Vecchio West

 

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Tiro fuori dal taschino l’orologio e lo guardo. Mancano dieci minuti per la rapina in banca. Controllo di avere le pistole, il fazzoletto per coprirmi il viso e il sacco per i soldi. Dalla finestra guardo la strada. C’è un sacco di gente: la rapina è uno dei pezzi forti della giornata, anche se non attira tanta gente quanto la mia impiccagione, che avverrà tra due ore.

Esco dalla camera e scendo a prendere il cavallo. Mi allontano dal paese, raggiungendo il ranch, dove Walt mi sta già aspettando.

Io ghigno e gli dico:

- Pronto a crepare?

- Meglio una pallottola al cuore che la corda al collo.

Alzo le spalle.

- Questione di gusti. Almeno mi viene duro.

Ridiamo tutti e due. Io aggiungo:

- Attento a non romperti una gamba, quando cadi.

Lui appoggia la mano sinistra sull’avambraccio destro e solleva il braccio con il pugno chiuso. Ridiamo di nuovo.

- Dai, andiamo a guadagnarci il pane.

Ci mettiamo i fazzoletti davanti alla bocca, da perfetti banditi western, e sproniamo i cavalli fino al paese. Davanti alla banca, oltre il cordone, la folla è ancora aumentata. Scendo da cavallo, lanciando le redini a Walt, tiro fuori una pistola e irrompo nella banca. C’è un sacco di gente: tre di noi attori, oltre a Ronald, il cassiere, e una ventina di spettatori, quelli che hanno pagato per assistere anche a questa parte dello spettacolo. Gli uomini hanno tutti una giacca e un cappello, le donne indossano un abito più o meno d’epoca, che magari non copre i jeans, ma contribuisce a creare l’atmosfera: all’ingresso chi acquista i biglietti per le scene all’interno riceve in prestito un capo di abbigliamento adatto.

- Fermi tutti! È una rapina! Il primo che si muove è un uomo morto.

Butto a Ronald il sacco.

- Tu, riempi questo. E muoviti, stronzo, o ti faccio secco.

Intanto tengo sotto tiro tutti i presenti. Jim mi dice che sono molto convincente e che sembro proprio un vero rapinatore di banche.

Ronald riempie il sacco di soldi (falsi, se no magari scapperei davvero con il malloppo), mentre io continuo a minacciare lui e qualcuno del pubblico. Oggi c’è una ragazza carina, con i capelli rossi, ed io mi avvicino, ghignando, ma senza perdere d’occhio Ronald e gli altri:

- Magari oggi mi prendo anche questa bella pollastrella, per passare il tempo.

Quando faccio queste battute, la reazione può essere molto diversa. La ragazza di oggi è una sveglia e reagisce nel modo giusto: emette un gridolino e mi supplica di risparmiarla. In realtà a me interesserebbe molto di più il tipo che c’è vicino al banco, un bell’uomo sui quaranta, che sembra un perfetto cow-boy. Quello lo rapirei volentieri.

Intanto Ronald ha riempito il sacco, ma, approfittando della mia apparente distrazione, mentre scambiavo due parole con la ragazza, ha anche preso la pistola. Fa per puntarla, ma io sono più rapido (ovviamente, altrimenti la scena finirebbe lì) e sparo. Ronald grida, si porta le mani al petto, barcolla, mentre la macchia di sangue si allarga: è il solito sacchetto con liquido rosso che si buca quando Ronald lo preme con le mani, ma l’effetto è assicurato. Ronald cade a terra. Nella sala qualcuno ha urlato: la detonazione è forte, sembra che io abbia sparato davvero.

Io afferro il sacco ed esco. Lancio il denaro a Walt e salgo a cavallo, ma Ted, che era dentro la banca, esce con la pistola e spara, colpendo Walt. Walt grida, anche lui si porta le mani al petto e poi cade da cavallo. Walt è un professionista, fa la controfigura nelle scene d’azione dei film e ha lavorato pure a Hollywood, ma io mi chiedo come fa a cadere senza rompersi mai niente. Nella scena dell’attacco al paese vola dal tetto del saloon: io ho sempre paura che si ammazzi, ma lui sembra essere fatto di gomma.

Io intanto sparo a Ted. Lo becco al ventre e Ted barcolla, lasciando cadere le pistole. Porta le mani a coprirsi la ferita. Io sparo di nuovo. Ted cade in ginocchio, mentre le mani che tiene sul ventre si coprono di sangue. Mi insulta.

- Ti impiccheranno, figlio di puttana.

- Crepa, fottuto impiccione.

Sparo per la terza volta e Ted crolla al suolo. Dopo di che sprono il cavallo e scappo via, mentre arriva lo sceriffo.

Fuggo verso il ranch, ma lo sceriffo e i suoi uomini mi raggiungono e mi catturano.

Mi riportano nel paese, nell’ufficio dello sceriffo. Lì mi preparano per l’impiccagione. Mi metto l’imbracatura che mi permetterà di rimanere sospeso senza che il cappio stringa troppo. Mi infilo il sacchetto con l’acqua, per bagnarmi i pantaloni, passando il filo alla cintura: uno dei dettagli che rendono le nostre scene più realistiche e mandano in visibilio il pubblico.

Quando sono pronto, il truccatore mi fa qualche segno sulla faccia, in modo che sembri che mi abbiano menato, poi mi trascinano fuori. C’è il solito pienone: nessuno vuole perdere l’impiccagione del bandito. Credo che molti di loro sarebbero ben contenti di veder impiccare qualcuno sul serio, ma si devono accontentare di me e di qualche altro attore qui a Sand Creek Town.

