Nettuno e il tritone

Interludio veneziano

 

 

A Luisa Nespolo

 

Et qui, dans l'Italie,

N'a son grain de folie?

Qui ne garde aux amours

Ses plus beaux jours?

Laissons la vieille horloge,

Au palais du vieux doge,

Lui compter de ses nuits

Les longs ennuis*.

 

Mentre l’imbarcazione scivola lungo il canale, Michael si ripete i versi di Musset. Gli piace quest’idea del seme di follia degli italiani, che consacrano agli amori i giorni della loro giovinezza. In questo Michael si sente italiano. Si è mille volte innamorato, senza amare mai davvero. Ruggero una volta gli ha detto che ama l’amore, non gli uomini di cui si innamora. Forse è vero.

Venezia lo affascina, ma negli ultimi anni se n’è tenuto lontano. L’ultimo viaggio nella città è stato un incubo: l’epidemia era esplosa poco dopo il suo arrivo. Era rimasto chiuso nell’albergo, mentre il colera infuriava. Sperava che passasse, ma invece la malattia si era diffusa sempre più e anche alcuni degli ospiti dell’hotel si erano ammalati. Circolava la voce che una coppia di anziani tedeschi fosse in condizioni disperate; dopo qualche giorno si diceva che fossero morti. Impossibile sapere la verità: la direzione faceva di tutto perché queste notizie non circolassero. Michael si era infine deciso a partire, ma sul treno uno dei passeggeri del suo vagone si era sentito male mentre il convoglio transitava sul ponte che unisce la città alla terraferma. Ricorda ancora benissimo il viso dell’uomo, deformato dal terrore, l’odore rivoltante che aveva invaso lo scompartimento, la propria paura, l’angoscia di fronte a quell’agonia a cui assisteva impotente.

Il ricordo lo ha tenuto lontano da Venezia per alcuni anni, ma la città è troppo bella e i gondolieri lo sono altrettanto: questi uomini, che imparano da bambini a nuotare e da ragazzi a condurre le gondole, uniscono vigore, eleganza e spesso bellezza; l’esercizio fisico continuo rende i loro corpi forti e armoniosi.

Come molti visitatori dicono e come Michael ha avuto modo di verificare in passato, parecchi di loro sono abituati alle richieste dei turisti e sempre pronti a guadagnare qualche extra, senza porsi problemi.

Michael è arrivato da una settimana. Alloggia nel palazzo degli Aquaforte, un antico edificio che divenne patrimonio della famiglia attraverso un matrimonio, come successe per le proprietà austriache.

Paolo d’Aquaforte, padre di Ruggero, raccontava spesso un aneddoto, secondo cui Francesco Giuseppe avrebbe detto che gli Asburgo e gli Aquaforte si assomigliavano, perché continuavano ad ampliare i loro possedimenti attraverso i matrimoni. Così in effetti avvenne per alcuni secoli e gli Aquaforte acquisirono proprietà sui due versanti delle Alpi. In tempi più recenti però le vicende legate al passaggio di Venezia all’Austria e poi all’Italia hanno comportato la perdita dei beni italiani. Solo il sontuoso palazzo veneziano è rimasto nelle loro mani.

 

Michael scende dalla gondola e paga. Visita San Zanipolo e quando esce si dirige verso le Fondamenta Nove, dove conta di imbarcarsi per Murano. Camminando sulle Fondamenta dei Mendicanti, vede passare una gondola sul canale. A condurla è un uomo giovane, sui venticinque anni, un bel viso incorniciato da capelli un po’ lunghi, barba e baffi d’oro, un corpo snello e muscoloso, cappello nero a tesa larga e divisa bianca. Sembra il cacciatore dipinto dal Veronese nella Villa Giacomelli a Maser. Michael ammira l’eleganza dei movimenti. Quando è di fianco a lui, lo chiama:

- Gondoliere!

L’uomo sente la chiamata e si volta verso Michael. Avvicina la gondola alla riva, in modo da sentire che cosa vuole questo signore che l’ha interpellato, sicuramente un turista straniero.

Michael guarda gli occhi grigi, il viso abbronzato, i denti bianchissimi. Questo gondoliere è un dio greco, un tritone, una creatura delle acque.

Michael parla bene l’italiano, come l’inglese e il francese: è sempre stato dotato per le lingue e, viaggiando molto, ha avuto occasione di migliorare le sue competenze. In Italia ha soggiornato più volte, anche per lunghi periodi.

- Voglio fare un giro. Sei libero?

- Certo, signore. C’è un imbarcadero prima del ponte.

Michael nota che l’uomo ha una bella voce baritonale, un po’ roca. Anche la voce ha la sua importanza, soprattutto per un amante dell’opera.

Raggiunge l’imbarcadero e il gondoliere gli porge la sinistra per aiutarlo a salire. Michael non ha nessun bisogno di aiuto, ma si appoggia, stringendo un po’ la mano, mentre sorride.

Il gondoliere ha già mangiato la foglia, ma fa finta di niente.

- Dove vuole andare, signore?

Michael decide di rimandare Murano ad altro momento. Preferisce farsi portare a San Sebastiano: un tragitto abbastanza lungo da permettergli di sondare il terreno. E se gli sembrerà di avere qualche possibilità, potrà far aspettare il gondoliere mentre visita la chiesa e farsi poi portare altrove. Altrimenti si consolerà con le storie della regina Esther: ama moltissimo gli affreschi del Veronese che ornano la chiesa.

- Come ti chiami?

- Alvise.

- Quanti anni hai?

- Ventiquattro, signore.

Michael si volta a guardare il gondoliere. È davvero splendido, un’immagine di virilità radiosa.

- Sei un bel ragazzo, ma te l’avranno detto in molti.

