Il capitano
Il pastore si interruppe,
guardando verso l’ingresso della chiesa. Ci fu allora un movimento generale e
tutti si voltarono. Come avevano pensato, sulla soglia era apparso il
capitano Harding. Avanzò con passo sicuro, senza
guardare nessuno, fino alla bara. Vi appoggiò una mano, in silenzio, poi
scivolò nel primo banco, di fianco a Charles Evans. Quando gli fu vicino, gli
prese la mano e la strinse un attimo, poi la lasciò. Il pastore attese un
momento. L’arrivo del capitano, per quanto atteso, gli rendeva difficile
proseguire. Ora che era giunto il marito della giovane donna rinchiusa nella
bara, si chiese se non rivolgersi direttamente a lui: ignorarlo gli sembrava
brutto, quasi offensivo, ma temeva di essere indelicato e di ferire
quest’uomo colpito dalla tragedia. Come tutti nella cittadina, conosceva il
capitano fin da quando era bambino, ma i lunghi anni di guerra avevano tenuto
Harding lontano per molto tempo e il pastore non
aveva con lui la familiarità che aveva invece con altri. Nella chiesa era tornato il
silenzio. Il pastore riprese il discorso, ripetendo alcune delle cose che
aveva già detto, perché anche il capitano le sentisse, ma senza rivolgersi a
nessuno in particolare. Al termine della cerimonia,
il corteo si diresse verso il cimitero, dove la fossa era già stata scavata e
la bara venne calata. Non pioveva più, ma il cielo era nuvoloso e soffiava un
vento freddo. Quando la fossa venne ricoperta,
tutti i presenti si avvicinarono al capitano per porgergli le condoglianze.
Erano parole sincere, perché il capitano Harding
era un uomo generoso, cordiale e onesto, benvoluto da tutti, e la morte della
giovane moglie, sposata nell’ultimo breve periodo trascorso in città tra una
spedizione militare e l’altra, era una tragedia che aveva colpito l’intera
comunità. Il capitano era
visibilmente scosso, ma dimostrava un buon controllo di sé, come d’altronde
era prevedibile in un uomo che aveva trascorso gli ultimi dieci anni
combattendo e dimostrando in molte occasioni un grande valore. Dopo aver salutato il
capitano, tutti si allontanarono, commentando l’accaduto: - Che tragedia! - Tornare a casa, dopo anni
di guerra, per trovare la moglie morta. - Sono rimasti insieme
appena una settimana. Il capitano Harding si era sposato poco più di sette mesi prima,
durante un breve periodo trascorso a Lyme, dove era
nato ed era vissuto prima di entrare nella marina britannica. Gli Evans erano
amici di famiglia e Frederick Harding era molto
legato a Charles Evans, il fratello della futura moglie: avevano la stessa
età ed erano cresciuti insieme. Probabilmente l’amore tra Frederick e
Henriette era nato durante le serate a casa Evans, ma nessuno si era accorto
di questo legame e tutti erano rimasti sorpresi quando Frederick Harding e Henriette Evans avevano annunciato il loro
matrimonio. I cittadini non si erano invece stupiti che le nozze venissero
celebrate in fretta, perché in quegli anni di guerra il capitano non rimaneva
mai a lungo in Inghilterra. E infatti era partito una settimana dopo il
matrimonio. Henriette era ritornata a casa del fratello, a cui il capitano
l’aveva affidata. Henriette aveva partorito
prematuramente, ma la febbre puerperale l’aveva uccisa. Harding,
appena tornato in Inghilterra, aveva ricevuto la notizia della sua morte ed
era arrivato a Lyme, appena in tempo per il
funerale. Harding rimase solo con Charles Evans e la
famiglia dell’amico: la moglie e il figlio maggiore. Lentamente si diressero
verso la casa di Frederick. Quando furono davanti alla porta, la signora
Evans abbracciò il cognato e prese congedo da lui, proseguendo con il figlio
fino alla propria abitazione, a pochi minuti di cammino. Charles entrò con
l’amico. Tra lui e Frederick
esisteva una di quelle amicizie che nascono nell’infanzia e proseguono nel
tempo, senza che i profondi cambiamenti che avvengano in ognuno con il
passare del tempo scalfiscano in qualche misura il rapporto. La domestica che si
occupava della casa aveva partecipato al funerale, ma poi era rapidamente
rientrata, per accendere il fuoco e preparare la cena. Frederick e Charles
passarono in salotto. Il capitano guardò l’amico
e gli disse: - Mi spiace, Charles. Charles scosse la testa.
Non sapeva che cosa dire. Frederick lo abbracciò e Charles sentì che le
lacrime gli salivano agli occhi. Lasciò che scorressero: davanti a Frederick
non aveva timore di mostrare la sua sofferenza. Quando si fu calmato, si
sedettero. Charles raccontò brevemente
il parto e la febbre che in tre giorni aveva portato via la sorella. Infine
concluse: - Vedrò di occuparmi del
bambino. - Charles, è mio figlio. - Ma, Edward… - Non c’è nessun ma. C’è un
patto tra noi e la morte di Henriette non cambia nulla. Charles guardò il cognato.
Lentamente annuì. - Come vuoi. - Conto su di te per il suo
futuro, soprattutto se dovrò tornare a combattere, ma finché sono qui,
intendo svolgere il mio compito di padre come meglio posso. E ora che
Napoleone è stato sconfitto, conto di poter rimanere a casa. Charles guardò il cognato. - Credo che sarai un ottimo
padre e credo che saresti stato un ottimo marito, ma il Cielo non ha voluto
che Henriette potesse goderne. È stata duramente punita. Frederick scosse la testa. - Non credo a un Dio che punisce
in questo modo. È morta come tante altre donne. Parlarono del bambino che
era a casa di Charles, con la moglie. La balia si sarebbe trasferita da
Frederick due giorni dopo, il tempo per preparare l’occorrente. - C’è ancora una cosa che
devo dirti. - Dimmi. - Henriette ha capito che
stava per morire e mi ha chiesto una cosa. Le ho detto che ti avrei riferito,
ma spetta a te decidere. - Se è possibile, ben
volentieri. - Ha chiesto che il bambino
venisse chiamato Frederick. Chiamare il figlio come il
padre era un uso piuttosto comune, ma Frederick si stupì della richiesta
della moglie. Avrebbe senza dubbio scelto un altro nome, gli sarebbe sembrato
inopportuno scegliere il proprio, ma se quella era la volontà di Henriette,
certamente non si sarebbe opposto. Si alzarono. - Passerò questa sera a
vedere il bambino. Solo un momento. - Vieni da noi a cena,
Frederick. - No, Charles, preferisco
rimanere a casa e sistemare le mie cose. Si abbracciarono ancora.