Non c’è una forca (ma hanno in progetto di costruirne una, nel nuovo ampliamento: le esecuzioni capitali attirano un casino di gente). Due uomini lanciano una corda con il cappio oltre una trave appesa in alto, poi mi passano il cappio intorno al collo. Io mi dibatto, li insulto e mi becco due pugni nello stomaco. Mi piego in due, insultandoli ancora. Loro mi colpiscono di nuovo e io smetto di opporre resistenza. Agganciano la corda con il cappio all’imbracatura, per cui quando mi solleveranno il cappio non si stringerà intorno al mio collo (altrimenti dovrebbero cambiare attore a ogni impiccagione – ma farebbero fatica a trovarne di disponibili), poi stringono bene il cappio: lo fanno davvero, perché altrimenti si vedrebbe che è tutto finto. Devo dire che la pressione del cappio intorno al collo non mi spiace e qualche volta mi provoca davvero un’erezione. Poi mi sollevano e io incomincio a scalciare e ad agitarmi. È una delle scene più impegnative. Devo essere convincente e devo dare spettacolo: il pubblico vuole assistere a una lunga agonia e io gliela regalo. Scalcio disperatamente con grande vigore, alzando le gambe, divaricandole, muovendole in modo scomposto. Continuo a sussultare e ad agitarmi, ma i miei movimenti diventano via via più lenti. Prima che cessino del tutto, tiro il filo attaccato alla cintura, provocando la rottura del sacchetto di acqua: i pantaloni si bagnano e il pubblico pensa che io mi pisci addosso o che venga. Tutti scattano fotografie di questo, che è il momento clou. Poi smetto del tutto di agitarmi: appena qualche sussulto. Due uomini mi afferrano per le gambe e tirano con forza. In realtà non possono tendere la corda più di quanto non sia già tesa. Io ho un ultimo sussulto e rimango immobile, la lingua che sporge tra i denti, un po’ di saliva che cola. Mi dicono tutti che come cadavere sono perfetto.

Mi lasciano appeso a lungo. Non è comodissimo rimanere così, ma la gente vuole vedere. Dopo un po’ finalmente mi depositano a terra e portano via il mio cadavere. Jack, che è sempre bene informato, dice che meditano di creare qualche nuova scena: ad esempio mettere in mostra i cadaveri degli impiccati e dei vari morti ammazzati in una sala (dal becchino-barbiere), magari nudi, con solo un telo addosso a coprire i genitali. Non so se realizzeranno queste idee, ma non mi stupirebbe: la fortuna di Sand Creek Town è nata proprio dall’aver proposto alcune scene che vanno molto oltre quello che di solito si fa in questi parchi a tema.

Al saloon ad esempio c’è Matt, che fa il bagno in una tinozza il mattino. Esce nudo dalla sua camera, l’asciugamano su una spalla e la sua attrezzatura da cavallo bene in vista. Saluta chi passa, se c’è qualche bella ragazza le chiede se ha voglia di fare il bagno con lui. Poi si mette nella tinozza e ci rimane per un’oretta, insultando la gente che passa e lo guarda. Ogni tanto prende la pistola e si alza dal catino, minacciando i visitatori con l’arma, mentre con la sinistra si gratta le palle gocciolanti, e coprendoli di improperi. C’è gente che passa quattro o cinque volte, nella speranza che si alzi e si faccia vedere.

A Sand Creek Town c’è anche il bordello, solo per maggiorenni e con biglietto d’ingresso a parte, dove si possono vedere donne discinte, che si strusciano contro i visitatori maschi, con la maîtresse che dice le tariffe e fa battute sconce. Si può spiare attraverso alcuni buchi nelle pareti e vedere qualche donna nuda o qualche scopata in costume (sono solo filmati), mentre oltre le porte delle camere si sentono gemiti e sospiri.

Io ho concluso. Questa mattina ho fatto il duello, in cui ho ucciso il mio rivale, poi ho partecipato alla rissa al saloon, ho fatto la partita a poker che si è conclusa con un morto e adesso, dopo la rapina in banca e l’impiccagione, posso riposarmi. Dal locale sul retro del negozio del barbiere-becchino, dove hanno portato il mio cadavere, passo nell’albergo, dove al secondo piano, non accessibile per i visitatori, ci sono gli spogliatoi. Dal retro raggiungo l’edificio in cui dormiamo. Chi abita nei dintorni, quando ha finito torna a casa. Chi, come me, Matt e Walt, sta in altri stati, dorme nelle stanze messe a disposizione dall’impresa. C’è anche un angolo cucina in cui possiamo farci da mangiare.

Io ho la camera di fianco a quella di Matt, che in questo momento sta prendendo il sole nudo sul terrazzino che abbiamo in comune. Anche lui ha finito: nel pomeriggio ha fatto il tiro a segno, colpendo dieci bottiglie con dieci colpi (è un tiratore fantastico) e adesso è lì disteso, con gli occhi chiusi. È una gran bella vista. Ha una decina d’anni più di me, un corpo robusto, una pelliccia bella fitta nei punti giusti ed esibisce generosamente la sua merce quanto mai appetitosa. Ma nulla nel suo comportamento mi fa pensare che possa essere gay anche lui, per cui non mi sono mai fatto avanti. Nell’ambiente di lavoro è meglio non provarci, per evitare complicazioni.

Matt si accorge della mia presenza e mi dice, senza aprire gli occhi:

- Che hai da guardare, pezzo di merda?

Il tono è durissimo, ma conosco abbastanza Matt da capire che è solo una battuta di quelle che spara ai visitatori. Abbiamo un buon rapporto, di stima reciproca.

Gli rispondo:

- Hai ragione, non c’è proprio niente da vedere.

Lui inarca le sopracciglia, apre gli occhi, mi guarda in faccia e dice:

- Hai la faccia come il culo. Domani uso te per il tiro a segno, invece delle bottiglie.

- Non so se su dieci colpi ne metti a segno uno.

- Forse no perché prima che io abbia tirato fuori la pistola, tu sei già schiattato di paura dopo esserti cagato addosso.

