Ritratti del conte Walser

 

 

 

Il domestico entra nello studio in cui Gustav sta dipingendo.

- Signor Keller, il conte Michael Walser chiede di vederla.

Gustav guarda sorpreso il domestico. Sa chi è il conte Michael Walser, ultimo discendente di una delle famiglie più ricche dell’Impero: gli è capitato di vederlo due o tre volte in società, ma non ha mai avuto modo di parlare con lui. È alquanto strano che si presenti a casa sua a metà mattinata, senza neppure avergli scritto una lettera o inviato un servitore per annunciargli la visita.

Gustav indossa la lunga tunica con cui si copre abitualmente quando dipinge e ha le mani sporche di colore. Non c’è il tempo per cambiarsi e lavarsi. D’altronde, se il conte viene senza preavviso, non può pretendere di trovarlo in abito da sera. Lo riceverà così com’è. Dopo aver riflettuto un attimo, decide di accogliere l’ospite nello studio: così capirà subito di averlo interrotto mentre lavorava. Gustav non vuole apparire scortese, ma ha bisogno di procedere con il lavoro prima che la luce nello studio cambi.

- Fallo entrare, Hans.

Gustav prende uno straccio imbevuto di trementina e si pulisce le dita alla bell’e meglio.

Il conte entra mentre Gustav sta posando lo straccio. Fino a ora Gustav non ha mai avuto modo di osservarlo con attenzione. Non è un bell’uomo, ma ha un viso interessante, in cui manca completamente la raffinatezza un po’ esangue che hanno spesso i membri delle famiglie nobili di antica origine. Eppure i Walser sono conti da almeno sette secoli. Gustav si dice che sarebbe un bel soggetto per un quadro di genere, una scena di campagna: c’è qualche cosa di rozzo nel viso del conte, quasi fosse un popolano. Ma c’è anche una notevole forza.

- Mi scuso se la ricevo così, signor conte, ma non aspettavo visite e sono al lavoro.

Il conte sorride.

- Sono io che devo scusarmi, se mi presento in questo modo, senza preavviso. Ma sono… molto diretto. Qualcuno direbbe sfacciato. E credo che avrebbe ragione.

Il conte si interrompe e ride, poi riprende:

- Ho avuto modo di vedere diversi suoi quadri e ho deciso di farmi ritrarre dal più grande pittore vivente.

Gustav sorride.

- Allora è venuto a chiedermi l’indirizzo di Monet?

Il conte ride di nuovo.

- Ha capito benissimo, signor Keller. Ma me l’avevano detto che lei è molto modesto, virtù rara, che io non posseggo per nulla. Comunque voglio che mi ritragga lei, che è il più grande tra i pittori del nostro tempo.

- La ringrazio dell’elogio, ma di fronte ad artisti come Monet, la sua lode appare quasi una presa in giro.

- Lungi da me l’idea di prenderla in giro. Ho detto quello che penso, come sempre. E sono convinto di avere ragione: ho viaggiato molto e ho avuto modo di vedere ciò che si espone a Londra e a Parigi, a Mosca e a Berlino. Ci sono grandi pittori e senza dubbio Monet è tra questi, anche se apprezzo meno i suoi ultimi quadri. Tra i viventi, ritengo che lei sia il migliore. E per di più vive a Vienna, dove sono infine ritornato, almeno per un po’ di tempo. Un vantaggio non da poco.

- Lei è molto sicuro delle sue opinioni.

- Essere nobili e ricchi rende presuntuosi, temo. Nel mio caso è certamente vero. Ma lasciamo perdere questi dettagli. Vorrei farmi fare qualche ritratto da lei, ma devo averglielo già detto tre volte.

Gustav annuisce. È un po’ disorientato. Ha spesso dipinto nobili, d’altronde ormai le sue quotazioni sono altissime e solo i nobili e i borghesi più ricchi possono farsi ritrarre da lui. Ma non gli è mai capitato che un nobile si presentasse a casa sua a metà di una mattinata di lavoro per chiedere un ritratto o addirittura “qualche ritratto”. Di solito viene contattato attraverso il suo gallerista, Jörg Duckstein, oppure gli scrivono chiedendogli un appuntamento o al massimo gli parlano a qualche serata mondana.

- La dipingerò molto volentieri, lei ha un visto molto espressivo.

Walser ride.

- Alquanto rozzo, più da criminale che da aristocratico. E in uno dei quadri potrei farmi ritrarre come un criminale che va al patibolo.

Gustav sorride. Molti nobili si sono fatti dipingere, nei secoli passati, come santi o eroi, ma ormai è molto più frequente farsi rappresentare così come si è e in ogni caso non come criminali.

- È una richiesta un po’ insolita, ma ne possiamo parlare con calma. Non ora, però: sto lavorando e ho bisogno di proseguire prima che la luce cambi e mi costringa a interrompere.

- Sono venuto senza chiederle un appuntamento proprio nella speranza che lei mi invitasse a rimanere, in modo da poterla vedere al lavoro. La ringrazio per il suo cortese invito.

Gustav guarda Walser perplesso, poi scoppia a ridere. Il conte si è autoinvitato.

- Va bene, se desidera assistere, non è un problema. Le chiedo solo di rimanere in silenzio.

La presenza di un estraneo non infastidisce Gustav, purché non lo costringa a conversare quando ha bisogno di concentrarsi su ciò che sta facendo.

- Prometto che sarò muto come un pesce. E mi metterò alle sue spalle, in modo che non mi veda e non rovini lo splendido ritratto della contessa Eysenbach.

Il conte ha riconosciuto il soggetto del dipinto, com’è naturale: i titolati che frequentano la corte si conoscono tutti.

Walser prende una sedia e si sistema in posizione defilata. Mantiene la sua parola: rimane in perfetto silenzio e Gustav si dimentica del tutto di lui, se non quando arretra per osservare meglio l’effetto del dipinto che sta ultimando. Il ritratto ormai è quasi completo. Le sedute di posa sono finite e Gustav sta lavorando al grande cespuglio di fiori che appare sullo sfondo. Mentre la figura femminile è resa con estrema cura e attenzione al dettaglio, il mazzo di fiori è soprattutto un gioco cromatico, in cui rossi, rosa, viola, gialli e verdi di tante tonalità diverse si mescolano, in uno di quei preziosi arabeschi che contribuiscono a rendere lo stile di Gustav inimitabile.

Quando Gustav ha concluso, si volta verso Michael.

- Conte, la ringrazio per aver mantenuto il silenzio.

- Piombo nel suo studio all’improvviso, senza nessun invito. Ci mancherebbe solo che disturbassi. Ma…

Il conte si interrompe e sorride. Ha un bel sorriso.

- Ma?

- Ma in ringraziamento del mio silenzio, lei dovrà accettare un invito a pranzo. Oggi viene con me a mangiare. Così parleremo di ritratti, quelli che mi farà. Badi bene, non accetto un rifiuto.

Gustav è un po’ stupito dell’invito, ma non ha motivo per dire di no.

- Va bene, ma l’avviso che per le tre devo essere di ritorno.

- Lo sarà, glielo prometto.

- Allora adesso la faccio accomodare in salotto, mentre vado a rendermi presentabile. Non vorrà mica che l’accompagni al ristorante così? Non mi farebbero neanche entrare.

Gustav allarga le braccia, mostrando la tunica sporca di colore e le mani macchiate.

Walser scuote la testa.

- Non voglio farle fare cattive figure, anche se secondo me la giudicherebbero un’eccentricità perdonabile: dal grande Gustav Keller si può tollerare quasi tutto. Però, dato che, come le ho detto, sono sfacciato, le chiederei di lasciarmi aspettare qui. Ne approfitterei per curiosare tra i suoi quadri.

Gustav scuote la testa, divertito, e si rassegna:

- Va bene, come desidera, ma non credo che troverà niente di interessante.

Gustav si toglie la tunica e raggiunge il bagno. Si spoglia e si lava con cura le mani e le braccia: non ha certo il tempo per far riempire la vasca e poi immergersi. Il conte non è abbigliato in modo particolarmente elegante, per cui probabilmente non andranno in un ristorante esclusivo, ma al momento di rivestirsi Gustav preferisce scegliere un abito che non sfiguri anche in un locale molto elegante. Davanti allo specchio controlla che tutto sia a posto. Non è un bell’uomo, ma non ama apparire trasandato e tanto meno sporco. Diffida di coloro che sostengono che il genio si accompagna con la sregolatezza: se è diventato uno dei più stimati pittori del suo tempo, è perché ha sempre lavorato duramente per sviluppare il suo talento.

Gustav fa avvisare la cuoca che non mangerà a casa e ritorna nello studio, un vasto locale molto luminoso, sul retro della casa. Il conte è seduto a terra che osserva un quadro, il ritratto di un uomo giovane, di corporatura robusta, con capelli, baffi e barba rossicci.

- Signor conte! Non si sieda a terra, nello studio di un pittore… rischia di macchiarsi con i colori. Può spostare il quadro, se vuole osservarlo meglio.

Michael Walser scuote la testa.

- No, non mi permetterei mai di toccare alcunché. Chi è il soggetto? È un viso che ho già visto.

- Richard Kleindorf, il musicista.

Il conte batte con le dita di una mano sul palmo dell’altra.

- Ecco perché mi pareva un viso noto: me l’hanno indicato una sera, all’uscita da un teatro. Il compositore, quello dell’Agamennone. Che potenza! L’ho visto a Parigi e sono rimasto senza parole. Il che mi succede di rado, come avrà capito: parlo troppo, lo so.

- Sono contento che le sia piaciuto. Molti non l’hanno apprezzato.

- Molti sono rimasti a Beethoven, per non dire a Mozart. E di sicuro ha fatto scandalo il tema, ma c’è una forza in quell’opera. La scena dell’incontro tra Egisto e Agamennone, con la tensione che sale… e poi il delitto, questo omicidio che è quasi un amplesso, per non dire uno stupro. E quel pugnale che… mi è venuta la pelle d’oca. E non solo.

“E non solo” è detto con un sorriso sornione, che lascia interdetto Gustav. Il pittore preferisce non replicare. Intanto il conte ridacchia e si alza.

- Adesso la rapisco, ma non tema: entro mezzanotte Cenerentola potrà tornare nella sua casetta.

Gustav scuote la testa.

- Le tre, non mezzanotte. Ho una seduta.

- La contessa Eysenbach?

- No, non ho più bisogno che la contessa posi per il suo quadro.

Gustav non intende dire chi è il soggetto che dipingerà: gli sembrerebbe un’indiscrezione, per quanto nessuno dei suoi clienti gli chieda di mantenere il segreto: molti invece sono orgogliosi di poter dire che il grande Keller li sta ritraendo. Walser non insiste.

- La mezzanotte di Cenerentola diventerà le ore tre. Prima che le campane di Santo Stefano suonino le tre, le garantisco che la ricondurrò alla porta di casa. Non intendo rapirla. Non la prima volta che la invito a pranzo, almeno. La seconda… si vedrà.

Il conte ha la sua carrozza, con cui raggiungono un ottimo ristorante sul Ring. Gustav è contento di essersi vestito bene.

Dopo che hanno ordinato, Michael Walser pone alcune domande generiche, sui quadri a cui sta lavorando Keller e sui suoi progetti. Gustav risponde senza entrare nei dettagli, ma nota che il conte lo ascolta con molta attenzione.

Poi Walser si scusa per la sua irruzione nello studio.

- So che non mi sarei dovuto presentare come ho fatto, senza avvisare, ma speravo di vederla ieri sera dagli Ephrussi, mi avevano detto che ci va abbastanza spesso. Ma ieri sera non c’era ed era già la seconda volta che la cercavo. Non si può pretendere da me che faccia pure un terzo tentativo: sono quindici giorni che sono tornato a Vienna e la cerco, senza riuscire a vederla. Ho deciso di andare a colpo sicuro.

- Non frequento molto l’alta società. Ma io l’ho vista qualche volta.

- Quando non la cercavo ancora. Poi si è dileguato. Forse ha sospettato qualche cosa…

In realtà Gustav va pochissimo ai ricevimenti mondani: esclusivamente quanto serve per non apparire scostante o villano. Il mondo dei salotti non gli dispiace: l’ha sempre considerato una realtà interessante, anche se da prendere a piccole dosi. Ma negli ultimi due anni ha diradato la sua presenza: a lungo ha avuto una ferita che bruciava e che ogni incontro riapriva. Ora la ferita si è rimarginata e il rischio di un incontro non esiste più, ma Gustav preferisce mantenersi a distanza.

Solo dopo che hanno mangiato il primo, Michael propone il tema che lo interessa, mentre aspettano il secondo:

- Allora, signor Keller, vorrei farmi fare da lei una serie di ritratti.

- Una serie, addirittura?

- Sì, uno solo non mi basta. So che questo richiederà un po’ di tempo, perché lei è molto occupato. E non potrebbe essere altrimenti, visto che è il pittore più ricercato ed amato, giustamente.

Gustav sorride. L’entusiasmo del conte gli sembra eccessivo.

- Diciamo che possiamo incominciare con un ritratto, poi, se sarà soddisfatto, vediamo gli altri.

- Mi dichiaro soddisfatto fin da ora, per cui si deve ritenere impegnato per almeno… diciamo cinque ritratti.

- Cinque?

- Non uno di meno, magari uno di più, se occorre. O anche due.

- Praticamente conta di assumermi al suo servizio?

- Non mi permetterei mai. Ma lei dipinge sempre donne bellissime e ci vuole come contraltare qualche ritratto di un uomo molto brutto. Altrimenti i posteri diranno che lei sapeva dipingere solo belle donne.

Gustav scuote la testa.

- Non mi dica che lei è brutto. Non lo dica a un pittore. Per un pittore… per me, almeno, è brutto ciò che è insignificante e non vale la pena di dipingere. Ma lei ha un viso molto interessante. La dipingerò volentieri.

- Grazie.

- Comunque, ho dipinto diversi uomini che non vengono considerati belli. La bellezza che mi interessa non è quella di un viso armonioso, dai lineamenti regolari.

- Perfetto, allora sono il soggetto ideale.

- Adesso però non usi le mie parole contro di me.

- Non oserei mai.

Gustav assume un’espressione perplessa.

- Non ne sono così sicuro.

Michael ride. La conversazione prosegue, centrata sui ritratti che il conte richiede:

- Direi che potremmo incominciare con un ritratto vestito.

Gustav si chiede se il conte intenda posare nudo. Le parole successive rispondono alla domanda inespressa.

- Poi facciamo sul serio e mi dipingerà nudo.

- Come un antico guerriero?

- No, direi di no. Se devo essere un antico guerriero, potrei essere… sì, Agamennone ucciso da Egisto nell’Agamennone di Kleindorf.

- E chi dovrei dipingere nel ruolo di Egisto?

- Nessuno. Solo il corpo senza vita di Agamennone.

- Ritratto da morto… non è comune.

- Ha dipinto Giuditta con la testa di Oloferne, no? E Giuditta era Adele Strauss, anche se lei ne ha alquanto idealizzato i tratti.

- Il quadro era un ritratto di Giuditta, non di Oloferne.

- In ogni caso farà anche la mia testa tagliata, un san Giovanni Battista.

- Ma devo dipingerla sempre morto?

Il conte ride:

- No, vivo. Ma ne parleremo. Anche la testa decapitata, no… non si può decapitare una testa… diciamo: la testa tagliata, insomma, anche quella è solo un’idea.

La conversazione procede senza difficoltà. Walser parla volentieri, ma sa anche ascoltare, una dote non così comune. Gustav si trova bene con lui, benché a volte la sua impudenza lo spiazzi: l’espansività del conte compensa la sua riservatezza.

Dopo il dessert, il conte chiede, a bruciapelo:

- Posso chiamarla Gustav? È un bellissimo nome. E avrò modo di conoscerla bene, con questa serie di ritratti.

A Gustav questa familiarità appare prematura, ma non vuole apparire scostante.

- Va bene. Come desidera.

- Grazie, Gustav. Sarà un piacere posare per te. E quando non starò fermo come devo, mi sgriderai dicendo: “Michael, testa di cazzo! Sta’ fermo”.

Il conte non si è limitato a chiamarlo per nome, ma è passato al tu, anche se le due cose non vanno necessariamente insieme. Evidentemente non ama le formalità ed è alquanto sicuro di sé. Anche il “testa di cazzo” non si addice a una conversazione tra due gentiluomini che si sono appena conosciuti. Ma a Gustav non dà fastidio. Il conte, per quanto sfacciato, gli è simpatico. Se occorrerà, Gustav gli farà capire che non intende dargli troppa confidenza: è riservato per natura, ma forse proprio per questo apprezza le persone estroverse. Nonostante il grandissimo successo, Gustav rimane un uomo poco sicuro di sé nei rapporti interpersonali. In questo, lo sa benissimo, giocano diverse esperienze negative.

- Normalmente non tratto i miei soggetti così. Temo che non troverei più nessuno disposto a posare.

- Meglio, così rimarrei solo io, che non mi lascio scoraggiare facilmente. Non ti dovrò dividere con nessuno.

Gustav scuote la testa.

- Insomma, vuoi farmi perdere tutti i clienti…

- No, no che, dici, Gustav!?

Ridono, poi Michael dice:

- Adesso parliamo sul serio. Quando incominciamo? Non mi dire tra tre mesi, perché non se ne parla neanche. Mi piazzo davanti a casa tua e non me ne vado finché non mi fai posare.

- Non te lo consiglio. Ormai è autunno e presto dovresti accendere un falò per riscaldarti.

Michael ride:

- Allora, per non provocare la mia morte per assideramento, dovrai per forza trovare uno spazio per me.

Gustav riflette un attimo. Il quadro per la grande esposizione annuale, che il suo gallerista Jörg Duckstein ha organizzato per febbraio, è pronto: è una mostra in cui Duckstein riunisce il meglio della pittura contemporanea e, in base a un accordo che hanno preso, Gustav propone solo un quadro. Il gallerista non vuole che le opere di Keller mettano in ombra le altre, ma non concepisce di allestire una grande esposizione di arte senza un’opera di quello che per molti è il più grande pittore dell’impero, se non d’Europa.

Gustav è impegnato nella preparazione di due ritratti e sta lavorando a un altro quadro, che non ha un committente. Aveva una mezza intenzione di riprendere un vecchio progetto, quello di un paesaggio notturno, ma può rimandarlo.

- Senti, se sei impaziente, possiamo fare la settimana prossima. Martedì pomeriggio, verso le tre? Sei libero?

- Sono sempre libero per te, posso venire anche alle tre di notte, al rientro da qualche noiosissima festa. Poi però mi inviti a fermarmi per la notte. Quel che ne rimane…

- A quell’ora normalmente dormo.

- Sì, so che non frequenti molto i salotti. Sai come farti desiderare.

- Non mi faccio desiderare. Non vado molto nei salotti e non rimango a lungo alle feste perché voglio avere il tempo per dipingere.

- Non vuoi farti desiderare, ma così la tua presenza diventa preziosa.

Gustav alza le spalle. Preferisce non parlare degli altri motivi che stanno dietro la sua scarsa presenza ai ricevimenti mondani.

Fino a ora Michael non ha chiesto il prezzo del ritratto. È un elemento che di solito Gustav non discute con chi gli chiede un quadro, perché preferisce che se ne occupi Duckstein: il suo gallerista gli fa anche da intermediario. D’altronde abitualmente i clienti non si rivolgono direttamente a lui.

Visto che il conte non tocca l’argomento, al momento di alzarsi da tavola Gustav dice:

- Per il costo, passa da Duckstein: è lui a occuparsi di questi dettagli.

Il prezzo di un quadro di Keller non è certo un dettaglio, ma per un uomo ricco come il conte Walser probabilmente lo è.

- Non occorre. Mi dirai quanto costa e io pagherò. Non mi metto a contrattare con il grande Keller.

Gustav non è soddisfatto della risposta, perché preferirebbe che i patti fossero chiari fin dall’inizio, ma ritiene più opportuno non insistere sull’argomento: il conte Walser è ricchissimo e per lui non è certo un problema pagare un quadro, per quanto possa trattarsi di una cifra alquanto consistente.

 

*

 

Egon si spoglia. Non è pudico, ma è la prima volta che esibisce la sua nudità di fronte a tante persone: nella sala gli allievi sono almeno una quindicina. Prova un leggero imbarazzo, anche se i presenti sono tutti pittori, come Egon stesso. Il maestro gli fa cenno di salire sulla pedana, che è stata collocata a un’estremità della sala, e gli dà le indicazioni su come mettersi. La posa è quella di un san Sebastiano. Egon si appoggia alla colonna che è stata collocata sulla predella, mette la mano destra dietro la schiena e alza il braccio sinistro, portandolo leggermente indietro fino a che la mano non tocca il sostegno. Il piede sinistro è un po’ sollevato e solo le dita toccano terra, mentre il destra poggia per intero sulla pedana. Malgrado il sostegno fornito dalla colonna, non è una posizione comoda da mantenere a lungo. Il maestro gli dà ancora alcune indicazioni su come tenere il capo.

I pittori si sono distribuiti nella sala, per cui lo disegneranno da tanti punti di vista. Qualcuno, dopo che Egon si è messo in posizione, si sposta un po’, alla ricerca dell’angolo giusto, ma non c’è molto spazio per muoversi.

Gli artisti incominciano a tracciare sulla tela o su un grande foglio da disegno i tratti del soggetto. Poi alcuni si metteranno a dipingere, altri si limiteranno a tracciare qualche schizzo, da utilizzare in futuro per un Sebastiano o semplicemente per un nudo maschile.

Egon è abituato a posare, anche se è la prima volta che lo fa senza vestiti. Queste sedute di posa sono un buon modo per racimolare qualche soldo, di che pagarsi i colori e le tele o, in alternativa, i pasti. Per le due cose insieme non bastano, per cui Egon salta spesso il pranzo e talvolta anche la cena. In qualche modo tira avanti, ma l’avvicinarsi dell’inverno lo angoscia: la soffitta in cui vive e lavora è gelida. Egon ha racimolato a fatica i soldi per pagare l’affitto del mese, ma non ha quelli per comprare la legna.

Non ama queste sedute di posa e se non avesse bisogno di denaro non si presterebbe. Non è il posare che gli pesa, neanche nudo come ora. Il problema è un altro: durante le sedute deve rimanere immobile e i pensieri vagano. Incomincia a pensare all’affitto da pagare per la miserabile soffitta, ai quadri che si accumulano senza nessuna possibilità di essere mai venduti, alla perenne lotta contro la fame e in inverno anche contro il freddo. Spesso al termine della seduta è in preda all’angoscia.

Tiene le palpebre un po’ abbassate, ma tra le ciglia osserva i pittori, senza muovere la testa. Ne conosce qualcuno, ma nessuno è amico suo. Egon ha pochi amici: quando non lavora per guadagnarsi il pane si dedica alla pittura e la miseria lo ha reso poco socievole. Non vuole dare l’impressione di mendicare un pasto da coloro che un tempo erano suoi amici, non ha denaro da spendere in qualche bettola. Ci sono momenti in cui pensa seriamente di abbandonare la pittura e cercarsi un lavoro che gli permetta di vivere decentemente. Quando la sofferenza diventa troppo forte, immagina di fare un grande falò di tutti i suoi quadri e di morire tra le fiamme, sfuggendo per sempre al freddo della sua soffitta.

Ora si dice che forse, se invece dei pittori armati di matite, carboncini e pennelli, ci fossero davvero soldati con archi e frecce, non sarebbe male: almeno le sue sofferenze avrebbero fine.

 

La seduta arriva infine alla conclusione.

Mentre Egon si riveste, uno dei pittori gli si avvicina.

- Buongiorno. Mi chiamo Gottfried Reichner. Spero di non disturbare. Volevo farle una proposta e, se lei permette, la inviterei a cena, così possiamo parlare con calma.

Egon non sa di che proposta possa trattarsi, ma l’idea di un invito a cena è alquanto allettante. Per una volta non dovrà porsi il problema se spendere quanto ha guadagnato nel cibo o nel materiale per dipingere. 

- La ringrazio. Vengo volentieri, purché sia un posto caldo. Posare nudi in un ambiente come questo non è il massimo.

- Immagino. Sarebbe meglio farlo in una casa ben riscaldata.

Egon pensa a quella che dovrebbe chiamare casa, la soffitta gelida dove vive: al confronto, la sala dell’accademia è calda e accogliente.

Reichner prende una carrozza e raggiungono il ristorante, un locale tranquillo, senza pretese. A Egon fa piacere perché il suo abito logoro non si nota troppo.

Dopo che hanno ordinato da mangiare, è Gottfried a dare inizio alla conversazione.

- Il maestro mi diceva che anche lei è pittore.

- Sì, è vero.

- Si offre come modello per procurarsi un po’ di denaro, suppongo.

