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   Ritratti del conte Walser 
 Il
  domestico entra nello studio in cui Gustav sta dipingendo. - Signor
  Keller, il conte Michael Walser chiede di vederla. Gustav
  guarda sorpreso il domestico. Sa chi è il conte Michael Walser, ultimo
  discendente di una delle famiglie più ricche dell’Impero: gli è capitato di
  vederlo due o tre volte in società, ma non ha mai avuto modo di parlare con
  lui. È alquanto strano che si presenti a casa sua a metà mattinata, senza
  neppure avergli scritto una lettera o inviato un servitore per annunciargli
  la visita. Gustav
  indossa la lunga tunica con cui si copre abitualmente quando dipinge e ha le
  mani sporche di colore. Non c’è il tempo per cambiarsi e lavarsi. D’altronde,
  se il conte viene senza preavviso, non può pretendere di trovarlo in abito da
  sera. Lo riceverà così com’è. Dopo aver riflettuto un attimo, decide di
  accogliere l’ospite nello studio: così capirà subito di averlo interrotto mentre
  lavorava. Gustav non vuole apparire scortese, ma ha bisogno di procedere con
  il lavoro prima che la luce nello studio cambi. - Fallo
  entrare, Hans. Gustav
  prende uno straccio imbevuto di trementina e si pulisce le dita alla bell’e
  meglio. Il conte
  entra mentre Gustav sta posando lo straccio. Fino a ora Gustav non ha mai
  avuto modo di osservarlo con attenzione. Non è un bell’uomo, ma ha un viso
  interessante, in cui manca completamente la raffinatezza un po’ esangue che
  hanno spesso i membri delle famiglie nobili di antica origine. Eppure i
  Walser sono conti da almeno sette secoli. Gustav si dice che sarebbe un bel
  soggetto per un quadro di genere, una scena di campagna: c’è qualche cosa di
  rozzo nel viso del conte, quasi fosse un popolano. Ma c’è anche una notevole
  forza. - Mi
  scuso se la ricevo così, signor conte, ma non aspettavo visite e sono al
  lavoro. Il conte
  sorride. - Sono
  io che devo scusarmi, se mi presento in questo modo, senza preavviso. Ma
  sono… molto diretto. Qualcuno direbbe sfacciato. E credo che avrebbe ragione. Il conte
  si interrompe e ride, poi riprende: - Ho
  avuto modo di vedere diversi suoi quadri e ho deciso di farmi ritrarre dal
  più grande pittore vivente. Gustav
  sorride. - Allora
  è venuto a chiedermi l’indirizzo di Monet? Il conte
  ride di nuovo. - Ha
  capito benissimo, signor Keller. Ma me l’avevano detto che lei è molto
  modesto, virtù rara, che io non posseggo per nulla. Comunque voglio che mi
  ritragga lei, che è il più grande tra i pittori del nostro tempo. - La
  ringrazio dell’elogio, ma di fronte ad artisti come Monet, la sua lode appare
  quasi una presa in giro. - Lungi
  da me l’idea di prenderla in giro. Ho detto quello che penso, come sempre. E
  sono convinto di avere ragione: ho viaggiato molto e ho avuto modo di vedere
  ciò che si espone a Londra e a Parigi, a Mosca e a Berlino. Ci sono grandi
  pittori e senza dubbio Monet è tra questi, anche se apprezzo meno i suoi
  ultimi quadri. Tra i viventi, ritengo che lei sia il migliore. E per di più
  vive a Vienna, dove sono infine ritornato, almeno per un po’ di tempo. Un
  vantaggio non da poco. - Lei è
  molto sicuro delle sue opinioni. - Essere
  nobili e ricchi rende presuntuosi, temo. Nel mio caso è certamente vero. Ma
  lasciamo perdere questi dettagli. Vorrei farmi fare qualche ritratto da lei,
  ma devo averglielo già detto tre volte. Gustav
  annuisce. È un po’ disorientato. Ha spesso dipinto nobili, d’altronde ormai
  le sue quotazioni sono altissime e solo i nobili e i borghesi più ricchi
  possono farsi ritrarre da lui. Ma non gli è mai capitato che un nobile si
  presentasse a casa sua a metà di una mattinata di lavoro per chiedere un
  ritratto o addirittura “qualche ritratto”. Di solito viene contattato
  attraverso il suo gallerista, Jörg Duckstein, oppure
  gli scrivono chiedendogli un appuntamento o al massimo gli parlano a qualche
  serata mondana. - La
  dipingerò molto volentieri, lei ha un visto molto espressivo. Walser
  ride. -
  Alquanto rozzo, più da criminale che da aristocratico. E in uno dei quadri
  potrei farmi ritrarre come un criminale che va al patibolo. Gustav
  sorride. Molti nobili si sono fatti dipingere, nei secoli passati, come santi
  o eroi, ma ormai è molto più frequente farsi rappresentare così come si è e
  in ogni caso non come criminali. - È una
  richiesta un po’ insolita, ma ne possiamo parlare con calma. Non ora, però:
  sto lavorando e ho bisogno di proseguire prima che la luce cambi e mi
  costringa a interrompere. - Sono
  venuto senza chiederle un appuntamento proprio nella speranza che lei mi invitasse
  a rimanere, in modo da poterla vedere al lavoro. La ringrazio per il suo
  cortese invito. Gustav
  guarda Walser perplesso, poi scoppia a ridere. Il conte si è autoinvitato. - Va
  bene, se desidera assistere, non è un problema. Le chiedo solo di rimanere in
  silenzio. La
  presenza di un estraneo non infastidisce Gustav, purché non lo costringa a
  conversare quando ha bisogno di concentrarsi su ciò che sta facendo. -
  Prometto che sarò muto come un pesce. E mi metterò alle sue spalle, in modo
  che non mi veda e non rovini lo splendido ritratto della contessa Eysenbach. Il conte
  ha riconosciuto il soggetto del dipinto, com’è naturale: i titolati che
  frequentano la corte si conoscono tutti. Walser
  prende una sedia e si sistema in posizione defilata. Mantiene la sua parola:
  rimane in perfetto silenzio e Gustav si dimentica del tutto di lui, se non
  quando arretra per osservare meglio l’effetto del dipinto che sta ultimando.
  Il ritratto ormai è quasi completo. Le sedute di posa sono finite e Gustav
  sta lavorando al grande cespuglio di fiori che appare sullo sfondo. Mentre la
  figura femminile è resa con estrema cura e attenzione al dettaglio, il mazzo
  di fiori è soprattutto un gioco cromatico, in cui rossi, rosa, viola, gialli
  e verdi di tante tonalità diverse si mescolano, in uno di quei preziosi
  arabeschi che contribuiscono a rendere lo stile di Gustav inimitabile.  Quando
  Gustav ha concluso, si volta verso Michael. - Conte,
  la ringrazio per aver mantenuto il silenzio. - Piombo
  nel suo studio all’improvviso, senza nessun invito. Ci mancherebbe solo che
  disturbassi. Ma… Il conte
  si interrompe e sorride. Ha un bel sorriso. - Ma? - Ma in
  ringraziamento del mio silenzio, lei dovrà accettare un invito a pranzo. Oggi
  viene con me a mangiare. Così parleremo di ritratti, quelli che mi farà. Badi
  bene, non accetto un rifiuto. Gustav è
  un po’ stupito dell’invito, ma non ha motivo per dire di no. - Va
  bene, ma l’avviso che per le tre devo essere di ritorno. - Lo
  sarà, glielo prometto. - Allora
  adesso la faccio accomodare in salotto, mentre vado a rendermi presentabile.
  Non vorrà mica che l’accompagni al ristorante così? Non mi farebbero neanche
  entrare. Gustav
  allarga le braccia, mostrando la tunica sporca di colore e le mani macchiate. Walser
  scuote la testa. - Non
  voglio farle fare cattive figure, anche se secondo me la giudicherebbero
  un’eccentricità perdonabile: dal grande Gustav Keller si può tollerare quasi
  tutto. Però, dato che, come le ho detto, sono sfacciato, le chiederei di
  lasciarmi aspettare qui. Ne approfitterei per curiosare tra i suoi quadri. Gustav
  scuote la testa, divertito, e si rassegna: - Va
  bene, come desidera, ma non credo che troverà niente di interessante. Gustav
  si toglie la tunica e raggiunge il bagno. Si spoglia e si lava con cura le
  mani e le braccia: non ha certo il tempo per far riempire la vasca e poi
  immergersi. Il conte non è abbigliato in modo particolarmente elegante, per
  cui probabilmente non andranno in un ristorante esclusivo, ma al momento di
  rivestirsi Gustav preferisce scegliere un abito che non sfiguri anche in un
  locale molto elegante. Davanti allo specchio controlla che tutto sia a posto.
  Non è un bell’uomo, ma non ama apparire trasandato e tanto meno sporco.
  Diffida di coloro che sostengono che il genio si accompagna con la
  sregolatezza: se è diventato uno dei più stimati pittori del suo tempo, è
  perché ha sempre lavorato duramente per sviluppare il suo talento.  Gustav
  fa avvisare la cuoca che non mangerà a casa e ritorna nello studio, un vasto
  locale molto luminoso, sul retro della casa. Il conte è seduto a terra che
  osserva un quadro, il ritratto di un uomo giovane, di corporatura robusta,
  con capelli, baffi e barba rossicci. - Signor
  conte! Non si sieda a terra, nello studio di un pittore… rischia di
  macchiarsi con i colori. Può spostare il quadro, se vuole osservarlo meglio. Michael
  Walser scuote la testa. - No,
  non mi permetterei mai di toccare alcunché. Chi è il soggetto? È un viso che
  ho già visto. -
  Richard Kleindorf, il musicista. Il conte
  batte con le dita di una mano sul palmo dell’altra. - Ecco
  perché mi pareva un viso noto: me l’hanno indicato una sera, all’uscita da un
  teatro. Il compositore, quello dell’Agamennone.
  Che potenza! L’ho visto a Parigi e sono rimasto senza parole. Il che mi succede
  di rado, come avrà capito: parlo troppo, lo so. - Sono
  contento che le sia piaciuto. Molti non l’hanno apprezzato. - Molti
  sono rimasti a Beethoven, per non dire a Mozart. E di sicuro ha fatto
  scandalo il tema, ma c’è una forza in quell’opera. La scena dell’incontro tra
  Egisto e Agamennone, con la tensione che sale… e poi il delitto, questo
  omicidio che è quasi un amplesso, per non dire uno stupro. E quel pugnale
  che… mi è venuta la pelle d’oca. E non solo. “E non
  solo” è detto con un sorriso sornione, che lascia interdetto Gustav. Il
  pittore preferisce non replicare. Intanto il conte ridacchia e si alza. - Adesso
  la rapisco, ma non tema: entro mezzanotte Cenerentola potrà tornare nella sua
  casetta. Gustav
  scuote la testa. - Le
  tre, non mezzanotte. Ho una seduta. - La
  contessa Eysenbach? - No,
  non ho più bisogno che la contessa posi per il suo quadro. Gustav
  non intende dire chi è il soggetto che dipingerà: gli sembrerebbe
  un’indiscrezione, per quanto nessuno dei suoi clienti gli chieda di mantenere
  il segreto: molti invece sono orgogliosi di poter dire che il grande Keller
  li sta ritraendo. Walser non insiste. - La
  mezzanotte di Cenerentola diventerà le ore tre. Prima che le campane di Santo
  Stefano suonino le tre, le garantisco che la ricondurrò alla porta di casa.
  Non intendo rapirla. Non la prima volta che la invito a pranzo, almeno. La
  seconda… si vedrà. Il conte
  ha la sua carrozza, con cui raggiungono un ottimo ristorante sul Ring. Gustav
  è contento di essersi vestito bene. Dopo che
  hanno ordinato, Michael Walser pone alcune domande generiche, sui quadri a
  cui sta lavorando Keller e sui suoi progetti. Gustav risponde senza entrare
  nei dettagli, ma nota che il conte lo ascolta con molta attenzione.  Poi
  Walser si scusa per la sua irruzione nello studio. - So che
  non mi sarei dovuto presentare come ho fatto, senza avvisare, ma speravo di
  vederla ieri sera dagli Ephrussi, mi avevano detto
  che ci va abbastanza spesso. Ma ieri sera non c’era ed era già la seconda
  volta che la cercavo. Non si può pretendere da me che faccia pure un terzo
  tentativo: sono quindici giorni che sono tornato a Vienna e la cerco, senza
  riuscire a vederla. Ho deciso di andare a colpo sicuro. - Non
  frequento molto l’alta società. Ma io l’ho vista qualche volta. - Quando
  non la cercavo ancora. Poi si è dileguato. Forse ha sospettato qualche cosa… In
  realtà Gustav va pochissimo ai ricevimenti mondani: esclusivamente quanto
  serve per non apparire scostante o villano. Il mondo dei salotti non gli
  dispiace: l’ha sempre considerato una realtà interessante, anche se da
  prendere a piccole dosi. Ma negli ultimi due anni ha diradato la sua
  presenza: a lungo ha avuto una ferita che bruciava e che ogni incontro
  riapriva. Ora la ferita si è rimarginata e il rischio di un incontro non
  esiste più, ma Gustav preferisce mantenersi a distanza.  Solo
  dopo che hanno mangiato il primo, Michael propone il tema che lo interessa,
  mentre aspettano il secondo: -
  Allora, signor Keller, vorrei farmi fare da lei una serie di ritratti. - Una
  serie, addirittura? - Sì,
  uno solo non mi basta. So che questo richiederà un po’ di tempo, perché lei è
  molto occupato. E non potrebbe essere altrimenti, visto che è il pittore più
  ricercato ed amato, giustamente.  Gustav
  sorride. L’entusiasmo del conte gli sembra eccessivo. -
  Diciamo che possiamo incominciare con un ritratto, poi, se sarà soddisfatto,
  vediamo gli altri. - Mi
  dichiaro soddisfatto fin da ora, per cui si deve ritenere impegnato per
  almeno… diciamo cinque ritratti. -
  Cinque?  - Non
  uno di meno, magari uno di più, se occorre. O anche due. -
  Praticamente conta di assumermi al suo servizio? - Non mi
  permetterei mai. Ma lei dipinge sempre donne bellissime e ci vuole come
  contraltare qualche ritratto di un uomo molto brutto. Altrimenti i posteri
  diranno che lei sapeva dipingere solo belle donne. Gustav
  scuote la testa. - Non mi
  dica che lei è brutto. Non lo dica a un pittore. Per un pittore… per me,
  almeno, è brutto ciò che è insignificante e non vale la pena di dipingere. Ma
  lei ha un viso molto interessante. La dipingerò volentieri. -
  Grazie. -
  Comunque, ho dipinto diversi uomini che non vengono considerati belli. La
  bellezza che mi interessa non è quella di un viso armonioso, dai lineamenti
  regolari. -
  Perfetto, allora sono il soggetto ideale. - Adesso
  però non usi le mie parole contro di me. - Non
  oserei mai.  Gustav
  assume un’espressione perplessa. - Non ne
  sono così sicuro. Michael
  ride. La conversazione prosegue, centrata sui ritratti che il conte richiede: - Direi
  che potremmo incominciare con un ritratto vestito. Gustav
  si chiede se il conte intenda posare nudo. Le parole successive rispondono
  alla domanda inespressa. - Poi
  facciamo sul serio e mi dipingerà nudo. - Come
  un antico guerriero? - No,
  direi di no. Se devo essere un antico guerriero, potrei essere… sì,
  Agamennone ucciso da Egisto nell’Agamennone
  di Kleindorf.  - E chi
  dovrei dipingere nel ruolo di Egisto? -
  Nessuno. Solo il corpo senza vita di Agamennone. -
  Ritratto da morto… non è comune. - Ha
  dipinto Giuditta con la testa di Oloferne, no? E Giuditta era Adele Strauss,
  anche se lei ne ha alquanto idealizzato i tratti. - Il
  quadro era un ritratto di Giuditta, non di Oloferne. - In
  ogni caso farà anche la mia testa tagliata, un san Giovanni Battista. - Ma
  devo dipingerla sempre morto? Il conte
  ride: - No,
  vivo. Ma ne parleremo. Anche la testa decapitata, no… non si può decapitare
  una testa… diciamo: la testa tagliata, insomma, anche quella è solo un’idea.  La
  conversazione procede senza difficoltà. Walser parla volentieri, ma sa anche
  ascoltare, una dote non così comune. Gustav si trova bene con lui, benché a
  volte la sua impudenza lo spiazzi: l’espansività del conte compensa la sua
  riservatezza. Dopo il
  dessert, il conte chiede, a bruciapelo: - Posso
  chiamarla Gustav? È un bellissimo nome. E avrò modo di conoscerla bene, con
  questa serie di ritratti. A Gustav
  questa familiarità appare prematura, ma non vuole apparire scostante.  - Va
  bene. Come desidera. -
  Grazie, Gustav. Sarà un piacere posare per te. E quando non starò fermo come
  devo, mi sgriderai dicendo: “Michael, testa di cazzo! Sta’ fermo”. Il conte
  non si è limitato a chiamarlo per nome, ma è passato al tu, anche se le due
  cose non vanno necessariamente insieme. Evidentemente non ama le formalità ed
  è alquanto sicuro di sé. Anche il “testa di cazzo” non si addice a una
  conversazione tra due gentiluomini che si sono appena conosciuti. Ma a Gustav
  non dà fastidio. Il conte, per quanto sfacciato, gli è simpatico. Se
  occorrerà, Gustav gli farà capire che non intende dargli troppa confidenza: è
  riservato per natura, ma forse proprio per questo apprezza le persone
  estroverse. Nonostante il grandissimo successo, Gustav rimane un uomo poco
  sicuro di sé nei rapporti interpersonali. In questo, lo sa benissimo, giocano
  diverse esperienze negative. -
  Normalmente non tratto i miei soggetti così. Temo che non troverei più
  nessuno disposto a posare. -
  Meglio, così rimarrei solo io, che non mi lascio scoraggiare facilmente. Non
  ti dovrò dividere con nessuno. Gustav
  scuote la testa.  -
  Insomma, vuoi farmi perdere tutti i clienti… - No, no
  che, dici, Gustav!?  Ridono,
  poi Michael dice: - Adesso
  parliamo sul serio. Quando incominciamo? Non mi dire tra tre mesi, perché non
  se ne parla neanche. Mi piazzo davanti a casa tua e non me ne vado finché non
  mi fai posare. - Non te
  lo consiglio. Ormai è autunno e presto dovresti accendere un falò per
  riscaldarti. Michael
  ride: -
  Allora, per non provocare la mia morte per assideramento, dovrai per forza
  trovare uno spazio per me. Gustav
  riflette un attimo. Il quadro per la grande esposizione annuale, che il suo
  gallerista Jörg Duckstein ha organizzato per
  febbraio, è pronto: è una mostra in cui Duckstein
  riunisce il meglio della pittura contemporanea e, in base a un accordo che
  hanno preso, Gustav propone solo un quadro. Il gallerista non vuole che le
  opere di Keller mettano in ombra le altre, ma non concepisce di allestire una
  grande esposizione di arte senza un’opera di quello che per molti è il più
  grande pittore dell’impero, se non d’Europa. Gustav è
  impegnato nella preparazione di due ritratti e sta lavorando a un altro
  quadro, che non ha un committente. Aveva una mezza intenzione di riprendere
  un vecchio progetto, quello di un paesaggio notturno, ma può rimandarlo. - Senti,
  se sei impaziente, possiamo fare la settimana prossima. Martedì pomeriggio,
  verso le tre? Sei libero? - Sono
  sempre libero per te, posso venire anche alle tre di notte, al rientro da
  qualche noiosissima festa. Poi però mi inviti a fermarmi per la notte. Quel
  che ne rimane… - A
  quell’ora normalmente dormo. - Sì, so
  che non frequenti molto i salotti. Sai come farti desiderare. - Non mi
  faccio desiderare. Non vado molto nei salotti e non rimango a lungo alle
  feste perché voglio avere il tempo per dipingere.  - Non
  vuoi farti desiderare, ma così la tua presenza diventa preziosa. Gustav
  alza le spalle. Preferisce non parlare degli altri motivi che stanno dietro
  la sua scarsa presenza ai ricevimenti mondani. Fino a
  ora Michael non ha chiesto il prezzo del ritratto. È un elemento che di
  solito Gustav non discute con chi gli chiede un quadro, perché preferisce che
  se ne occupi Duckstein: il suo gallerista gli fa
  anche da intermediario. D’altronde abitualmente i clienti non si rivolgono
  direttamente a lui. Visto
  che il conte non tocca l’argomento, al momento di alzarsi da tavola Gustav
  dice:  - Per il
  costo, passa da Duckstein: è lui a occuparsi di
  questi dettagli. Il
  prezzo di un quadro di Keller non è certo un dettaglio, ma per un uomo ricco
  come il conte Walser probabilmente lo è. - Non
  occorre. Mi dirai quanto costa e io pagherò. Non mi metto a contrattare con
  il grande Keller. Gustav
  non è soddisfatto della risposta, perché preferirebbe che i patti fossero
  chiari fin dall’inizio, ma ritiene più opportuno non insistere
  sull’argomento: il conte Walser è ricchissimo e per lui non è certo un
  problema pagare un quadro, per quanto possa trattarsi di una cifra alquanto
  consistente. * Egon si spoglia. Non è pudico, ma è la
  prima volta che esibisce la sua nudità di fronte a tante persone: nella sala
  gli allievi sono almeno una quindicina. Prova un leggero imbarazzo, anche se
  i presenti sono tutti pittori, come Egon stesso. Il maestro gli fa cenno di
  salire sulla pedana, che è stata collocata a un’estremità della sala, e gli
  dà le indicazioni su come mettersi. La posa è quella di un san Sebastiano.
  Egon si appoggia alla colonna che è stata collocata sulla predella, mette la
  mano destra dietro la schiena e alza il braccio sinistro, portandolo
  leggermente indietro fino a che la mano non tocca il sostegno. Il piede
  sinistro è un po’ sollevato e solo le dita toccano terra, mentre il destra
  poggia per intero sulla pedana. Malgrado il sostegno fornito dalla colonna,
  non è una posizione comoda da mantenere a lungo. Il maestro gli dà ancora
  alcune indicazioni su come tenere il capo. I
  pittori si sono distribuiti nella sala, per cui lo disegneranno da tanti
  punti di vista. Qualcuno, dopo che Egon si è messo in posizione, si sposta un
  po’, alla ricerca dell’angolo giusto, ma non c’è molto spazio per muoversi.  Gli artisti
  incominciano a tracciare sulla tela o su un grande foglio da disegno i tratti
  del soggetto. Poi alcuni si metteranno a dipingere, altri si limiteranno a
  tracciare qualche schizzo, da utilizzare in futuro per un Sebastiano o
  semplicemente per un nudo maschile. Egon è
  abituato a posare, anche se è la prima volta che lo fa senza vestiti. Queste
  sedute di posa sono un buon modo per racimolare qualche soldo, di che pagarsi
  i colori e le tele o, in alternativa, i pasti. Per le due cose insieme non
  bastano, per cui Egon salta spesso il pranzo e talvolta anche la cena. In
  qualche modo tira avanti, ma l’avvicinarsi dell’inverno lo angoscia: la
  soffitta in cui vive e lavora è gelida. Egon ha racimolato a fatica i soldi
  per pagare l’affitto del mese, ma non ha quelli per comprare la legna. Non ama
  queste sedute di posa e se non avesse bisogno di denaro non si presterebbe.
  Non è il posare che gli pesa, neanche nudo come ora. Il problema è un altro:
  durante le sedute deve rimanere immobile e i pensieri vagano. Incomincia a
  pensare all’affitto da pagare per la miserabile soffitta, ai quadri che si
  accumulano senza nessuna possibilità di essere mai venduti, alla perenne
  lotta contro la fame e in inverno anche contro il freddo. Spesso al termine
  della seduta è in preda all’angoscia. Tiene le
  palpebre un po’ abbassate, ma tra le ciglia osserva i pittori, senza muovere
  la testa. Ne conosce qualcuno, ma nessuno è amico suo. Egon ha pochi amici:
  quando non lavora per guadagnarsi il pane si dedica alla pittura e la miseria
  lo ha reso poco socievole. Non vuole dare l’impressione di mendicare un pasto
  da coloro che un tempo erano suoi amici, non ha denaro da spendere in qualche
  bettola. Ci sono momenti in cui pensa seriamente di abbandonare la pittura e
  cercarsi un lavoro che gli permetta di vivere decentemente. Quando la
  sofferenza diventa troppo forte, immagina di fare un grande falò di tutti i
  suoi quadri e di morire tra le fiamme, sfuggendo per sempre al freddo della
  sua soffitta.  Ora si
  dice che forse, se invece dei pittori armati di matite, carboncini e
  pennelli, ci fossero davvero soldati con archi e frecce, non sarebbe male:
  almeno le sue sofferenze avrebbero fine. La
  seduta arriva infine alla conclusione.  Mentre
  Egon si riveste, uno dei pittori gli si avvicina. -
  Buongiorno. Mi chiamo Gottfried Reichner. Spero di
  non disturbare. Volevo farle una proposta e, se lei permette, la inviterei a
  cena, così possiamo parlare con calma. Egon non
  sa di che proposta possa trattarsi, ma l’idea di un invito a cena è alquanto
  allettante. Per una volta non dovrà porsi il problema se spendere quanto ha
  guadagnato nel cibo o nel materiale per dipingere.   - La
  ringrazio. Vengo volentieri, purché sia un posto caldo. Posare nudi in un
  ambiente come questo non è il massimo. -
  Immagino. Sarebbe meglio farlo in una casa ben riscaldata. Egon
  pensa a quella che dovrebbe chiamare casa, la soffitta gelida dove vive: al
  confronto, la sala dell’accademia è calda e accogliente.  Reichner prende una carrozza e
  raggiungono il ristorante, un locale tranquillo, senza pretese. A Egon fa
  piacere perché il suo abito logoro non si nota troppo. Dopo che
  hanno ordinato da mangiare, è Gottfried a dare inizio alla conversazione. - Il
  maestro mi diceva che anche lei è pittore. - Sì, è
  vero. - Si
  offre come modello per procurarsi un po’ di denaro, suppongo. - Sì, se
  potessi contare solo sui miei quadri… sarei già morto di fame. Egon
  ride, nascondendo il suo scoramento, e aggiunge: - A meno
  che lei non mi invitasse a cena tutti i giorni. Anche
  Gottfried ride. Poi chiede: - Svolge
  anche qualche altro lavoro? -
  Talvolta, sempre per lo stesso motivo. Egon
  incomincia a sentirsi un po’ a disagio. Non ha voglia di esibire la sua
  povertà. Domanda: - E lei?
