli stringo con le dita il cazzo, così deliziosamente caldo
e grosso, e dico: - A me piacerebbe molto
gustarlo in bocca e in culo… Il suo sorriso mi dice che
anche a lui piace l’idea. - …ma temo che mi slogherò
la mascella e non sono sicuro di farcela a reggerlo. Matt sorride. - Vado a prendere la crema
lubrificante, così poi siamo pronti. Mi chiedo se intenda
uscire così, il cazzo perfettamente in tiro, nel corridoio, ma apre la porta
del balcone e passa di lì in camera sua (evidentemente ha lasciato aperta la
porta che dà sul terrazzo). Ritorna con una confezione di crema formato
extra. - Ne fai un uso
industriale, eh? Secondo me con quella roba che ti ritrovi tra le gambe, metà
del tuo stipendio va in lubrificante. Matt ghigna. - No, non scopo così
spesso. Solo quando c’è qualcuno che vale davvero la pena di portarsi a
letto. Uno come Ethan manco lo prendo in considerazione. Non ho cattivo gusto
come te. Le sue parole mi fanno piacere,
anche se so benissimo di non essere un apollo. Sorrido: - Mi sento onorato. - Non montarti la testa.
Sono mesi che non scopo, sarà per quello che sono meno esigente del solito. E mentre lo dice mi bacia
di nuovo, soffocando la mia risposta. Io scivolo lentamente in
ginocchio, senza staccare le mani dal suo corpo. Ora con le dita gli stringo
il culo e ho davanti agli occhi il più bel cazzo che abbia mai visto in vita
mai. È davvero uno spettacolo vederlo, teso allo spasimo, che gli batte
contro il ventre. Apro la bocca e l’avvicino. Lo bacio, poi lo percorro con
la lingua, fino alla cappella. Inghiottirla non è davvero
comodo: è troppo grossa. Invece leccarla e far scorrere la lingua lungo tutto
il cazzo, mordicchiarlo, stuzzicare i coglioni con le punte delle dita e
accarezzarli con la lingua, che goduria! Matt mi accarezza la testa, si china
per far scendere le mani sulla schiena, mi incita con parole oscene. Lavoro un bel po’,
ammaliato, finché Matt mi dice: - Ora basta. Se vuoi che
te lo metta in culo, fermati. Altrimenti ti vengo in bocca. Un po’ a malincuore lascio
la mia preda e fisso il cazzo, umido di saliva, rigido come un blocco di
marmo e caldo come il pane appena sfornato. Matt si china sulla giacca
che ha appoggiato sulla sedia e dalla tasca tira fuori dei preservativi. Non
ho mai visto quella marca, ma non significa molto. Scherzo: - Riesci a trovare i
preservativi della dimensione adatta? Li prendi in un negozio specializzato
per tori e cavalli? Matt ghigna. Io in realtà
sono spaventato, per quanto abbia l’acquolina in bocca. Deglutisco. Ho la
gola secca. Mi dico che non ce la farò a prendermelo in culo. Matt lo
capisce. Mi solleva, mi bacia e mi sussurra: - Se ti faccio troppo
male, dimmelo e mi fermo. Gli sono grato di questa attenzione. Con dolcezza Matt mi guida
a stendermi sul letto, le gambe a terra. Poi incomincia a mordermi il culo,
con morsi decisi che devono lasciare il segno. Dopo un po’ inizia a passare
la lingua lungo il solco, più e più volte, e io gemo, mentre mi abbandono
all’ondata di piacere che mi investe. Poi le mani afferrano le
natiche e stringono, tanto da farmi male. Le sue dita stuzzicano l’apertura,
poi si allontanano e ritornano, umide. Un dito scivola dentro, scorre lungo
l’anello di carne, spalmando la crema. Poi esce e ritorna. Ripete più volte
il lavoro: credo che il mio buco non sia mai stato lubrificato come oggi, ma
di certo non ha mai affrontato un palo come quello che lo aspetta. Matt si stende su di me,
mi bacia su una guancia, mi morde un orecchio, poi accosta la cappella al
buco e lentamente scivola dentro. Per quanto si muova con
delicatezza, fa male, fa davvero male. - Vuoi che smetta? Gli dico: - Esci un attimo. Lui si ritira e io
riprendo fiato. Ironizzo: - Capisco perché non scopi
spesso… Le sue grosse mani mi
accarezzano. - Si può fare in tanti
modi. Non è necessario che te lo metta dentro, Clint. - No, riprendiamo. Devo
solo abituarmi. Penserò di essere un capitano veneziano impalato dai Turchi. Matt ride. Di nuovo avvicina il cazzo
al buco e spinge, con lentezza. Sento che l’apertura si dilata e accolgo, con
fatica e piacere, l’ospite tanto gradito quanto ingombrante. Dopo un po’ Matt si ferma. - Come va? - Mi sto abituando. Non
male. - È solo una questione di
abitudine. Dopo la trentesima volta non ti farà più male. Sorrido. A me va benissimo
l’idea di scopare almeno trenta volte con Matt. Anche di più. - Tu dici? Se alla
trentesima volta scopro che mi hai raccontato una storia… - Ho detto dopo la
trentesima. Non avere fretta. Matt si spinge un po’ in
avanti. Grugnisco. Lui mi bacia ancora sul collo e su una guancia. Sto bene
così, sotto di lui che mi schiaccia sul letto, che mi stringe tra le braccia,
che mi infilza con il suo spiedo. E il dolore al culo è meno forte del
piacere che questa presenza mi procura. Matt si ritrae un po’, poi
avanza di nuovo. Il mio gemito è di piacere, certamente non scevro da dolore.
Per un po’ Matt si muove con molta lentezza, dandomi il tempo di abituarmi,
ritraendosi e poi avanzando di nuovo. Poi il suo movimento si fa più intenso
e partiamo per una cavalcata che dal passo diventa un trotto sempre più
sostenuto, fino a un galoppo. Il dolore cresce, è forte, ma il piacere non lo
è di meno e il mio corpo vibra al contatto con le mani di Matt, le sue labbra,
i suoi denti. Quando le spinte diventano
più vigorose, il dolore è troppo forte, ma non dico nulla. Attendo che Matt
completi, con un movimento frenetico, per poi afflosciarsi su di me. Allora,
mentre il suo cazzo riprende dimensioni tollerabili, il dolore si attenua.
Matt mi passa le mani sotto il ventre e le sue dita mi guidano al piacere.
Lancio un urlo quando vengo, con il suo cazzo ancora in culo. È stato bellissimo. Matt si volta sulla
schiena, tenendomi attaccato a lui, e mi abbraccia. Sto bene così, tra queste
braccia vigorose. Nonostante il dolore al culo, sto bene. Ma non so se domani
riuscirò a cavalcare. 2012 |