Il complimento è una conferma di quanto Alvise già sospettava.

- Grazie, signore.

Michael lascia passare un momento, poi riprende:

- Ti capita spesso di portare turisti?

- Sì, ne vengono sempre molti.

Chiacchierano ancora. Il giovane risponde a tono e non appare scostante, ma neanche particolarmente disponibile.

- Sai cantare?

- Sì, signore.

- Conosci qualche aria d’opera, magari d’amore? Mi piacerebbe sentirla.

- Conosco soprattutto canzoni veneziane. Vuole che le canti Cento basetti?

- Non la conosco.

Alvise intona la canzone.

Cento basetti

su quei occietti

de ti mio caro

te voggio dar.

E quella bocca

ch’el cuor me tocca

fin che son sazio

voi zupegar.

 
Alvise ha davvero una bella voce ed è un piacere ascoltarlo, ma per Michael il testo è in buona parte incomprensibile.

- Che cosa dice questa canzone?

- L’innamorato dice che vorrebbe dare cento bacetti, sugli occhi e sulla bocca, al suo amore. È una canzone che l’innamorato canta alla sua bella.

- Ma tu l’hai cantata a me.

Alvise ride. Ha un bellissimo riso, denti perfetti e labbra di corallo. Michael pensa ai versi di Dante:

Quando leggemmo il disïato riso

esser basciato da cotanto amante…

Vorrebbe baciare la bocca di Alvise, che intanto gli sta rispondendo:

- Mi ha chiesto lei una canzone d’amore.

- Hai ragione.

Michael ha l’impressione che prometta bene. Dice ad Alvise di aspettare durante la visita alla chiesa, ma non si sofferma a lungo: San Sebastiano e i dipinti del Veronese non si muovono, il bellissimo animale che lo aspetta fuori potrebbe diventare impaziente.

Alvise non è impaziente. Il turista, che è sicuramente tedesco, è simpatico e cordiale. Non gli dispiace per niente, anche se ha perso parecchi capelli. È probabile che si faccia avanti e Alvise non intende dire di no. Non gli spiace guadagnare un po’ di denaro in più e non gravare troppo su Jacopo. Sa che il cugino, a cui deve tutto, si preoccupa per il suo futuro, anche se lo nasconde.

 

Dalla porta della chiesa, prima di uscire, Michael osserva il gondoliere, seduto sulla riva. Sì, proprio un tritone, selvaggio e forte, appena emerso dalle acque per prendere possesso della terra.

Michael esce e raggiunge Alvise.

- Portami a palazzo Aquaforte.

Il gondoliere conosce il palazzo e si muove sicuro, fino all’ingresso sul canale della residenza.

- Perfetto. Sono arrivato a casa.

Alvise è stupito. Non gli risulta che il duca d’Aquaforte sia in città, di solito viene più avanti. E questo signore non è certamente il duca.

- Sta qui?

- Sì, sono ospite del duca, anche se lui non c’è.

Michael pensa che potrebbe chiedergli di salire ora, ma preferisce non farlo subito. Non ha moltissimo tempo, perché in serata esce di nuovo, e non è una sveltina quello che gli interessa.

Dopo aver pagato tre volte la cifra richiesta, sorride e dice:

- Questa sera mi porti alla Fenice.

Michael ha preso un biglietto per vedere La Bohème di Leoncavallo. Ha già assistito alla prima rappresentazione a Torino dell’opera di Puccini ed è curioso di scoprire che cosa ha fatto il rivale, partendo dallo stesso testo. Difficile che Leoncavallo abbia fatto meglio di Puccini, ma non si può mai dire.

Non avrebbe bisogno di farsi portare, perché il teatro non è lontano dal palazzo e gli piace muoversi a piedi, ma non vuole perdere di vista il suo bel tritone.

Stabiliscono l’ora, poi la gondola di Alvise scivola via. Michael lo guarda allontanarsi. Fasciato dai pantaloni, il culo sembra bellissimo. Ormai Michael è convinto di riuscire a gustarlo.

 

All’uscita dalla Fenice, Alvise è ad attenderlo, come hanno concordato.

- La riporto a palazzo d’Aquaforte?

- Sì.

Michael scambia qualche parola con Alvise. Quando scende paga, di nuovo molto di più di quanto stabilito. Potrebbe chiedergli di salire ora, ma il cuoco ha di sicuro preparato la cena. E a Michael non spiace ritardare il momento della soddisfazione del desiderio.

Si limita a dire:

- Domani mi passi a prendere alle dieci?

- Va bene, signore.

Michael entra in casa, canticchiando:

Testa adorata, più non tornerai

lieta sul mio guanciale a riposar!

Bianche manine ch’io sul cor scaldai,

più il labbro mio non vi potrà baciar!

In realtà Michael spera proprio che la testa adorata a cui pensa riposi presto sul suo guanciale. Quanto alle mani di Alvise, pregusta altri usi, ma se dovessero essere fredde, ha diverse idee su come scaldarle.

 

*

 

Alvise lascia la gondola e ritorna a casa, a Cannaregio: è un piccolo edificio su due piani, di proprietà di Jacopo, un cugino primo che da bambino Alvise chiamava zio, perché ha quindici anni in più di lui. Jacopo lo ha ospitato nella sua casa, al piano superiore, quando i rapporti di Alvise con la famiglia sono peggiorati, al punto da rendergli la vita impossibile. Alvise non possiede nulla: la matrigna e la sorellastra sono riuscite a spogliarlo di tutto. Lavora come gondoliere, come suo padre, ma non ha una gondola propria, per cui i guadagni vanno in buona parte al proprietario dell’imbarcazione. Farebbe una vita ben grama, se non fosse per Jacopo, che lo ospita e ha saldato i debiti di famiglia che il cugino si è trovato a dover pagare. Gli extra che Alvise ottiene da alcuni turisti, donne e uomini, affascinati dalla sua bellezza, lo aiutano a vivere un po’ meglio.

