Ascensore
L’estate è sempre il
periodo più duro: molto personale è assente in ferie, ma le turnazioni vanno
pur sempre coperte e quindi ci si ritrova in pochi con lo stesso lavoro di
routine e con la necessità di coprire più turnazioni, per sopperire ai buchi
lasciati dalle assenze. Ma non mi lamento, perché a parte un po’ di vantaggio
economico che arriva dagli straordinari c’è sempre un’atmosfera particolare
quando il reparto è semi svuotato dal personale... e riesco sempre a
conquistarmi qualche osso duro che non riuscirei a farmi nel resto dell’anno.
Quest’anno punto su Klevis. Già, Klevis...
quando venne assunto, tre anni fa, venne subito destinato a questo gruppo di
lavoro e mi si accesero gli occhi, al vederlo... Oh, sì, in effetti non è una
bellezza eccezionale, però mi ha sempre intrigato molto per il suo aspetto da
bravo ragazzo un po’ furbetto e sornione, occhi vispi neri che si illuminano
e sembrano invece chiari, quando sorride (e succede spesso), una voce
tranquilla ma a suo modo squillante e lievemente gutturale, tanto che l’avevo
preso per un sardo e quasi rimasi male a scoprire che mi ero sbagliato:
arrivato da poco dall’Albania, invece... Me lo ero immaginato sardo anche per
via della statura, un poco al di sotto della media, e della sua bella testa
morbida senza spigoli con i capelli nerissimi, corti e dritti, già
punteggiati di qualche filo bianco e lucente sulle tempie e sulla nuca. Gli
mancheranno un paio d’anni ai quaranta e allungherei le mani ogni volta che
lo trovo in ascensore o lo incrocio per i corridoi, con quell’aria morbida
che ha: pur senza avere alcun chilo di troppo appare quasi cicciottello
perché ha forme tutte morbide, tonde e senza spigoli com’è anche il suo
carattere, tenero socievole e ben disponibile ad aiutare e collaborare. Eccolo! È tornato oggi
dalle ferie, vado subito a stuzzicarlo: - Ehi...
ma come sei nero!.. e sei più bello del solito! quand’è che vieni a casa mia
a farmi una visita speciale?... - Pensa
che al mare ci sono stato solo una settimana, se ci stavo di più... - Fammi vedere il segno del costume! - Lo so che ti piacerebbe... ma tanto non
lo troveresti..! – e
scappa col carrello dei medicinali a fare il giro delle camere. Lo rincorro: - Come, non lo troverei..?! vuoi
dire che..? nudo..?!? – il suo mezzo sorriso furbo mi dice che sì, ha
fatto nudismo.. Non ci posso credere! – Ma
dove sei stato? E tua moglie? E tua figlia..?! - Massì, son
tornato in Albania, i miei vivono a poca distanza dal mare in una zona
selvaggia e disabitata, puoi starci nudo quanto vuoi... Troppo caldo per la
piccola, loro stavano in giardino a cercare un po’ di fresco e al mare ci
venivano solo a fine pomeriggio. Se ne va a somministrare
pastiglie sciroppi e qualche iniezione agli anziani ospiti del reparto. Devo
accelerare i tempi, non posso aspettare che abbia già perso l’abbronzatura e
non voglio assolutamente perdermi lo spettacolo del suo corpo così scuro
dappertutto... Vado a finire di preparare i tavoli per la colazione ma
continuo a rimuginare sulla strategia da seguire. Finora non l’avevo mai
pressato: gli stavo dietro, gli buttavo degli ami, ma senza troppa
convinzione... Agli inizi perché stava per sposarsi... poi era uno zuccherino
all’inizio del matrimonio... poi la moglie incinta, poi la figlia appena nata
e poi piccola piccola... Ma ora avevo deciso che
toccava proprio a lui di capitombolare nel mio letto: ero stufo di trovarmelo
davanti sempre carino e allegro come un cicciobello
senza poter allungare le mani nella sua ciccia morbida e sopratutto
là dove invece diventa dura tutt’a un tratto... Arieccolo: - Ma
com’è il tuo cazzo? - Ma
che domande mi fai?!.. – ride
divertito, sa benissimo quel che vorrei da lui: gliel’ho già detto tante
volte, ma credo che in realtà non mi consideri un pericolo, solo un collega
gay un po’ matto da scherzarci un po’ su. - Vorrei
sapere com’è, tutto qui. Se è piccolo o grosso, se sei circonciso o se invece
si può scappellare piano piano con la lingua... Scommetto che ce l’hai sempre
duro... - Ma
smettila..! - Ma
scopi ancora tanto con tua moglie o dopo la bambina avete rallentato..?