- Guarda che mi impiccano tutti i giorni e non mi hanno mai sentito chiedere pietà.

- Uno di questi giorni ti impicco io e ti avviso che è inutile chiedere pietà.

Rido, rientro in camera e mi stendo una mezz’ora. Poi controllo la posta, chatto con un amico e infine la fame mi spinge a muovermi. Volendo, potrei cenare gratis alla taverna del villaggio, ma significa rivestirsi da cow-boy e recitare la parte. Lo faccio ogni tanto, ma questa sera non ne ho voglia, per cui preferisco prendere l’auto e andare in città. Potrei anche mangiare un boccone nella stanza, ma questa sera scelgo il ristorante. Come spesso succede, qualcuno mi riconosce e si avvicina per salutarmi. A volte mi attaccano dei bottoni terribili, ma questa sera il tizio si congratula con me per quanto sono bravo a rapinare banche e morire impiccato e poi se ne va.

Dopo cena mi rilasso e avrei voglia di andare a caccia, ma per trovare un locale gay dovrei fare almeno cento miglia e non mi va. Vado un po’ a spasso, sperando di incrociare qualcun altro che abbia la mia stessa voglia, ma non colgo nessun segnale, per cui alla fine rinuncio e torno a casa.

 

Altra giornata. Si ricomincia.

Questa volta il duello è a quattro. Siamo io e Walt che uccidiamo i due rivali: il copione cambia, in cicli di tre giorni. Se qualche visitatore decide di fermarsi un po’ di più e di ritornare perché le scene del giorno prima gli sono piaciute, può assistere a qualche cosa di un po’ diverso. Così questa volta dopo il duello ammazzo anche un vicesceriffo che cerca di fermarmi, prima di scomparire.

Poi torno a giocare al saloon: questa volta sono io che devo fare secco il tizio che mi scopre mentre baro (rapinatore di banche, assassino, baro, anche rapitore di fanciulle: sono proprio un emerito figlio di puttana qui a Sand Creek Town).

Nel saloon rivedo il tipo che ho notato in banca il giorno prima. Evidentemente lui è uno di quelli che tornano il giorno dopo. È vestito in modo impeccabile: sembra un vero cow-boy, con tanto di cinturone e pistole d’epoca. Dev’essere un patito. Questa volta i nostri sguardi si incrociano e lui sorride. Io faccio una smorfia che è in carattere con il mio personaggio.

La partita a poker incomincia. Io a un certo punto tiro fuori un asso dalla manica. Lou mi afferra il polso della sinistra e mi insulta, ma io estraggo la pistola con la destra e sparo, tenendo l’arma sotto il tavolo. La detonazione è assordante. Lou porta le mani al ventre, facendo rompere il sacchetto con il liquido rosso. Cade a terra, contorcendosi. Io intanto mi sono alzato e con le due pistole spianate mi faccio strada verso l’uscita, dopo aver messo in tasca i soldi che erano sul tavolo. Nessuno si muove. Qualche visitatore commenta. Passo vicino al tipo che mi ha salutato e gli punto la pistola tra gli occhi.

- Non ti muovere, se ci tieni alla pelle.

Lui mi fissa, senza abbassare gli occhi, senza sorridere.

Poi esco, salgo a cavallo e galoppo via. Tornerò più tardi per la rapina alla banca e l’impiccagione.

Tutto si svolge come previsto. Il tipo è di nuovo in banca. Questa volta lo fisso in modo minaccioso.

Dopo che sono stato catturato, è il turno dell’impiccagione. Anche qui ci sono alcuni cambiamenti: oggi non mi legano le mani dietro la schiena, per cui mi dibatto a lungo cercando di allentare il laccio o di sospendermi alla corda con un braccio. Tutti guardano la mia agonia, i miei disperati tentativi di liberarmi. Infine lo sceriffo tira fuori la pistola e avanza. Al primo colpo mi porto le mani al torace, poi al ventre. Il liquido rosso si diffonde sui miei abiti e dopo altri tre colpi i miei movimenti rallentano fino a cessare del tutto. Rimango inerte, finché mi calano.

Salgo a togliermi l’imbracatura e a cambiarmi, poi scendo. Mi dico che questa sera andrò a caccia: ho fame, fame di carne, ma non di quella cucinata. Apro la porta sul retro dell’albergo per andare nella mia stanza e mi trovo davanti il tizio che c’era in banca ieri e oggi e al saloon (e in prima fila all’impiccagione).

Mi sorride e mi dice:

- Ho detto che volevo un autografo dell’attore e mi hanno suggerito di aspettare qui.

Questo vuole un mio autografo come io voglio il trono d’Inghilterra, ma non mi spiace vederlo qui. Non so che cosa abbia in testa, ma se per caso fosse interessato a una cavalcata, di quelle in cui uno dei due fa il cavallo, io ci sto. Uno così, più alto di me di quattro dita, spalle larghe, forte, con qualche anno in meno, be’, uno così mi fa venire l’acquolina in bocca.

- Hai una penna?

Ho dato alla frase un’intonazione ironica, in modo che lui capisca che ho mangiato la foglia. Il suo sorriso si allarga:

- Temo di averla lasciata in auto, ma se vieni con me… oppure se andiamo da te…

- Vieni da me. Tanto ho una camera qui dietro.

E mentre mi avvio, gli dico:

- Io mi chiamo Clint.

- Come Eastwood? Cazzo! Il destino nel nome. Io sono Ethan.

Poi aggiunge:

- Così vivete qui, durante la stagione?

Incomincia a chiedere e io gli rispondo volentieri: non mi dispiace conoscere un po’ un uomo con cui sto per scopare. Lui è davvero curioso e mi fa diverse domande sulla nostra sistemazione, il contratto, la paga, scusandosi per l’invadenza. Comincio a temere di essermi fatto delle illusioni: magari vuole davvero solo conoscere meglio come funzionano le cose qui. Ce ne sono che vogliono sapere tutto. Una volta ne ho trovato uno che credeva che vivessimo davvero come cow-boy dell’Ottocento e mi chiedeva persino com’erano i cessi. Questo sembra più sveglio.