Jacopo abita al piano terreno della casa, in due stanzette, e arrivando Alvise vede che la sua finestra è aperta. Il cugino si affaccia, gli sorride e gli dice:

- Giornata lunga, oggi.

- Quasi tutta a servizio di un tedesco.

Jacopo sorride, poi aggrotta la fronte, scherzosamente.

- Servizio… di che tipo?

Sa benissimo che Alvise ogni tanto accetta le proposte dei ricchi visitatori. Jacopo stesso lo fa, qualche volta. Tra loro esiste una grande confidenza e certamente nessuno dei due ha motivo per tenere nascosti questi rapporti occasionali, a cui non danno peso.

- Per il momento solo di trasporto.

- Per il momento?

- Devo passare a prenderlo domani. Ma da quanto ha pagato oggi, non credo che voglia solo essere portato in giro per Venezia.

Jacopo chiede:

- Un bell’uomo?

- No, non direi. Ha più o meno la tua età, direi, ma ha perso molti capelli. Simpatico, comunque, e gentile. Paga molto bene.

Jacopo annuisce.

- Direi che è l’essenziale.

Alvise saluta e sale di sopra.

Jacopo si stende sul letto. È stanco, perché ieri notte ha accompagnato una coppia di inglesi in un giro che si è prolungato molto oltre il tempo stabilito: c’era la luna e i due hanno deciso di continuare a farsi portare per i canali, senza una meta precisa, ammirando incantati la Venezia notturna e scambiandosi effusioni quando la gondola passava in un canale dove la luce lunare non arrivava. Jacopo è rientrato molto tardi e avrebbe avuto bisogno di dormire più a lungo, ma aveva un impegno di prima mattina.

Ora finalmente potrebbe dormire, ma il sonno non arriva. Come spesso succede, il pensiero va ad Alvise, che ospita da tre anni. È preoccupato per il futuro del cugino, a cui è molto affezionato. Senza una gondola propria Alvise non riuscirà mai a mettere molto da parte. Il giovane non può contare su nessun altro e Jacopo non può aiutarlo più di quanto già fa: ha speso buona parte dei suoi risparmi per saldare i debiti che Alvise si è trovato a dover pagare, perché la famiglia è riuscita ad accollarglieli. La sua gondola è vecchia e ha spesso bisogno di essere riparata. Per quanto ancora reggerà?

Non sono in miseria. Vivono tutti e due poveramente, ma hanno il necessario. Alvise è bellissimo e le avventure con i turisti lo aiutano a vivere decentemente. Ma non si è belli per sempre.

 

L’indomani Michael si fa portare alla scuola di San Giorgio degli Schiavoni, per vedere i teleri del Carpaccio, poi si fa ricondurre a casa. Quando la gondola si ferma all’imbarcadero di palazzo Aquaforte, scende e chiede ad Alvise.

- Vieni da me, nel pomeriggio?

L’invito è abbastanza ambiguo da permettere a Michael di ritirarsi senza eccessivo imbarazzo e abbastanza diretto da essere perfettamente comprensibile.

- Come vuole, signore. A che ora debbo venire?

- Verso le quattro, ti va bene?

- Benissimo, signore.

Michael paga, molto più del dovuto, poi entra e informa il portiere che attende per le quattro un giovane gondoliere. Ordina di farlo salire nel salottino accanto alla sua camera: palazzo Aquaforte ha tre appartamenti per gli ospiti, con camera da letto, bagno, salottino e camera per un servitore.

Alvise si presenta puntuale, sorridente. È davvero bellissimo, Michael continua a ripeterselo.

- Sono contento che tu sia venuto.

Michael si avvicina. Non dice nulla. Non occorrono parole. Michael slaccia la cintura dei pantaloni, Alvise si sfila la camicia e poi è un intrecciarsi di mani che sciolgono lacci, sbottonano, spogliano. In breve Alvise è nudo e Michael può ammirarne il corpo perfetto, la pelle ambrata.

- Sei bellissimo, Alvise. Ma devono avertelo detto in tanti.

Il giovane sorride. Sembra perfettamente a suo agio.

Michael lo stringe e mentre le sue mani gli afferrano il culo, lo bacia sulla bocca. Poi si stacca e dice:

- Vieni, andiamo in camera.

Passano nella camera da letto.

- Spogliami, Alvise.

Alvise obbedisce. Procede lentamente, senza fretta. Queste mani che slacciano e sfilano stuzzicano il desiderio di Michael. Quando infine Alvise sfila le mutande, il cazzo di Michael è perfettamente teso.

- Stenditi, Alvise.

Alvise obbedisce. Le mani di Michael indugiano sul suo corpo e il giovane si abbandona alle carezze. Sono mani forti, che sfiorano, avvolgono e stringono. Alvise si sente bene, come di rado gli capita in questi amplessi dettati più dal bisogno che dal desiderio. Ma è piacevole stare così, sentire le mani che percorrono il suo corpo, le labbra che baciano, i denti che mordono leggermente, la lingua che scivola sulla pelle.

Poi Alvise sente le dita di Michael percorrere il solco, indugiare sull’apertura, premere un po’, allontanarsi, ritornare umide e spingersi all’interno, prima un dito, poi un altro. Michael ripete l’operazione più volte, morde il culo di Alvise, passa la lingua tra le natiche e infine si stende su Alvise, che sente la pressione della cappella e poi l’ingresso. È una bella sensazione. Michael esce, poi inumidisce ancora l’apertura e rientra. Alvise geme, un gemito di puro piacere. Michael avanza, con lentezza.