  Non vive di pittura, vero? Gottfried
  ride di nuovo.  - No. Mi
  piace mangiare a pranzo e a cena e magari fare anche colazione. Tutti i
  giorni. Belle pretese, vero? In
  effetti per Egon sarebbe una bella pretesa, ma ci ha rinunciato da tempo. L’arrivo
  del primo piatto interrompe la conversazione. Egon si sforza di mangiare
  lentamente, nascondendo la voracità che la vista del cibo scatena in lui. Un
  pasto abbondante… da quanto tempo non gli capita? Quando
  hanno finito, Gottfried riprende: - Volevo
  proporle una seduta da me. Vorrei poterla dipingere con calma. Lei è un soggetto
  molto interessante. La
  proposta non è strana. Egon non è un modello professionista, ma è normale che
  Reichner, avendolo visto posare all’accademia, gli
  chieda di posare anche per lui. C’è però qualche cosa, nel tono di voce
  dell’uomo, nel suo sorriso ammiccante, che non convince Egon. Nei confronti
  di questo ricco borghese prova un’istintiva diffidenza. L’arrivo del secondo
  interrompe la conversazione. Mentre stanno mangiando, Reichner
  aggiunge: - Pago
  molto bene. Egon ha
  un sospetto. Si riempie la bocca con un altro boccone per avere il tempo di
  pensare alla risposta. L’uomo
  insiste: - Che ne
  dice, Schulte? O posso chiamarla Egon? Non le
  dispiace guadagnare un po’ di denaro, no? Visto che è povero, come tanti
  artisti. Potremmo conoscerci meglio… Gli ultimi
  dubbi sono svaniti. Egon è irritato e deluso. Fissa
  negli occhi Reichner. - Signor
  Reichner, non so se ho capito le sue intenzioni.
  Forse ho frainteso e in questo caso mi scuso anticipatamente, ma… mi verrebbe
  quasi da pensare che non siano sedute di pittura quelle che mi propone.  Reichner ride. - Anche
  sedute di pittura, sì. La disegnerei ancora volentieri nudo, come oggi, ma
  magari steso su un letto, in una posa… un po’ meno statuaria. Gottfried
  ride.  Egon sa
  che deve alzarsi e andarsene, anche se gli costa interrompere il pasto. - Mi
  spiace, signor Reichner, non è mia intenzione
  vendermi. La ringrazio per la cena e mi scuso se non le tengo più compagnia. Si alza. Reichner sorride.  -
  Suvvia, signor Schulte, non rinunci a un buon
  pasto. Non credo che le sedute di posa le permettano di venire spesso in un
  ristorante come questo. La frase
  è detta con un tono paterno, ma per Egon è uno schiaffo. Egon si morde il
  labbro, poi risponde: - Sono povero,
  è vero, ma questo non le dà il diritto di insultarmi. Le auguro una buona
  serata. Egon si
  volta e se ne va. Gottfried scuote la testa: orgoglio e miseria non stanno
  bene insieme. Quando si è poveri, bisogna saper fare i conti con la realtà.
  Ma evidentemente Schulte preferisce crepare di
  fame.  Gottfried
  riprende a mangiare: non è il caso di lasciar raffreddare l’arrosto. Poi
  ordina ancora il dessert. L’inverno sarà lungo e freddo. Magari Schulte diventerà più malleabile. Ha davvero un bel
  corpo, Egon Schulte, e una bella faccia. È merce di
  lusso e ci sono molti uomini a Vienna che sarebbero disposti a pagare uno
  sproposito per uno così. Se poi fosse vergine, se lo fosse il suo culo, per
  essere più esatti, ci sarebbe da farci un sacco di soldi. Ci sono molti
  uomini che cercano un maschio esperto, che sappia come farli godere e che non
  abbia inutili pudori. Ma ci sono clienti più esigenti, che vogliono cogliere
  il fiore per primi. Gottfried soddisfa i loro desideri: ci sono molti poveri
  a Vienna e tra questi non mancano i bei giovani. Certo, si tratta spesso di
  maschi un po’ grezzi, mentre questo Schulte ha
  un’eleganza naturale che lo rende quanto mai attraente. Sì, merce di lusso,
  davvero. Un sogno da vendere a caro prezzo. E prima o poi cederà, perché questo
  imbrattatele è un morto di fame. Il
  mercante di sogni sorride. Egon si
  dirige verso casa: ha molta strada da fare, ma non può certo permettersi di
  prendere una carrozza. La notte è calata e l’autunno avvolge le strade in una
  nebbia leggera. La giacca di Egon è troppo consunta per offrire ancora una
  protezione contro il freddo. Egon rabbrividisce. È solo novembre, ma
  l’inverno già s’annuncia. Mentre
  cammina, ripensa all’incontro con Reichner. Non è
  aver interrotto il pasto a pesargli: ha mangiato più e meglio di quanto gli
  riesca di solito. Ma la proposta lo ha umiliato: era un invito a
  prostituirsi, di questo si trattava. È giunto a un livello di miseria per cui
  altri uomini pensano di poterlo comprare. Carne in vendita. Non è la prima
  volta che qualcuno gli fa capire che potrebbe guadagnare qualche banconota
  vendendosi: Egon è davvero un bell’uomo. Possiede un corpo armonioso, un viso
  virile, ma regolare, e il fascino della giovinezza. Vendersi,
  occasionalmente. Vendersi per poter continuare a dipingere quadri che non
  interessano a nessuno, che verranno bruciati alla sua morte o venduti perché
  altri possano riutilizzare le tele. Egon si chiede se ciò che sta facendo ha
  un senso. Forse dovrebbe semplicemente abbandonarsi alla morte. La morte
  dovrebbe essere lontana, ma Egon ci pensa spesso. Non può continuare a lungo
  a saltare pasti e patire il freddo. L’inverno in arrivo, nella soffitta
  gelida, senza i soldi per la legna, senza una coperta decente, è una minaccia
  mortale. E forse la morte è preferibile a questa esistenza di stenti. Arrivato
  alla casa dove abita, Egon saluta il portinaio. L’uomo gli dice: - È
  passato il padrone di casa per l’affitto. Gli ho detto che lei non c’era.
  Ripasserà domani. Devo dirgli che è via? Egon
  sorride. Il portinaio è un uomo buono, che lo ha preso in simpatia e cerca di
  dargli una mano. Egon ha dipinto un ritratto di sua figlia Petra, per
  ringraziarlo. - No,
  grazie signor Grossman, ho i soldi per pagare.
  Almeno questo mese. Grossman sorride. - Va
  bene. Allora gli dirò di salire senza problemi. -
  Grazie. E buona notte. Egon
  raggiunge la soffitta. Guarda i suoi quadri, accatastati in un angolo. Un
  senso di scoramento lo assale. Pensa che sono più che abbastanza per un bel
  falò, in cui bruciare i suoi sogni. * Michael
  rimane perfettamente immobile: è un buon modello, non come il banchiere Freimann, che cambiava posizione ogni minuto, senza
  neppure rendersene conto, e che alla fine Gustav ha rinunciato a dipingere.
  Ma non è stato l’unico. Gli uomini spesso non riescono a mantenere la posa:
  dopo dieci minuti sono convinti di aver già fatto abbastanza, come se
  avessero posato per un’ora. Le donne di solito sono modelle molto migliori,
  con poche eccezioni. Ma Michael è perfetto: fermo e silenzioso. Gustav
  ha già tracciato sulla tela il disegno con il carboncino e ora sta dando il
  colore. Il tempo passa in fretta. Ogni tanto Gustav concede a Michael una
  pausa, di sua iniziativa, perché il conte non si lamenta mai, neanche quando
  i tempi si allungano perché Gustav vuole definire un elemento prima di
  fermarsi. Negli intervalli Michael vuole vedere il quadro. Questo a Gustav
  non va molto, perché alcuni incominciano a fare osservazioni e a dare
  suggerimenti non richiesti, perciò preferisce che il soggetto veda l’opera
  solo alla fine. Quando però gli viene esplicitamente richiesto, acconsente a
  mostrarla, perché non vuole apparire scortese. Michael si limita a mostrarsi
  ammirato: non ha critiche da fare o spiegazioni da chiedere o, come qualche
  volta succede con altri soggetti, modifiche da suggerire. Davvero un ottimo
  modello, che rimane al suo posto e non pretende di affiancare il pittore o –
  peggio – di sostituirglisi. Parlano
  un po’ nelle pause. Michael chiede alcune informazioni sui colori usati per
  questa tela e per altre che Gustav ha già dipinto, ma non pretende di sapere
  come procederà il pittore. Le tre ore passano in fretta e Gustav è
  soddisfatto. Quando
  la seduta è finita, Michael dice: - E
  adesso vieni a cena con me. Gustav
  scuote la testa. - Mi dispiace:
  non posso, sono a cena con gli amici. Michael
  appare deluso. - Molto
  scorretto da parte tua, ci tenevo. - Non è
  colpa mia. Dovevi dirmelo prima. - Va
  bene, allora te lo dico subito: dopo la seduta di posa, sei invitato a cena,
  tutte le volte, finché non ti stufi di me. - Allora
  dovremo cambiare giorno. Il martedì abbiamo preso l’abitudine di vederci con
  gli amici. Gustav
  esita un attimo. Gli è venuto in mente che potrebbe invitare Michael.  - Però… - Però? - Se
  vuoi unirti a noi, potrò presentarti Hugo von Homborg,
  l’autore dell’Agamennone, il testo
  teatrale, quello da cui Kleindorf ha tratto
  l’opera. Michael
  lo interrompe: - Cazzo!
  Non sapevo che ci fosse anche un testo teatrale. Lo svantaggio di aver
  viaggiato molto! Me lo sono perso. Cazzo! Lo cerco domani stesso. - Se
  vuoi ti presto la mia copia. - Se non
  lo trovo, certo: adesso che me l’hai detto, voglio leggerlo. - Questa
  sera c’è l’autore. Così te lo presento. - Lo
  conoscerò molto volentieri. Il nome mi dice qualche cosa… massì,
  non è quello che ha scritto Riunione di
  famiglia?  - Sì, è
  lui. E  anche Lungo il fiume. E l’ultimo, Sera,
  che è andato in scena pochi mesi fa e ha avuto un buon successo.  - Sera
  me la sono persa, ero a Venezia. Lungo
  il fiume l’ho vista a Parigi. Riunione
  di famiglia non mi aveva entusiasmato. Troppo ibseniano, come dramma. - È
  stata la sua prima opera a essere rappresentata. Aveva appena ventidue anni
  quando l’ha composta. È stata un grande successo. - Sì, me
  lo ricordo. Ma Lungo il fiume mi ha
  convinto di più. E adesso questo Agamennone,
  che devo assolutamente leggere. Se vale quanto l’opera… a proposito: non mi
  dire che questa sera magari c’è anche Richard Kleindorf.
   Gustav
  ride: - Sì,
  c’è anche lui. Se non ha qualche altro impegno… - Cazzo!
  Cazzo! - C’è il
  mio gallerista, Jörg Duckstein, e poi alcuni altri
  amici. Siamo dodici-quindici, di solito. Di rado di più. - Grazie
  per questo invito. Fantastico! Sarà un piacere conoscerli. Non vedo l’ora.
  Non devo passare a cambiarmi, vero? Michael
  indossa un abito da pomeriggio, poco adatto a una serata in un ristorante
  esclusivo. - No,
  no. Sei fin troppo elegante. È una serata tra amici, solo uomini, in un buon
  ristorante, ma senza pretese eccessive. Ci piace starcene a nostro agio. - Perfetto.
  Sono sicuro che sarà una serata piacevolissima. Al
  ristorante Gustav presenta Michael ai suoi amici. A tavola si mette al suo
  fianco: Michael non è il tipo da essere in soggezione di fronte a tanti
  sconosciuti, ma Gustav preferisce essere pronto a dargli una mano, se
  occorre: non vorrebbe che gli altri, nella foga di qualche discussione a due
  o a piccoli gruppi, finissero per isolarlo, senza pensarci. Trattandosi di
  amici di vecchia data, la conversazione si svolge molto liberamente. Gustav
  si rende conto in fretta che il problema non si pone. Richard Kleindorf è seduto di fronte a Michael e tra i due si
  ingaggia subito una discussione sull’Agamennone
  e poi sulla musica contemporanea. Gustav nota che passano in fretta a darsi
  del tu, d’altronde in una serata dove sono tutti amici, il conte sarebbe
  l’unico a cui verrebbe dato del lei.  Nella
  discussione Michael si rivela competente e sostiene vigorosamente le proprie
  idee, ma si dimostra capace di ascoltare. Alla fine della cena, alcuni si
  alzano e si spostano lungo la tavolata, per parlare con altri. Michael si
  mette a discutere con Hugo, che ha scritto il dramma da cui Richard ha
  ricavato l’opera.  - Non ho
  ancora letto il suo Agamennone,
  perché ne ho scoperto l’esistenza soltanto oggi pomeriggio, grazie a Gustav.
  A proposito, posso chiamarti Hugo? Se ci diamo del tu sono più a mio agio. -
  Certamente. - Io
  sono Michael, ma questo lo sai. Avevo visto due tue opere, ma erano di
  soggetto del tutto diverso e di ambientazione contemporanea. - Sì,
  l’ambientazione era contemporanea, ma in Riunione
  di famiglia ci sono già alcuni temi che ritornano nell’Agamennone, questa rete di rapporti
  familiari dove nulla è come appare. -
  Rapporti familiari… già, Agamennone ed Egisto sono cugini.  - Non
  solo loro. È una famiglia in cui si intrecciano abusi, violenze, vendette. Il
  discorso procede. Gustav non si preoccupa più di Michael: non ha bisogno di
  sostegno. È contento che si sia inserito bene nella compagnia. Al
  momento di andarsene, Jörg chiede il conto, che divideranno come al solito: è
  sempre lui a occuparsi di questi aspetti, perché, come dice spesso, “gli
  artisti non sanno fare due più due”. Il cameriere risponde: - La
  cena è già stata pagata. La
  risposta lascia tutti stupiti. - Come?
  Da chi? Il
  cameriere fa un piccolo cenno con la testa in direzione di Michael: - Dal
  signor conte. Si alza
  un coro di proteste, ma Michael alza la mano per parlare e si crea il
  silenzio: -
  Signori, è stato un piacere per me poter conoscere alcuni artisti che ho
  sempre ammirato e ho trascorso con voi una serata piacevolissima. Offrirvi la
  cena era il minimo che potessi fare. Più che altro, perché a questo punto vi
  sentirete obbligati a invitarmi ancora. Gustav
  sorride. Michael è sfacciato, come sempre, ma senza dubbio ha ottenuto il suo
  scopo. Richard ride e risponde: - Se
  paghi tu tutte le volte, ti invitiamo sempre. Tutti
  ridono. Hugo scuote la testa. -
  Vergognati, Richard. Michael potrebbe credere che pensi sul serio quello che
  hai detto. - Certo
  che lo penso sul serio! C’è una
  nuova risata generale. Poi Jörg risponde: - Ci
  riuniamo ogni martedì, Michael, e saremo ben felici di averti tra di noi.
  Pagando ognuno la propria parte. Michael
  interviene: - Vi
  ringrazio di questo, ma per il prossimo martedì, vi invito tutti a casa mia.
  Così dopo cena potremo chiacchierare tranquillamente in salotto, fumando un
  buon sigaro e bevendo… quello che volete bere. Richard
  rincara la dose: - Conti
  di invitarci tutti i martedì? Hugo
  guarda Richard, con un’espressione di commiserazione: - Si
  direbbe che tu soffra la fame, Richard! - La
  vita dei musicisti non è tutta rose e fiori, mon cher! Michael
  aggiunge ancora: -
  Signori, ci tengo a dirvi che sarà una cena senza pretese, non un banchetto. Richard
  interviene: - Allora
  non vengo! Michael
  sorride e prosegue: - Non
  venite in abito da sera, altrimenti mi costringereste a mettermelo anch’io e
  non ne ho voglia. Saremo solo noi e potremo parlare molto liberamente. Al
  momento di separarsi, Michael si rivolge a Gustav: -
  Gustav, io ho invitato tutti i presenti. Ci sono altri che partecipano
  abitualmente a queste cene? Sarei lieto di invitare anche loro. - Direi
  che quelli quasi sempre presenti c’erano tutti. -
  Perfetto, allora farò preparare per quindici. Così il
  martedì successivo, dopo la seduta di posa, Gustav ha modo di entrare nel
  palazzo dei Walser, una delle più sontuose dimore nobiliari di Vienna. Poiché
  Michael, l’unico del ramo principale della famiglia ancora in vita, non dà
  ricevimenti, nessuno dei presenti ha avuto l’occasione di vedere la residenza
  dei conti. D’altronde negli ultimi anni Michael è stato molto spesso via, in
  viaggio in Europa, in America e in Asia.  A Gustav
  basta un colpo d’occhio per vedere che l’arredamento risale al Settecento:
  Michael non deve aver modificato nulla, almeno nelle sale di ricevimento. È
  ritornato a Vienna solo da pochi mesi, ma avrebbe potuto rinnovare la mobilia
  e i quadri prima di incominciare a girare il mondo o tra un viaggio e
  l’altro. La cena
  è ottima, senza eccessive pretese. All’inizio il ritrovarsi in un ambiente
  nuovo pare smorzare la vivacità dei dialoghi, ma poi, man mano che la serata
  procede, l’assenza di estranei rende ancora più libera del solito la
  conversazione, tanto più che Michael non sembra porsi nessun freno: usa
  spesso un linguaggio piuttosto sboccato e fa battute salaci, che vengono
  apprezzate. Terminata
  la cena, si spostano tutti nella biblioteca, dove possono muoversi
  liberamente, chiacchierando in piccoli gruppi e passando da un capannello
  all’altro: si conversa molto meglio che in un ristorante e tutti sembrano
  soddisfatti. C’è un’atmosfera molto rilassata e Gustav si dice che Michael ha
  avuto un’ottima idea a invitarli a casa sua. Chiacchiera un po’ con Bernhard Heydenreich, il critico d’arte, e poi si muove tra i
  diversi crocchi, ma, come gli capita spesso, avverte una distanza tra sé e
  gli altri e partecipa poco alla conversazione.  È ormai
  molto più tardi del solito: nella biblioteca di palazzo Walser il tempo passa
  più in fretta, non ci sono camerieri impazienti di veder sloggiare gli ospiti
  che indugiano. Gustav non è abituato a rimanere sveglio così a lungo e ora si
  sente stanco. Ma la sua stanchezza non è solo fisica. Gustav
  avverte un senso di solitudine, anche ora, qui, in questa grande sala, dove
  ci sono i suoi amici.  Quanti
  di loro sono davvero suoi amici? Jörg?
  No, certamente. Ha grande stima di lui, ma non è un amico. E non lo è neppure
  Bernhard. Nessuno di loro è davvero suo amico. Gustav sa di godere della loro
  stima e del loro affetto, tutti sarebbero disponibili ad aiutarlo se ne
  avesse bisogno, ma il legame che lo unisce a loro non è profondo. Perché è
  così solo? Conosce la risposta: è incapace di stabilire rapporti non
  superficiali con gli altri. Non è mai
  stato amato da sua madre o da suo fratello. Suo padre si è preso cura di lui,
  ma certo non c’è mai stata intimità tra di loro. Quando era molto giovane è
  stato tradito da quelli che considerava suoi amici. L’uomo che ha amato,
  profondamente, si è allontanato.  Gustav
  ha finito per chiudersi in se stesso, per difendersi, per non soffrire più. Gli è
  rimasta la sua arte, che è vitale per lui, ma a tratti la solitudine è un
  macigno che lo schiaccia. Nessuno
  sembra intenzionato ad andarsene, ma Gustav non ama fare molto tardi e si
  ritira prima degli altri. Michael appare dispiaciuto: - Te ne
  vai già? - Sì,
  incomincio a lavorare presto… be’, non proprio, diciamo che non incomincio a
  lavorare nel pomeriggio. Perciò preferisco non passare la notte in piedi. - Mi
  spiace, ma non voglio ostacolare il tuo lavoro: i posteri non me lo
  perdonerebbero mai.  - Non mi
  prendere per il culo. Gustav
  di solito evita di usare espressioni forti, ma con Michael si sente libero di
  farlo. - Non ti
  sto pigliando per il culo. Lo penso davvero. Tornando
  a casa Gustav pensa che Michael è entrato nel loro gruppo senza fatica. È un
  uomo socievole e la sua esuberanza riesce a conquistare gli altri. Gustav si
  dice che è il suo esatto contrario: tanto estroverso e sicuro di sé il conte,
  capace di tenere banco per ore, ma anche di mettere gli altri a loro agio,
  quanto insicuro e goffo lui, il pittore di grande successo che non ama
  apparire.  * Dopo la
  partenza di Gustav, Michael si avvicina a Hugo: vuole parlare con l’autore
  dell’Agamennone, che ha letto il
  giorno dopo aver scoperto l’esistenza della tragedia. - Hugo,
  la volta scorsa ti ho detto che non avevo avuto modo di leggere il tuo Agamennone. Avevo visto due volte
  l’opera di Richard, ma non avevo capito che era tratta da un tuo dramma.
  Questa settimana ho rimediato e devo dire che mi ha lasciato a bocca aperta.
  E adesso non mi dire che tanto ho sempre la bocca aperta, perché parlo
  troppo. Hugo
  sorride. -
  Dipende, diciamo che se hai delle lodi da fare, per me puoi parlare anche tre
  ore di seguito. Per le critiche, un minuto è già troppo. Hugo non
  parla sul serio: è disponibile ad ascoltare le critiche, se sono
  intelligenti. Ma l’Agamennone è
  stato stroncato in modo feroce perché accusato di favorire la decadenza dei
  costumi e, come spesso avviene quando nella valutazione di un’opera entrano
  in gioco considerazioni morali, il livello delle critiche è stato davvero
  desolante.  - Non ti
  preoccupare. Mi è piaciuto moltissimo. Ha una potenza… una carica erotica…
  Cazzo! I dialoghi tra Agamennone ed Egisto, questo passato che emerge, oscuro
  e minaccioso. La maledizione degli Atridi che assume tutto un altro
  significato. E l’omicidio… Questo omicidio che è uno stupro… cazzo! La scena
  dell’omicidio trasmette i brividi. Vorrei vederlo messo in scena. -
  Impossibile. Tu parli di carica erotica, che ci ho messo, lo so. La censura
  ha vietato la rappresentazione. A quanto pare devo ringraziare se non è stata
  proibita anche la pubblicazione del testo: ci siamo andati molto vicino.