- Sì, se potessi contare solo sui miei quadri… sarei già morto di fame.

Egon ride, nascondendo il suo scoramento, e aggiunge:

- A meno che lei non mi invitasse a cena tutti i giorni.

Anche Gottfried ride. Poi chiede:

- Svolge anche qualche altro lavoro?

- Talvolta, sempre per lo stesso motivo.

Egon incomincia a sentirsi un po’ a disagio. Non ha voglia di esibire la sua povertà. Domanda:

- E lei? Non vive di pittura, vero?

Gottfried ride di nuovo.

- No. Mi piace mangiare a pranzo e a cena e magari fare anche colazione. Tutti i giorni. Belle pretese, vero?

In effetti per Egon sarebbe una bella pretesa, ma ci ha rinunciato da tempo.

L’arrivo del primo piatto interrompe la conversazione. Egon si sforza di mangiare lentamente, nascondendo la voracità che la vista del cibo scatena in lui. Un pasto abbondante… da quanto tempo non gli capita?

Quando hanno finito, Gottfried riprende:

- Volevo proporle una seduta da me. Vorrei poterla dipingere con calma. Lei è un soggetto molto interessante.

La proposta non è strana. Egon non è un modello professionista, ma è normale che Reichner, avendolo visto posare all’accademia, gli chieda di posare anche per lui. C’è però qualche cosa, nel tono di voce dell’uomo, nel suo sorriso ammiccante, che non convince Egon. Nei confronti di questo ricco borghese prova un’istintiva diffidenza. L’arrivo del secondo interrompe la conversazione. Mentre stanno mangiando, Reichner aggiunge:

- Pago molto bene.

Egon ha un sospetto. Si riempie la bocca con un altro boccone per avere il tempo di pensare alla risposta.

L’uomo insiste:

- Che ne dice, Schulte? O posso chiamarla Egon? Non le dispiace guadagnare un po’ di denaro, no? Visto che è povero, come tanti artisti. Potremmo conoscerci meglio…

Gli ultimi dubbi sono svaniti. Egon è irritato e deluso.

Fissa negli occhi Reichner.

- Signor Reichner, non so se ho capito le sue intenzioni. Forse ho frainteso e in questo caso mi scuso anticipatamente, ma… mi verrebbe quasi da pensare che non siano sedute di pittura quelle che mi propone.

Reichner ride.

- Anche sedute di pittura, sì. La disegnerei ancora volentieri nudo, come oggi, ma magari steso su un letto, in una posa… un po’ meno statuaria.

Gottfried ride.

Egon sa che deve alzarsi e andarsene, anche se gli costa interrompere il pasto.

- Mi spiace, signor Reichner, non è mia intenzione vendermi. La ringrazio per la cena e mi scuso se non le tengo più compagnia.

Si alza.

Reichner sorride.

- Suvvia, signor Schulte, non rinunci a un buon pasto. Non credo che le sedute di posa le permettano di venire spesso in un ristorante come questo.

La frase è detta con un tono paterno, ma per Egon è uno schiaffo. Egon si morde il labbro, poi risponde:

- Sono povero, è vero, ma questo non le dà il diritto di insultarmi. Le auguro una buona serata.

Egon si volta e se ne va. Gottfried scuote la testa: orgoglio e miseria non stanno bene insieme. Quando si è poveri, bisogna saper fare i conti con la realtà. Ma evidentemente Schulte preferisce crepare di fame.

Gottfried riprende a mangiare: non è il caso di lasciar raffreddare l’arrosto. Poi ordina ancora il dessert. L’inverno sarà lungo e freddo. Magari Schulte diventerà più malleabile. Ha davvero un bel corpo, Egon Schulte, e una bella faccia. È merce di lusso e ci sono molti uomini a Vienna che sarebbero disposti a pagare uno sproposito per uno così. Se poi fosse vergine, se lo fosse il suo culo, per essere più esatti, ci sarebbe da farci un sacco di soldi. Ci sono molti uomini che cercano un maschio esperto, che sappia come farli godere e che non abbia inutili pudori. Ma ci sono clienti più esigenti, che vogliono cogliere il fiore per primi. Gottfried soddisfa i loro desideri: ci sono molti poveri a Vienna e tra questi non mancano i bei giovani. Certo, si tratta spesso di maschi un po’ grezzi, mentre questo Schulte ha un’eleganza naturale che lo rende quanto mai attraente. Sì, merce di lusso, davvero. Un sogno da vendere a caro prezzo. E prima o poi cederà, perché questo imbrattatele è un morto di fame.

Il mercante di sogni sorride.

 

Egon si dirige verso casa: ha molta strada da fare, ma non può certo permettersi di prendere una carrozza. La notte è calata e l’autunno avvolge le strade in una nebbia leggera. La giacca di Egon è troppo consunta per offrire ancora una protezione contro il freddo. Egon rabbrividisce. È solo novembre, ma l’inverno già s’annuncia.

Mentre cammina, ripensa all’incontro con Reichner. Non è aver interrotto il pasto a pesargli: ha mangiato più e meglio di quanto gli riesca di solito. Ma la proposta lo ha umiliato: era un invito a prostituirsi, di questo si trattava. È giunto a un livello di miseria per cui altri uomini pensano di poterlo comprare. Carne in vendita. Non è la prima volta che qualcuno gli fa capire che potrebbe guadagnare qualche banconota vendendosi: Egon è davvero un bell’uomo. Possiede un corpo armonioso, un viso virile, ma regolare, e il fascino della giovinezza.

Vendersi, occasionalmente. Vendersi per poter continuare a dipingere quadri che non interessano a nessuno, che verranno bruciati alla sua morte o venduti perché altri possano riutilizzare le tele. Egon si chiede se ciò che sta facendo ha un senso. Forse dovrebbe semplicemente abbandonarsi alla morte.

La morte dovrebbe essere lontana, ma Egon ci pensa spesso. Non può continuare a lungo a saltare pasti e patire il freddo. L’inverno in arrivo, nella soffitta gelida, senza i soldi per la legna, senza una coperta decente, è una minaccia mortale. E forse la morte è preferibile a questa esistenza di stenti.

Arrivato alla casa dove abita, Egon saluta il portinaio. L’uomo gli dice:

- È passato il padrone di casa per l’affitto. Gli ho detto che lei non c’era. Ripasserà domani. Devo dirgli che è via?

Egon sorride. Il portinaio è un uomo buono, che lo ha preso in simpatia e cerca di dargli una mano. Egon ha dipinto un ritratto di sua figlia Petra, per ringraziarlo.

- No, grazie signor Grossman, ho i soldi per pagare. Almeno questo mese.

Grossman sorride.

- Va bene. Allora gli dirò di salire senza problemi.

- Grazie. E buona notte.

Egon raggiunge la soffitta. Guarda i suoi quadri, accatastati in un angolo. Un senso di scoramento lo assale. Pensa che sono più che abbastanza per un bel falò, in cui bruciare i suoi sogni.

 

*

 

Michael rimane perfettamente immobile: è un buon modello, non come il banchiere Freimann, che cambiava posizione ogni minuto, senza neppure rendersene conto, e che alla fine Gustav ha rinunciato a dipingere. Ma non è stato l’unico. Gli uomini spesso non riescono a mantenere la posa: dopo dieci minuti sono convinti di aver già fatto abbastanza, come se avessero posato per un’ora. Le donne di solito sono modelle molto migliori, con poche eccezioni. Ma Michael è perfetto: fermo e silenzioso.

Gustav ha già tracciato sulla tela il disegno con il carboncino e ora sta dando il colore. Il tempo passa in fretta. Ogni tanto Gustav concede a Michael una pausa, di sua iniziativa, perché il conte non si lamenta mai, neanche quando i tempi si allungano perché Gustav vuole definire un elemento prima di fermarsi. Negli intervalli Michael vuole vedere il quadro. Questo a Gustav non va molto, perché alcuni incominciano a fare osservazioni e a dare suggerimenti non richiesti, perciò preferisce che il soggetto veda l’opera solo alla fine. Quando però gli viene esplicitamente richiesto, acconsente a mostrarla, perché non vuole apparire scortese. Michael si limita a mostrarsi ammirato: non ha critiche da fare o spiegazioni da chiedere o, come qualche volta succede con altri soggetti, modifiche da suggerire. Davvero un ottimo modello, che rimane al suo posto e non pretende di affiancare il pittore o – peggio – di sostituirglisi.

Parlano un po’ nelle pause. Michael chiede alcune informazioni sui colori usati per questa tela e per altre che Gustav ha già dipinto, ma non pretende di sapere come procederà il pittore. Le tre ore passano in fretta e Gustav è soddisfatto.

Quando la seduta è finita, Michael dice:

- E adesso vieni a cena con me.

Gustav scuote la testa.

- Mi dispiace: non posso, sono a cena con gli amici.

Michael appare deluso.

- Molto scorretto da parte tua, ci tenevo.

- Non è colpa mia. Dovevi dirmelo prima.

- Va bene, allora te lo dico subito: dopo la seduta di posa, sei invitato a cena, tutte le volte, finché non ti stufi di me.

- Allora dovremo cambiare giorno. Il martedì abbiamo preso l’abitudine di vederci con gli amici.

Gustav esita un attimo. Gli è venuto in mente che potrebbe invitare Michael.

- Però…

- Però?

- Se vuoi unirti a noi, potrò presentarti Hugo von Homborg, l’autore dell’Agamennone, il testo teatrale, quello da cui Kleindorf ha tratto l’opera.

Michael lo interrompe:

- Cazzo! Non sapevo che ci fosse anche un testo teatrale. Lo svantaggio di aver viaggiato molto! Me lo sono perso. Cazzo! Lo cerco domani stesso.

- Se vuoi ti presto la mia copia.

- Se non lo trovo, certo: adesso che me l’hai detto, voglio leggerlo.

- Questa sera c’è l’autore. Così te lo presento.

- Lo conoscerò molto volentieri. Il nome mi dice qualche cosa… massì, non è quello che ha scritto Riunione di famiglia?

- Sì, è lui. E  anche Lungo il fiume. E l’ultimo, Sera, che è andato in scena pochi mesi fa e ha avuto un buon successo.

 - Sera me la sono persa, ero a Venezia. Lungo il fiume l’ho vista a Parigi. Riunione di famiglia non mi aveva entusiasmato. Troppo ibseniano, come dramma.

- È stata la sua prima opera a essere rappresentata. Aveva appena ventidue anni quando l’ha composta. È stata un grande successo.

- Sì, me lo ricordo. Ma Lungo il fiume mi ha convinto di più. E adesso questo Agamennone, che devo assolutamente leggere. Se vale quanto l’opera… a proposito: non mi dire che questa sera magari c’è anche Richard Kleindorf.

Gustav ride:

- Sì, c’è anche lui. Se non ha qualche altro impegno…

- Cazzo! Cazzo!

- C’è il mio gallerista, Jörg Duckstein, e poi alcuni altri amici. Siamo dodici-quindici, di solito. Di rado di più.

- Grazie per questo invito. Fantastico! Sarà un piacere conoscerli. Non vedo l’ora. Non devo passare a cambiarmi, vero?

Michael indossa un abito da pomeriggio, poco adatto a una serata in un ristorante esclusivo.

- No, no. Sei fin troppo elegante. È una serata tra amici, solo uomini, in un buon ristorante, ma senza pretese eccessive. Ci piace starcene a nostro agio.

- Perfetto. Sono sicuro che sarà una serata piacevolissima.

Al ristorante Gustav presenta Michael ai suoi amici. A tavola si mette al suo fianco: Michael non è il tipo da essere in soggezione di fronte a tanti sconosciuti, ma Gustav preferisce essere pronto a dargli una mano, se occorre: non vorrebbe che gli altri, nella foga di qualche discussione a due o a piccoli gruppi, finissero per isolarlo, senza pensarci. Trattandosi di amici di vecchia data, la conversazione si svolge molto liberamente.

Gustav si rende conto in fretta che il problema non si pone. Richard Kleindorf è seduto di fronte a Michael e tra i due si ingaggia subito una discussione sull’Agamennone e poi sulla musica contemporanea. Gustav nota che passano in fretta a darsi del tu, d’altronde in una serata dove sono tutti amici, il conte sarebbe l’unico a cui verrebbe dato del lei.

Nella discussione Michael si rivela competente e sostiene vigorosamente le proprie idee, ma si dimostra capace di ascoltare. Alla fine della cena, alcuni si alzano e si spostano lungo la tavolata, per parlare con altri. Michael si mette a discutere con Hugo, che ha scritto il dramma da cui Richard ha ricavato l’opera.

- Non ho ancora letto il suo Agamennone, perché ne ho scoperto l’esistenza soltanto oggi pomeriggio, grazie a Gustav. A proposito, posso chiamarti Hugo? Se ci diamo del tu sono più a mio agio.

- Certamente.

- Io sono Michael, ma questo lo sai. Avevo visto due tue opere, ma erano di soggetto del tutto diverso e di ambientazione contemporanea.

- Sì, l’ambientazione era contemporanea, ma in Riunione di famiglia ci sono già alcuni temi che ritornano nell’Agamennone, questa rete di rapporti familiari dove nulla è come appare.

- Rapporti familiari… già, Agamennone ed Egisto sono cugini.

- Non solo loro. È una famiglia in cui si intrecciano abusi, violenze, vendette.

Il discorso procede. Gustav non si preoccupa più di Michael: non ha bisogno di sostegno. È contento che si sia inserito bene nella compagnia.

Al momento di andarsene, Jörg chiede il conto, che divideranno come al solito: è sempre lui a occuparsi di questi aspetti, perché, come dice spesso, “gli artisti non sanno fare due più due”. Il cameriere risponde:

- La cena è già stata pagata.

La risposta lascia tutti stupiti.

- Come? Da chi?

Il cameriere fa un piccolo cenno con la testa in direzione di Michael:

- Dal signor conte.

Si alza un coro di proteste, ma Michael alza la mano per parlare e si crea il silenzio:

- Signori, è stato un piacere per me poter conoscere alcuni artisti che ho sempre ammirato e ho trascorso con voi una serata piacevolissima. Offrirvi la cena era il minimo che potessi fare. Più che altro, perché a questo punto vi sentirete obbligati a invitarmi ancora.

Gustav sorride. Michael è sfacciato, come sempre, ma senza dubbio ha ottenuto il suo scopo. Richard ride e risponde:

- Se paghi tu tutte le volte, ti invitiamo sempre.

Tutti ridono. Hugo scuote la testa.

- Vergognati, Richard. Michael potrebbe credere che pensi sul serio quello che hai detto.

- Certo che lo penso sul serio!

C’è una nuova risata generale. Poi Jörg risponde:

- Ci riuniamo ogni martedì, Michael, e saremo ben felici di averti tra di noi. Pagando ognuno la propria parte.

Michael interviene:

- Vi ringrazio di questo, ma per il prossimo martedì, vi invito tutti a casa mia. Così dopo cena potremo chiacchierare tranquillamente in salotto, fumando un buon sigaro e bevendo… quello che volete bere.

Richard rincara la dose:

- Conti di invitarci tutti i martedì?

Hugo guarda Richard, con un’espressione di commiserazione:

- Si direbbe che tu soffra la fame, Richard!

- La vita dei musicisti non è tutta rose e fiori, mon cher!

Michael aggiunge ancora:

- Signori, ci tengo a dirvi che sarà una cena senza pretese, non un banchetto.

Richard interviene:

- Allora non vengo!

Michael sorride e prosegue:

- Non venite in abito da sera, altrimenti mi costringereste a mettermelo anch’io e non ne ho voglia. Saremo solo noi e potremo parlare molto liberamente.

Al momento di separarsi, Michael si rivolge a Gustav:

- Gustav, io ho invitato tutti i presenti. Ci sono altri che partecipano abitualmente a queste cene? Sarei lieto di invitare anche loro.

- Direi che quelli quasi sempre presenti c’erano tutti.

- Perfetto, allora farò preparare per quindici.

 

Così il martedì successivo, dopo la seduta di posa, Gustav ha modo di entrare nel palazzo dei Walser, una delle più sontuose dimore nobiliari di Vienna. Poiché Michael, l’unico del ramo principale della famiglia ancora in vita, non dà ricevimenti, nessuno dei presenti ha avuto l’occasione di vedere la residenza dei conti. D’altronde negli ultimi anni Michael è stato molto spesso via, in viaggio in Europa, in America e in Asia.

A Gustav basta un colpo d’occhio per vedere che l’arredamento risale al Settecento: Michael non deve aver modificato nulla, almeno nelle sale di ricevimento. È ritornato a Vienna solo da pochi mesi, ma avrebbe potuto rinnovare la mobilia e i quadri prima di incominciare a girare il mondo o tra un viaggio e l’altro.

La cena è ottima, senza eccessive pretese. All’inizio il ritrovarsi in un ambiente nuovo pare smorzare la vivacità dei dialoghi, ma poi, man mano che la serata procede, l’assenza di estranei rende ancora più libera del solito la conversazione, tanto più che Michael non sembra porsi nessun freno: usa spesso un linguaggio piuttosto sboccato e fa battute salaci, che vengono apprezzate.

Terminata la cena, si spostano tutti nella biblioteca, dove possono muoversi liberamente, chiacchierando in piccoli gruppi e passando da un capannello all’altro: si conversa molto meglio che in un ristorante e tutti sembrano soddisfatti. C’è un’atmosfera molto rilassata e Gustav si dice che Michael ha avuto un’ottima idea a invitarli a casa sua. Chiacchiera un po’ con Bernhard Heydenreich, il critico d’arte, e poi si muove tra i diversi crocchi, ma, come gli capita spesso, avverte una distanza tra sé e gli altri e partecipa poco alla conversazione.

È ormai molto più tardi del solito: nella biblioteca di palazzo Walser il tempo passa più in fretta, non ci sono camerieri impazienti di veder sloggiare gli ospiti che indugiano. Gustav non è abituato a rimanere sveglio così a lungo e ora si sente stanco. Ma la sua stanchezza non è solo fisica.

Gustav avverte un senso di solitudine, anche ora, qui, in questa grande sala, dove ci sono i suoi amici.

Quanti di loro sono davvero suoi amici?

Jörg? No, certamente. Ha grande stima di lui, ma non è un amico. E non lo è neppure Bernhard. Nessuno di loro è davvero suo amico. Gustav sa di godere della loro stima e del loro affetto, tutti sarebbero disponibili ad aiutarlo se ne avesse bisogno, ma il legame che lo unisce a loro non è profondo.

Perché è così solo? Conosce la risposta: è incapace di stabilire rapporti non superficiali con gli altri.

Non è mai stato amato da sua madre o da suo fratello. Suo padre si è preso cura di lui, ma certo non c’è mai stata intimità tra di loro. Quando era molto giovane è stato tradito da quelli che considerava suoi amici. L’uomo che ha amato, profondamente, si è allontanato.

Gustav ha finito per chiudersi in se stesso, per difendersi, per non soffrire più.

Gli è rimasta la sua arte, che è vitale per lui, ma a tratti la solitudine è un macigno che lo schiaccia.

Nessuno sembra intenzionato ad andarsene, ma Gustav non ama fare molto tardi e si ritira prima degli altri. Michael appare dispiaciuto:

- Te ne vai già?

- Sì, incomincio a lavorare presto… be’, non proprio, diciamo che non incomincio a lavorare nel pomeriggio. Perciò preferisco non passare la notte in piedi.

- Mi spiace, ma non voglio ostacolare il tuo lavoro: i posteri non me lo perdonerebbero mai.

- Non mi prendere per il culo.

Gustav di solito evita di usare espressioni forti, ma con Michael si sente libero di farlo.

- Non ti sto pigliando per il culo. Lo penso davvero.

Tornando a casa Gustav pensa che Michael è entrato nel loro gruppo senza fatica. È un uomo socievole e la sua esuberanza riesce a conquistare gli altri. Gustav si dice che è il suo esatto contrario: tanto estroverso e sicuro di sé il conte, capace di tenere banco per ore, ma anche di mettere gli altri a loro agio, quanto insicuro e goffo lui, il pittore di grande successo che non ama apparire.

 

*

 

Dopo la partenza di Gustav, Michael si avvicina a Hugo: vuole parlare con l’autore dell’Agamennone, che ha letto il giorno dopo aver scoperto l’esistenza della tragedia.

- Hugo, la volta scorsa ti ho detto che non avevo avuto modo di leggere il tuo Agamennone. Avevo visto due volte l’opera di Richard, ma non avevo capito che era tratta da un tuo dramma. Questa settimana ho rimediato e devo dire che mi ha lasciato a bocca aperta. E adesso non mi dire che tanto ho sempre la bocca aperta, perché parlo troppo.

Hugo sorride.

- Dipende, diciamo che se hai delle lodi da fare, per me puoi parlare anche tre ore di seguito. Per le critiche, un minuto è già troppo.

Hugo non parla sul serio: è disponibile ad ascoltare le critiche, se sono intelligenti. Ma l’Agamennone è stato stroncato in modo feroce perché accusato di favorire la decadenza dei costumi e, come spesso avviene quando nella valutazione di un’opera entrano in gioco considerazioni morali, il livello delle critiche è stato davvero desolante.

- Non ti preoccupare. Mi è piaciuto moltissimo. Ha una potenza… una carica erotica… Cazzo! I dialoghi tra Agamennone ed Egisto, questo passato che emerge, oscuro e minaccioso. La maledizione degli Atridi che assume tutto un altro significato. E l’omicidio… Questo omicidio che è uno stupro… cazzo! La scena dell’omicidio trasmette i brividi. Vorrei vederlo messo in scena.

- Impossibile. Tu parli di carica erotica, che ci ho messo, lo so. La censura ha vietato la rappresentazione. A quanto pare devo ringraziare se non è stata proibita anche la pubblicazione del testo: ci siamo andati molto vicino. Credo che non l’abbiano proibito solo perché sapevano che tanto l’avrei fatto stampare in Germania. Richard ha potuto far rappresentare il suo Agamennone solo perché nel libretto abbiamo attenuato moltissimo.

- Proibito! Che cazzata!

Hugo scuote la testa.

- Temevo che sarebbe successo, ma non volevo alterare il testo. Doveva essere così.

- Sì, non poteva essere altrimenti. L’opera mi è piaciuta moltissimo, ma dopo aver letto il dramma, mi è sembrato che… che Richard l’avesse castrato.

Hugo ha un sorriso amaro.

- Abbiamo scritto il libretto insieme. In effetti ho avuto proprio la sensazione di mutilare il dramma, ma la musica di Richard gli restituisce ciò che abbiamo tolto dal testo.

- Sì, questo è vero, la musica è potente, va ben oltre Wagner e trasmette la forte sensualità che è nel dramma, ma il testo… quanto è povero rispetto al tuo.

- Non poteva essere altrimenti. Già così è stato uno scandalo.

- Mi sembra incredibile che questo capolavoro non sia stato ancora messo in scena.

- Temo che rimarrà un’opera mai rappresentata. Ma chissà, in un lontano futuro…

- In futuro non saremo più vivi. No, non va bene. Vorrei vederla ora.

- Non saprei come potresti fare.

Michael sorride.

- Io credo di saperlo, invece… sì…

Il sorriso di Michael si allarga. Hugo lo guarda, perplesso, senza capire.

- Sì?

- Potremmo farlo qui.

- Che cosa intendi?

- Lo mettiamo in scena qui. Nel salone da ballo. Io non do certo feste da ballo, di quel salone non so che farmene. Allestiamo un palcoscenico, provvediamo ai costumi e alle scene. Una compagnia di attori in gamba disponibile a rappresentare l’opera la troviamo, no? Tu ne conoscerai senz’altro.

Hugo è rimasto senza parole. L’idea di vedere il suo dramma in scena, sia pure per una rappresentazione privata, lo tenta moltissimo.

- Michael, sarebbe bellissimo, ma non è possibile, una rappresentazione…, no, gli attori dovrebbero imparare la parte, ci vorrebbero scene e costumi. Al massimo possiamo organizzare una lettura a più voci. Ne abbiamo fatta una a casa mia.

- Non vedo il problema. Scene e costumi si fanno, gli attori imparano le parti per mestiere. Se conosci gli attori giusti, si può fare.

- Michael, il palcoscenico, gli attori, le scene, i costumi… costerebbe un sacco di soldi… per una serata.

- Hugo, preferisco spendere i miei soldi per quello che mi piace. E quello che mi piacerebbe ora è vedere il tuo Agamennone messo in scena. Hai un’idea di chi potrebbe recitare le parti di Agamennone ed Egisto? Perché gli altri ruoli mi sembrano meno impegnativi.

- Clitemnestra non è una parte facile: lei intuisce ed è complice proprio perché Agamennone si frappone tra lei ed Egisto due volte: come suo marito e come l’uomo da cui Egisto è attratto.