Adesso che siamo in camera, gli offro da bere e lo invito a sedersi. Prendo anch’io una birra (non ho altro) e una sedia.

Parliamo ancora del vecchio West e dei trucchi di Sand Creek Town. Potrebbe essere una normale chiacchierata tra un appassionato del periodo storico e un attore che sette mesi l’anno vive e lavora in una finta cittadina del West. Ma c’è nel suo sorriso, nel modo in cui mi fissa, un chiaro ammiccamento e so che finiremo presto a letto.

- Da come parli, si direbbe che sei davvero un esperto del Far West.

- Sì, è sempre stata la mia passione, fin da quando da piccolo mi facevo le seghe sui fumetti western.

Rido.

- E vedo che sei vestito come un perfetto cow-boy.

- Se vengo in una cittadina del vecchio West devo essere in tono, no?

- Fossero tutti come te, l’impresa risparmierebbe un sacco di soldi per le comparse.

Annuisce.

- Era un bel periodo, di uomini forti e rudi.

- Non so se conducevano una bella vita.

- Comoda no, però vera, a contatto con un ambiente selvaggio, sfidando pericoli di ogni tipo.

- Ti sarebbe piaciuto vivere allora?

- Credo di sì.

- Guarda che era facile morire giovani…

- Forse, ma era un mondo di veri uomini. Come il personaggio che tu interpreti. Mi piace un casino.

- Un vero figlio di puttana.

- Senza dubbio. Sei così anche nella realtà?

Rido di nuovo.

- Secondo te?

- Secondo me no, hai l’aria di un bravo ragazzo. Peccato.

- Peccato? Preferiresti che tirassi fuori la pistola e ti facessi secco?

Questa volta è lui a ridere.

- No, anche se un bel duello… Affrontarti nella via…

Si direbbe che l’idea lo stuzzichi, ma cambia subito argomento:

- Credo che mi piacerebbe lavorare qui.

Cerca un lavoro? Mi ha contattato per questo? Non so perché, ma ho la sensazione che voglia altro, oltre alla scopata che si annuncia.

- Puoi fare domanda per l’anno prossimo: c’è sempre un certo ricambio. Ma è tutto finto.

Annuisce.

- C’è poco sesso, però, per essere realistico.

Sorrido, stando al gioco.

- Ce n’è di più che negli altri villaggi di questo tipo, se vai al bordello.

- Sai benissimo anche tu che in questi villaggi di frontiera dove c’erano poche donne, non tutti gli uomini andavano a puttane.

Potrei chiedergli che cosa facevano, ma non vedo perché dovrei fare il finto tonto.

- Certo, molti non si facevano problemi a scopare tra di loro, come Butch Cassidy e Sundance Kid, anche se magari non lo dicevano in giro.

- Queste scene mancano. Bisogna farne una, no? Che ne dici?

- Se proprio ci tieni, solo perché voglio conoscere meglio il vecchio West, per interpretare bene la mia parte.

- Ti insegno che cosa facevano.

Si alza, si toglie la giacca e la camicia e le posa sulla sedia. Poi si risiede e si sfila gli stivali. Io preferirei spogliarlo ed essere spogliato da lui, ma lui non sembra interessato e allora incomincio a togliermi gli abiti anch’io, mentre lui conclude il suo spogliarello. Il tipo mi piace, davvero, e sono contento che abbia deciso di farsi avanti. Ha un bel corpo, forte, come piacciono a me. Meno pelo di Matt (peccato), ma in discreta quantità intorno ai capezzoli e sul ventre. Mani possenti, braccia vigorose, spalle larghe: si vede che va in palestra. Bel cazzo, anche se devo ammettere che essendo affamato il mio parere può non essere obiettivo. Insomma: una gran bella vista.

Anche lui mi ha guardato ben bene e direi che il risultato dell’osservazione non gli sembra così negativo, perché il cazzo gli si sta tendendo. Anche a me.

- Vediamo come scopano i banditi.

E dicendo questo si stende sul letto. Mi aspettavo che fosse lui a fottermi: io preferisco la parte del cavallo a quella del cavaliere. Ma sono versatile, ho fame e questo bel culo che mi si offre di certo non fa schifo né a me, né al mio cazzo, che è già quasi pronto all’uso.

Prendo il preservativo dal cassetto. Scherzo:

- Questo non credo che lo usassero…

- Per me possiamo farne a meno.

La risposta di Ethan mi spiazza, ma proprio perché mi dice che potrebbe farne a meno, non intendo rinunciare ad usarlo: non rischio la pelle per una scopata.

- Preferisco essere prudente.

Mi infilo il preservativo e mi stendo sul letto. Gli mordo il culo. Mi piace questo culo, muscoloso, forte, abbastanza peloso. Lui mugola. Io mordo ancora.

Avvicino il cazzo all’apertura. Ethan dice:

- Vai deciso. A quei tempi non si preoccupavano per un po’ di dolore fisico. Erano davvero uomini.

Sono un po’ perplesso. Non sto recitando ora. Ma se Ethan vuole che gli faccia un po’ male, perché no? E se gli fa piacere immaginarsi in un film western, va bene anche questo. Non mi spiace giocare un po’, quando scopo, anche se di solito non recito.

- Bene, adesso te lo prendi in culo.

E mentre lo dico spingo, abbastanza deciso da fargli un po’ male, come mi dice il verso che emette. Non troppo però, almeno spero.

