Tre volte

 

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Nascosto tra le foglie degli alberi, Pedro guarda la sagoma dell’ospedale diventare sempre meno visibile, man mano che scende la notte. Deve aspettare che sia buio, per essere sicuro che nessuno lo veda, anche se sa benissimo che Ramón è in pericolo di vita, a ogni ora che passa la sua condizione si aggrava e le possibilità di salvarlo diminuiscono.

Eppure l’idea che non sia ancora il momento di muoversi non gli dispiace. Pedro non è a suo agio: non gli piace questo compito. No, non gli piace per niente il compito che gli è stato affidato. Attaccare una caserma, un convoglio militare, un posto di guardia, quello è il suo pane: si è arruolato tra i guerriglieri per combattere la dittatura e i soldati che la sostengono. Non gli piace uccidere, ma se bisogna combattere, non si tira indietro: Pedro non è un vile.

Ma entrare nell’ospedale, puntare la pistola sul medico e costringerlo a seguirlo, no, è un’altra faccenda, una faccenda che non gli va a genio. Hanno mandato lui, perché ha studiato da infermiere e ha anche lavorato alcuni mesi in ospedale, prima di unirsi alla guerriglia.

Bell’affare: puntare la pistola addosso a un medico. E a quel medico.

Pedro non ha mai visto il dottor Deft, ma sa tutto, o quasi, di quel dottore olandese, che ha fondato un piccolo ospedale in un posto in cui l’assistenza medica era sconosciuta. Per la gente del posto Deft è una specie di santo. E lui dovrebbe puntargli la pistola contro e minacciarlo, dirgli che se non accetta di seguirlo, lo ucciderà? Cazzate. Non farà niente del genere.

D’altronde Peludo è stato chiarissimo: non deve torcere un capello a Deft. Se lo facesse, avrebbero contro tutti i contadini della regione. Ma Ramón è ferito e ha bisogno di un medico, con urgenza. E Deft deve raggiungere il campo per curarlo, prima che sia tardi. E se Deft non vuole venire?

È un bel casino.

 

Ora. Ora è buio e nessuno è in grado di vederlo, se bada a rimanere nell’ombra. Pedro si dice che la vita di Ramón dipende da lui e che il dottore deve venire al campo. Ma si sente a disagio.

Non si dirige verso la porta dell’ospedale, ma verso la piccola abitazione contigua, dove vive Deft. Deft non dovrebbe essere più tra i pazienti, a quest’ora. E se invece lo fosse? Se stesse vegliando un malato grave, se stesse operando? Altro casino, non da poco, entrare in ospedale alla ricerca del dottore. Altri lo vedrebbero, qualcuno sospetterebbe che lui è un guerrigliero, anche se nascondesse la pistola. Qualcuno potrebbe correre ad avvisare i soldati. Merda! 

Dalle imposte accostate filtra un po’ di luce: Deft deve essere in casa. Pedro entra senza bussare, ma aprendo la porta con lentezza: non sta entrando in una caserma.

Seduto al tavolo c’è Deft: impossibile confonderlo con qualcun altro, con quei capelli biondi, l’alta statura, la carnagione chiara. Deft sta scrivendo. Alza lo sguardo su di lui. Pedro pensa che non ha mai visto due occhi così azzurri.

Pedro mette via la pistola.

- Dottore, c’è un uomo ferito, gravemente. Non possiamo portarlo qui. Può venire al campo?

Non si è presentato, non ha detto di che campo si tratta. Vedendolo con la pistola, Deft ha sicuramente capito.

Deft risponde senza esitare:

- Certo.

Si alza subito e prende una borsa, in cui evidentemente tiene l’occorrente per quando deve curare qualcuno fuori dall’ospedale. Gli pone due domande sulla ferita. Aggiunge ancora qualche cosa alla borsa e dice:

- Fammi strada.

Ci vogliono almeno due ore per arrivare al campo, di buon passo e Pedro si chiede se arriveranno in tempo. Deft cammina veloce, in perfetto silenzio. Pedro accelera un po’: Deft lo segue senza dire nulla.