- Giusto. Ai personaggi femminili bado sempre poco, è un mio limite, ma hai ragione, anche la parte di Clitemnestra è impegnativa. Hai un’idea di chi potrebbe fare queste parti? Riusciresti a organizzare una messa in scena? La scenografia la vediamo, non mi sembra un problema, i costumi si fanno. Ma bisogna trovare gli attori giusti. Sai chi potrebbero essere?

- Sì, credo di sapere.

Hugo non ha nessun dubbio. Quando ha scritto il testo, aveva in mente Eldemar Männer e Mathias Klar: due ottimi interpreti, che sono certamente in grado di affrontare un testo così impegnativo. Eldemar è un attore affermato, Mathias non ha ancora ottenuto il successo che meriterebbe. Sarebbero perfetti, sotto ogni aspetto. Eldemar, alto, un po’ massiccio, è Agamennone, il grande guerriero segnato dal tempo, ma ancora vigoroso. Mathias, nettamente più giovane, snello ed elegante, è l’Egisto che ha immaginato, affascinato dalla forza brutale di Agamennone, in un rapporto in cui si mescolano attrazione e odio. Per Clitemnestra ci sono almeno due attrici di grande talento, che andrebbero bene: Lou Schneider, che ha l’età giusta e un grande fascino; Hanna Kröger, più giovane, ma capace di dare vita a un personaggio dalle mille sfaccettature.

- Allora prendi contatti con queste persone, con la compagnia, i costumisti, gli scenografi… insomma, con chi serve. Se sono disponibili e si riesce a combinare una data, me li mandi e io mi occupo dell’organizzazione.

- Se davvero pensi anche a una scenografia e ai costumi, sarà alquanto faticoso, oltre che costoso.

- Voglio vederla messa in scena, davvero. E ti garantisco che occuparmi di tutto per me sarà un divertimento.

Discutono ancora un buon momento. Hugo ripropone più volte il problema dei costi: una singola rappresentazione richiede comunque un lavoro di preparazione degli attori, l’allestimento di scene e costumi e di tutto quanto serve. Michael taglia corto, concludendo:

- Senti, Hugo, non so quale sia la cifra globale, ma non me ne frega un cazzo. Sono ben contento di pagarla per vedere l’Agamennone in scena. Quello che serve: diecimila corone, ventimila, cinquantamila, centomila… Basteranno?

Hugo non ha più obiezioni: sono cifre enormi, di gran lunga superiori a quello che può costare mettere in scena un’opera. Parla ancora un momento del compenso per gli attori, perché dovrà formulare una proposta. Michael gli lascia carta bianca.

La serata prosegue animata, ma Hugo ha difficoltà a partecipare alla conversazione degli amici. L’idea che il suo Agamennone possa essere rappresentato gli ha messo addosso una grande agitazione. Sarebbe una recita privata, certo, ma quello che conta è poterla vedere, valutarla sulla scena e non sulla carta, capire come migliorarla.

Ogni tanto Hugo guarda Michael. Al conte non importa sostenere i costi di una vera rappresentazione e non è strano. I Walser sono ricchissimi, Hugo se l’è ripetuto cento volte da quando ha parlato con il conte e d’altronde basta guardarsi intorno per rendersene conto: questo palazzo è una reggia. Ma ha un’idea dell’impegno che una messa in scena richiede? No, probabilmente no. Non è tipo da scoraggiarsi facilmente quando vuole una cosa. Dice che si divertirà a occuparsi di tutto. Non si stuferà? Magari è uno di quelli che si entusiasmano facilmente e perdono altrettanto in fretta ogni interesse.

La compagnia si scioglie molto tardi. È quasi l’alba quando Hugo esce dal palazzo, frastornato. Gli sembra impossibile. Per l’ennesima volta si chiede se davvero il conte è disposto ad accollarsi tutte le spese e l’impegno necessario per la messa in scena della sua opera. Michel l’ha detto e confermato. A questo punto non resta che contattare gli attori e portare al conte una proposta concreta. Hugo decide di non perdere tempo: se ne occuperà quando si sveglierà.

 

Convincere gli attori che ha in mente è la parte più delicata. Della regia Hugo intende occuparsi in prima persona; costumisti, scenografi, truccatori non costituiscono certo un problema: ce ne sono parecchi in gamba e se alcuni non sono disponibili, se ne possono trovare altri senza fatica. Ma dagli attori protagonisti dipende la riuscita dell’intera operazione. E per Hugo Agamennone è Eldemar ed Egisto è Mathias. Altri attori potrebbero impersonare in modo soddisfacente i due protagonisti, in particolare Klaus Bauer potrebbe essere Egisto, ma Hugo aveva in mente Eldemar e Mathias quando ha scritto il testo. Clitemnestra è un personaggio fondamentale, come ha detto a Michael, ma per lei ci sono almeno due possibilità, perché sia Lou, sia Hanna sono davvero brave. E Hugo sarebbe disposto a cercarne una terza, mentre per Egisto e soprattutto per Agamennone gli costerebbe moltissimo non poter contare sugli attori che ha in mente.

Accetteranno? I motivi per cui possono rifiutare sono tanti. Possono essere impegnati per un lungo periodo. Magari non sono interessati a studiare una parte per una sola rappresentazione, per di più privata: preferiscono recitare davanti a tanti spettatori, essere acclamati da un pubblico numeroso, accrescendo la loro fama. Il testo stesso potrebbe essere all’origine di un rifiuto, perché troppo scabroso: molti attori preferiscono evitare che il loro nome sia associato a spettacoli che fanno scandalo e di questa recita comunque si saprebbe, anche se è privata.

Tutte queste obiezioni potrebbero valere in particolare per Eldemar Männer, che sarebbe perfetto come Agamennone. È un attore di grande talento, amato dal pubblico e dai critici: perché dovrebbe accettare? Purtroppo senza di lui tutta l’operazione non ha senso: Agamennone è lui.

Riuscirà a convincerlo? Hanno un buon rapporto, amichevole, e si danno del tu, ma in realtà si conoscono poco. Eldemar gli ha anche espresso la sua stima in più occasioni, ma questo non significa che sia disposto ad accettare la parte.

Con Mathias Klar dovrebbe essere più facile. È bravo, ma lavora in modo molto irregolare e probabilmente ha bisogno di denaro per mantenere un tenore di vita alquanto dispendioso. Ha un fascino torbido, che lo rende perfetto per il ruolo di Egisto, e un grande successo con le donne: si sa che ha avuto relazioni con alcune nobildonne e pare che la contessa Schwerin si sia uccisa perché lui l’ha lasciata. Nell’ambiente teatrale circolano però anche altre voci. In particolare si dice che stia entre deux lits: nel suo letto passerebbero sia donne, sia uomini. Da tempo si parla di un suo legame con il conte Huber. Qualcuno insinua che alla sua relazione con la contessa Weyr si accompagni un legame con il marito. Per quanto attratto dagli uomini, Hugo ma non ha mai sondato il terreno con Mathias. Il suo rapporto con Richard è aperto e a entrambi piace ogni tanto variare, ma Mathias non è il tipo ideale per Hugo, che preferisce i maschi molto virili. Inoltre, e forse questo è il motivo principale, Hugo non vuole che si chiacchieri di lui. E farsi vedere con Mathias significa diventare oggetto di maldicenze.

 

Hugo decide di incominciare da lui. Mathias Klar vive nella Wipplingerstraße, in un edificio di Karl Theodor Bach, al numero 12. Una casa di nuova costruzione, in un quartiere centrale: di sicuro una sistemazione piuttosto dispendiosa per un attore che non guadagna molto. Ma il palazzo viennese dei Weyr è a pochi isolati.

Hugo si presenta nel pomeriggio: non si va a casa di un attore prima di pranzo. D’altronde anche Hugo ha fatto molto tardi da Michael ed ha passato la mattinata dormendo.

Mathias lo riceve indossando una veste da camera in seta: un indumento sontuoso, in cui molteplici figure di uccelli dai colori sgargianti si stagliano su un fondo dorato. Anche l’arredamento della stanza in cui Mathias lo riceve è lussuoso.

- Hugo von Homburg. A che cosa debbo l’onore?

A Hugo dà fastidio il tono altezzoso dell’attore.

- A una proposta di lavoro. Sto cercando di organizzare una rappresentazione del mio Agamennone.

Mathias aggrotta la fronte.

- Ma non è stato proibito?

- Sì, ma sarà una rappresentazione privata.

- Una lettura del testo?

- No, una vera e propria rappresentazione. Un’idea del conte Walser: è lui che vuole vedere l’Agamennone messo in scena.

- Il conte Walser? Un uomo di cui si parla molto. Uno spettacolo nel suo palazzo…

Negli occhi di Mathias si è accesa una scintilla di interesse.

- Ha intenzione di realizzare un palcoscenico.

- Un uomo tanto ricco da poter soddisfare qualunque capriccio.

Mathias sembra riflettere. Pensa al conte come a una possibile preda? Certamente il conte ha molto da offrire: nobile, smisuratamente ricco e quasi sicuramente omosessuale. Potrebbe sostituire il conte Huber. O il conte Weyr, se è vero quanto alcuni dicono. O affiancarli. Michael potrebbe far vivere una persona nel lusso senza neppure intaccare il suo patrimonio.

Dopo un attimo di pausa, Mathias chiede:

- Che ruolo mi spetterebbe?

- Quello di Egisto. Secondo me lei sarebbe perfetto, signor Klar.

- Egisto? Un personaggio interessante. Dovrò leggermi il suo testo, Homburg.

Mathias non finge di averlo letto e Hugo ne apprezza la sincerità. Ma nel suo tono di voce Hugo legge anche una nota di disprezzo, quasi a dire che se non fosse per l’offerta, non varrebbe la pena di leggere l’opera.

- L’ho portato con me e glielo lascio.

- Qual è l’offerta?

Hugo si aspettava la domanda. Si è preparato una proposta che gli sembra allettante e la comunica.

Mathias appare interessato.

- Se ne può parlare. Potrà essere stimolante. Dicono che il conte sia un uomo affascinante.

Hugo sorride per nascondere il fastidio che prova. In ogni caso Michael è in grado di gestirsi da solo. Se gli interesserà Mathias, avrà modo di spendere un po’ del suo denaro: probabilmente anche più di quanto sborserà per la rappresentazione.

Scambiano ancora alcune parole, per definire i tempi. Mathias è in effetti piuttosto libero, come Hugo pensava. Non appare particolarmente interessato a ottenere una parte, ma in questo caso è la possibilità di conoscere uno degli uomini più ricchi dell’Impero a rendere l’offerta allettante.

 

Hugo passa poi da Lou Schneider, che lo riceve nel suo salotto: è giorno di visite e ci sono diversi uomini e donne, tra cui alcuni attori e un regista che Hugo conosce. Chiede di poterle parlare un momento in privato e le presenta la proposta. Lou lo ringrazia: ha letto ed apprezzato il testo e il personaggio di Clitemnestra le è piaciuto molto. Non può però accettare: ha impegni fino ad aprile e a maggio ha in progetto di partire per l’America, dove andrà in tournée. Non sa quanto tempo si fermerà, ma certamente per almeno sei mesi, tra Stati Uniti, Brasile e Argentina.

Hugo spera che Hanna Kröger non gli dica di no. Non sarebbe impossibile trovare un’altra Clitemnestra, ma l’interpretazione non sarebbe del livello che ci si può aspettare da Lou o da Hanna.

La giovane attrice è in casa e lo riceve, un po’ stupita della visita inattesa: conosce lo scrittore di fama, ma si sono visti in pochissime occasioni.

Hugo spiega il motivo della sua venuta. Hanna si dichiara subito molto interessata alla proposta e disponibile da febbraio in poi. Chiede chi sono gli altri interpreti. Hugo le dice di aver contattato Mathias Klar e che intende parlarne con Eldemar Männer. Hanna sarebbe ben contenta di lavorare ancora con Männer.

 

Il pomeriggio è trascorso nei tre colloqui. Ormai è quasi ora di cena ed è troppo tardi per cercare Eldemar. Hugo potrebbe aspettare un giorno per parlargli, ma è impaziente. Sa che l’attore sta recitando nel Don Carlos di Schiller in cui ha la parte di Filippo II. Hugo ha già visto il dramma in una delle prime rappresentazioni, ma decide di cogliere l’occasione per rivederlo. Dopo lo spettacolo passerà nei camerini per parlare con Eldemar.

Hugo non ama molto Schiller: del grande drammaturgo apprezza davvero solo la Maria Stuarda. Ma non gli spiace rivedere un’opera di cui ammira comunque la potenza e un attore straordinario.

Il Burgtheater è pieno, ma per un autore come Hugo un buon posto si trova sempre.

Hugo si siede e segue lo spettacolo. Vedere Eldemar sul palco è affascinante: è uno di quegli attori che hanno una presenza scenica fortissima. Quando appare gli sguardi di tutti gli spettatori tendono a concentrarsi su di lui, anche se al centro della scena vi sono altri personaggi.

Mentre guarda Eldemar recitare, si chiede di nuovo se sarà disponibile a interpretare il personaggio di Agamennone. Teme di andare incontro a un rifiuto: Eldemar è un attore affermato, molto richiesto, in grado di scegliere tra diverse possibilità, sicuramente molto impegnato. Se la proposta non gli appare interessante, non ha motivo per accettarla. Ma l’Agamennone senza Eldemar… dopo che Mathias e Hanna hanno accettato, sarebbe davvero uno smacco, no, non vuole nemmeno pensare a un rifiuto, non vuole dover cercare una soluzione alternativa.

Dopo gli applausi, Hugo raggiunge Eldemar nel suo camerino.  

- Hugo! Sono contento di vederti. Come mai sei tornato a rivedere il Don Carlos?

- Volevo parlare con te e ne ho approfittato per rivederti in scena. È sempre un piacere e non lo dico per adularti.

- Grazie.

Scambiano due parole, poi Hugo dice:

- Sono venuto a farti una proposta di lavoro, a cui tengo molto.

Prima che Hugo riesca a spiegare il motivo della sua visita, la conversazione viene interrotta dall’arrivo di altre persone. Ci sono i soliti elogi, due pettegolezzi e un invito a cena, mentre Hugo freme. Eldemar però congeda in fretta i nuovi arrivati, dicendo che ha bisogno di discutere tranquillamente con Hugo e che li raggiungerà dopo.

Appena gli altri escono, dice:

- E ora che i rompicoglioni se ne sono andati, dimmi tutto.

- Si tratta del mio Agamennone. Non so se l’hai letto.

- Certo, Hugo, l’ho letto due volte. Affascinante.

Hugo è molto contento di sentirselo dire. Gli rende un po’ più facile il compito.

- Mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato.

- Credo che sia un capolavoro.

- Grazie. Sai che non può essere rappresentato. Lo temevo quando l’ho scritto, ma non volevo snaturarlo per renderlo più accettabile.

- E bene che hai fatto. Avrebbe perso tutta la sua forza.

Eldemar attende che Hugo gli spieghi.

- Conosci il conte Michael Walser?

- Non di persona, ma di fama sì. D'altronde, chi non lo conosce almeno di nome? Uno degli uomini più ricchi dell’Impero.

- Ha letto anche lui l’Agamennone e vorrebbe vederlo messo in scena. Gli ho spiegato che non è possibile e lui ha deciso di organizzare una rappresentazione nel suo palazzo.

- Ma… intendi dire una lettura?

- No, no, proprio una rappresentazione, con tanto di scene e costumi.

- Gli costerà una fortuna, ma non credo che sia un problema per lui.

- È quello che mi sono detto anch’io. Per cui sto cercando gli attori giusti.

- Dimmi che hai pensato a me per Agamennone.

- Certo! Avevo in mente te quando l’ho scritto.

- Mi piacerebbe moltissimo.

Hugo non vuole crederci: gli sembra troppo bello.

- Fantastico! Non avrei mai pensato… che tu…

- Quando l’ho letto, mi sono detto: “Non sarà mai messo in scena, ma mi piacerebbe interpretare Agamennone.”

Hugo è euforico

- Quando saresti libero?

- Non prima della fine di febbraio, Hugo. Dopo il Don Carlos abbiamo di nuovo l’Anfitrione di Kleist e poi andiamo in tournée con il Faust. Non avrei modo di studiare la parte e di dedicarci il tempo necessario. Non è una parte facile, se posso permettermi di dirlo a te che sei l’autore. Agamennone non ha le sottili contraddizioni di Egisto, è più una bestia stolida, che segue il suo istinto, ma questo non significa che non sia una figura complessa e il fascino che esercita su Egisto non è solo fisico.

- Febbraio va benissimo. Credo che Michael… il conte Walser avrà bisogno di un po’ di tempo per allestire il palcoscenico.

- Intende fare le cose sul serio, da quel che mi dici.

- Credo di sì, ma, sinceramente: lo conosco poco. Non so quanto durerà il suo entusiasmo. Spero che non si scoraggi.

- A chi altri hai pensato? Per Egisto e Clitemnestra?

- Per Egisto a Mathias Klar.

- Ottima scelta. Ha tutta l’ambiguità del personaggio. Ed è bravo, anche se… non importa, va benissimo, l’importante è che non rinunci all’ultimo momento, come fece con il Faust. Anche Klaus Bauer sarebbe andato bene: è diventato molto bravo. E Clitemnestra?

- Avevo pensato a Lou Schneider, ma non può. O forse non le interessa.

- Peccato, sarebbe stata una Clitemnestra perfetta. Che ne diresti di Hanna Kröger?

Hugo scoppia a ridere.

- Mi leggi nel pensiero. Sì, mi sono rivolto a lei, dopo il rifiuto di Lou.

- Ha accettato?

- Sì. E direi anche Mathias, per quanto non mi abbia dato una risposta definitiva.

- Perfetto, allora. Non credo che ci siano problemi con le altri parti: non presentano nessuna particolare difficoltà.

- No, certo.

Eldemar non chiede qual è il compenso. È Hugo a introdurre l’argomento, per correttezza. L’attore gli risponde:

- Rimanga tra di noi, ma credo che lo farei anche gratis. È una parte che mi piace moltissimo.

Qualcuno bussa al camerino: due attori della compagnia che vengono a sollecitare Eldemar, perché gli altri stanno già andando a cena. Hugo si congeda.

Esce dal teatro euforico. Ha ottenuto l’adesione al suo progetto di tre interpreti in grado di dare ai suoi personaggi tutto lo spessore necessario. Domani parlerà con il conte, sperando che non abbia cambiato idea: ora che ha ottenuto l’adesione degli attori giusti, sarebbe una delusione terribile.

 

Hugo si presenta nel pomeriggio e viene ricevuto immediatamente. Michael appare impaziente di conoscere le risposte degli attori ed è entusiasta di scoprire che hanno accettato. Passa poi a chiedere per le altre parti, la scenografia, i costumi, ma Hugo non ha avuto il tempo per pensarci. Michael lo mette sotto pressione e quando infine Hugo esce, dopo due ore di colloquio, ha tutta una serie di compiti da svolgere e la certezza che il conte è intenzionato ad andare fino in fondo. Per un po’ di tempo dovrà accantonare la scrittura dell’opera a cui sta lavorando, Alessandro, per dedicarsi alla messa in scena dell’Agamennone.

 

Nei giorni seguenti Michael vede gli attori e poi tutto il personale che lavorerà all’allestimento, per un colloquio preliminare: è ancora presto per organizzare, ma vuole essere sicuro che tutto sia definito e che quando verrà il momento, ognuno svolga la sua parte. Non ha problemi a ottenere tutto ciò che vuole: offre compensi molto alti.

I colloqui con Hanna, Eldemar e Mathias avvengono con la partecipazione di Hugo, che fa le presentazioni. Lo scrittore ha modo di notare che in presenza del conte l’atteggiamento di Mathias è del tutto diverso: non c’è più traccia dell’altezzosità del colloquio precedente. Hugo vi vede una conferma dei suoi sospetti. Si chiede se accennarne a Michael, ma questi è in grado di cavarsela da solo.

Poi Michael si concentra sulla trasformazione del salone da ballo in un teatro. Ha le idee molto chiare per quello che riguarda lo spazio per il pubblico, ma conosce poco ciò che a teatro sta dietro le quinte. Non ha difficoltà a ottenere di visitare il Carltheater e il Burgtheater con i direttori: al conte Michael Walser nessuno dice di no. Parla con tecnici e scenografi e si chiarisce le idee. Il teatro che intende realizzare non avrà la struttura complessa dei grandi edifici che ha visitato, ma avrà tutto l’occorrente per una rappresentazione di alto livello: quello che ha in mente non è un teatrino per spettacoli familiari.

La progettazione viene eseguita rapidamente e presto si passa a costruire. Il salone da ballo del palazzo diventa un grande cantiere, dove squadre di artigiani lavorano attivamente, sotto il controllo del padrone di casa. I lavori procedono in fretta: il conte paga molto bene e non ha difficoltà a trovare tutti gli artigiani necessari.

 

 

 

Egon torna a casa da un’altra seduta di posa: è diventato il principale modo per guadagnare un po’ di denaro. Strada facendo compra qualche cosa per la cena. Arrivato a casa si accorge di avere i brividi. Ha saltato pranzo, ma non ha voglia di mangiare. Sbocconcella un po’ di pane e poi si mette a letto.

 

Il portinaio Grossman è preoccupato: anche oggi non ha visto passare il pittore che sta in una delle soffitte. Si chiede se il giovane non stia male e decide di salire. Bussa, senza ottenere risposta. Bussa ancora e gli pare di sentire un lamento. Allora spinge la porta, che si apre. Egon è a letto. Grossman si avvicina. Gli basta un’occhiata per rendersi conto che il giovane sta molto male: il suo corpo è scosso da brividi e gli occhi sono lucidi. Quando gli mette una mano sulla fronte, la sente molto calda.

- Lei sta male, signor Schulte. Chiamo un dottore.

Egon scuote la testa.

- No, non… posso… pagare.

- Non si preoccupi. Non intendo certo lasciarla morire così, signor Schulte.

Il dottore viene. Non è ottimista: il paziente è giovane e abbastanza robusto, ma avrebbe bisogno di un ambiente caldo e di pasti sostanziosi.

Il portinaio si procura un po’ di legna e, facendo i turni con la moglie, assiste Egon.

Egon ha la sensazione di perdere i contatti con la realtà. A tratti rivede il padre, gli amici di un tempo, gli sembra di essere nella casa dove è vissuto a lungo. Poi ritorna nella soffitta.

Negli intervalli di lucidità si chiede se morirà. Ci sono momenti in cui prova paura, mentre in altri si dice che forse sarebbe davvero meglio morire.

Per alcuni giorni la situazione appare grave, poi, lentamente, Egon si riprende.

 

*

 

- Meno male che questa parte del tuo studio è ben riscaldata. Posare nudo con queste temperature sotto zero non è il massimo.

Gustav scuote la testa. Ha fatto accomodare Michael nel piccolo studio, quello che usa d’inverno: una stanza di dimensioni ridotte e più calda. Nello studio più grande, per quanto riscaldato, non si può rimanere a lungo nudi.

- Sei tu che vuoi posare nudo, Michael.

- Sì, certo. Te l’avevo detto subito, al nostro primo incontro.

Gustav non dice nulla. Annuisce e attende che Michael finisca di spogliarsi. È curioso di vederlo nudo, anche perché gli uomini gli piacciono e il conte lo attrae. Non è certo bello: ha tratti irregolari, molto lontani dagli ideali di bellezza prevalenti. Ma Gustav apprezza la forza che c’è in lui.

Non ha nessuna intenzione di fare qualche proposta a Michael o anche solo di fargli capire che gli piace: a differenza di altri pittori, preferisce che il rapporto con i suoi clienti, uomini o donne, rimanga strettamente professionale. O al massimo si trasformi in un’amicizia, se c’è un terreno comune. In un caso non è stato così e il prezzo che Gustav ha pagato è stato altissimo.

Comunque, anche se Michael non fosse un cliente, Gustav ha chiuso con l’amore e anche con il desiderio. A trentotto anni, Gustav vive castamente senza problemi. Nei primi tempi dopo la fine della relazione con Georges, gli capitava di venire la notte, sognando. In qualche rara occasione la sua mano lo portava al piacere, mentre la mente riandava al passato. Ora che è guarito dalla sofferenza e dall’amore, il pensiero di Georges non accende più i suoi sensi e non fa soffrire il cuore. E il desiderio sembra essersi spento.

Michael si toglie la camicia. Gustav osserva il petto e le braccia, piuttosto villosi. Il conte indugia un attimo prima di finire di spogliarsi. Gli sorride, ammiccando. Anche Gustav sorride.

In questo periodo in cui si sono frequentati e Gustav gli ha fatto un ritratto, ha avuto modo di conoscerlo e prova per lui simpatia. Michael è entrato nella cerchia dei suoi amici e partecipa regolarmente alle cene del martedì. Li ha già invitati diverse volte a casa sua. E tra qualche mese ci sarà la rappresentazione dell’Agamennone.