Mi do da fare e cavalco con energia, spingendo a fondo e ritraendomi, fino a che il cazzo quasi non esce dal suo culo. Ethan non dice nulla, si limita a emettere una specie di grugnito quando spingo a fondo. Di solito mi piace accarezzare e baciare, ma mi rendo conto che a Ethan non interessa e allora mi concentro sul mio cazzo che entra ed esce, sulla tensione che sale dentro di me, sul piacere che cresce, sul calore di questo culo, sul corpo che stringo. E infine la tensione diventa intollerabile ed esplode, mentre spingo violentemente, senza pensare a nulla, se non al piacere che dal cazzo si diffonde a tutto il corpo, schiantandomi. Mi abbandono sul corpo di Ethan.

 

Volevo andare a caccia e invece ho fatto la preda, volevo fare il cavallo e ho fatto il cavaliere. Ma sono soddisfatto, perché questo tizio mi piace. Vorrei andare a cena con lui e magari fare un bis dopo aver mangiato: non mi dispiacerebbe che ci scambiassimo le parti. Ma non voglio sembrare troppo appiccicoso: mi hanno già fatto notare che aver scopato insieme non significa essere disponibili a condividere altro. Isaac dice che sono un vecchio romantico, che vorrebbe mettere su famiglia. Ho il netto sospetto che Isaac abbia ragione (non sul vecchio: a trentasei anni non mi considero ancora tale).

- La cavalcata mi ha messo appetito. Che ne diresti di andare a mangiare un boccone?

Lui sembra incerto.

- Dobbiamo proprio rivestirci e uscire?

- Se ti accontenti possiamo mangiare qui. Ho un po’ di provviste in frigo.

Mangiamo e chiacchieriamo ancora un po’. Ethan continua a fare domande e mi chiedo se il suo interesse principale non sia davvero il funzionamento di Sand Creek Town. Diciamo che mi ha puntato perché ho una parte importante qui, altrimenti non si sarebbe nemmeno accorto che esisto.

Direi che del West sa proprio tutto e infatti ha da ridire su diversi dettagli dell’ambientazione. Ascoltandolo, mi rendo conto che ha ragione: la ricostruzione è approssimativa, perché presenta elementi di periodi diversi. A me non sembra un gran problema se la borsa di Mary è degli anni ’70 dell’Ottocento e il saloon potrebbe risalire a vent’anni dopo, ma Ethan è di una pignoleria pari solo alla sua immensa cultura sul West. Allora gli dico:

- Potresti fare il consulente, qui. Se racconti le cose che hai notato, licenziano il responsabile e ti assumono.

Ethan alza le spalle.

- Non intendo far licenziare nessuno. Piuttosto, parlami ancora dell’impiccagione.

- Che vuoi che ti dica? Sai già tutto. Hai visto come avviene.

- L’imbracatura. Com’è?

- È un insieme di cinghie che forma una specie di gabbia, per sostenere il corpo senza premere troppo in nessun punto.

Rimane un po’ perplesso.

- È possibile vederla? Ce l’hai qui?

- No, me la tolgo nel camerino. Poi Fred, che sistema il villaggio la sera, la porta nell’ufficio dello sceriffo, dove me la metto il giorno dopo.

- Mi incuriosisce.

Ha un sorriso beffardo. Aggiunge:

- Perché non me la fai provare?

Sono perplesso.

- Non so se è possibile. Potrebbero fare storie, se ci vedessero.

- Aspettiamo ancora un momento e poi andiamo. Non ci vede nessuno. C’è un guardiano notturno?

- Sì, Fred.

- Va in giro a controllare?

- No, se ne sta sempre nella sua casetta, all’ingresso. Non fa certo giri di perlustrazione: non c’è nulla da rubare, qui.

Così combiniamo di andare tra un’oretta, quando siamo sicuri che non ci sia più nessuno. Io avrei un’idea su come passare il tempo che manca, ma Ethan dice che preferisce fare il bis dopo, magari in paese, nell’ufficio dello sceriffo, vestiti di tutto punto. L’idea lo eccita.

Continua a chiedermi e si informa anche sulla mia carriera come attore. Non è stata una grande carriera, devo dire, anche se in questi anni ho sempre lavorato, con parti secondarie. Ho interpretato diversi film western. Ethan li ha visti, ma si ricorda di me solo in alcuni: negli altri, soprattutto nei primi, facevo solo una breve apparizione.

Il lavoro qui a Sand Creek Town è una bella comodità, perché mi garantisce un buon reddito, sufficiente per tutto l’anno, anche se la cittadina è aperta solo sette mesi. Negli altri cerco di girare sempre almeno un film o due. Finisco dicendogli:

- E di certo un giorno sarò il protagonista di un grande film western.

- Certo, un bandito che viene impiccato dallo sceriffo. Mi offro come sceriffo.

Ridiamo tutti e due.

 

Quando infine sono sicuro che Fred sia davanti al televisore a casa sua, ci vestiamo e raggiungiamo l’albergo, dove io mi cambio, e poi entriamo nell’ufficio dello sceriffo. La porta sul retro è sempre aperta.

Ethan accende una lampada a petrolio. Lo vedo osservare affascinato l’imbracatura.

Poi si spoglia e se la mette. Quando si è rivestito annuisce, soddisfatto.

- Adesso mi impicchi.

- Va bene.

Usciamo sulla strada. Sono stato impiccato tante di quelle volte che so benissimo come si fa, anche se sono sempre stato all’estremità sbagliata della corda. Gli faccio vedere il nodo scorsoio che in realtà non è scorsoio.

- Il cappio è bloccato da questo gancio: in ogni caso non può stringersi più di così. Per quanto mi agiti, non rischio di stringere la corda più di tanto.

Ethan annuisce.

- Legami le mani, però.

Gliele lego dietro la schiena, poi chiedo:

- Sei pronto?

- Certo. Un po’ di colore, adesso. Entriamo nella parte.

- Va bene.