Non dovrebbero incontrare pattuglie: di rado i soldati si fanno vedere la notte nella foresta.

Arrivano al campo. Pedro fa i due fischi convenuti. Gli risponde Mateo:

- Chi è?

- Sono Pedro. C’è il dottore.

Raggiungono Mateo, che li accoglie con gioia:

- Meno male che ce l’hai fatta. Grazie, dottore, di essere venuto.

Pedro chiede:

- Ramón?

- Ramón è molto debole, ma non sembra peggiorato ed è cosciente.

Intanto li raggiunge Ramiro, detto Peludo, il comandante. Anche lui ringrazia il dottore e raggiungono il ferito.

- Di qualunque cosa abbia bisogno, dottore, siamo a sua disposizione. Abbiamo fatto bollire dell’acqua, se le serve per lavarsi le mani o altro. Rápido è infermiere e le darà una mano.

Pedro viene chiamato Rápido. Di solito al campo usano i loro nomi, ma quando si rivolgono ad altri, si servono sempre dei soprannomi, per ridurre i rischi che la loro identità venga scoperta e che ci siano rappresaglie nei confronti delle loro famiglie e dei loro villaggi.

Peludo si mette sulla soglia.

Deft si lava le mani ed esamina con cura la ferita di Ramón. Guarda Pedro e gli chiede:

- Hai mai fatto da assistente durante un’operazione?

- Sì, dottore. Diverse volte, ma questo un anno fa, prima di unirmi alla lotta di liberazione.

- Va bene.

Deft gli dà una serie di istruzioni, poi usa un po' di cloroformio ed effettua l’intervento. Peludo e altri due uomini tengono fermo Ramón, che non è completamente addormentato e a tratti si agita. Pedro assiste il dottore.

L’intervento non è lungo. Deft estrae la pallottola e pulisce con cura la ferita. Ricuce il tutto, poi lascia i medicinali necessari. Ramón è stremato.

- Non dovrebbero esserci problemi. La ferita è a posto. Se dovessero esserci complicazioni, sapete dove trovarmi. Di giorno mandate un ragazzino, che non dia nell’occhio e che mi accompagni al punto dove mi aspetta uno di voi.

Peludo ringrazia.

Pedro si dispone a riaccompagnare il dottore, ma Peludo dice:

- Rápido, sei andato fino all’ospedale e hai assistito il dottore. Non è meglio che tu ti riposi e dorma, adesso? Il dottore può riaccompagnarlo qualcuno di quelli che hanno già dormito qualche ora.

Pedro ride:

- No, non svegliare nessuno. Io non ho sonno adesso. Dormo più tardi, quando torno.

- Come vuoi.

Peludo ringrazia ancora il dottore, poi Pedro e Deft ripartono.

Non parlano per quasi tutto il tragitto. A un certo punto Deft dice:

- Di qui conosco la strada. Non occorre che mi riaccompagni. Direi che è più sicuro per tutti e due se ci separiamo.

Deft ha ragione, ovviamente. Se incrociassero dei soldati, anche Deft correrebbe dei rischi, seri.

- Grazie, dottore. Spero che riesca a riposare un po’, visto che domani avrà un’altra giornata piena.

- Non è un problema. In ogni caso ho ancora qualche ora prima di dovermi alzare. Buona notte, Rápido, e buona fortuna.

- Mi chiamo Pedro, dottore.

Non sa perché gliel’ha detto, non avrebbe dovuto. Ma del dottore si fida.

- Ed io Rien.

Deft gli porge la mano. Se la stringono.

- Arrivederci, Pedro.

- Arrivederci… Rien.

Pedro ha esitato un attimo, non osava chiamare il dottore per nome, ma poi l’ha fatto. Che strano nome, Rien.

Lo guarda camminare un momento, ma nel buio della notte il medico svanisce subito, appena un chiarore lungo il sentiero e poi più nulla.

Pedro mormora:

- Grazie, dottore.

 

*

 

Nascosto tra le foglie degli alberi, Pedro guarda la sagoma dell’ospedale diventare sempre meno visibile, man mano che scende la notte. Deve aspettare che sia buio, per essere sicuro che nessuno lo veda.