Michael si cala le mutande. Gustav osserva che il conte è ben dotato. C’è stato un tempo in cui ha amato e desiderato. Il corpo di Michael gli piace, ma gli sembra che sia lontano, oltre una barriera.

- Come mi metto?

- Proviamo in piedi. Metti con la destra sul fianco. Sì, così. E la sinistra dietro la testa. No, più di lato che dietro, la mano sulla nuca. Ecco, così.

Gustav traccia rapidamente sulla carta i contorni.

I pensieri vagano. Michael sa che deve tacere quando posa, per non cambiare posizione, ed è ligio alla consegna. Gustav ha già avuto modo di notare, quando gli ha fatto il primo ritratto, che è un ottimo modello. Ma questo silenzio, che per lui è la condizione per poter lavorare bene, ora lo disturba. Lo lascia solo di fronte ai suoi fallimenti. Non sa perché questo corpo nudo trascini i suoi pensieri in un vortice di tristezza.

È un artista acclamato, considerato da molti il migliore della sua generazione, paragonato ai più grandi maestri del passato, ma la sua vita affettiva è stata una serie di sconfitte, fino alla catastrofe finale: la storia con l’ambasciatore francese che gli aveva richiesto un ritratto. Georges per fortuna è stato trasferito a Costantinopoli e Gustav non ha più occasione di incontrarlo, probabilmente non lo vedrà mai più. L’amore che ha provato, violento, si è spento e a Gustav pare che del suo cuore sia rimasta solo cenere. Michael potrebbe essere se non il suo compagno, il suo amico, ma Gustav non riesce a lasciarsi andare.

Gustav cerca di concentrarsi solo sul lavoro. Mette un po’ di colore nel disegno, perché possa rendere meglio l’idea di quello che potrebbe essere il quadro.

Ormai il disegno è completo. È poco più di uno schizzo, ma l’accordo con Michael è che farà diversi schizzi e poi sceglieranno la posizione migliore per il primo ritratto di nudo. Il conte ha già chiarito che ne seguiranno altri, ma per il momento si tratta di un ritratto classico.

- Direi che questo primo bozzetto è pronto.

- Ottimo.

Michael scende dalla pedana e si mette di fianco a Gustav, per osservare il ritratto.

- Incredibile. In un’ora questo gioiello! Me ne farai almeno dieci…

Gustav ride, per nascondere il disagio che prova. Vorrebbe dirgli che non intende più dipingerlo nudo, anche se non è la nudità del corpo di Michael il problema. Non vuole passare altre ore come questa che ha appena finito.

Cerca di trovare le parole per rispondere:

- Dieci?! Michael, mi sa che ti manca qualche rotella.

- Adesso me ne fai subito un secondo.

- Ma… ma non sei stufo di posare… di stare immobile? Ti lamentavi pure del freddo,

- No, no, non barare: il freddo è fuori, qui si sta benissimo. Le nostre sedute durano tre ore e ne è passata appena una. Mi sono riposato, magari mi fai portare una cioccolata calda e riprendiamo.

- Con te non si può ragionare. Ma lo sapevo già.

Gustav esce dallo studio e chiama il domestico. Gli dice di far preparare una cioccolata calda per due. Quando rientra, Michael è ancora nudo, come l’ha lasciato.

- Non ti rivesti? Adesso arriva Wolfgang.

- Che problema c’è? Non sarò mica il primo uomo che vede nudo nel tuo studio.

Michael non ha il minimo senso del pudore, questo Gustav l’ha già notato. Non gli importa farsi vedere nudo dal domestico. E perché mai dovrebbe? Gustav sa benissimo che è lui a non volerlo vedere ancora nudo. Potrebbe cercare qualche scusa e congedarlo, ma tanto questi ritratti deve farli: ormai si è impegnato e Michael non intende certo rinunciarci. Gustav sa che non riuscirebbe mai a fargli cambiare idea.

Michael riprende:

- Non credo che Wolfgang si scandalizzi a vedermi nudo. Sono nello studio di un pittore. E non ho mica il cazzo in tiro.

- Va bene, come vuoi.

- Come mi metto per il secondo ritratto? Mentre aspettiamo la cioccolata, possiamo decidere la posizione, così risparmiamo tempo.

Gustav riflette un momento.

- Direi un nudo frontale, le braccia davanti al petto.

Michael si mette con le due mani incrociate sul petto.

- No, così è troppo rigido. Il destro lo puoi tenere in questa posizione, ma la mano sinistra la sposti sull’avambraccio destro… Sì, così. E guardi di lato.

Il domestico bussa alla porta. Quando Gustav gli dice di entrare, avanza e poggia sul tavolino il vassoio con le tazze, la zuccheriera, la cioccolatiera e alcuni pasticcini.

- Versa pure, Wolfgang.

Il domestico versa nelle due tazze la cioccolata, mentre Gustav si rivolge a Michael:

- Spero che ti piaccia dolce. Io sono goloso e amo la cioccolata molto dolce. Se non va bene, te ne faccio fare un’altra.

- Mi andrà benissimo, non c’è problema.

Gustav congeda il domestico e Michael si avvicina al tavolino, prende la tazza e la porta alle labbra. Beve un sorso.

- Eccellente. Molto dolce, ma ottima. Però…

- Però?

- Mi aspettavo una cioccolatiera diversa.

Gustav rimane disorientato.

- In che senso?

- Non è in linea con questa casa, con io tuoi quadri, con te.

- Ma… non capisco.

Michael ride.

- Non l’hai scelta tu, vero?

- Ma no, era della mia famiglia.

- Ecco, appunto: non mi aspettavo una cioccolatiera di cinquant’anni fa. O magari del Settecento. Questa porcellana è di gran lusso, ma mi ricorda le cose dei miei genitori, dei miei nonni. Non è da te.

La seduta riprende. Quando Gustav ha terminato il secondo disegno, Michael vorrebbe che ne facesse un terzo, ma ormai non c’è tempo e il conte deve rassegnarsi.

 

Tre giorni dopo Wolfgang porta un pacco a Gustav, che sta dipingendo.

- È arrivato questo. L’ha portato un domestico del conte Walser.

Che cosa gli avrà mandato Michael?

C’è una busta, ma il foglio all’interno contiene una sola frase:

Scusa se mi sono permesso.

La firma è quella di Michael.

Gustav, sempre più curioso, apre il pacco. All’interno c’è una cioccolatiera in argento di Cardeilhac: un lavoro raffinato, con disegni stilizzati. Perfettamente in linea con lo stile dei quadri di Gustav e con l’arredamento della sua casa.

 

*

 

Egon è guarito, ma qualche cosa sembra essersi spento in lui. Ha incontrato la morte, le è sfuggito per poco, grazie alla tenacia del portiere e di sua moglie che lo hanno assistito. Ma ha la sensazione che si tratti soltanto di un rinvio dell’appuntamento.

Egon sta tracciando sulla tela i contorni: ha deciso di preparare due quadri per il portinaio e la moglie. Accanto ai due ritratti per i Grossman, intende dipingere un quadro per la grande esposizione di febbraio. Se sarà accettato, vedrà le reazioni della critica e del pubblico: la sua ultima carta da giocare. Altrimenti il Danubio.

 

Due settimane dopo, Egon posa di nuovo. Non l’entusiasma posare, ma almeno riesce a guadagnare un po’ di soldi. È una scena di nudo, per cui Egon si spoglia, insieme all’altro modello, Robert: come già in altre occasioni, dovranno simulare scene di lotta, ispirate a statue dell’antichità classica. Egon è riluttante, perché arrivando ha visto che tra i pittori presenti c’è di nuovo Gottfried Reichner. Vorrebbe dire al maestro che rinuncia alla seduta di posa, ma non può permetterselo: rifiutarsi all’ultimo minuto significherebbe non essere più chiamato. Egon ha bisogno di soldi, per mangiare, per pagare l’affitto, per dipingere, per riscaldare la soffitta, che con l’avanzare dell’inverno diventa ogni giorno più fredda.

Reichner non si avvicina: è ancora presto, è meglio lasciar passare ancora qualche tempo. L’inverno è gelido e sufficientemente lungo da ammorbidire questo imbrattatele orgoglioso.

Reichner vuole Egon. Vuole gustare il suo culo. E vuole poterlo vendere.

In attesa che il bel maschio ceda, Reichner si rivolge all’altro modello, che è anche lui attraente: poco più che ventenne, capelli e barba di un rosso acceso, un corpo snello ed elegante.

 

*

 

- Ancora un ritratto? Ma quanti ne vuoi?

- Non barare, Gustav. Te l’avevo detto subito: almeno cinque, ma probabilmente di più. Il ritratto ufficiale, i tre nudi e questo, per l’esposizione annuale.

- L’esposizione annuale? Intendi la mostra di Jörg? Ho già scelto un quadro.

- Fai in tempo a sceglierne un altro, questo che fai ora.

Gustav è infastidito e non lo nasconde: sbuffa, esasperato.

Michael coglie l’irritazione di Gustav.

- Sì, Gustav, lo so. Hai perfettamente ragione. Non ho nessun diritto di dirti che quadro presentare alla mostra. Sono un bambino viziato, abituato a essere assecondato e a comprare tutto con i soldi. Ma tu mi vuoi bene e sei buono, per cui sono convinto che mi accontenterai.

- Ho l’impressione che tu approfitti di quella che chiami la mia bontà, che probabilmente è solo dabbenaggine. 

- Credo che la tua impressione sia esatta, Gustav. Solo per quanto riguarda il mio approfittare, certamente non per la dabbenaggine, che sia chiaro. Ma ti voglio davvero bene.

Gustav scuota la testa.

- Vediamo, Michael. Se proprio vuoi quest’altro ritratto, te lo faccio, ma quanto a sceglierlo per l’esposizione, non prometto nulla, nulla di nulla. Se mi convince, posso farlo, altrimenti, mi spiace, ma non ci sarà il tuo ritratto alla mostra.

- Sei molto esigente con te stesso, ma sei troppo bravo per dipingere un quadro che non sia perfetto, troppo intelligente per non rendertene conto e troppo onesto per non riconoscerlo. Mi considero già esposto alla mostra.

- Vedremo.

Poi Gustav aggiunge, beffardo:

- Mal che vada ti potrai mettere in piedi in una sala e rimanere lì, esposto a tutti i visitatori, come una scultura.

Michael ride.

- No, se mi spoglio alla mostra, mi arrestano.

- Rimani vestito.

- No, mi dipingi nudo

Gustav esita. Il ricordo delle sedute in cui ha disegnato e dipinto Michael nudo è doloroso, preferirebbe evitare di ripetere l’esperienza.

- Ti ho già dipinto nudo e disegnato non so quante volte. E se devo esporre il quadro, un nudo integrale non va bene.

- Ci sono un sacco di nudi, maschili e femminili.

- Sì, ma sono di solito santi martirizzati o personaggi mitologici.

- Se non vuoi espormi con il cazzo in vista, ci fai sopra qualche motivo decorativo.

- Va bene, Michael, ma questa è l’ultima volta che ti dipingo nudo. Anzi: è l’ultima volta che ti dipingo. Per almeno un anno non mi chiedere più ritratti.

Michael corruga la fronte, assumendo un’espressione desolata:

- Potrei pensare che non mi vuoi più bene.

Gustav trattiene la risata che gli viene alle labbra e risponde:

- Se continui a chiedermi di dipingerti, credo che finirà proprio così.

- Mi spiacerebbe moltissimo, Gustav. Tengo a te.

- Meno che ai tuoi ritratti.

Michael rimane pensieroso. Non c’è più ombra di sorriso sul suo volto, ora. Gustav è perplesso.

- No, non è vero. Tengo a te, molto, Gustav. Amo farmi ritrarre, amo mettermi in mostra: l’esatto contrario di te. Ma darei fuoco a tutti i miei ritratti pur di non perdere la tua amicizia.

Le parole di Michael commuovono Gustav.

Anche lui incomincia a considerare Michael un amico, l’amico che non ha mai avuto. Non riesce a confidarsi con lui, non ancora, ma gli vuole bene e sa che il suo affetto è ricambiato.

 

*

 

La mostra che il gallerista Jörg Duckstein allestisce ogni anno è uno degli eventi artistici più importanti a Vienna, sicuramente il più significativo per la pittura. Tutti i pittori desiderano esporre un loro quadro, ma la selezione è piuttosto rigida.

La mostra attira sempre molti visitatori e nessuno dei critici d’arte la perderebbe.

 

Egon è in piedi in un angolo. Ormai è sera e tra non molto la mostra chiuderà i battenti. Egon dovrà uscire nella notte gelida, attraversare Vienna, stretta nella morsa della neve, e raggiungere la sua soffitta, da cui presto il padrone di casa lo sbatterà fuori, perché non paga più l’affitto.

Egon guarda il quadro che ha dipinto, la sua ultima speranza. Egon sorride, un sorriso sconfortato. Quando il quadro è stato accettato, gli è sembrato che una porta si aprisse davanti a lui.

Sono passati in tanti davanti a quella tela, in cui Egon ha cercato di dare il meglio di sé. Pochi si sono fermati e quei pochi hanno mostrato disgusto o fatto qualche osservazione sarcastica. E ora? Egon non possiede più nulla, ha solo qualche debito che non è in grado di pagare. Poca cosa, ma per lui già troppo.

Egon vede un gruppo che si avvicina. Al centro è Gustav Keller, il più importante pittore del suo tempo, un maestro che Egon ammira, anche se le strade che cerca di percorrere sono altre. Insieme a lui ci sono un critico d’arte che Egon conosce di fama, il gallerista che ha curato l’esposizione e altri tre uomini. Tutti intorno al pittore famoso, idolatrato, ricco.

Gustav dà appena un’occhiata ai quadri nella stanza, ma quando giunge davanti alla tela dipinta da Egon si ferma di colpo. La guarda a lungo, con attenzione.

Anche il cuore di Egon sembra fermarsi, anche i suoi pensieri, in bilico tra un’assurda speranza e la paura di una parola che ferirà come una lama d’acciaio.

Gustav si rivolge al gallerista.

- E questo di chi è, Jörg? Chi è questo Schulte?

Il gallerista non si è accorto di Egon, che è in un angolo.

- Mah… un pittore che non conoscevo. Questo quadro mi è sembrato valido. Anche se devo dire che ha ricevuto solo critiche.

Gustav scuote la testa.

- È la cosa migliore che c’è qui. Questo è talento, Jörg, vero talento.

Il critico Bernhard Heydenreich interviene, ridendo:

- Gustav, non ci avevo badato, ma adesso che me lo fai notare, riconosco che in questo quadro c’è davvero una notevole forza. Ma dire che è il migliore! In confronto al tuo ritratto del conte Walser…

- Il mio ritratto di Michael? Un quadro come ne ho fatti tanti, Bernhard. Non c’è genio.

Uno degli altri uomini interviene, chiaramente scandalizzato:

- Signor Keller! In tutto quello che fa c’è genio.

Gustav ride e scuote la testa.

- Qui c’è genio, in questa tela. Una forza selvaggia, che lotta per liberarsi dalle pastoie delle convenzioni. Un grandissimo talento.

Egon si è appoggiato al muro. Non riesce a stare in piedi. Le parole di Gustav Keller lo compensano di tutto: la miseria, il freddo, la fame, la morte che sente incombere su di sé. Si rende conto di avere le lacrime agli occhi. Con un gesto furtivo si asciuga le guance con la manica della giacca. Si vergogna. Per fortuna nessuno guarda verso di lui.

- Voglio vedere questo Schulte, Jörg. Voglio parlargli.

- Certo, Gustav, lo cercherò.

Egon sa che dovrebbe farsi avanti, ma non se la sente. Quando però il gruppo sta passando nella sala successiva, Jörg Duckstein si gira per lasciar passare Keller. Vede Egon ed esclama:

- Schulte, proprio lei.

Fa due passi nella sua direzione e dice:

- Il signor Keller desidera conoscerla.

Egon annuisce, incapace di parlare.

Intanto Gustav si è voltato e lo ha raggiunto. Gli porge la mano, sorridendo.

- È un piacere conoscerla, signor Schulte. Ha voglia di venire a cena con noi, questa sera? Vorrei parlarle.

Egon annuisce. Fa uno sforzo per controllarsi e riuscire a rispondere a tono.

- La ringrazio per l’invito. Se non disturbo… non vorrei…

Egon si interrompe, incapace di continuare. Sa che il suo abito logoro rivela la sua miseria e ha paura di suscitare le risate degli altri. Ma un uomo a cui Gustav Keller ha riconosciuto un grande talento non sarà oggetto di scherno da parte di coloro che lo ritengono il più grande pittore vivente.

Gustav sorride:

- Allora si unisca a noi subito. Tanto la visita è quasi finita.

- Grazie.

La compagnia che lascia la galleria e raggiunge il ristorante è formata da Gustav Keller, dal gallerista, dal critico e da due degli altri uomini che accompagnavano il pittore nella visita e che Egon non conosce. Ad aspettarli nel locale ci sono altri: una compagnia tutta maschile, di nove uomini. Egon non conosce nessuno, ma uno dei presenti è il conte Michael Walser: Egon ha visto il suo ritratto alla mostra. È un quadro che ha scandalizzato molti, perché nel riquadro centrale il conte è nudo e perfettamente visibile fino al pube. La figura continua in un bordo, in cui il disegno è alterato, ma i genitali si possono intravedere. Un nudo maschile non è una rarità, ma si tratta di solito di antichi dei o eroi mitici oppure di soggetti stilizzati. Nel quadro di Keller la resa estremamente realistica del corpo del conte dà all’immagine una carica di erotismo che ha suscitato scalpore.

Il locale non è elegante e questo fa piacere a Egon, riducendo il suo imbarazzo per l’abito liso. D’altronde nessuno è vestito con l’abito da sera.

Prima di mettersi a tavola, Gustav presenta Egon come un genio e un grande pittore. È soprattutto una frase a colpire Egon:

- Il suo quadro vale tutta la mostra.

Keller passa a presentare a Egon i diversi commensali. Tra questi uno scrittore di cui Egon ha sentito parlare, Hugo von Homborg, e un grande musicista, Richard Kleindorf.

Poi Keller fa accomodare Egon di fianco a lui. Dall’altra parte si siede il critico, Bernhard. I commensali incominciano a parlare dell’esposizione, che hanno tutti visto, in momenti diversi. Discutono di diverse opere. Egon nota che Gustav non esprime quasi mai giudizi molto negativi, come invece fanno alcuni degli altri.

A un certo punto della serata, Bernhard si rivolge a Egon:

- Guardi che essere definito genio da Gustav è alquanto impegnativo.

- In che senso?

- Non è uno che critica tutti gli altri, a differenza di tanti suoi colleghi che non hanno metà del suo talento e sparlano di tutti i loro possibili rivali. Ma non è neanche uno che elogia il primo venuto. Le persone che l’ho sentito definire geniali sono pochissime e, devo riconoscerlo, sono tutti geni. Mi riservo qualche perplessità su Schönberg, il musicista, ma, come dice Gustav, è presto per giudicarlo e temo che abbia ragione anche su di lui. Non ho mai colto Gustav in fallo, anche se in qualche caso all’inizio ero molto perplesso.

Egon sorride.

- Io non sono un genio, per cui questa volta potrà vantarsi di averlo colto in fallo.

Gustav, che ha ascoltato senza intervenire, scuote la testa:

- Lei forse non sa di esserlo o è molto modesto, ma non credo proprio di sbagliarmi. Voglio vedere tutto quello che ha dipinto, signor Schulte, tutto. E voglio sapere tutto di lei.

Gustav sorride e aggiunge:

- Detto così, suona male. Non sono così curioso da voler sapere proprio tutto. Ma tante cose, sì.

Egon non sa come rispondere. Si limita a sorridere e annuire.

Man mano che il tempo trascorre, Egon ha sempre più l’impressione di essere leggermente ebbro. Ha bevuto, ma non troppo. A ubriacarlo sono il calore della sala, il buon cibo, la compagnia piacevole, la conversazione libera di un gruppo di uomini che amano l’arte e la vita, la cordialità degli altri, l’attenzione di Gustav. La disperazione che lo ha accompagnato negli ultimi mesi sembra dissolversi, il senso della morte che incombe è svanito. Egon scherza con gli altri, leggero, come se la soffitta gelida in cui dovrà tornare questa notte non fosse la realtà, ma solo un brutto sogno il cui ricordo svanisce.

A un certo punto Gustav Keller si rivolge a Hugo von Homburg.

- E il tuo Alessandro, Hugo?

Hugo sorride.

- È a buon punto.

Egon nota che, mentre risponde, Hugo lo sta osservando. È lo scrittore stesso a spiegargli:

- Come avrà capito dalle parole di Gustav, adesso sto componendo un dramma.

Egon annuisce e chiede:

- Su Alessandro Magno?

Hugo scuote la testa.

- No, no. Alessandro de’ Medici, signore di Firenze per alcuni anni nel Cinquecento.

- Non ne so nulla.

- Non è un personaggio noto, lo conoscono solo gli storici e al massimo gli amanti del teatro, per via del Lorenzaccio di Musset. Non me ne vorrà, signor Schulte, ma completando il mio dramma avrò in mente lei. Non riesco a scrivere un dramma se nella testa non mi vedo i personaggi, fisicamente, intendo. Come sono e come agiscono mi è chiaro, ma ho bisogno di vederli nella realtà o anche solo in un quadro, di poter dire: “Sì, quello è Lorenzo!” Questa sera la fortuna mi ha sorriso e ho trovato Lorenzo, il Lorenzaccio di Musset. Ora so com’è e quello che ancora mi manca verrà da sé.

Egon ride e chiede:

- Mi trovo protagonista di un dramma per un invito a cena? E di che cosa tratta il dramma, se non sono indiscreto?

- No, no, lei non è il protagonista, in scena compare appena nel finale, ma è importante. Il testo è di fatto un monologo di Alessandro, che si rivolge quasi sempre a Lorenzo, assente. Ma preferisco non dirle altro. Quando avrò concluso, organizzeremo una lettura privata e lei sarà invitato…

Michael interviene:

- Una lettura privata e poi una messa in scena, sempre privata.

- Ma se non l’hai ancora letto.

- Certo, Hugo, ma da quel che mi hai detto, non credo che lo vedremo al Burgtheater, per cui sarà rappresentato in un teatro molto più attento alla qualità e molto meno bigotto.

La conversazione si sposta sul teatro del conte, di cui Egon non sospettava l’esistenza.

Che il conte Walser abbia un teatro nel suo palazzo non lo stupisce: immagina che si tratti di un piccolo palcoscenico per rappresentazioni private.

Intanto Michael sta chiedendo:

- E poi metterai il dramma in musica, Richard?

Hugo interviene, ridendo:

- Non credo che sarà possibile, visto il soggetto. A parte le difficoltà di un quasi monologo, che mi tenterebbe anche, sarebbe uno scandalo.

- Anche l’Agamennone ha destato scandalo.

Richard osserva:

- Da quel che so, ho l’impressione che in questo caso io e Hugo finiremmo in prigione.

- Vi porteremmo una torta Sacher.

Tutti ridono. Qualcuno più curioso pone domande, ma, non ricevendo una risposta soddisfacente, si rivolge a Richard. Questi dice:

- Non posso dire nulla, altrimenti Hugo mi uccide.

Hugo ride e risponde:

- A ucciderti sarebbe il signor Schulte, visto che tu sei Alessandro.

Richard sorride e dice, rivolto a tutti:

- Non crediate che l’essere Alessandro sia da intendere come un complimento. Tutt’altro.

La conversazione si sposta ancora: dal dramma di Hugo si passa a discutere dell’ultima opera di Richard, per cui Gustav e Bernhard esprimono tutta la loro ammirazione. La musica provoca un’accesa discussione, in cui si parla di autori che Egon conosce e di altri che ha appena sentito nominare o che ignora del tutto. Da anni non assiste a un concerto. Troppo spesso deve scegliere tra comprarsi i colori o il cibo e a volte deve rinunciare a entrambi.

Con il passare del tempo e lo svuotarsi delle bottiglie, la conversazione diventa più libera. A un certo punto si torna a parlare della mostra e del quadro in cui è ritratto il conte Walser. Questi dice:

- Aspetto che Gustav trovi il coraggio di espormi nudo.

Jörg scuote la testa.

- Direi che più esposto di così… È un bello scandalo.

- No, voglio che mi si veda tutto.

Uno dei commensali dice:

- Eddai, Gustav, dipingilo nudo.

Gustav replica:

- L’ho già dipinto nudo, più di una volta.

Un altro conferma:

- Sì, sì, li ho visti. Nudo, con il cazzo ben in vista.