Charles mormorò: - Grazie, Frederick. Grazie
per quello che hai fatto. Charles si staccò, uscì e
raggiunse la propria abitazione. Il capitano Harding
rimase a lungo seduto accanto al camino, immerso nei suoi pensieri. Non
dovevano essere pensieri lieti, perché sul suo volto appariva una grande
tristezza. Infine si scosse e salì in camera, dove la domestica aveva fatto
portare il suo bagaglio. Dopo cena passò dagli Evans
e vide il piccolo. Sapeva che si stava assumendo una grande responsabilità,
ma intendeva svolgere nel miglior modo possibile il suo compito. Rientrato a casa, prese una
lampada e percorse l’edificio, passando di stanza in stanza, come faceva
sempre al rientro dopo una lunga assenza. Nell’entrare in quelle camere,
mille ricordi si destavano in lui: il giro era un pellegrinaggio nel passato,
che destava ricordi dolorosi, perché sul suo viso a tratti si contraeva in
una smorfia di sofferenza. Casa Harding
era molto vasta: la famiglia era benestante e il nonno del capitano aveva
fatto costruire una grande abitazione per sé e per la prole: sette femmine e
due maschi, il maggiore dei quali era il padre del capitano. I due figli
maschi avevano ereditato l’edificio, che ora apparteneva metà a Frederick e
metà a due cugini che vivevano a Londra. Frederick Harding viveva nell’ala della casa di sua proprietà,
mentre l’altra ala era vuota da dieci anni, da quando la madre dei cugini era
morta. Nel suo giro Frederick
percorreva sempre anche l’ala abbandonata, perché aveva promesso ai
cugini di verificare che non fossero necessari interventi. Si coricò molto tardi, ma
nonostante la stanchezza il sonno arrivò solo dopo alcune ore. Il trasferimento della
bambinaia con il piccolo da casa Evans a casa Harding
fu una sorpresa: molti pensavano che Charles Evans avrebbe allevato il nipote
insieme agli altri figli. Nella cittadina si disse che probabilmente il
bambino ricordava al capitano la moglie morta, ma un uomo solo, come avrebbe
potuto allevare il piccolo? Gli uomini non possono occuparsi di un bambino di
quell’età. Il capitano, poi! Un militare, un uomo di guerra, prendersi cura
di un bimbo appena nato? C’era la bambinaia, certo, ma con gli Evans il
bambino sarebbe cresciuto in un ambiente più adatto. Nei mesi seguenti fu chiaro
a tutti che Frederick Harding si occupava
attivamente del piccolo che portava il suo nome e non era raro vederlo
camminare sopra le scogliere portando il bambino in braccio o sedersi
sull’erba con il bambino in grembo. Il periodo del lutto si
avviava alla fine e molti si chiedevano se il capitano si sarebbe risposato.
Frederick Harding discendeva da una famiglia
benestante e durante la guerra aveva catturato diverse navi, accumulando una
fortuna considerevole e acquistando fama di capitano capace e uomo molto
coraggioso. Non aveva un titolo nobiliare e non era certo un bell’uomo, ma era
un buon partito. Il capitano però non
sembrava pensare a nuove nozze, nonostante tutte le signore, e in particolare
le madri di ragazze nubili, gli dicessero che un bambino ha bisogno di una madre.
Probabilmente la prima esperienza, così tragica, lo aveva segnato. Le giovani donne ammiravano
molto il piccolo, che era così educato e sapeva sempre come comportarsi. In
effetti il piccolo Fred, fosse una naturale inclinazione del carattere, fosse
l’educazione ricevuta, era un bambino molto giudizioso. Dai tre anni in poi,
un cenno del padre era sufficiente a mettere fine a qualsiasi capriccio, ma
il bimbo non sembrava avere timore del genitore, che era sempre molto
affettuoso con lui. Fred era un bambino allegro, che non sembrava risentire
della mancanza della madre. Stava spesso con i cugini: nella famiglia di
Charles Evans trovava altri bambini con cui giocare e l’affetto degli zii, a
cui era molto attaccato, ma quelle rare volte in cui si fermava a dormire,
perché qualche impegno costringeva il capitano ad assentarsi per due o tre
giorni, non era contento e attendeva con ansia il ritorno del padre. Con lui
aveva un rapporto fortissimo, quale non era certo abituale tra padre e
figlio, soprattutto all’età del piccolo. Cinque anni trascorsero
così e divenne chiaro a tutti che il capitano non aveva nessuna intenzione di
risposarsi. Il capitano aveva trentasei
anni quando ricevette una lettera da parte dei cugini. L’anziano dottor Magee, ormai intenzionato a ritirarsi dall’attività,
aveva chiesto ai fratelli Harding se erano
disponibili ad affittare la loro ala della casa di famiglia al dottor Beardsley, che avrebbe preso il suo posto. I due fratelli
non avevano mai voluto dare in affitto la loro ala della casa, accarezzando
l’idea di servirsene per la villeggiatura estiva, ma per un motivo o per un
altro le intenzioni non erano mai divenute realtà e ormai avevano rinunciato
al progetto. La richiesta del dottor Magee fu
l’occasione per prendere una decisione a lungo rimandata. Nella lettera i cugini
annunciavano che il dottor Beardsley sarebbe venuto
in visita per vedere la sua futura abitazione. Chiedevano perciò a Frederick
se poteva occuparsi di far pulire la casa e di mostrarla al medico. Frederick fece quanto
richiesto e una settimana dopo accolse il dottor Beardsley. Alexander Beardsley aveva esercitato alcuni anni in Canada come
medico militare, ma aveva deciso di rientrare in patria. Il dottor Magee, che era un suo lontano parente e aveva avuto modo
di conoscerlo, gli aveva proposto di prendere il suo posto a Lyme e Beardsley aveva
accettato. Era un uomo sui
trentacinque-quaranta, di costituzione robusta e modi spicci, che mostravano
una scarsa abitudine a frequentare i salotti. Frederick ne ebbe una buona
impressione e ne fu contento, perché, anche se le due ali della casa
costituivano appartamenti indipendenti, il dottore sarebbe stato il suo
vicino. Inoltre il giardino era in comune, non essendo mai stato diviso. I due uomini erano entrambi
riservati e la loro conoscenza fece progressi solo lentamente, benché
l’essere stati entrambi militari favorisse la loro buona intesa e avessero
molta stima l’uno dell’altro. Un mattino, tre mesi dopo
l’arrivo del dottore, Frederick stava tornando da una delle sue lunghe
passeggiate lungo la costa. Aveva lasciato il figlio dagli Evans, perché il
bambino voleva giocare con i cugini, e stava per raggiungere la propria casa,
quando la sua attenzione fu attirata da un cavaliere che procedeva a velocità
alquanto sostenuta in direzione opposta alla sua. Il capitano conosceva
l’uomo: si trattava di sir Eugene Munroe, un nobile
venuto in villeggiatura nella cittadina insieme al fratello maggiore e alle
sorelle. Aveva qualche anno in meno di lui e aveva attratto l’attenzione di
tutte le giovani donne per la sua perfetta bellezza e la grande eleganza. Con
ogni probabilità la cavalcata aveva lo scopo di impressionare le signore, che
al passaggio del cavaliere lo osservavano ammirate e un po’ intimorite. Frederick scosse la testa:
cavalcare così velocemente in città era una stupidaggine: si correva il
rischio di provocare un incidente. Proprio mentre lo pensava
si accorse che un ragazzino stava arrivando di corsa da un viottolo dalla
parte opposta della strada e capì che con ogni probabilità sarebbe stato
travolto. Anni di battaglie avevano
abituato il capitano Frederick Harding a prendere
decisioni molto in fretta. Urlò ad Eugene Munroe di
fermarsi e si gettò in strada, riuscendo a spingere via il ragazzino prima
che il cavallo lo travolgesse. Ma, come sapeva che sarebbe successo, non poté
scansare completamente il cavallo, che Munroe non
riuscì a frenare in tempo. Colpito dagli zoccoli dell’animale, il capitano
cadde, senza un grido. A gridare furono invece le
persone che accorsero sul luogo dell’incidente: Frederick Harding
era a terra, il viso completamente coperto di sangue e sotto di lui si
allargava una pozza rossastra. Per un momento tutti pensarono che fosse
morto, ma il capitano si muoveva e cercava di liberarsi gli occhi dal sangue
che gli era colato sul viso. Le urla richiamarono il
dottor Beardsley, che uscì rapidamente dalla casa.
