La statua

 

 

Sarah annuisce. Le parole del dottore non l’hanno sorpresa, se l’aspettava. Ma nuovamente sente emergere, prepotente, la sensazione di panico. Chiude un attimo gli occhi.

- Mi spiace, signora Jenkins.

Il dottor Hay esita un momento, poi riprende:

- Senta, signora Jenkins, se vuole che parli io con i suoi figli...

Sarah scuote la testa. No, non vuole averli intorno adesso, loro e soprattutto le loro mogli. James e Charles verrebbero a trovarla e poi avrebbe Anne e Catherine sempre tra i piedi. “Non ti stancare”, “Questo è meglio che tu non lo faccia”, “Ci pensiamo noi, non ti affaticare”. Potrebbe parlarne ad Emily, ma lei si sentirebbe in dovere di avvertire i fratelli.

No, non ora. Dopo, quando avrà sistemato tutto.

Non c’è più molto tempo. Deve fare in fretta. È meglio che mandi una lettera a Robert. E che vada a Cranleigh con Arthur. Domani stesso.

Quando arriva a casa è esausta, anche se ha preso la carrozza. Si siede sul divano. Guarda la stanza, la finestra da cui entra la luce del giorno. Presto sarà buio.

Quando ha recuperato le forze, si siede allo scrittoio e scrive due lettere, una per Robert, l’altra per Arthur. Per il nipote sono solo poche righe, per chiedergli se può dedicarle un po’ di tempo domani. Sa benissimo che Arthur le dirà di sì: è sempre disponibile, per quanto sia assorbito dal suo lavoro. La lettera per Robert è più difficile. Deve dirgli che non sta bene. Si preoccuperà, ma non ci sono altre soluzioni. Ormai deve sapere. Deve chiedergli di ritornare a Londra, in fretta. E di non parlarne ai suoi fratelli, per il momento.

Sarah scrive. Quando ha concluso, piega i fogli e li sistema nelle buste. Guarda gli indirizzi, quello di Londra e quello di Honfleur. Ripensa al suo progetto, folle. Ma deve riuscire. Deve provvedere a Robert. Rivede la casa di campagna a Cranleigh. Robert l’ha sempre amata. Ad Arthur piacerà, ne è sicura.

Suona per chiamare la domestica. Le consegna le lettere perché le spedisca.

 

*

 

- Come stai, zia?

Sarah sorride. Deve parlarne ad Arthur. Parlarne no, basterà qualche cenno. Arthur è in grado di capire.

- Un po’ stanca, come al solito in questi giorni.

Arthur aggrotta la fronte.

- Sei andata dal dottore?

Ora, è meglio che glielo dica ora.

- Sì, ci sono tornata ieri.

Sarah volta la testa dall’altra parte, fingendo di guardare la gente che cammina per la strada.

- Non vuoi parlarne?

Sarah lo guarda. Arthur ha capito. Probabilmente sospettava che lei si fosse già fatta visitare, in ogni caso aveva capito che dietro la sua stanchezza c’era un problema ben più grave.

- Non c’è nulla da dire, Arthur.

- Come preferisci.

Gli legge in viso la sofferenza. È davvero attaccato a lei. Arthur le vuole bene più dei suoi figli, a parte Robert. E in questo periodo è sempre stato disponibile.

- Vorrei che andassimo a Cranleigh, oggi.

- Te la senti? Non è un viaggio troppo faticoso?

Lo è, Sarah lo sa benissimo, ma è inutile che attenda il giorno in cui starà meglio: non ci sarà. Ed è necessario sistemare questa faccenda.

- Lo è, forse, ma dobbiamo andarci. Ed è meglio che lo faccia oggi.

- Se è per me, non è il caso…

Sarah lo interrompe.

- Arthur, per me è molto importante. Poi ti spiegherò.

Arthur annuisce.

- Prendo l’automobile. Così non devi camminare a lungo.

Sarah non si oppone. Arthur possiede un’automobile, una novità che molti guardano con sospetto, ma che ormai si sta diffondendo: è un segno di ricchezza, che va esibito. Per Arthur non ha lo stesso significato, è voglia di libertà.

Sarah guarda in avanti. Vedere il paesaggio che scorre di fianco a lei le dà una sensazione di nausea.

- Preferisci che ci fermiamo un momento, zia?

- No, no, va bene così.

Arrivano a Cranleigh in meno di un’ora. Sarah guarda la grande casa, dove è vissuta nella sua infanzia e dove è sempre tornata volentieri. Sa che è l’ultima volta che la vedrà.

Non è una dimora sontuosa, Cranleigh. È una lunga costruzione a due piani, spoglia. Il nonno di Sarah era un industriale, che dava più importanza alla funzionalità che all’eleganza. Ma sua moglie amava il giardino e in primavera Cranleigh è una festa di colori. Anche ora che l’autunno è alle porte, ci sono molti fiori.

Sarah scende dall’auto. È stanca. Non ha camminato, è rimasta seduta, ma il viaggio è stato ugualmente faticoso per lei. Il custode della casa viene ad accoglierli. Sarah gli fa portare una sedia in giardino e vi si siede. Poi dice:

- Vedi, come ti dicevo la casa è unica, ma ai tempi di mio padre, vennero creati due appartamenti del tutto indipendenti. Adesso va’ a visitarla, Arthur.

Sarah dice al custode di aprire ad Arthur l’ala destra, in modo che possa esaminarla. Arthur segue l’uomo. Sarah guarda il giardino. Di colpo le vengono le lacrime agli occhi. Le asciuga.

Robert ama Cranleigh, l’ha sempre amata, soprattutto per il giardino. Ama la campagna, la quiete. Se la casa fosse adatta come studio per Arthur…

Può funzionare? Sarah crede di sì, ma non può avere certezze.

Arthur le fa un cenno da una delle finestre. Il nipote è preoccupato per lei.

Ritorna dopo una ventina di minuti. Sarah sorride, cercando di mascherare la sua stanchezza. Poi gli dice:

- Credi che l’ala destra della casa potrebbe essere adatta per il tuo studio, Arthur?

- Sarebbe perfetta, zia.

Sarah sorride. Arthur esita. Vuole dire qualche cosa, ma non sa bene da che parte incominciare.

- Che cosa c’è, Arthur?

- Non vorrei creare problemi a nessuno, zia. Se qualcuno dei cugini volesse venire a stabilirsi qui…

Sarah annuisce. Arthur ha capito che lei non ne ha più per molto. E non sa bene che cosa avverrà della casa, dopo.

È ora di spiegare, quello che può essere spiegato. Perché ci sono cose che non può dire, che deve travestire.

- Cranleigh andrà a Robert, ma farò in modo che tu possa rimanere qui per tutto il tempo che vorrai. E sono sicura che Robert non avrà niente in contrario.

È inutile che gli dica che cosa ha deciso di fare per il testamento: susciterebbe solo le proteste di Arthur.

- Tu sai che Robert è in Francia, adesso, a Honfleur. Robert non ama Londra, come non l’ami tu.

- Conosco poco Robert, zia. Negli ultimi anni sono stato spesso via e non ho avuto molte occasioni di vederlo.

- Robert è un uomo molto sensibile, come sei tu, Arthur. Non interessato alla ricchezza e al successo come i suoi fratelli, ma molto più portato… come posso dire… con una ricca vita interiore. Ma la sua sensibilità lo rende fragile. Può essere facilmente ferito e sentirsi smarrito.

Arthur ascolta, senza dire nulla, ma Sarah ne sente l’attenzione. Arthur sa ascoltare e non è una dote da poco.

- Vorrei che vivesse qui, in Francia è in esilio, anche se lui non lo ammetterebbe mai. Ma da solo non starebbe bene, qui…

Non è questo, ora sta dicendo qualche cosa che non è vero, ma la verità non può dirla. Prosegue:

- Ho bisogno che ci sia qualcuno che viva qui, che in qualche modo vegli su di lui, soprattutto… nei mesi che verranno. Puoi assumerti questo compito, Arthur?

Arthur la guarda, perplesso.

- Non sono sicuro di essere all’altezza. Oltre tutto Robert ha… venticinque anni, credo?

Sarah corregge:

- Ventisette.

- È un po’ cresciuto per accettare un tutore, no?

Arthur sorride, ma non è il suo sorriso pieno.

- Arthur, Robert è in grado di cavarsela da solo, ovviamente. Ma vorrei che avesse vicino qualcuno su cui contare. Soprattutto dopo… quando io non ci sarò più.

Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma non possono essere dette. Sarah sta facendo la sua ultima scommessa. In gioco è la serenità di suo figlio, forse la sua felicità. Forse la sua infelicità. È una mossa azzardata. Sarah sa che non avrà il tempo di vedere se avrà vinto o perso.

- Zia, farò tutto il possibile, cercherò di stargli vicino.

- Grazie.