Fa fatica a tenere gli occhi aperti: vorrebbe stendersi e dormire. La stanchezza, la fame, la sete, la ferita, la febbre stanno avendo la meglio su di lui. Non sarebbe in grado di reggere ancora per molto, ma deve rimanere sveglio. Le sue possibilità di sopravvivere dipendono da quei cinquecento metri che separano il margine della foresta dall’ospedale. Se riesce ad arrivare all’ospedale, se nessuno lo vede, se il dottor Deft è lì, se la ferita non si è già infettata, se all’ospedale nessuno lo tradisce…

Troppi fottuti se, ma non ha altra speranza.

Tra non molto sarà buio a sufficienza per muoversi. Automaticamente la mano scende a toccare la pistola. Gli servirà a ben poco: se sparasse, tutti saprebbero della sua presenza. Ferito e stremato com’è, non riuscirebbe a scappare. Scappare!? Dove? Lui ha bisogno di essere curato, i suoi compagni sono Dio solo sa dove, forse uccisi, forse sfuggiti, come lui, al rastrellamento.

La sua unica speranza è Deft, Rien Deft.

Cercando di vincere il sonno e la stanchezza, si sforza di pensare al loro primo, e unico, incontro. Quattro mesi prima, lui era su quello stesso pendio, ad aspettare che diventasse buio. Ma allora si muoveva veloce e sicuro, non aveva una ferita alla spalla, non aveva perso tanto sangue, non era a digiuno da due giorni, non aveva trascorso due notti quasi insonne. Eppure era teso anche allora, non sapendo chi si sarebbe trovato di fronte.

Rien, Rien Deft. Ha pensato spesso a lui, ai suoi occhi azzurri, alla sua disponibilità, al suo sorriso.

Ora che è fermo, la stanchezza sale nuovamente, a ondate, e gli occhi gli si chiudono. Non può addormentarsi: sarebbe la fine. Eppure rimanere sveglio gli costa una fatica immane. Sta morendo? Forse. Quando ha scelto di unirsi alla guerriglia sapeva di mettere in gioco la sua vita. Ma ora ha paura.

Ormai è buio. Con una fatica enorme, come se trasportasse un carico immenso, si avvia lungo il sentiero, ma, come la volta precedente, lo abbandona prima di inoltrarsi nel paese: è meglio raggiungere l’ospedale tagliando per i campi. Ogni passo gli sembra più difficile. A un certo punto si appoggia a uno steccato: non riuscirà ad arrivare, è stremato. Stringe i denti e con uno sforzo si rimette in movimento.

Deft sarà nella sua abitazione, sul retro dell’ospedale? Pedro spera di trovarlo lì. Non potrebbe cercarlo altrove: nessun altro lo deve vedere. Non sarebbe in grado di rimettersi in cammino. E se non ci fosse? Se fosse via?

Pedro si sente svenire. Deve farcela. Deve. Deve trascinarsi fino all’abitazione di Deft. A ogni passo gli sembra che non troverà mai le forze per il prossimo, ma infine è davanti all’appartamento del dottore. La luce è spenta e Pedro sprofonda nell’angoscia. Si trascina fino alla porta. La maniglia cede subito: non è stata chiusa a chiave. Deft non è via, sarà in ospedale, arriverà. Pedro entra e cade al suolo, scivolando immediatamente nell’incoscienza.

 

È buio nella stanza, buio pesto. La spalla gli fa male, molto, ma gli sembra che la febbre sia calata. Ha fame e sete. Lentamente Pedro prende coscienza di ciò che gli sta intorno. È disteso su un letto, un vero letto, come quelli in cui dormiva un tempo, prima di unirsi ai guerriglieri. Muove lentamente la destra fino a raggiungere la spalla sinistra. La ferita è stata fasciata. Ora nel silenzio della stanza sente il respiro pesante di un uomo che dorme.