Non perse la calma. Si chinò sul ferito e verificò la situazione: una ferita
alla guancia, superficiale, per quanto ne fosse uscito parecchio sangue, e
una alla coscia, che al medico apparve più preoccupante. Il dottore si fece aiutare
da due uomini a trasportare il ferito a casa sua. Tamponò subito la ferita al
viso, che in effetti era un taglio poco profondo e non avrebbe avuto altra
conseguenza che lasciare una cicatrice. Poi spogliò rapidamente il capitano,
per esaminare la ferita alla coscia. Lo zoccolo del cavallo aveva lacerato il
tessuto e la pelle, ma il taglio era meno preoccupante di quanto il dottore
avesse temuto in un primo momento: se non c’erano lesioni interne, il
capitano se la sarebbe cavata senza gravi conseguenze. Il medico pulì con cura la
ferita, poi la bendò. - Harding,
ha altri punti che le fanno male? Ha battuto o è stato colpito dal cavallo da
qualche altra parte? - No, dottore. La coscia è
l’unico punto che mi fa davvero male. In faccia… è solo un fastidio. - Allora lei adesso rimane
disteso qui, tanto non è in grado di camminare. Così la tengo sotto
controllo. Alexander Beardsley dovette uscire e parlare con le persone
accorse, che chiedevano notizie. Tra queste vi era Charles Evans, che era
stato informato dell’accaduto ed era subito accorso. Il dottore lo lasciò
entrare, mentre rassicurava gli altri, dicendo che il capitano non era in
pericolo di vita e che con ogni probabilità non ci sarebbero stati danni
permanenti. Il giovane Munroe era pallidissimo e il dottore pensò che si era
certamente spaventato più lui del capitano. - Non si preoccupi, sir Munroe. Noi militari abbiamo la pelle dura. Una signora presente, che
aveva assistito a tutta la scena, intervenne: - Però sia più prudente: se
il capitano non fosse intervenuto, David sarebbe stato travolto dal cavallo. Munroe annuì, senza dire nulla. Era chiaramente
sconvolto. Il dottore ritornò nel suo
studio e nel pomeriggio passò più volte nella camera a fianco per controllare
le condizioni del paziente. Il capitano non si lamentava, ma Beardsley si accorse che aveva un po’ di febbre. Frederick avrebbe voluto
ritornare a casa: con l’aiuto di qualcuno a cui appoggiarsi sarebbe riuscito
a muoversi, sia pure a fatica, ma il dottore lo escluse. - Questa notte lei dorme
qui. Voglio tenerla d’occhio. - Non voglio disturbarla,
dottore. Se mi sento male nella notte, mando Anne a chiamarla. - Non se ne parla neanche.
Voglio potermi alzare ogni tanto e venire a vedere come sta. Frederick non avrebbe
ceduto, ma non era in grado di alzarsi da solo e il dottore si rifiutò di
chiamare qualcuno a dargli una mano. - In pratica è un
rapimento, dottore. Beardsley rise. - Può essere. In serata il piccolo venne
portato a salutare il capitano, perché aveva colto il nervosismo che regnava
in casa Evans e aveva capito che doveva essere successo qualche cosa a suo
padre. Dopo aver parlato con lui, si tranquillizzò. Il capitano si addormentò
tardi, un po’ per il dolore, un po’ perché costretto a rimanere coricato in
una posizione insolita. Anche il dottore si
addormentò tardi, ma a tenerlo sveglio erano altri pensieri: l’immagine del
corpo nudo del capitano gli si ripresentava davanti agli occhi, accendendo il
suo desiderio. Come medico era abituato a vedere corpi nudi, ma, concentrato
nel suo lavoro, non vi badava più di tanto. Anche questa volta, quando aveva
pulito le ferite, si era preoccupato di verificarne la gravità e di fare
tutto il necessario per assicurare che non si infettassero e guarissero. Ma
quando poi aveva fasciato la lacerazione alla coscia e le sue mani avevano
passato la benda sulla gamba e poi alla vita, venendo a contatto con il culo
e con i genitali, il desiderio si era acceso, stupendo Beardsley
per la sua intensità. Beardsley si alzò dal letto, si infilò la vestaglia
e tornò a vedere il capitano. Harding si era infine
addormentato. Il lenzuolo lo copriva quasi completamente, lasciando fuori
solo la testa. Il respiro era regolare. Beardsley
lo guardò un buon momento. Non era un bell’uomo, Frederick Harding. O, per essere più precisi, non aveva un bel
viso, mentre il corpo era forte e ben proporzionato. Era il corpo di un
soldato, con diverse cicatrici che provavano il suo valore; il corpo di un
maschio, con una peluria piuttosto fitta che ricopriva il torace, il ventre,
il culo e gli arti. A Beardsley piacevano i maschi
vigorosi e il capitano era esattamente il tipo d’uomo che lo attirava. E, a
complicare la faccenda, Frederick Harding gli
piaceva anche come persona: ne apprezzava la riservatezza, la cortesia,
l’affetto che dimostrava per il figlio e il coraggio di cui aveva dato prova
rischiando la vita per salvare un ragazzino. Il dottore tornò a letto,
irritato con se stesso e con il cazzo che aveva alzato la testa e non voleva
saperne di abbassarla. Alexander Beardsley aveva
trentott’anni. A Londra in gioventù e poi in Canada aveva scopato con altri
uomini, prendendo tutte le precauzioni necessarie per non farsi scoprire: non
ci teneva a finire impiccato. Da quando si era trasferito sulla costa, non
aveva più avuto rapporti. Gli capitava di venire la notte, nei sogni, ma
farsi le seghe come un ragazzino gli sembrava umiliante. Ora però il desiderio era
troppo forte. Alexander si stese nudo sul letto e la sua mano incominciò ad