Gli metto il cappio intorno al collo e gli dico:

- Stai per crepare, figlio di puttana. E non sarà una morte rapida.

- Spero che ti fottano presto, bastardo.

Stringo il cappio tirando, fino al punto in cui si blocca. Ethan ha un leggero sussulto. La sensazione della corda che stringe la gola è forte e se uno non l’ha mai provata, fa davvero un effetto notevole. La prima volta ho avuto un’erezione quasi immediata.

Fisso il gancio all’anello dell’imbracatura e tiro la corda. Ethan è pesante, ma io ho un buon allenamento e lo sollevo quanto basta. Poi lego la corda. Ethan rimane un momento immobile, poi si agita e scalcia, a lungo.

Io mi accendo un sigaro e ghigno, mentre lo guardo.

- È un piacere vederti crepare.

Lui si agita ancora un po’, poi i movimenti rallentano e rimane immobile. Tutto sommato potrebbe prendere il mio posto, con un po’ di allenamento.

Lo calo.

- Allora, che ne dici?

- Una sensazione niente male. Anche se è fasullo.

- Sand Creek Town è tutta fasulla. È il regno dell’illusione.

Ethan si accarezza il collo, poi allenta il cappio e io glielo tolgo.

- Senti, mi permetti di impiccarti?

Non so perché, ma l’idea non mi piace.

- Mi hai già visto impiccato. Ieri e oggi.

- Eddai, me lo fa venire duro. Già adesso…

Mi prende la mano e l’appoggia sulla sua patta. In effetti ce l’ha mezzo duro.

Prosegue:

- Ti impicco, ti calo e poi scopiamo, qui, mentre hai ancora la corda al collo.

Mi rassegno, senza entusiasmo.

Ci spogliamo tutti e due, lui per togliersi l’imbracatura, io per mettermela.

Poi mi rivesto. Alla luce della lampada, poggiata a terra, il viso di Ethan appare spettrale. E di colpo mi sento inquieto.

- È proprio necessario?

- Certo che lo è!

Ethan mi lega le mani dietro la schiena.

- Non stringere tanto!

- Le cose si fanno sul serio.

C’è una nota diversa nella sua voce e di colpo mi rendo conto che non voglio farlo, che questa faccenda non mi piace.

- Lascia stare, Ethan. Slegami, mi è passata la voglia.

Ethan non risponde. Ignora la mia richiesta e intanto prende il cappio. Me lo infila intorno al collo. Poi armeggia con la corda.

- Ethan, lasciamo stare questa pagliacciata.

- Non è una pagliacciata, questa.

La voce è dura, ostile, con una sfumatura di ferocia.

- È ora di fare sul serio, Clint. Di morire da uomini.

- Ethan, non scherzare!

So benissimo che non sta scherzando. Lo capisco dal tono della sua voce. Ma voglio credere che sia uno scherzo. Perché ormai ho le mani legate dietro la schiena e il cappio al collo e, se non è un gioco, io sono fottuto.

Ethan tira la corda con forza, stringendola intorno al mio collo.

- Cazzo!

Respiro a fatica.

Passa davanti a me. In mano ha il blocco che ha tolto dal cappio.

- Come vedi, non è uno scherzo, Clint. È un’impiccagione vera e questa volta se vieni o ti pisci addosso, non è un trucco.

Ride e la sua risata mi trasmette un brivido.

- Ethan! Che cazzo fai?

- Sei pronto?

Ride di nuovo.

- Ma perché? Perché? Che senso ha?

Cerco disperatamente di capire, per trovare un appiglio, una via d’uscita da questa situazione. Non voglio farmi impiccare da uno psicopatico.

Ethan afferra la corda. Io grido:

- Aiuto! Aiuto!

Nessuno verrà, lo so. Fred guarda la televisione e la sua casa è all’ingresso del paese, troppo lontano perché possa sentire.

Un’ondata di puro terrore mi travolge. Non voglio morire così!

Ethan tira la corda con forza e il cappio mi stringe il collo, spegnendo la mia voce. La pressione della corda mi impedisce di respirare. Mi sento sollevare in aria. Penso che sto per morire.

- Lascialo o sparo.

La voce è quella di Matt. Ethan molla la corda, io finisco a terra. Vedo Matt uscire dall’ombra, le pistole puntate.

- Tieni le mani in alto.

Ethan risponde, mentre abbassa le mani:

- Stavo scherzando. Volevo solo fargli prendere uno spavento.

Non è così, lo so benissimo. Vorrei dirlo a Matt, ma il cappio mi stringe ancora il collo e sto ansimando, mentre cerco di recuperare il fiato.

Ethan fissa Matt, che lo avverte:

- Non cercare di prendere le pistole, stronzo, o ti riempio di piombo.

Ethan sa bene come spara Matt, ma con un movimento rapidissimo estrae le pistole e fa per sparare. Matt è più rapido: lo sparo lacera l’aria, facendomi sussultare. Ethan lancia un urlo e le pistole gli cadono a terra. Si porta le mani al petto, barcolla e poi cade in ginocchio, con una bestemmia. Infine crolla disteso.

Matt si avvicina. Con due calci allontana le pistole di Ethan dalle sue mani. Poi mi allenta la corda.

- Tutto a posto, Clint?

Annuisco, poi dico:

- Sì. Non ha fatto in tempo… grazie, Matt. Mi hai salvato la vita.

Matt chiama l’ambulanza e la polizia.

 

Alla centrale di polizia rimaniamo oltre due ore. Io riferisco quello che è successo, ma sorvolo sul fatto che abbiamo scopato. Matt racconta che è uscito dalla residenza perché aveva voglia di fare due passi e che ci ha visti. Ha sospettato che ci fosse qualche cosa di losco ed è rimasto a guardare. Meno male che non se n’è andato.