 

*

 

La lettura del testamento di Sarah Jenkins scorre senza intoppi. Tutto è come previsto, ad ognuno dei figli viene assegnata la casa che è già la sua residenza. L’unica sorpresa è Cranleigh. Un’ala a Robert, l’altra ad Arthur. Che il cugino riceva una parte dell’eredità, a spese del figlio minore, stupisce tutti. I figli maggiori di Sarah lo hanno visto diverse volte durante la malattia della loro madre, meravigliandosi della sua assiduità al capezzale: adesso James sospetta che fosse interessato. Charles ed Emily non si pongono domande, tanto per quello che li riguarda tutto è a posto.

Robert non mostra stupore. Già sapeva. E poi è troppo inebetito dal dolore per preoccuparsi dell’eredità.

Arthur invece è sorpreso, ma riflettendo si dice che avrebbe dovuto capire.

Si chiede nuovamente qual è il compito che gli ha davvero affidato la zia. Deve stare vicino a Robert, aiutarlo a superare il momento difficile, ad affrontare la sofferenza. Ma ha troppa sensibilità e intelligenza per non sospettare che ci sia anche altro.

 

*

 

Robert non parla. Guarda davanti a sé la strada che si snoda nella campagna spoglia. La giornata è grigia e gli sembra che la natura rispecchi il suo dolore. Nei primi giorni, quando è tornato dalla Francia, la sofferenza era un uragano che lo schiantava, ora è un vuoto immenso, il grigio di questa giornata di tardo autunno, in cui gli alberi sono ormai spogli e i colori sembrano essere stati cancellati per sempre.

Arthur guida di fianco a lui. Robert non possiede un’automobile, a differenza dei suoi fratelli. Non gli interessa: considera con diffidenza quella che è ancora una novità, quest’arnese rumoroso e puzzolente non lo affascina. Il cugino guida con sicurezza, ma Arthur è molto diverso da lui. Ha un fisico possente, come è naturale che abbia uno scultore che lavora anche la pietra, ed è a suo agio con gli ingranaggi ed i macchinari. Da bambino Robert pensava che Arthur sarebbe diventato un ingegnere: sapeva costruire meccanismi perfetti, riusciva a smontare e a rimontare un orologio. Ma Arthur ha scelto la scultura.

Robert si sente sollevato all’idea che Arthur viva a Cranleigh. Sua madre gli ha fatto promettere di rimanere in Inghilterra, almeno fino all’estate. Robert sa che è la scelta giusta: in giro per la Francia, lontano da coloro che conosce, finirebbe per richiudersi completamente in se stesso, preda del dolore.

Cranleigh è davanti a loro. Anche la casa, che gli è sempre apparsa come un tripudio di fiori, ora appare smorta. Il giardino è spoglio.

Scendono. I due domestici vengono a prendere i bagagli.

- Questa sera mangiamo da me.

Non è un invito, è una decisione che Arthur annuncia. Robert vorrebbe rifiutare, apre la bocca per dire che non ha fame. Ma sa benissimo che sua madre ha lasciato un’ala di Cranleigh ad Arthur proprio perché lui avesse qualcuno vicino. Non dice nulla, nemmeno il grazie che sarebbe doveroso. Quella piccola mancanza di cortesia è l’unico segno di ribellione.

Entra in casa e, mentre la domestica si occupa del bagaglio, si dirige in biblioteca. È la stanza che preferisce: ha sempre amato i libri. Il fuoco è stato acceso nel camino e nel locale c’è un gradevole tepore.

Si siede e guarda le fiamme che guizzano. Gli sembra che svaniscano, mentre la sua mente vaga, tornando al passato.

 

*

 

- Ora di cena, Robert.

Robert sussulta. Perso nei suoi pensieri, non si è accorto che Arthur è entrato nella biblioteca. Anche se la villa è divisa in due appartamenti, i due cugini lasciano sempre le porte aperte e si spostano liberamente dall’uno all’altro.

Cenano quasi sempre insieme. Robert non si sottrae, anche se spesso avrebbe voglia di starsene da solo. Ma deve riconoscere che Arthur non è invadente, non lo forza a incontrare altra gente, non impone la sua presenza. Si limita a mangiare con lui a cena, a conversare la sera, a invitarlo a fare qualche passeggiata. Robert tenderebbe a isolarsi e certe volte gli verrebbe da respingere gli inviti del cugino, ma lo fa molto di rado. In realtà  si rende conto che stare con lui gli fa bene. A volte parlano delle loro madri, che erano sorelle. Arthur ha perso la propria quando era ancora bambino.

Robert è contento di poter parlare di sua madre con qualcuno che non cerca di deviare il discorso o di consolarlo con frasi senza senso, ma accetta il suo dolore e lo condivide: Arthur era molto affezionato alla zia.

 

*

 

- Facciamo una passeggiata?

Robert annuisce, assumendo un’aria rassegnata.

- Va bene. Tanto, anche se dico di no, mi costringi.

Arthur sorride:

- Non ricordo di averti mai sollevato di peso e portato fuori a forza.

Anche Robert sorride. Apprezza l’ironia del cugino, a cui si è molto affezionato in questi mesi.

- No, ma qualche volta ci sei andato vicino.

Arthur si prende il mento con una mano, il pollice e l’indice tesi, e finge di meditare profondamente.

- Vediamo… sto cercando di ricordare… Sì, mi pare che all’inizio tu non fossi proprio entusiasta di passeggiare con me. Direi… se devo essere sincero… non vorrei sbagliarmi… che c’erano momenti in cui non mi sopportavi proprio.

Robert china la testa. Quello che dice Arthur è un’esagerazione, ma ha una parte non trascurabile di verità. All’inizio accettava controvoglia gli sforzi che il cugino faceva per scuoterlo un po’, ma deve riconoscere che Arthur lo ha aiutato moltissimo a superare il primo periodo, quello in cui la sofferenza lo dilaniava. Lo guarda negli occhi e decide che è ora di ringraziarlo.

- Grazie, Arthur, per la pazienza che hai avuto. So che qualche volta sono stato insopportabile e me ne scuso.

- Insopportabile? No, quando mai… per fortuna ho un buon autocontrollo e sono sempre riuscito a reprimere l’impulso di menarti. Quando ci penso sono molto orgoglioso di me stesso.

Robert scuote la testa, allarga le braccia, fa un passo avanti e stringe Arthur. È un gesto del tutto istintivo. Arthur ricambia l’abbraccio e il calore della stretta turba Robert, che si stacca quasi subito.

- Andiamo.

Si mettono il cappotto e la sciarpa ed escono. Salgono in auto e Arthur guida verso Leith Hill, dove amano passeggiare nel bosco.

Mentre conduce lungo la strada semideserta, dice:

- Quando ti decidi a imparare a guidare?

- È necessario? Detesto le automobili.

- Ti do lezioni io.

- È una minaccia?

Robert sorride e Arthur ride. Robert pensa che non gli è capitato spesso di sorridere negli ultimi mesi, anche se Arthur qualche mezzo sorriso è riuscito a strapparglielo.

- Così quando avrai ospiti, potrai portarli in giro per la campagna.

- Ospiti?

Robert non ha avuto nessun ospite nell’inverno. Si è isolato dal mondo e Arthur è stato l’unica persona, al di fuori della servitù, con cui ha avuto rapporti.

- Ce ne saranno. O pensi di vivere come un eremita per il resto dei tuoi giorni?

Robert china la testa.

- Forse. Comunque non è che tu inviti molte persone.

- È vero. Ma quest’inverno non avevo voglia di avere gente per casa. Non sarà sempre così. Mi piace vedere gli amici e trascorrere un po’ di tempo con loro, non solo una sera ogni tanto in città. A primavera voglio invitare qualche amico a stare qualche giorno a Cranleigh. Non sono un lupo solitario come te.

- Un lupo? Non mi vedo come lupo.

- Un lupo forse no, ma solitario direi di sì.

Robert volta la testa dal lato opposto a quello dove si trova Arthur. Sa che il cugino ha ragione. Un tempo era molto socievole, ma negli ultimi anni si è chiuso in se stesso. La morte di sua madre ha contribuito ad accelerare un cambiamento che era in corso da tempo, da… da quando? Da quando ha incominciato a capire, probabilmente.

 

Arthur ferma l’auto e si avviano. C’è un po’ di nebbia, che avvolge il paesaggio in un grigio uniforme. Il bosco è spoglio: siamo alla fine di febbraio, ma la primavera sembra ancora lontana. Camminano su una strada sterrata che si inoltra tra gli alberi.

Robert rabbrividisce. Si guarda intorno e scuote la testa.

- Questo inverno non finirà mai.

- Robert! Guarda quella farnia: ha già tutte le gemme. Qualche giornata di pioggia e poi di sole e sarà tutto un rifiorire. Come il giardino a Cranleigh.

Robert guarda i rami. È vero: sono pieni di gemme. La vita riprende. Anche la sua vita, lo sa: per quanto soffra ancora moltissimo per la perdita della madre, si rende conto che la ferita si sta cicatrizzando. Il dolore lo accompagnerà a lungo, ma non è più un peso che lo schiaccia e cancella ogni altro pensiero.

 

Due ore dopo sono di nuovo in auto. Mentre tornano a casa, Arthur dice:

- Domani vado a Londra. C’è la fusione della statua di Prometeo.