Egon è sorpreso dal termine brutale, ma nessuno dei presenti sembra badarci. D’altronde è una compagnia solo maschile, in cui non è strano che venga usato un linguaggio più grezzo.

Michael Walser annuisce e dice:

- Sì, ma non vuole esporli.

Gustav scuote la testa:

- Michael, se vuoi puoi mettere quei quadri davanti alla porta d’ingresso del tuo palazzo. Ma se c’è una mostra, sono io che propongo i quadri che intendo esporre e Jörg che decide.

Michael ghigna:

- Se il grande Keller propone un quadro, il gallerista non gli dice di no, neanche se il soggetto ha il cazzo duro.

Anche questa volta nessuno si stupisce dell’espressione usata, ma Hugo interviene:

- Se ti esprimi in questo modo, che cosa penserà di noi il signor Schulte, che non ci conosce?

Michael replica:

- Buon per lui che non ci conosce ancora. Comunque penserà la verità: che siamo una banda di dissoluti, depravati, degenerati, corrotti, licenziosi, pervertiti, fuorviati, lussuriosi. Ho dimenticato qualche cosa?

Qualcuno osserva:

- Certo! Lascivi, impudichi, immorali, viziosi, corrotti…

- No, corrotti l’ho detto.

Tutti ridono. Michael poi si rivolge a Jörg:

- Allora, Jörg, che ne dici?

Anche Jörg ride e risponde:

- Io dico che in un caso come quello che prospetti tu, dovrei dire di no anche al grande Keller. Non voglio finire in galera. Già il tuo ritratto, Michael, ha suscitato uno scandalo e non escludo che ci siano conseguenze pesanti.

- Che ti faranno piacere, perché sarà un sacco di pubblicità per la mostra.

- Questo è vero, ma non è un tipo di pubblicità che mi piace. Lo scandalo attira l’attenzione, ma un successo di scandalo vale poco.

Hugo osserva:

- Quel quadro ha una forza… Gustav, il contrasto tra la carnalità del soggetto e l’eleganza della decorazione… lascia senza fiato.

Michael ride:

- Di’ pure un rozzo contadino in un intreccio di arabeschi.

Egon guarda Michael, che si rivolge direttamente a lui.

- Vero che ho l’aspetto di un contadino, signor Schulte?

La domanda mette Egon in imbarazzo. È come se Michael gli avesse letto in testa. Il conte coglie l’incertezza di Egon e ride. Poi incomincia a raccontare:

- Mia madre era una borghese. Il conte Walser la sposò perché portava in dote un patrimonio immenso. Ma incominciò presto a trascurarla. Che i due vivessero separati, non era un mistero per nessuno. Mia madre soggiornava spesso nella tenuta di Schwarzewasser, dove il conte si recava in autunno per la caccia. Di solito quando arrivava il conte, la contessa tornava in città. Ma un anno si fermò qualche giorno. Era rientrata a Vienna da una settimana, quando il conte venne ucciso in una battuta di caccia. Un incidente, si disse. Qualcuno, non si seppe mai chi, gli aveva sparato alla schiena. Un incidente, ma dovevano avergli sparato a pochi metri di distanza.

Egon si stupisce che il conte racconti con tanta franchezza una faccenda così personale. Si guarda intorno, ma è evidente che gli altri già conoscono la storia.

Il conte prosegue:

- Poco dopo la morte del conte si seppe che la contessa era incinta. Circolarono voci, un guardacaccia si vantò di aver conosciuto molto bene la contessa. L’uomo venne ucciso una notte in campagna. Da qualche bracconiere, senz’altro. Anche per lui una fucilata alla schiena. Mia madre morì di febbre puerperale un settimana dopo il parto, che avvenne un po’ in anticipo sul previsto. L’unico parente stretto era il fratello di mia madre, che divenne il mio tutore e mi allevò. Non era sposato, aveva altri gusti, che mi ha trasmesso.

Michael ride.

- La scandalizzo, signor Schulte?

Egon è alquanto in imbarazzo, ma scuote la testa.

- No, no.

È Gustav a intervenire:

- Michael, il signor Schulte magari non si scandalizza, ma forse non è proprio contento che uno che ha appena conosciuto gli racconti le sue faccende personali.

Michael non risponde a Gustav, ma si rivolge a Egon. Non c’è più traccia della sfrontatezza di prima, mentre dice:

- Gustav ha ragione e mi scuso. Lui è l’unico che mi dice chiaro e tondo che sono uno stronzo, quando mi comporto da stronzo. Per questo è l’uomo di cui ho più stima al mondo. Non solo per questo, devo dire, no, di certo. Ma anche per questo.

Gustav fa un cenno di diniego, ma non dice nulla.

L’intervento di Jörg devia il discorso:

- Signor Schulte, conto di vedere i suoi quadri quanto prima.

Egon annuisce. L’interesse del gallerista gli fa molto piacere.

- Ben volentieri.

Bernhard dice:

- Anch’io ci tengo a vederli. Mi dà un po’ fastidio che sia stato Gustav a scoprire un talento e a segnalarmelo, per cui voglio rimediare. Gustav, mi terrai informato, vero?

- Certo, Bernhard.

La conversazione ritorna alla mostra, ma ormai la cena è conclusa e quando due dei commensali si alzano, dicendo che devono andare, anche gli altri lasciano il tavolo.

Escono dal locale. Il gelo della notte li avvolge. Lo stato di euforia di Egon si dissolve. Non ha avuto modo di parlare con Gustav dei suoi quadri. Gustav non gli ha chiesto nemmeno l’indirizzo. Si lasceranno così? Della splendida serata rimarrà solo un ricordo, come di un sogno svanito nel nulla?

Gustav sembrerebbe quasi aver capito, perché dice:

- Non siamo riusciti a parlarci, signor Schulte, ma avrei dovuto prevederlo: non è a una cena tra molte persone che è possibile parlare tranquillamente a tu per tu. Quando può venire da me?

- Quando vuole.

- Domani? In tarda mattinata?

- Certo.

- Dove abita?

Egon indica il quartiere.

- È lontanissimo. La faccio riaccompagnare dal cocchiere.

Egon si dice che Gustav deve aver capito la sua condizione: Egon non può certo permettersi di prendere una carrozza. Non vuole approfittare della cortesia di Gustav, per cui dice: 

- No, non si disturbi.

- Non può pensare di tornare a piedi a quest’ora, con questo gelo. E non credo che troverà una carrozza.

- Non ha importanza.

Gustav scuote la testa.

- Senta, scusi la mia mancanza di discrezione: ha qualcuno che lo aspetta a casa?

- No.

- Allora venga da me. La ospito per questa notte.

- Ma io… non posso accettare. Non voglio disturbarla.

- Venga da me e domani mattina facciamo colazione insieme e ci parliamo tranquillamente. Su salga, non mi faccia rimanere qui a congelare.

Gustav spinge Egon in carrozza, senza neanche aspettare una risposta. Egon pensa che dovrebbe dire di no, ma l’idea di non dover tornare nella soffitta gelida è un tale sollievo! E rimanere ancora accanto a Gustav, poter parlare con lui domani mattina…

Nel buio della carrozza i loro corpi si sfiorano. E di colpo Egon è colto da un dubbio: Gustav Keller non lo avrà invitato per portarselo a letto? Ripensando al tono delle conversazioni a tavola, non ci sarebbe da stupirsi. Se le lodi al quadro fossero state solo un espediente per agganciarlo? Come con il mercante di sogni, quel Gottfried Reichner? Egon sa di essere un bell’uomo e anche altre volte qualcuno gli ha fatto capire di essere interessato a lui. Vedendo la sua miseria, gli hanno perfino offerto del denaro. Egon ha sempre rifiutato. L’idea di vendersi lo disgusta.

Egon si dice che è un pensiero assurdo: Keller non lo conosceva, non lo aveva mai visto. Non può aver lodato il suo quadro solo per agganciarlo. E se lo avesse visto prima? Se fosse stata tutta una commedia? A Egon pare di nuovo di sprofondare in un mare di dubbi. Il calore della serata è svanito e rimane solo il freddo di questa carrozza che avanza nel buio e nel gelo dell’inverno.

Il viaggio è lungo, perché Gustav abita ai piedi della collina e il ristorante dove hanno mangiato è vicino a Santo Stefano.

 

Un domestico è rimasto ad aspettare il padrone. Quando entrano, Gustav gli dà le istruzioni perché accompagni Egon nella camera per gli ospiti. Poi si rivolge a Egon:

- Le auguro di riposare bene. Wolfgang le darà la biancheria per la notte. Domani mattina, quando si sveglia, scenda a colazione. Io, vista l’ora, posso dirle che scenderò tardi: credo che dormirò a lungo. E domani avremo modo di parlarci con calma.

Il domestico accompagna Egon nella stanza degli ospiti: una camera accogliente e calda, perché la casa è una delle prime a Vienna con un impianto di riscaldamento. A fianco una stanza da bagno.

Egon si vergogna dei sospetti che ha avuto, si sente in colpa. Si dice che la miseria lo ha reso diffidente e ingiusto. Gustav Keller è un uomo sensibile e generoso e non ha secondi fini.

 

*

 

L’indomani Egon si sveglia nel letto. Per un attimo non capisce dove si trova. Non è stato un sogno. Il grande Keller ha visto un suo quadro, lo ha apprezzato e vuole vedere le sue opere. È vero, è tutto vero!

Egon si alza, si lava con cura e scende. Una domestica lo accompagna nella sala da pranzo dove un tavolo è apparecchiato per due. Gustav è seduto in poltrona e legge il giornale. Si alza mentre lo saluta e gli si avvicina, porgendogli la mano.

- Ha dormito bene, signor Schulte?

- Benissimo, grazie. E lei?

- Anch’io. Non è molto che mi sono alzato e ho deciso di aspettarla. Mettiamoci a tavola.

Su una tovaglia bianca sono disposti diversi recipienti, con frutta, biscotti, marmellata e dolci.

- Che cosa desidera mangiare, signor Schulte? Le faccio preparare delle uova?

Egon guarda il cibo disposto sulla tavola. C’è molto di più di quello che abitualmente mangia a colazione in una settimana.

- Va benissimo quello che c’è. Non ho bisogno d’altro.

- Cioccolata, tè o caffè? O latte? Non so che cosa preferisce bere. Io amo la cioccolata, sono un goloso, ma non voglio imporla a nessuno.

- La cioccolata va benissimo.

Durante la colazione parlano della serata precedente.

- Signor Schulte, spero che la conversazione ieri sera non sia stata fastidiosa per lei.

- Ma che cosa dice?! No, di sicuro!

- Ci conosciamo tutti da tempo e tra noi siamo abituati a essere molto franchi.

- Mi sembra molto bello che tra amici ci siano franchezza e reciproca fiducia.

- A volte più che franchezza, è sfacciataggine. Ma sono contento che non le abbia dato fastidio.

- Tutt’altro. È stata una bella serata.

Egon chiede alcune informazioni sui presenti. Quello che lo ha colpito di più è il conte, ma preferisce non parlare di nessuno in particolare.

- Mi ha fatto molto piacere conoscere di persona il signor Homborg.

- Anche lui è un genio, come Richard Kleindorf, che mise in musica il suo Agamennone.

- Purtroppo non ebbi occasione di sentirlo, ma alcuni ne parlano come di un capolavoro, altri lo stroncano.

- A parer mio è un capolavoro, ma come tutte le opere molto innovative, ha suscitato scandalo. Non solo per le forme musicali, ma anche per il contenuto…

- L’Agamennone? Ma non è la storia classica?

- Sì, ma rivisitata e il rapporto tra Egisto e Agamennone… non è detto esplicitamente, ma è abbastanza chiaro che non sono soltanto cugini. Tra loro c’è stata una storia di amore… no, amore non è il termine giusto, di desiderio, passione. Una relazione, segnata da una forte attrazione fisica.

Egon è stupito. Una rilettura in chiave omosessuale del mito di Agamennone: questa non se l’aspettava. Gustav continua:

- Un tema che ritorna anche nell’Alessandro che Hugo sta scrivendo ora, credo.

Egon è turbato. Non ha mai avuto rapporti con uomini, anche se a volte lo ha desiderato: maschi forti e virili come il conte Michael Walser accendono il suo desiderio e a volte ritornano in sogni in cui Egon viene. Anche Homborg dev’essere attratto dagli uomini.

Intanto Gustav cambia discorso:

- Sono indiscreto, lo so, ma vorrei sapere di lei, qualche cosa della sua vita e tutto della sua arte.

Egon annuisce. È riservato per natura e non intende parlare molto della sua vita. Si limita all’essenziale:

- Non ricordo mia madre, che morì quando avevo un anno. Mio padre era impiegato alle poste, con una buona posizione: non vivevamo nel lusso, ma non ci mancava l’essenziale. Io amavo molto disegnare e mio padre mi permise di prendere lezioni di disegno e poi di pittura: non gli spiaceva l’idea di avere un figlio pittore, forse perché anche lui aveva avuto aspirazioni artistiche, ma la famiglia non lo aveva assecondato. Lui voleva che potessi realizzare i miei sogni, che erano stati anche i suoi. Era giovane e pensava che avrebbe potuto mantenermi fino a che non fossi diventato autonomo.

Egon fa una pausa.

- Una sera d’inverno, tornando a casa, scivolò finendo in strada, mentre arrivava una carrozza. Morì sul colpo.

Egon guarda Gustav: il pittore ha aggrottato la fronte.

- Mi ritrovai povero. Per un po’ vissi con quello che mio padre aveva messo da parte e continuai a dipingere e disegnare. Poi fui costretto a cercare qualche lavoretto per sopravvivere. Ma ho continuato a dipingere, a cercare la mia strada, anche se…

Egon si ferma. Non vuole dare l’impressione di mendicare un po’ di compassione.

Gustav scuote la testa e dice:

- Non ha avuto una vita facile.

Poi aggiunge:

- Vorrei vedere ciò che ha dipinto, i suoi disegni, tutto.

- Ben volentieri.

- Andiamo da lei.

L’idea di far entrare il grande Keller nella sua soffitta gelida non piace a Egon.

- No, non è il caso. Posso portarle qualche mio quadro io.

Gustav ride e scuote la testa.

- No, no. Voglio vedere tutto, non mi accontento di qualche quadro. E portare tutto qui per poi riportarlo dove abita sarebbe assurdo. Direi che se non ha impegni particolari, possiamo andarci subito.

Hanno ormai finito di mangiare, per cui si alzano e si preparano per uscire. Durante il viaggio Gustav chiede informazioni sulle tecniche usate da Egon e sui suoi soggetti preferiti.

Quando arrivano davanti alla casa, Egon prova vergogna. Entrano e salgono la scala. Egon è conscio del degrado e dello squallore dell’edificio, che avrebbe bisogno di diversi interventi di manutenzione. Guarda Gustav, ma questi non sembra manifestare disgusto o fastidio. Egon dice:

- Mi spiace farla entrare in un posto del genere.

- Signor Schulte, mi spiace che lei viva in un posto così. Mi spiace che ci sia gente che vive in posti come questi. Viviamo in una società profondamente ingiusta.

Egon è sorpreso: non si aspettava da Gustav una sensibilità alla questione sociale. Non dice nulla. Raggiungono la soffitta.

La stanza è gelida ed Egon prova un brivido entrando.

Gustav avanza verso i quadri, accatastati a terra. Ne prende uno e lo guarda con attenzione. Poi lo posa e ne prende un altro. Sorride.

- Non mi sono sbagliato. Ma sapevo di non sbagliarmi. Ne ero sicuro.

Anche Egon sorride, imbarazzato e felice. La misera soffitta in cui vive sembra scomparire.

Gustav prende un quadro che raffigura due uomini che si abbracciano di notte ai margini di un parco avvolto nella nebbia: una scena a cui Egon ha assistito casualmente una sera e che lo ha colpito. In quel momento la porta si apre. Il padrone di casa entra e, senza accorgersi della presenza di un ospite, si rivolge direttamente a Egon.

- Schulte, aspetto i due mesi di arretrato che mi deve. Può pagarmi o devo sbatterla fuori?

Egon è sopraffatto dalla vergogna: vorrebbe poter scomparire, annullarsi. Prima che possa replicare, Gustav interviene.

- Il signor Schulte se ne va oggi stesso. Sono venuto per organizzare il trasloco. Quanto le deve per gli affitti arretrati?

Il padrone di casa guarda stupito lo sconosciuto che è intervenuto. L’abbigliamento indica chiaramente che si tratta di un ricco borghese, non di un morto di fame come questo sedicente pittore. Dice la cifra dovuta, aggiungendo il mese in corso.

Keller tira fuori il portafogli e paga.

- Rilasci la ricevuta al signor Schulte. Lascerà libera la stanza tra poco.

Egon guarda Gustav. Appena il padrone di casa esce, Egon fa per parlare, ma Gustav lo blocca con un gesto:

- Senta, lei viene via con me. Per qualche settimana sarà mio ospite, così potremo parlare liberamente di pittura, vedrò i suoi disegni e i suoi quadri e soprattutto la vedrò all’opera, nel mio atelier. E Jörg potrà organizzare una mostra.

- Ma… io…

Gustav lo interrompe:

- Ha qualche buon motivo per voler restare qui?

Poi sorride e aggiunge:

- Sarei davvero curioso di conoscerlo.

Egon scuote la testa. Non ha nessun motivo per rimanere nella soffitta. Ha delle remore ad accettare l’ospitalità di Gustav, anche se l’offerta gli sembra bellissima: una casa calda e accogliente, il più grande pittore vivente al suo fianco, la possibilità di lavorare nel suo atelier, di confrontarsi con lui. Che cosa potrebbe desiderare di più?

Gustav dice, dando per scontato che Egon abbia accettato:

- Scendo a dire a Hans di cercare qualcuno che venga a dare una mano per il trasloco.

- No, vado io.

- Va bene, così ne approfitto per guardare qualche altro quadro.

Solo mentre sta scendendo, a Egon vengono in mente alcuni quadri in cui si è ritratto nudo, uno in particolare in cui ha un’erezione. Si blocca di colpo. Il quadro è dietro altri, l’importante è che Gustav non lo veda. E ci sono anche i disegni. Merda! A questo non aveva pensato. Che opinione si farà Keller di lui?

Egon raggiunge il cocchiere e lo informa della decisione di Keller, poi torna nella soffitta.

Keller è raggiante. Tiene in mano un autoritratto di Egon.

- Fantastico. Signor Schulte, non so come mai lei non sia ancora un pittore famoso, ma lo diventerà presto, perché è impossibile non riconoscere il suo talento. Bernhard è un uomo intelligente e influente: l’aiuterà. E credo che Jörg sarà ben contento di organizzare un’esposizione.

Il cocchiere arriva poco dopo con due facchini. Gustav raccomanda di maneggiare il tutto con grande cautela. In poco tempo la soffitta viene svuotata e i quadri caricati su un carro. Sulla soglia Egon la guarda. Vuota, appare in tutto il suo squallore. Spera di non tornarvi mai più.

Nel viaggio di ritorno Egon è frastornato. Si rende conto che la sua vita è a una svolta, ma gli sembra ancora incredibile. Davvero il grande Keller lo ospiterà? Potrà lavorare al suo fianco? Sarà organizzata una mostra dei suoi quadri? No, non è possibile, dev’essere un sogno. L’idea di vivere a spese di Keller lo mette in imbarazzo, anche se sa che il pittore è ricchissimo.

- Signor Keller, io la ringrazio per la sua generosità, ma non voglio approfittarne. Mi cercherò al più presto un’altra sistemazione.

- Non è ancora arrivato e già vuole andarsene? Sono un ospite così tremendo?

Egon scuote la testa.

- Ma no, che dice? È che vivere…

- La ospito molto volentieri, ho piacere di vederla lavorare e vorrei poterla accompagnare verso il successo che merita. Aiutare un giovane di talento è bellissimo. E le assicuro che cercherò di non essere invadente. Potrà far conto di essere in albergo e muoversi in piena libertà, ma…

Gustav alza un dito come a minacciare Egon e completa la frase:

- …ma solo dopo che mi avrà fatto vedere tutti i suoi quadri. Prima deve considerarsi mio prigioniero.

Di nuovo Egon pensa alla tela in cui si è dipinto nudo con l’uccello in tiro e ad alcuni altri quadri e disegni. Poi ripensa a quanto è stato detto ieri sera: Gustav Keller ha dipinto il conte Walser nudo più volte. In fondo c’è un solo autoritratto davvero imbarazzante. Dovrà cercare di farlo sparire. Ci sono anche alcuni disegni, ma quelli sarà più facile nasconderli o distruggerli.

Arrivati alla villa, Gustav fa sistemare i quadri nell’atelier ed Egon ha modo di vedere dove lavora il grande Keller. È una stanza molto ampia, di forma allungata, con un soffitto di oltre tre metri e una lunga vetrata su un lato e in alto: l’ambiente è molto luminoso.

- Che meraviglia!

- L’architetto, Otto Wagner, ha progettato la villa per me e io ho bisogno di uno spazio molto grande e con molta luce. C’è anche un’altra saletta, più piccola e più calda: qui d’inverno, con questa vetrata, è sempre un po’ freddo e se dipingo un nudo… il modello rischia una polmonite.

Gustav sorride. Egon annuisce.

- Lei mi scuserà, ma io sono impaziente di vedere i suoi quadri e, visto che abbiamo ancora un po’ di tempo prima di pranzo, se non le spiace continuerei.

Gustav riprende in mano i quadri. Chiede a Egon alcuni dettagli tecnici e informazioni sui soggetti. Commenta, quasi sempre in modo molto positivo.

Dopo una dozzina di tele, appare quella che Egon sperava di nascondere. Egon si tende.

Gustav la prende in mano senza mostrare nessuna emozione particolare, neppure stupore, e la esamina come ha esaminato le altre. Poi dice:

- Anche questo è un capolavoro.

Gustav guarda Egon e coglie il suo imbarazzo. Sorride.

- Questo non lo esporrà alla mostra, ma non deve vergognarsi. E credo che un giorno questo quadro sarà apprezzato per il suo valore.

- Io…

- Signor Schulte, anch’io ho dipinto qualche quadro di questo tipo. Anche peggio. Molto peggio.

Gustav ride. Aggiunge:

- Siamo entrambi uomini. Dipingiamo con il corpo, con le mani, con il cuore, con la testa, con l’uccello. E il desiderio è parte di noi.

Egon è ancora in imbarazzo. Sospetta che Gustav stia mentendo per alleviare il suo imbarazzo.

- Non credo… che lei abbia dipinto quadri… come questo.

- Signor Schulte, non le faccio vedere due miei quadri, perché temo che se ne andrebbe, preferendo evitare di passare un’altra notte sotto lo stesso tetto di un simile depravato. Ma se un giorno diventeremo amici, prometto di farglieli vedere.

Un domestico entra mentre Gustav finisce di parlare e annuncia che il pranzo è pronto.

- Andiamo, signor Schulte.

 

Nel pomeriggio arriva Michael. Gustav è stupito di questa visita: è vero che il conte si presenta talvolta senza essere atteso, ma si sono visti la sera prima.

Michael saluta Schulte e dice subito:

- Voglio vedere anch’io i quadri del signor Schulte. Li hai già visti?

- Sì, li abbiamo portati qui.

- Allora posso vederli.

- Se lui è d’accordo, non sarò certo io a impedirtelo.

Il conte si rivolge a Egon:

- Signor Schulte, non le spiace farmi vedere i suoi quadri?

- No, naturalmente.

Egon ha provveduto a sistemare le tele, mettendo fuori portata quelle che preferisce non far vedere a nessuno, per cui non ha problemi a mostrarle al conte. Ha selezionato anche i disegni. Gustav Keller non si è mostrato scandalizzato, ma di certo non tutti reagirebbero allo stesso modo.

Michael guarda tutti i quadri con grande attenzione. Alla fine dice:

- Mi venderà alcuni di questi quadri, signor Schulte. Ma aspetto l’esposizione che sicuramente organizzerà: mi sembrerebbe scorretto sottrarre alcuni pezzi. Però su almeno due chiedo il diritto di prelazione.

Egon annuisce. L’idea di vendere due quadri gli sembra irreale.

Gustav interviene:

- Signor Schulte, i suoi quadri sono capolavori. Non li svenda. Il conte può pagarli quanto valgono.

Michael aggrotta la fronte, come se fosse irritato con Gustav.

- Gustav! E io che ti consideravo un amico! Contavo di fare un buon affare e tu mi rovini la piazza. Molto scorretto da parte tua.

Gustav ride e risponde:

- Farai comunque un buon affare, anche se li pagherai il giusto. Queste sono opere che gli intenditori si contenderanno, questa è l’arte del secolo che sta arrivando.