Pedro sorride, nel buio. È nella stanza di Deft, di Rien Deft. È disteso nel letto del dottore, che dorme lì vicino, su un altro letto o su un’amaca. Rien lo ha trovato e medicato. Pedro si sente felice e lascia che il sonno lo avvolga nuovamente.

 

La luce del giorno lo sveglia. Rien è chino su di lui.

- Come ti senti, Pedro?

Pedro strizza gli occhi. Sorride. Annuisce, senza trovare le parole. Ha la gola riarsa.

- Ho sete, dottore.

- Ti do da bere, ma poco per volta.

Rien prende un bicchiere, mette appena un dito d’acqua e lo fa bere.

- Grazie. Dottore… non voglio metterla in pericolo. Io…

Rien lo interrompe:

- Tu te ne stai qui nel letto, finché non sarai guarito. Non sei in grado di andare da nessuna parte, al massimo al cesso, che è quella porta lì dietro.

- Se mi trovano qui…

- Dirò che ho trovato un uomo ferito e l’ho curato, perché io sono un dottore.

Pedro sa benissimo che se lo scoprono nel letto del dottore, Rien avrà guai seri, anche se l’essere straniero probabilmente gli eviterà la fucilazione.

- Comunque nessuno sa che sei qui, Pedro, a parte un’infermiera in cui ho piena fiducia. Farai il prigioniero in gabbia finché non sarai guarito: di qui puoi uscire solo la notte. D’altronde, vuoi mica andare in giro nudo?

- Che ne è dei miei abiti, dottore? E della pistola? Se gliela trovano…

Se gliela trovano, potrebbero ammazzarlo, anche se è olandese.

- La pistola è al sicuro, in un posto dove nessuno la troverà mai. Gli abiti saranno lavati dall’infermiera di cui ti dicevo. Non è il suo compito, ma io sono un disastro a lavare e nessun altro deve sapere che sei qui.

- Grazie, dottor Deft.

- Rien. Non te lo ricordi, ma il mio nome è Rien, Pedro.

Pedro se lo ricorda benissimo, ma non osava chiamarlo per nome.

- Grazie, Rien. Scusa se ti metto in pericolo.

- Non dire cazzate, Pedro. E ora riposa. Ti do ancora un sorso d’acqua e tu ti metti a riposare. Hai bisogno di dormire. La ferita non è grave, anche se hai perso molto sangue.

 

Pedro si riaddormenta quasi subito. Nei giorni seguenti dorme moltissimo: la stanchezza accumulata, l’anestetico usato per l’intervento, la debolezza provocata dalla perdita di sangue, tutto contribuisce a stordirlo. Si sveglia, mangia e beve, assistito da Rien, fa qualche passo nella stanza, va al cesso e torna a dormire.

Dopo tre giorni di sonnolenza, si sveglia il mattino perfettamente lucido, senza più sonno e sentendosi in forze. Rien non è con lui, ma gli ha lasciato la colazione accanto al letto e arriva un’ora dopo.

- Adesso sto bene, dottore. Questa notte me ne vado, così non corre rischi.

Rien scoppia a ridere e la sua risata franca disorienta Pedro.

- Non se ne parla neanche, Rápido.

È la prima volta che Rien lo chiama con il suo nome da guerrigliero.

- Perché mi chiama così?

- Perché mi chiami dottore e non mi dai del tu?

Pedro sorride.

- Scusa, Rien, mi sento un po’ in soggezione.

Rien scuote la testa.

- E com’è che ti fai chiamare Rápido?

- Non me lo sono scelto io, il nome. Me lo hanno affibbiato perché vado molto in fretta. Da ragazzo facevo le gare di corsa.

- Sì, mi ricordo, quella notte eri una scheggia. Facevo fatica a starti dietro.

Pedro sorride. Poi aggiunge:

- Me ne vado questa sera.

- Tu non te ne vai prima di due settimane. Se andassi a casa tua, ti direi che puoi partire tra qualche giorno, ma vagare per i boschi, sfuggire ai soldati, dormire all’aperto, beccarti la pioggia, saltare i pasti… non se ne parla proprio, che ti piaccia o no.