- La farai portare a Cranleigh?

- Certo. Mi piace rifinirla, come sempre. Piccoli dettagli, che rendono ogni copia diversa dalle altre.

- Sono curioso di vederla.

- Certo che hai una faccia di bronzo, per fare un paragone in tema e non essere volgare…

Robert è un po’ stupito dell’osservazione del cugino.

- Ma perché?

- Perché non hai mai messo piede nel mio studio mentre la preparavo e adesso…

- Non voglio disturbarti mentre lavori.

Arthur scuote la testa.

- Sai benissimo che non mi disturbi. Credo di averti anche detto che sarei stato ben contento di farti vedere lo studio, ma non mi sei sembrato impaziente di scoprire le mie opere. Mi sento incompreso. Un genio incompreso.

Arthur l’ha detto sorridendo. Ha un bel sorriso, il cugino.

Robert sa che Arthur è considerato un grande artista, ma si diverte a stuzzicarlo.

- Un genio? È la prima volta che lo sento dire di te…

Arthur si volta verso di lui, lanciandogli un’occhiataccia, ma sulle sue labbra c’è un sorriso.

 

*

 

Robert entra nello studio. Arthur sta lavorando alla statua di Prometeo, che troneggia nel grande laboratorio: è alta oltre due metri ed è davvero imponente. Raffigura il titano legato da robuste catene, che si protende in avanti, quasi volesse spezzare gli anelli di ferro: l’atteggiamento non è quello di un uomo prigioniero e sofferente, pare piuttosto una sfida agli dei e al mondo intero. Prometeo è incatenato, ma non vinto. Il titano è nudo e Robert può ammirarne il corpo forte e il viso squadrato, dai lineamenti molto decisi. Anche l’uccello vigoroso sembra sul punto di tendersi, spavaldo.

Robert si avvicina senza dire nulla. La statua è davvero affascinante.

Gira intorno al bronzo, osservando ogni dettaglio. Dopo chiede:

- Hai usato un modello?

- Certo. Il mio amico Gerald Reed.

- La statua è fedele all’originale?

- Sì, a parte naturalmente le dimensioni.

- Ha posato nudo?

- Certo.

Robert annuisce. Sa bene che i modelli posano spesso nudi per gli artisti che vogliono disegnare, dipingere o scolpire la figura umana. L’idea che il modello sia un amico di Arthur lo incuriosisce.

- Gli hai chiesto tu di posare?

- Una volta che abbiamo parlato di modelli, gli dissi che era un soggetto molto interessante, che avrei potuto utilizzare per diverse statue. E lui si dimostrò molto curioso di provare.

Robert vorrebbe chiedere ancora altro, soprattutto sul fatto di posare nudo, ma si sente un po’ in imbarazzo e preferisce cambiare discorso.

- E come hai lavorato?

- Ho fatto alcuni modellini di argilla, cercando la posa migliore, e quando infine ho trovato quella che mi convinceva, ho preparato il modello per procedere poi alla fusione.

Arthur spiega alcuni dettagli tecnici del procedimento, rispondendo alle domande di Robert, che infine dice:

- È davvero una meraviglia. Non sapevo che fossi così bravo.

- Lo so, lo so. Mi sottovaluti.

Scambiano ancora due parole, poi Robert lascia lo studio e passa nel suo appartamento. Raggiunge la biblioteca e si siede. Ha bisogno di riflettere. La visione della statua lo ha turbato.

Chiude gli occhi e lascia che i pensieri vaghino. Il suo turbamento nasce dalla visione di quel corpo nudo, forte e virile. Un corpo come quelli che Robert desidera.

Conosce i propri desideri, ma non ha mai avuto rapporti. In Inghilterra la sodomia è un reato, ma non è stato quello a frenarlo. Ha capito tardi, probabilmente non ha voluto capire, ha preferito non cogliere tutto ciò che avrebbe dovuto aprirgli gli occhi, fino a che non gli è più stato possibile ignorare i propri desideri. Si sentiva sporco, indegno e ha cercato di combattere, ma a un certo punto ha realizzato che non aveva nessun senso.

In Inghilterra ha evitato ogni tentazione, temendo che si venisse a sapere: l’idea di essere scoperto lo spaventava, pensava all’angoscia di sua madre, al disprezzo dei fratelli, all’esclusione dalla società. E ha finito per isolarsi.

Nei suoi viaggi in Europa e nei suoi soggiorni in Francia ha notato più volte l’interesse di altri uomini e qualche volta è stato sul punto di lasciarsi andare. Forse avrebbe finito per cedere al desiderio: a Honfleur aveva conosciuto un gruppo di giovani atletici, che lo attraevano molto, ma la madre l’ha richiamato in patria prima che avesse il tempo di approfondire il rapporto.

Il periodo del lutto sembrava aver spento il desiderio. Solo ogni tanto Robert ha sogni al termine dei quali viene. Sogni in cui appaiono uomini forti, come il Prometeo scolpito da Arthur.

 

Nella notte Robert sogna Arthur che scolpisce la statua di Prometeo. Il cugino è nudo e martella la statua con lo scalpello, come fosse pietra e non bronzo. Robert si avvicina per guardare la scultura, ma vede Arthur, anche se è dietro di lui, con il sesso teso, che gli si avvicina da dietro e lo abbraccia. Il desiderio si tende, ma nel sogno risuona la voce di Arthur che dice: - Non ti vergogni?

Robert si sveglia di soprassalto, eccitato e turbato. Si infila la vestaglia e si alza. Non ha voglia di rimettersi a dormire. Che sogno assurdo!

L’eccitazione si riduce, ma il sonno sembra essere passato completamente. Ha voglia di rivedere la statua. Si dice che può passare nello studio di Arthur. A quest’ora i domestici dormono certamente e nessuno lo vedrà e anche se lo vedessero, che c’è di male?

Robert chiude bene la vestaglia, poi prende un lume, lo accende e passa nello studio del cugino. Si mette davanti alla statua e la osserva. È davvero magnifica. Alla luce della lampada, la statua sembra prendere vita nel gioco di ombre.

Gira intorno, come ha fatto al mattino, ma, concentrato nell’osservare il corpo possente che gli si offre, non si accorge di una sedia, che urta, facendola cadere. La rialza. Spera che nessuno abbia sentito.

Poco dopo però vede entrare Arthur.

- Ah, sei tu, Robert?! Che succede?

- Non riuscivo a dormire e mi sono alzato. Ho pensato di venire a guardare ancora la statua. È affascinante. Ho urtato una sedia, che è caduta. Scusami, non volevo certo svegliarti. Oltre tutto mi rendo conto che questa visita notturna è…

Arthur lo interrompe. 

- Non hai da scusarti. Hai fatto benissimo a entrare se avevi voglia di rivedere la statua. Ti ho detto che puoi venire quando ti va. E poi…

Arthur sorride e conclude:

- …mi fa piacere vedere che finalmente apprezzi le mie opere. Non sei completamente privo di buon gusto come pensavo.

Robert sorride anche lui. Non sa che cosa dire. È Arthur a riprendere:

- Come ti dicevo, ho fatto diversi bozzetti in argilla per la statua di Prometeo. Vuoi vederli?

- Adesso? No, non voglio certo tenerti sveglio a quest’ora. Scusa se…

Arthur lo interrompe.

- Figurati! Dormirò di più domani mattina.

Arthur si dirige verso uno scaffale, su cui si trovano diverse statuette di creta. Ce ne sono alcune alte appena una spanna, ma in maggioranza sono un po’ più grandi.

Il soggetto è chiaramente lo stesso, ma la posizione del corpo è diversa. Robert osserva le piccole sculture una per una.

- Sono bellissime.

- Se hai piacere di averne una o più d’una, prendi pure.

- No, non voglio proprio approfittare. Ma verrò a vederle ancora.

Mentre posa sullo scaffale l’ultima statuetta, Robert vede una testa, che sembra quella di un morto: gli occhi spalancati con le pupille appena visibili in alto, la bocca aperta.

- Inquietante. Che cos’è?

- La testa di Giovanni Battista o di qualche altro uomo decapitato. In realtà è quella di Rupert, un amico di Gerald e mio. Ho anche fatto un bozzetto di Gerald come boia, che tiene la testa con la mano…

Il tono di Arthur si è andato smorzando mentre finiva la frase, come se si fosse già pentito di quello che stava dicendo.

- Ce l’hai qui? Mi piacerebbe vederlo.

Arthur esita un attimo, poi risponde:

- Sì, ce l’ho, ma… è un bozzetto…

È evidente che Arthur preferirebbe non mostrarlo, ma la sua reticenza ha destato la curiosità di Robert.

- Se non ti dispiace, lo vedrei volentieri.

Arthur annuisce, poi ride.

- E va bene.

Robert non capisce perché il cugino ride.