A Egon le parole di Gustav sembrano incredibili, ma a parlare è il più grande pittore vivente: qualche cosa di vero ci deve essere. Come è successo più volte nelle ultime ventiquattro ore, a tratti gli sembra di vivere in un sogno. Si dice che si sveglierà e si ritroverà nella sua soffitta gelida, ma questo ambiente caldo è reale ed è la soffitta a essere diventata irreale, un orribile sogno da scordare.

Michael non ha finito:

- Mi farà un ritratto, signor Schulte? Un quadro in più da esporre alla mostra.

Egon guarda il conte, sorpreso dalla richiesta. Michael ride e riprende:

- Sì, lo so, sono sfacciato e mi piace mettermi in mostra, in tutti i sensi. Mi piace l’idea che tutti mi vedano. E sono sicuro che la sua mostra sarà un successo.

Gustav interviene: non vuole che Egon abbia troppe aspettative, con il rischio di rimanere deluso.

- Signor Schulte, la sua mostra, do per scontato che si farà, sarà oggetto di critiche feroci, come la prima esposizione degli impressionisti o l’Agamennone di Kleindorf: la sua arte è troppo innovativa per il pubblico medio. Ci saranno stroncature, ma i critici migliori coglieranno il suo valore, non ho dubbi. E con il tempo lei sarà considerato un maestro da seguire.

A Egon sembra impossibile che Gustav Keller parli così. Non replica, non saprebbe che cosa dire.

Michael ritorna alla carica:

- Va bene, voglio far parte dei quadri criticati. Mi dipinge, signor Schulte?

- Ma… molto volentieri. Senz’altro. Mi dirà lei quando vuole che venga.

- Possiamo farlo qui. È ospite di Gustav, che sicuramente le lascia usare uno dei suoi studi, vero, Gustav?

Gustav sorride.

- Certamente, ho invitato il signor Schulte proprio perché possa dipingere in un ambiente adatto.

- Ottimo. Qui vengo volentieri, conosco l’ambiente e inoltre avrò anche l’occasione di scambiare due chiacchiere con Gustav, che ormai non mi sopporta più e ha ragione, perché sono proprio insopportabile, ma se vengo a posare per lei, non può certo mandarmi via.

Gustav scuote la testa, sorride e risponde:

- Sul fatto che tu sia insopportabile, non posso che essere d’accordo con te. Comunque quando vieni, ti farò servire la cioccolata calda. Ho una bellissima cioccolatiera.

- Quando incominciamo, signor Schulte? Domani?

Gustav ride. Egon sorride e dice:

- Per me va bene. Devo solo procurarmi la tela…

Gustav interviene:

- Tele qui ce ne sono. Colori pure. Comunque il prezzo del ritratto lo facciamo stabilire a Duckstein.

Michael guarda Gustav, fingendosi irritato:

- Sei proprio un Giuda, Gustav!

Poi scoppia a ridere e dice a Egon:

- Giuro che non approfitterei mai della sua situazione per pagarla meno di quel che vale.

- Lo pagherai comunque meno di quel che vale, qualunque cifra suggerisca Duckstein.

Michael scuote la testa e dice:

- Forse mi converrebbe farla venire a casa mia, signor Schulte. Gustav mi rovina la piazza…

 

Il giorno dopo Egon incomincia il ritratto del conte Walser. L’opera procede in fretta: Michael è sempre disponibile a posare e Egon è ben contento di poter lavorare in modo continuativo a un ritratto, il primo quadro che gli sarà pagato. Si impegna al massimo, perché vuole essere all’altezza della stima che Gustav Keller gli dimostra.

In due settimane il quadro è pronto.

- Gustav aveva ragione, ma non avevo dubbi su questo: Gustav ha sempre ragione, perché lui vede con il cuore, non con la testa. O, piuttosto: con il cuore e con la testa. Lei è un genio, signor Schulte. O posso chiamarla Egon?

A Egon non dispiace entrare in confidenza con uno degli amici di Gustav. Del gruppo che ha incontrato la sera dell’esposizione conserva un bel ricordo, un po’ perché è stata la serata che ha cambiato la sua vita, un po’ perché gli è piaciuto il cameratismo che esiste tra di loro, il loro rapporto franco. Gli piacerebbe entrare a far parte di quel gruppo, stabilire con loro rapporti familiari.

- Va bene.

Egon non chiama il conte per nome: esiste tra loro una differenza di condizione sociale troppo forte per prendere una simile iniziativa senza un invito esplicito.

Michael ride.

- Perfetto, Egon. Io sono Michael.

- Grazie, Michael.

- E adesso che siamo diventati amici, mi farai un secondo ritratto. Un bel nudo. Anche quello per la mostra. Chiederò a Jörg di mettere i due quadri affiancati. Come i due Goya, La Maja desnuda e La Maja vestida. Tu probabilmente non li conosci. Io sono riuscito a farmi aprire la stanza dove è tenuta La Maja desnuda, all’accademia di belle arti di San Fernando. Pare che l’Inquisizione volesse processare Goya per quel quadro.

Egon ha visto solo una riproduzione de La Maja vestida. Dell’altro quadro non conosceva neppure l’esistenza.

Egon non ha impegni mondani e non deve dipingere quadri per altri committenti, che per il momento non ci sono, per cui può incominciare il secondo quadro. Si mettono d’accordo per il giorno dopo.

- Un’ultima cosa, Egon: per martedì prossimo ho invitato a cena gli amici che hai conosciuto. Ovviamente vorrei che ci fossi anche tu.

A Egon l’invito fa molto piacere, ma lo mette anche in imbarazzo, perché non ha un abito decente da mettersi.

- Io… sì, volentieri. Ma…

- C’è qualche problema?

- Niente. Va bene. Ti ringrazio.

 

È Michael stesso a dire a Gustav che ha invitato Egon. Quando il conte esce, Gustav guarda Egon e gli dice:

- Qual è il problema, signor Schulte?

- No… è che… non ho un abito decente da mettermi.

- Non è una serata mondana, ma capisco che lei possa sentirsi a disagio. Il tempo per farle fare un abito è un po’ stretto, abbiamo misure troppo diverse perché possa prestarle qualche cosa, ma… una soluzione la troviamo.

La soluzione la fornisce il sarto, contattato da Gustav. Ha un abito quasi finito, destinato a un cliente che è dovuto partire improvvisamente, per sfuggire all’arresto per truffa: certamente non tornerà per ritirare il vestito. Il sarto lo riadatta e lo completa in pochi giorni. Gustav si preoccupa anche degli accessori e il giorno della cena Egon è in grado di presentarsi senza essere a disagio.

L’atmosfera è quella allegra e piuttosto libera che Egon ricorda. Riesce a inserirsi senza difficoltà nella conversazione comune e nuovamente prova la sensazione di leggera ebbrezza della prima sera in cui ha cenato con gli altri. Sarà questo il mondo in cui si muoverà?

Tutti sono curiosi di vedere il teatro che il padrone di casa sta facendo costruire, ma Michael non intende mostrarlo a nessuno prima della serata dello spettacolo, tanto più che non è ancora stato completato. Dovranno aspettare. Solo Hugo lo ha visto, perché anche lui segue i lavori, sorvegliando la realizzazione dei progetti.

 

Il giorno dopo si ritrovano nel primo pomeriggio per il ritratto di nudo: Egon farà due o tre schizzi, poi sceglieranno la posizione.

Egon guarda Michael spogliarsi. Del tutto inaspettatamente il desiderio si accende in lui e il sangue gli affluisce al cazzo. Non se lo aspettava e rimane disorientato. Non gli è passato per la mente di poter avere un’erezione. Fortunatamente la tunica che indossa per dipingere, dono di Gustav, è ampia e non lascia vedere protuberanze imbarazzanti.

Michael non sembra provare il minimo imbarazzo a posare nudo: è evidente che lo fa volentieri. D’altronde lui stesso dice che gli piace mettersi in mostra.

Egon è a disagio. Cerca di concentrarsi sul lavoro e di soffocare il desiderio. Ma per disegnare deve guardare in continuazione Michael e il suo corpo brucia. Non gli è mai successa una cosa del genere. Si innervosisce. Merda! Avrebbe dovuto prevedere che prima o poi l’astinenza gli avrebbe giocato qualche scherzo, ma negli anni della miseria il desiderio si era assopito e solo di rado si manifestava. E mentre procede con gli schizzi, il suo sguardo che corre dal disegno al corpo nudo di Michael continua a gettare legna sul fuoco che arde. Il corpo gli ricorda brutalmente la realtà: non ha neppure trent’anni e, ora che mangia regolarmente e non patisce il freddo, è sano e forte e l’appetito non gli manca.

 

Michael si avvicina per vedere i due schizzi che Egon ha realizzato. I loro corpi si sfiorano ed Egon di colpo è conscio dell’odore e del calore del corpo del conte. Ha un buon odore, Michael, di maschio pulito. E il desiderio cresce ancora.

Egon è frastornato.

- Questo mi sembra bellissimo. Se esponi il quadro accanto all’altro ritratto che mi hai fatto, sarà perfetto.

- Vedremo.

Michael ride e aggiunge:

- Magari una volta mi dipingi anche con il cazzo in tiro. Gustav si rifiuta di farlo.

Egon si sente gelare. Che Michael si sia accorto della sua erezione? Magari in un momento in cui si è mosso?

Michael avverte il turbamento di Egon.

- Scusami, Egon. Sono sfacciato e ogni tanto parlo come un carrettiere, ma non ho nessun senso del pudore e finisce che mi dimentico che non tutti sono come me.

- No, ecco… io…

Egon pensa al quadro che Gustav ha visto, in cui si è dipinto esattamente come Michael vorrebbe essere ritratto.

- Ne parleremo, Michael… Non ho mai ritratto… in realtà non ho avuto molte occasioni di ritrarre altre persone negli ultimi anni. Prima era diverso… in ogni caso ne parleremo.

 

Infine Michael se ne va. Egon guarda la porta da cui è uscito, poi guarda i due disegni. Il desiderio brucia. Merda! Deve in qualche modo sfogarsi ed evitare di ritrovarsi in una situazione del genere. Farà da sé. Magari guardando uno degli schizzi di Michael nudo. Con un altro si vergognerebbe del suo pensiero, ma è sicuro che se il conte lo sapesse, ci riderebbe sopra: l’idea lo divertirebbe. Michael è sfacciato e parla di sesso senza peli sulla lingua. Anche alla cena non ha nascosto che preferisce gli uomini. Michael non è un bell’uomo, ma gli piace sia fisicamente, sia come carattere. Apprezza la sua schiettezza, la sua sicurezza.

 

 

Nel palazzo dei Walser i lavori fervono. Nel salone da ballo, sotto la direzione di Hugo e di Michael, i carpentieri hanno allestito un palcoscenico che non ha niente da invidiare a quello di molti grandi teatri, a parte le dimensioni. Adesso i lavori proseguono, coinvolgendo una marea di artigiani che si occupano delle decorazioni: è un’idea di Michael, che vuole ricreare una sala settecentesca.

Hugo è entusiasta, ma perplesso.

- Hai creato un vero teatro, per un’unica rappresentazione!

Michael lo guarda e ghigna.

- Perché un’unica rappresentazione? E l’Alessandro? Eravamo d’accordo anche su quello, no?

In realtà ne hanno parlato soltanto la sera in cui Egon si è unito alla compagnia, un accenno e niente di più.

Hugo è disorientato.

- Sì, ma… pensi davvero di mettere in scena anche quello?

- Perché no? Se non posso vederlo al Burgtheater, lo vediamo qui. O è un testo che supererà la censura?

- Lo escludo.

- Ottimo. Ho fatto bene a far allestire un buon teatro.

Hugo non sa che dire. Ormai Michael conosce benissimo i costi di una messa in scena, ma la spesa per lui non è un problema. Nel caso poi dell’Alessandro, di fatto c’è un solo attore, il protagonista, perché Lorenzo e Scoronconcolo hanno parti minime e, non dovendo più trasformare in teatro il salone, sarà tutto più semplice. L’idea di poter rappresentare anche l’Alessandro lo solletica. Non intende scrivere altri drammi che saranno messi in scena solo in forma privata: sarebbe la fine della sua carriera come autore teatrale. I suoi primi drammi gli hanno dato una fama a cui anche l’Agamennone ha contribuito, grazie all’opera di Kleindorf. L’idea dell’Alessandro si è imposta e intende portarlo a termine, ma poi dovrà pensare di tornare definitivamente alla scena, quella pubblica, come ha fatto con Sera. In questa fase ha lasciato emergere una parte di sé, più oscura: ne sentiva il bisogno. Poi però dovrà mettersi a lavorare ad altro.

 

Michael si sta facendo nuovamente ritrarre da Egon: alla mostra ci saranno diversi ritratti del conte Walser. Oltre a quello classico in abito da sera e al nudo, Egon sta lavorando ad altri quadri, in cui Michael è rappresentato come qualche personaggio storico o leggendario. Attualmente posa come Sant’Antonio nel deserto, tentato dai demoni, un quadro visionario che lo affascina.

Egon approfitta della disponibilità del conte per approfondire la sua ricerca. Dipinge volentieri questo corpo che si mostra senza pudori ed è ben felice di avere un modello che accetta di assumere qualunque posa. L’unico problema è il desiderio, violento, che lo assale ogni volta che Michael si spoglia davanti a lui.

Dopo aver posato con Egon e parlato con lui, Michael passa da Gustav, se non c’è qualcuno che posa. A volte Gustav è molto concentrato nella pittura e allora Michael lo osserva un momento lavorare e poi se ne va. Se invece Gustav non sta dipingendo o se il dipinto a cui sta lavorando non richiede tutta la sua attenzione, parlano più a lungo. Michael è curioso di conoscerlo meglio e si rende conto che Gustav incomincia ad aprirsi, superando la sua riservatezza.

 

Le mattine se ne vanno così e Michael è soddisfatto. Ha diradato le sue serate mondane e quando partecipa evita di fare molto tardi, perché Gustav ed Egon incominciano entrambi a lavorare presto. Sta bene con loro. Gustav è un amico, con cui non ha la stessa confidenza che ha con Ruggero, ma a cui è profondamente legato. Anche Egon è un amico, ma nei suoi confronti Michael si rende conto di provare anche un’attrazione fisica. È davvero un bell’uomo.

 

Intanto incominciano le prove dell’Agamennone. Tutti coloro che sono coinvolti si stupiscono quando vedono il teatro: si aspettavano uno spazio ridotto, con i soli elementi essenziali, e si trovano invece una sala non piccola e perfettamente attrezzata. Il palcoscenico e le quinte sono stati completati, ma molti artigiani sono ancora al lavoro per le decorazioni. Durante le prove nessuno può accedere, ma il mattino è un continuo via vai di uomini che prendono le misure, montano, dipingono.

Ogni pomeriggio gli attori scoprono qualche nuovo dettaglio che è stato aggiunto: la sala sta acquistando il suo aspetto finale.

Gli attori hanno studiato le loro parti e le prove procedono senza intoppi. È la prima volta che Eldemar lavora con Mathias, mentre con Hanna ha già lavorato sia nell’Anfitrione di Kleist, sia nel Faust di Goethe, per cui tra loro esiste un buon affiatamento.

Michael assiste a tutte le prove, ma non interviene mai. Al termine però, dopo che gli attori se ne sono andati, discute a lungo con Hugo: fa qualche osservazione, avanza suggerimenti, critica ciò che non lo ha convinto. Le giornate di Michael sono riempite dalle sedute di posa più giorni la settimana il mattino e dalle prove il pomeriggio, a cui si aggiunge qualche pranzo o cena con gli amici.

 

Dopo le sedute parlano dei quadri e delle loro vite. Michael fa spesso allusioni e battute. Ora che viene dipinto come sant’Antonio, osserva:

- Ma non pensi che il nostro buon Antonio ce l’avesse duro, quando era tentato da belle donne o da qualche ragazzino con un bel culo? Se no, che tentazioni erano?

- Probabilmente è come dici tu, ma se ti dipingo così, non posso esporre il quadro. E finisco anche in galera per oltraggio al pudore e blasfemia.

- Brutti tempi, questi…

- Nel Medioevo era peggio: sarei finito sul rogo. E tu pure.

Michael ride. Poi aggiunge:

- Però un ritratto un po’ più… audace me lo fai. Lo terrò nascosto.

- Vedremo.

- Hai mai sentito parlare dell’Origine del mondo? No, di sicuro, nessuno ne conosce l’esistenza… o quasi. Lo fece dipingere un tipo strano, un diplomatico turco, che si chiamava Khalil-Bey o qualche cosa del genere. Aveva tutta una raccolta di quadri con nudi femminili, questo di cui ti parlo l’aveva fatto dipingere da Courbet, figurati. Ma si rovinò al gioco e dovette venderli, per cui la collezione andò dispersa. Adesso questa tela è nelle mani di un banchiere parigino.

- Tu hai avuto modo di vederla?

- Sì, grazie ad amici comuni, anche se il soggetto non mi interessa molto. Ho altri gusti.

- Che cosa rappresenta?

- Essenzialmente una fica, dipinta con grande precisione ed eleganza. Courbet era uno che sapeva il fatto suo.

Egon rimane un momento interdetto. Ormai conosce Michael e ne apprezza anche la sfacciataggine, ma non si aspettava che un grande pittore come Courbet potesse aver dipinto un quadro del genere.

- Non mi prendi per il culo?

- No, no, assolutamente. E mi piacerebbe che tu facessi un quadro del genere… mettendo me al posto della modella scelta da Courbet. Anche se di me si vedrebbe solo un pezzo.

Egon ride, un po’ in imbarazzo.

- Ne parleremo.

- Ne parleremo… vedremo… Rimandi sempre. L’idea ti imbarazza?

- Un po’, sì, è vero.

- Ma ti tenta anche.

- Anche questo è vero.

- Hai paura che Gustav entri e ti veda mentre dipingi il mio cazzo in tiro?

- No, Gustav è la discrezione fatta persona. Se la porta dello studio è chiusa, non entra, non bussa neanche: si tiene lontano. A volte sembra che io sia il padrone di casa e lui l’ospite che non vuole disturbare.

- Gustav è eccezionale. Gli voglio un bene dell’anima. Lui e Ruggero, che tu non conosci, in questo periodo non è a Vienna, sono due persone splendide. Non so come fanno ad avere come amico uno come me.

Michael sorride e conclude:

- Comunque sei riuscito a deviare abilmente il discorso…

Egon scuote la testa.

- Non lo so, Michael… come dici, è un’idea che da una parte mi tenta, dall’altra mi mette in imbarazzo.

- Va bene. Ne parleremo. Ne parleremo domani o al massimo venerdì.

Egon ride.

- Non molli mai la presa, tu, eh?

- No, in effetti.

Dopo aver chiacchierato con Egon, Michael passa da Gustav e gli dice:

- Gustav, devi farmi un quadro.

- Michael, ti ho ritratto un sacco di volte. Ti ho detto che per un po’ non voglio più dipingerti.

- No, non me, di me metti solo la testa. Dipingi Egon come Giuda, con la testa di Oloferne.

- Che c’entra Giuda con Oloferne?

- Giuda è il maschile di Giuditta. Hugo aveva avuto l’idea di scrivere un dramma in cui a sedurre e poi uccidere Oloferne non è Giuditta, ma un bell’uomo, Giuda. Dipingi lui come Giuda, nudo, con la testa di Oloferne…

- Che sarebbe la tua testaccia dura? Rientra dalla finestra ciò che è uscito dalla porta?

- Più o meno.

- Non credo che Egon sia d’accordo a posare nudo.

- Se questa è la tua obiezione, siamo a posto. Posso dirti che lo ha già fatto, più volte, per sbarcare il lunario.

Michael passa nell’altro studio, dove Egon sta apportando alcuni ritocchi al quadro a cui lavora.

- Egon, puoi venire un attimo?

- Certo.

Nello studio dove lavora Gustav, Michael dice:

- Allora, Gustav ha accettato di dipingerti in un quadro in cui sarai Giuda, un giovane ebreo, che ha appena ucciso Oloferne per salvare il suo popolo.

Egon ride:

- Mi pareva che fosse Giuditta, non Giuda.

- La storia si cambia. È un’idea di Hugo, che mi è piaciuta. Giuda viene davvero sedotto da Oloferne e si innamora di lui, ma nonostante questo lo uccide. Hugo non vuole scrivere questo Giuda, che leggerei molto volentieri, ma il quadro Gustav è ben felice di farlo.

Gustav scuote la testa, ridendo:

- Michael, ti hanno mai detto che hai la faccia come il culo?

- Sì, qualche volta. Credo che abbiano ragione.

- Senza dubbio.

Michael si rivolge di nuovo a Egon:

- Allora, Egon, a te non spiace posare nudo per Giuda? Eri a letto con Oloferne e l’hai appena ucciso mentre dormiva.

Egon sorride.

- No, per me va bene.

- Perfetto. E io assisterò.

Gustav scuote la testa e dice, deciso:

- Quando dipingo un nudo, non ci sono spettatori.

- Egon mi ha dipinto nudo più volte e io non potrei vederlo nudo? Egon, vero che non ti dà fastidio se assisto?

Egon sorride e risponde:

- No, non importa.

Non gli spiace farsi vedere nudo da Michael. In qualche modo solletica la sua vanità, perché ha capito di piacere al conte. E magari questa volta sarà lui ad averlo duro. Al pensiero il sorriso di Egon si allarga.

 

Il martedì sera, dopo la solita cena nel palazzo di Michael, Gustav si avvicina a Hugo, perché è curioso di sapere qualche cosa di più del Giuda.

- Posso chiederti una cosa, Hugo?

- Certamente. Dimmi.

- Michael mi ha accennato a un Giuda che hai pensato di scrivere e poi abbandonato.

- Sì, avevo anche buttato giù due scene, poi ho avuto l’idea dell’Alessandro e ho lasciato perdere, anche perché non posso scrivere solo testi che non saranno mai messi in scena.

- È vero che si tratta della storia di Oloferne e Giuditta, trasposta al maschile?

- Sì, ma Giuda si innamora davvero di Oloferne, che è un uomo libero, non ossessionato dalla divinità, a differenza degli ebrei che sta assediando.

- Però alla fine Giuda lo uccide.

- Sì.

- Michael vuole che dipinga Egon come Giuda.

- Non era a lui che pensavo quando ho scritto le scene, ma d’altronde non lo conoscevo. Mi immaginavo Klaus Bauer, l’attore.

- Sì, ho presente. Ma Michael vuole Egon. E la testa di Oloferne è la sua.

- Dovrebbe essere la tua.

- La mia?

- Sì, per Oloferne avevo pensato a te: è un personaggio tutto positivo, Gustav. Un uomo generoso e saggio, uno spirito libero…

- …che finisce con il capo mozzato. Va bene. Tutto sommato non mi spiace che tu non l’abbia scritto, anche se l’avrei letto volentieri.

Hugo ride.

 

Così Egon si trova a posare per Gustav, mentre Michael assiste.

- Le palpebre un po’ abbassate. Anche se il tuo viso è rivolto verso la testa, non stai guardando ciò che hai davanti, stai guardando dentro di te, cercando di capire ciò che provi.

Egon annuisce.

- Sì, ecco, così.

Gustav guarda Egon un momento, poi dice:

- Tieni la testa leggermente più in alto.

Egon solleva il capo. Gustav ride e dice:

- No, no. Non la tua di testa, quella che tieni tra le mani, che hai appena tagliato.

Egon piega un po’ le braccia, in modo da sollevare la testa che regge: è una testa di terracotta, vuota all’interno. Nel quadro che Gustav sta preparando, la testa sarà il capo mozzato di Oloferne e Egon/Giuda lo sosterrà con una mano.

Gustav non dice più niente. Traccia sulla grande tela, alta oltre due metri, il disegno preparatorio. Egon si sforza di non muoversi. È contento di posare perché è un modo per sdebitarsi almeno in minima parte di tutto ciò che Gustav fa per lui.

Gustav lavora a lungo in silenzio, concentrato in quello che fa. Dopo un po’ si rende conto che Egon è stanco e gli dice:

- Ho quasi finito, Egon.

Poco dopo dice:

- Ecco, adesso puoi rivestirti.

Egon è contento di potersi coprire: per quanto posino nello studio più piccolo di Gustav, che è ben riscaldato, stare nudo a lungo non è piacevole. Posa la testa e si rimette gli abiti.

- Posso vedere?

- Certo.

Egon guarda la tela. Il disegno preparatorio è completo. Egon è visibile, nudo fino al pube, mentre guarda una testa mozzata, che forse tiene in mano o forse è solo appoggiata davanti a lui. La testa è appena abbozzata.

- E come farai la testa tagliata?

- Per Hugo dovrebbe essere la mia: Oloferne sarei io. 

Egon scuote la testa. Le parole gli vengono alle labbra:

- Sei l’ultima persona al mondo a cui farei del male.