Nuovamente Michael si ritira e poi lo penetra, questa volta spingendo fino in fondo. Alvise geme più forte.

Michael incomincia a spingere, avanti e indietro, in un movimento che stordisce Alvise. Ondate di piacere lo investono a ogni spinta. Non sa quanto a lungo duri la cavalcata selvaggia.

Infine Michael viene ed esce. Alvise non è venuto, ma il piacere è stato forte.

Ora sono distesi sul letto, sotto la coperta. Michael chiede:

- Sei sposato, Alvise?

- No, signore.

- Ma stai con una donna? Non sei più un ragazzo.

- No, signore.

Alvise non dice altro: non sembra aver voglia di parlarne. Michael lascia cadere l’argomento. Riprenderà il discorso in seguito. È curioso di conoscere meglio questa splendida creatura marina.

La sua destra percorre il corpo steso accanto al suo: il petto, il ventre, il cazzo, che si tende. Michael lo afferra, lo stringe e dice:

- Prendimi, Alvise.

Si volta sulla pancia e allarga le gambe.

Alvise non se l’aspettava. È frequente che qualche turista gli si offra, ma di rado chi lo prende poi chiede di essere posseduto.

Alvise sorride. Guarda i fianchi robusti, coperti da una peluria fitta. Un bel culo, non più giovane. Alvise lo afferra con le mani, poi si stende di fianco a Michael. Lascia cadere un po’ di saliva sull’apertura e la sparge. Entra con cautela, ma la carne cede senza fatica. Alvise non se ne stupisce: è evidente che questo turista ha un’ampia esperienza. Il gondoliere avanza fino in fondo, poi si ritrae e prende a muoversi avanti e indietro, con un ritmo regolare. Michael geme, piano, più e più volte. È bello spingere a fondo, penetrando in questo culo caldo, è bello sentire la tensione che aumenta. Un momento di piacere puro, una pausa, in cui il mondo tutt’intorno non ha più importanza.

Alvise cavalca a lungo e Michael sente crescere il piacere. Quando il gondoliere viene con le ultime spinte, anche il conte è travolto da un violento orgasmo.

 

Alvise torna a casa. Quando Jacopo rientra, passa a salutarlo, come fa tutte le sere. Jacopo non fa nessuna domanda: non si ritiene in diritto di indagare sulle avventure galanti del cugino. Alvise gli racconterà ciò che vuole, liberamente. E infatti il giovane gli narra il pomeriggio, il doppio rapporto con il conte, la somma consistente che gli ha dato.

- È stato molto generoso, Alvise.

Alvise annuisce.

- Sì. Davvero. E devo dire che mi piace: non è bello, ma è simpatico. E ha un bel culo.

- E un bel cazzo?

- Di tutto rispetto.

Jacopo ride.

- Buon per te.

 

Nei due giorni seguenti Michael si fa condurre da Alvise in giro per la città. Di solito ama molto girare anche a piedi, ma non vuole stare a lungo lontano dal bel tritone che lo ha stregato. Gli piace guardarlo mentre conduce la gondola, gli piace sapere che lo sta aspettando mentre è in visita. Gli insegna qualche aria d’opera: Alvise è intonato e impara in fretta. E così la gondola scivola lungo i canali, mentre Alvise canta:

Di Provenza il mar, il suol

Chi dal cor ti cancellò?

Chi dal cor ti cancellò

Di Provenza il mar, il suol?

Ogni pomeriggio scopano. Qualche volta è Michael a possedere Alvise, altre volte si verifica il contrario. Dopo rimangono distesi sul letto a parlare. Tra di loro si stabilisce una certa confidenza e Alvise racconta dei suoi rapporti tormentati con la matrigna e la sorellastra, per cui si è infine trovato in mezzo a una strada, con un’eredità di debiti che solo il cugino gli ha permesso di saldare.

Michael ne approfitta per tornare alla carica sull’argomento che gli interessa: è molto curioso e non si lascia scoraggiare facilmente.

- Allora non sei sposato, Alvise?

- No, signore.

- Come mai?

Alvise cede e dice la verità:

- Non mi piacciono le donne.

Il gondoliere non respinge le richieste delle visitatrici, perché pagano bene, ma preferisce gli uomini.

- Vivi da solo?

Michael sa bene di essere invadente, ma è abituato a soddisfare le sue curiosità.

- Più o meno, signore. Mio cugino mi lascia usare il piano superiore di casa sua.

- Come si chiama tuo cugino?

- Jacopo.

- È bello come te?

Alvise ride.

- È più bello, ma ha diversi anni in più.

Michael dubita che questo Jacopo possa essere più bello di Alvise, ma non esprime la sua perplessità.

- Ma Jacopo sa che oggi sei qui con me?

- Certo. Non glielo nascondo mica.

- Non è geloso?

Michael dà per scontato che il cugino non sia proprio un cugino, ma si accorge che Alvise lo guarda un po’ stupito.

- Geloso? E perché mai?

Michael non risponde. Devia invece leggermente il discorso:

- Mi piacerebbe conoscere questo tuo cugino che è così bello. Possiamo combinare un incontro?

Alvise non si aspettava la richiesta.

- Credo di sì.

- Che ne dici se ci vediamo domani al caffè Florian, alle cinque?

- Va bene.

Non c’è motivo perché Jacopo dica di no; comunque, se non volesse, si farà sempre in tempo ad annullare l’appuntamento.

 

Il giorno dopo Michael è seduto a un tavolo del caffè e guarda la piazza. L’ha vista infinite volte, ma gli sembra sempre incredibile che gli uomini siano riusciti a creare una tale bellezza, un miracolo di equilibrio ed eleganza.