Arthur apre un grande armadio e prende una statuetta in creta, alta forse mezzo metro. Raffigura due uomini, entrambi nudi. Uno è un cadavere a terra, senza testa. L’altro, che è chiaramente lo stesso soggetto della statua di Prometeo, è in piedi, con il braccio destro teso e la mano che tiene per i capelli una testa mozzata, mentre la sinistra impugna ancora la spada. Ma a colpire Robert è soprattutto l’uccello, rigido e quasi verticale. E guardando il corpo decapitato, si rende conto che ha i fianchi sollevati, perché appoggiano sulle gambe piegate, mentre il torace tocca terra: una posizione forse abbastanza naturale per un uomo che il boia ha fatto inginocchiare prima di decapitarlo, ma che ha qualche cosa di osceno, come se il morto offrisse il culo al suo assassino. O come se gli si fosse offerto prima di venire ucciso.

Arthur gli dice:

- Spero che non ti scandalizzi. Ho raffigurato un uomo per cui uccidere è un piacere, un piacere fisico e non solo mentale.

Robert scuote la testa.

- No. È affascinante. E devo dire che hai reso in modo magistrale un misto di violenza e forza, di umiliazione e morte. Non ne farai una statua a grandezza naturale?

- No, non credo. È… troppo. Mi denuncerebbero per oscenità.

Robert sa che il cugino ha ragione. Annuisce.

- Peccato.

Guarda ancora il boia e aggiunge:

- C’è una potenza nell’immagine di quest’uomo…

- Gerald è una forza della natura. Come il fuoco. Ho cercato di rendere la sua forza.

Robert avrebbe diverse domande, ma non può porle: per quanto siano legati, non esiste tra loro una confidenza sufficiente. No, non è così. Hanno toccato diversi temi personali, che Robert non avrebbe affrontato con nessun altro, ma ci sono argomenti di cui non hanno mai discusso: non hanno mai parlato di amore, di desiderio, di sessualità.

- Ci sei riuscito, perfettamente. Ma adesso è ora che vada a dormire e la smetta di tenerti in piedi nel cuore della notte.

Si salutano e Robert torna a stendersi. Non ha sonno. Il pensiero va al viaggio a Venezia, quando aveva ventidue anni. Dopo una settimana in città aveva conosciuto un gondoliere, che si chiamava Jacopo: un uomo molto forte, che aveva almeno una dozzina d’anni in più di lui. Si era fatto portare da lui più volte, affascinato dalla sua forza, e avrebbe voluto che lui lo prendesse. Si diceva che i gondolieri veneziani fossero spesso disponibili ad avere rapporti con i turisti in cambio di un po’ di denaro, ma Robert non aveva osato dire nulla, anche se sospettava che l’uomo non si sarebbe tirato indietro.

Oggi, se tornasse a Venezia e lo incontrasse ancora, proverebbe a farsi avanti. Ma non è a Venezia, è in Inghilterra, a Cranleigh, con Arthur. Arthur… Arthur è un bell’uomo, forte, sempre gentile nei suoi confronti. Gli vuole bene.

 

Il giorno dopo il cugino gli dice:

- Venerdì pomeriggio verranno a cena da me due amici. Uno è Gerald, a cui voglio far vedere la statua, l’altro è Rupert, quello della testa tagliata. Li ho invitati per il fine settimana. Mi farebbe piacere se cenassi con noi almeno venerdì sera, ma non ti voglio obbligare.

È la prima volta che Arthur invita qualcuno a Cranleigh, anche se nell’inverno si è recato ogni settimana una sera o due a Londra per incontrare gli amici e in qualche occasione si è fermato per la notte.

L’idea di incontrare il modello della statua di Prometeo lo solletica, per cui Robert non si nega.

- Vengo volentieri.

- Ne sono contento. Credo che ti piaceranno.

 

*

 

Gli amici di Arthur arrivano nel pomeriggio del venerdì. Sono tutti e due sui trenta-trentacinque anni.

Arthur presenta prima un bell’uomo, con un viso largo, occhi azzurri e capelli scuri, che porta un po’ lunghi. Ha una fitta barba, molto curata.

- Rupert Bates, professore di storia al St. Mary College e autore di diversi libri. Mio cugino Robert. Lui ti conosce già: ha visto la tua testa mozzata e ne è rimasto impressionato.

Rupert ride.

- Adesso può vedermi intero. Spero di essere meno impressionante.

Robert sorride e stringe la mano all’ospite.

Arthur passa poi a Gerald, che ha anche lui capelli scuri e occhi chiari, ma non porta la barba. Sul mento c’è una cicatrice, che Arthur non ha riprodotto nella statua.

- Gerald Reed, proprietario di un’industria chimica.

Mentre gli stringe la mano, Robert dice:

- L’avrei riconosciuto comunque: ho visto la statua in cui è ritratto come Prometeo.

- Io invece non ho ancora avuto il piacere di vederla e sono molto curioso.

Poi Gerald si rivolge ad Arthur e dice, aggrottando la fronte:

- Arthur, non gli hai mica fatto vedere… altre sculture?

Arthur ride.

- Sì. Quella in cui tu tieni in mano la testa di Rupert.

Gerald scuote la testa.

- Sei totalmente inaffidabile: mi avevi detto che non l’avresti esposta. Che idea si sarà fatto di me tuo cugino?

- Non l’ho esposta e gliel’ho mostrata perché mi ha chiesto lui di vederla. Comunque mi ha detto di aver apprezzato.

- La statuetta o il soggetto?

Arthur ride.

- La statuetta, naturalmente.

Gerald si rivolge direttamente a Robert:

- Suo cugino è davvero scorretto, mi creda. Diffidi di lui. Non lasci che la ritragga. O lo ha già fatto?

Robert sorride e fa un cenno di diniego.

- No, mai. Si vede che non mi reputa un soggetto adatto.

- Meglio così, glielo assicuro.

Gerald lancia un’occhiataccia ad Arthur, ma gli sfugge un sorriso. Evidentemente non gli è spiaciuto che Robert lo abbia visto riprodotto con l’uccello in tiro.

 

Arthur guida i due amici in una visita alla villa e al giardino, in cui sono già spuntati molti fiori.

Cenano insieme e poi si siedono nel salotto di Arthur. Conversano fino a tardi, affrontando diversi argomenti, dalla politica all’arte. Robert partecipa poco alla conversazione, ma osserva Arthur e i suoi due amici, perdendosi nei suoi pensieri. È evidente che tra loro esiste una grande intimità, ma sono quanto mai diversi l’uno dall’altro. Uno scultore, uno storico, un industriale: tre mondi che non sembrano avere terreni comuni. Anche fisicamente sono piuttosto diversi. Sono tre uomini forti, ma Rupert è più snello degli altri due e ha un’eleganza naturale, Gerald all’opposto è massiccio e fisicamente sembra più rozzo, quasi brutale. Arthur è più alto e corpulento di Rupert, ma ha la stessa eleganza.

Nel dialogo emergono altre differenze, di carattere e di pensiero. Gerald è irruente e pronto a formulare giudizi perentori. Rupert è molto più riflessivo e argina facilmente l’amico, mentre Arthur ricorre volentieri all’ironia. Non è un dialogo tra sordi: tutti e tre sembrano sforzarsi di capire il punto di vista degli altri e questo piace molto a Robert.

Decidono di fare il giorno dopo un’escursione a Guilford Castle. Gerald e Rupert danno per scontato che anche Robert partecipi e quando Arthur gli chiede se gli va bene, Robert dice di sì: i due amici del cugino sono simpatici e trascorre volentieri con loro la giornata.

 

Il giorno dopo raggiungono il castello con l’auto di Gerald. Mentre camminano sulle mura, Rupert propone a Robert di chiamarsi per nome, come lui e Gerald già fanno con Arthur. Robert accetta volentieri. La visita si rivela molto interessante perché Rupert, professore di storia, fornisce una serie di informazioni sulle vicende del castello e della famiglia che lo fece costruire e lo abitò per sei secoli.

Ritornano nel tardo pomeriggio e girano per il giardino. Robert ha modo di parlare prima con Gerald, poi con Rupert. Sta bene con tutti e due, anche se sente Rupert più affine.

La domenica invece piove, per cui rimangono a casa fino a quando, nel pomeriggio, i due ospiti se ne vanno. Robert è contento di aver fatto la loro conoscenza. Si rende conto di aver voglia di incontrare gente e rivedere qualche amico, ma per il momento lascia che la pigrizia abbia ancora il sopravvento.

 

L’estate è arrivata. Il tempo è molto variabile: giornate di sole si alternano ad altre di pioggia e a volte nel corso di poche ore il cielo, inizialmente sereno, si copre e si scatena un piccolo diluvio; quando termina, le nuvole si disperdono e torna a splendere il sole.

Robert si è deciso ad andare a Londra alcune volte, approfittando di un passaggio in auto nei giorni in cui anche il cugino si reca nella capitale. È stato a trovare la sorella, che vede volentieri, e i fratelli, con cui ha poco da dire. Ha ritrovato qualche vecchio amico. Ed è tornato in alcuni musei che voleva rivedere. Sta riprendendo gusto alla vita.

Mentre tornano a casa in auto, Arthur gli dice:

- Gerald e Rupert verranno la settimana prossima. Contano di fermarsi due settimane.