- Ma dottore… Rien, se mi trovano qui…

- Nessuno ti trova qui. E non ti darò gli abiti finché non sarai in grado di muoverti. Vuoi andare in giro nudo?

 

Più tardi nella giornata, durante il pranzo, Pedro chiede a Rien se sa qualche cosa sul rastrellamento e sulla sorte degli altri guerriglieri. Rien sorride e incomincia come se stesse diffondendo un comunicato stampa alla radio:

- La grande operazione di pulizia della foresta, destinata a spazzare via i banditi dalla regione, è stata un pieno successo…

Rien si interrompe e poi riprende, cambiando tono:

- …ma pare non abbia dato molti risultati. Non sono riusciti a sorprendere nessuno, a parte un tal Rápido che si è fatto beccare, ma è sfuggito, anche se ferito. Hanno devastato qualche accampamento abbandonato e sono tornati con le pive nel sacco. Sono alla fine, ormai.

Pedro sorride. Ottime notizie, quelle che gli Rien.

- Si sa dove sono i guerriglieri, ora?

- Più o meno dov’erano prima. Avranno spostato i loro campi, ma l’area è sempre la stessa. Non farai fatica a trovarli, quando sarai in grado di unirti a loro.

Pedro è molto sollevato. Temeva che il rastrellamento avesse preso di sorpresa i suoi compagni, come aveva preso lui, ma probabilmente loro avevano avuto notizie che a lui, lontano dall’accampamento, non erano arrivate.

Rien chiede:

- E com’è che Rápido non è stato abbastanza rapido da sfuggire?

- Ero andato a portare un messaggio. Mi hanno beccato sul sentiero mentre ritornavo. Mi sono accorto che c’era qualcuno e mi sono nascosto, ma loro erano un casino. Ancora adesso mi chiedo come sono riuscito a scappare.

 

La sera parlano un po’. Pedro chiede al dottore della sua vita e questi gli racconta della sua decisione di venire a esercitare qui.

- Non voglio farmi bello di meriti che non ho. Avevo bisogno di cambiare aria, di mettere un oceano tra me e i miei ricordi, dopo la fine di una storia. E allora ho deciso di realizzare un sogno che avevo da tempo.

- Non avevi mai lavorato fuori dall’Olanda?

- Sì, avevo fatto alcune esperienze con Medici Senza Frontiere. Per un anno, poco dopo la laurea, e poi per periodi più brevi.

- Quindi sapevi quello che facevi.

Rien sorride.

- Sì.

Parlano ancora per alcuni minuti, poi Rien dice:

- Bene, adesso vado a dormire.

- Rien, da domani torni nel tuo letto e io passo nell’amaca.

Rien ride.

- Guerrigliero, questo è l’ospedale che dirigo e qui comando io, chiaro?

- Questa è la tua casa.

- E a maggior ragione comando io. Tu sei il paziente e ubbidisci.

- Mi spiace che tu debba dormire sull’amaca.

- Si dorme benissimo.

Mentre parlano Rien si spoglia. Pedro lo guarda e di colpo si sente a disagio. Vorrebbe distogliere lo sguardo, ma Rien gli sta parlando e voltare la testa dall’altra parte sarebbe assurdo.       

È forte, Rien Deft. Ha spalle larghe e braccia robuste: a vederlo senza camicia, sembrerebbe un atleta, un lottatore. Pedro ha la gola secca.

Rien gli sta spiegando i vantaggi dell’amaca, ma Pedro non sente.

Rien si è tolto le scarpe e ora si cala i pantaloni e le mutande. Pedro deglutisce. Rien Deft ha fianchi forti, una peluria bionda più fitta sul ventre, un sesso vigoroso. Pedro si sforza di guardare Rien in faccia, ma a tratti i suoi occhi scendono, percorrono questo corpo che non si nasconde e Pedro prova vergogna dei propri pensieri di fronte a questa nudità serena.

- Buona notte, Pedro.

- Buona notte, Rien.

Rien spegne la luce, ma Pedro non si addormenta. La visione di quel corpo è nitidissima nella sua mente e il desiderio violento. Pedro sa di desiderare gli uomini, anche se ha avuto poche esperienze: in un paese latino-americano non è facile essere frocio.