Magari... un po’ troppo..? – Mi pare che una leggera ombra abbia scurito i suoi occhi, forse solo
una mia impressione, però... - Ma non puoi farti i cazzi tuoi..? – La risposta un po’ troppo
secca mi dice che ho colpito nel segno. - Ok ok... scusa, sai... non volevo
intristirti, mi piaci tanto quando sei allegro e spensierato, non volevo...
Caffè? dài vieni, prendiamoci un attimo di pausa...
Lo prendo con un mano
nell’incavo del braccio e me lo trascino alla macchinetta, badando bene a
massaggiare lievemente la cavità con il pollice, così, senza parere. - Lo
so che sei felice con la tua famiglia, ma so anche come sono le donne, quando
diventano mamme per qualche tempo almeno smettono di essere la dolce femmina
che avevi conosciuto, è naturale... Si fa l’amore di rado, quasi con
malavoglia e l’orecchio teso a sentire se la bambina piange... Si deve
scopare di fretta e certe cosine non si fanno più, non che sia vietato ma non
si fanno più e basta... - E
tu come lo sai? – dopo
una breve pausa per fingere di sorseggiare un caffè troppo caldo – Mica sei sposato, e non hai figli, che
io sappia... - Ma,
Klevis, hai idea di quanti nostri colleghi sposati
mi sono fatto..? infermieri o generici o addetti alla manutenzione che
siano... e medici, anche... - Di sicuro anche Angelo, vero..? - Non
te lo direi mai, di nessuno, altrimenti avrei terra bruciata attorno, non ti
pare? Pensa ad esempio se tu venissi con me per una volta e io lo dicessi a
qualcuno... come ci resteresti? Segreto assoluto su questo, puoi giurarci... Chiaro che con Angelo ci
sono stato e più d’una volta, ma non glielo posso certo raccontare... Angelo
è un altro infermiere del reparto che normalmente si alterna con lui e con
altra operatrice sanitaria, è carino, con una barbetta rossiccia, occhi spiritati
e ciuffo ribelle dritto in testa, molto attraente col camice bianco
d’ordinanza, ma un po' deludente se visto nudo... E’ giovane, non sposato,
non si direbbe che sia quanto meno bisex ma Klevis
deve averlo intuito, visto la sua domanda... - Puoi
stare tranquillissimo, se dovessi venire con me non lo saprebbe mai nessuno. - Ma
io non ho nessuna intenzione... – protesta. - Ma
sì, dicevo così per dire... – accartoccio il bicchiere sporco prima di buttarlo nel cesto – Però pensaci, ti potrei fare un pompino
strepitoso, te l’assicuro, non sarebbe neanche come un tradimento, in fondo,
solo un necessario svuotamento dei tuoi sacchetti troppo pieni... Chissà che
macchie appiccicose ci sono nelle tue mutande, al mattino.. eheh... - Smettila,
basta, è ora di rientrare. Penso a Klevis
di continuo, ormai me lo vedo sempre davanti con il camice bianco estivo (è
ancora più sexy di quando indossa l’altra divisa, azzurra) che gli lascia le
braccia nude a mostrare i peli corti e neri e la casacca leggera che scende con
un troppo castigato scollo a V, giusto per mostrare solo i primi peli di una
peluria forse non troppo accentuata ma nerissima. Oggi ho iniziato il secondo
turno, l’ho incrociato comunque anche se lui resta ancorato al primo ma ci si
sovrappone nella fascia del pranzo. Non l’ho voluto pressare più di tanto:
aspettando che i tempi maturino ho solo sfiorato il suo corpo troppo da
vicino, intenzionalmente, incrociandolo col suo solito carrello mentre io
spingevo quello delle vivande prima di servire a tavola; nessuna reazione ma
credo fosse impossibile pensare a una casualità. Sto finendo la mia pausa in
cortile, seduto sul muretto del porticato con le spalle appoggiate a una
vecchia colonna di granito e mi gusto il fresco dell’ombra con gli occhi
chiusi. Penso a come me lo scoperei adagio, o come mi farei scopare da lui
con tutta la foga di cui sarebbe sicuramente capace. Risalgo in ascensore,
vuoto e ampio per trasportare comodamente i lettini. Due piani prima, una
sosta: è lui! - Klevis! - Ciao...
non ti ho visto stamattina. - Turno cambiato. - Ah... Non l’ho neppure pensato,
ma in automatico la mia mano è andata a premere il pulsante dell’Alt,
l’ascensore si è bloccato, le porte restano chiuse. - Ma
che fai?! - Niente...
solo un saluto... Lui resta fermo nell’angolo
opposto, io mi avvicino adagio fino a sentire il calore del suo corpo
vicinissimo al mio, il fiato lievemente ansimante che esce dalla sua bocca.