Robert non si stupisce: il cugino gli aveva già anticipato l’intenzione di invitare i due amici. Robert è contento di rivederli. Intanto Arthur prosegue:

- Contiamo di fare qualche passeggiata e visita e intendo farli posare: voglio preparare alcuni bozzetti.

- Come il San Giovanni decapitato?

- Pensavo a scene di lotta. Un Ercole e Anteo, per esempio.

- Magari una volta mi fai assistere. Mi piacerebbe vederti al lavoro con un modello.

Robert è davvero curioso di vedere Arthur all’opera con un modello, ma in questo caso gioca molto anche il desiderio di vedere Gerald e Rupert nudi o quasi nudi.

- Puoi assistere quando vuoi. In qualsiasi momento va bene. Né Gerald, né Rupert hanno il minimo senso del pudore, per cui non ci sono problemi anche se assisti quando loro sono nudi. Credo che Gerald sia contento di avere uno spettatore.

Robert non dice nulla. Poseranno davvero nudi, come aveva sperato, e ha voglia di vederli.

 

*

 

Gerald e Rupert arrivano con l’auto di Gerald, come la volta precedente.

Robert è contento del loro arrivo: i due amici di Arthur sono simpatici e trascorrere due settimane in loro compagnia gli fa piacere. È molto curioso di assistere alle sedute di posa, di guardare questi due corpi nudi che finora ha potuto vedere solo riprodotti nelle opere del cugino.

Robert si trova a suo agio con loro e partecipa alla conversazione comune assai più di quanto abbia fatto durante la visita precedente.

Il giorno seguente si spingono fino alla costa e camminano per alcune ore lungo le scogliere. Ci sono tratti in cui procedono tutti insieme, altri in cui si dividono. Robert si trova a parlare ora con uno, ora con un altro. Gerald gli pone domande dirette sulla sua vita: non ha la tipica riservatezza inglese. Con Rupert invece la conversazione spazia su diversi soggetti, evitando la sfera personale.

Il terzo giorno il cielo è minaccioso e già in mattinata incomincia a piovere. Decidono che Gerald e Rupert poseranno. Arthur dice:

- Robert ha espresso il desiderio di assistere a qualche seduta di posa. Vi va bene?

Robert fa in tempo a dire:

- Non voglio essere invadente…

Gerald sorride e lo interrompe:

- Robert, certo che puoi venire e assistere. È affascinante vedere Arthur al lavoro, è incredibile quello che sa fare con le mani.

Anche Rupert si dichiara d’accordo.

Robert è contento di poter assistere. È curioso di vedere Arthur al lavoro, ma soprattutto di vedere i modelli. Sa che nella sua curiosità c’è anche l’attrazione che esercitano su di lui i due uomini e soprattutto Gerald.

Arthur si dirige nello studio per preparare tutto il necessario. Gerald e Rupert salgono in camera: raggiungeranno Arthur un po’ più tardi. Robert scrive una lettera a un amico e poi passa nello studio. Entrando vede sulla pedana Gerald e Rupert in piedi, entrambi nudi, uno di fronte all’altro. Rupert gli dà la schiena e Robert può ammirarne il culo, forte e ricoperto da una leggera peluria scura. Gerald è rivolto verso di lui, ma Rupert lo copre.

Robert si ferma sulla soglia, incerto: pensava e sperava che avrebbero posato nudi, ma ora che li vede si sente in imbarazzo, anche se lo spettacolo gli piace molto. O forse proprio per quello. Gerald lo vede e sorride, dicendo:

- Vieni avanti, Robert. Siamo in pausa. Il maestro ci ha lasciato un momento di respiro, ma l’intervallo sta per finire.

Robert annuisce e si avvicina. È curioso di vedere Gerald nudo. Come nella statua di Prometeo, l’uccello è proteso in avanti, turgido, anche se non completamente rigido. È davvero grande e vigoroso. Nella statua di Prometeo Arthur ha rispettato le proporzioni.

Arthur interviene:

- Va bene, bambini, torniamo a lavorare. In posizione.

Gerald fa un passo avanti, afferra Rupert passandogli le braccia intorno alla vita e lo solleva. Rupert gli poggia le mani sulle braccia, come se cercasse di liberarsi e rovescia indietro la testa.

Arthur si sposta, girando intorno alla pedana, poi riprende a modellare il blocco di argilla a cui sta lavorando. Robert guarda affascinato i due corpi nudi avvinghiati. Rimangono nella posizione per qualche minuto. Robert si dice che Gerald dev’essere davvero forte, per riuscire a sostenere Rupert a lungo: l’amico non è certamente leggero.

- Va bene, può bastare.

Gerald allenta la stretta e Rupert scivola lungo il suo corpo fino a posare i piedi a terra. Si guardano, si sorridono e si staccano. Sono entrambi eccitati, ora, gli uccelli tesi in avanti, ma non paiono preoccuparsene.

Robert si sente a disagio, ma non riesce a distogliere lo sguardo. Cerca di nascondere l’imbarazzo, chiedendo, con un tono il più possibile naturale:

- Qual è il soggetto della statua?

- Ercole e Anteo, come ti avevo detto, non so se ti ricordi il mito: Anteo è figlio della Terra e riceve forza da lei ogni volta che tocca il suolo, ma Ercole lo solleva e così può stritolarlo, uccidendolo. Raffiguro il momento in cui Anteo sta morendo, riprendendo un po’ la statua del Pollaiolo. Ma non ne farò una statua di grandi dimensioni, più probabilmente un piccolo bronzo.

Gerald ride.

- Prima o poi devi fare una statua in cui io ammazzo Rupert.

Gerald si rivolge di nuovo a Robert:

- Io volevo una statua con la testa di Rupert, il San Giovanni di cui hai visto il bozzetto. Ma questo pigrone ha solo fatto la testa tagliata. E il bozzetto.

Rupert sorride e dice:

- Uno di questi giorni fai la statua di Gerald impalato dai Turchi, vero, Arthur?

Arthur ghigna e dice:

- Mi sembrate due bambini dell’asilo. Ci manca solo che facciate la gara a chi fa la pipì più lontano.

 

Nei giorni seguenti passeggiate e gite si alternano alle sedute di posa per alcune statue. Robert viene spesso ad assistere. Molte volte i due amici posano nudi e quando il soggetto è nuovamente una scena di lotta, di solito su un modello dell’antichità, sono entrambi eccitati: il contatto tra i loro corpi accende il desiderio e non lo nascondono. Robert si chiede se siano amanti, ma non osa porre la domanda, neanche ad Arthur.

Le gite si svolgono nei dintorni, ma qualche volta si spingono più lontano. Di solito utilizzano la macchina di Gerald, che guida piuttosto veloce: Arthur è molto più prudente. Ma Robert non ha paura, perché ha l’impressione che Gerald sia in grado di controllare perfettamente l’automobile.

 

Un giorno fanno un’escursione fino al mare, come hanno fatto già a primavera, ma al ritorno l’auto di Gerald incomincia a produrre strani rumori e quando sono a poche miglia da Cranleigh, rallenta, si ferma e infine sembra esalare l’ultimo respiro.

Gerald cerca di riavviarla, ma né lui, né Arthur, per quanto entrambi esperti di motori, riescono nell’impresa: non c’è proprio modo di farla ripartire, perché si è rotto un pezzo. Bisognerà farlo arrivare e sostituirlo. Fanno trainare l’auto fino a un fienile, il cui proprietario è disponibile a tenere la vettura in custodia, poi rientrano.

Era previsto che il giorno dopo Gerald portasse Rupert a Reading, ma ovviamente non è possibile.

- Rupert, mi sa che domani non potrò accompagnarti a Reading.

Rupert scuote la testa.

- Non c’è problema. Prendo il treno, come già volevo fare.

Arthur interviene.

- Ti accompagno io. Di qui a Reading in auto ci vuole un’ora.

- Ma no, basta che mi porti alla stazione.

- Figurati! Dovresti prendere il treno fino a Londra, poi cambiare, aspettando non so quanto tempo. No, non se ne parla proprio. Ti accompagno.

Gerald interviene:

- Posso portarlo io, se mi lasci usare la tua auto.

Arthur ride:

- La mia auto?! Ho visto come guidi, non mi passa nemmeno per la testa!

Gerald inarca le sopracciglia, come se fosse offeso.

- Con me arriverebbe in metà del tempo.

- In paradiso, forse sì.

- In paradiso lui? Scherzi? Non ci finirà mai.

- Sopportando te ha già scontato le pene del purgatorio.

Rupert ride, poi dice:

- Meno male che mi capisci, Arthur.

Gerald finge di essere offeso, ma gli scappa da ridere.

 

Il giorno dopo a pranzo mangiano molto presto, poi Arthur e Rupert partono in auto: staranno via tutto il pomeriggio.

Quando l’auto scompare oltre il cancello, Gerald chiede a Robert se ha voglia di fare due passi in giardino.

- Volentieri.

Passeggiano un momento in silenzio. Robert non sa bene che cosa dire e osserva:

- Il giardino è molto bello a quest’epoca.