Michael vede arrivare Alvise con un uomo alto, forte, viso abbronzato, occhi scuri, fitta barba e capelli neri con qualche filo d’argento. Un gran bell’uomo, dall’aspetto un po’ truce. Se Alvise è un tritone, Jacopo è davvero Nettuno, un dio possente e terribile, signore delle acque.

Michael è piuttosto sfacciato, ma di fronte a questo magnifico maschio si sente intimidito. Non si aspettava un’altra divinità marina, più possente ancora di Alvise.

- Buongiorno, signor conte.

- Buongiorno. Sono contento di incontrarti. Alvise mi ha parlato di te ed ero curioso di conoscerti.

In realtà Alvise non ha detto quasi nulla di Jacopo, ma questo ha reso Michael ancora più curioso. E sicuramente gli piacerebbe portarsi a letto questo magnifico esemplare di maschio. Sorride e aggiunge:

- Alvise mi ha detto che eri un bell’uomo, ma non pensavo tanto così…

Jacopo sorride. Ha colto il desiderio di Michael, che non cerca di nasconderlo. Non gli sembra il caso di continuare a parlare della propria bellezza, per cui dice:

- So che sta a palazzo Aquaforte. È amico del duca?

- Sì, io volevo andare in albergo, ma lui ha insistito perché mi stabilissi a casa sua.

- L’ho visto qualche volta. Di lui ho sempre sentito parlare bene.

- Difficile parlarne male. È generoso, sempre disponibile.

Intanto è arrivato il cameriere e fanno le ordinazioni. Michael approfitta dell’interruzione per ritornare all’argomento che lo interessa.

- Mi piacciono molto i gondolieri veneziani. Sono sempre cortesi.

Jacopo scuote la testa, ridendo.

- Dipende da quanto hanno bevuto. E comunque non siamo tutti così cordiali. Alcuni sono proprio delle bestie.

- Per mia fortuna non ne ho mai incontrati di villani. E parecchi sono… molto aperti di vedute, disponibili a conoscere più a fondo il visitatore.

Michael ha detto la frase con un sorriso ammiccante.

- Perché non divertirsi un po’? I turisti sono generosi e a noi fa comodo avere un po’ di soldi in più. 

A Michael piace la franchezza di Jacopo, che dice le cose come stanno. Non piange miseria, non finge di essere disinteressato.

Michael è sfacciato e, avendo ormai superato la soggezione iniziale, chiede:

- Anche tu qualche volta… vai con i turisti?

- Qualche volta, se ne ho voglia, sì.

- Sei un gran bell’uomo e di sicuro ti arriveranno parecchie proposte.

Jacopo alza le spalle.

- Parecchie, non direi, e non mi interesserebbe neanche: faccio il gondoliere, non la puttana. Ma alcune sì.

- E qualche volta dici di sì, qualche volta di no.

- Esatto, dipende da chi me lo chiede.

Michael avrebbe molta voglia di scopare con questo Nettuno o, per essere precisi, di farsi scopare da lui. Sonda il terreno, muovendosi con cautela:

- Dipende se è un bell’uomo o no?

Michael spera che non sia così, perché non avrebbe molte possibilità: non è brutto, ma non è certamente bello, soprattutto di viso.

Jacopo scuote la testa, ridendo.

- No, dipende se è uno stronzo o no. Se è convinto che io debba starci perché lui è ricco, lo mando a cagare. Lo stesso se pensa di trattarmi come una pezza da piedi. Ci sono diversi turisti che si credono dio in terra solo perché sono ricchi.

Michael sorride.

- Spero che Alvise non ti abbia detto che sono uno stronzo.

- No, mi ha parlato molto bene di lei. E non solo perché è generoso, ma perché è attento a lui.

- Questo mi dà qualche possibilità.

Jacopo sorride e annuisce. Aveva capito benissimo dove intendeva arrivare il turista. Non ha motivo per dire di no. Michael gli ha fatto una buona impressione.

- Senz’altro.

- Siete una bellissima coppia, voi due.

Non sono una coppia e a Jacopo verrebbe da dirlo, ma tutto sommato non ne vale la pena: il conte può credere quello che vuole. E che siano belli, è un dato di fatto, innegabile. Jacopo non è vanesio, ma gli sguardi degli altri gli dicono che è così e gli sembrerebbe assurdo fare il finto modesto. Si limita a rispondere:

- Grazie.

Il desiderio preme e Michael decide di lanciarsi, anche se ha appena fatto conoscenza:

- Verreste da me, ora?

La proposta spiazza Jacopo e Alvise. Tutti e due hanno perfettamente capito le intenzioni del conte, ma non si aspettavano che li volesse tutti e due insieme. A Michael piace avere rapporti a tre e farlo con questi due splendidi maschi gli sembra il massimo, ma Jacopo e Alvise non sono una coppia, non hanno mai scopato né insieme, né l’uno in presenza dell’altro. Tutti e due esitano, ma in fondo non gli spiace l’idea di veder scopare l’altro.

Jacopo guarda Alvise:

- Ti va?

Alvise esita un attimo, poi dice:

- Perché no? A te andrebbe bene?

- Per me sì, ma solo se sei d’accordo.

- Va bene anche per me.

Jacopo si rivolge a Michael.

- D’accordo.

Michael sale sulla gondola con cui Jacopo e Alvise sono venuti e si dirigono a palazzo Aquaforte.

 

In camera Michael si spoglia in fretta, impaziente, imitato da Alvise e Jacopo. I due cugini si guardano, nascondendo un certo imbarazzo sotto il sorriso. Hanno occasione di vedersi nudi, ad esempio quando vanno a nuotare insieme in laguna, ma quello che stanno per fare è qualche cosa di completamente diverso.