I poliziotti sono piuttosto perplessi: non capiscono che cosa può aver spinto Ethan a cercare di uccidermi. Non lo capisco neanch’io e mi rendo perfettamente conto che l’intera storia appare poco credibile. Ma lavoriamo qui e gli agenti conoscono benissimo me e Matt: hanno portato tutti e due le famiglie e Sand Creek Town, in più d’una occasione. Perciò non mettono in dubbio la nostra versione dell’accaduto. Faranno le indagini su Ethan, frugheranno nel suo passato e cercheranno di capire le sue motivazioni. Intanto io e Matt di certo non scapperemo.

 

È molto tardi quando usciamo dalla stazione di polizia, ma non ho sonno. Sono ancora teso. Essere impiccato sul serio, anche solo per pochi secondi, non è un’esperienza gradevole.

Ethan è all’ospedale. Credo che lo stiano operando. Per quel che mi riguarda, può benissimo crepare. Abbiamo dovuto contattare anche George, il responsabile di Sand Creek Town, tirandolo giù dal letto. Non se l’è presa con me: ha detto che la faccenda servirà come pubblicità. Domani (cioè oggi) metterà al lavoro lo staff che si occupa della propaganda.

Mentre torniamo alla nostra residenza, nell’auto di Matt, dico:

- Grazie Matt. Sono molto contento che tu abbia deciso di sgranchirti le gambe qualche ora fa.

- Non ho deciso di sgranchirmi le gambe, come dici tu. Vi ho seguiti perché quel tipo non mi convinceva.

- L’avevi visto?

- Certo, era da te.

- Ma… come…

Matt sghignazza e dice:

- Clint, forse non te ne rendi conto, ma sei alquanto rumoroso quando scopi. Se non vuoi farti sentire, chiudi la porta che dà sul terrazzino, no? Prima ho sentito le voci. Poi i rumori, che sembravano promettere bene. Allora sono uscito a vedere che succedeva. Devo dire che hai un bel culo, Clint.

- Ma… ci hai spiato?

Matt alza le spalle.

- Ho dato un’occhiata… solo per quella mezz’ora che avete scopato.

- Sei… sei…

Matt mi guarda, inarcando le sopracciglia.

- Sì?

Scuoto la testa, senza parole.

- Da te non me lo sarei mai aspettato.

- E perché?

Non riesco proprio a dare una risposta. Bofonchio:

- Ti credevo una persona seria.

- Anch’io ti credevo una persona seria, magari pure etero, per quello non ci ho mai provato con te. Ma nella vita ogni tanto bisogna ricredersi.

Matt ha parcheggiato davanti alla residenza. Lo guardo.

- Matt…

Lui si volta verso di me.

Rimaniamo un attimo a guardarci, anche se ci vediamo appena, perché il parcheggio è poco illuminato.

Matt mi prende la testa tra le sue mani e l’avvicina alla sua. Mi bacia. Io schiudo le labbra, ma Matt si stacca e dice:

- Questo me lo sono preso come ringraziamento per averti salvato la pelle. Adesso a nanna.

E intanto scende. Io lo imito e, mentre chiudo la portiera, gli dico:

- Tutto lì il ringraziamento? Ti accontenti di poco.

- Non sono esoso. Ma se hai paura di dormire da solo, posso tenerti compagnia.

- Mi sembra una buona idea. Ho sempre desiderato avere una guardia del corpo.

Saliamo in camera mia. Appena entrati Matt mi spinge contro la porta, si appoggia su di me e mi bacia, infilandomi la lingua in bocca. La sua lingua avanza decisa, poi si ritrae e i suoi denti mi mordicchiano il labbro inferiore. Quando Matt si stacca, mi dice:

 - Come guardia del corpo, pretendo un pagamento anticipato.

E intanto le sue mani mi stanno spogliando. Mi piace sentire le sue mani forti sulla pelle. Mi piace quando mi stringe con forza e mi accarezza con delicatezza. Mi piace quando riprende a baciarmi.

Adesso sono in camicia, con l’imbracatura.

Mentre Matt cerca di capire come slacciarla, io ne approfitto per baciarlo sulla bocca e incominciare a spogliarlo. Le mie mani gli sfilano la giacca, la camicia, accarezzano la pelle, si perdono tra la peluria, si infilano nei pantaloni per raggiungere gli slip, ma trovano ciò che cercano senza bisogno di scendere molto. Le mie dita non riescono a chiudersi intorno al pezzo di carne vigoroso che ora stringono. Bacio ancora Matt, mentre le mie dita palpeggiano quel ben di Dio. Quelle di Matt hanno lasciato perdere l’imbracatura e stringono con forza il mio culo.

E poi riprendiamo a spogliarci a vicenda. Matt capisce come liberarmi dall’imbracatura e ora siamo tutti e due nudi, avvinghiati, che ci baciamo, ci accarezziamo, ci lecchiamo, ci mordicchiamo.

Poi Matt sussurra:

- Che cosa vuoi fare?

Sono contento che me l’abbia chiesto. Gli stringo con le dita il cazzo, così deliziosamente caldo e grosso, e dico:

- A me piacerebbe molto gustarlo in bocca e in culo…

Il suo sorriso mi dice che anche a lui piace l’idea.

- …ma temo che mi slogherò la mascella e non sono sicuro di farcela a reggerlo.

Matt sorride.

- Vado a prendere la crema lubrificante, così poi siamo pronti.

Mi chiedo se intenda uscire così, il cazzo perfettamente in tiro, nel corridoio, ma apre la porta del balcone e passa di lì in camera sua (evidentemente ha lasciato aperta la porta che dà sul terrazzo). Ritorna con una confezione di crema formato extra.

- Ne fai un uso industriale, eh? Secondo me con quella roba che ti ritrovi tra le gambe, metà del tuo stipendio va in lubrificante.

Matt ghigna.