Più attento dei compagni a certi segnali, Pedro ha intuito che Mateo e Ramiro, il comandante Peludo, sono amanti. Anche lui vorrebbe amare un uomo e non solo scopare con un uomo, come gli è capitato qualche volta. E Rien Deft ha tutto quello che gli piacerebbe trovare nell’uomo che ama.

Quando infine Pedro si addormenta, nei suoi sogni ritrova Rien, come l’ha visto prima di addormentarsi.

 

La convalescenza procede, senza difficoltà. Pedro diventa impaziente. Sa che rimanendo mette in pericolo la vita di Rien e la sua attività. Anche il desiderio, che l’astinenza acuisce, lo spinge ad andarsene: ha paura di perdere il controllo, di tradirsi. Quando Rien si spoglia, la sera, Pedro ha sempre un’erezione violenta. Si nasconde, sollevando il lenzuolo con le ginocchia, ma una sera, nel muovere le gambe rapidamente, fa scivolare il tessuto e si scopre.

Rien lo vede e ride.

- Bene, direi che il malato sta guarendo.

Pedro vorrebbe scomparire sotto terra.

- Scusa, Rien.

- Di che? Di essere un maschio sano?

Pedro si vergogna. Guarda Rien, che sorride, tranquillo. Non sembra per nulla turbato.

- Io…

Pedro non sa bene che cosa dire.

- Non devi vergognarti, Pedro. È perfettamente normale.

Pedro annuisce e si copre con il lenzuolo.

Rien spegne la luce e si stende sull’amaca. Parlano spesso un buon momento dopo aver spento la luce: nel buio si sono raccontati molte cose di sé. È più facile parlare al buio.

- Sai una cosa, Pedro? Mi mancherai, quando te ne andrai. Mi sono abituato ad avere qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere la sera.

Pedro è contento che Rien parli d’altro.

- Anche tu mi mancherai, Rien. È bello sentirti vicino…

Pedro si ferma, non vuole scoprirsi troppo.

- Grazie.

C’è un momento di pausa, poi Rien riprende:

- Che cosa conti di fare quando la guerra sarà finita?

- Voglio riprendere a fare l’infermiere, Rien. Magari in qualche posto come questo, dove ce n’è davvero bisogno.

- Se vuoi venire qui sarebbe bello. Ma significa tagliare i ponti con tutti.

- Non è un problema. Siamo in otto fratelli e i miei non hanno bisogno di me.

- Non hai una compagna, un compagno?

Pedro rimane un attimo disorientato. Non si aspettava che Rien ponesse le due possibilità sullo stesso piano. Rien riprende subito, sentendolo silenzioso:

- Scusa, non sono cazzi miei.

- No, no. Non ho nessuno.

Vorrebbe aggiungere altro, ma non sa trovare le parole.

- Io sono venuto qui quando è finita la storia con l’uomo che amavo, dopo sei anni. È stata dura, davvero. Tagliare i ponti mi ha aiutato a riprendere. Ma adesso sento la solitudine.

Pedro respira a fatica. Vorrebbe parlare, sa che dovrebbe farlo, se non altro perché Rien non legga una critica o una condanna nel suo silenzio, ma gli manca il fiato, le parole gli sfuggono come mercurio da un termometro rotto.

Rien aggiunge:

- Preferisco essere franco, Pedro, anche se so che qui ci sono molti pregiudizi. È forse l’aspetto che mi pesa di più vivendo in questo paese.

Pedro sa che non può più tacere.

- Rien, non condivido questi pregiudizi. Io…

Ci vuole forza per dirlo e Pedro fa fatica a continuare:

- …anche a me piacciono gli uomini.

- L’avevo intuito, Pedro. Per questo ti ho parlato sinceramente.

Adesso il cuore di Pedro batte forte, troppo forte. La lingua non riesce a muoversi.

- Rien…

- Sì?

Pedro non riesce a dire ciò che vorrebbe.

È Rien a riprendere:

- Mi piaci molto, Pedro. Come persona e come maschio.