Gerald sorride e gli dice, fissandolo:

- Anche tu sei molto bello, Robert.

Robert guarda Gerald, stupito: non si aspettava il complimento. Gerald aggiunge:

- Ti dà fastidio che te l’abbia detto?

- No, certo. È gentile da parte tua.

- Ma ti ho spiazzato. Sono molto diretto. Arthur e Rupert staranno via ancora almeno tre o quattro ore. E ho alcune idee su come passerei volentieri questo tempo.

Robert è frastornato. Gli vengono in mente le parole di Arthur su Gerald: “È una forza della natura”.

- Sempre che io non ti faccia schifo.

Robert scuote la testa. Sorride e dice:

- Mi piaci molto, Gerald.

È la verità: Gerald lo attrae molto. Non come persona: lo conosce troppo poco. Ma lo affascina la sua forza.

Gerald fa un passo avanti. Ora sono a una spanna uno dall’altro. Il desiderio si accende in entrambi. Gerald spinge Robert contro il tronco di un albero. Ora i loro corpi aderiscono. Gerald bacia Robert sulla bocca, facendo avanzare la sua lingua tra i denti di Robert, che l’accoglie.

Le mani di Gerald percorrono il corpo di Robert, decise, brutali.

Robert ha la sensazione di non essere ben fermo sulle gambe. Gli sembra che solo il tronco dell’albero lo sostenga.

- Lo vuoi, Robert?

Robert annuisce, spaventato, confuso, eccitato. Ma qualcuno potrebbe vederli.

- Non qui, non nel giardino.

Gerald lo bacia ancora sulla bocca poi si stacca.

- Certo! Andiamo in camera mia. O da te.

- Vieni da me.

Robert fa strada fino alla sua camera da letto. È confuso, ha paura, ma cede al desiderio che brucia dentro di lui.

Appena sono dentro, Gerald lo spinge contro la porta e nuovamente lo bacia, mentre le sue mani percorrono il suo corpo, accarezzando, stringendo, slacciando la fibbia della cintura, infilandosi sotto la camicia, sbottonando, facendo scivolare a terra i pantaloni e le mutande di entrambi. Ora Robert sente la mano di Gerald che scorre tra le cosce, un dito che preme contro l’apertura segreta. Robert chiude gli occhi. Il desiderio lo stordisce, è più forte di tutto, anche della paura che prova.

Il dito scivola dentro, a fatica. A Robert sfugge un gemito, leggero. Gerald toglie il dito, si sputa sulla mano e sparge un po’ di saliva intorno al buco. Spinge nuovamente il dito dentro. Robert sussulta e chiude gli occhi.

Ancora due volte Gerald inumidisce il dito e prepara l’apertura, poi si sputa sulla mano e bagna la cappella. Gira Robert, che ora sente l’uccello di Gerald poggiare sul suo culo. Gerald arretra leggermente, con la mano dirige l’uccello verso l’apertura, preme e lentamente entra. È una sensazione dolorosa, eppure piacevole. Robert non saprebbe dire quanto è dolore e quanto è piacere, l’uno e l’altro sono forti. Geme, cercando di non farlo troppo forte, perché non vuole che un domestico possa sentire.

È confuso e la sua mente sembra perdersi tra le sensazioni violente che gli trasmette il corpo di Gerald che lo schiaccia contro la porta, l’uccello di Gerald che scava dentro di lui.

Gerald spinge, muovendosi prima con molta cautela e poi più deciso. Il dolore aumenta, ma anche il piacere. È bello sentire l’uccello di Gerald che gli scava il culo, è bello. Robert geme di nuovo.

Gerald procede a lungo, poi prende a spingere più forte. Il dolore cresce e Robert trattiene a fatica un grido.

Poco dopo Robert sente la scarica. Chiude gli occhi.

Gerald gli passa le braccia intorno alla vita e si gira, appoggiandosi con la schiena contro la porta, mentre stringe Robert. La sua mano afferra l’uccello di Robert, senza delicatezza.

Robert sussulta. Chiude gli occhi, lascia che la mano di Gerald lavori, mentre l’uccello gli si tende. In culo sente ancora la massa calda, meno rigida e meno grande, ora, ed è piacevole.

La tensione cresce. Robert geme, questa volta più forte. Gerald gli mette l’altra mano davanti alla bocca e Robert gli morde leggermente un dito.

Infine il piacere esplode e il seme schizza in alto.

Robert chiude gli occhi e si abbandona su Gerald, che lo sostiene. Nuovamente ha la sensazione di non essere in grado di reggersi.

Solo ora Gerald lo prende, sollevandolo di peso, e lo depone sul letto. Poi si stende al suo fianco.

Si sorridono, poi Robert chiude gli occhi e scivola nel sonno.

Lo svegliano le carezze di Gerald, che lo bacia, lo volta a pancia in giù e si stende su di lui.

Questa volta Gerald si muove con maggiore delicatezza e, per quanto sia forte il dolore che la penetrazione rinnova, il piacere è molto più intenso. Gerald procede a lungo, instancabile, e Robert sprofonda in un mare di sensazioni a cui si abbandona completamente. Nuovamente Gerald viene per primo, poi la sua mano afferra l’uccello di Robert e lo guida all’orgasmo.

Gerald lo bacia sulla nuca, poi si abbandonano entrambi al sonno.

Quando Robert si sveglia, guarda Gerald dormire accanto a lui. Osserva il corpo del maschio che lo ha posseduto, il vello che copre il torace e il ventre, il grosso uccello che è entrato dentro di lui. Pensa che è bello riposare accanto all’uomo che lo ha preso, è bello poter guardare questo corpo forte che si offre alla sua vista.

Gerald apre gli occhi, lo attira a sé e lo bacia. Robert si chiede se non voglia fare l’amore una terza volta, ma Gerald lancia un’occhiata all’orologio appeso al muro e dice:

- È meglio che ci rivestiamo. Non credo che Arthur e Rupert tarderanno molto.

Robert guarda Gerald.

- Preferisco rimanere disteso ancora un po’ se non ti spiace.

Gerald annuisce.

- Come vuoi.

Gerald si alza, passa nel bagno e si lava, poi si riveste. Sulla porta apre la bocca per dire qualche cosa, ma poi ci ripensa e tace. Si avvicina al letto, si china su di lui, lo bacia e se ne va.

Robert rimane steso. Il culo gli fa parecchio male ed è contento di non doversi muovere subito, ma il motivo per cui ha preferito non alzarsi è un altro: ha bisogno di restare da solo un po’. È stato il suo primo rapporto sessuale. A quasi ventotto anni.

Gerald gli piace, molto. Non è certamente innamorato di lui e neanche Gerald lo ama, ma il rapporto è stato bello.

 

Robert si alza quando sente la macchina di Arthur arrivare e fermarsi davanti al portone.

Cenano insieme, poi chiacchierano un po’. Robert è del tutto assente. Arthur non dice molto e la compagnia si divide più presto del solito.

Arthur dice a Robert di aspettare un attimo, perché deve chiedergli una cosa. Quando i due amici se ne sono andati, chiede:

- Robert, è successo qualche cosa?

- Perché me lo chiedi?

- Perché questa sera a cena mi sei sembrato molto turbato e anche dopo cena eri… piuttosto assente.

Robert annuisce. Esita un attimo, poi dice:

- Sono turbato, è vero, Arthur. Ma preferisco non parlarne. Non ora.

- Come vuoi, Robert.

 

Nei tre giorni seguenti, gli ultimi prima della partenza dei due amici, tutto si svolge come al solito. Non c’è nessun cambiamento nell’atteggiamento di Gerald, a parte il fatto che a volte guarda Robert ammiccante. In presenza degli altri non fa nessuna allusione a quanto è successo tra loro e non sembra interessato a ripetere l’esperienza.

Robert è molto confuso e si rende conto di partecipare di meno alle conversazioni comuni.

Quando assiste alle sedute di posa, fissa Gerald e pensa che quell’uccello vigoroso che ogni tanto si tende gli è entrato in culo. Vorrebbe sentirlo di nuovo dentro di sé. Pensa che vorrebbe sentirne l’odore, il gusto. Vorrebbe leccarlo, succhiarlo. Più volte Robert ha un’erezione mentre assiste alle sedute di posa e gli capita di venire la notte mentre sogna Gerald.

Infine Gerald e Rupert partono, al termine delle due settimane previste.

Robert è contento di vederli andare via. La presenza di Gerald lo turbava.

 

La sera successiva, dopo cena, Arthur dice:

- Robert, ho bisogno di parlarti con calma. Facciamo due passi in giardino?

- Va bene.

Il sole sta tramontando mentre percorrono un vialetto tra le aiuole fiorite. Appena si sono allontanati un po’ dalla casa, Arthur affronta l’argomento:

- Robert, non voglio impicciarmi in affari che non sono miei, ma mi sento in qualche modo responsabile.

- Non sei responsabile nei miei confronti. Ho ventotto anni e dovrei essere in grado di gestirmi da solo.

- Sì, certo, ma credo che sia successo qualche cosa con Gerald e l’ho invitato io qui.