  Credo che non l’abbiano proibito solo perché sapevano che tanto l’avrei fatto
  stampare in Germania. Richard ha potuto far rappresentare il suo Agamennone solo perché nel libretto
  abbiamo attenuato moltissimo.  -
  Proibito! Che cazzata! Hugo
  scuote la testa. - Temevo
  che sarebbe successo, ma non volevo alterare il testo. Doveva essere così. - Sì,
  non poteva essere altrimenti. L’opera mi è piaciuta moltissimo, ma dopo aver
  letto il dramma, mi è sembrato che… che Richard l’avesse castrato. Hugo ha
  un sorriso amaro. - Abbiamo
  scritto il libretto insieme. In effetti ho avuto proprio la sensazione di
  mutilare il dramma, ma la musica di Richard gli restituisce ciò che abbiamo
  tolto dal testo.  - Sì,
  questo è vero, la musica è potente, va ben oltre Wagner e trasmette la forte
  sensualità che è nel dramma, ma il testo… quanto è povero rispetto al tuo.  - Non
  poteva essere altrimenti. Già così è stato uno scandalo. - Mi
  sembra incredibile che questo capolavoro non sia stato ancora messo in scena. - Temo
  che rimarrà un’opera mai rappresentata. Ma chissà, in un lontano futuro… - In
  futuro non saremo più vivi. No, non va bene. Vorrei vederla ora. - Non
  saprei come potresti fare. Michael
  sorride. - Io
  credo di saperlo, invece… sì… Il
  sorriso di Michael si allarga. Hugo lo guarda, perplesso, senza capire. - Sì? -
  Potremmo farlo qui. - Che
  cosa intendi? - Lo
  mettiamo in scena qui. Nel salone da ballo. Io non do certo feste da ballo,
  di quel salone non so che farmene. Allestiamo un palcoscenico, provvediamo ai
  costumi e alle scene. Una compagnia di attori in gamba disponibile a
  rappresentare l’opera la troviamo, no? Tu ne conoscerai senz’altro. Hugo è
  rimasto senza parole. L’idea di vedere il suo dramma in scena, sia pure per
  una rappresentazione privata, lo tenta moltissimo. -
  Michael, sarebbe bellissimo, ma non è possibile, una rappresentazione…, no,
  gli attori dovrebbero imparare la parte, ci vorrebbero scene e costumi. Al
  massimo possiamo organizzare una lettura a più voci. Ne abbiamo fatta una a
  casa mia. - Non
  vedo il problema. Scene e costumi si fanno, gli attori imparano le parti per
  mestiere. Se conosci gli attori giusti, si può fare. -
  Michael, il palcoscenico, gli attori, le scene, i costumi… costerebbe un
  sacco di soldi… per una serata. - Hugo,
  preferisco spendere i miei soldi per quello che mi piace. E quello che mi
  piacerebbe ora è vedere il tuo Agamennone
  messo in scena. Hai un’idea di chi potrebbe recitare le parti di Agamennone
  ed Egisto? Perché gli altri ruoli mi sembrano meno impegnativi. -
  Clitemnestra non è una parte facile: lei intuisce ed è complice proprio
  perché Agamennone si frappone tra lei ed Egisto due volte: come suo marito e
  come l’uomo da cui Egisto è attratto. -
  Giusto. Ai personaggi femminili bado sempre poco, è un mio limite, ma hai
  ragione, anche la parte di Clitemnestra è impegnativa. Hai un’idea di chi
  potrebbe fare queste parti? Riusciresti a organizzare una messa in scena? La
  scenografia la vediamo, non mi sembra un problema, i costumi si fanno. Ma
  bisogna trovare gli attori giusti. Sai chi potrebbero essere?  - Sì,
  credo di sapere. Hugo non
  ha nessun dubbio. Quando ha scritto il testo, aveva in mente Eldemar Männer e Mathias Klar: due ottimi
  interpreti, che sono certamente in grado di affrontare un testo così
  impegnativo. Eldemar è un attore affermato, Mathias non ha ancora ottenuto il successo che
  meriterebbe. Sarebbero perfetti, sotto ogni aspetto. Eldemar,
  alto, un po’ massiccio, è Agamennone, il grande guerriero segnato dal tempo,
  ma ancora vigoroso. Mathias, nettamente più
  giovane, snello ed elegante, è l’Egisto che ha immaginato, affascinato dalla
  forza brutale di Agamennone, in un rapporto in cui si mescolano attrazione e
  odio. Per Clitemnestra ci sono almeno due attrici di grande talento, che
  andrebbero bene: Lou Schneider, che ha l’età giusta
  e un grande fascino; Hanna Kröger, più giovane, ma
  capace di dare vita a un personaggio dalle mille sfaccettature. - Allora
  prendi contatti con queste persone, con la compagnia, i costumisti, gli
  scenografi… insomma, con chi serve. Se sono disponibili e si riesce a
  combinare una data, me li mandi e io mi occupo dell’organizzazione. - Se
  davvero pensi anche a una scenografia e ai costumi, sarà alquanto faticoso,
  oltre che costoso. - Voglio
  vederla messa in scena, davvero. E ti garantisco che occuparmi di tutto per
  me sarà un divertimento. Discutono
  ancora un buon momento. Hugo ripropone più volte il problema dei costi: una
  singola rappresentazione richiede comunque un lavoro di preparazione degli
  attori, l’allestimento di scene e costumi e di tutto quanto serve. Michael
  taglia corto, concludendo: - Senti,
  Hugo, non so quale sia la cifra globale, ma non me ne frega un cazzo. Sono
  ben contento di pagarla per vedere l’Agamennone
  in scena. Quello che serve: diecimila corone, ventimila, cinquantamila,
  centomila… Basteranno? Hugo non
  ha più obiezioni: sono cifre enormi, di gran lunga superiori a quello che può
  costare mettere in scena un’opera. Parla ancora un momento del compenso per
  gli attori, perché dovrà formulare una proposta. Michael gli lascia carta
  bianca. La
  serata prosegue animata, ma Hugo ha difficoltà a partecipare alla
  conversazione degli amici. L’idea che il suo Agamennone possa essere rappresentato gli ha messo addosso una
  grande agitazione. Sarebbe una recita privata, certo, ma quello che conta è
  poterla vedere, valutarla sulla scena e non sulla carta, capire come
  migliorarla. Ogni
  tanto Hugo guarda Michael. Al conte non importa sostenere i costi di una vera
  rappresentazione e non è strano. I Walser sono ricchissimi, Hugo se l’è
  ripetuto cento volte da quando ha parlato con il conte e d’altronde basta
  guardarsi intorno per rendersene conto: questo palazzo è una reggia. Ma ha
  un’idea dell’impegno che una messa in scena richiede? No, probabilmente no.
  Non è tipo da scoraggiarsi facilmente quando vuole una cosa. Dice che si
  divertirà a occuparsi di tutto. Non si stuferà? Magari è uno di quelli che si
  entusiasmano facilmente e perdono altrettanto in fretta ogni interesse. La
  compagnia si scioglie molto tardi. È quasi l’alba quando Hugo esce dal
  palazzo, frastornato. Gli sembra impossibile. Per l’ennesima volta si chiede
  se davvero il conte è disposto ad accollarsi tutte le spese e l’impegno
  necessario per la messa in scena della sua opera. Michel l’ha detto e
  confermato. A questo punto non resta che contattare gli attori e portare al
  conte una proposta concreta. Hugo decide di non perdere tempo: se ne occuperà
  quando si sveglierà. Convincere
  gli attori che ha in mente è la parte più delicata. Della regia Hugo intende
  occuparsi in prima persona; costumisti, scenografi, truccatori non
  costituiscono certo un problema: ce ne sono parecchi in gamba e se alcuni non
  sono disponibili, se ne possono trovare altri senza fatica. Ma dagli attori
  protagonisti dipende la riuscita dell’intera operazione. E per Hugo
  Agamennone è Eldemar ed Egisto è Mathias. Altri attori potrebbero impersonare in modo
  soddisfacente i due protagonisti, in particolare Klaus Bauer
  potrebbe essere Egisto, ma Hugo aveva in mente Eldemar
  e Mathias quando ha scritto il testo. Clitemnestra
  è un personaggio fondamentale, come ha detto a Michael, ma per lei ci sono
  almeno due possibilità, perché sia Lou, sia Hanna
  sono davvero brave. E Hugo sarebbe disposto a cercarne una terza, mentre per
  Egisto e soprattutto per Agamennone gli costerebbe moltissimo non poter
  contare sugli attori che ha in mente. Accetteranno?
  I motivi per cui possono rifiutare sono tanti. Possono essere impegnati per
  un lungo periodo. Magari non sono interessati a studiare una parte per una
  sola rappresentazione, per di più privata: preferiscono recitare davanti a
  tanti spettatori, essere acclamati da un pubblico numeroso, accrescendo la
  loro fama. Il testo stesso potrebbe essere all’origine di un rifiuto, perché
  troppo scabroso: molti attori preferiscono evitare che il loro nome sia
  associato a spettacoli che fanno scandalo e di questa recita comunque si
  saprebbe, anche se è privata. Tutte
  queste obiezioni potrebbero valere in particolare per Eldemar
  Männer, che sarebbe perfetto come Agamennone. È un
  attore di grande talento, amato dal pubblico e dai critici: perché dovrebbe
  accettare? Purtroppo senza di lui tutta l’operazione non ha senso: Agamennone
  è lui.  Riuscirà
  a convincerlo? Hanno un buon rapporto, amichevole, e si danno del tu, ma in
  realtà si conoscono poco. Eldemar gli ha anche
  espresso la sua stima in più occasioni, ma questo non significa che sia
  disposto ad accettare la parte. Con Mathias Klar dovrebbe essere
  più facile. È bravo, ma lavora in modo molto irregolare e probabilmente ha
  bisogno di denaro per mantenere un tenore di vita alquanto dispendioso. Ha un
  fascino torbido, che lo rende perfetto per il ruolo di Egisto, e un grande
  successo con le donne: si sa che ha avuto relazioni con alcune nobildonne e
  pare che la contessa Schwerin si sia uccisa perché lui l’ha lasciata.
  Nell’ambiente teatrale circolano però anche altre voci. In particolare si
  dice che stia entre deux lits: nel suo letto passerebbero sia donne, sia
  uomini. Da tempo si parla di un suo legame con il conte Huber.
  Qualcuno insinua che alla sua relazione con la contessa Weyr
  si accompagni un legame con il marito. Per quanto attratto dagli uomini, Hugo
  ma non ha mai sondato il terreno con Mathias. Il
  suo rapporto con Richard è aperto e a entrambi piace ogni tanto variare, ma Mathias non è il tipo ideale per Hugo, che preferisce i
  maschi molto virili. Inoltre, e forse questo è il motivo principale, Hugo non
  vuole che si chiacchieri di lui. E farsi vedere con Mathias
  significa diventare oggetto di maldicenze.  Hugo
  decide di incominciare da lui. Mathias Klar vive nella Wipplingerstraße,
  in un edificio di Karl Theodor Bach, al numero 12. Una casa di nuova
  costruzione, in un quartiere centrale: di sicuro una sistemazione piuttosto
  dispendiosa per un attore che non guadagna molto. Ma il palazzo viennese dei Weyr è a pochi isolati. Hugo si
  presenta nel pomeriggio: non si va a casa di un attore prima di pranzo.
  D’altronde anche Hugo ha fatto molto tardi da Michael ed ha passato la
  mattinata dormendo. Mathias lo riceve indossando
  una veste da camera in seta: un indumento sontuoso, in cui molteplici figure
  di uccelli dai colori sgargianti si stagliano su un fondo dorato. Anche
  l’arredamento della stanza in cui Mathias lo riceve
  è lussuoso.  - Hugo
  von Homburg. A che cosa debbo l’onore? A Hugo
  dà fastidio il tono altezzoso dell’attore. - A una
  proposta di lavoro. Sto cercando di organizzare una rappresentazione del mio Agamennone. Mathias aggrotta la fronte. - Ma non
  è stato proibito?  - Sì, ma
  sarà una rappresentazione privata. - Una
  lettura del testo? - No,
  una vera e propria rappresentazione. Un’idea del conte Walser: è lui che
  vuole vedere l’Agamennone messo in
  scena. - Il
  conte Walser? Un uomo di cui si parla molto. Uno spettacolo nel suo palazzo…  Negli
  occhi di Mathias si è accesa una scintilla di
  interesse.  - Ha
  intenzione di realizzare un palcoscenico. - Un
  uomo tanto ricco da poter soddisfare qualunque capriccio. Mathias sembra riflettere.
  Pensa al conte come a una possibile preda? Certamente il conte ha molto da
  offrire: nobile, smisuratamente ricco e quasi sicuramente omosessuale.
  Potrebbe sostituire il conte Huber. O il conte Weyr, se è vero quanto alcuni dicono. O affiancarli.
  Michael potrebbe far vivere una persona nel lusso senza neppure intaccare il
  suo patrimonio. Dopo un
  attimo di pausa, Mathias chiede: - Che
  ruolo mi spetterebbe? - Quello
  di Egisto. Secondo me lei sarebbe perfetto, signor Klar. -
  Egisto? Un personaggio interessante. Dovrò leggermi il suo testo, Homburg. Mathias non finge di averlo
  letto e Hugo ne apprezza la sincerità. Ma nel suo tono di voce Hugo legge
  anche una nota di disprezzo, quasi a dire che se non fosse per l’offerta, non
  varrebbe la pena di leggere l’opera. - L’ho
  portato con me e glielo lascio. - Qual è
  l’offerta? Hugo si
  aspettava la domanda. Si è preparato una proposta che gli sembra allettante e
  la comunica. Mathias appare interessato. - Se ne
  può parlare. Potrà essere stimolante. Dicono che il conte sia un uomo
  affascinante. Hugo
  sorride per nascondere il fastidio che prova. In ogni caso Michael è in grado
  di gestirsi da solo. Se gli interesserà Mathias,
  avrà modo di spendere un po’ del suo denaro: probabilmente anche più di
  quanto sborserà per la rappresentazione. Scambiano
  ancora alcune parole, per definire i tempi. Mathias
  è in effetti piuttosto libero, come Hugo pensava. Non appare particolarmente
  interessato a ottenere una parte, ma in questo caso è la possibilità di
  conoscere uno degli uomini più ricchi dell’Impero a rendere l’offerta
  allettante. Hugo
  passa poi da Lou Schneider, che lo riceve nel suo
  salotto: è giorno di visite e ci sono diversi uomini e donne, tra cui alcuni
  attori e un regista che Hugo conosce. Chiede di poterle parlare un momento in
  privato e le presenta la proposta. Lou lo
  ringrazia: ha letto ed apprezzato il testo e il personaggio di Clitemnestra
  le è piaciuto molto. Non può però accettare: ha impegni fino ad aprile e a
  maggio ha in progetto di partire per l’America, dove andrà in tournée. Non sa
  quanto tempo si fermerà, ma certamente per almeno sei mesi, tra Stati Uniti,
  Brasile e Argentina. Hugo
  spera che Hanna Kröger non gli dica di no. Non
  sarebbe impossibile trovare un’altra Clitemnestra, ma l’interpretazione non
  sarebbe del livello che ci si può aspettare da Lou
  o da Hanna. La
  giovane attrice è in casa e lo riceve, un po’ stupita della visita inattesa:
  conosce lo scrittore di fama, ma si sono visti in pochissime occasioni. Hugo
  spiega il motivo della sua venuta. Hanna si dichiara subito molto interessata
  alla proposta e disponibile da febbraio in poi. Chiede chi sono gli altri
  interpreti. Hugo le dice di aver contattato Mathias
  Klar e che intende parlarne con Eldemar
  Männer. Hanna sarebbe ben contenta di lavorare
  ancora con Männer. Il
  pomeriggio è trascorso nei tre colloqui. Ormai è quasi ora di cena ed è
  troppo tardi per cercare Eldemar. Hugo potrebbe
  aspettare un giorno per parlargli, ma è impaziente. Sa che l’attore sta
  recitando nel Don Carlos di
  Schiller in cui ha la parte di Filippo II. Hugo ha già visto il dramma in una
  delle prime rappresentazioni, ma decide di cogliere l’occasione per
  rivederlo. Dopo lo spettacolo passerà nei camerini per parlare con Eldemar. Hugo non
  ama molto Schiller: del grande drammaturgo apprezza davvero solo la Maria Stuarda. Ma non gli spiace
  rivedere un’opera di cui ammira comunque la potenza e un attore
  straordinario.  Il
  Burgtheater è pieno, ma per un autore come Hugo un buon posto si trova
  sempre. Hugo si
  siede e segue lo spettacolo. Vedere Eldemar sul
  palco è affascinante: è uno di quegli attori che hanno una presenza scenica
  fortissima. Quando appare gli sguardi di tutti gli spettatori tendono a
  concentrarsi su di lui, anche se al centro della scena vi sono altri
  personaggi. Mentre
  guarda Eldemar recitare, si chiede di nuovo se sarà
  disponibile a interpretare il personaggio di Agamennone. Teme di andare
  incontro a un rifiuto: Eldemar è un attore
  affermato, molto richiesto, in grado di scegliere tra diverse possibilità,
  sicuramente molto impegnato. Se la proposta non gli appare interessante, non
  ha motivo per accettarla. Ma l’Agamennone
  senza Eldemar… dopo che Mathias
  e Hanna hanno accettato, sarebbe davvero uno smacco, no, non vuole nemmeno
  pensare a un rifiuto, non vuole dover cercare una soluzione alternativa. Dopo gli
  applausi, Hugo raggiunge Eldemar nel suo
  camerino.    - Hugo!
  Sono contento di vederti. Come mai sei tornato a rivedere il Don Carlos? - Volevo
  parlare con te e ne ho approfittato per rivederti in scena. È sempre un
  piacere e non lo dico per adularti. -
  Grazie. Scambiano
  due parole, poi Hugo dice: - Sono
  venuto a farti una proposta di lavoro, a cui tengo molto. Prima
  che Hugo riesca a spiegare il motivo della sua visita, la conversazione viene
  interrotta dall’arrivo di altre persone. Ci sono i soliti elogi, due
  pettegolezzi e un invito a cena, mentre Hugo freme. Eldemar
  però congeda in fretta i nuovi arrivati, dicendo che ha bisogno di discutere
  tranquillamente con Hugo e che li raggiungerà dopo.  Appena
  gli altri escono, dice: - E ora
  che i rompicoglioni se ne sono andati, dimmi tutto. - Si
  tratta del mio Agamennone. Non so
  se l’hai letto. - Certo,
  Hugo, l’ho letto due volte. Affascinante. Hugo è
  molto contento di sentirselo dire. Gli rende un po’ più facile il compito. - Mi fa
  piacere che tu l’abbia apprezzato. - Credo
  che sia un capolavoro. -
  Grazie. Sai che non può essere rappresentato. Lo temevo quando l’ho scritto,
  ma non volevo snaturarlo per renderlo più accettabile. - E bene
  che hai fatto. Avrebbe perso tutta la sua forza. Eldemar attende che Hugo gli
  spieghi.  -
  Conosci il conte Michael Walser? - Non di
  persona, ma di fama sì. D'altronde, chi non lo conosce almeno di nome? Uno
  degli uomini più ricchi dell’Impero.  - Ha
  letto anche lui l’Agamennone e
  vorrebbe vederlo messo in scena. Gli ho spiegato che non è possibile e lui ha
  deciso di organizzare una rappresentazione nel suo palazzo. - Ma…
  intendi dire una lettura? - No,
  no, proprio una rappresentazione, con tanto di scene e costumi. - Gli
  costerà una fortuna, ma non credo che sia un problema per lui. - È
  quello che mi sono detto anch’io. Per cui sto cercando gli attori giusti. - Dimmi
  che hai pensato a me per Agamennone. - Certo!
  Avevo in mente te quando l’ho scritto. - Mi
  piacerebbe moltissimo. Hugo non
  vuole crederci: gli sembra troppo bello. -
  Fantastico! Non avrei mai pensato… che tu…  - Quando
  l’ho letto, mi sono detto: “Non sarà mai messo in scena, ma mi piacerebbe
  interpretare Agamennone.” Hugo è
  euforico - Quando
  saresti libero? - Non
  prima della fine di febbraio, Hugo. Dopo il Don Carlos abbiamo di nuovo l’Anfitrione
  di Kleist e poi andiamo in tournée con il Faust.
  Non avrei modo di studiare la parte e di dedicarci il tempo necessario. Non è
  una parte facile, se posso permettermi di dirlo a te che sei l’autore.
  Agamennone non ha le sottili contraddizioni di Egisto, è più una bestia
  stolida, che segue il suo istinto, ma questo non significa che non sia una
  figura complessa e il fascino che esercita su Egisto non è solo fisico. -
  Febbraio va benissimo. Credo che Michael… il conte Walser avrà bisogno di un
  po’ di tempo per allestire il palcoscenico. -
  Intende fare le cose sul serio, da quel che mi dici. - Credo
  di sì, ma, sinceramente: lo conosco poco. Non so quanto durerà il suo
  entusiasmo. Spero che non si scoraggi. - A chi
  altri hai pensato? Per Egisto e Clitemnestra? - Per
  Egisto a Mathias Klar. - Ottima
  scelta. Ha tutta l’ambiguità del personaggio. Ed è bravo, anche se… non
  importa, va benissimo, l’importante è che non rinunci all’ultimo momento,
  come fece con il Faust. Anche Klaus
  Bauer sarebbe andato bene: è diventato molto bravo.
  E Clitemnestra? - Avevo
  pensato a Lou Schneider, ma non può. O forse non le
  interessa. -
  Peccato, sarebbe stata una Clitemnestra perfetta. Che ne diresti di Hanna Kröger? Hugo
  scoppia a ridere. - Mi
  leggi nel pensiero. Sì, mi sono rivolto a lei, dopo il rifiuto di Lou.  - Ha
  accettato? - Sì. E
  direi anche Mathias, per quanto non mi abbia dato
  una risposta definitiva.  -
  Perfetto, allora. Non credo che ci siano problemi con le altri parti: non
  presentano nessuna particolare difficoltà. - No,
  certo. Eldemar non chiede qual è il
  compenso. È Hugo a introdurre l’argomento, per correttezza. L’attore gli
  risponde: -
  Rimanga tra di noi, ma credo che lo farei anche gratis. È una parte che mi
  piace moltissimo. Qualcuno
  bussa al camerino: due attori della compagnia che vengono a sollecitare Eldemar, perché gli altri stanno già andando a cena. Hugo
  si congeda. Esce dal
  teatro euforico. Ha ottenuto l’adesione al suo progetto di tre interpreti in
  grado di dare ai suoi personaggi tutto lo spessore necessario. Domani parlerà
  con il conte, sperando che non abbia cambiato idea: ora che ha ottenuto
  l’adesione degli attori giusti, sarebbe una delusione terribile. Hugo si
  presenta nel pomeriggio e viene ricevuto immediatamente. Michael appare
  impaziente di conoscere le risposte degli attori ed è entusiasta di scoprire
  che hanno accettato. Passa poi a chiedere per le altre parti, la scenografia,
  i costumi, ma Hugo non ha avuto il tempo per pensarci. Michael lo mette sotto
  pressione e quando infine Hugo esce, dopo due ore di colloquio, ha tutta una
  serie di compiti da svolgere e la certezza che il conte è intenzionato ad
  andare fino in fondo. Per un po’ di tempo dovrà accantonare la scrittura
  dell’opera a cui sta lavorando, Alessandro,
  per dedicarsi alla messa in scena dell’Agamennone. Nei
  giorni seguenti Michael vede gli attori e poi tutto il personale che lavorerà
  all’allestimento, per un colloquio preliminare: è ancora presto per organizzare,
  ma vuole essere sicuro che tutto sia definito e che quando verrà il momento,
  ognuno svolga la sua parte. Non ha problemi a ottenere tutto ciò che vuole:
  offre compensi molto alti. I
  colloqui con Hanna, Eldemar e Mathias
  avvengono con la partecipazione di Hugo, che fa le presentazioni. Lo
  scrittore ha modo di notare che in presenza del conte l’atteggiamento di Mathias è del tutto diverso: non c’è più traccia
  dell’altezzosità del colloquio precedente. Hugo vi vede una conferma dei suoi
  sospetti. Si chiede se accennarne a Michael, ma questi è in grado di
  cavarsela da solo. Poi
  Michael si concentra sulla trasformazione del salone da ballo in un teatro.
  Ha le idee molto chiare per quello che riguarda lo spazio per il pubblico, ma
  conosce poco ciò che a teatro sta dietro le quinte. Non ha difficoltà a
  ottenere di visitare il Carltheater e il Burgtheater con i direttori: al
  conte Michael Walser nessuno dice di no. Parla con tecnici e scenografi e si
  chiarisce le idee. Il teatro che intende realizzare non avrà la struttura
  complessa dei grandi edifici che ha visitato, ma avrà tutto l’occorrente per
  una rappresentazione di alto livello: quello che ha in mente non è un
  teatrino per spettacoli familiari. La
  progettazione viene eseguita rapidamente e presto si passa a costruire. Il
  salone da ballo del palazzo diventa un grande cantiere, dove squadre di
  artigiani lavorano attivamente, sotto il controllo del padrone di casa. I
  lavori procedono in fretta: il conte paga molto bene e non ha difficoltà a
  trovare tutti gli artigiani necessari. 
 Egon
  torna a casa da un’altra seduta di posa: è diventato il principale modo per
  guadagnare un po’ di denaro. Strada facendo compra qualche cosa per la cena.
  Arrivato a casa si accorge di avere i brividi. Ha saltato pranzo, ma non ha
  voglia di mangiare. Sbocconcella un po’ di pane e poi si mette a letto. Il
  portinaio Grossman è preoccupato: anche oggi non ha
  visto passare il pittore che sta in una delle soffitte. Si chiede se il
  giovane non stia male e decide di salire. Bussa, senza ottenere risposta.
  Bussa ancora e gli pare di sentire un lamento. Allora spinge la porta, che si
  apre. Egon è a letto. Grossman si avvicina. Gli
  basta un’occhiata per rendersi conto che il giovane sta molto male: il suo
  corpo è scosso da brividi e gli occhi sono lucidi. Quando gli mette una mano
  sulla fronte, la sente molto calda.  - Lei
  sta male, signor Schulte. Chiamo un dottore. Egon
  scuote la testa. - No,
  non… posso… pagare. - Non si
  preoccupi. Non intendo certo lasciarla morire così, signor Schulte. Il
  dottore viene. Non è ottimista: il paziente è giovane e abbastanza robusto,
  ma avrebbe bisogno di un ambiente caldo e di pasti sostanziosi. Il
  portinaio si procura un po’ di legna e, facendo i turni con la moglie,
  assiste Egon.  Egon ha
  la sensazione di perdere i contatti con la realtà. A tratti rivede il padre,
  gli amici di un tempo, gli sembra di essere nella casa dove è vissuto a
  lungo. Poi ritorna nella soffitta. Negli
  intervalli di lucidità si chiede se morirà. Ci sono momenti in cui prova
  paura, mentre in altri si dice che forse sarebbe davvero meglio morire. Per
  alcuni giorni la situazione appare grave, poi, lentamente, Egon si riprende. * - Meno
  male che questa parte del tuo studio è ben riscaldata. Posare nudo con queste
  temperature sotto zero non è il massimo. Gustav
  scuote la testa. Ha fatto accomodare Michael nel piccolo studio, quello che
  usa d’inverno: una stanza di dimensioni ridotte e più calda. Nello studio più
  grande, per quanto riscaldato, non si può rimanere a lungo nudi. - Sei tu
  che vuoi posare nudo, Michael. - Sì,
  certo. Te l’avevo detto subito, al nostro primo incontro. Gustav
  non dice nulla. Annuisce e attende che Michael finisca di spogliarsi. È curioso
  di vederlo nudo, anche perché gli uomini gli piacciono e il conte lo attrae.