accarezzare il grosso cazzo teso, mentre il pensiero andava al corpo del
capitano. Quando infine il piacere
esplose, Alexander chiuse gli occhi. Ora provava vergogna, non per la sega in
sé, a cui non dava importanza, ma per essersi servito nella propria mente di
un corpo che stava curando. Il mattino successivo il
dottore tolse la benda. L’operazione suscitò di nuovo il desiderio: avrebbe
voluto accarezzare quel culo, passare una mano tra i peli, far scivolare un
dito lungo il solco; avrebbe voluto afferrare il cazzo, far scorrere il palmo
sulla cappella, stringere un po’ i coglioni. Questo desiderio cieco, che non
riusciva a controllare, lo infuriò, ma cercò di non lasciar trapelare niente
della sua irritazione. Controllò con cura la
ferita alla coscia e con sollievo notò che la situazione sembrava sotto
controllo. - Bene, direi che non ci
sono problemi. Conto che di questo incidente rimangano solo due cicatrici. - Ne avevo già abbastanza,
ma direi che due in più non cambiano molto. Posso tornare a casa? - Non prima di due giorni. - Ma si tratta di
attraversare due stanze… - Voglio poterla venire a
vedere la notte, gliel’ho già detto, capitano. Questa notte sono venuto tre
volte a controllare che dormisse regolarmente. E adesso ribendiamo la ferita. Nonostante la sega
notturna, l’operazione di bendatura provocò nuovamente un’erezione al
dottore, che nascose il proprio malumore: non poteva certo prendersela con Harding, che non aveva nessuna colpa. Mangiarono insieme,
Frederick a letto e Alexander su un piccolo tavolo vicino alla finestra.
Scambiarono alcune parole e al dottore piacque molto l’intimità di quel pasto
in comune. L’irritazione si era ridotta parallelamente all’erezione e si
sentiva euforico. Nel pomeriggio venne
nuovamente in visita il piccolo Fred, accompagnato da Charles Evans. Quando Charles lo riportò,
Alexander disse: - Suo figlio è un bambino
bravissimo. Sa stare al suo posto, non fa mai capricci. Ed è anche molto
bello, ma non le assomiglia. - Per quello è bello,
perché non mi assomiglia. Alexander scosse la testa,
ridendo. Era vero. Il bambino aveva tratti molto regolari, assai diversi da
quelli di Harding. Ma a lui il capitano sembrava
bellissimo. Nel tardo pomeriggio Eugene
Munroe passò a trovare il capitano. Il giovane era
ancora piuttosto scosso per l’incidente del giorno prima. Si rendeva conto
che avrebbe potuto uccidere il ragazzino e il capitano. Si era lasciato
trascinare dal piacere di cavalcare e dal desiderio di farsi vedere: amava
essere guardato e ammirato. Sapeva che molte donne e anche diversi uomini
erano attratti da lui: giovinezza, bellezza, nobiltà, ricchezza, tutto
contribuiva a fare di Eugene un uomo desiderato e invidiato. Aveva ventidue anni e gli
capitava ogni tanto di agire d’impulso, sottovalutando le possibili
conseguenze delle sue azioni, ma sapeva riconoscere i propri errori. Questo
era stato davvero grave. Il capitano stava
abbastanza bene e il dottore lasciò che Eugene Munroe
si fermasse al capezzale del ferito. Eugene fu molto turbato a
vedere la ferita sulla guancia. Dopo aver scambiato qualche parola sulle
condizioni generali di salute del capitano, osservò: - Spero che non le rimanga
la cicatrice. Frederick rise, ma la
risata durò un attimo, perché il movimento dei muscoli della faccia provocava
fastidio nell’area della ferita. - Di cicatrici in faccia ne
avevo già una e sul corpo… almeno tre. Tra qualche tempo dirò che anche
quella è la traccia di una ferita di guerra e mi inventerò qualche eroica
impresa in cui me la sono guadagnata. - Non ha bisogno di
inventarsi imprese: so che è un eroe di guerra. E comunque quella cicatrice
che rimarrà se l’è davvero guadagnata con un’azione eroica, che poteva
costarle la vita. Dopo un attimo di pausa, Munroe proseguì: - Mi spiace, capitano. Mi
rendo conto di aver commesso un’imprudenza, che avrebbe potuto avere
conseguenze ancora più gravi, se non fosse stato per il suo intervento. Le
garantisco che preferirei essermi fatto male io, almeno avrei avuto una
meritata lezione. Frederick sorrise (poco,
per evitare il fastidio alla ferita). - Sul suo viso sarebbe uno
sfregio, sul mio non cambia molto. In quel momento il dialogo
fu interrotto dal dottor Beardsley: - Direi che per oggi è
rimasto più che abbastanza, sir Munroe. È bene che
il capitano riposi. Frederick sorrise, un mezzo
sorriso, per evitare di far riaprire la ferita, e disse: - Il dottore mi tiene
prigioniero. Si rifiuta di lasciarmi andare a casa, cioè di passare nell’atrio
che si trova due stanze più in là. Beardsley scosse la testa: - Ieri sera aveva la febbre
e anche adesso non è del tutto sfebbrato. È meglio che stia a riposo. Eugene si alzò. - Mi scusi, dottore. Poi si rivolse a Frederick: - E mi scusi anche lei.
Tornerò domani a prendere sue notizie e, se il dottore lo permetterà, a
visitarla. Eugene si congedò. Frederick attese che fosse
uscito, poi disse: - Sventato, come siamo un
po’ tutti a quell’età, ma un bravo giovane. Alexander grugnì qualche
cosa che non era esattamente di approvazione. - Oggi avremmo avuto un
funerale, se lei non fosse intervenuto, capitano. Non credo che all’età di Munroe lei fosse così testa vuota: combatteva già. - Sì, certo. La marina
impone una certa disciplina e sicuramente aiuta a calmare i bollenti spiriti.