Michael nota che Jacopo è molto ben attrezzato, ma per il momento lo ignora. Guida invece Alvise a stendersi supino sul letto, con il culo sul bordo. Poi gli solleva le gambe, se le pone sulle spalle e avvicina la cappella all’apertura. Entra con molta delicatezza e la sensazione è piacevolissima per entrambi: per Alvise questo bel pezzo di carne che avanza lentamente, spingendosi fino in fondo, poi si ritrae fin quasi ad uscire, è fonte di piacere. E lo sono anche le mani che percorrono il suo torace, accarezzandolo e tirandogli un po’ i peli, poi scendono sul ventre, afferrando con vigore il cazzo, mollandolo, stringendo i coglioni fin quasi a far male. Alvise geme senza ritegno.

Jacopo guarda. Vedere qualcuno fottere Alvise è una sensazione strana: lo spettacolo lo eccita e il suo cazzo si tende in fretta, ma in fondo avverte una punta di fastidio. Perché? Vuole molto bene al cugino, ma il conte non lo prende a forza, anzi: lo sta facendo godere. E allora perché prova una certa irritazione?

Anche per Alvise vedere che Jacopo lo guarda mentre il conte lo fotte è una situazione del tutto nuova, ma gradevole: gli piace, parecchio. Gli piace vedere il grosso cazzo del cugino battere contro il ventre, teso allo spasimo. E gli piace sapere che Jacopo è eccitato perché lo guarda mentre il conte lo fotte.

Jacopo rimane un buon momento a fare da spettatore, poi si riscuote. Decide che ormai ha visto abbastanza e incomincia ad accarezzare la schiena del conte. Il movimento del culo di Michael rende difficile lavorare con la lingua e la bocca, per cui per il momento Jacopo si limita a passare la mano dalle spalle al culo, a pizzicare e a stringere con forza.

Alvise si abbandona completamente al cazzo che lo trafigge, dilatandogli la carne, riempiendolo. Lascia che Michael gli torturi i capezzoli, gli passi una mano sul viso e gli infili due dita tra i denti, mentre le sue spinte crescono di intensità e forza. Il movimento violento rende dolorosa la presenza estranea nel culo, ma Alvise vorrebbe che Michael non smettesse mai. E in effetti Michael non sembra minimamente intenzionato a smettere: ci dà dentro con grande foga, con un’energia inesauribile.

Jacopo prova un fastidio crescente vedendo che Alvise gode intensamente. Ora vagamente intuisce il motivo, ma la sua mente rifiuta di prenderne atto. Si bagna le dita e accarezza il solco tra le natiche di Michael, fino a trovare il buco. Il conte emette un verso, una specie di grugnito, di apprezzamento. Il gondoliere bagna di nuovo le dita e questa volta il medio trova l’apertura e si infila dentro, senza preoccuparsi dei movimenti vigorosi con cui Michael ara il culo di Alvise.

Michael bestemmia in tedesco, ma è chiaro che gli piace.

Alvise sente che il piacere cresce, dal suo culo si diffonde in tutto il corpo, tanto violento da essere quasi intollerabile. Geme di nuovo e Michael gli afferra il cazzo con la destra, lo stringe vigorosamente e aumenta ancora il ritmo delle spinte. Alvise cerca di trattenere l’urlo che si dilata dentro i suoi polmoni, mentre il piacere deborda e il seme schizza dal suo cazzo verso l’alto, spargendoglisi sul torace e sul ventre. Con un’ultima serie di spinte anche Michael viene e si affloscia su Alvise, boccheggiando. 

Jacopo estrae il dito e percorre il solco verso l’alto e verso il basso, due volte, fino a raggiungere nuovamente il buco, dove indugia.

Michael mormora:

- Aspetta, mi stendo.

Si solleva si stende accanto ad Alvise, che si sposta in modo da essere tutto sul letto. Piega le gambe, in modo da sollevare il culo, offrendolo al possente dio marino che sta per prenderlo.

Jacopo si avvicina. Sputa sul culo e con due dita inumidisce bene l’apertura, dilatandola, per prepararla ad accogliere l’arma. Alvise guarda, affascinato, la cappella di Jacopo avanzare fino a premere sul buco, forzarlo e poi scomparire dentro il culo di Michael, che contrae il viso in una smorfia. Alvise ha la gola secca.

Jacopo avanza fino in fondo. Michael chiude gli occhi e stringe i pugni. Jacopo gli lascia un momento per abituarsi alla presenza, alquanto ingombrante, poi prende a lavorare, dandoci dentro di gran lena. Michael ha riaperto gli occhi e sembra respirare a fatica. Alvise non riesce a distogliere lo sguardo, affascinato dallo spettacolo.

Jacopo prosegue a lungo, con violenza crescente, fino a che emette una specie di grugnito e chiude gli occhi, squassato dal piacere che lo travolge. Sul viso di Michael scorrono goccioline di sudore.

Quando Jacopo si ritrae, Michael si volta. Ha il cazzo un po’ turgido, ma non duro, e appare un po’ pallido.

- Sei alquanto dotato, Jacopo, quasi…

Michael si ferma. Voleva dire che Jacopo è quasi come Ruggero, ma non ha nessun diritto di rivelare che scopa con il duca d’Aquaforte. Conclude:

- …come un amico mio.

Poi aggiunge:

- Stenditi anche tu.

Jacopo obbedisce. Ora sono tutti e tre stesi sul letto, Michael al centro, i due gondolieri ai lati.

Michael mette le mani sui cazzi ancora un po’ turgidi dei suoi ospiti. È esausto: la doppia scopata lo ha svuotato di ogni energia. Ma è pienamente appagato, perché è stato bellissimo.