  Non è certo bello: ha tratti irregolari, molto lontani dagli ideali di
  bellezza prevalenti. Ma Gustav apprezza la forza che c’è in lui. Non ha
  nessuna intenzione di fare qualche proposta a Michael o anche solo di fargli
  capire che gli piace: a differenza di altri pittori, preferisce che il
  rapporto con i suoi clienti, uomini o donne, rimanga strettamente
  professionale. O al massimo si trasformi in un’amicizia, se c’è un terreno
  comune. In un caso non è stato così e il prezzo che Gustav ha pagato è stato
  altissimo.  Comunque,
  anche se Michael non fosse un cliente, Gustav ha chiuso con l’amore e anche
  con il desiderio. A trentotto anni, Gustav vive castamente senza problemi. Nei
  primi tempi dopo la fine della relazione con Georges, gli capitava di venire
  la notte, sognando. In qualche rara occasione la sua mano lo portava al
  piacere, mentre la mente riandava al passato. Ora che è guarito dalla
  sofferenza e dall’amore, il pensiero di Georges non accende più i suoi sensi
  e non fa soffrire il cuore. E il desiderio sembra essersi spento. Michael
  si toglie la camicia. Gustav osserva il petto e le braccia, piuttosto
  villosi. Il conte indugia un attimo prima di finire di spogliarsi. Gli
  sorride, ammiccando. Anche Gustav sorride. In
  questo periodo in cui si sono frequentati e Gustav gli ha fatto un ritratto,
  ha avuto modo di conoscerlo e prova per lui simpatia. Michael è entrato nella
  cerchia dei suoi amici e partecipa regolarmente alle cene del martedì. Li ha
  già invitati diverse volte a casa sua. E tra qualche mese ci sarà la
  rappresentazione dell’Agamennone. Michael
  si cala le mutande. Gustav osserva che il conte è ben dotato. C’è stato un
  tempo in cui ha amato e desiderato. Il corpo di Michael gli piace, ma gli
  sembra che sia lontano, oltre una barriera. - Come
  mi metto? -
  Proviamo in piedi. Metti con la destra sul fianco. Sì, così. E la sinistra
  dietro la testa. No, più di lato che dietro, la mano sulla nuca. Ecco, così. Gustav
  traccia rapidamente sulla carta i contorni.  I
  pensieri vagano. Michael sa che deve tacere quando posa, per non cambiare
  posizione, ed è ligio alla consegna. Gustav ha già avuto modo di notare,
  quando gli ha fatto il primo ritratto, che è un ottimo modello. Ma questo
  silenzio, che per lui è la condizione per poter lavorare bene, ora lo
  disturba. Lo lascia solo di fronte ai suoi fallimenti. Non sa perché questo
  corpo nudo trascini i suoi pensieri in un vortice di tristezza.  È un
  artista acclamato, considerato da molti il migliore della sua generazione,
  paragonato ai più grandi maestri del passato, ma la sua vita affettiva è
  stata una serie di sconfitte, fino alla catastrofe finale: la storia con
  l’ambasciatore francese che gli aveva richiesto un ritratto. Georges per
  fortuna è stato trasferito a Costantinopoli e Gustav non ha più occasione di
  incontrarlo, probabilmente non lo vedrà mai più. L’amore che ha provato,
  violento, si è spento e a Gustav pare che del suo cuore sia rimasta solo
  cenere. Michael potrebbe essere se non il suo compagno, il suo amico, ma
  Gustav non riesce a lasciarsi andare.  Gustav
  cerca di concentrarsi solo sul lavoro. Mette un po’ di colore nel disegno,
  perché possa rendere meglio l’idea di quello che potrebbe essere il quadro. Ormai il
  disegno è completo. È poco più di uno schizzo, ma l’accordo con Michael è che
  farà diversi schizzi e poi sceglieranno la posizione migliore per il primo
  ritratto di nudo. Il conte ha già chiarito che ne seguiranno altri, ma per il
  momento si tratta di un ritratto classico. - Direi
  che questo primo bozzetto è pronto. -
  Ottimo. Michael
  scende dalla pedana e si mette di fianco a Gustav, per osservare il ritratto.
   -
  Incredibile. In un’ora questo gioiello! Me ne farai almeno dieci… Gustav
  ride, per nascondere il disagio che prova. Vorrebbe dirgli che non intende
  più dipingerlo nudo, anche se non è la nudità del corpo di Michael il
  problema. Non vuole passare altre ore come questa che ha appena finito. Cerca di
  trovare le parole per rispondere: -
  Dieci?! Michael, mi sa che ti manca qualche rotella. - Adesso
  me ne fai subito un secondo. - Ma… ma
  non sei stufo di posare… di stare immobile? Ti lamentavi pure del freddo,  - No,
  no, non barare: il freddo è fuori, qui si sta benissimo. Le nostre sedute
  durano tre ore e ne è passata appena una. Mi sono riposato, magari mi fai
  portare una cioccolata calda e riprendiamo. - Con te
  non si può ragionare. Ma lo sapevo già. Gustav
  esce dallo studio e chiama il domestico. Gli dice di far preparare una
  cioccolata calda per due. Quando rientra, Michael è ancora nudo, come l’ha
  lasciato. - Non ti
  rivesti? Adesso arriva Wolfgang. - Che
  problema c’è? Non sarò mica il primo uomo che vede nudo nel tuo studio. Michael
  non ha il minimo senso del pudore, questo Gustav l’ha già notato. Non gli importa
  farsi vedere nudo dal domestico. E perché mai dovrebbe? Gustav sa benissimo
  che è lui a non volerlo vedere ancora nudo. Potrebbe cercare qualche scusa e
  congedarlo, ma tanto questi ritratti deve farli: ormai si è impegnato e
  Michael non intende certo rinunciarci. Gustav sa che non riuscirebbe mai a
  fargli cambiare idea.  Michael
  riprende: - Non
  credo che Wolfgang si scandalizzi a vedermi nudo. Sono nello studio di un
  pittore. E non ho mica il cazzo in tiro. - Va
  bene, come vuoi. - Come
  mi metto per il secondo ritratto? Mentre aspettiamo la cioccolata, possiamo
  decidere la posizione, così risparmiamo tempo. Gustav
  riflette un momento. - Direi
  un nudo frontale, le braccia davanti al petto. Michael
  si mette con le due mani incrociate sul petto. - No, così
  è troppo rigido. Il destro lo puoi tenere in questa posizione, ma la mano
  sinistra la sposti sull’avambraccio destro… Sì, così. E guardi di lato. Il
  domestico bussa alla porta. Quando Gustav gli dice di entrare, avanza e
  poggia sul tavolino il vassoio con le tazze, la zuccheriera, la cioccolatiera
  e alcuni pasticcini.  - Versa
  pure, Wolfgang. Il
  domestico versa nelle due tazze la cioccolata, mentre Gustav si rivolge a
  Michael: - Spero
  che ti piaccia dolce. Io sono goloso e amo la cioccolata molto dolce. Se non
  va bene, te ne faccio fare un’altra. - Mi
  andrà benissimo, non c’è problema. Gustav
  congeda il domestico e Michael si avvicina al tavolino, prende la tazza e la
  porta alle labbra. Beve un sorso. -
  Eccellente. Molto dolce, ma ottima. Però… - Però? - Mi
  aspettavo una cioccolatiera diversa. Gustav
  rimane disorientato. - In che
  senso? - Non è
  in linea con questa casa, con io tuoi quadri, con te. - Ma…
  non capisco. Michael
  ride. - Non
  l’hai scelta tu, vero? - Ma no,
  era della mia famiglia.  - Ecco,
  appunto: non mi aspettavo una cioccolatiera di cinquant’anni fa. O magari del
  Settecento. Questa porcellana è di gran lusso, ma mi ricorda le cose dei miei
  genitori, dei miei nonni. Non è da te. La
  seduta riprende. Quando Gustav ha terminato il secondo disegno, Michael
  vorrebbe che ne facesse un terzo, ma ormai non c’è tempo e il conte deve
  rassegnarsi. Tre
  giorni dopo Wolfgang porta un pacco a Gustav, che sta dipingendo. - È
  arrivato questo. L’ha portato un domestico del conte Walser. Che cosa
  gli avrà mandato Michael? C’è una
  busta, ma il foglio all’interno contiene una sola frase: Scusa se mi sono permesso. La firma
  è quella di Michael. Gustav,
  sempre più curioso, apre il pacco. All’interno c’è una cioccolatiera in
  argento di Cardeilhac: un lavoro raffinato, con
  disegni stilizzati. Perfettamente in linea con lo stile dei quadri di Gustav
  e con l’arredamento della sua casa. * Egon è
  guarito, ma qualche cosa sembra essersi spento in lui. Ha incontrato la
  morte, le è sfuggito per poco, grazie alla tenacia del portiere e di sua
  moglie che lo hanno assistito. Ma ha la sensazione che si tratti soltanto di
  un rinvio dell’appuntamento. Egon sta
  tracciando sulla tela i contorni: ha deciso di preparare due quadri per il
  portinaio e la moglie. Accanto ai due ritratti per i Grossman,
  intende dipingere un quadro per la grande esposizione di febbraio. Se sarà
  accettato, vedrà le reazioni della critica e del pubblico: la sua ultima
  carta da giocare. Altrimenti il Danubio. Due
  settimane dopo, Egon posa di nuovo. Non l’entusiasma posare, ma almeno riesce
  a guadagnare un po’ di soldi. È una scena di nudo, per cui Egon si spoglia,
  insieme all’altro modello, Robert: come già in altre occasioni, dovranno
  simulare scene di lotta, ispirate a statue dell’antichità classica. Egon è
  riluttante, perché arrivando ha visto che tra i pittori presenti c’è di nuovo
  Gottfried Reichner. Vorrebbe dire al maestro che
  rinuncia alla seduta di posa, ma non può permetterselo: rifiutarsi all’ultimo
  minuto significherebbe non essere più chiamato. Egon ha bisogno di soldi, per
  mangiare, per pagare l’affitto, per dipingere, per riscaldare la soffitta,
  che con l’avanzare dell’inverno diventa ogni giorno più fredda. Reichner non si avvicina: è
  ancora presto, è meglio lasciar passare ancora qualche tempo. L’inverno è
  gelido e sufficientemente lungo da ammorbidire questo imbrattatele
  orgoglioso. Reichner vuole Egon. Vuole
  gustare il suo culo. E vuole poterlo vendere.  In
  attesa che il bel maschio ceda, Reichner si rivolge
  all’altro modello, che è anche lui attraente: poco più che ventenne, capelli
  e barba di un rosso acceso, un corpo snello ed elegante. * - Ancora
  un ritratto? Ma quanti ne vuoi? - Non
  barare, Gustav. Te l’avevo detto subito: almeno cinque, ma probabilmente di
  più. Il ritratto ufficiale, i tre nudi e questo, per l’esposizione annuale. -
  L’esposizione annuale? Intendi la mostra di Jörg? Ho già scelto un quadro.  - Fai in
  tempo a sceglierne un altro, questo che fai ora. Gustav è
  infastidito e non lo nasconde: sbuffa, esasperato. Michael
  coglie l’irritazione di Gustav. - Sì,
  Gustav, lo so. Hai perfettamente ragione. Non ho nessun diritto di dirti che
  quadro presentare alla mostra. Sono un bambino viziato, abituato a essere
  assecondato e a comprare tutto con i soldi. Ma tu mi vuoi bene e sei buono,
  per cui sono convinto che mi accontenterai. - Ho
  l’impressione che tu approfitti di quella che chiami la mia bontà, che
  probabilmente è solo dabbenaggine.   - Credo
  che la tua impressione sia esatta, Gustav. Solo per quanto riguarda il mio
  approfittare, certamente non per la dabbenaggine, che sia chiaro. Ma ti
  voglio davvero bene. Gustav
  scuota la testa.  -
  Vediamo, Michael. Se proprio vuoi quest’altro ritratto, te lo faccio, ma
  quanto a sceglierlo per l’esposizione, non prometto nulla, nulla di nulla. Se
  mi convince, posso farlo, altrimenti, mi spiace, ma non ci sarà il tuo
  ritratto alla mostra. - Sei
  molto esigente con te stesso, ma sei troppo bravo per dipingere un quadro che
  non sia perfetto, troppo intelligente per non rendertene conto e troppo
  onesto per non riconoscerlo. Mi considero già esposto alla mostra. -
  Vedremo.  Poi
  Gustav aggiunge, beffardo: - Mal
  che vada ti potrai mettere in piedi in una sala e rimanere lì, esposto a
  tutti i visitatori, come una scultura. Michael
  ride. - No, se
  mi spoglio alla mostra, mi arrestano. - Rimani
  vestito. - No, mi
  dipingi nudo Gustav
  esita. Il ricordo delle sedute in cui ha disegnato e dipinto Michael nudo è
  doloroso, preferirebbe evitare di ripetere l’esperienza. - Ti ho
  già dipinto nudo e disegnato non so quante volte. E se devo esporre il
  quadro, un nudo integrale non va bene. - Ci
  sono un sacco di nudi, maschili e femminili. - Sì, ma
  sono di solito santi martirizzati o personaggi mitologici. - Se non
  vuoi espormi con il cazzo in vista, ci fai sopra qualche motivo decorativo. - Va
  bene, Michael, ma questa è l’ultima volta che ti dipingo nudo. Anzi: è
  l’ultima volta che ti dipingo. Per almeno un anno non mi chiedere più
  ritratti.  Michael
  corruga la fronte, assumendo un’espressione desolata: - Potrei
  pensare che non mi vuoi più bene. Gustav
  trattiene la risata che gli viene alle labbra e risponde:  - Se
  continui a chiedermi di dipingerti, credo che finirà proprio così. - Mi
  spiacerebbe moltissimo, Gustav. Tengo a te. - Meno
  che ai tuoi ritratti.  Michael
  rimane pensieroso. Non c’è più ombra di sorriso sul suo volto, ora. Gustav è
  perplesso. - No,
  non è vero. Tengo a te, molto, Gustav. Amo farmi ritrarre, amo mettermi in
  mostra: l’esatto contrario di te. Ma darei fuoco a tutti i miei ritratti pur
  di non perdere la tua amicizia. Le
  parole di Michael commuovono Gustav. Anche
  lui incomincia a considerare Michael un amico, l’amico che non ha mai avuto.
  Non riesce a confidarsi con lui, non ancora, ma gli vuole bene e sa che il
  suo affetto è ricambiato. * La
  mostra che il gallerista Jörg Duckstein allestisce
  ogni anno è uno degli eventi artistici più importanti a Vienna, sicuramente
  il più significativo per la pittura. Tutti i pittori desiderano esporre un
  loro quadro, ma la selezione è piuttosto rigida. La
  mostra attira sempre molti visitatori e nessuno dei critici d’arte la
  perderebbe. Egon è
  in piedi in un angolo. Ormai è sera e tra non molto la mostra chiuderà i
  battenti. Egon dovrà uscire nella notte gelida, attraversare Vienna, stretta
  nella morsa della neve, e raggiungere la sua soffitta, da cui presto il
  padrone di casa lo sbatterà fuori, perché non paga più l’affitto. Egon
  guarda il quadro che ha dipinto, la sua ultima speranza. Egon sorride, un
  sorriso sconfortato. Quando il quadro è stato accettato, gli è sembrato che
  una porta si aprisse davanti a lui. Sono
  passati in tanti davanti a quella tela, in cui Egon ha cercato di dare il
  meglio di sé. Pochi si sono fermati e quei pochi hanno mostrato disgusto o
  fatto qualche osservazione sarcastica. E ora? Egon non possiede più nulla, ha
  solo qualche debito che non è in grado di pagare. Poca cosa, ma per lui già
  troppo. Egon
  vede un gruppo che si avvicina. Al centro è Gustav Keller, il più importante
  pittore del suo tempo, un maestro che Egon ammira, anche se le strade che
  cerca di percorrere sono altre. Insieme a lui ci sono un critico d’arte che
  Egon conosce di fama, il gallerista che ha curato l’esposizione e altri tre
  uomini. Tutti intorno al pittore famoso, idolatrato, ricco. Gustav
  dà appena un’occhiata ai quadri nella stanza, ma quando giunge davanti alla
  tela dipinta da Egon si ferma di colpo. La guarda a lungo, con attenzione. Anche il
  cuore di Egon sembra fermarsi, anche i suoi pensieri, in bilico tra
  un’assurda speranza e la paura di una parola che ferirà come una lama
  d’acciaio. Gustav
  si rivolge al gallerista. - E
  questo di chi è, Jörg? Chi è questo Schulte? Il
  gallerista non si è accorto di Egon, che è in un angolo. - Mah…
  un pittore che non conoscevo. Questo quadro mi è sembrato valido. Anche se
  devo dire che ha ricevuto solo critiche. Gustav
  scuote la testa. - È la
  cosa migliore che c’è qui. Questo è talento, Jörg, vero talento. Il
  critico Bernhard Heydenreich interviene, ridendo: -
  Gustav, non ci avevo badato, ma adesso che me lo fai notare, riconosco che in
  questo quadro c’è davvero una notevole forza. Ma dire che è il migliore! In
  confronto al tuo ritratto del conte Walser… - Il mio
  ritratto di Michael? Un quadro come ne ho fatti tanti, Bernhard. Non c’è
  genio. Uno degli
  altri uomini interviene, chiaramente scandalizzato: - Signor
  Keller! In tutto quello che fa c’è genio. Gustav
  ride e scuote la testa. - Qui
  c’è genio, in questa tela. Una forza selvaggia, che lotta per liberarsi dalle
  pastoie delle convenzioni. Un grandissimo talento.  Egon si
  è appoggiato al muro. Non riesce a stare in piedi. Le parole di Gustav Keller
  lo compensano di tutto: la miseria, il freddo, la fame, la morte che sente
  incombere su di sé. Si rende conto di avere le lacrime agli occhi. Con un gesto
  furtivo si asciuga le guance con la manica della giacca. Si vergogna. Per
  fortuna nessuno guarda verso di lui. - Voglio
  vedere questo Schulte, Jörg. Voglio parlargli. - Certo,
  Gustav, lo cercherò. Egon sa
  che dovrebbe farsi avanti, ma non se la sente. Quando però il gruppo sta
  passando nella sala successiva, Jörg Duckstein si
  gira per lasciar passare Keller. Vede Egon ed esclama: - Schulte, proprio lei. Fa due
  passi nella sua direzione e dice:  - Il
  signor Keller desidera conoscerla. Egon
  annuisce, incapace di parlare. Intanto
  Gustav si è voltato e lo ha raggiunto. Gli porge la mano, sorridendo. - È un
  piacere conoscerla, signor Schulte. Ha voglia di
  venire a cena con noi, questa sera? Vorrei parlarle. Egon
  annuisce. Fa uno sforzo per controllarsi e riuscire a rispondere a tono. - La
  ringrazio per l’invito. Se non disturbo… non vorrei… Egon si
  interrompe, incapace di continuare. Sa che il suo abito logoro rivela la sua
  miseria e ha paura di suscitare le risate degli altri. Ma un uomo a cui
  Gustav Keller ha riconosciuto un grande talento non sarà oggetto di scherno
  da parte di coloro che lo ritengono il più grande pittore vivente. Gustav
  sorride: - Allora
  si unisca a noi subito. Tanto la visita è quasi finita.  -
  Grazie. La
  compagnia che lascia la galleria e raggiunge il ristorante è formata da
  Gustav Keller, dal gallerista, dal critico e da due degli altri uomini che
  accompagnavano il pittore nella visita e che Egon non conosce. Ad aspettarli
  nel locale ci sono altri: una compagnia tutta maschile, di nove uomini. Egon
  non conosce nessuno, ma uno dei presenti è il conte Michael Walser: Egon ha
  visto il suo ritratto alla mostra. È un quadro che ha scandalizzato molti,
  perché nel riquadro centrale il conte è nudo e perfettamente visibile fino al
  pube. La figura continua in un bordo, in cui il disegno è alterato, ma i
  genitali si possono intravedere. Un nudo maschile non è una rarità, ma si
  tratta di solito di antichi dei o eroi mitici oppure di soggetti stilizzati.
  Nel quadro di Keller la resa estremamente realistica del corpo del conte dà
  all’immagine una carica di erotismo che ha suscitato scalpore.  Il
  locale non è elegante e questo fa piacere a Egon, riducendo il suo imbarazzo
  per l’abito liso. D’altronde nessuno è vestito con l’abito da sera. Prima di
  mettersi a tavola, Gustav presenta Egon come un genio e un grande pittore. È
  soprattutto una frase a colpire Egon: - Il suo
  quadro vale tutta la mostra. Keller
  passa a presentare a Egon i diversi commensali. Tra questi uno scrittore di
  cui Egon ha sentito parlare, Hugo von Homborg, e un
  grande musicista, Richard Kleindorf. Poi
  Keller fa accomodare Egon di fianco a lui. Dall’altra parte si siede il
  critico, Bernhard. I commensali incominciano a parlare dell’esposizione, che
  hanno tutti visto, in momenti diversi. Discutono di diverse opere. Egon nota
  che Gustav non esprime quasi mai giudizi molto negativi, come invece fanno
  alcuni degli altri.  A un
  certo punto della serata, Bernhard si rivolge a Egon: - Guardi
  che essere definito genio da Gustav è alquanto impegnativo. - In che
  senso? - Non è
  uno che critica tutti gli altri, a differenza di tanti suoi colleghi che non
  hanno metà del suo talento e sparlano di tutti i loro possibili rivali. Ma
  non è neanche uno che elogia il primo venuto. Le persone che l’ho sentito
  definire geniali sono pochissime e, devo riconoscerlo, sono tutti geni. Mi
  riservo qualche perplessità su Schönberg, il musicista, ma, come dice Gustav,
  è presto per giudicarlo e temo che abbia ragione anche su di lui. Non ho mai
  colto Gustav in fallo, anche se in qualche caso all’inizio ero molto
  perplesso. Egon
  sorride. - Io non
  sono un genio, per cui questa volta potrà vantarsi di averlo colto in fallo. Gustav,
  che ha ascoltato senza intervenire, scuote la testa: - Lei
  forse non sa di esserlo o è molto modesto, ma non credo proprio di
  sbagliarmi. Voglio vedere tutto quello che ha dipinto, signor Schulte, tutto. E voglio sapere tutto di lei. Gustav
  sorride e aggiunge: - Detto
  così, suona male. Non sono così curioso da voler sapere proprio tutto. Ma
  tante cose, sì.  Egon non
  sa come rispondere. Si limita a sorridere e annuire. Man mano
  che il tempo trascorre, Egon ha sempre più l’impressione di essere
  leggermente ebbro. Ha bevuto, ma non troppo. A ubriacarlo sono il calore
  della sala, il buon cibo, la compagnia piacevole, la conversazione libera di
  un gruppo di uomini che amano l’arte e la vita, la cordialità degli altri,
  l’attenzione di Gustav. La disperazione che lo ha accompagnato negli ultimi
  mesi sembra dissolversi, il senso della morte che incombe è svanito. Egon
  scherza con gli altri, leggero, come se la soffitta gelida in cui dovrà
  tornare questa notte non fosse la realtà, ma solo un brutto sogno il cui
  ricordo svanisce.  A un
  certo punto Gustav Keller si rivolge a Hugo von Homburg.
   - E il
  tuo Alessandro, Hugo? Hugo
  sorride. - È a
  buon punto. Egon
  nota che, mentre risponde, Hugo lo sta osservando. È lo scrittore stesso a
  spiegargli: - Come
  avrà capito dalle parole di Gustav, adesso sto componendo un dramma. Egon
  annuisce e chiede: - Su
  Alessandro Magno? Hugo
  scuote la testa.  - No,
  no. Alessandro de’ Medici, signore di Firenze per alcuni anni nel
  Cinquecento. - Non ne
  so nulla. - Non è
  un personaggio noto, lo conoscono solo gli storici e al massimo gli amanti
  del teatro, per via del Lorenzaccio
  di Musset. Non me ne vorrà, signor Schulte, ma
  completando il mio dramma avrò in mente lei. Non riesco a scrivere un dramma
  se nella testa non mi vedo i personaggi, fisicamente, intendo. Come sono e
  come agiscono mi è chiaro, ma ho bisogno di vederli nella realtà o anche solo
  in un quadro, di poter dire: “Sì, quello è Lorenzo!” Questa sera la fortuna
  mi ha sorriso e ho trovato Lorenzo, il Lorenzaccio di Musset. Ora so com’è e
  quello che ancora mi manca verrà da sé. Egon
  ride e chiede: - Mi
  trovo protagonista di un dramma per un invito a cena? E di che cosa tratta il
  dramma, se non sono indiscreto? - No,
  no, lei non è il protagonista, in scena compare appena nel finale, ma è
  importante. Il testo è di fatto un monologo di Alessandro, che si rivolge
  quasi sempre a Lorenzo, assente. Ma preferisco non dirle altro. Quando avrò
  concluso, organizzeremo una lettura privata e lei sarà invitato… Michael
  interviene: - Una lettura
  privata e poi una messa in scena, sempre privata. - Ma se
  non l’hai ancora letto. - Certo,
  Hugo, ma da quel che mi hai detto, non credo che lo vedremo al Burgtheater,
  per cui sarà rappresentato in un teatro molto più attento alla qualità e
  molto meno bigotto. La
  conversazione si sposta sul teatro del conte, di cui Egon non sospettava
  l’esistenza. Che il
  conte Walser abbia un teatro nel suo palazzo non lo stupisce: immagina che si
  tratti di un piccolo palcoscenico per rappresentazioni private. Intanto
  Michael sta chiedendo: - E poi
  metterai il dramma in musica, Richard? Hugo
  interviene, ridendo: - Non
  credo che sarà possibile, visto il soggetto. A parte le difficoltà di un
  quasi monologo, che mi tenterebbe anche, sarebbe uno scandalo.  - Anche
  l’Agamennone ha destato scandalo.  Richard
  osserva: - Da
  quel che so, ho l’impressione che in questo caso io e Hugo finiremmo in
  prigione. - Vi
  porteremmo una torta Sacher. Tutti
  ridono. Qualcuno più curioso pone domande, ma, non ricevendo una risposta
  soddisfacente, si rivolge a Richard. Questi dice: - Non
  posso dire nulla, altrimenti Hugo mi uccide. Hugo
  ride e risponde: - A
  ucciderti sarebbe il signor Schulte, visto che tu
  sei Alessandro. Richard
  sorride e dice, rivolto a tutti: - Non
  crediate che l’essere Alessandro sia da intendere come un complimento.
  Tutt’altro. La
  conversazione si sposta ancora: dal dramma di Hugo si passa a discutere
  dell’ultima opera di Richard, per cui Gustav e Bernhard esprimono tutta la
  loro ammirazione. La musica provoca un’accesa discussione, in cui si parla di
  autori che Egon conosce e di altri che ha appena sentito nominare o che
  ignora del tutto. Da anni non assiste a un concerto. Troppo spesso deve
  scegliere tra comprarsi i colori o il cibo e a volte deve rinunciare a
  entrambi. Con il
  passare del tempo e lo svuotarsi delle bottiglie, la conversazione diventa
  più libera. A un certo punto si torna a parlare della mostra e del quadro in
  cui è ritratto il conte Walser. Questi dice: -
  Aspetto che Gustav trovi il coraggio di espormi nudo. Jörg
  scuote la testa. - Direi
  che più esposto di così… È un bello scandalo.  - No,
  voglio che mi si veda tutto. Uno dei
  commensali dice: - Eddai, Gustav, dipingilo nudo.  Gustav
  replica: - L’ho
  già dipinto nudo, più di una volta. Un altro
  conferma:  - Sì,
  sì, li ho visti. Nudo, con il cazzo ben in vista. Egon è
  sorpreso dal termine brutale, ma nessuno dei presenti sembra badarci.