Robert tace. Poi incomincia:

- Arthur…

Si ferma. Guarda il giardino. Pensa che confidarsi gli farà bene e che su Arthur può contare.

- Abbiamo… abbiamo fatto l’amore, Arthur. Tutto qui. Lui me l’ha chiesto e io ho accettato, perché ne avevo voglia, perché Gerald mi piace, la sua forza mi affascina.

Arthur sorride. Appare sollevato.

- Scusa, ma per un momento ho temuto che potesse esserci stato… non so… ho sempre visto Gerald comportarsi in modo corretto, ma tu eri chiaramente sconvolto e ho temuto che…

- …che mi avesse preso a forza?

- Qualche cosa del genere, sì, non dico proprio uno stupro, ma che in qualche modo ti avesse preso senza che tu davvero lo volessi. Mi spiace averlo pensato, è molto brutto nei confronti di Gerald, non avrei dovuto. Ma da quel giorno tu sei molto turbato.

- È vero, ma…

Esita un attimo e poi dice ciò che ha bisogno di dire:

- …non avevo mai fatto l’amore.

Arthur guarda Robert. Non sembra stupito. Annuisce.

- Che cosa ti ha turbato tanto?

- Non lo so. Prima… prima era tutto indefinito. Sapevo di desiderare gli uomini, ma… era qualche cosa di… vago, di indefinito, appunto… non so come dire… non era reale.

- E adesso invece sai che cosa significa. Sai quello che sei. Hai difficoltà ad accettarlo?

- No,

- Non intendi rinunciare a essere quel che sei, vero, Robert?

Robert scuote la testa. Arthur riprende:

- Mi rendo conto di essere invadente. Sto facendomi gli affari tuoi, ma… mi sento responsabile, te l’ho detto.

- Responsabile della mia vita? Non ha nessun senso.

- Lo so, ma… Robert, credo che tua madre mi abbia voluto qui, a Cranleigh, per esserti vicino…

- Sì, ma…

Robert si ferma, perché di colpo intuisce.

- …intendi dire che…

Non completa la frase. È Arthur a dire ciò che Robert stesso ha intuito:

- Penso che non si trattasse soltanto di non lasciarti solo nella tua sofferenza. Credo che ci fosse anche altro.

Robert fissa Arthur.

- Credi che mia madre avesse capito?

Robert l’ha pensato spesso. Sua madre era molto sensibile e capace di leggere dentro di lui. Negli ultimi tempi, in alcune occasioni in cui erano soli, aveva a volte avviato discorsi che sembravano voler favorire una confidenza, ma Robert non si era sentito di aprirsi.

- Penso di sì. Vorrei dire che ne sono sicuro. E ha pensato che io fossi la persona giusta per darti una mano.

- Perché tu?

- Perché ho accettato di essere quello che sono e potevo in qualche modo aiutarti a fare lo stesso.

Arthur non dice altro. Sospetta che sua zia pensasse alla possibilità che tra lui e Robert nascesse un rapporto d’amore, ma è solo un’ipotesi e certamente non intende parlarne con il cugino.

Robert guarda Arthur. Il cugino gli sta dicendo che è anche lui omosessuale?

- Arthur, anche tu… anche a te piacciono gli uomini?

- Sì, è così.

Robert è confuso. Non se l’aspettava. I pensieri si accavallano nella sua testa. Chiede:

- Non hai una relazione fissa, vero?

- No.

- Scusa la domanda. Sono indiscreto, lo so.

- Puoi chiedermi tutto quello che vuoi.

- Hai… Sapevi di Gerald?

- Certo, Gerald e Rupert formano una coppia.

- Una coppia? Ma allora… quello che Gerald e io… Ha tradito Rupert…

Arthur alza le spalle.

- Robert, nessuno dei due dà importanza a qualche rapporto occasionale e, anche se ho scolpito Gerald come il boia o Ercole e Rupert come la vittima in entrambi i casi, il loro è un rapporto paritario. A tratti penso che sia più Rupert che Gerald a condurre il gioco. Non mi stupirei se prima della nostra partenza per Reading, Gerald avesse raccontato le sue intenzioni a Rupert. E se non gliel’ha detto prima, sicuramente glielo ha detto dopo.

- Quindi Rupert sapeva.

- Sì, certo. Non credo che abbiano segreti. E sicuramente non lo preoccupa che Gerald abbia rapporti con altri.

Robert è alquanto turbato. Arthur aggiunge:

- La faccenda ti turba?

- Sì, devo dire di sì. Non pensavo che fossero una coppia, non pensavo che Rupert potesse sapere… direi che non pensavo proprio. Non mi sono posto domande.

- È naturale, Robert. Non avevi mai fatto l’amore, probabilmente non avevi mai conosciuto una coppia di uomini. Non hai esperienza.

- Tu conosci anche altre coppie?

- Sì, qualcuna, ma nessuna che mi sia vicina come Rupert e Gerald. Loro due sono davvero miei amici, siamo profondamente legati.

Robert guarda il cugino. Si sta ponendo una domanda.

- Tu hai mai… Gerald e Rupert…

Si ferma. Si rende conto che non ha nessun diritto di chiedere, ma Arthur ha capito e non ha problemi a rispondere.

- Robert, voglio molto bene a Gerald e a Rupert e se vuoi saperlo mi capita di… fare l’amore, come dici tu, con l’uno o con l’altro o con tutti e due. L’abbiamo fatto anche qui a Cranleigh, in questi quindici giorni.

Le parole di Arthur accrescono il turbamento di Robert.

- Scusa se sono stato indiscreto.

- Nessun problema, Robert. Se posso aiutarti a stare meglio con te stesso, ne sono felice. Ti voglio molto bene.

Robert guarda Arthur, disorientato. Riesce solo a dire:

- Grazie.

Poi si congeda. Il colloquio con Arthur gli ha aperto un mondo e ha aumentato la sua confusione.

In camera ripensa a lungo a quanto Arthur gli ha detto. Tutto lo ha sorpreso, ma i due elementi che più lo turbano sono la scoperta dell’omosessualità di Arthur e il fatto che il cugino abbia avuto rapporti con Gerald e Rupert. Arthur ha avuto rapporti con tutti e due, anche insieme. Per Robert è difficile immaginare che cosa possono fare tre uomini insieme. Ma quando ci pensa, l’uccello si tende.

 

Parlano altre due volte di sessualità. Robert è titubante nell’affrontare l’argomento, ma Arthur capisce che il cugino ha bisogno di un confronto e lo incoraggia:

- Robert, puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Ti rispondo volentieri. O al massimo, se preferisco non farlo, te lo dico chiaramente.

- Grazie, Arthur. È che… mi sento… mi vergogno a porti certe domande.

- Lo capisco. Non hai mai avuto occasione di parlarne e non hai la sfacciataggine di chi, come me, Gerald e Rupert, è invece abituato a confrontarsi. Lo vedo anche nei termini che usi.

- I termini che uso?

- Parli di “fare l’amore”, ad esempio. Tu non hai fatto l’amore con Gerald, perché nessuno dei due è innamorato dell’altro.

- E che termine useresti tu?

- Credo che tu conosca benissimo certe parole: non sei vissuto in un collegio per educande. Ma non sei tenuto a usare termini come scopare o fottere, se ti mettono a disagio.

- No, no…io…

- Scusa, Robert, non dovevo neanche parlartene.

Robert ride, una risata un po’ nervosa.

- Credo invece che tu abbia ragione. Mi rendo conto che vergognarsi di usare certi termini è assurdo. A ventotto anni!

- Comunque, fammi le domande che vuoi, come ti vengono.

Robert esita un momento, poi chiede:

- Arthur, quello che vorrei capire… in viaggio mi è capitato qualche volta di essere avvicinato da un uomo, che era intenzionato a… scopare. Ma in Inghilterra? Come si incontrano gli uomini che vogliono scopare con altri uomini?

- In Inghilterra… dipende un po’ da quello che vuoi. Di solito si sonda il terreno tra le persone che si conoscono, scoprendosi un po’ per volta. C’è chi ci prova per strada: un ammiccamento, un sorriso e se la reazione è positiva… si arriva in fretta al dunque. Ma c’è anche chi preferisce andare a un bordello o nei luoghi d’incontro.

- Luoghi d’incontro?

- C’è di tutto, da certi locali, che moltissimi omosessuali conoscono, ai bagni della stazione della metropolitana di Down Street. O agli orinatoi pubblici, per rapide scopate.

- Ma… in un gabinetto?

- Sì, Robert, al cesso. Per molti è così. Ce ne sono parecchi, come quello accanto allo Yorkshire Stingo, in Marylebone Road. Ma, sinceramente, non te li consiglio. Sono posti squallidi.

Robert è disorientato.

- Non avrei mai pensato…

- Robert, quando il desiderio preme, è facile lasciarsi trascinare. Non mi piace l’idea di scopare in un cesso, ma non mi sento di criticare chi lo fa.

- Capisco. Ma… senti, hai detto… bordelli?

- Sì, esistono anche bordelli di uomini per uomini, offrono ragazzi, per lo più, ma anche adulti.