Alvise è confuso. Nella sua mente ritorna in continuazione l’immagine di Jacopo che fotte il conte, il grosso cazzo che affonda nel culo e si ritrae. È turbato.

Jacopo è irritato, anche se lo nasconde. Ha goduto, intensamente, ma è a disagio e nervoso. La mano del conte che preme sul cazzo gli dà fastidio e vorrebbe allontanarla, ma non saprebbe spiegare perché.

Dopo un buon momento Jacopo dice:

- Ora è meglio che andiamo. Lei dovrà cenare.

Michael vorrebbe che rimanessero, ma Jacopo ha ragione: è quasi ora di cena. Si alza, imitato dai due gondolieri, e tutti e tre si rivestono. Quando è pronto, Michael tira fuori alcuni biglietti e li porge a Jacopo:

- Io ceno a palazzo, ospite del duca. Voi questa sera cenate dove volete, ma siete miei ospiti.

La cifra è molto consistente e anche se Alvise e Jacopo cenassero nel miglior ristorante di Venezia ne avanzerebbe ancora un po’.

Ringraziano tutti e due e si congedano. Michael dice ad Alvise di trovarsi il mattino alle dieci all’imbarcadero del palazzo. Poi si rivolge a Jacopo:

- Conto di rivederti presto…

Ammicca e conclude:

- …non appena il culo mi farà un po’ meno male.

- Come desidera.

 

Tornano a casa, silenziosi. Jacopo conduce la gondola, come fa sempre quando si muovono insieme. Alvise lo guarda e si dice che è davvero bellissimo. Adesso però questa constatazione assume anche altri significati.

Quando arrivano, si rendono conto di non aver detto una parola in tutto il tragitto. Jacopo divide i soldi del conte a metà e porge ad Alvise un blocchetto. Sorride e dice:

- Dovrei darti una quota anche della mia metà, perché il cliente l’hai procurato tu.

Alvise scuote la testa e ride.

- Ma te li sei guadagnati tu. Non so se mi vorrà ancora, dopo aver gustato il tuo cazzo.

- Figurati! Da come si godeva il tuo culo, credo che ti chiamerà tutti i giorni finché rimarrà a Venezia. E infatti domani sei da lui.

- Chiamerà anche te, lo ha detto. E avremo altre scopate in tre.

Jacopo annuisce. Il pensiero è disturbante.

Alvise propone:

- Ceniamo insieme?

Mangiano molto spesso insieme la sera, se non hanno impegni di lavoro e non vedono gli amici: stanno bene l’uno con l’altro.

- Va bene. Ma non al ristorante.

- No, certo, però magari vado a comprare un po’ di zaeti, per festeggiare.

- Il solito goloso!

Alvise in effetti ama i dolci. Esce e quando torna Jacopo ha già preparato la tavola.

Durante la cena, Jacopo è assorto nei suoi pensieri, ma ad Alvise pesa l’insolito silenzio, per cui cerca di avviare una conversazione:

- Il conte è convinto che io e te siamo una coppia.

Jacopo lo guarda un momento, prima di rispondere.

- Sì, è quello che ha detto.

- Per questo ci ha proposto di scopare in tre.

- Credo che lo avrebbe fatto lo stesso.

- Può darsi.

- È bravo a letto. Ti ha fatto godere.

- Anche tu sei bravo. Ho visto come godeva lui.

Si guardano, entrambi consci che tra loro c’è qualche cosa di non detto.

Dopo cena Alvise raggiunge gli amici con cui si ritrova spesso. Jacopo non ha impegni. Potrebbe anche lui andare all’osteria dove troverebbe alcuni suoi amici, ma non ne ha voglia. Vuole rimanere solo e riflettere.

Si stende sul letto e ripensa a quanto è successo nel pomeriggio. Vuole bene ad Alvise, profondamente. Gli è sempre stato affezionato. Sta bene con lui, è contento quando sono insieme, parlano e scherzano oppure vanno a spasso o nuotano nella laguna. Ma ora in questo legame si è insinuato il desiderio, che cambia completamente le carte in tavola. C’è sempre stato, questo Jacopo lo sa, ma era qualche cosa di vago. Ora ha assunto contorni precisi. L’affetto profondo che lo ha sempre legato ad Alvise vuole chiamarsi con un altro nome, che Jacopo preferisce non dirsi.

 

Michael chiama Alvise quasi tutti i giorni e Jacopo due o tre volte a settimana, di solito insieme ad Alvise, ma anche da solo. È molto generoso con entrambi e pienamente soddisfatto: con i suoi due gondolieri sta d’incanto e conta di fermarsi a lungo a Venezia.

La lettera con cui Ruggero gli annuncia il suo arrivo con Janos è una gioia inattesa. È felice di rivedere l’amico e sa che il suo arrivo non interferirà con i suoi giochi pomeridiani.

Ruggero e Janos arrivano in serata. Michael li aspetta sulla soglia. Ruggero lo abbraccia stretto. A Michael fa piacere stare tra le sue braccia: si sente coccolato, amato, protetto. Ruggero è il suo amico, quello su cui sa di poter contare sempre.

- Sono felice di vederti, fratello.

- E io sono contento di ritrovare il mio fratellino.

Ruggero si stacca e presenta l’uomo che lo accompagna:

- Questo è Janos. Puoi considerarlo tuo cognato.

Michael è un po’ stupito. Ruggero gli ha scritto che sarebbe venuto con Janos, ma la parola “cognato” indica chiaramente che per l’amico non si tratta di un’avventura: Ruggero non usa le parole alla leggera.