Le parole di Rien sono chiarissime e danno a Pedro la forza di dire quello che prova:

- Anche tu mi piaci molto, Rien.

C’è un momento di silenzio. Un movimento nella stanza. La lampada viene accesa. Rien si china su di lui e gli accarezza il viso. È appena un tocco leggero. Rien si siede sul letto, di fianco a lui. Si china. I loro visi sono vicini. Le loro bocche si incontrano.

Le braccia di Pedro stringono Rien, lo guidano a stendersi su di lui. È bello sentire il peso del corpo di Rien sul suo. Si baciano di nuovo e questa volta Rien spinge la lingua tra le labbra di Pedro, sorprendendolo. Nessuno lo ha mai baciato così. Un solo uomo lo ha baciato, una volta, di sfuggita, prima di un rapido rapporto in un vicolo della capitale, una notte di festa.

La lingua di Rien lascia la bocca di Pedro, Rien lo bacia ancora. Le sue mani lo accarezzano.

Poi Rien si solleva, allarga le gambe di Pedro e si inginocchia nello spazio che ha creato. Passa a lungo le sue mani sul corpo di Pedro, che geme di piacere, mentre sente la tensione nel membro diventare sempre più forte. Rien si china su di lui e gli prende il sesso in bocca. Incomincia a leccarlo, succhiarlo, morderlo leggermente. Pedro chiude gli occhi, preda di un piacere troppo violento per poter essere contenuto a lungo. Il calore di quella bocca, la carezza di quella lingua, i colpetti di quei denti, ogni gesto di Rien lo fa impazzire di desiderio. Pedro vorrebbe che Rien continuasse per sempre, ma per troppo tempo non ha avuto rapporti e il piacere deflagra, in ondate successive che lo stordiscono. Grida mentre viene. Rien beve il suo seme.

Pedro riapre gli occhi. Rien è in ginocchio sul letto, il grande sesso magnificamente teso. Le sue mani scivolano sul corpo di Pedro. Negli occhi una domanda.

Pedro ha paura, ma annuisce. Rien si alza e lo volta. Poi gli accarezza la schiena, fino al culo. Passa più volte la lingua sul solco e Pedro vibra di un piacere per lui del tutto nuovo. Rien inumidisce l’apertura, infila con delicatezza un dito, poi due. Pedro si abbandona a queste mani che lo stuzzicano. La paura svanisce.

Rien si stende su di lui. Pedro sente l’uccello di Rien che si appoggia sul solco. Assapora i morsi, le carezze delle mani e della lingua di Rien. E infine sente che il membro si apre con delicatezza la strada dentro di lui e si abbandona completamente. È bello sentire  che Rien prende possesso di lui, con delicatezza e con forza, spingendo più a fondo, dilatando la carne come nessuno ha mai fatto prima e regalandogli vortici di un piacere, non scevro di dolore, in cui Pedro sprofonda. È un piacere diverso da quello che ha conosciuto prima, ma non meno intenso, e Pedro geme di nuovo senza ritegno. Rien si muove lentamente, padrone di sé e del suo desiderio, spingendosi a fondo e poi ritraendosi, e a Pedro pare di non volere altro dalla vita che questo abbandonarsi completo all’uomo che ama e che lo fa suo.

Pedro fluttua, in un mondo senza tempo, al ritmo delle spinte di Rien, un ritmo che dopo un tempo interminabile accelera bruscamente e porta entrambi a un delirio di piacere.

Rimangono a lungo a baciarsi e abbracciarsi, stringersi e accarezzarsi, finché, stanchi e non sazi, si mettono a dormire, stretti, anche se il letto di Rien li contiene appena.  

 

Ora si amano ogni notte, ebbri di gioia e di piacere, dimenticando ogni pudore e ogni limite. Di giorno, nelle lunghe ore che la forzata inattività gli lascia, Pedro a volte prova vergogna al pensiero di ciò che si dicono e fanno ogni notte, ma quando è il momento di coricarsi, ogni vergogna svanisce, nella follia di un amore condiviso.