Avvicino le mie labbra alle sue, non reagisce. Non lo bacio a forza, scendo
invece pianissimo con la bocca a sfiorargli il mento, il collo, lo scollo
della divisa, giù in verticale per tutta la casacca, mi fermo. Il suo respiro
si è fatto più corto, il mio resta calmo e rilassato mentre sfioro con le
labbra aperte il promontorio bianco che accompagna e nasconde il suo sesso,
ci appoggio le labbra così il respiro inumidisce il leggero cotone bianco che
ci separa, accenno a stringere un poco con le labbra dischiuse mentre a meno
di un millimetro di separazione c’è qualcosa che si muove, che cresce, prende
forza e consistenza. Le sue mani sono scese sulle mie spalle, premono per
allontanarmi ma lentamente, troppo debolmente, troppo poca la forza per
distaccarmi da questo sublime contatto. Le mie mani invece salgono,
accarezzano l’esterno delle sue cosce, afferrano delicatamente la stoffa e
abbassano lentissimamente i pantaloni fino a mettere in mostra i boxer
bianchi dalla cui fessura centrale comincio a percepire un diverso contatto,
un diverso calore, una diversa durezza verso la quale mi spingo ancora di
più. E’ un lampo, le sue mani non mi respingono più ma mi attraggono, mi
premono verso il suo cedimento, ingoio d’un fiato la sua cappella
attaccaticcia, tutto il suo cazzo duro come il granito della colonna in
cortile e che trattengo fermo fino in fondo stringendolo con tutto quello che
ho a disposizione: labbra, lingua, denti, palato, lo avvolgo e lo stringo
bloccandolo il più a lungo possibile, fino a rischiare di soffocare per poi
partire con un risucchio forte e un avanti e indietro veloce della testa che
lui tenta di accompagnare con le mani per spingere il suo uccello più in
fondo che può alla mia gola, giù giù fin che si
può, fin che diventa impossibile da controllare, fin che il gioco diventa
solo mio, fin che qualcosa comincia a esplodere chissà dove e sale sale sale e attraversa le
viscere e con una lentezza infinita arriva fino al prepuzio e allora esplode
di colpo in una bolla liquida e vischiosa che resta nella mia bocca ad
avvolgergli tutta l’asta fino a farla diventare bianca e collosa, fin che non
si può più trattenere un urlo ma solo soffocarlo in una mano mordendola fino
a lasciare un solco profondo e visibile. Non lascio la preda fin che non l’ho
ripulita completamente, poi l’asciugo con un fazzoletto e gli rialzo i pantaloni.
Nessun segno visibile, fuori. Faccio ripartire l’ascensore. Non c’è bisogno
di dire nulla, solo uno sfiorarsi intenzionale uscendo dall’ascensore
nell’atrio deserto del reparto. Ci separiamo subito, lui ha terminato il
turno, io proseguo con il mio. Mi sono sdraiato sul letto
a riposare dieci minuti, prima di prepararmi qualcosa da mangiare. Ripenso a
quanto successo d’istinto, inaspettato. Il suo cazzo è esattamente come me
l’ero immaginato: non piccolo, ma della giusta misura per tenerlo comodamente
in bocca senza venirne disturbati, di una forma liscia e regolare lievemente
arcuata verso l’alto, duro e resistente e infoiato come quello di un
ventenne, con la pelle abbondante a nascondere il glande da denudare
delicatamente con la lingua come per estrarre una banana dal suo riparo
profumato. Lo voglio, lo voglio ancora, ma soprattutto voglio Klevis qui, in questo letto, voglio spogliarlo e godermi
il suo corpo con gli occhi prima che con le mani e poi con il mio cazzo
finalmente, che adesso reclama il su e giù della mia mano come il movimento
obbligato di un ascensore. |