  D’altronde è una compagnia solo maschile, in cui non è strano che venga usato
  un linguaggio più grezzo.  Michael
  Walser annuisce e dice: - Sì, ma
  non vuole esporli. Gustav
  scuote la testa: -
  Michael, se vuoi puoi mettere quei quadri davanti alla porta d’ingresso del
  tuo palazzo. Ma se c’è una mostra, sono io che propongo i quadri che intendo
  esporre e Jörg che decide. Michael ghigna: - Se il
  grande Keller propone un quadro, il gallerista non gli dice di no, neanche se
  il soggetto ha il cazzo duro. Anche
  questa volta nessuno si stupisce dell’espressione usata, ma Hugo interviene: - Se ti
  esprimi in questo modo, che cosa penserà di noi il signor Schulte,
  che non ci conosce? Michael
  replica: - Buon
  per lui che non ci conosce ancora. Comunque penserà la verità: che siamo una
  banda di dissoluti, depravati, degenerati, corrotti, licenziosi, pervertiti,
  fuorviati, lussuriosi. Ho dimenticato qualche cosa? Qualcuno
  osserva: - Certo!
  Lascivi, impudichi, immorali, viziosi, corrotti… - No,
  corrotti l’ho detto. Tutti
  ridono. Michael poi si rivolge a Jörg: -
  Allora, Jörg, che ne dici? Anche
  Jörg ride e risponde: - Io
  dico che in un caso come quello che prospetti tu, dovrei dire di no anche al
  grande Keller. Non voglio finire in galera. Già il tuo ritratto, Michael, ha
  suscitato uno scandalo e non escludo che ci siano conseguenze pesanti. - Che ti
  faranno piacere, perché sarà un sacco di pubblicità per la mostra. - Questo
  è vero, ma non è un tipo di pubblicità che mi piace. Lo scandalo attira
  l’attenzione, ma un successo di scandalo vale poco. Hugo
  osserva: - Quel
  quadro ha una forza… Gustav, il contrasto tra la carnalità del soggetto e
  l’eleganza della decorazione… lascia senza fiato. Michael
  ride: - Di’
  pure un rozzo contadino in un intreccio di arabeschi. Egon
  guarda Michael, che si rivolge direttamente a lui.  - Vero
  che ho l’aspetto di un contadino, signor Schulte? La domanda
  mette Egon in imbarazzo. È come se Michael gli avesse letto in testa. Il
  conte coglie l’incertezza di Egon e ride. Poi incomincia a raccontare: - Mia
  madre era una borghese. Il conte Walser la sposò perché portava in dote un
  patrimonio immenso. Ma incominciò presto a trascurarla. Che i due vivessero
  separati, non era un mistero per nessuno. Mia madre soggiornava spesso nella
  tenuta di Schwarzewasser, dove il conte si recava
  in autunno per la caccia. Di solito quando arrivava il conte, la contessa tornava
  in città. Ma un anno si fermò qualche giorno. Era rientrata a Vienna da una
  settimana, quando il conte venne ucciso in una battuta di caccia. Un
  incidente, si disse. Qualcuno, non si seppe mai chi, gli aveva sparato alla
  schiena. Un incidente, ma dovevano avergli sparato a pochi metri di distanza. Egon si
  stupisce che il conte racconti con tanta franchezza una faccenda così
  personale. Si guarda intorno, ma è evidente che gli altri già conoscono la
  storia. Il conte
  prosegue: - Poco
  dopo la morte del conte si seppe che la contessa era incinta. Circolarono
  voci, un guardacaccia si vantò di aver conosciuto molto bene la contessa.
  L’uomo venne ucciso una notte in campagna. Da qualche bracconiere,
  senz’altro. Anche per lui una fucilata alla schiena. Mia madre morì di febbre
  puerperale un settimana dopo il parto, che avvenne un po’ in anticipo sul
  previsto. L’unico parente stretto era il fratello di mia madre, che divenne
  il mio tutore e mi allevò. Non era sposato, aveva altri gusti, che mi ha
  trasmesso. Michael
  ride. - La
  scandalizzo, signor Schulte? Egon è
  alquanto in imbarazzo, ma scuote la testa. - No,
  no. È Gustav
  a intervenire: -
  Michael, il signor Schulte magari non si
  scandalizza, ma forse non è proprio contento che uno che ha appena conosciuto
  gli racconti le sue faccende personali. Michael
  non risponde a Gustav, ma si rivolge a Egon. Non c’è più traccia della
  sfrontatezza di prima, mentre dice: - Gustav
  ha ragione e mi scuso. Lui è l’unico che mi dice chiaro e tondo che sono uno
  stronzo, quando mi comporto da stronzo. Per questo è l’uomo di cui ho più
  stima al mondo. Non solo per questo, devo dire, no, di certo. Ma anche per
  questo. Gustav
  fa un cenno di diniego, ma non dice nulla.  L’intervento
  di Jörg devia il discorso: - Signor
  Schulte, conto di vedere i suoi quadri quanto
  prima.  Egon
  annuisce. L’interesse del gallerista gli fa molto piacere. - Ben
  volentieri. Bernhard
  dice: -
  Anch’io ci tengo a vederli. Mi dà un po’ fastidio che sia stato Gustav a
  scoprire un talento e a segnalarmelo, per cui voglio rimediare. Gustav, mi
  terrai informato, vero? - Certo,
  Bernhard. La
  conversazione ritorna alla mostra, ma ormai la cena è conclusa e quando due
  dei commensali si alzano, dicendo che devono andare, anche gli altri lasciano
  il tavolo.  Escono
  dal locale. Il gelo della notte li avvolge. Lo stato di euforia di Egon si
  dissolve. Non ha avuto modo di parlare con Gustav dei suoi quadri. Gustav non
  gli ha chiesto nemmeno l’indirizzo. Si lasceranno così? Della splendida
  serata rimarrà solo un ricordo, come di un sogno svanito nel nulla? Gustav
  sembrerebbe quasi aver capito, perché dice: - Non
  siamo riusciti a parlarci, signor Schulte, ma avrei
  dovuto prevederlo: non è a una cena tra molte persone che è possibile parlare
  tranquillamente a tu per tu. Quando può venire da me? - Quando
  vuole. -
  Domani? In tarda mattinata? - Certo. - Dove
  abita? Egon
  indica il quartiere. - È
  lontanissimo. La faccio riaccompagnare dal cocchiere. Egon si
  dice che Gustav deve aver capito la sua condizione: Egon non può certo
  permettersi di prendere una carrozza. Non vuole approfittare della cortesia
  di Gustav, per cui dice:   - No,
  non si disturbi. - Non
  può pensare di tornare a piedi a quest’ora, con questo gelo. E non credo che
  troverà una carrozza. - Non ha
  importanza. Gustav
  scuote la testa. - Senta,
  scusi la mia mancanza di discrezione: ha qualcuno che lo aspetta a casa? - No. - Allora
  venga da me. La ospito per questa notte. - Ma io…
  non posso accettare. Non voglio disturbarla. - Venga
  da me e domani mattina facciamo colazione insieme e ci parliamo
  tranquillamente. Su salga, non mi faccia rimanere qui a congelare. Gustav
  spinge Egon in carrozza, senza neanche aspettare una risposta. Egon pensa che
  dovrebbe dire di no, ma l’idea di non dover tornare nella soffitta gelida è
  un tale sollievo! E rimanere ancora accanto a Gustav, poter parlare con lui
  domani mattina… Nel buio
  della carrozza i loro corpi si sfiorano. E di colpo Egon è colto da un
  dubbio: Gustav Keller non lo avrà invitato per portarselo a letto? Ripensando
  al tono delle conversazioni a tavola, non ci sarebbe da stupirsi. Se le lodi
  al quadro fossero state solo un espediente per agganciarlo? Come con il
  mercante di sogni, quel Gottfried Reichner? Egon sa
  di essere un bell’uomo e anche altre volte qualcuno gli ha fatto capire di
  essere interessato a lui. Vedendo la sua miseria, gli hanno perfino offerto
  del denaro. Egon ha sempre rifiutato. L’idea di vendersi lo disgusta. Egon si
  dice che è un pensiero assurdo: Keller non lo conosceva, non lo aveva mai
  visto. Non può aver lodato il suo quadro solo per agganciarlo. E se lo avesse
  visto prima? Se fosse stata tutta una commedia? A Egon pare di nuovo di
  sprofondare in un mare di dubbi. Il calore della serata è svanito e rimane
  solo il freddo di questa carrozza che avanza nel buio e nel gelo
  dell’inverno.  Il
  viaggio è lungo, perché Gustav abita ai piedi della collina e il ristorante
  dove hanno mangiato è vicino a Santo Stefano. Un
  domestico è rimasto ad aspettare il padrone. Quando entrano, Gustav gli dà le
  istruzioni perché accompagni Egon nella camera per gli ospiti. Poi si rivolge
  a Egon: - Le
  auguro di riposare bene. Wolfgang le darà la biancheria per la notte. Domani
  mattina, quando si sveglia, scenda a colazione. Io, vista l’ora, posso dirle
  che scenderò tardi: credo che dormirò a lungo. E domani avremo modo di
  parlarci con calma. Il
  domestico accompagna Egon nella stanza degli ospiti: una camera accogliente e
  calda, perché la casa è una delle prime a Vienna con un impianto di
  riscaldamento. A fianco una stanza da bagno.  Egon si
  vergogna dei sospetti che ha avuto, si sente in colpa. Si dice che la miseria
  lo ha reso diffidente e ingiusto. Gustav Keller è un uomo sensibile e
  generoso e non ha secondi fini. * L’indomani
  Egon si sveglia nel letto. Per un attimo non capisce dove si trova. Non è
  stato un sogno. Il grande Keller ha visto un suo quadro, lo ha apprezzato e
  vuole vedere le sue opere. È vero, è tutto vero! Egon si
  alza, si lava con cura e scende. Una domestica lo accompagna nella sala da
  pranzo dove un tavolo è apparecchiato per due. Gustav è seduto in poltrona e
  legge il giornale. Si alza mentre lo saluta e gli si avvicina, porgendogli la
  mano. - Ha
  dormito bene, signor Schulte? -
  Benissimo, grazie. E lei? - Anch’io.
  Non è molto che mi sono alzato e ho deciso di aspettarla. Mettiamoci a
  tavola. Su una
  tovaglia bianca sono disposti diversi recipienti, con frutta, biscotti,
  marmellata e dolci. - Che
  cosa desidera mangiare, signor Schulte? Le faccio
  preparare delle uova? Egon
  guarda il cibo disposto sulla tavola. C’è molto di più di quello che
  abitualmente mangia a colazione in una settimana. - Va
  benissimo quello che c’è. Non ho bisogno d’altro. -
  Cioccolata, tè o caffè? O latte? Non so che cosa preferisce bere. Io amo la
  cioccolata, sono un goloso, ma non voglio imporla a nessuno. - La
  cioccolata va benissimo. Durante
  la colazione parlano della serata precedente.  - Signor
  Schulte, spero che la conversazione ieri sera non
  sia stata fastidiosa per lei. - Ma che
  cosa dice?! No, di sicuro! - Ci
  conosciamo tutti da tempo e tra noi siamo abituati a essere molto franchi.  - Mi
  sembra molto bello che tra amici ci siano franchezza e reciproca fiducia. - A
  volte più che franchezza, è sfacciataggine. Ma sono contento che non le abbia
  dato fastidio. -
  Tutt’altro. È stata una bella serata.  Egon
  chiede alcune informazioni sui presenti. Quello che lo ha colpito di più è il
  conte, ma preferisce non parlare di nessuno in particolare.  - Mi ha
  fatto molto piacere conoscere di persona il signor Homborg. - Anche
  lui è un genio, come Richard Kleindorf, che mise in
  musica il suo Agamennone. -
  Purtroppo non ebbi occasione di sentirlo, ma alcuni ne parlano come di un
  capolavoro, altri lo stroncano. - A
  parer mio è un capolavoro, ma come tutte le opere molto innovative, ha
  suscitato scandalo. Non solo per le forme musicali, ma anche per il
  contenuto… - L’Agamennone? Ma non è la storia
  classica? - Sì, ma
  rivisitata e il rapporto tra Egisto e Agamennone… non è detto esplicitamente,
  ma è abbastanza chiaro che non sono soltanto cugini. Tra loro c’è stata una
  storia di amore… no, amore non è il termine giusto, di desiderio, passione.
  Una relazione, segnata da una forte attrazione fisica. Egon è
  stupito. Una rilettura in chiave omosessuale del mito di Agamennone: questa
  non se l’aspettava. Gustav continua: - Un
  tema che ritorna anche nell’Alessandro
  che Hugo sta scrivendo ora, credo. Egon è
  turbato. Non ha mai avuto rapporti con uomini, anche se a volte lo ha
  desiderato: maschi forti e virili come il conte Michael Walser accendono il
  suo desiderio e a volte ritornano in sogni in cui Egon viene. Anche Homborg dev’essere attratto dagli uomini. Intanto
  Gustav cambia discorso: - Sono
  indiscreto, lo so, ma vorrei sapere di lei, qualche cosa della sua vita e
  tutto della sua arte. Egon
  annuisce. È riservato per natura e non intende parlare molto della sua vita.
  Si limita all’essenziale:  - Non
  ricordo mia madre, che morì quando avevo un anno. Mio padre era impiegato
  alle poste, con una buona posizione: non vivevamo nel lusso, ma non ci
  mancava l’essenziale. Io amavo molto disegnare e mio padre mi permise di
  prendere lezioni di disegno e poi di pittura: non gli spiaceva l’idea di
  avere un figlio pittore, forse perché anche lui aveva avuto aspirazioni
  artistiche, ma la famiglia non lo aveva assecondato. Lui voleva che potessi
  realizzare i miei sogni, che erano stati anche i suoi. Era giovane e pensava
  che avrebbe potuto mantenermi fino a che non fossi diventato autonomo. Egon fa
  una pausa. - Una
  sera d’inverno, tornando a casa, scivolò finendo in strada, mentre arrivava
  una carrozza. Morì sul colpo. Egon
  guarda Gustav: il pittore ha aggrottato la fronte. - Mi
  ritrovai povero. Per un po’ vissi con quello che mio padre aveva messo da
  parte e continuai a dipingere e disegnare. Poi fui costretto a cercare
  qualche lavoretto per sopravvivere. Ma ho continuato a dipingere, a cercare
  la mia strada, anche se… Egon si
  ferma. Non vuole dare l’impressione di mendicare un po’ di compassione. Gustav
  scuote la testa e dice: - Non ha
  avuto una vita facile. Poi
  aggiunge: - Vorrei
  vedere ciò che ha dipinto, i suoi disegni, tutto. - Ben
  volentieri. -
  Andiamo da lei. L’idea
  di far entrare il grande Keller nella sua soffitta gelida non piace a Egon. - No,
  non è il caso. Posso portarle qualche mio quadro io. Gustav
  ride e scuote la testa. - No,
  no. Voglio vedere tutto, non mi accontento di qualche quadro. E portare tutto
  qui per poi riportarlo dove abita sarebbe assurdo. Direi che se non ha
  impegni particolari, possiamo andarci subito. Hanno
  ormai finito di mangiare, per cui si alzano e si preparano per uscire.
  Durante il viaggio Gustav chiede informazioni sulle tecniche usate da Egon e
  sui suoi soggetti preferiti. Quando
  arrivano davanti alla casa, Egon prova vergogna. Entrano e salgono la scala.
  Egon è conscio del degrado e dello squallore dell’edificio, che avrebbe
  bisogno di diversi interventi di manutenzione. Guarda Gustav, ma questi non
  sembra manifestare disgusto o fastidio. Egon dice: - Mi
  spiace farla entrare in un posto del genere. - Signor
  Schulte, mi spiace che lei viva in un posto così.
  Mi spiace che ci sia gente che vive in posti come questi. Viviamo in una
  società profondamente ingiusta. Egon è sorpreso:
  non si aspettava da Gustav una sensibilità alla questione sociale. Non dice
  nulla. Raggiungono la soffitta. La
  stanza è gelida ed Egon prova un brivido entrando. Gustav
  avanza verso i quadri, accatastati a terra. Ne prende uno e lo guarda con attenzione.
  Poi lo posa e ne prende un altro. Sorride. - Non mi
  sono sbagliato. Ma sapevo di non sbagliarmi. Ne ero sicuro. Anche
  Egon sorride, imbarazzato e felice. La misera soffitta in cui vive sembra
  scomparire. Gustav
  prende un quadro che raffigura due uomini che si abbracciano di notte ai
  margini di un parco avvolto nella nebbia: una scena a cui Egon ha assistito
  casualmente una sera e che lo ha colpito. In quel momento la porta si apre.
  Il padrone di casa entra e, senza accorgersi della presenza di un ospite, si
  rivolge direttamente a Egon. - Schulte, aspetto i due mesi di arretrato che mi deve. Può
  pagarmi o devo sbatterla fuori?  Egon è
  sopraffatto dalla vergogna: vorrebbe poter scomparire, annullarsi. Prima che
  possa replicare, Gustav interviene. - Il
  signor Schulte se ne va oggi stesso. Sono venuto
  per organizzare il trasloco. Quanto le deve per gli affitti arretrati? Il
  padrone di casa guarda stupito lo sconosciuto che è intervenuto.
  L’abbigliamento indica chiaramente che si tratta di un ricco borghese, non di
  un morto di fame come questo sedicente pittore. Dice la cifra dovuta,
  aggiungendo il mese in corso. Keller
  tira fuori il portafogli e paga. -
  Rilasci la ricevuta al signor Schulte. Lascerà
  libera la stanza tra poco. Egon
  guarda Gustav. Appena il padrone di casa esce, Egon fa per parlare, ma Gustav
  lo blocca con un gesto: - Senta,
  lei viene via con me. Per qualche settimana sarà mio ospite, così potremo
  parlare liberamente di pittura, vedrò i suoi disegni e i suoi quadri e
  soprattutto la vedrò all’opera, nel mio atelier. E Jörg potrà organizzare una
  mostra.  - Ma…
  io… Gustav
  lo interrompe: - Ha
  qualche buon motivo per voler restare qui?  Poi
  sorride e aggiunge: - Sarei
  davvero curioso di conoscerlo. Egon
  scuote la testa. Non ha nessun motivo per rimanere nella soffitta. Ha delle
  remore ad accettare l’ospitalità di Gustav, anche se l’offerta gli sembra
  bellissima: una casa calda e accogliente, il più grande pittore vivente al
  suo fianco, la possibilità di lavorare nel suo atelier, di confrontarsi con
  lui. Che cosa potrebbe desiderare di più? Gustav
  dice, dando per scontato che Egon abbia accettato: - Scendo
  a dire a Hans di cercare qualcuno che venga a dare una mano per il trasloco. - No,
  vado io. - Va
  bene, così ne approfitto per guardare qualche altro quadro. Solo
  mentre sta scendendo, a Egon vengono in mente alcuni quadri in cui si è
  ritratto nudo, uno in particolare in cui ha un’erezione. Si blocca di colpo.
  Il quadro è dietro altri, l’importante è che Gustav non lo veda. E ci sono
  anche i disegni. Merda! A questo non aveva pensato. Che opinione si farà
  Keller di lui? Egon
  raggiunge il cocchiere e lo informa della decisione di Keller, poi torna
  nella soffitta. Keller è
  raggiante. Tiene in mano un autoritratto di Egon. -
  Fantastico. Signor Schulte, non so come mai lei non
  sia ancora un pittore famoso, ma lo diventerà presto, perché è impossibile
  non riconoscere il suo talento. Bernhard è un uomo intelligente e influente:
  l’aiuterà. E credo che Jörg sarà ben contento di organizzare un’esposizione. Il
  cocchiere arriva poco dopo con due facchini. Gustav raccomanda di maneggiare
  il tutto con grande cautela. In poco tempo la soffitta viene svuotata e i
  quadri caricati su un carro. Sulla soglia Egon la guarda. Vuota, appare in
  tutto il suo squallore. Spera di non tornarvi mai più. Nel
  viaggio di ritorno Egon è frastornato. Si rende conto che la sua vita è a una
  svolta, ma gli sembra ancora incredibile. Davvero il grande Keller lo
  ospiterà? Potrà lavorare al suo fianco? Sarà organizzata una mostra dei suoi quadri?
  No, non è possibile, dev’essere un sogno. L’idea di vivere a spese di Keller
  lo mette in imbarazzo, anche se sa che il pittore è ricchissimo. - Signor
  Keller, io la ringrazio per la sua generosità, ma non voglio approfittarne.
  Mi cercherò al più presto un’altra sistemazione. - Non è
  ancora arrivato e già vuole andarsene? Sono un ospite così tremendo? Egon
  scuote la testa. - Ma no,
  che dice? È che vivere… - La
  ospito molto volentieri, ho piacere di vederla lavorare e vorrei poterla
  accompagnare verso il successo che merita. Aiutare un giovane di talento è
  bellissimo. E le assicuro che cercherò di non essere invadente. Potrà far
  conto di essere in albergo e muoversi in piena libertà, ma… Gustav
  alza un dito come a minacciare Egon e completa la frase: - …ma
  solo dopo che mi avrà fatto vedere tutti i suoi quadri. Prima deve
  considerarsi mio prigioniero. Di nuovo
  Egon pensa alla tela in cui si è dipinto nudo con l’uccello in tiro e ad
  alcuni altri quadri e disegni. Poi ripensa a quanto è stato detto ieri sera:
  Gustav Keller ha dipinto il conte Walser nudo più volte. In fondo c’è un solo
  autoritratto davvero imbarazzante. Dovrà cercare di farlo sparire. Ci sono
  anche alcuni disegni, ma quelli sarà più facile nasconderli o distruggerli. Arrivati
  alla villa, Gustav fa sistemare i quadri nell’atelier ed Egon ha modo di
  vedere dove lavora il grande Keller. È una stanza molto ampia, di forma
  allungata, con un soffitto di oltre tre metri e una lunga vetrata su un lato
  e in alto: l’ambiente è molto luminoso. - Che meraviglia! -
  L’architetto, Otto Wagner, ha progettato la villa per me e io ho bisogno di
  uno spazio molto grande e con molta luce. C’è anche un’altra saletta, più
  piccola e più calda: qui d’inverno, con questa vetrata, è sempre un po’
  freddo e se dipingo un nudo… il modello rischia una polmonite. Gustav
  sorride. Egon annuisce. - Lei mi
  scuserà, ma io sono impaziente di vedere i suoi quadri e, visto che abbiamo
  ancora un po’ di tempo prima di pranzo, se non le spiace continuerei. Gustav
  riprende in mano i quadri. Chiede a Egon alcuni dettagli tecnici e
  informazioni sui soggetti. Commenta, quasi sempre in modo molto positivo. Dopo una
  dozzina di tele, appare quella che Egon sperava di nascondere. Egon si tende. Gustav
  la prende in mano senza mostrare nessuna emozione particolare, neppure
  stupore, e la esamina come ha esaminato le altre. Poi dice: - Anche
  questo è un capolavoro. Gustav
  guarda Egon e coglie il suo imbarazzo. Sorride. - Questo
  non lo esporrà alla mostra, ma non deve vergognarsi. E credo che un giorno
  questo quadro sarà apprezzato per il suo valore. - Io… - Signor
  Schulte, anch’io ho dipinto qualche quadro di
  questo tipo. Anche peggio. Molto peggio. Gustav
  ride. Aggiunge: - Siamo
  entrambi uomini. Dipingiamo con il corpo, con le mani, con il cuore, con la
  testa, con l’uccello. E il desiderio è parte di noi.  Egon è
  ancora in imbarazzo. Sospetta che Gustav stia mentendo per alleviare il suo
  imbarazzo. - Non
  credo… che lei abbia dipinto quadri… come questo. - Signor
  Schulte, non le faccio vedere due miei quadri,
  perché temo che se ne andrebbe, preferendo evitare di passare un’altra notte
  sotto lo stesso tetto di un simile depravato. Ma se un giorno diventeremo
  amici, prometto di farglieli vedere. Un
  domestico entra mentre Gustav finisce di parlare e annuncia che il pranzo è
  pronto. -
  Andiamo, signor Schulte. Nel
  pomeriggio arriva Michael. Gustav è stupito di questa visita: è vero che il
  conte si presenta talvolta senza essere atteso, ma si sono visti la sera
  prima. Michael
  saluta Schulte e dice subito: - Voglio
  vedere anch’io i quadri del signor Schulte. Li hai
  già visti? - Sì, li
  abbiamo portati qui.  - Allora
  posso vederli. - Se lui
  è d’accordo, non sarò certo io a impedirtelo. Il conte
  si rivolge a Egon: - Signor
  Schulte, non le spiace farmi vedere i suoi quadri? - No,
  naturalmente. Egon ha
  provveduto a sistemare le tele, mettendo fuori portata quelle che preferisce
  non far vedere a nessuno, per cui non ha problemi a mostrarle al conte. Ha
  selezionato anche i disegni. Gustav Keller non si è mostrato scandalizzato,
  ma di certo non tutti reagirebbero allo stesso modo. Michael
  guarda tutti i quadri con grande attenzione. Alla fine dice: - Mi
  venderà alcuni di questi quadri, signor Schulte. Ma
  aspetto l’esposizione che sicuramente organizzerà: mi sembrerebbe scorretto
  sottrarre alcuni pezzi. Però su almeno due chiedo il diritto di prelazione. Egon
  annuisce. L’idea di vendere due quadri gli sembra irreale. Gustav
  interviene: - Signor
  Schulte, i suoi quadri sono capolavori. Non li svenda.