Gustav sorride. Ha un sorriso dolce.

- Grazie, Egon, ma non ti preoccupare. Il quadro me l’ha commissionato quel tizio che sta seduto nell’angolo ed è la sua testa che metterò, come mi ha richiesto. E devo dire che lo farò volentieri…

Egon guarda Michael, che non ha detto nulla per tutta la seduta. Non è strano che sia rimasto in silenzio, per non disturbare, ma che non dica nulla nemmeno ora è davvero insolito. Eppure se ne rimane seduto, immerso nei suoi pensieri, come se loro due non ci fossero.

 

A palazzo Walser gli attori che provano lo spettacolo sono invitati a cena ogni tre-quattro giorni. Mathias cerca di approfittare di queste occasioni per fare amicizia con Michael, ma si rende presto conto che il conte non sembra interessato. La faccenda gli dà fastidio, perché era convinto di poterlo sedurre facilmente e non gli sarebbe spiaciuto aggiungerlo alla lista delle sue conquiste, non tanto per vantarsi di averlo sedotto, ma per i vantaggi pratici che una relazione con il conte comporterebbe.

In effetti Michael ha tutt’altro per la testa. Il quadro di Giuda e Oloferne ha segnato un cambiamento nel suo comportamento. Ora quando posa per Egon è spesso irrequieto, tanto che a volte il pittore si lamenta perché non mantiene la posizione che aveva: inizialmente Michael era un modello perfetto, adesso ogni tanto va richiamato. Egon non sa spiegarsi che cosa possa essere successo. Probabilmente il conte ha qualche problema.

Michael ha davvero un problema, che ha un nome e un cognome: Egon Schulte.

Che Egon lo attraesse, gli era chiaro da tempo. Ma il vederlo nudo ha avuto un effetto dirompente. Desidera il corpo che si è offerto al suo sguardo, ma, forse per la prima volta nella sua vita, si sente inadeguato. Sa di non essere un bell’uomo, ma questo non gli ha mai impedito di sedurre. Il suo corpo forte e la sua buona dotazione attraggono gli uomini a cui piace un maschio virile. Anche il denaro gli ha spesso permesso di ottenere ciò che voleva e il titolo esercita sempre un certo fascino.

Ma con Egon è diverso. Non vuole comprarlo, quello che cerca non è soltanto una scopata. Non sa come farsi avanti e ha paura di un rifiuto, che metterebbe in crisi il loro rapporto. Scherza con lui e fa battute, ma quando sono insieme è sempre in tensione.

Non ripete la richiesta di essere dipinto con un’erezione. Preferisce lasciar perdere l’idea.

Egon non ci bada. Anche lui è piuttosto teso, perché si avvicina il giorno in cui si aprirà la mostra dei suoi quadri.

 

Deluso dal disinteresse del conte. Mathias si rivolge a Eldemar. Sa bene che il collega non è ricco e non può offrigli molto, ma è un gran bell’uomo, alquanto dotato, e gli piacerebbe scopare una volta con lui.

Eldemar coglie l’interesse di Mathias. Non si stupisce: di Mathias si parla parecchio e alcune voci sono giunte anche al suo orecchio, per quanto non sia interessato ai pettegolezzi. Sa che il collega non si aspetta da lui ricchi doni: Eldemar non è molto facoltoso e perciò non costituisce una preda ambita da chi vuole farsi mantenere. Le sue attrattive sono altre: il suo corpo vigoroso suscita il desiderio di uomini e donne e talento e fama contribuiscono al suo fascino. È una situazione che non gli dispiace, perché gli permette di scegliere. Non è particolarmente attratto da Mathias, ma non ha motivo per rifiutare. 

Una sera, uscendo da palazzo Walser dopo le prove, Mathias gli dice:

- I nostri due personaggi dovevano essere molto legati, prima della partenza di Agamennone. E non perché erano cugini.

- Sì, sicuramente tra Egisto e Agamennone Hugo ha immaginato una relazione. Si direbbe che Agamennone abbia stuprato Egisto, ma che da questo stupro sia nato un rapporto basato su una fortissima attrazione reciproca.

Mathias annuisce. Poi chiede, con un sorriso sornione:

- Non pensi che per immedesimarci nei personaggi sarebbe meglio approfondire questo aspetto?

Anche Eldemar sorride. Ha capito benissimo dove vuole arrivare Mathias.

- Perché no? Ma non durante le prove, spero. Non vorrei essere sorpreso dal conte mentre approfondiamo l’antefatto del dramma.

- Credo che non gli spiacerebbe assistere. Al massimo chiederebbe di partecipare anche lui, ma concordo con te: meglio cercarci un posto tranquillo.

Il posto tranquillo è l’appartamento di Eldemar: Mathias preferisce non ricevere nel proprio.

Eldemar sa usare bene la sua attrezzatura e per Mathias la scopata è molto soddisfacente. Quando hanno concluso, il giovane si riveste e se ne va: deve vedere il conte Weyr, che sicuramente è molto meno prestante di Eldemar, ma in compenso è molto più ricco.

Eldemar rimane a letto, immerso nei suoi pensieri. Si chiede che senso ha quello che ha fatto. Non gli importa di Mathias e ha poca stima di lui come uomo. Il giovane ha un bel culo, certo, ed è stato piacevole fotterlo. Ma ne valeva la pena?

 

Michael è sempre più inquieto, uno stato d’animo che non gli è abituale. La messa in scena dell’Agamennone lo appassiona e lo prende completamente, ma quando le prove sono finite e ha discusso con Hugo della giornata, il pensiero va a Egon e la sera, se non incontra gli amici, è spesso in preda all’ansia. Dorme male, svegliandosi molte volte, e il mattino si sveglia spossato.

Gli pesa moltissimo l’assenza di Ruggero, l’amico a cui può confidare tutto, quello che sa capirlo e aiutarlo. Con Gustav ha meno confidenza e soprattutto ha molte remore a parlargli di Egon, anche perché il giovane pittore è suo ospite.

Lui e Ruggero si scrivono periodicamente, ma Michael avrebbe bisogno di un confronto diretto, non di uno scambio di lettere. Perciò nell’ultima missiva che gli scrive a Venezia, dove Ruggero e Janos sono tornati da poco, parla quasi esclusivamente dell’Agamennone. Si limita ad aggiungere al fondo un accenno alla sua situazione:

Ci sono altre cose che vorrei dirti, più importanti della preparazione di questo spettacolo, che pure mi prende completamente. Avrei bisogno di raccontarti e di capire, ma questo posso farlo solo parlandoti. Mi manchi molto.

Affida la lettera a un domestico, perché la spedisca.

 

Pochi giorni dopo in mattinata un domestico gli porta una busta.

- Hanno portato questa. Il servitore aspetta una risposta.

La grafia è quella di Ruggero, ma c’è scritto solo: “Conte Michael Walser”, senza indirizzo, senza francobollo.

Com’è possibile? Ruggero è a Venezia. Ha messo la lettera in una busta indirizzata a qualcun altro, pregandolo di fargliela recapitare? E perché mai?

Michael apre la lettera, che contiene un foglio. Ci sono solo poche righe:

Sono a Vienna. Dimmi quando hai piacere che ci vediamo.

Ruggero

La gioia che Michael prova è tanto intensa che vorrebbe urlare.

Prende un foglio, su cui scrive:

Se per te va bene, anche ora. Altrimenti domani mattina.

Tuo fratellino

 

Come Michael ha previsto, il duca si presenta poco dopo. Michael lo abbraccia, felice.

- Non pensavo che tornassi così presto. Mi avevi scritto di volerti fermare ancora un mese.

- Abbiamo cambiato programma.

- Come mai?

- Perché un mio amico mi ha scritto che avrebbe avuto piacere di parlare con me, di cose che non voleva scrivere.

Michael conosce la generosità e la disponibilità di Ruggero, ma gli sembra incredibile.

- Sei tornato per me?

- Michael, sai quanto sia importante per me l’amicizia.

- Lo so, ma da Venezia…

- Appunto. Eravamo a Venezia, non al Cairo o a Calcutta. Lo sai che esiste il treno, vero? Non credo che tu sei venuto in carrozza, l’ultima volta. Abbiamo preparato i bagagli e siamo partiti.

- Ma Janos… l’hai fatto partire…

- Quando gli ho detto della tua lettera, mi ha proposto lui quello che già avevo in mente: partire e tornare a Vienna. Mi ha visto preoccupato per te.

Michael è rimasto senza parole. Guarda Ruggero, commosso. Questi ne approfitta per spostare l’argomento della conversazione:

- Bene, e ora che abbiamo discusso mezz’ora sui disagi terribili di un viaggio da Venezia a Vienna, che richiederebbe almeno un mese di preparazione, possiamo cambiare argomento. Magari mettendoci seduti, a meno che tu non abbia l’esigenza di parlare stando in piedi, come sembri intenzionato a fare.

Michael sorride e scuote la testa. Guida Ruggero in un salottino e si siedono entrambi.

Ruggero lo guarda attentamente.

- Qual è il problema, Michael? Se hai voglia di parlarne ora…

- Sì, certo. Ho bisogno di parlarne con te.

Ruggero non dice nulla, attendendo. Michael riprende:

- Credo di essermi innamorato.

Ruggero non si aspettava la risposta di Michael. Conosce gli innamoramenti di Michael, che sono superficiali e non durano mai a lungo. Questa volta è chiaramente diverso.

Michael non dice più nulla, per cui Ruggero osserva:

- Di per sé può essere molto bello.

- Dipende. Dipende da tante cose… Da chi ami, in primo luogo.

- È quello il problema?

- In parte sì.

- E allora dimmi di chi ti sei innamorato. Di Gustav Keller?

Michael è sorpreso. Scuote la testa e dice.

- Di Gustav? No, di certo no. Che cosa te lo fa pensare?

- Ne hai parlato più volte nelle tue lettere, sempre in toni entusiastici.

- Se per amare intendi volere bene, stare volentieri insieme, stimare, desiderare la felicità di un altro, sì, l’amo quasi come amo te, perché è l’uomo migliore che esista dopo di te. Ma se per amore intendi quello che unisce te a Janos, no.

- Nelle tue lettere non mi hai parlato con assiduità di nessun altro. Però mi hai citato diversi uomini che non conosco o che comunque non ho mai avuto occasione di frequentare. Hugo von Homborg?

- Non voglio farti giocare agli indovinelli. È uno di questi uomini di cui ti ho parlato, un altro pittore, che certamente non hai mai sentito nominare, a parte nelle mie lettere: Egon Schulte, un grandissimo talento, che Gustav ha scoperto.

- Ma non ti sei innamorato del suo talento.

Michael scuote la testa.

- No.

- Qual è il problema? Non credo che ti abbia detto di no. Mi viene da pensare che non gli hai ancora parlato.

- No, infatti, hai capito benissimo.

- Come mai?

Michael scuote la testa. Lui stesso non ha le idee chiare. Ha paura di un rifiuto, questo è certo, ma non è soltanto il timore di essere respinto. Ci sono altri elementi che lo rendono incerto. Cerca di spiegare.

- Egon è poverissimo. Duckstein sta preparando una mostra, Heydenreich è entusiasta. Probabilmente avrà successo, ma per il momento è ospite di Gustav e non possiede nulla, a parte una massa di quadri che secondo Gustav in futuro varranno una fortuna, ma adesso non interessano a nessuno, Heydenreich e Duckstein a parte. E Gustav. Peraltro le uniche tre persone che li hanno visti, oltre a me.

Ruggero conosce bene Michael e sa cogliere anche quello che l’amico non dice:

- Vediamo se ho capito bene. Questa volta non puoi fare il libertino che seduce con un corpo forte, un bel cazzo, un grande titolo e tanto denaro, perché hai paura di apparire il ricco conte che crede di poter comprare il giovane artista povero. E non ti interessa comprarlo, perché sei innamorato.

Michael guarda Ruggero e scuote la testa.

- A volte, Ruggero, mi chiedo come tu faccia a leggere dentro di me cose che io stesso vedo solo confusamente. Sì, è così. Potrei farmi avanti, ma non è solo la paura di un rifiuto: è quello che dici tu. Se volessi davvero comprarmi il suo culo, non mi porrei tanti problemi.

- Ma non è così e non vuoi che lui lo pensi.

- Esatto. Non so come muovermi.

- Che occasioni hai di vederlo?

- Mi sto facendo fare una serie di ritratti.

- E non riesci a sondare il terreno?

- Prima e dopo le sedute parliamo, un po’ di tutto, molto liberamente. Avrei mille occasioni di dirgli quello che provo…

- Ma hai paura.

Michael annuisce. Ruggero prosegue:

- Paura di un rifiuto, paura che lui si faccia una cattiva opinione di te.

- Sì.

Ruggero riflette un momento, poi dice:

- Credo che mi farò fare anch’io un ritratto dal signor Schulte. Un doppio ritratto, mio e di Janos.

Michael guarda l’amico, incuriosito.

- Dove vuoi arrivare?

- In primo luogo, a fare conoscenza con questo Schulte e a sondare il terreno. Il ritratto di una coppia maschile sarà l’occasione per scambiare due chiacchiere anche su questi temi senza che lui pensi a tentativi di seduzione da parte mia.

Parlano ancora un buon momento. Poi Ruggero scrive una breve lettera a Gustav, che conclude chiedendogli quando può passare da lui.

 

Il giorno dopo Ruggero si reca a casa di Gustav con Janos.

- Signor Keller, questo è Janos Toth, mio compagno di vita.

Gustav è stupito che il duca presenti Janos in modo così diretto: ha con lui un buon rapporto, ma tra loro non esiste una grande confidenza. Ruggero aggiunge:

- Janos, questo è Gustav Keller, che non ha bisogno di nessuna presentazione, ma che è un’ottima persona, oltre a essere un grandissimo artista.

Gustav stringe la mano a Janos.

- È un piacere conoscerla.

Dopo che si sono tutti seduti, Ruggero dice:

- Come le ho scritto nella lettera, vorrei che lei ci facesse un ritratto di coppia e un altro lo chiederei al signor Schulte, di cui Michael mi ha parlato molto.

Concordano i tempi del ritratto, poi Gustav li accompagna nello studio dove lavora Egon. La richiesta di Ruggero stupisce il giovane. Il duca non ha mai visto i suoi quadri: perché chiede di essere dipinto da lui?

Una risposta viene direttamente da Ruggero:

- Michael, il conte Walser, mi ha parlato molto di lei, e dato che desidero essere ritratto con Janos, ho pensato di chiederlo anche a lei. Non sono un esperto d’arte, ma mi fido pienamente del giudizio di Michael e ovviamente di quello di Gustav Keller, che di pittura pare intendersi, così dicono, almeno.

Sorridono tutti.

Si mettono d’accordo per le sedute di posa. Egon è contento di poter ritrarre il duca e il suo amico. Poter guadagnare è un’ottima cosa, perché non può pensare di continuare a vivere a spese di Gustav, e dipingere il duca potrebbe contribuire a farlo conoscere. Inoltre avere nuovi soggetti da dipingere è sempre positivo.

Già il giorno successivo Ruggero e Janos posano per Egon. Gustav li dipingerà in seguito, perché per il momento è molto occupato.

Ruggero e Janos si siedono uno di fianco all’altro. Ruggero mette il braccio sinistro sopra la spalla di Janos e le sue mani si intrecciano davanti al petto del compagno. Le loro teste si toccano. È un ritratto che non lascia dubbi sul legame profondo che li unisce. Egon prova un po’ di invidia.

Al momento di incominciare, Ruggero scherza:

- Mi raccomando, signor Schulte: cerchi di farmi un po’ meno brutto!

Janos ride e scuote la testa.

- No, lo voglio esattamente com’è. A me va bene così.

Egon sorride: sa che Ruggero scherza. Il duca non è certo un bell’uomo, per non dire che è decisamente brutto, ma gli sembra simpatico.

 

La settimana seguente, il giorno prima di una nuova seduta di posa, Ruggero invita a cena Gustav, Egon e Michael. Una cena ristretta, che permette di chiacchierare tranquillamente.

Verso la fine della cena, Ruggero dice:

- Io farei una proposta: darci tutti del tu. Se siete d’accordo, questo ci permette di evitare un continuo passaggio dal lei al tu quando cambiamo interlocutore. A parte Michael, che dà del tu a tutti, credo anche all’imperatore e alla regina d’Inghilterra,  noi siamo a metà strada.

Gustav dice:

- Mi sembra una bella idea. Egon, che ne dice?

- Mi fa molto piacere, Gustav.

Egon è contento di poter dare del tu a Gustav. Con il duca il discorso è diverso, ma visto che è stato lui a proporlo, non gli sembra il caso di avanzare obiezioni.

Dopo cena Ruggero parla un po’ con Egon.

- Spero che la mia proposta di darci del tu non ti abbia messo a disagio.

- No. Certo, per dare del tu al duca d’Aquaforte devo mettermi d’impegno, non mi viene spontaneo, ma mi fa piacere stabilire un po’ di rapporti meno formali. In questi anni… sono stato molto solo.

Egon ha voglia di parlare. Istintivamente avverte che il duca è un uomo attento agli altri, con cui sente di potersi confidare.

- Michael mi diceva che non hai una famiglia.

- No. Ero figlio unico e i miei genitori sono morti tutti e due. Non ho amici…

- So che sei molto povero e la miseria rende più difficile stabilire rapporti, soprattutto in città. Oltre tutto lavori per conto tuo e hai meno occasioni di conoscere altre persone. Non è bello. Ogni tanto si ha bisogno di sentire l’affetto degli altri.

- Sì, per me conoscere il signor Keller, Gustav, i suoi amici… sono entrato in un altro mondo. Mi sembra incredibile poter parlare tranquillamente con qualcuno, dopo una buona cena… avere qualcuno a cui posso rivolgermi…

- Credo che in Gustav tu possa trovare un vero amico. È molto riservato, ma è altrettanto generoso.

- Sì, senza dubbio. Avermi ospitato… Ma sono riservato anch’io e così la nostra amicizia procede piano. Se non fosse intervenuto lei… tu, ci daremmo ancora del lei.

- Molto più facile fare amicizia con Michael, che è aperto e può anche apparire sfacciato, qualche volta lo è davvero, ma ha un cuore d’oro.

Guardano entrambi Michael, che intuisce di essere l’argomento di conversazione, ma non si avvicina. Vuole lasciare a Ruggero lo spazio per sondare il terreno, anche se ora vorrebbe essere accanto a Egon.

- Sì con lui mi trovo bene.

- Io gli voglio bene. È il mio migliore amico. Siamo diversi, per certi aspetti quasi all’opposto, ma so di poter contare sempre su di lui. E lui su di me.

 

Egon e Gustav tornano insieme. Egon dice:

- Mi fa piacere poterti dare del tu, Gustav. Non osavo proporlo.

- Avrei dovuto proporlo io, essendo più anziano, ma non volevo essere invadente, prendermi troppo familiarità.

- Sei molto riservato, come dicevo al duca.

- È vero. Nei rapporti con gli altri sono un disastro, lo so. Ho bisogno di qualcuno che mi forzi a uscire dal mio guscio, come fa Michael.

- Io non sono la persona adatta. Una volta ero molto socievole, ma negli ultimi anni… mi sono chiuso molto.

- La miseria è una brutta bestia e rende più difficili anche i rapporti.

- Adesso sto recuperando. Grazie a te. E i tuoi amici mi piacciono molto.

Gustav vorrebbe dire che non sono davvero suoi amici, anche se è affezionato a loro e sa di essere ricambiato, ma non avrebbe senso dirlo.

- Sì, sono tutti belle persone. Sono fortunato, in questo.

- Sono tutte belle persone perché sei tu una bella persona, Gustav.

- Grazie.

La serata segna una svolta nel loro rapporto. Gustav si rende conto che anche con Egon sta nascendo un’amicizia, come con Michael, e si sente meno solo. Anche il duca Ruggero gli piace molto e spera di poter approfondire il rapporto.

 

Ruggero e Janos posano di nuovo per Egon, l’ultima seduta per il loro ritratto.

Il pittore è euforico: ha appena parlato con Duckstein e insieme hanno definito gli ultimi dettagli della mostra che sta per essere inaugurata. I quadri sono già stati sistemati, a parte il ritratto di Ruggero e Janos, per cui è stato lasciato lo spazio e preparata la cornice. Verrà completato in giornata, incorniciato e portato nella galleria che ospita l’esposizione. Di lì passerà a palazzo Aquaforte, al termine della mostra.

Il gallerista ha avvisato Egon che ci saranno anche giudizi molto critici, ma Gustav glielo aveva già detto ed Egon l’ha messo in conto. Rispetto all’essere del tutto ignorato, essere oggetto di commenti anche sfavorevoli è comunque un passo avanti. Purché non tutte le critiche siano negative, ma questo Duckstein lo esclude.

 

Il quadro è già pronto, ma Egon voleva apportare qualche ritocco prima di esporlo. La seduta di posa è breve. Dopo una mezz’ora, il pittore dichiara il ritratto concluso.

Alla fine Ruggero osserva curioso l’opera, completamente diversa da quelle di Keller. È un po’ perplesso, ma nasconde i suoi dubbi: sa di non essere un intenditore di pittura. Janos invece è entusiasta.

- Che meraviglia!

Egon sorride.

- Sono contento che ti piaccia, Janos.

Ruggero chiede:

- Sei emozionato, Egon?

- Molto. Emozionato e confuso. Mi sembra un sogno. Spero di non svegliarmi.

- I tuoi quadri sono tutti alla mostra, ora?

- No, ce ne sono diversi che non ho esposto perché non mi convincono. E qualcun altro perché magari potrebbe destare scandalo.

Ruggero propone:

- Ci fai vedere questi quadri, Egon, se hai voglia e tempo?

Egon non si fa pregare. Guardano alcuni dipinti. Tra questi c’è anche un ritratto di Michael, nudo, steso sul letto.

Janos sorride e dice, rivolto a Ruggero:

- Non ti piacerebbe un ritratto di noi due così?

- Janos, non credo che Egon sia disponibile.

Egon dice, sinceramente:

- Credo invece che lo farei volentieri. Michael mi permette di fare una serie di studi di nudo, un tema che mi ha sempre affascinato, ma avere qualche altro soggetto da dipingere non mi spiacerebbe,

Ruggero guarda Janos.

- Non ho mai posato nudo, ma se ci tieni, Janos, e se Egon è disponibile, per me va bene. Nessun problema.

- Perfetto, allora finito questo quadro passiamo a qualche studio di nudo. Egon ci paga come modelli.

Egon ride. Michael gli ha pagato i primi due quadri, al prezzo stabilito da Duckstein. Potrebbe davvero pagarli e questo gli sembra incredibile. Naturalmente sarà il duca a pagare il ritratto che vuole.

Janos aggiunge, guardando il quadro:

- Certo che Michael è attraente.

Ruggero corruga la fronte come se l’apprezzamento di Janos gli desse fastidio. Janos si rivolge a Egon:

- A Ruggero non posso chiedere, perché poi diventa geloso, ma non trovi anche tu che Michael è un bel maschio, Egon?

- Sì, senz’altro.

Ruggero sorride: Janos si sta rivelando un utile alleato nell’esplorazione che sta conducendo.

 

Infine la mostra viene inaugurata. Duckstein ha preparato tutto in modo da dare il massimo risalto all’avvenimento. Gustav ha contribuito a diffondere la notizia e una sua intervista, pubblicata sulla Neue Freie Presse, ha suscitato un grande interesse. Michael e Ruggero hanno fatto la loro parte, parlando dei ritratti che Egon ha fatto loro.

La mostra di Egon Schulte diventa subito l’argomento del giorno. La critica si divide, come Duckstein e Keller hanno previsto: alcuni apprezzano molto questo pittore che segue nuove vie ed elogiano la sua potenza visionaria; altri stroncano senza pietà le sue opere, esempi della decadenza dell’arte e della morale. I forti contrasti suscitano la curiosità del pubblico, che affluisce numeroso. Tra i visitatori i dubbiosi e gli indignati sono molti. Gli entusiasti sono invece una minoranza, che è però alquanto agguerrita.

Egon è felice: è diventato un pittore famoso, ha ricevuto le lodi di diversi critici, ha venduto molti quadri. Non si preoccupa dei giudizi negativi, che aveva messo in conto: sa che battere nuove strade significa andare incontro all’incomprensione di molti.

Tra i visitatori c’è Gottfried Reichner. L’arte non rientra tra i suoi interessi, ma è venuto per curiosità. La mostra conferma l’idea che si era fatto: Schulte è un imbrattatele, ma evidentemente è riuscito a far credere di essere un artista.