Ma anch’io in combattimento a quell’età mi esponevo in modo avventato. - Lei si esponeva per
combattere, non per farsi vedere dalle signore. Alexander si rese conto di
aver risposto in modo piuttosto brusco. Eugene Munroe
lo infastidiva, ma non avrebbe saputo spiegare il perché. Perché era giovane,
bello e nobile, tutte cose che Alexander non era? Non aveva mai dato peso
alla bellezza e alla nobiltà e non era così vecchio da rimpiangere la
giovinezza. E allora? - Un po’ d’indulgenza per
un giovane. La frase del capitano gli
fece capire il motivo della sua irritazione. Gli dava fastidio che Harding scusasse Munroe, che
prendesse le sue parti, che lo apprezzasse. Era… geloso! Faceva fatica a
dirselo, ma era così. Che cosa stava succedendo? Che cazzo stava succedendo?
Che fottuto cazzo stava succedendo? Disse due parole di
commiato e uscì: non era più in grado di continuare la conversazione. Fortunatamente era il
periodo estivo e nella cittadina c’erano diversi villeggianti, per cui le
giornate di Beardsley erano piuttosto piene. Il
dottore fu occupato e riuscì a evitare di ripensare a tutta la faccenda.
Passò ancora da Harding, che in serata ebbe di
nuovo un po’ di febbre. Ma dopo cena, quando fu infine libero, si sedette a
riflettere, per cercare di capire. Che cazzo era successo?
Merda! Harding lo attraeva a tal punto che era
geloso di quel damerino londinese che gli sculettava intorno? Sì, questa è la
verità. Avrebbe davvero voluto tenerlo prigioniero, lontano da tutti gli altri,
a parte il figlio e magari Charles Evans, che sapeva essere un vecchio amico
del capitano. Tenerlo lì, cambiargli la fasciatura, toccargli il culo… Merda!
A questo si era ridotto? A questo? A trentotto anni innamorato come un
ragazzino, a farsi le seghe pensando al suo amore. Merda! In serata Charles Evans
passò a trovare Frederick e il dottor Beardsley
decise che gli avrebbe fatto bene allontanarsi per un po’. Andò a trovare il
dottor Magee, che lo accolse con calore, perché gli
era affezionato. Se aveva sperato di distrarsi dal pensiero ossessivo che lo
tormentava, aveva scelto l’interlocutore sbagliato, perché dopo i saluti Magee disse subito: - Ho sentito che sta
curando il capitano Harding. Mi racconti
dell’incidente. Me ne hanno parlato, ma tutti per sentito dire. - Non ho assistito
neanch’io, anche se si è svolto davanti alle finestre di casa mia, ma posso
dirle quello che so. Alexander raccontò
l’accaduto e concluse: - Quel Munroe
è stato davvero un idiota e Harding ha rischiato la
pelle per salvare il ragazzo. - Harding
è coraggioso e generoso per natura. Davvero un uomo eccezionale. - Sì, lanciarsi davanti a
un cavallo al galoppo… non so quanti avrebbero avuto il coraggio di farlo. Magee scosse la testa. - E la sua generosità è pari
al suo coraggio. - Non avevo mai avuto modo
di rendermene conto, ma, anche se siamo vicini, ci conosciamo poco. Sono un
vecchio orso e anche lui… non è propriamente socievole. No, non è giusto.
Diciamo che è molto riservato. Come lo sono io. Magee guardò Alexander un attimo, poi disse: - Non ne ho mai parlato con
nessuno, ma lei è un collega e sa tenere la bocca chiusa… Alexander lo guardò
perplesso, non capendo dove volesse arrivare il dottore. - Sì, certo… Magee riprese: - Avrà notato che il
piccolo Frederick non assomiglia al padre. - Sì, ho pensato che avesse
preso dalla madre. - Certamente, ma quegli
occhi scuri non gli vengono né da Frederick Harding,
né dalla madre, che aveva anche lei gli occhi azzurri. Alexander aggrottò la
fronte e guardò interrogativamente il dottor Magee. - L’ultima volta che venne
in visita durante le guerre napoleoniche, Harding
rimase venti giorni. Pochi giorni dopo il suo arrivo, lui e Henriette Evans
annunciarono il loro matrimonio, sorprendendo un po’ tutti. Un mese dopo la
partenza, Henriette venne da me. Era incinta. Alexander ascoltava le
parole del dottore con grande attenzione, ma per la testa gli apparve
l’immagine di Harding, nudo, del suo cazzo, del suo
culo. Strinse la destra in un pugno che si sarebbe volentieri dato in faccia. Il dottor Magee non si era accorto di niente e proseguì: - Henriette Harding non mi disse mai niente, ma mi fu abbastanza
chiaro che era incinta da prima dell’arrivo di Harding,
diciamo un mese e mezzo o due prima. E allora Harding
era nei Caraibi. - Ma intende dire… che il
piccolo non è figlio suo? Ma… - Credo, ne sono sicuro,
che Harding abbia sposato Henriette Evans per
salvarla dal disonore, per l’amicizia che lo lega al fratello. Ma ha
cresciuto questo figlio come nessun padre cresce i propri figli. È un uomo
eccezionale. Alexander rimase senza
parole. Magee aggiunse: - Beardsley,
le ho raccontato questo da dottore a dottore e solo perché conosco la sua
assoluta discrezione. Non avrei dovuto, lo so, ma… avevo bisogno di
condividerlo con qualcuno. Alexander annuì. Era andato
da Magee per dimenticarsi almeno per un po’
dell’esistenza di Harding e il risultato era stato
esattamente opposto a quello desiderato. Tornando a casa, Alexander
ripensò a quanto aveva sentito. Si disse che era bene che Frederick Harding tornasse il più presto possibile a casa sua,
anche se questo significava solo poche stanze più in là. Avrebbe dovuto
toglierselo dalla testa, ma si conosceva abbastanza per sapere che non gli
sarebbe stato possibile. Passò a vedere il malato.
Frederick era ancora sveglio e Alexander si fermò un buon momento a
chiacchierare. Il capitano si lamentava della prigionia, ma era evidente che
non gli pesava. Scherzarono sull’argomento e Alexander fu contento di vedere
Frederick ridere: non capitava spesso. La risata durò poco, perché la ferita
gli fece subito male, ma il sorriso gli rimase sulle labbra. Dopo uno scambio di
battute, Harding gli propose di chiamarsi per nome
e Alexander accettò, contento di quel passo avanti nel loro rapporto. - Questo però non significa
che io ti lasci andare, Frederick! - No, lo so che il
carceriere è senza pietà. Proverò a corromperlo. Alexander controllò la
ferita alla coscia e andò a dormire eccitato, incazzato con se stesso, felice,
infelice, innamorato e con una grande confusione in testa. Il giorno seguente Eugene Munroe tornò a trovare il capitano. Quest’uomo coraggioso
lo attraeva. A Eugene piacevano le donne, con cui aveva un buon successo. Ma
era anche attratto dai maschi forti e virili, come il capitano e il dottore.