  Il conte può pagarli quanto valgono. Michael
  aggrotta la fronte, come se fosse irritato con Gustav. -
  Gustav! E io che ti consideravo un amico! Contavo di fare un buon affare e tu
  mi rovini la piazza. Molto scorretto da parte tua. Gustav
  ride e risponde: - Farai
  comunque un buon affare, anche se li pagherai il giusto. Queste sono opere
  che gli intenditori si contenderanno, questa è l’arte del secolo che sta
  arrivando. A Egon
  le parole di Gustav sembrano incredibili, ma a parlare è il più grande pittore
  vivente: qualche cosa di vero ci deve essere. Come è successo più volte nelle
  ultime ventiquattro ore, a tratti gli sembra di vivere in un sogno. Si dice
  che si sveglierà e si ritroverà nella sua soffitta gelida, ma questo ambiente
  caldo è reale ed è la soffitta a essere diventata irreale, un orribile sogno
  da scordare. Michael
  non ha finito: - Mi
  farà un ritratto, signor Schulte? Un quadro in più
  da esporre alla mostra. Egon
  guarda il conte, sorpreso dalla richiesta. Michael ride e riprende: - Sì, lo
  so, sono sfacciato e mi piace mettermi in mostra, in tutti i sensi. Mi piace
  l’idea che tutti mi vedano. E sono sicuro che la sua mostra sarà un successo. Gustav
  interviene: non vuole che Egon abbia troppe aspettative, con il rischio di
  rimanere deluso. - Signor
  Schulte, la sua mostra, do per scontato che si
  farà, sarà oggetto di critiche feroci, come la prima esposizione degli
  impressionisti o l’Agamennone di Kleindorf: la sua arte è troppo innovativa per il
  pubblico medio. Ci saranno stroncature, ma i critici migliori coglieranno il
  suo valore, non ho dubbi. E con il tempo lei sarà considerato un maestro da
  seguire. A Egon
  sembra impossibile che Gustav Keller parli così. Non replica, non saprebbe
  che cosa dire.  Michael
  ritorna alla carica: - Va
  bene, voglio far parte dei quadri criticati. Mi dipinge, signor Schulte? - Ma…
  molto volentieri. Senz’altro. Mi dirà lei quando vuole che venga. -
  Possiamo farlo qui. È ospite di Gustav, che sicuramente le lascia usare uno
  dei suoi studi, vero, Gustav? Gustav
  sorride.  -
  Certamente, ho invitato il signor Schulte proprio
  perché possa dipingere in un ambiente adatto. -
  Ottimo. Qui vengo volentieri, conosco l’ambiente e inoltre avrò anche
  l’occasione di scambiare due chiacchiere con Gustav, che ormai non mi
  sopporta più e ha ragione, perché sono proprio insopportabile, ma se vengo a
  posare per lei, non può certo mandarmi via. Gustav
  scuote la testa, sorride e risponde: - Sul
  fatto che tu sia insopportabile, non posso che essere d’accordo con te.
  Comunque quando vieni, ti farò servire la cioccolata calda. Ho una bellissima
  cioccolatiera. - Quando
  incominciamo, signor Schulte? Domani? Gustav
  ride. Egon sorride e dice: - Per me
  va bene. Devo solo procurarmi la tela… Gustav
  interviene: - Tele
  qui ce ne sono. Colori pure. Comunque il prezzo del ritratto lo facciamo
  stabilire a Duckstein. Michael
  guarda Gustav, fingendosi irritato: - Sei
  proprio un Giuda, Gustav! Poi
  scoppia a ridere e dice a Egon: - Giuro
  che non approfitterei mai della sua situazione per pagarla meno di quel che
  vale. - Lo
  pagherai comunque meno di quel che vale, qualunque cifra suggerisca Duckstein. Michael
  scuote la testa e dice: - Forse
  mi converrebbe farla venire a casa mia, signor Schulte.
  Gustav mi rovina la piazza… Il giorno
  dopo Egon incomincia il ritratto del conte Walser. L’opera procede in fretta:
  Michael è sempre disponibile a posare e Egon è ben contento di poter lavorare
  in modo continuativo a un ritratto, il primo quadro che gli sarà pagato. Si
  impegna al massimo, perché vuole essere all’altezza della stima che Gustav
  Keller gli dimostra. In due
  settimane il quadro è pronto. - Gustav
  aveva ragione, ma non avevo dubbi su questo: Gustav ha sempre ragione, perché
  lui vede con il cuore, non con la testa. O, piuttosto: con il cuore e con la
  testa. Lei è un genio, signor Schulte. O posso
  chiamarla Egon? A Egon
  non dispiace entrare in confidenza con uno degli amici di Gustav. Del gruppo
  che ha incontrato la sera dell’esposizione conserva un bel ricordo, un po’
  perché è stata la serata che ha cambiato la sua vita, un po’ perché gli è
  piaciuto il cameratismo che esiste tra di loro, il loro rapporto franco. Gli
  piacerebbe entrare a far parte di quel gruppo, stabilire con loro rapporti
  familiari. - Va
  bene. Egon non
  chiama il conte per nome: esiste tra loro una differenza di condizione
  sociale troppo forte per prendere una simile iniziativa senza un invito
  esplicito. Michael
  ride. -
  Perfetto, Egon. Io sono Michael. -
  Grazie, Michael. - E
  adesso che siamo diventati amici, mi farai un secondo ritratto. Un bel nudo.
  Anche quello per la mostra. Chiederò a Jörg di mettere i due quadri
  affiancati. Come i due Goya, La Maja
  desnuda e La Maja vestida. Tu probabilmente non li conosci. Io sono
  riuscito a farmi aprire la stanza dove è tenuta La Maja desnuda, all’accademia di belle arti di San Fernando.
  Pare che l’Inquisizione volesse processare Goya per quel quadro. Egon ha
  visto solo una riproduzione de La Maja vestida. Dell’altro quadro non conosceva neppure
  l’esistenza. Egon non
  ha impegni mondani e non deve dipingere quadri per altri committenti, che per
  il momento non ci sono, per cui può incominciare il secondo quadro. Si
  mettono d’accordo per il giorno dopo. -
  Un’ultima cosa, Egon: per martedì prossimo ho invitato a cena gli amici che
  hai conosciuto. Ovviamente vorrei che ci fossi anche tu. A Egon
  l’invito fa molto piacere, ma lo mette anche in imbarazzo, perché non ha un
  abito decente da mettersi. - Io…
  sì, volentieri. Ma… - C’è
  qualche problema? -
  Niente. Va bene. Ti ringrazio. È Michael
  stesso a dire a Gustav che ha invitato Egon. Quando il conte esce, Gustav
  guarda Egon e gli dice: - Qual è
  il problema, signor Schulte? - No… è
  che… non ho un abito decente da mettermi. - Non è
  una serata mondana, ma capisco che lei possa sentirsi a disagio. Il tempo per
  farle fare un abito è un po’ stretto, abbiamo misure troppo diverse perché
  possa prestarle qualche cosa, ma… una soluzione la troviamo. La
  soluzione la fornisce il sarto, contattato da Gustav. Ha un abito quasi
  finito, destinato a un cliente che è dovuto partire improvvisamente, per
  sfuggire all’arresto per truffa: certamente non tornerà per ritirare il
  vestito. Il sarto lo riadatta e lo completa in pochi giorni. Gustav si
  preoccupa anche degli accessori e il giorno della cena Egon è in grado di
  presentarsi senza essere a disagio. L’atmosfera
  è quella allegra e piuttosto libera che Egon ricorda. Riesce a inserirsi
  senza difficoltà nella conversazione comune e nuovamente prova la sensazione
  di leggera ebbrezza della prima sera in cui ha cenato con gli altri. Sarà
  questo il mondo in cui si muoverà?  Tutti sono curiosi di vedere il teatro che il padrone di casa sta facendo costruire, ma Michael non intende mostrarlo a nessuno prima della serata dello spettacolo, tanto più che non è ancora stato completato. Dovranno aspettare. Solo Hugo lo ha visto, perché anche lui segue i lavori, sorvegliando la realizzazione dei progetti. Il
  giorno dopo si ritrovano nel primo pomeriggio per il ritratto di nudo: Egon farà
  due o tre schizzi, poi sceglieranno la posizione.  Egon
  guarda Michael spogliarsi. Del tutto inaspettatamente il desiderio si accende
  in lui e il sangue gli affluisce al cazzo. Non se lo aspettava e rimane
  disorientato. Non gli è passato per la mente di poter avere un’erezione.
  Fortunatamente la tunica che indossa per dipingere, dono di Gustav, è ampia e
  non lascia vedere protuberanze imbarazzanti. Michael
  non sembra provare il minimo imbarazzo a posare nudo: è evidente che lo fa
  volentieri. D’altronde lui stesso dice che gli piace mettersi in mostra. Egon è a
  disagio. Cerca di concentrarsi sul lavoro e di soffocare il desiderio. Ma per
  disegnare deve guardare in continuazione Michael e il suo corpo brucia. Non
  gli è mai successa una cosa del genere. Si innervosisce. Merda! Avrebbe
  dovuto prevedere che prima o poi l’astinenza gli avrebbe giocato qualche
  scherzo, ma negli anni della miseria il desiderio si era assopito e solo di
  rado si manifestava. E mentre procede con gli schizzi, il suo sguardo che corre
  dal disegno al corpo nudo di Michael continua a gettare legna sul fuoco che
  arde. Il corpo gli ricorda brutalmente la realtà: non ha neppure trent’anni
  e, ora che mangia regolarmente e non patisce il freddo, è sano e forte e
  l’appetito non gli manca.  Michael
  si avvicina per vedere i due schizzi che Egon ha realizzato. I loro corpi si
  sfiorano ed Egon di colpo è conscio dell’odore e del calore del corpo del
  conte. Ha un buon odore, Michael, di maschio pulito. E il desiderio cresce
  ancora. Egon è
  frastornato. - Questo
  mi sembra bellissimo. Se esponi il quadro accanto all’altro ritratto che mi
  hai fatto, sarà perfetto. -
  Vedremo. Michael
  ride e aggiunge: - Magari
  una volta mi dipingi anche con il cazzo in tiro. Gustav si rifiuta di farlo. Egon si
  sente gelare. Che Michael si sia accorto della sua erezione? Magari in un
  momento in cui si è mosso?  Michael
  avverte il turbamento di Egon. -
  Scusami, Egon. Sono sfacciato e ogni tanto parlo come un carrettiere, ma non
  ho nessun senso del pudore e finisce che mi dimentico che non tutti sono come
  me. - No,
  ecco… io… Egon
  pensa al quadro che Gustav ha visto, in cui si è dipinto esattamente come
  Michael vorrebbe essere ritratto. - Ne
  parleremo, Michael… Non ho mai ritratto… in realtà non ho avuto molte
  occasioni di ritrarre altre persone negli ultimi anni. Prima era diverso… in
  ogni caso ne parleremo.  Infine
  Michael se ne va. Egon guarda la porta da cui è uscito, poi guarda i due
  disegni. Il desiderio brucia. Merda! Deve in qualche modo sfogarsi ed evitare
  di ritrovarsi in una situazione del genere. Farà da sé. Magari guardando uno
  degli schizzi di Michael nudo. Con un altro si vergognerebbe del suo
  pensiero, ma è sicuro che se il conte lo sapesse, ci riderebbe sopra: l’idea
  lo divertirebbe. Michael è sfacciato e parla di sesso senza peli sulla
  lingua. Anche alla cena non ha nascosto che preferisce gli uomini. Michael
  non è un bell’uomo, ma gli piace sia fisicamente, sia come carattere.
  Apprezza la sua schiettezza, la sua sicurezza. 
 Nel
  palazzo dei Walser i lavori fervono. Nel salone da ballo, sotto la direzione
  di Hugo e di Michael, i carpentieri hanno allestito un palcoscenico che non
  ha niente da invidiare a quello di molti grandi teatri, a parte le dimensioni.
  Adesso i lavori proseguono, coinvolgendo una marea di artigiani che si
  occupano delle decorazioni: è un’idea di Michael, che vuole ricreare una sala
  settecentesca. Hugo è
  entusiasta, ma perplesso. - Hai
  creato un vero teatro, per un’unica rappresentazione! Michael
  lo guarda e ghigna. - Perché
  un’unica rappresentazione? E l’Alessandro?
  Eravamo d’accordo anche su quello, no? In
  realtà ne hanno parlato soltanto la sera in cui Egon si è unito alla
  compagnia, un accenno e niente di più. Hugo è
  disorientato. - Sì,
  ma… pensi davvero di mettere in scena anche quello? - Perché
  no? Se non posso vederlo al Burgtheater, lo vediamo qui. O è un testo che
  supererà la censura? - Lo
  escludo. -
  Ottimo. Ho fatto bene a far allestire un buon teatro.  Hugo non
  sa che dire. Ormai Michael conosce benissimo i costi di una messa in scena,
  ma la spesa per lui non è un problema. Nel caso poi dell’Alessandro, di fatto c’è un solo attore, il protagonista, perché Lorenzo
  e Scoronconcolo hanno parti minime e, non dovendo
  più trasformare in teatro il salone, sarà tutto più semplice. L’idea di poter
  rappresentare anche l’Alessandro lo
  solletica. Non intende scrivere altri drammi che saranno messi in scena solo
  in forma privata: sarebbe la fine della sua carriera come autore teatrale. I
  suoi primi drammi gli hanno dato una fama a cui anche l’Agamennone ha contribuito, grazie all’opera di Kleindorf. L’idea dell’Alessandro si è imposta e intende portarlo a termine, ma poi
  dovrà pensare di tornare definitivamente alla scena, quella pubblica, come ha
  fatto con Sera. In questa fase ha
  lasciato emergere una parte di sé, più oscura: ne sentiva il bisogno. Poi
  però dovrà mettersi a lavorare ad altro.  Michael
  si sta facendo nuovamente ritrarre da Egon: alla mostra ci saranno diversi
  ritratti del conte Walser. Oltre a quello classico in abito da sera e al nudo,
  Egon sta lavorando ad altri quadri, in cui Michael è rappresentato come
  qualche personaggio storico o leggendario. Attualmente posa come Sant’Antonio
  nel deserto, tentato dai demoni, un quadro visionario che lo affascina.  Egon
  approfitta della disponibilità del conte per approfondire la sua ricerca.
  Dipinge volentieri questo corpo che si mostra senza pudori ed è ben felice di
  avere un modello che accetta di assumere qualunque posa. L’unico problema è
  il desiderio, violento, che lo assale ogni volta che Michael si spoglia
  davanti a lui. Dopo aver posato con Egon e parlato con lui, Michael passa da
  Gustav, se non c’è qualcuno che posa. A volte Gustav è molto concentrato nella pittura e
  allora Michael lo osserva un momento lavorare e poi se ne va. Se invece
  Gustav non sta dipingendo o se il dipinto a cui sta lavorando non richiede
  tutta la sua attenzione, parlano più a lungo. Michael è curioso di conoscerlo
  meglio e si rende conto che Gustav incomincia ad aprirsi, superando la sua
  riservatezza.  Le
  mattine se ne vanno così e Michael è soddisfatto. Ha diradato le sue serate
  mondane e quando partecipa evita di fare molto tardi, perché Gustav ed Egon
  incominciano entrambi a lavorare presto. Sta bene con loro. Gustav è un
  amico, con cui non ha la stessa confidenza che ha con Ruggero, ma a cui è
  profondamente legato. Anche Egon è un amico, ma nei suoi confronti Michael si
  rende conto di provare anche un’attrazione fisica. È davvero un bell’uomo. Intanto
  incominciano le prove dell’Agamennone.
  Tutti coloro che sono coinvolti si stupiscono quando vedono il teatro: si
  aspettavano uno spazio ridotto, con i soli elementi essenziali, e si trovano
  invece una sala non piccola e perfettamente attrezzata. Il palcoscenico e le
  quinte sono stati completati, ma molti artigiani sono ancora al lavoro per le
  decorazioni. Durante le prove nessuno può accedere, ma il mattino è un
  continuo via vai di uomini che prendono le misure, montano, dipingono. Ogni
  pomeriggio gli attori scoprono qualche nuovo dettaglio che è stato aggiunto:
  la sala sta acquistando il suo aspetto finale. Gli
  attori hanno studiato le loro parti e le prove procedono senza intoppi. È la
  prima volta che Eldemar lavora con Mathias, mentre con Hanna ha già lavorato sia nell’Anfitrione di Kleist, sia nel Faust di Goethe, per cui tra loro
  esiste un buon affiatamento. Michael assiste
  a tutte le prove, ma non interviene mai. Al termine però, dopo che gli attori
  se ne sono andati, discute a lungo con Hugo: fa qualche osservazione, avanza
  suggerimenti, critica ciò che non lo ha convinto. Le giornate di Michael sono
  riempite dalle sedute di posa più giorni la settimana il mattino e dalle
  prove il pomeriggio, a cui si aggiunge qualche pranzo o cena con gli amici. Dopo le
  sedute parlano dei quadri e delle loro vite. Michael fa spesso allusioni e
  battute. Ora che viene dipinto come sant’Antonio, osserva: - Ma non
  pensi che il nostro buon Antonio ce l’avesse duro, quando era tentato da
  belle donne o da qualche ragazzino con un bel culo? Se no, che tentazioni
  erano? -
  Probabilmente è come dici tu, ma se ti dipingo così, non posso esporre il
  quadro. E finisco anche in galera per oltraggio al pudore e blasfemia. - Brutti
  tempi, questi… - Nel
  Medioevo era peggio: sarei finito sul rogo. E tu pure. Michael
  ride. Poi aggiunge: - Però
  un ritratto un po’ più… audace me lo fai. Lo terrò nascosto. -
  Vedremo. - Hai
  mai sentito parlare dell’Origine del
  mondo? No, di sicuro, nessuno ne conosce l’esistenza… o quasi. Lo fece dipingere
  un tipo strano, un diplomatico turco, che si chiamava Khalil-Bey o
  qualche cosa del genere. Aveva tutta una raccolta di quadri con nudi
  femminili, questo di cui ti parlo l’aveva fatto dipingere da Courbet,
  figurati. Ma si rovinò al gioco e dovette venderli, per cui la collezione
  andò dispersa. Adesso questa tela è nelle mani di un banchiere parigino. - Tu hai avuto modo di vederla? - Sì, grazie ad amici comuni, anche se il soggetto non mi interessa
  molto. Ho altri gusti. - Che cosa rappresenta? - Essenzialmente una fica, dipinta con grande precisione ed
  eleganza. Courbet era uno che sapeva il fatto suo. Egon rimane un momento interdetto. Ormai conosce Michael e ne
  apprezza anche la sfacciataggine, ma non si aspettava che un grande pittore
  come Courbet potesse aver dipinto un quadro del genere. - Non mi prendi per il culo? - No, no, assolutamente. E mi piacerebbe che tu facessi un quadro
  del genere… mettendo me al posto della modella scelta da Courbet. Anche se di
  me si vedrebbe solo un pezzo. Egon ride, un po’ in imbarazzo. - Ne parleremo. - Ne parleremo… vedremo… Rimandi sempre. L’idea ti imbarazza? - Un po’, sì, è vero. - Ma ti tenta anche. - Anche questo è vero. - Hai paura che Gustav entri e ti veda mentre dipingi il mio cazzo
  in tiro? - No, Gustav è la discrezione fatta persona. Se la porta dello
  studio è chiusa, non entra, non bussa neanche: si tiene lontano. A volte
  sembra che io sia il padrone di casa e lui l’ospite che non vuole disturbare. - Gustav è eccezionale. Gli voglio un bene dell’anima. Lui e
  Ruggero, che tu non conosci, in questo periodo non è a Vienna, sono due
  persone splendide. Non so come fanno ad avere come amico uno come me. Michael sorride e conclude: - Comunque sei riuscito a deviare abilmente il discorso… Egon scuote la testa. - Non lo so, Michael… come dici, è un’idea che da una parte mi
  tenta, dall’altra mi mette in imbarazzo. - Va bene. Ne parleremo. Ne parleremo domani o al massimo venerdì. Egon ride. - Non molli mai la presa, tu, eh? - No, in effetti. Dopo aver chiacchierato con Egon, Michael passa da Gustav e gli
  dice: -
  Gustav, devi farmi un quadro. -
  Michael, ti ho ritratto un sacco di volte. Ti ho detto che per un po’ non
  voglio più dipingerti. - No,
  non me, di me metti solo la testa. Dipingi Egon come Giuda, con la testa di
  Oloferne. - Che
  c’entra Giuda con Oloferne? - Giuda
  è il maschile di Giuditta. Hugo aveva avuto l’idea di scrivere un dramma in
  cui a sedurre e poi uccidere Oloferne non è Giuditta, ma un bell’uomo, Giuda.
  Dipingi lui come Giuda, nudo, con la testa di Oloferne… - Che
  sarebbe la tua testaccia dura? Rientra dalla finestra ciò che è uscito dalla
  porta? - Più o
  meno. - Non
  credo che Egon sia d’accordo a posare nudo. - Se questa
  è la tua obiezione, siamo a posto. Posso dirti che lo ha già fatto, più volte,
  per sbarcare il lunario. Michael
  passa nell’altro studio, dove Egon sta apportando alcuni ritocchi al quadro a
  cui lavora. - Egon,
  puoi venire un attimo? - Certo. Nello
  studio dove lavora Gustav, Michael dice: -
  Allora, Gustav ha accettato di dipingerti in un quadro in cui sarai Giuda, un
  giovane ebreo, che ha appena ucciso Oloferne per salvare il suo popolo. Egon
  ride: - Mi
  pareva che fosse Giuditta, non Giuda. - La
  storia si cambia. È un’idea di Hugo, che mi è piaciuta. Giuda viene davvero
  sedotto da Oloferne e si innamora di lui, ma nonostante questo lo uccide.
  Hugo non vuole scrivere questo Giuda,
  che leggerei molto volentieri, ma il quadro Gustav è ben felice di farlo. Gustav
  scuote la testa, ridendo: -
  Michael, ti hanno mai detto che hai la faccia come il culo? - Sì,
  qualche volta. Credo che abbiano ragione. - Senza
  dubbio.  Michael
  si rivolge di nuovo a Egon: -
  Allora, Egon, a te non spiace posare nudo per Giuda? Eri a letto con Oloferne
  e l’hai appena ucciso mentre dormiva. Egon
  sorride. - No, per
  me va bene. -
  Perfetto. E io assisterò. Gustav
  scuote la testa e dice, deciso: - Quando
  dipingo un nudo, non ci sono spettatori. - Egon
  mi ha dipinto nudo più volte e io non potrei vederlo nudo? Egon, vero che non
  ti dà fastidio se assisto? Egon sorride
  e risponde: - No,
  non importa. Non gli
  spiace farsi vedere nudo da Michael. In qualche modo solletica la sua vanità,
  perché ha capito di piacere al conte. E magari questa volta sarà lui ad
  averlo duro. Al pensiero il sorriso di Egon si allarga. Il
  martedì sera, dopo la solita cena nel palazzo di Michael, Gustav si avvicina
  a Hugo, perché è curioso di sapere qualche cosa di più del Giuda.  - Posso
  chiederti una cosa, Hugo? -
  Certamente. Dimmi. -
  Michael mi ha accennato a un Giuda
  che hai pensato di scrivere e poi abbandonato. - Sì, avevo
  anche buttato giù due scene, poi ho avuto l’idea dell’Alessandro e ho lasciato perdere, anche perché non posso scrivere
  solo testi che non saranno mai messi in scena.  - È vero
  che si tratta della storia di Oloferne e Giuditta, trasposta al maschile?  - Sì, ma
  Giuda si innamora davvero di Oloferne, che è un uomo libero, non ossessionato
  dalla divinità, a differenza degli ebrei che sta assediando. - Però
  alla fine Giuda lo uccide. - Sì. -
  Michael vuole che dipinga Egon come Giuda. - Non
  era a lui che pensavo quando ho scritto le scene, ma d’altronde non lo
  conoscevo. Mi immaginavo Klaus Bauer, l’attore. - Sì, ho
  presente. Ma Michael vuole Egon. E la testa di Oloferne è la sua. -
  Dovrebbe essere la tua. - La
  mia? - Sì, per
  Oloferne avevo pensato a te: è un personaggio tutto positivo, Gustav. Un uomo
  generoso e saggio, uno spirito libero… - …che
  finisce con il capo mozzato. Va bene. Tutto sommato non mi spiace che tu non
  l’abbia scritto, anche se l’avrei letto volentieri. Hugo
  ride. Così
  Egon si trova a posare per Gustav, mentre Michael assiste. - Le
  palpebre un po’ abbassate. Anche se il tuo viso è rivolto verso la testa, non
  stai guardando ciò che hai davanti, stai guardando dentro di te, cercando di
  capire ciò che provi. Egon
  annuisce.  - Sì,
  ecco, così.  Gustav
  guarda Egon un momento, poi dice: - Tieni
  la testa leggermente più in alto. Egon
  solleva il capo. Gustav ride e dice: - No,
  no. Non la tua di testa, quella che tieni tra le mani, che hai appena
  tagliato. Egon
  piega un po’ le braccia, in modo da sollevare la testa che regge: è una testa
  di terracotta, vuota all’interno. Nel quadro che Gustav sta preparando, la
  testa sarà il capo mozzato di Oloferne e Egon/Giuda lo sosterrà con una mano. Gustav
  non dice più niente. Traccia sulla grande tela, alta oltre due metri, il
  disegno preparatorio. Egon si sforza di non muoversi. È contento di posare
  perché è un modo per sdebitarsi almeno in minima parte di tutto ciò che
  Gustav fa per lui. Gustav
  lavora a lungo in silenzio, concentrato in quello che fa. Dopo un po’ si
  rende conto che Egon è stanco e gli dice: - Ho
  quasi finito, Egon. Poco
  dopo dice: - Ecco,
  adesso puoi rivestirti. Egon è
  contento di potersi coprire: per quanto posino nello studio più piccolo di
  Gustav, che è ben riscaldato, stare nudo a lungo non è piacevole. Posa la
  testa e si rimette gli abiti. - Posso
  vedere? - Certo. Egon
  guarda la tela. Il disegno preparatorio è completo. Egon è visibile, nudo
  fino al pube, mentre guarda una testa mozzata, che forse tiene in mano o
  forse è solo appoggiata davanti a lui. La testa è appena abbozzata. - E come
  farai la testa tagliata? - Per
  Hugo dovrebbe essere la mia: Oloferne sarei io.   Egon
  scuote la testa. Le parole gli vengono alle labbra: - Sei
  l’ultima persona al mondo a cui farei del male. Gustav
  sorride. Ha un sorriso dolce. -
  Grazie, Egon, ma non ti preoccupare. Il quadro me l’ha commissionato quel
  tizio che sta seduto nell’angolo ed è la sua testa che metterò, come mi ha
  richiesto. E devo dire che lo farò volentieri…  Egon
  guarda Michael, che non ha detto nulla per tutta la seduta. Non è strano che
  sia rimasto in silenzio, per non disturbare, ma che non dica nulla nemmeno
  ora è davvero insolito. Eppure se ne rimane seduto, immerso nei suoi pensieri,
  come se loro due non ci fossero. A
  palazzo Walser gli attori che provano lo spettacolo sono invitati a cena ogni
  tre-quattro giorni. Mathias cerca di approfittare
  di queste occasioni per fare amicizia con Michael, ma si rende presto conto
  che il conte non sembra interessato. La faccenda gli dà fastidio, perché era
  convinto di poterlo sedurre facilmente e non gli sarebbe spiaciuto
  aggiungerlo alla lista delle sue conquiste, non tanto per vantarsi di averlo
  sedotto, ma per i vantaggi pratici che una relazione con il conte
  comporterebbe.  In
  effetti Michael ha tutt’altro per la testa. Il quadro di Giuda e Oloferne ha segnato
  un cambiamento nel suo comportamento. Ora quando posa per Egon è spesso irrequieto,
  tanto che a volte il pittore si lamenta perché non mantiene la posizione che
  aveva: inizialmente Michael era un modello perfetto, adesso ogni tanto va
  richiamato. Egon non sa spiegarsi che cosa possa essere successo.