- No, non scopo così spesso. Solo quando c’è qualcuno che vale davvero la pena di portarsi a letto. Uno come Ethan manco lo prendo in considerazione. Non ho cattivo gusto come te.

Le sue parole mi fanno piacere, anche se so benissimo di non essere un apollo. Sorrido:

- Mi sento onorato.

- Non montarti la testa. Sono mesi che non scopo, sarà per quello che sono meno esigente del solito.

E mentre lo dice mi bacia di nuovo, soffocando la mia risposta.

Io scivolo lentamente in ginocchio, senza staccare le mani dal suo corpo. Ora con le dita gli stringo il culo e ho davanti agli occhi il più bel cazzo che abbia mai visto in vita mai. È davvero uno spettacolo vederlo, teso allo spasimo, che gli batte contro il ventre. Apro la bocca e l’avvicino. Lo bacio, poi lo percorro con la lingua, fino alla cappella.

Inghiottirla non è davvero comodo: è troppo grossa. Invece leccarla e far scorrere la lingua lungo tutto il cazzo, mordicchiarlo, stuzzicare i coglioni con le punte delle dita e accarezzarli con la lingua, che goduria! Matt mi accarezza la testa, si china per far scendere le mani sulla schiena, mi incita con parole oscene.

Lavoro un bel po’, ammaliato, finché Matt mi dice:

- Ora basta. Se vuoi che te lo metta in culo, fermati. Altrimenti ti vengo in bocca.

Un po’ a malincuore lascio la mia preda e fisso il cazzo, umido di saliva, rigido come un blocco di marmo e caldo come il pane appena sfornato.

Matt si china sulla giacca che ha appoggiato sulla sedia e dalla tasca tira fuori dei preservativi. Non ho mai visto quella marca, ma non significa molto.

Scherzo:

- Riesci a trovare i preservativi della dimensione adatta? Li prendi in un negozio specializzato per tori e cavalli?

Matt ghigna. Io in realtà sono spaventato, per quanto abbia l’acquolina in bocca. Deglutisco. Ho la gola secca. Mi dico che non ce la farò a prendermelo in culo. Matt lo capisce. Mi solleva, mi bacia e mi sussurra:

- Se ti faccio troppo male, dimmelo e mi fermo.

Gli sono grato di questa attenzione.

Con dolcezza Matt mi guida a stendermi sul letto, le gambe a terra. Poi incomincia a mordermi il culo, con morsi decisi che devono lasciare il segno. Dopo un po’ inizia a passare la lingua lungo il solco, più e più volte, e io gemo, mentre mi abbandono all’ondata di piacere che mi investe.

Poi le mani afferrano le natiche e stringono, tanto da farmi male. Le sue dita stuzzicano l’apertura, poi si allontanano e ritornano, umide. Un dito scivola dentro, scorre lungo l’anello di carne, spalmando la crema. Poi esce e ritorna. Ripete più volte il lavoro: credo che il mio buco non sia mai stato lubrificato come oggi, ma di certo non ha mai affrontato un palo come quello che lo aspetta.

Matt si stende su di me, mi bacia su una guancia, mi morde un orecchio, poi accosta la cappella al buco e lentamente scivola dentro.

Per quanto si muova con delicatezza, fa male, fa davvero male.

- Vuoi che smetta?

Gli dico:

- Esci un attimo.

Lui si ritira e io riprendo fiato.

Ironizzo:

- Capisco perché non scopi spesso…

Le sue grosse mani mi accarezzano.

- Si può fare in tanti modi. Non è necessario che te lo metta dentro, Clint.

- No, riprendiamo. Devo solo abituarmi. Penserò di essere un capitano veneziano impalato dai Turchi.

Matt ride.

Di nuovo avvicina il cazzo al buco e spinge, con lentezza. Sento che l’apertura si dilata e accolgo, con fatica e piacere, l’ospite tanto gradito quanto ingombrante.

Dopo un po’ Matt si ferma.

- Come va?

- Mi sto abituando. Non male.

- È solo una questione di abitudine. Dopo la trentesima volta non ti farà più male.

Sorrido. A me va benissimo l’idea di scopare almeno trenta volte con Matt. Anche di più.

- Tu dici? Se alla trentesima volta scopro che mi hai raccontato una storia…

- Ho detto dopo la trentesima. Non avere fretta.

Matt si spinge un po’ in avanti. Grugnisco. Lui mi bacia ancora sul collo e su una guancia. Sto bene così, sotto di lui che mi schiaccia sul letto, che mi stringe tra le braccia, che mi infilza con il suo spiedo. E il dolore al culo è meno forte del piacere che questa presenza mi procura.

Matt si ritrae un po’, poi avanza di nuovo. Il mio gemito è di piacere, certamente non scevro da dolore. Per un po’ Matt si muove con molta lentezza, dandomi il tempo di abituarmi, ritraendosi e poi avanzando di nuovo. Poi il suo movimento si fa più intenso e partiamo per una cavalcata che dal passo diventa un trotto sempre più sostenuto, fino a un galoppo. Il dolore cresce, è forte, ma il piacere non lo è di meno e il mio corpo vibra al contatto con le mani di Matt, le sue labbra, i suoi denti.

Quando le spinte diventano più vigorose, il dolore è troppo forte, ma non dico nulla. Attendo che Matt completi, con un movimento frenetico, per poi afflosciarsi su di me. Allora, mentre il suo cazzo riprende dimensioni tollerabili, il dolore si attenua. Matt mi passa le mani sotto il ventre e le sue dita mi guidano al piacere. Lancio un urlo quando vengo, con il suo cazzo ancora in culo.

È stato bellissimo.

Matt si volta sulla schiena, tenendomi attaccato a lui, e mi abbraccia.

Sto bene così, tra queste braccia vigorose. Nonostante il dolore al culo, sto bene.

Ma non so se domani riuscirò a cavalcare.

 

2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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