 

Due settimane sono passate da quando Pedro è arrivato. Due settimane aveva detto Rien. Pedro sa che deve andare. Lo sa, ma il suo corpo e la sua mente rifiutano di separarsi dall’uomo che ama. Vorrebbe rimanere, ma non può continuare a vivere nascosto, non può mettere in pericolo Rien, non può rimanere inattivo mentre c’è bisogno di lui. Eppure il solo pensiero di separarsi è un dolore intollerabile.

Il mattino Pedro dice quello che deve:

- Io devo andare, Rien.

Rien annuisce, anche se in viso Pedro gli legge un dolore violento.

- Pedro… tocca a te scegliere…

Rien non prosegue. Pedro si dice che non sta scegliendo. Fa quello che deve.

- Tornerò, qualche notte, se tu lo vuoi.

Rien lo fissa:

- Non correre rischi, Pedro. Non potrei mai perdonarmi se ti succedesse qualche cosa mentre vieni qui. Sai quello che provo. La porta è sempre aperta.

 

Pedro trova facilmente i suoi compagni. Gli fanno una grande festa: tutti lo pensavano morto. Pedro mostra la ferita, dice di essere stato curato dal dottore olandese.

L’allegria degli altri non lo coinvolge. Pedro ha dentro un dolore che lo schiaccia.

 

*

 

Nascosto tra le foglie degli alberi, Pedro guarda la sagoma dell’ospedale diventare sempre meno visibile, man mano che la notte scende. È una stupidaggine. Non c’è nessun motivo al mondo per nascondersi e arrivare di soppiatto. In paese è giunto in autobus e avrebbe potuto ritrovare Rien Deft due ore prima. Ma il coraggio gli è mancato.

Non è più un guerrigliero. È un ex-combattente di uno stato che sta facendo i primi passi verso la libertà. Alcuni suoi compagni di lotta entreranno in parlamento, altri sono nel nuovo esercito. Lui, come Mateo e Ramiro, ha scelto di tornare alla vita civile e vuole riprendere il lavoro di infermiere. Ma non nella capitale. Qui, in questo paese sperduto. Agli amici ha detto che quello che hanno fatto ha un senso solo se ora le cose cambieranno davvero, se anche in posti come questo la gente potrà avere assistenza medica e istruzione. Ma il vero motivo è un altro, Pedro lo sa bene e a se stesso non mente: il motivo è Rien, i suoi occhi azzurri, il suo sorriso, le sue carezze e altro. Mentre lo pensa, Pedro si vergogna. Solo a Mateo e Ramiro Pedro ha detto la verità, perché sa che loro possono capire.

Negli ultimi sei mesi di lotta, il pensiero di Rien Deft è stato il suo chiodo fisso. Man mano che l’esercito di liberazione avanzava, la distanza che lo separava dall’uomo che amava cresceva e ben presto ritrovarlo anche solo per due ore una notte era diventato impossibile.

La guerra è finita, con la loro vittoria. Il paese sta cambiando. E Pedro vuole proseguire la sua guerra con altri mezzi, che preferisce: vuole curare, non ferire, salvare vite, non spegnerle. Ma vorrebbe farlo al fianco di Rien, l’uomo che ama.

 

E così è di nuovo qui, come un anno fa, come otto mesi fa. Nello stesso punto, con la speranza inespressa che, ripetendo lo stesso percorso delle altre due volte, anche questa raggiungerà il suo scopo.

Ma Pedro ha paura.

Ogni volta ha giocato la sua vita, ma questa è la partita decisiva, questa in cui non rischia più di morire, ma è in gioco la sua possibilità di essere felice.

La finestra ha i vetri chiusi, ma le imposte sono aperte e dentro c’è la luce. Seduto al tavolo c’è Rien, che guarda nel vuoto. A Pedro pare di leggere tristezza in quello sguardo. Pedro si avvicina all’uscio, senza passare davanti alla finestra. Fa per bussare, poi cambia idea e spinge la porta.

Rien volta la testa verso di lui e il volto si apre in un sorriso di gioia.

- Pedro! Finalmente!

Pedro sa di essere arrivato.

 

2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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