  Probabilmente il conte ha qualche problema. Michael ha
  davvero un problema, che ha un nome e un cognome: Egon Schulte. Che Egon
  lo attraesse, gli era chiaro da tempo. Ma il vederlo nudo ha avuto un effetto
  dirompente. Desidera il corpo che si è offerto al suo sguardo, ma, forse per
  la prima volta nella sua vita, si sente inadeguato. Sa di non essere un
  bell’uomo, ma questo non gli ha mai impedito di sedurre. Il suo corpo forte e
  la sua buona dotazione attraggono gli uomini a cui piace un maschio virile.
  Anche il denaro gli ha spesso permesso di ottenere ciò che voleva e il titolo
  esercita sempre un certo fascino. Ma con
  Egon è diverso. Non vuole comprarlo, quello che cerca non è soltanto una
  scopata. Non sa come farsi avanti e ha paura di un rifiuto, che metterebbe in
  crisi il loro rapporto. Scherza con lui e fa battute, ma quando sono insieme
  è sempre in tensione. Non
  ripete la richiesta di essere dipinto con un’erezione. Preferisce lasciar
  perdere l’idea. Egon non
  ci bada. Anche lui è piuttosto teso, perché si avvicina il giorno in cui si
  aprirà la mostra dei suoi quadri. Deluso
  dal disinteresse del conte. Mathias si rivolge a Eldemar. Sa bene che il collega non è ricco e non può
  offrigli molto, ma è un gran bell’uomo, alquanto dotato, e gli piacerebbe
  scopare una volta con lui. Eldemar coglie l’interesse di Mathias. Non si stupisce: di Mathias
  si parla parecchio e alcune voci sono giunte anche al suo orecchio, per
  quanto non sia interessato ai pettegolezzi. Sa che il collega non si aspetta
  da lui ricchi doni: Eldemar non è molto facoltoso e
  perciò non costituisce una preda ambita da chi vuole farsi mantenere. Le sue
  attrattive sono altre: il suo corpo vigoroso suscita il desiderio di uomini e
  donne e talento e fama contribuiscono al suo fascino. È una situazione che
  non gli dispiace, perché gli permette di scegliere. Non è particolarmente
  attratto da Mathias, ma non ha motivo per
  rifiutare.   Una
  sera, uscendo da palazzo Walser dopo le prove, Mathias
  gli dice: - I
  nostri due personaggi dovevano essere molto legati, prima della partenza di
  Agamennone. E non perché erano cugini. - Sì,
  sicuramente tra Egisto e Agamennone Hugo ha immaginato una relazione. Si
  direbbe che Agamennone abbia stuprato Egisto, ma che da questo stupro sia nato
  un rapporto basato su una fortissima attrazione reciproca. Mathias annuisce. Poi chiede,
  con un sorriso sornione: - Non
  pensi che per immedesimarci nei personaggi sarebbe meglio approfondire questo
  aspetto? Anche Eldemar sorride. Ha capito benissimo dove vuole arrivare Mathias. - Perché
  no? Ma non durante le prove, spero. Non vorrei essere sorpreso dal conte
  mentre approfondiamo l’antefatto del dramma. - Credo
  che non gli spiacerebbe assistere. Al massimo chiederebbe di partecipare
  anche lui, ma concordo con te: meglio cercarci un posto tranquillo. Il posto
  tranquillo è l’appartamento di Eldemar: Mathias preferisce non ricevere nel proprio.  Eldemar sa usare bene la sua
  attrezzatura e per Mathias la scopata è molto
  soddisfacente. Quando hanno concluso, il giovane si riveste e se ne va: deve
  vedere il conte Weyr, che sicuramente è molto meno
  prestante di Eldemar, ma in compenso è molto più
  ricco. Eldemar rimane a letto,
  immerso nei suoi pensieri. Si chiede che senso ha quello che ha fatto. Non
  gli importa di Mathias e ha poca stima di lui come
  uomo. Il giovane ha un bel culo, certo, ed è stato piacevole fotterlo. Ma ne
  valeva la pena? Michael
  è sempre più inquieto, uno stato d’animo che non gli è abituale. La messa in
  scena dell’Agamennone lo appassiona
  e lo prende completamente, ma quando le prove sono finite e ha discusso con
  Hugo della giornata, il pensiero va a Egon e la sera, se non incontra gli
  amici, è spesso in preda all’ansia. Dorme male, svegliandosi molte volte, e
  il mattino si sveglia spossato. Gli pesa
  moltissimo l’assenza di Ruggero, l’amico a cui può confidare tutto, quello
  che sa capirlo e aiutarlo. Con Gustav ha meno confidenza e soprattutto ha
  molte remore a parlargli di Egon, anche perché il giovane pittore è suo
  ospite. Lui e
  Ruggero si scrivono periodicamente, ma Michael avrebbe bisogno di un
  confronto diretto, non di uno scambio di lettere. Perciò nell’ultima missiva
  che gli scrive a Venezia, dove Ruggero e Janos sono tornati da poco, parla
  quasi esclusivamente dell’Agamennone.
  Si limita ad aggiungere al fondo un accenno alla sua situazione: Ci sono altre cose che vorrei dirti, più importanti
  della preparazione di questo spettacolo, che pure mi prende completamente.
  Avrei bisogno di raccontarti e di capire, ma questo posso farlo solo
  parlandoti. Mi manchi molto. Affida
  la lettera a un domestico, perché la spedisca. Pochi
  giorni dopo in mattinata un domestico gli porta una busta.  - Hanno
  portato questa. Il servitore aspetta una risposta. La
  grafia è quella di Ruggero, ma c’è scritto solo: “Conte Michael Walser”,
  senza indirizzo, senza francobollo. Com’è
  possibile? Ruggero è a Venezia. Ha messo la lettera in una busta indirizzata
  a qualcun altro, pregandolo di fargliela recapitare? E perché mai? Michael
  apre la lettera, che contiene un foglio. Ci sono solo poche righe: Sono a Vienna. Dimmi quando hai piacere che ci
  vediamo. Ruggero La gioia
  che Michael prova è tanto intensa che vorrebbe urlare. Prende
  un foglio, su cui scrive: Se per te va bene, anche ora. Altrimenti domani
  mattina. Tuo fratellino Come
  Michael ha previsto, il duca si presenta poco dopo. Michael lo abbraccia, felice. - Non
  pensavo che tornassi così presto. Mi avevi scritto di volerti fermare ancora
  un mese. -
  Abbiamo cambiato programma. - Come
  mai? - Perché
  un mio amico mi ha scritto che avrebbe avuto piacere di parlare con me, di
  cose che non voleva scrivere. Michael
  conosce la generosità e la disponibilità di Ruggero, ma gli sembra
  incredibile. - Sei
  tornato per me? -
  Michael, sai quanto sia importante per me l’amicizia. - Lo so,
  ma da Venezia… -
  Appunto. Eravamo a Venezia, non al Cairo o a Calcutta. Lo sai che esiste il
  treno, vero? Non credo che tu sei venuto in carrozza, l’ultima volta. Abbiamo
  preparato i bagagli e siamo partiti. - Ma
  Janos… l’hai fatto partire… - Quando
  gli ho detto della tua lettera, mi ha proposto lui quello che già avevo in
  mente: partire e tornare a Vienna. Mi ha visto preoccupato per te. Michael
  è rimasto senza parole. Guarda Ruggero, commosso. Questi ne approfitta per
  spostare l’argomento della conversazione: - Bene,
  e ora che abbiamo discusso mezz’ora sui disagi terribili di un viaggio da
  Venezia a Vienna, che richiederebbe almeno un mese di preparazione, possiamo
  cambiare argomento. Magari mettendoci seduti, a meno che tu non abbia
  l’esigenza di parlare stando in piedi, come sembri intenzionato a fare. Michael sorride
  e scuote la testa. Guida Ruggero in un salottino e si siedono entrambi. Ruggero
  lo guarda attentamente. - Qual è
  il problema, Michael? Se hai voglia di parlarne ora… - Sì,
  certo. Ho bisogno di parlarne con te. Ruggero
  non dice nulla, attendendo. Michael riprende: 
   - Credo
  di essermi innamorato. Ruggero
  non si aspettava la risposta di Michael. Conosce gli innamoramenti di
  Michael, che sono superficiali e non durano mai a lungo. Questa volta è
  chiaramente diverso.  Michael
  non dice più nulla, per cui Ruggero osserva: - Di per
  sé può essere molto bello. -
  Dipende. Dipende da tante cose… Da chi ami, in primo luogo. - È
  quello il problema? - In
  parte sì. - E
  allora dimmi di chi ti sei innamorato. Di Gustav Keller? Michael
  è sorpreso. Scuote la testa e dice. - Di
  Gustav? No, di certo no. Che cosa te lo fa pensare? - Ne hai
  parlato più volte nelle tue lettere, sempre in toni entusiastici. - Se per
  amare intendi volere bene, stare volentieri insieme, stimare, desiderare la
  felicità di un altro, sì, l’amo quasi come amo te, perché è l’uomo migliore
  che esista dopo di te. Ma se per amore intendi quello che unisce te a Janos, no. - Nelle
  tue lettere non mi hai parlato con assiduità di nessun altro. Però mi hai
  citato diversi uomini che non conosco o che comunque non ho mai avuto
  occasione di frequentare. Hugo von Homborg? - Non
  voglio farti giocare agli indovinelli. È uno di questi uomini di cui ti ho
  parlato, un altro pittore, che certamente non hai mai sentito nominare, a
  parte nelle mie lettere: Egon Schulte, un
  grandissimo talento, che Gustav ha scoperto. - Ma non
  ti sei innamorato del suo talento. Michael
  scuote la testa. - No. - Qual è
  il problema? Non credo che ti abbia detto di no. Mi viene da pensare che non
  gli hai ancora parlato. - No,
  infatti, hai capito benissimo. - Come
  mai? Michael
  scuote la testa. Lui stesso non ha le idee chiare. Ha paura di un rifiuto,
  questo è certo, ma non è soltanto il timore di essere respinto. Ci sono altri
  elementi che lo rendono incerto. Cerca di spiegare. - Egon è
  poverissimo. Duckstein sta preparando una mostra, Heydenreich è entusiasta. Probabilmente avrà successo, ma
  per il momento è ospite di Gustav e non possiede nulla, a parte una massa di
  quadri che secondo Gustav in futuro varranno una fortuna, ma adesso non
  interessano a nessuno, Heydenreich e Duckstein a parte. E Gustav. Peraltro le uniche tre
  persone che li hanno visti, oltre a me. Ruggero
  conosce bene Michael e sa cogliere anche quello che l’amico non dice: - Vediamo
  se ho capito bene. Questa volta non puoi fare il libertino che seduce con un
  corpo forte, un bel cazzo, un grande titolo e tanto denaro, perché hai paura
  di apparire il ricco conte che crede di poter comprare il giovane artista
  povero. E non ti interessa comprarlo, perché sei innamorato. Michael
  guarda Ruggero e scuote la testa. - A
  volte, Ruggero, mi chiedo come tu faccia a leggere dentro di me cose che io
  stesso vedo solo confusamente. Sì, è così. Potrei farmi avanti, ma non è solo
  la paura di un rifiuto: è quello che dici tu. Se volessi davvero comprarmi il
  suo culo, non mi porrei tanti problemi. - Ma non
  è così e non vuoi che lui lo pensi. -
  Esatto. Non so come muovermi. - Che
  occasioni hai di vederlo? - Mi sto
  facendo fare una serie di ritratti. - E non
  riesci a sondare il terreno? - Prima
  e dopo le sedute parliamo, un po’ di tutto, molto liberamente. Avrei mille
  occasioni di dirgli quello che provo… - Ma hai
  paura. Michael
  annuisce. Ruggero prosegue: - Paura
  di un rifiuto, paura che lui si faccia una cattiva opinione di te. - Sì.  Ruggero
  riflette un momento, poi dice: - Credo
  che mi farò fare anch’io un ritratto dal signor Schulte.
  Un doppio ritratto, mio e di Janos. Michael
  guarda l’amico, incuriosito. - Dove
  vuoi arrivare? - In
  primo luogo, a fare conoscenza con questo Schulte e
  a sondare il terreno. Il ritratto di una coppia maschile sarà l’occasione per
  scambiare due chiacchiere anche su questi temi senza che lui pensi a
  tentativi di seduzione da parte mia. Parlano
  ancora un buon momento. Poi Ruggero scrive una breve lettera a Gustav, che
  conclude chiedendogli quando può passare da lui. Il
  giorno dopo Ruggero si reca a casa di Gustav con Janos. - Signor
  Keller, questo è Janos Toth, mio compagno di vita.  Gustav è
  stupito che il duca presenti Janos in modo così diretto: ha con lui un buon
  rapporto, ma tra loro non esiste una grande confidenza. Ruggero aggiunge: - Janos,
  questo è Gustav Keller, che non ha bisogno di nessuna presentazione, ma che è
  un’ottima persona, oltre a essere un grandissimo artista. Gustav stringe
  la mano a Janos. - È un
  piacere conoscerla. Dopo che
  si sono tutti seduti, Ruggero dice: - Come
  le ho scritto nella lettera, vorrei che lei ci facesse un ritratto di coppia e
  un altro lo chiederei al signor Schulte, di cui
  Michael mi ha parlato molto. Concordano
  i tempi del ritratto, poi Gustav li accompagna nello studio dove lavora Egon.
  La richiesta di Ruggero stupisce il giovane. Il duca non ha mai visto i suoi
  quadri: perché chiede di essere dipinto da lui? Una
  risposta viene direttamente da Ruggero: -
  Michael, il conte Walser, mi ha parlato molto di lei, e dato che desidero
  essere ritratto con Janos, ho pensato di chiederlo anche a lei. Non sono un
  esperto d’arte, ma mi fido pienamente del giudizio di Michael e ovviamente di
  quello di Gustav Keller, che di pittura pare intendersi, così dicono, almeno. Sorridono
  tutti. Si
  mettono d’accordo per le sedute di posa. Egon è contento di poter ritrarre il
  duca e il suo amico. Poter guadagnare è un’ottima cosa, perché non può
  pensare di continuare a vivere a spese di Gustav, e dipingere il duca
  potrebbe contribuire a farlo conoscere. Inoltre avere nuovi soggetti da
  dipingere è sempre positivo. Già il
  giorno successivo Ruggero e Janos posano per Egon. Gustav li dipingerà in
  seguito, perché per il momento è molto occupato.  Ruggero
  e Janos si siedono uno di fianco all’altro. Ruggero mette il braccio sinistro
  sopra la spalla di Janos e le sue mani si intrecciano davanti al petto del
  compagno. Le loro teste si toccano. È un ritratto che non lascia dubbi sul
  legame profondo che li unisce. Egon prova un po’ di invidia. Al
  momento di incominciare, Ruggero scherza: - Mi
  raccomando, signor Schulte: cerchi di farmi un po’
  meno brutto! Janos
  ride e scuote la testa. - No, lo
  voglio esattamente com’è. A me va bene così. Egon
  sorride: sa che Ruggero scherza. Il duca non è certo un bell’uomo, per non
  dire che è decisamente brutto, ma gli sembra simpatico. La
  settimana seguente, il giorno prima di una nuova seduta di posa, Ruggero
  invita a cena Gustav, Egon e Michael. Una cena ristretta, che permette di
  chiacchierare tranquillamente. Verso la
  fine della cena, Ruggero dice: - Io
  farei una proposta: darci tutti del tu. Se siete d’accordo, questo ci
  permette di evitare un continuo passaggio dal lei al tu quando cambiamo
  interlocutore. A parte Michael, che dà del tu a tutti, credo anche
  all’imperatore e alla regina d’Inghilterra, 
  noi siamo a metà strada. Gustav
  dice: - Mi
  sembra una bella idea. Egon, che ne dice? - Mi fa
  molto piacere, Gustav. Egon è
  contento di poter dare del tu a Gustav. Con il duca il discorso è diverso, ma
  visto che è stato lui a proporlo, non gli sembra il caso di avanzare
  obiezioni. Dopo
  cena Ruggero parla un po’ con Egon. - Spero
  che la mia proposta di darci del tu non ti abbia messo a disagio. - No.
  Certo, per dare del tu al duca d’Aquaforte devo
  mettermi d’impegno, non mi viene spontaneo, ma mi fa piacere stabilire un po’
  di rapporti meno formali. In questi anni… sono stato molto solo. Egon ha
  voglia di parlare. Istintivamente avverte che il duca è un uomo attento agli
  altri, con cui sente di potersi confidare. -
  Michael mi diceva che non hai una famiglia. - No.
  Ero figlio unico e i miei genitori sono morti tutti e due. Non ho amici… - So che
  sei molto povero e la miseria rende più difficile stabilire rapporti,
  soprattutto in città. Oltre tutto lavori per conto tuo e hai meno occasioni
  di conoscere altre persone. Non è bello. Ogni tanto si ha bisogno di sentire
  l’affetto degli altri. - Sì,
  per me conoscere il signor Keller, Gustav, i suoi amici… sono entrato in un
  altro mondo. Mi sembra incredibile poter parlare tranquillamente con
  qualcuno, dopo una buona cena… avere qualcuno a cui posso rivolgermi… - Credo
  che in Gustav tu possa trovare un vero amico. È molto riservato, ma è
  altrettanto generoso. - Sì,
  senza dubbio. Avermi ospitato… Ma sono riservato anch’io e così la nostra
  amicizia procede piano. Se non fosse intervenuto lei… tu, ci daremmo ancora
  del lei. - Molto
  più facile fare amicizia con Michael, che è aperto e può anche apparire sfacciato,
  qualche volta lo è davvero, ma ha un cuore d’oro. Guardano
  entrambi Michael, che intuisce di essere l’argomento di conversazione, ma non
  si avvicina. Vuole lasciare a Ruggero lo spazio per sondare il terreno, anche
  se ora vorrebbe essere accanto a Egon. - Sì con
  lui mi trovo bene. - Io gli
  voglio bene. È il mio migliore amico. Siamo diversi, per certi aspetti quasi
  all’opposto, ma so di poter contare sempre su di lui. E lui su di me. Egon e
  Gustav tornano insieme. Egon dice: - Mi fa
  piacere poterti dare del tu, Gustav. Non osavo proporlo. - Avrei
  dovuto proporlo io, essendo più anziano, ma non volevo essere invadente,
  prendermi troppo familiarità. - Sei
  molto riservato, come dicevo al duca. - È
  vero. Nei rapporti con gli altri sono un disastro, lo so. Ho bisogno di
  qualcuno che mi forzi a uscire dal mio guscio, come fa Michael.  - Io non
  sono la persona adatta. Una volta ero molto socievole, ma negli ultimi anni…
  mi sono chiuso molto. - La
  miseria è una brutta bestia e rende più difficili anche i rapporti. - Adesso
  sto recuperando. Grazie a te. E i tuoi amici mi piacciono molto. Gustav
  vorrebbe dire che non sono davvero suoi amici, anche se è affezionato a loro
  e sa di essere ricambiato, ma non avrebbe senso dirlo. - Sì,
  sono tutti belle persone. Sono fortunato, in questo. - Sono
  tutte belle persone perché sei tu una bella persona, Gustav. -
  Grazie. La
  serata segna una svolta nel loro rapporto. Gustav si rende conto che anche
  con Egon sta nascendo un’amicizia, come con Michael, e si sente meno solo.
  Anche il duca Ruggero gli piace molto e spera di poter approfondire il
  rapporto. Ruggero
  e Janos posano di nuovo per Egon, l’ultima seduta per il loro ritratto.  Il pittore è euforico: ha appena parlato con Duckstein
  e insieme hanno definito gli ultimi dettagli della mostra che sta per essere
  inaugurata. I quadri sono già stati sistemati, a parte il ritratto di Ruggero
  e Janos, per cui è stato lasciato lo spazio e preparata la cornice. Verrà
  completato in giornata, incorniciato e portato nella galleria che ospita
  l’esposizione. Di lì passerà a palazzo Aquaforte,
  al termine della mostra.  Il gallerista ha avvisato Egon che ci saranno anche giudizi molto
  critici, ma Gustav glielo aveva già detto ed Egon l’ha messo in conto.
  Rispetto all’essere del tutto ignorato, essere oggetto di commenti anche
  sfavorevoli è comunque un passo avanti. Purché non tutte le critiche siano
  negative, ma questo Duckstein lo esclude. Il
  quadro è già pronto, ma Egon voleva apportare qualche ritocco prima di
  esporlo. La seduta di posa è breve. Dopo una mezz’ora, il pittore dichiara il
  ritratto concluso. Alla
  fine Ruggero osserva curioso l’opera, completamente diversa da quelle di Keller.
  È un po’ perplesso, ma nasconde i suoi dubbi: sa di non essere un intenditore
  di pittura. Janos invece è entusiasta. - Che
  meraviglia! Egon
  sorride. - Sono contento
  che ti piaccia, Janos. Ruggero
  chiede: - Sei
  emozionato, Egon? - Molto.
  Emozionato e confuso. Mi sembra un sogno. Spero di non svegliarmi. - I tuoi
  quadri sono tutti alla mostra, ora? - No, ce
  ne sono diversi che non ho esposto perché non mi convincono. E qualcun altro
  perché magari potrebbe destare scandalo. Ruggero
  propone: - Ci fai
  vedere questi quadri, Egon, se hai voglia e tempo? Egon non
  si fa pregare. Guardano alcuni dipinti. Tra questi c’è anche un ritratto di
  Michael, nudo, steso sul letto. Janos
  sorride e dice, rivolto a Ruggero:  - Non ti
  piacerebbe un ritratto di noi due così? - Janos,
  non credo che Egon sia disponibile. Egon
  dice, sinceramente: - Credo
  invece che lo farei volentieri. Michael mi permette di fare una serie di
  studi di nudo, un tema che mi ha sempre affascinato, ma avere qualche altro
  soggetto da dipingere non mi spiacerebbe, Ruggero
  guarda Janos. - Non ho
  mai posato nudo, ma se ci tieni, Janos, e se Egon è disponibile, per me va
  bene. Nessun problema. -
  Perfetto, allora finito questo quadro passiamo a qualche studio di nudo. Egon
  ci paga come modelli. Egon
  ride. Michael gli ha pagato i primi due quadri, al prezzo stabilito da Duckstein. Potrebbe davvero pagarli e questo gli sembra
  incredibile. Naturalmente sarà il duca a pagare il ritratto che vuole. Janos
  aggiunge, guardando il quadro: - Certo
  che Michael è attraente. Ruggero
  corruga la fronte come se l’apprezzamento di Janos gli desse fastidio. Janos
  si rivolge a Egon: - A
  Ruggero non posso chiedere, perché poi diventa geloso, ma non trovi anche tu
  che Michael è un bel maschio, Egon? - Sì,
  senz’altro. Ruggero
  sorride: Janos si sta rivelando un utile alleato nell’esplorazione che sta
  conducendo. Infine
  la mostra viene inaugurata. Duckstein ha preparato
  tutto in modo da dare il massimo risalto all’avvenimento. Gustav ha
  contribuito a diffondere la notizia e una sua intervista, pubblicata sulla Neue Freie Presse,
  ha suscitato un grande interesse. Michael e Ruggero hanno fatto la loro
  parte, parlando dei ritratti che Egon ha fatto loro.  La
  mostra di Egon Schulte diventa subito l’argomento
  del giorno. La critica si divide, come Duckstein e
  Keller hanno previsto: alcuni apprezzano molto questo pittore che segue nuove
  vie ed elogiano la sua potenza visionaria; altri stroncano senza pietà le sue
  opere, esempi della decadenza dell’arte e della morale. I forti contrasti suscitano
  la curiosità del pubblico, che affluisce numeroso. Tra i visitatori i
  dubbiosi e gli indignati sono molti. Gli entusiasti sono invece una
  minoranza, che è però alquanto agguerrita.  Egon è
  felice: è diventato un pittore famoso, ha ricevuto le lodi di diversi
  critici, ha venduto molti quadri. Non si preoccupa dei giudizi negativi, che
  aveva messo in conto: sa che battere nuove strade significa andare incontro all’incomprensione
  di molti. Tra i
  visitatori c’è Gottfried Reichner. L’arte non
  rientra tra i suoi interessi, ma è venuto per curiosità. La mostra conferma
  l’idea che si era fatto: Schulte è un imbrattatele,
  ma evidentemente è riuscito a far credere di essere un artista.  Ormai gli è sfuggito, definitivamente, come quel Klaus Bauer che sembrava promettere bene e che ora è un attore
  famoso e stimato. Merda! Ci sono altri giovani, certo, non è difficile
  trovare ragazzotti disposti a vendersi, ma loro due hanno quell’eleganza
  naturale, che alcuni clienti apprezzano e richiedono. Gli scoccia, non poco, ma non è abituato a perdere
  tempo in recriminazioni inutili. Per fortuna adesso ha per le mani un altro
  giovane, molto disponibile, che rende bene: il bel Robert dai capelli rossi è
  stato un ottimo acquisto. La sera
  successiva all’inaugurazione della mostra, dopo le prove dello spettacolo,
  Ruggero parla con Michael, che è a cena a palazzo Aquaforte. -
  Michael, sono sicuro che a Egon piacciano gli uomini e tu gli piaci. -
  Piacergli… è già qualche cosa, ma non mi basta. - Per
  capire esattamente che cosa prova per te, devi farti avanti. Michel
  annuisce. Ruggero insiste: - Datti
  un termine. Dopo la rappresentazione, ad esempio. - È tra
  quattro giorni, Ruggero! - Appunto.