Non aveva mai avuto esperienze con uomini, ma più volte aveva desiderato
provare. Si fermò poco dal capitano,
perché il dottore intervenne, allontanandolo in modo brusco. La stessa scena si ripeté
il pomeriggio successivo. Allora, una volta usciti
dalla stanza, Eugene si rivolse direttamente a Beardsley: - Dottore, mi sembra che
lei sia irritato con me. Ho fatto qualche cosa che non va? A parte
naturalmente l’incidente che ho provocato per la mia imprudenza. Le
garantisco che la lezione mi è servita e che preferirei essermi ferito io:
avrei avuto quello che mi meritavo. Alexander non sapeva che
cosa dire. Non poteva certo rivelargli il motivo della sua irritazione.
Avrebbe voluto dirgli che era stato un idiota e che si sarebbe davvero
meritato di cadere e rompersi l’osso del collo, ma aveva un sufficiente
autocontrollo per evitare di cedere al proprio cattivo umore. - No, non ce l’ho con lei. La risposta non poteva
chiaramente soddisfare Eugene, che esitò, prima di aggiungere: - Dottore, ho molta stima
di lei e se ha delle critiche da farmi, le ascolterò volentieri: mi
serviranno per migliorare. Alexander era a disagio.
Tutta questa storia era assurda. Stava comportandosi in modo idiota. - No, sono nervoso in questi
giorni, per altre faccende, e me la prendo anche con lei, per l’imprudenza
commessa, che è costata cara al capitano. Ma lei è sinceramente dispiaciuto e
non ha davvero senso che io infierisca. - Va bene. Ho molta stima
di lei e mi spiace che lei mi disprezzi. - Non la disprezzo. Lei è
un bel giovane e penso che questa lezione le sia servita. Mi spiace che il
prezzo l’abbia pagato Harding, che non se lo
meritava di certo. - Avrei voluto pagarlo io,
glielo garantisco. Preferirei essere io sfigurato. Alexander ghignò. - Non sarebbe più
desiderato dalle donne. E dagli uomini. Sarebbe un peccato. Mentre diceva la frase, si
disse che aveva parlato troppo. Aveva rimproverato il giovane perché era
stato avventato, ma ora era caduto nello stesso errore. Eugene aveva chinato la
testa. Poi la rialzò e sorrise. - Essere desiderato è
piacevole, è vero. Esitò un attimo, prima di
proseguire: - Mi è capitato di aver
colto il desiderio di alcune donne. E anche di alcuni uomini, è vero anche
questo. Credo che sia naturale, non ci vedo niente di male. Alexander rimase spiazzato
dalla piega che aveva preso la loro conversazione. Eugene stava forse
invitandolo? Non avrebbe saputo dirlo, anche se il suo sorriso sembrava
suggerirlo. Non sarebbe stata una cattiva idea: avrebbe alleggerito la
tensione e avrebbe tenuto il giovane lontano da Harding. - Neanch’io, anche se la
legge dice altro. Sono faccende private, in cui lo Stato non dovrebbe mettere
il naso. - Sono d’accordo con lei. Ci fu un momento di
silenzio. La conversazione aveva preso una direzione che nessuno dei due si
aspettava. Si guardarono, muti. Poi Eugene si sforzò di sorridere e disse: - Di certo lei non è tra
quelli che mi desiderano, dottore. Alexander lo fissò negli
occhi e rispose: - Si sbaglia, Munroe. Ti sbagli, Eugene. Eugene rimase muto a fissare Alexander. Non
riusciva a parlare, ma non gli staccava gli occhi di dosso. Alexander chiese: - Lo vuoi? Il giovane annuì. Alexander sorrise. - Andiamo in camera. Si diresse verso la camera da letto. Eugene lo seguì, rimanendo in silenzio. Alexander si tolse la camicia, poi si sedette sul
letto e incominciò a sfilarsi le scarpe e le calze. Si rialzò e si calò anche
i pantaloni. Ora era nudo, davanti a Eugene, il cazzo già duro, teso sulla
pancia. Eugene sembrava boccheggiare, come se gli mancasse l’aria. Alexander
si disse che non doveva aver mai scopato con un uomo. Sorrise, gli si
avvicinò, gli afferrò con le mani la camicia e l’aprì. Poi si staccò. Allora Eugene incominciò a spogliarsi. Nudi, uno davanti all’altro, si guardarono. Gli
occhi di Alexander passarono dal viso di Eugene, armonioso e elegante, al
torace glabro, ma muscoloso. Era un corpo perfetto quello che si presentava
ai suoi occhi, ma per un attimo il pensiero andò a un altro corpo, segnato dalle
cicatrici, assai meno bello, ma per lui molto più desiderabile. Rialzò lo
sguardo sul viso di Eugene e vide che i suoi occhi avevano finito lo stesso
percorso e ora erano fissati sul suo cazzo teso. Sembrava spaventato. Se non
se l’era mai preso in culo, gli avrebbe fatto male, non poco. Alexander fece un passo avanti, mise le mani sulle
spalle di Eugene e lo forzò a inginocchiarsi davanti a lui. Gli avvicinò la
faccia al cazzo. - Succhia, che poi te lo metto in culo. Eugene scosse la testa. Non doveva aver mai succhiato il cazzo di un uomo: era evidentemente del tutto inesperto. Per quanto fosse eccitato, Alexander ebbe un momento di ripensamento. - Se non vuoi, lasciamo perdere. Possiamo rivestirci e dimenticarci quanto è successo. Eugene fece di nuovo un cenno di diniego. Guardò il grosso cazzo di Alexander e aprì la bocca, per accoglierlo. Era stato baciato da alcuni uomini, due volte gli avevano fatto una sega mentre si strusciavano contro di lui, ma non era mai andato oltre. Ora però voleva provare. Deglutì, poi accolse il boccone di carne calda e si mise a succhiare. Non sapeva bene come fare, ma cercò di supplire con la buona volontà alla mancanza di esperienza. Alexander sentì che stava per venire. Non voleva venirgli in bocca, voleva gustare il suo culo. Si ritrasse e disse: - Ora basta. Stenditi sul letto. Eugene lo guardò. Aveva il cazzo duro anche lui: gli era piaciuto, anche se ora esitava. - Va bene. Si stese, la gambe divaricate. Alexander si inginocchiò tra le sue gambe, gli afferrò il culo e lo strinse con forza, poi si sputò sulla mano e inumidì l’apertura. Sentì che la carne faceva resistenza. Ripeté l’operazione più volte, spingendo dentro prima un dito, poi due, mentre l’altra mano accarezzava e stringeva. Eugene era teso, ma lentamente si rilassò. Allora Alexander si stese su di lui, gli assestò un morso deciso alla spalla, per distrarlo, e fece avanzare il cazzo, forzando l’apertura. Lasciò a Eugene il tempo di abituarsi a una presenza quanto mai ingombrante, poi prese a spingere con delicatezza, assaporando il piacere di quella guaina che accoglieva la sua arma, del calore che l’avvolgeva, del fremito del corpo di Eugene. Eppure, anche mentre il piacere cresceva dentro di lui, il suo pensiero andava a un altro corpo. Spinse a lungo e infine venne. Allora strinse Eugene tra le braccia e si voltò. La sua mano afferrò il cazzo del giovane e lo condusse rapidamente al piacere. Rimasero un buon momento così. Eugene era confuso per l’esperienza nuova