Ormai gli è sfuggito, definitivamente, come quel Klaus Bauer che sembrava promettere bene e che ora è un attore famoso e stimato. Merda! Ci sono altri giovani, certo, non è difficile trovare ragazzotti disposti a vendersi, ma loro due hanno quell’eleganza naturale, che alcuni clienti apprezzano e richiedono. Gli scoccia, non poco, ma non è abituato a perdere tempo in recriminazioni inutili. Per fortuna adesso ha per le mani un altro giovane, molto disponibile, che rende bene: il bel Robert dai capelli rossi è stato un ottimo acquisto.

 

La sera successiva all’inaugurazione della mostra, dopo le prove dello spettacolo, Ruggero parla con Michael, che è a cena a palazzo Aquaforte.

- Michael, sono sicuro che a Egon piacciano gli uomini e tu gli piaci.

- Piacergli… è già qualche cosa, ma non mi basta.

- Per capire esattamente che cosa prova per te, devi farti avanti.

Michel annuisce. Ruggero insiste:

- Datti un termine. Dopo la rappresentazione, ad esempio.

- È tra quattro giorni, Ruggero!

- Appunto. Michael, non ha senso continuare in questo stato. Stai male.

Michael cerca di sorridere.

- Hai ragione, Ruggero, lo so. Devo farlo. Lo farò, sì, dopo la rappresentazione, hai ragione. Sì, lo farò.

Michael appare alquanto teso. Ruggero gli prende una mano e la stringe. Vederlo così indifeso lo commuove. Anche se Michael appare sempre sicuro di sé, Ruggero lo conosce troppo bene per non averne colto la fragilità. Non lo ha mai visto davvero innamorato, ma non si stupisce che anche a lui sia successo. Spera che Egon ricambi il sentimento, perché altrimenti Michael ne soffrirà moltissimo.

 

Ruggero e Janos posano di nuovo per il ritratto a letto. Egon propone di provare posizioni diverse, facendo disegni preparatori, poi decideranno quale scegliere per il quadro.

Ruggero e Janos si spogliano. Quando Ruggero si cala le mutande, Egon rimane senza parole. Non ha mai visto un maschio così dotato.

Si coricano sul letto. Ruggero si mette sulla schiena, la testa un po’ sollevata, e accarezza il capo di Janos, steso di traverso sul suo torace. In questo primo bozzetto di entrambi si vedono solo il busto e la testa, ma il disegno rende con grande forza il loro legame.

Poi Ruggero si siede sul letto e tiene un braccio intorno a Janos, appoggiato su di lui. Anche qui nel disegno si vedono i due busti e poco più.

Infine Janos si stende prono sul letto e abbraccia il cuscino. Ruggero si mette di fianco a lui, un braccio sulla sua schiena e una gamba sulle sue. È il bozzetto più esplicito: il corpo nudo di Janos è ben visibile, di schiena.

Quando Ruggero si alza, Egon vede che ha il cazzo duro. Ruggero si mette rapidamente le mutande, mentre dice:

- Egon, mi scuso, ma stare abbracciato a Janos mi fa un certo effetto, anche se cerco di pensare ad altro.

Egon sorride. Pensa a quando ha un’erezione dipingendo Michael e il vedere che anche Ruggero ha lo stesso problema gli fa piacere.

- Credo che sia la cosa più naturale di questo mondo.

- Senza dubbio, se ti piacciono i maschi e in particolare ti piace da impazzire quello contro cui ti strusci. A Janos però non è diventato duro e questo è un pessimo segno per me, temo.

Janos ride ed Egon sorride.

- Non ti vedevo neanche.

- Ma mi sentivi contro di te.

Janos scuote la testa e ride.

- Ho un maggiore autocontrollo, evidentemente.

Poi si rivolge a Egon:

- Ma non ti viene mai duro quando dipingi un nudo?

Egon non si aspettava una domanda così diretta, ma il clima è cordiale e Ruggero aveva un’erezione: gli sembrerebbe assurdo negare.

- Qualche volta sì, lo confesso. Se il soggetto mi piace davvero.

- Non ti chiedo con chi ti succede, perché mi sembrerebbe indiscreto.

Egon sorride e non dice nulla. Janos aggiunge, deviando il discorso:

- Certo che mi piacerebbe imparare a dipingere.

Ruggero storce la bocca e dice:

- Per dipingere nudi maschili? Magari Egon, che è bello, non come quello scimmione del duca d’Aquaforte?

- A te farei almeno un centinaio di ritratti, come… com’eri un momento fa.

Egon sorride. Apprezza la spontaneità di Ruggero e Janos e queste schermaglie, che testimoniano il loro amore.

Ruggero si rivolge a Egon:

- Egon, gli dai qualche lezione di pittura?

Egon ride.

- Perché no?

Janos non sembra convinto.

- Mi piacerebbe, davvero. Ma forse prima di rivolgermi a te, dovrei prendere qualche lezione di base. Disegno, ogni tanto, perché mi piace, ma non ho mai dipinto. E rivolgermi a te per farmi spiegare come si mescolano i colori o cose del genere… non mi sembra il caso.

Ruggero concorda:

- Quello che dici è sensato. Per una volta…

Il desiderio lo prende e bacia Janos. Egon sorride. Davvero li invidia. Gli piacerebbe avere qualcuno al suo fianco. Mentre lo pensa, immagina Michael. Il conte gli piace, molto, sia come persona, sia fisicamente.

 

La sera della rappresentazione dell’Agamennone è infine giunta. Michael ha fatto preparare un rinfresco per gli amici, prima dello spettacolo. Dopo ci sarà una cena, a cui parteciperanno anche gli attori. Gli invitati alla cena sono gli amici comuni di Michael e Gustav, a cui si sono aggiunti Egon, Ruggero e Janos.

Michael è entusiasta e tiene banco. Solo Ruggero coglie nella sua euforia una nota discordante: Michael sta cercando di non pensare ad altro.

Hugo è silenzioso e risponde appena quando qualcuno gli rivolge la parola. È molto teso.

 

Più tardi arrivano diversi ospiti, che sono stati invitati da Hugo e dagli altri: gli spettatori sono in tutto una cinquantina, quasi tutti uomini. Una delle poche donne è la contessa Weyr, che è venuta insieme al marito: Mathias ha chiesto che entrambi i coniugi assistessero allo spettacolo. È presente anche il conte Huber, che è venuto senza la contessa. Michael ha chiesto a Ruggero e Janos se volevano invitare qualcuno e il duca ha indicato Siegmund e Tobias, che è l’unico giornalista presente.

Anche per loro c’è un rinfresco, poi il gruppo raggiunge il salone da ballo. Michael non ha permesso a nessuno di entrarvi da quando sono incominciati i lavori e tutti sono curiosi di vedere il teatro che è stato allestito. Entrando nel locale, rimangono stupefatti: si trovano in un vero e proprio teatro, come quelli esistenti in alcuni palazzi principeschi. Non solo è stato installato un palcoscenico: l’intera struttura è stata decorata nello stile del salone, inserendo sculture, dorature ed affreschi. È tutto un trionfo di medaglioni, nodi d’amore e puttini. Sul lato della sala opposto al palcoscenico sono stati ricavati sei palchi: in alto uno di grandi dimensioni e altri due più piccoli a fianco, tre al di sotto. Il lampadario centrale è stato eliminato e sostituito da una serie di luci poste ai lati. L’insieme appare un teatro di fine Settecento, come il resto del palazzo, e nessuno penserebbe che si tratta di un inserimento contemporaneo. Infatti qualcuno chiede:

- Perché dicevate che il conte ha fatto costruire un teatro? Esisteva già.

- No, no, è tutto nuovo. L’ha fatto costruire nello stile del palazzo, ma questo era il salone da ballo.

Il pubblico prende posto. Le luci vengono spente e la sala sprofonda nel buio. Il sipario si apre e la vicenda ha inizio con l’annuncio del prossimo arrivo di Agamennone. Egisto e Clitemnestra in scena discutono sul da farsi. La regina ritiene che sia necessario sopprimere Agamennone, che prima o poi scoprirebbe il loro legame. Egisto è più dubbioso. È un dialogo aspro, nel quale Clitemnestra lancia accuse, mettendo infine Egisto con le spalle al muro.

Agamennone arriva. Clitemnestra lo accoglie festosa, mentre Egisto rimane in disparte. Segue un breve monologo di Egisto, che esprime il suo turbamento.

Lo spettacolo procede: Hugo ha deciso che non ci sarà intervallo. Agamennone ed Egisto si incontrano e il loro dialogo è pieno di sottintesi. Un passato inquietante emerge e la tensione cresce. Infine Agamennone allontana Egisto, ordinandogli di partire in esilio.

Il dramma volge alla fine. Clitemnestra ha condotto Agamennone nel bagno, dove lo lascia.

Agamennone si spoglia, con gesti lenti. È una scena muta, ma la postura e i gesti di Eldemar esprimono compiutamente la stanchezza del guerriero e il suo abbandonarsi al riposo nella propria casa, dopo anni di assenza. Ha un corpo forte, segnata dalle cicatrici create dal truccatore: davvero il corpo di un guerriero, che molte volte ha sfidato la morte in battaglia e che ora sta per incontrarla proprio dove non immaginerebbe mai di trovarla.

Eldemar si toglie la tunica e per un momento la tiene davanti a sé. Solo ora Gustav realizza che Eldemar non ha più niente addosso e che se lascerà cadere il tessuto che ha tra le mani rimarrà nudo davanti al pubblico. Come pittore ha dipinto molte volte uomini nudi, ma certo non se ne vedono a teatro: la censura lo vieterebbe.

Agamennone sembra perso nei suoi pensieri. Sorride, forse pregustando il piacere del bagno e del riposo. Si volta. Il corpo è ora interamente visibile, di schiena. Gustav osserva le spalle larghe e forti, il culo muscoloso, velato da una peluria scura. Gustav si dice che Eldemar è davvero uno splendido maschio.

Eldemar lascia cadere la tunica a terra. Poi si gira verso il pubblico, ma gli spettatori riescono appena a intravederlo perché una rete viene lanciata e in un attimo Agamennone è a terra, prigioniero. Invano si dibatte per liberarsi. Entra Egisto, la spada in mano. Il dialogo tra i due personaggi è concitato. Rabbia, desiderio di vendetta, attrazione si mescolano.

Egisto immerge la spada nel corpo di Agamennone, una prima volta e poi una seconda, una terza, una quarta, in un parossismo di rabbia. C’è sangue, sangue che scorre sul corpo di Agamennone, sangue che macchia le braccia di Egisto, che infine si china sul corpo senza vita e lo bacia sulla bocca.

 

Il sipario cala. Il pubblico applaude fragorosamente. Gli attori escono a ringraziare.

Dopo lo spettacolo è tutto un intrecciarsi di commenti.

Nuovamente Michael tiene banco, ride, scherza, risponde a chi chiede dettagli:

- Sì, sangue vero, di bue. Così è più realistico.

- L’abbiamo costruito dal nulla, era la sala da ballo.

- Eh sì, le prove sono state una faticaccia. Hugo non era mai contento.

- Sapevano tutti benissimo la parte. Non abbiamo avuto problemi con quello.

- Quando l’ho letto, mi sono subito detto: questa meraviglia io voglio vederla messa in scena.

- Tempi rapidissimi. Gli artigiani lavoravano a tutte le ore del giorno, quando non c’erano le prove. Anche la sera. E quando c’erano le prove, lavoravano nelle loro botteghe.

- Gli attori li ha scelti Hugo: io non conosco abbastanza il teatro viennese. Sono stato troppo in giro in questi anni.

- Io ho voluto che fosse perfettamente inserito nel palazzo, come se fosse stato costruito insieme.

- No, io non ho messo becco. Il regista è Hugo. Non saprei dirigere degli attori.

- C’era la loggia dell’orchestra. L’abbiamo trasformata, ricavandone il palco imperiale, no, il palco comitale, e due palchi minori ai lati. I palchi inferiori sono stati costruiti ex-novo.

- Il denaro serve per godersi la vita, no?

- Certamente, ne faremo altri. Hugo sta scrivendo un Alessandro che metteremo in scena qui.

Michael non smette di parlare, ma Ruggero ha di nuovo l’impressione che il suo entusiasmo sia forzato. Gli sembra che qualche cosa suoni falso nella sua allegria ostentata.

 

Gustav guarda Eldemar, che sta parlando con Michael. Pensa che farebbe volentieri un ritratto all’attore. Michael gli si avvicina.

- Gustav, devi fare un ritratto di Eldemar.

Gustav sorride. Si direbbe che l’amico gli abbia letto nei pensieri.

- Lo farei volentieri, ma… Männer è d’accordo?

- Certo, vieni.

Raggiungono Eldemar e Michael dice:

- Gustav ha accettato di dipingerti.

- Signor Keller, non avrei mai osato chiederlo e credo che non me lo potrei permettere, ma davvero essere ritratto da lei mi farebbe un piacere enorme.

Gustav scuote la testa.

- Io stavo pensando che le avrei fatto volentieri un ritratto.

Ridono tutti e due.

Michael dice:

- Allora, diciamo che gli fai due ritratti. Prima un ritratto classico, poi uno come Agamennone nella scena finale.

Gustav scuote la testa e dice:

- Michael, a volte ho l’impressione che tu mi consideri uno dei tuoi domestici.

Michael rimane un attimo spiazzato, poi reagisce con una certa foga:

- Gustav! Questo non è giusto!

- In pratica hai già deciso che quadri devo dipingere.

- Non è colpa mia se sei il miglior pittore vivente e se ogni tuo quadro è perfetto.

- Perché non chiedi a Egon?

Sul viso di Michael appare una breve contrazione, che lascia subito posto a un sorriso.

- Lo chiederò anche a lui, certamente. Altri due ritratti.

Gustav si rivolge direttamente a Eldemar:

- Come vede, il conte ha già deciso per lei, per me e per il signor Schulte. Non ci rimane che chinare il capo. Anche perché fargli cambiare idea è impossibile: è più testardo di un mulo e quando vuole qualche cosa, solo un fulmine potrebbe farlo desistere, incenerendolo.

Eldemar ride:

- Non ci resta che ubbidire. Ma dovremo combinare le sedute di posa con gli impegni nelle prove e nelle recite dei prossimi spettacoli.

 

Nella sala, da cui il pubblico incomincia a defluire, si intrecciano i commenti. Ruggero chiede a Egon il suo parere.

- Ti è piaciuta, Egon?

- Moltissimo.

- Michael ha fatto bene a farlo mettere in scena. Una storia violenta, di attrazione, amore e odio.

- Non avrei mai immaginato una simile rilettura del mito.

- L’ho trovata molto convincente. E devo dire che guardando Männer e Klar, capivo benissimo che Agamennone fosse attratto da Egisto ed Egisto da Agamennone. Due o tre volte sono stato tentato di mettere una benda sugli occhi di Janos.

Janos ride.

- Scemo!

- Non mi dire che nella scena finale, quando Männer si è spogliato…

- Scemo!

 

Quando gli spettatori se ne sono andati, c’è la cena con gli attori. Poi anche gli ultimi ospiti se ne vanno.

Michael si sente prendere dal panico. Non gli è mai pesato rimanere da solo, ma ora all’idea che se ne vadano tutti, si sente angosciato.

Si rivolge a Ruggero e Janos, che si stanno dirigendo al guardaroba.

- Ruggero, Janos… potete aspettare un attimo?

Ruggero risponde subito:

- Certamente.

Gli ultimi ospiti si congedano. Michael si rivolge ai due amici, cercando di nascondere l’angoscia che prova:

- Non avete voglia di dormire qui, questa notte?

Ruggero lo guarda: Michael si dice che deve aver capito benissimo la situazione. Come sempre a Ruggero basta pochissimo per cogliere i suoi stati d’animo.

- Se preferisci non rimanere solo, certamente. Non ti crea problemi, Janos?

- No, figurati.

Michael sorride. Sapeva di poter contare su Ruggero.

- Grazie.

Almeno potrà parlare ancora con qualcuno prima di andare a dormire. Sentirà la vicinanza dell’amico, anche se arriverà il momento in cui dovranno separarsi per andare a letto.

Ma Ruggero gli sa leggere dentro e chiede:

- Vuoi che dormiamo insieme a te, nel tuo letto?

Michael non osava chiederlo. A Ruggero avrebbe espresso il suo desiderio senza esitazioni, ma con Janos non ha un rapporto così intimo, nonostante a Venezia abbiano trascorso molte ore insieme.

- Grazie, Ruggero. Janos, davvero non ti importa?

- No, certamente. Mi va benissimo. Purché il letto sia abbastanza grande… E poi, Michael, tu sei un bell’uomo…

Ruggero scuote la testa.

- Io e te dormiamo nel tuo letto, Michael. Janos lo chiudiamo a chiave in uno sgabuzzino. Gli mettiamo un tappetino per terra ed è più che sufficiente.

Michael sorride. Sapere che Ruggero dormirà accanto a lui è un sollievo enorme.

 

Il letto è molto grande Ruggero si mette in mezzo, Janos e Michael ai suoi lati. Michael appoggia la testa sul petto di Ruggero. Sa che se Ruggero non si fosse fermato, probabilmente avrebbe trascorso una notte insonne, ma così, con un braccio dell’amico che lo cinge, si sente protetto e la sua sofferenza si attenua. Riuscirà a dormire. Ruggero gli accarezza piano il capo.

 

Il mattino dopo, mentre Michael è in bagno, Janos dice:

- Dopo colazione torno a casa. Credo che Michael abbia bisogno di parlare un po’ con te da solo.

Ruggero sorride. È contento che Janos abbia capito.

- Hai ragione, Janos.

A colazione discutono dello spettacolo. Quando hanno finito, Janos dice:

- Io adesso torno a casa. Devo fare alcune cose.

Ruggero e Michael rimangono soli.

- Dimmi, Michael.

Ruggero non ha specificato che cosa Michael deve dirgli, ma è chiaro a entrambi.

- Ruggero… in questi giorni mi sono concentrato nella messa in scena dello spettacolo, che mi ha permesso di pensare ad altro, ma adesso che c’è stata la recita… non so come affrontare le giornate. Assurdo, vero?

- Avevi detto che gli avresti parlato subito dopo la rappresentazione, Michael. Cioè oggi.

Michael guarda Ruggero. È spaventato.

- Oggi? Oggi no. E… se mi dicesse di no?

- Michael, è possibile. Come ti ho detto, ti vuole sicuramente bene e gli piaci, ma non so se sia innamorato. In ogni caso non credo che abbia senso andare avanti così. È ora che tu prenda il toro per le corna.

Michael annuisce.

- Lo farò.

Ruggero ha qualche dubbio sulla determinazione dell’amico, ma non dice nulla.

 

Michael deve posare per Egon nel pomeriggio: in serata hanno fatto tutti troppo tardi per essere attivi il mattino.

Michael si reca all’appuntamento con lo stesso entusiasmo di un condannato a morte che sale al patibolo: la paura prevale sul desiderio di vedere Egon.

Egon invece è euforico. I mesi trascorsi da Gustav, il successo della mostra, la cerchia di nuovi amici, la vendita dei quadri, l’attenzione del pubblico e dei critici: tutto ha contribuito a rendergli la sicurezza di un tempo, restituendogli l’ottimismo e la baldanza della sua giovinezza. Sorride a Michael e gli dice:

- Oggi finiamo con san Giovanni.

Michael sta posando come san Giovanni Battista, che nella cella attende di essere decapitato: un tema perfettamente in linea con lo stato d’animo del conte.

Nella tela Ruggero è il boia che entra nella stanza, la spada sguainata, pronto a decapitare il prigioniero: il duca deve ancora posare qualche volta, perché la sua figura è stata appena abbozzata. Ruggero è quasi nudo: solo intorno ai fianchi indossa una striscia di tessuto le cui pieghe nascondono i genitali, ma sembrano quasi coprire una formidabile erezione. E nella spada, tenuta in verticale, i critici del secolo successivo leggeranno un simbolo fallico: di fatto Egon sta dipingendo il momento che precede uno stupro, più che un’esecuzione. Di questo è cosciente. Il corpo del santo, inginocchiato a terra, nudo, sembra accettare la violenza che sta per subire. Nel quadro il pittore ha espresso il suo desiderio.   

Michael ha annuito alla frase di Egon, che ora aggiunge, un po’ sornione:

- E poi, se vuoi, ti faccio il quadro che volevi.

Michael non capisce subito: gli ci vuole un momento per realizzare che cosa intende dire l’amico.

- Egon, io…

Non riesce a continuare. Egon si rende conto che il conte è molto turbato.

- Che cosa ti succede, Michael?

Michael si avvicina. Non trova le parole. Egon è perplesso: non ha mai visto Michael così.

- C’è qualche problema, Michael? Non stai bene?

Michael scuote la testa. Cerca di reagire alla paralisi dei suoi pensieri, ma non ci riesce. Egon lo guarda, attendendo una spiegazione. Rimangono a fissarsi, Egon sempre più perplesso, Michael sempre più confuso.

Infine Michael china il capo, si volta e si dirige verso la porta.

- Michael!

Sentendosi chiamare, Michael si volta e guarda Egon.

- Scusa, oggi non va. Un’altra volta.

Michael esce.

Egon è preoccupato. Vuole bene a Michael e lo inquieta vederlo in queste condizioni. Passa nello studio di Gustav.

- Scusa se ti interrompo, Gustav, ma ho bisogno di parlarti un momento.

- Nessun problema, dimmi pure.

- Michael è passato da me, doveva posare, ma era sconvolto. Non riusciva a parlare e se n’è andato.

Gustav aggrotta la fronte.

- Senza una spiegazione? Senza dire nulla?

- No. Ha solo detto che oggi non va. Sembrava sconvolto. Non so… mi ha fatto paura… non so che cosa intenda fare.

La faccenda impensierisce Gustav: Michael non si è mai comportato così. Egon appare molto preoccupato. È opportuno intervenire.

- Senti, vado a cercarlo a casa sua. Tu magari vai dal duca d’Aquaforte. Sono molto amici e magari Michael si è fatto portare là. E se non è là, il duca è la persona in grado di trovarlo e aiutarlo. Andiamo insieme, io mi faccio lasciare a palazzo Walser, che è sulla strada, tu prosegui fino a palazzo Aquaforte.

 

Gustav ha indovinato. Michael non ha detto al cocchiere dove intendeva andare e questi, alquanto stupito nel vederlo uscire quasi subito, gli ha chiesto se doveva riportarlo a casa. Michael ha detto di sì, ma per strada si è reso conto di non essere in grado di rimanere da solo, per cui ha chiesto di essere accompagnato a palazzo Aquaforte, sperando di trovare Ruggero o almeno Janos.

Ruggero e Janos si stanno preparando per uscire quando Michael arriva. È chiaramente sconvolto. Ruggero pensa che Egon lo abbia respinto.

Michael guarda Ruggero, poi china la testa e dice:

- Non ce l’ho fatta.

- Non sei riuscito a parlargli?

- No.

Ruggero è stupito. Non ha mai visto Michael in simili condizioni.

Sono tutti e tre in salotto, quando un domestico annuncia l’arrivo di Egon Schulte.

È Janos a prendere l’iniziativa: con Egon ha un buon rapporto, anche perché tra loro ci sono solo due anni di differenza ed entrambi provengono da famiglie non ricche, per cui hanno dovuto guadagnarsi da vivere con il loro lavoro.

- Gli parlo io. Voi andate di là.

Ruggero accompagna Michael in un altro salottino.

Egon entra.

- Ciao, Janos. Scusa si disturbo, ma sto cercando Michael. Sono preoccupato per lui.

- Che cosa è successo?

- Non lo. È venuto da me per posare, ma non riusciva a parlare e poi se ne è andato. Sembrava sconvolto.

- Michael è di là, con Ruggero.

- Gustav l’ha pensato. Per questo sono venuto qui. Adesso mi sento più tranquillo. Ma non capisco il suo comportamento.

Janos decide di intervenire. Forse non dovrebbe farlo, è Michael che dovrebbe parlare, ma se il conte non ci riesce, è necessario sbloccare la situazione.

- Non è difficile da capire. È innamorato e non riesce a dirlo.

- Innamorato? Ma… vuoi dire… di me?

- Sì, senz’altro.

Egon sorride. Michael gli piace moltissimo ed è contento di essere amato da lui.

- Ma perché non me lo dice?

- Perché non sa che cosa provi e ha paura di un tuo rifiuto.

Egon abbassa la testa, poi la rialza, sorride e dice:

- Michael mi piace, parecchio. Non intendo dirgli di no.

- Questa è una gran cosa. Allora te lo mando di qua. Così vi parlate.

- Va bene, ci parliamo.

Janos esce e poco dopo entra Michael, spaventato. Non dice nulla.

Egon gli si avvicina, sorridendo, lo abbraccia e lo bacia. Michael lo guarda, sbalordito poi lo stringe con forza e ricambia il bacio.

Le parole non sono così necessarie.

 

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