  Michael, non ha senso continuare in questo stato. Stai male. Michael
  cerca di sorridere. - Hai
  ragione, Ruggero, lo so. Devo farlo. Lo farò, sì, dopo la rappresentazione,
  hai ragione. Sì, lo farò. Michael
  appare alquanto teso. Ruggero gli prende una mano e la stringe. Vederlo così
  indifeso lo commuove. Anche se Michael appare sempre sicuro di sé, Ruggero lo
  conosce troppo bene per non averne colto la fragilità. Non lo ha mai visto
  davvero innamorato, ma non si stupisce che anche a lui sia successo. Spera
  che Egon ricambi il sentimento, perché altrimenti Michael ne soffrirà
  moltissimo. Ruggero
  e Janos posano di nuovo per il ritratto a letto. Egon propone di provare
  posizioni diverse, facendo disegni preparatori, poi decideranno quale
  scegliere per il quadro. Ruggero
  e Janos si spogliano. Quando Ruggero si cala le mutande, Egon rimane senza
  parole. Non ha mai visto un maschio così dotato. Si
  coricano sul letto. Ruggero si mette sulla schiena, la testa un po’
  sollevata, e accarezza il capo di Janos, steso di traverso sul suo torace. In
  questo primo bozzetto di entrambi si vedono solo il busto e la testa, ma il
  disegno rende con grande forza il loro legame.  Poi
  Ruggero si siede sul letto e tiene un braccio intorno a Janos, appoggiato su
  di lui. Anche qui nel disegno si vedono i due busti e poco più.  Infine
  Janos si stende prono sul letto e abbraccia il cuscino. Ruggero si mette di
  fianco a lui, un braccio sulla sua schiena e una gamba sulle sue. È il
  bozzetto più esplicito: il corpo nudo di Janos è ben visibile, di schiena.  Quando
  Ruggero si alza, Egon vede che ha il cazzo duro. Ruggero si mette rapidamente
  le mutande, mentre dice: - Egon,
  mi scuso, ma stare abbracciato a Janos mi fa un certo effetto, anche se cerco
  di pensare ad altro.  Egon
  sorride. Pensa a quando ha un’erezione dipingendo Michael e il vedere che
  anche Ruggero ha lo stesso problema gli fa piacere. - Credo
  che sia la cosa più naturale di questo mondo.  - Senza
  dubbio, se ti piacciono i maschi e in particolare ti piace da impazzire
  quello contro cui ti strusci. A Janos però non è diventato duro e questo è un
  pessimo segno per me, temo. Janos
  ride ed Egon sorride. - Non ti
  vedevo neanche.  - Ma mi
  sentivi contro di te. Janos
  scuote la testa e ride. - Ho un
  maggiore autocontrollo, evidentemente. Poi si
  rivolge a Egon: - Ma non
  ti viene mai duro quando dipingi un nudo? Egon non
  si aspettava una domanda così diretta, ma il clima è cordiale e Ruggero aveva
  un’erezione: gli sembrerebbe assurdo negare. -
  Qualche volta sì, lo confesso. Se il soggetto mi piace davvero. - Non ti
  chiedo con chi ti succede, perché mi sembrerebbe indiscreto.  Egon
  sorride e non dice nulla. Janos aggiunge, deviando il discorso: - Certo
  che mi piacerebbe imparare a dipingere. Ruggero
  storce la bocca e dice: - Per
  dipingere nudi maschili? Magari Egon, che è bello, non come quello scimmione
  del duca d’Aquaforte? - A te
  farei almeno un centinaio di ritratti, come… com’eri un momento fa. Egon
  sorride. Apprezza la spontaneità di Ruggero e Janos e queste schermaglie, che
  testimoniano il loro amore. Ruggero
  si rivolge a Egon: - Egon,
  gli dai qualche lezione di pittura?  Egon
  ride. - Perché
  no? Janos
  non sembra convinto. - Mi
  piacerebbe, davvero. Ma forse prima di rivolgermi a te, dovrei prendere
  qualche lezione di base. Disegno, ogni tanto, perché mi piace, ma non ho mai
  dipinto. E rivolgermi a te per farmi spiegare come si mescolano i colori o
  cose del genere… non mi sembra il caso. Ruggero
  concorda: - Quello
  che dici è sensato. Per una volta… Il
  desiderio lo prende e bacia Janos. Egon sorride. Davvero li invidia. Gli
  piacerebbe avere qualcuno al suo fianco. Mentre lo pensa, immagina Michael.
  Il conte gli piace, molto, sia come persona, sia fisicamente. La sera
  della rappresentazione dell’Agamennone
  è infine giunta. Michael ha fatto preparare un rinfresco per gli amici, prima
  dello spettacolo. Dopo ci sarà una cena, a cui parteciperanno anche gli
  attori. Gli invitati alla cena sono gli amici comuni di Michael e Gustav, a
  cui si sono aggiunti Egon, Ruggero e Janos.  Michael
  è entusiasta e tiene banco. Solo Ruggero coglie nella sua euforia una nota
  discordante: Michael sta cercando di non pensare ad altro. Hugo è
  silenzioso e risponde appena quando qualcuno gli rivolge la parola. È molto
  teso. Più
  tardi arrivano diversi ospiti, che sono stati invitati da Hugo e dagli altri:
  gli spettatori sono in tutto una cinquantina, quasi tutti uomini. Una delle
  poche donne è la contessa Weyr, che è venuta
  insieme al marito: Mathias ha chiesto che entrambi
  i coniugi assistessero allo spettacolo. È presente anche il conte Huber, che è venuto senza la contessa. Michael ha chiesto
  a Ruggero e Janos se volevano invitare qualcuno e il duca ha indicato
  Siegmund e Tobias, che è l’unico giornalista
  presente.  Anche
  per loro c’è un rinfresco, poi il gruppo raggiunge il salone da ballo.
  Michael non ha permesso a nessuno di entrarvi da quando sono incominciati i
  lavori e tutti sono curiosi di vedere il teatro che è stato allestito.
  Entrando nel locale, rimangono stupefatti: si trovano in un vero e proprio
  teatro, come quelli esistenti in alcuni palazzi principeschi. Non solo è stato
  installato un palcoscenico: l’intera struttura è stata decorata nello stile
  del salone, inserendo sculture, dorature ed affreschi. È tutto un trionfo di
  medaglioni, nodi d’amore e puttini. Sul lato della sala opposto al
  palcoscenico sono stati ricavati sei palchi: in alto uno di grandi dimensioni
  e altri due più piccoli a fianco, tre al di sotto. Il lampadario centrale è
  stato eliminato e sostituito da una serie di luci poste ai lati. L’insieme
  appare un teatro di fine Settecento, come il resto del palazzo, e nessuno
  penserebbe che si tratta di un inserimento contemporaneo. Infatti qualcuno
  chiede: - Perché
  dicevate che il conte ha fatto costruire un teatro? Esisteva già. - No,
  no, è tutto nuovo. L’ha fatto costruire nello stile del palazzo, ma questo
  era il salone da ballo. Il
  pubblico prende posto. Le luci vengono spente e la sala sprofonda nel buio.
  Il sipario si apre e la vicenda ha inizio con l’annuncio del prossimo arrivo
  di Agamennone. Egisto e Clitemnestra in scena discutono sul da farsi. La
  regina ritiene che sia necessario sopprimere Agamennone, che prima o poi
  scoprirebbe il loro legame. Egisto è più dubbioso. È un dialogo aspro, nel
  quale Clitemnestra lancia accuse, mettendo infine Egisto con le spalle al
  muro. Agamennone
  arriva. Clitemnestra lo accoglie festosa, mentre Egisto rimane in disparte. Segue
  un breve monologo di Egisto, che esprime il suo turbamento. Lo
  spettacolo procede: Hugo ha deciso che non ci sarà intervallo. Agamennone ed
  Egisto si incontrano e il loro dialogo è pieno di sottintesi. Un passato
  inquietante emerge e la tensione cresce. Infine Agamennone allontana Egisto,
  ordinandogli di partire in esilio. Il
  dramma volge alla fine. Clitemnestra ha condotto Agamennone nel bagno, dove
  lo lascia. Agamennone
  si spoglia, con gesti lenti. È una scena muta, ma la postura e i gesti di Eldemar esprimono compiutamente la stanchezza del
  guerriero e il suo abbandonarsi al riposo nella propria casa, dopo anni di
  assenza. Ha un corpo forte, segnata dalle cicatrici create dal truccatore:
  davvero il corpo di un guerriero, che molte volte ha sfidato la morte in
  battaglia e che ora sta per incontrarla proprio dove non immaginerebbe mai di
  trovarla. Eldemar si toglie la tunica e
  per un momento la tiene davanti a sé. Solo ora Gustav realizza che Eldemar non ha più niente addosso e che se lascerà cadere
  il tessuto che ha tra le mani rimarrà nudo davanti al pubblico. Come pittore
  ha dipinto molte volte uomini nudi, ma certo non se ne vedono a teatro: la
  censura lo vieterebbe. Agamennone
  sembra perso nei suoi pensieri. Sorride, forse pregustando il piacere del
  bagno e del riposo. Si volta. Il corpo è ora interamente visibile, di
  schiena. Gustav osserva le spalle larghe e forti, il culo muscoloso, velato
  da una peluria scura. Gustav si dice che Eldemar è
  davvero uno splendido maschio.  Eldemar lascia cadere la
  tunica a terra. Poi si gira verso il pubblico, ma gli spettatori riescono
  appena a intravederlo perché una rete viene lanciata e in un attimo
  Agamennone è a terra, prigioniero. Invano si dibatte per liberarsi. Entra
  Egisto, la spada in mano. Il dialogo tra i due personaggi è concitato.
  Rabbia, desiderio di vendetta, attrazione si mescolano. Egisto
  immerge la spada nel corpo di Agamennone, una prima volta e poi una seconda,
  una terza, una quarta, in un parossismo di rabbia. C’è sangue, sangue che
  scorre sul corpo di Agamennone, sangue che macchia le braccia di Egisto, che
  infine si china sul corpo senza vita e lo bacia sulla bocca. Il
  sipario cala. Il pubblico applaude fragorosamente. Gli attori escono a
  ringraziare. Dopo lo
  spettacolo è tutto un intrecciarsi di commenti.  Nuovamente
  Michael tiene banco, ride, scherza, risponde a chi chiede dettagli: - Sì, sangue
  vero, di bue. Così è più realistico. -
  L’abbiamo costruito dal nulla, era la sala da ballo. - Eh sì,
  le prove sono state una faticaccia. Hugo non era mai contento. -
  Sapevano tutti benissimo la parte. Non abbiamo avuto problemi con quello. - Quando
  l’ho letto, mi sono subito detto: questa meraviglia io voglio vederla messa
  in scena. - Tempi
  rapidissimi. Gli artigiani lavoravano a tutte le ore del giorno, quando non
  c’erano le prove. Anche la sera. E quando c’erano le prove, lavoravano nelle
  loro botteghe. - Gli
  attori li ha scelti Hugo: io non conosco abbastanza il teatro viennese. Sono
  stato troppo in giro in questi anni. - Io ho
  voluto che fosse perfettamente inserito nel palazzo, come se fosse stato
  costruito insieme. - No, io
  non ho messo becco. Il regista è Hugo. Non saprei dirigere degli attori. - C’era
  la loggia dell’orchestra. L’abbiamo trasformata, ricavandone il palco
  imperiale, no, il palco comitale, e due palchi minori ai lati. I palchi
  inferiori sono stati costruiti ex-novo. - Il
  denaro serve per godersi la vita, no? -
  Certamente, ne faremo altri. Hugo sta scrivendo un Alessandro che metteremo in scena qui. Michael
  non smette di parlare, ma Ruggero ha di nuovo l’impressione che il suo
  entusiasmo sia forzato. Gli sembra che qualche cosa suoni falso nella sua
  allegria ostentata. Gustav
  guarda Eldemar, che sta parlando con Michael. Pensa
  che farebbe volentieri un ritratto all’attore. Michael gli si avvicina. -
  Gustav, devi fare un ritratto di Eldemar.  Gustav
  sorride. Si direbbe che l’amico gli abbia letto nei pensieri.  - Lo
  farei volentieri, ma… Männer è d’accordo? - Certo,
  vieni. Raggiungono
  Eldemar e Michael dice: - Gustav
  ha accettato di dipingerti. - Signor
  Keller, non avrei mai osato chiederlo e credo che non me lo potrei
  permettere, ma davvero essere ritratto da lei mi farebbe un piacere enorme. Gustav
  scuote la testa. - Io
  stavo pensando che le avrei fatto volentieri un ritratto. Ridono
  tutti e due. Michael
  dice: -
  Allora, diciamo che gli fai due ritratti. Prima un ritratto classico, poi uno
  come Agamennone nella scena finale.  Gustav
  scuote la testa e dice: -
  Michael, a volte ho l’impressione che tu mi consideri uno dei tuoi domestici.
   Michael
  rimane un attimo spiazzato, poi reagisce con una certa foga: -
  Gustav! Questo non è giusto!  - In
  pratica hai già deciso che quadri devo dipingere.  - Non è
  colpa mia se sei il miglior pittore vivente e se ogni tuo quadro è perfetto.  - Perché non chiedi a Egon?  Sul viso di Michael appare una breve contrazione, che lascia subito
  posto a un sorriso. - Lo
  chiederò anche a lui, certamente. Altri due ritratti. Gustav
  si rivolge direttamente a Eldemar: - Come
  vede, il conte ha già deciso per lei, per me e per il signor Schulte. Non ci rimane che chinare il capo. Anche perché
  fargli cambiare idea è impossibile: è più testardo di un mulo e quando vuole
  qualche cosa, solo un fulmine potrebbe farlo desistere, incenerendolo. Eldemar ride: - Non ci
  resta che ubbidire. Ma dovremo combinare le sedute di posa con gli impegni
  nelle prove e nelle recite dei prossimi spettacoli. Nella
  sala, da cui il pubblico incomincia a defluire, si intrecciano i commenti. Ruggero
  chiede a Egon il suo parere. - Ti è
  piaciuta, Egon? -
  Moltissimo. -
  Michael ha fatto bene a farlo mettere in scena. Una storia violenta, di
  attrazione, amore e odio. - Non
  avrei mai immaginato una simile rilettura del mito. - L’ho
  trovata molto convincente. E devo dire che guardando Männer
  e Klar, capivo benissimo che Agamennone fosse
  attratto da Egisto ed Egisto da Agamennone. Due o tre volte sono stato
  tentato di mettere una benda sugli occhi di Janos. Janos
  ride. - Scemo! - Non mi
  dire che nella scena finale, quando Männer si è
  spogliato… - Scemo! Quando
  gli spettatori se ne sono andati, c’è la cena con gli attori. Poi anche gli
  ultimi ospiti se ne vanno. Michael
  si sente prendere dal panico. Non gli è mai pesato rimanere da solo, ma ora
  all’idea che se ne vadano tutti, si sente angosciato. Si
  rivolge a Ruggero e Janos, che si stanno dirigendo al guardaroba. -
  Ruggero, Janos… potete aspettare un attimo? Ruggero
  risponde subito: -
  Certamente. Gli
  ultimi ospiti si congedano. Michael si rivolge ai due amici, cercando di
  nascondere l’angoscia che prova: - Non
  avete voglia di dormire qui, questa notte? Ruggero
  lo guarda: Michael si dice che deve aver capito benissimo la situazione. Come
  sempre a Ruggero basta pochissimo per cogliere i suoi stati d’animo. - Se
  preferisci non rimanere solo, certamente. Non ti crea problemi, Janos? - No,
  figurati. Michael
  sorride. Sapeva di poter contare su Ruggero. -
  Grazie. Almeno
  potrà parlare ancora con qualcuno prima di andare a dormire. Sentirà la
  vicinanza dell’amico, anche se arriverà il momento in cui dovranno separarsi
  per andare a letto. Ma
  Ruggero gli sa leggere dentro e chiede: - Vuoi
  che dormiamo insieme a te, nel tuo letto? Michael
  non osava chiederlo. A Ruggero avrebbe espresso il suo desiderio senza
  esitazioni, ma con Janos non ha un rapporto così intimo, nonostante a Venezia
  abbiano trascorso molte ore insieme. - Grazie,
  Ruggero. Janos, davvero non ti importa? - No,
  certamente. Mi va benissimo. Purché il letto sia abbastanza grande… E poi,
  Michael, tu sei un bell’uomo… Ruggero
  scuote la testa. - Io e
  te dormiamo nel tuo letto, Michael. Janos lo chiudiamo a chiave in uno
  sgabuzzino. Gli mettiamo un tappetino per terra ed è più che sufficiente. Michael
  sorride. Sapere che Ruggero dormirà accanto a lui è un sollievo enorme. Il letto
  è molto grande Ruggero si mette in mezzo, Janos e Michael ai suoi lati. Michael
  appoggia la testa sul petto di Ruggero. Sa che se Ruggero non si fosse
  fermato, probabilmente avrebbe trascorso una notte insonne, ma così, con un
  braccio dell’amico che lo cinge, si sente protetto e la sua sofferenza si
  attenua. Riuscirà a dormire. Ruggero gli accarezza piano il capo.  Il
  mattino dopo, mentre Michael è in bagno, Janos dice: - Dopo
  colazione torno a casa. Credo che Michael abbia bisogno di parlare un po’ con
  te da solo. Ruggero
  sorride. È contento che Janos abbia capito.  - Hai
  ragione, Janos. A
  colazione discutono dello spettacolo. Quando hanno finito, Janos dice: - Io
  adesso torno a casa. Devo fare alcune cose. Ruggero
  e Michael rimangono soli. - Dimmi,
  Michael. Ruggero
  non ha specificato che cosa Michael deve dirgli, ma è chiaro a entrambi.  - Ruggero…
  in questi giorni mi sono concentrato nella messa in scena dello spettacolo,
  che mi ha permesso di pensare ad altro, ma adesso che c’è stata la recita…
  non so come affrontare le giornate. Assurdo, vero? - Avevi
  detto che gli avresti parlato subito dopo la rappresentazione, Michael. Cioè
  oggi. Michael
  guarda Ruggero. È spaventato. - Oggi? Oggi no. E…
  se mi dicesse di no? - Michael, è possibile. Come ti ho detto, ti vuole sicuramente bene
  e gli piaci, ma non so se sia innamorato. In ogni caso non credo che abbia
  senso andare avanti così. È ora che tu prenda il toro per le corna.  Michael annuisce. - Lo farò. Ruggero ha qualche dubbio sulla determinazione dell’amico, ma non
  dice nulla. Michael deve posare per Egon nel pomeriggio: in serata hanno fatto
  tutti troppo tardi per essere attivi il mattino. Michael si reca all’appuntamento con lo stesso entusiasmo di un
  condannato a morte che sale al patibolo: la paura prevale sul desiderio di
  vedere Egon. Egon invece è euforico. I mesi trascorsi da Gustav, il successo
  della mostra, la cerchia di nuovi amici, la vendita dei quadri, l’attenzione
  del pubblico e dei critici: tutto ha contribuito a rendergli la sicurezza di
  un tempo, restituendogli l’ottimismo e la baldanza della sua giovinezza. Sorride
  a Michael e gli dice: - Oggi finiamo con san Giovanni. Michael sta posando come san Giovanni Battista, che nella cella
  attende di essere decapitato: un tema perfettamente in linea con lo stato
  d’animo del conte.  Nella tela Ruggero è il boia che entra nella stanza, la spada
  sguainata, pronto a decapitare il prigioniero: il duca deve ancora posare
  qualche volta, perché la sua figura è stata appena abbozzata. Ruggero è quasi
  nudo: solo intorno ai fianchi indossa una striscia di tessuto le cui pieghe
  nascondono i genitali, ma sembrano quasi coprire una formidabile erezione. E nella
  spada, tenuta in verticale, i critici del secolo successivo leggeranno un
  simbolo fallico: di fatto Egon sta dipingendo il momento che precede uno
  stupro, più che un’esecuzione. Di questo è cosciente. Il corpo del santo,
  inginocchiato a terra, nudo, sembra accettare la violenza che sta per subire.
  Nel quadro il pittore ha espresso il suo desiderio.    Michael ha annuito alla frase di Egon, che ora aggiunge, un po’
  sornione: - E poi, se vuoi, ti faccio il quadro che volevi. Michael non capisce subito: gli ci vuole un momento per realizzare
  che cosa intende dire l’amico.  - Egon, io… Non riesce a continuare. Egon si rende conto che il conte è molto
  turbato. - Che cosa ti succede, Michael? Michael si avvicina. Non trova le parole. Egon è perplesso: non ha
  mai visto Michael così. - C’è qualche problema, Michael? Non stai bene? Michael scuote la testa. Cerca di reagire alla paralisi dei suoi
  pensieri, ma non ci riesce. Egon lo guarda, attendendo una spiegazione.
  Rimangono a fissarsi, Egon sempre più perplesso, Michael sempre più confuso. Infine Michael china il capo, si volta e si dirige verso la porta. - Michael! Sentendosi chiamare, Michael si volta e guarda Egon. - Scusa, oggi non va. Un’altra volta. Michael esce. Egon è preoccupato. Vuole bene a Michael e lo inquieta vederlo in
  queste condizioni. Passa nello studio di Gustav. - Scusa se ti interrompo, Gustav, ma ho bisogno di parlarti un
  momento. - Nessun problema, dimmi pure. - Michael è passato da me, doveva posare, ma era sconvolto. Non
  riusciva a parlare e se n’è andato. Gustav aggrotta la fronte. - Senza una spiegazione? Senza dire nulla? - No. Ha solo detto che oggi non va. Sembrava sconvolto. Non so… mi
  ha fatto paura… non so che cosa intenda fare. La faccenda impensierisce Gustav: Michael non si è mai comportato
  così. Egon appare molto preoccupato. È opportuno intervenire. - Senti, vado a cercarlo a casa sua. Tu magari vai dal duca d’Aquaforte. Sono molto amici e magari Michael si è fatto
  portare là. E se non è là, il duca è la persona in grado di trovarlo e
  aiutarlo. Andiamo insieme, io mi faccio lasciare a palazzo Walser, che è
  sulla strada, tu prosegui fino a palazzo Aquaforte. Gustav ha indovinato. Michael non ha detto al cocchiere dove
  intendeva andare e questi, alquanto stupito nel vederlo uscire quasi subito,
  gli ha chiesto se doveva riportarlo a casa. Michael ha detto di sì, ma per
  strada si è reso conto di non essere in grado di rimanere da solo, per cui ha
  chiesto di essere accompagnato a palazzo Aquaforte,
  sperando di trovare Ruggero o almeno Janos.  Ruggero e Janos si stanno preparando per uscire quando Michael
  arriva. È chiaramente sconvolto. Ruggero pensa che Egon lo abbia respinto. Michael guarda Ruggero, poi china la testa e dice: - Non ce l’ho fatta. - Non sei riuscito a parlargli? - No. Ruggero è stupito. Non ha mai visto Michael in simili condizioni. Sono tutti e tre in salotto, quando un domestico annuncia l’arrivo
  di Egon Schulte. È Janos a prendere l’iniziativa: con Egon ha un buon rapporto, anche
  perché tra loro ci sono solo due anni di differenza ed entrambi provengono da
  famiglie non ricche, per cui hanno dovuto guadagnarsi da vivere con il loro
  lavoro. - Gli parlo io. Voi andate di là. Ruggero accompagna Michael in un altro salottino. Egon entra. - Ciao, Janos. Scusa si disturbo, ma sto cercando Michael. Sono
  preoccupato per lui. - Che cosa è successo? - Non lo. È venuto da me per posare, ma non riusciva a parlare e poi
  se ne è andato. Sembrava sconvolto. - Michael è di là, con Ruggero. - Gustav l’ha pensato. Per questo sono venuto qui. Adesso mi sento
  più tranquillo. Ma non capisco il suo comportamento.  Janos decide di intervenire. Forse non dovrebbe farlo, è Michael che
  dovrebbe parlare, ma se il conte non ci riesce, è necessario sbloccare la
  situazione. - Non è difficile da capire. È innamorato e non riesce a dirlo. - Innamorato? Ma… vuoi dire… di me? - Sì, senz’altro. Egon sorride. Michael gli piace moltissimo ed è contento di essere
  amato da lui. - Ma perché non me lo dice? - Perché non sa che cosa provi e ha paura di un tuo rifiuto. Egon abbassa la testa, poi la rialza, sorride e dice: - Michael mi piace, parecchio. Non intendo dirgli di no. - Questa è una gran cosa. Allora te lo mando di qua. Così vi
  parlate. - Va bene, ci parliamo. Janos esce e poco dopo entra Michael, spaventato. Non dice nulla. Egon gli si avvicina, sorridendo, lo abbraccia e lo bacia. Michael
  lo guarda, sbalordito poi lo stringe con forza e ricambia il bacio. Le parole non sono così necessarie.  2022  |