e aveva il culo indolenzito, ma era soddisfatto e appagato, lieto della
presenza, ora assai meno ingombrante, dentro di lui. Per Alexander il piacere
era stato molto forte e scevro da dolore. Scopare nuovamente, dopo un lungo periodo di astinenza, era stato
davvero molto bello, eppure sapeva di non essere soddisfatto: ciò che
desiderava non era il corpo elegante e armonioso che aveva posseduto e che
ancora stringeva tra le sue braccia, pesando su di lui. Riposarono un momento, poi Alexander disse: - È ora che tu vada. Nelle due settimane
seguenti Alexander scopò diverse altre volte con il giovane Munroe. Eugene passava ancora a trovare Frederick, ma non
lo faceva sempre e si fermava con lui solo un momento: quello che gli
interessava era il robusto dottore, alquanto dotato e capace di trasmettergli
piacere. Alexander era contento che
il giovane si tenesse lontano dal capitano e che le frequenti scopate
rendessero meno frequenti le erezioni inopportune quando controllava la
ferita di Harding. Era sessualmente appagato, ma
non era contento, per niente. Sentiva invece il suo senso di insoddisfazione
crescere. L’unico elemento molto
positivo era l’intimità crescente con Frederick. Passavano diverso tempo
insieme e il capitano gli raccontava di sé, spingendo anche Alexander ad
aprirsi, per quanto tutti e due evitassero di parlare di affetti e di sesso. Sei giorni dopo l’incidente
Frederick ottenne infine il permesso di tornare alla propria casa. Riusciva a
muoversi autonomamente, appoggiandosi su una stampella. Ma le porte che
collegavano i due appartamenti all’interno furono tenute aperte. Era una
richiesta di Alexander, a cui Frederick aveva risposto: - Mi sa che mi vuoi
controllare. - Esatto. Passerò ogni
notte a verificare che tu non vada in giro a commettere imprudenze. Due giorni dopo ad
Alexander sembrò di notare in Frederick un cambiamento, come se fosse… un po’
triste. No, forse triste no, ma quell’allegria che gli aveva spesso letto in
viso negli ultimi giorni sembrava un po’ appannata. Non disse nulla. Eugene Munroe
partì a fine luglio, come previsto. Frederick era guarito: la ferita si era
rimarginata e riusciva a camminare normalmente, anche se per il momento le
sue passeggiate erano molto brevi, perché se camminava più a lungo,
zoppicava. Ma Alexander sapeva che in capo a una settimana o due il capitano
sarebbe guarito completamente. Man mano che i giorni
passavano e Frederick camminava più a lungo, di solito con il figlioletto,
Alexander avvertiva un malessere crescente. I suoi rapporti con il capitano
erano diventati molto più stretti e passavano spesso le serate insieme, ma al
dottore non bastava. Il desiderio premeva: tenuto a freno a lungo, era stato
riacceso dalla breve esperienza con Eugene e ora tormentava Alexander. Se
fosse stato solo il desiderio fisico a tormentarlo, non sarebbe stato un gran
problema: Alexander era capace di controllarsi ed era abituato a lunghi
periodi di astinenza. A rendergli la vita impossibile era l’amore, l’amore
per l’uomo dal viso sfregiato che lo attirava come non gli era mai successo
nella sua vita. Per quanto cercasse di
nascondere la sua sofferenza, essa appariva e Frederick se ne accorse. Una
sera gli chiese: - Mi spiace vederti così,
Alexander. Soffri per… per la partenza di Eugene? Alexander alzò lo sguardo
su Frederick, stupefatto. - Per la partenza di
Eugene? E perché mai dovrei… Si interruppe. - Perché mi chiedi questo,
Frederick? - Perché mi pareva che tu e
Eugene foste legati. Si guardarono un momento in
silenzio. Poi Frederick disse: - Scusami, non voglio
essere indiscreto. Se preferisci non parlarne, nessun problema. Alexander rimase a fissare
l’amico, in silenzio, poi disse: - Frederick, ho scopato con
Eugene, è vero. Ma non m’importa nulla di lui. È stato piacevole, ma… nulla
di più. Frederick annuì, senza dire
niente. C’erano cose non dette tra loro, lo sapevano entrambi. Alexander era dilaniato tra
il desiderio e la paura di chiarire. - Non mi importava niente
di lui, anche se… ero contento di scopare. In realtà, Frederick, mi dava fastidio
che… No, non poteva dirlo.
Provava vergogna. - Che cosa, Alexander? Che
cosa ti dava fastidio? Alexander si alzò e andò
alla finestra. Guardò fuori. Preferiva non vedere in faccia Frederick. Sentì che Frederick si
avvicinava e ora era dietro di lui. - Non vuoi provare a
parlarmi, Alexander? Mi sembra che siamo diventati amici. Puoi avere fiducia
in me. Alexander non si voltò. Si
limitò a dire: - Mi dava fastidio che ti
girasse intorno. - Eri geloso di me? Eugene Munroe non mi ha mai interessato, te l’assicuro. - Non ero geloso di te. Ero
geloso di lui. Frederick non disse nulla.
Dopo un lungo momento di silenzio, Alexander si girò e lo guardò. Si fissarono, ancora muti. - Alexander, vuoi dirmi
che… - …che mi sono innamorato
di te. Frederick sorrise. Ora
poteva sorridere. - Anch’io sono innamorato.
Di te. Si guardarono negli occhi.
Con la destra Frederick accarezzò il volto di Alexander, esitando, in una
dichiarazione muta.
La bocca di Alexander si
avvicinò alla sua e le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero. Si
staccarono per riunirsi e questa volta la lingua di Alexander uscì e si fece
strada tra le labbra e i denti di Frederick. Molto di rado Frederick
aveva baciato un uomo e quei baci non lo avevano toccato in profondità. Ora
invece provò una sensazione fortissima. E le mani, le mani di Alexander sulle
sue guance, tra i suoi capelli. Frederick chiuse gli occhi e lasciò che la
marea di quelle sensazioni violente lo travolgesse. Le sue braccia avvolsero
il corpo di Alexander, stringendolo in una morsa, mentre si scambiavano un
altro bacio. - Andiamo in camera mia. - Sì. Passarono nella camera e si
spogliarono, guardandosi, a distanza, quasi temessero di toccarsi. Frederick
osservò: - Meglio che chiuda a
chiave la porta. La domestica non si sarebbe
mai permessa di entrare senza bussare, ma Frederick voleva essere sicuro di
non correre rischi. Alexander ghignò e disse: - Sì, meglio che tu chiuda.