- Mi sembra tutto incredibile.

- Robert, c’è di tutto. Dai cessi pubblici alle associazioni, naturalmente segrete. So che esiste un Ordine della Cheronea, una società omosessuale. Me ne ha parlato Rupert, perché ne fanno parte professori universitari. Ma non ne so molto. In Inghilterra bisogna muoversi con prudenza.

- All’estero è diverso?

- All’estero è molto più facile. In paesi come l’Italia non è reato. E comunque nei confronti degli stranieri, almeno di quelli ricchi, la polizia tende a chiudere un occhio anche in quei paesi dove i rapporti omosessuali sono proibiti. Al massimo i poliziotti ti estorcono un po’ di denaro.

 

Robert si rende conto che parlare di questi temi con Arthur lo fa stare meglio e, anche se inizialmente lo disorienta, lo aiuta a chiarirsi le idee. Nello stesso tempo affrontare l’argomento con Arthur lo turba.

Ormai ha capito di essere attratto dal cugino: all’affetto che prova per lui e che è andato crescendo in questi mesi, si è aggiunto il desiderio.

Non intende parlarne: non vuole che i loro rapporti ne risentano.

 

Un giorno sono entrambi nella grande biblioteca di famiglia, che è nella parte della casa di proprietà di Robert.

- Devo decidermi a esaminare il contenuto della biblioteca, liberandomi di ciò che non mi serve, per far posto ai libri che mi interessano.

Arthur lancia un’occhiata agli armadi che coprono tre pareti fino al soffitto.

- Non sarà un lavoro breve.

- No, di certo, ma credo che molti libri possano essere più utili se donati a qualche biblioteca pubblica, piuttosto che prendere la polvere qui. Ma ho poca voglia di mettermi lì a selezionare.

- Vuoi che ti dia una mano? Secondo me possono venire fuori libri curiosi.

- Se ne hai voglia, sarebbe una gran cosa. Fatto in due sarebbe sicuramente meno noioso.

- Certo. Magari troviamo anche qualche libro erotico di un nostro antenato maiale.

- Libro erotico… intendi… ci sono libri erotici omosessuali?

- Certo. Circolano in segreto, ma ci sono. Ne ho qualcuno. Vuoi vederli?

- Io… io… no, no, grazie… io no.

Arthur sorride.

- Non dovevo dirtelo. Per me va bene aiutarti con la biblioteca. Decidiamo un giorno in cui cominciamo.

Due giorni dopo si mettono al lavoro. Robert intende selezionare i libri che donerà e spostare sugli scaffali più alti quelli che gli interessano meno, ma di cui non vuole sbarazzarsi, in modo da liberare i ripiani più facilmente raggiungibili e avere a portata i libri a cui tiene.

Insieme selezionano e spostano, fermandosi spesso a guardare alcuni volumi che per un motivo o per un altro li incuriosiscono.

Ad un certo punto, mentre mettono via alcuni volumi, le loro mani si incrociano. Robert appoggia la sua su quella di Arthur e la stringe: è un gesto istintivo, un ringraziamento per l’attenzione e la disponibilità che il cugino ha dimostrato nei suoi confronti in tutti questi mesi. Arthur alza il capo e lo fissa. Robert ricambia lo sguardo. Gli sembra che negli occhi di Arthur ci sia una domanda, ma è ugualmente incerto sulla natura della domanda e sulla risposta da dare. Esita, ma non lascia la mano di Arthur, che nella stretta legge la risposta che cercava: avvicina il suo viso e le loro labbra si incontrano. Si baciano, piano, staccandosi quasi subito. Poi le loro bocche si cercano di nuovo e i dubbi si dissolvono.

La voce di Arthur è un po’ roca, mentre dice:

- Andiamo in camera mia. Lo vuoi, Robert?

Robert annuisce, senza dire nulla. Gli sembra che il suo cuore acceleri il ritmo. È spaventato, ma sa di desiderarlo.

In camera si guardano un buon momento, in silenzio, in piedi uno davanti all’altro. Arthur abbraccia Robert e lo bacia di nuovo, poi si stacca e ripete:

- Lo vuoi, Robert? Perché io lo vorrei, lo desidero da tempo, ma non voglio fare nulla che possa turbarti.

Robert trova la voce per dire:

- Lo desidero anch’io, da tempo.

Arthur si toglie la camicia, rimanendo a torso nudo. Si avvicina a Robert, che gli passa le mani sul torace e poi inizia a spogliarsi, ma Arthur sorride e dice:

- No, aspetta.

Si avvicina e gli sbottona la camicia.

- È bello spogliare un uomo che desideri, vedere il suo corpo scoprirsi.

Robert lascia che le mani forti di Arthur gli sfilino gli indumenti, che il cugino lo baci. Ne sente l’odore, di maschio pulito.

Le mani di Arthur ora gli slacciano la fibbia della cintura e gli calano i pantaloni. Robert si ritrova nudo, un po’ spaventato, ma eccitato. Allora Arthur lo prende tra le braccia, lo accarezza, gli stringe il culo, lo bacia. Lo guida a stendersi sul letto e finisce di spogliarsi. Robert guarda il corpo del cugino, nudo. Fissa l’uccello, già teso, con la cappella purpurea, e i testicoli. Arthur si avvicina e Robert lo guarda incombere su di lui, alto, massiccio. Fissa nuovamente il sesso teso. Deglutisce.

Arthur si stende su di lui, lo bacia ancora, mentre le sue mani lo accarezzano, scorrendo lentamente dalla testa alle cosce.

- Robert, Robert…

- Arthur!

Non dicono altro.

A lungo rimangono così, i due corpi stretti in un abbraccio. Ora i baci diventano morsi, le mani di Arthur stringono con forza, scendono dietro il culo di Robert, stuzzicano l’apertura.

- Robert, non voglio forzarti.

- Lo desidero anch’io.

È così. Robert lo desidera. Desidera che Arthur lo prenda.

Arthur si solleva, mettendosi cavalcioni sul corpo di Robert e sedendosi sulle sue cosce. Lo accarezza, gli stuzzica i capezzoli stringendoli tra le dita, gli scompiglia i capelli. Poi abbassa il viso, lo bacia, gli spinge la lingua in bocca, gli accarezza il torace, morde prima un capezzolo, poi l’altro.

Le sue mani avvolgono il sesso di Robert, un dito lo percorre, solleticandolo. Poi Arthur si bagna con la saliva il palmo della mano e lo passa sulla cappella. Robert sussulta. Arthur scivola indietro. China il capo. Sembra guardare affascinato il sesso. Con lentezza vi passa sopra la lingua, dalle palle alla cappella. Robert ha un nuovo guizzo di piacere.

Poi Arthur si solleva un po’, afferra i fianchi di Robert e lo guida a voltarsi a pancia in giù.

Robert sa che cosa sta per avvenire. Lo desidera. Sente le dita di Arthur, umide, scorrere lungo il solco, poi allontanarsi e ritornare, indugiando un attimo sull’apertura. Un dito percorre l’anello, lentamente, spingendosi dentro. Robert sussulta. La manovra viene ripetuta più volte. La tensione si allenta. Robert si abbandona al piacere che quel dito risveglia dentro di lui. Poi avverte un forte morso al culo, un secondo. Ride.

Arthur è su di lui, gli morde il lobo di un orecchio ed entra in lui, lentamente.

Arthur si ferma. Robert chiude gli occhi. Arthur lentamente avanza, spingendo più a fondo. Carezze e morsi accompagnano l’avanzata. Robert geme.

- Ti faccio male?

- No, no.

Fa un po’ male, ma il piacere è più forte.

Arthur si ferma. Le sue mani accarezzano la testa di Robert, poi scendono al culo. I suoi denti mordono una spalla, il lobo di un orecchio. La sua lingua scorre dietro l’orecchio, sul collo.

Poi l’avanzata riprende e Robert si abbandona completamente. Arthur gli lascia un momento di respiro, prima di iniziare a muoversi avanti e indietro, mentre le sue mani accarezzano i capelli di Robert, scendono sulla nuca.

Robert sente il piacere crescere, più forte del dolore che avverte. Geme nuovamente. Arthur si ferma, poi riprende il movimento, a cui imprime ora un ritmo più deciso. Robert urla:

- Arthur!

E infine, con una serie di spinte decise, Arthur viene dentro di lui.

Ora che il sesso di Arthur perde volume e consistenza, il sentirlo dentro di sé è puro piacere.

Arthur afferra Robert e si volta, stendendosi sulla schiena. Ora Robert è sopra Arthur, che gli sta stuzzicando le palle con molta delicatezza. La mano del cugino indugia sul sesso e prende ad accarezzarlo, poi lo stringe, muovendosi rapidamente, fino a che Robert sente il piacere esplodere. Grida, mentre il seme gli si spande sul ventre e sul torace. Uno schizzo raggiunge la barba.

Robert vorrebbe rimanere per sempre così: nulla esiste di più bello al mondo che rimanere disteso sul corpo di Arthur, sentirne in culo lo spiedo, essere avvolto tra le sue braccia.

 

     

2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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