Che non entri qualcuno mentre te lo metto in culo. Frederick guardò Alexander.
La brutalità della frase l’aveva sorpreso. - Alexander… Non sapeva che cosa voleva
dire e la frase rimase in sospeso. Alexander gli infilò la
lingua tra le labbra e gli afferrò il culo, stringendolo in una morsa di
ferro. Poi si scostò, lo guardò, sorrise e lo baciò di nuovo, ostentando una
sicurezza che aveva sempre avuto nei rapporti e che ora gli mancava del
tutto: anche la frase che aveva pronunciato non corrispondeva a quello che
provava. Desiderava con tutto se stesso possedere Frederick, ma provava anche
timore, quasi la sensazione di stare per commettere un sacrilegio. Ciò che
provava per Frederick era troppo forte e gli faceva paura. Frederick si lasciò
baciare, accarezzare, stringere, pizzicare, abbracciare. Le sue mani
scorrevano sul corpo di Alexander, avide, ma confuse. Quelle di Alexander,
più decise, gli tolsero la giacca e poi gli aprirono la camicia, infilandosi
sotto il tessuto per accarezzargli il petto e stringergli i capezzoli, dopo
un po’ risalirono, facendogli scivolare la camicia dalle spalle ed infine
ridiscesero lungo la schiena. Frederick gemette e le sue
mani aprirono la camicia di Alexander, le sue dita si immersero nel vello
piuttosto fitto che circondava i capezzoli, poi si distesero per accarezzare
la pelle. Alexander slacciò la
cintura di Frederick e pantaloni e mutande finirono a terra. Frederick rimase
nudo, mentre le mani di Alexander percorrevano frenetiche il suo corpo,
scorrendo affiancate dal ventre al torace, per poi separarsi e scivolare
dietro la schiena, scendendo fino al culo, stringendolo con forza, un dito
passò sul solco e premette. Frederick ebbe l’impressione di svenire. Avrebbe
voluto finire di spogliare Alexander, ma non aveva forze. Fu Alexander a staccarsi e
finire di spogliarsi, mentre Frederick si liberava delle scarpe e dei
pantaloni, che aveva alle caviglie. Frederick guardò il grande
cazzo di Alexander emergere, vigorosamente teso verso l’alto, e si fermò,
incapace di muoversi. Si sentiva la gola secca. Alexander si avvicinò.
Frederick guardò il corpo massiccio, coperto da un pelame fitto, le grandi
mani, forti, il grosso cazzo, teso. Ebbe l’impressione di svenire. Alexander lo baciò, poi gli
pose le mani sui fianchi e lo fece girare su se stesso. Gli si avvicinò fino
a che i loro corpi aderirono completamente e Frederick sentì l’arma
formidabile contro il proprio culo. Alexander lo spinse fino al letto, lo
forzò ad appoggiarvi il torace e a divaricare le gambe. Poi Alexander si
inginocchiò e Frederick sentì la sua lingua che gli percorreva il culo, scivolando
lungo il solco, fino all’apertura. Rabbrividì. Mormorò: - Alexander… Un morso gli strappò un
gemito, poi nuovamente la lingua accarezzò ed indugiò a lungo intorno alla
sua meta. Alexander si rialzò.
Frederick avvertì la pressione contro il suo culo. Sapeva che sarebbe stato
doloroso, che non avrebbe facilmente ricevuto quel palo dentro di sé, ma
sapeva anche di desiderarlo, di volere la sua resa completa di maschio. Alexander spinse piano e
lentamente l’apertura si dilatò ad accogliere il cazzo che premeva. Alexander
si fermò, lasciò a Frederick il tempo di abituarsi al dolore, di sentire il
piacere che nasceva da quel dolore, lasciò all’anello di carne il tempo di
dilatarsi poi spinse ancora, lentamente, dando nuovo dolore e nuovo piacere.
Si arrestò nuovamente. Frederick scivolava in un
gorgo, incapace di reagire. La sofferenza era forte, ma il piacere lo era di
più e in lui cresceva una tensione che gli gonfiava di sangue il cazzo e
diveniva tanto forte da stordirlo. Mormorò ancora: - Alexander… Alexander riprese a muovere
la sua arma, con un movimento inesorabile, che moltiplicava il suo dolore e
il suo piacere. Infine Frederick avvertì che il corpo di Alexander aderiva
completamente al suo. Il palo era saldamente infisso nella sua carne. Alexander
gli concesse un momento di pausa. Lentamente il corpo di Frederick si abituò
a quella presenza massiccia. Alexander gli accarezzò ancora la testa con la
destra, mentre con la sinistra gli pizzicava il culo. Gli morse leggermente
la nuca, poi gli passò la lingua dietro l’orecchio. Frederick gemette.
Alexander gli morse il lobo dell’orecchio, poi estrasse quasi completamente
la sua arma e, senza fretta, la spinse di nuovo fino in fondo. Frederick ebbe
la sensazione che la terra gli mancasse sotto i piedi. Alexander ripeté
l’operazione altre due volte, con molta lentezza, poi prese a muoversi con
maggiore decisione. Ad ogni nuova spinta
Frederick sentiva una mescolanza di piacere e di sofferenza, mentre la
tensione saliva in lui. Si abbandonò completamente, cedendo per la prima
volta a un altro maschio, che lo dominava. Le spinte di Alexander
divennero più decise e a ogni nuovo affondo Frederick gemeva. Alexander gli
passò la mano sui coglioni, raggiunse l’asta tesa allo spasimo e i suoi colpi
divennero ancora più violenti. Frederick cercava di controllare i gemiti, per
non farsi sentire. Infine Alexander venne, con un’ultima serie di spinte,
riempiendogli le viscere di seme, mentre Frederick veniva nella sua mano. Frederick si abbandonò
esausto, sudato, privo di ogni volontà ed energia. Alexander gli passò un
braccio intorno alla vita e, sollevandolo di peso, lo stese sul letto,
mettendosi accanto a lui e abbracciandolo. - Ti ho fatto male,
Frederick? - Solo un po’, non importa. - Era… era la prima volta,
vero, Frederick? - Sì, non mi ero mai dato a
nessuno. Ma volevo darmi a te. Alexander chiuse gli occhi,
mentre le sue mani accarezzavano il corpo di Frederick. - Ti amo, Frederick. Non l’aveva mai detto a nessuno
prima di quella sera. Non aveva mai amato prima. - Anch’io ti amo. Rimasero un momento
abbracciati, poi ripresero ad accarezzarsi e il desiderio rialzò la testa.
Alexander si mise prono e allargò le gambe. Non si era mai offerto, ma ora lo
voleva. Voleva appartenere a Frederick, come Frederick apparteneva a lui. 2022 |