Più tardi, in un momento in cui sono da soli, si fa raccontare di Janos. Dopo aver soddisfatto la curiosità dell’amico, Ruggero gli dice:

- Sono curioso di conoscere questi due affascinanti gondolieri di cui mi hai scritto meraviglie.

- Senz’altro. Oggi non li ho fatti venire, perché arrivavi tu, ma con Alvise abbiamo appuntamento per domani. Credo che ti piaceranno: so che hai buon gusto.

- Mi fido di te. Nettuno e un bel tritone. Una bella coppia.

- Io non so bene che ruolo mi potrei dare.

- Non saprei, conoscendoti direi un satiro o un maialino, ma non sono acquatici.

Michael ride.

- Per non smentirmi, direi che potremmo fare qualche cosa tutti e cinque.

Ora è Ruggero a ridere.

- No, Michael. Sono in luna di miele e Janos mi basta. Credo che io e te scoperemo nuovamente, perché siamo amici, ma in questo periodo non cerco altro.

- Peccato, mi sarebbe piaciuto.

- Però sono curioso di conoscerli e li invitiamo a cena.

- Il duca d’Aquaforte che invita a cena due gondolieri! Solo tu puoi farlo.

Di nuovo Ruggero ride: in questo periodo è sempre euforico, come se avesse bevuto un bicchiere di troppo. Il vino si chiama Janos.

Sa che cosa Michael intende con la sua frase: certamente è inusuale che un duca inviti a cena due uomini del popolo. Ma risponde a modo suo:

- Certo che solo io posso farlo. Il duca d’Aquaforte sono io e nessun altro.

Michael scuote la testa.

- Non era questo che intendevo e l’hai capito benissimo.

Ruggero torna serio.

- Michael, Janos era un guardacaccia. Un lavoro onesto e dignitoso, come quello del gondoliere. Gente che non ha da vergognarsi di nulla, non come certi ceffi che ci troviamo ai grandi balli e alle cene di gala e che sono riveriti da tutti, ma sono soltanto delle merde. Pensa a Friedrich Scharr, il banchiere, un figlio di puttana che si è arricchito mandando in rovina un mare di persone e ora è invitato in molti dei migliori salotti.

Quello che dice Ruggero è vero, ma di certo sono pochissimi i nobili che la pensano allo stesso modo.

- Già, ma Scharr finanzia conti e marchesi, che non possono esimersi dall’invitarlo.

- Esatto. Preferisco invitare due gondolieri. Possono venire… hai detto che vedi domani Alvise, no? Possono venire dopodomani, se sono liberi.

 

Il giorno dopo Michael trasmette l’invito ad Alvise. Quando questi torna a casa dice a Jacopo:

- Siamo invitati a palazzo Aquaforte domani sera, a cena.

- A cena? Cogiòni! però! Il conte ha deciso di offrirci una cena… ma, aspetta, non doveva arrivare il duca, ieri?

- Sì, è lui che ci ha invitati. Vuole conoscerci.

- E ci invita a cena? Cogiòni! però! Questa poi non me l’aspettavo. A cena… ci faranno mangiare con la servitù, penso?

- Non credo proprio. Il duca ha detto che saremo alla sua tavola.

- Hai visto il duca? Se ricordo bene, è piuttosto brutto.

- Sì, lo è. Ma sembra simpatico. Mi ha detto che è una cena informale e ci saremo solo noi, il conte, il duca e un amico suo. Possiamo presentarci vestiti come vogliamo.

- Meno male. Se no dovevamo farci prestare gli abiti. E non saprei proprio da chi.

Jacopo ride.

 

La sera seguente i due si presentano a palazzo Aquaforte. Jacopo è diffidente: dubita che davvero si metteranno a tavola con il duca e il conte e che saranno serviti come due signori. Già l’accoglienza del duca, senza traccia di condiscendenza, gli fa sospettare che la serata si svolgerà come ha detto Alvise. Infatti si siedono in una delle sale da ricevimento del palazzo, non quella per i grandi pranzi di gala, ma una per le cene di gruppi più ristretti.

Jacopo è a suo agio: è uno di quegli uomini che sono sempre perfettamente padroni di sé. Alvise inizialmente è un po’ intimidito, ma poi, di fronte alla cordialità spontanea del duca, supera l’imbarazzo iniziale.

La conversazione si svolge soprattutto in italiano, una lingua che Janos non conosce, per cui Ruggero e Michael gli traducono in tedesco.

Jacopo parla un po’ di tedesco e anche lui ogni tanto si rivolge a Janos. Sospetta che il giovane sia l’amante del duca.

La situazione gli appare irreale. Sta cenando con il duca d’Aquaforte, in una sala del suo palazzo, con un conte, Alvise e uno sconosciuto, servito dal personale del palazzo con la stessa deferenza riservata ai nobili, chiacchierando come se appartenessero tutti alla stessa classe sociale. Solo l’uso del tu da parte del duca e del conte ricorda la distanza che esiste tra di loro.

Se domani lo raccontasse agli amici, gli direbbero che li sta prendendo per il culo. Non ne parlerà, di sicuro, perché non potrebbe dare una spiegazione convincente dell’invito, senza rivelare i rapporti suoi e di Alvise con il conte. Ma anche se rivelasse che loro due scopano con il conte, chi sarebbe disposto a credere che il duca d’Aquaforte li ha invitati a cena nel suo palazzo?

La conversazione procede senza intoppi. Si parla di Venezia, dei turisti, delle gondole, del colera, che per fortuna non ha più fatto la sua comparsa, degli Aquaforte e del palazzo.

Dopo cena chiacchierano ancora un buon momento in uno dei salotti, poi Alvise e Jacopo si congedano. In gondola rimangono in silenzio, entrambi ancora confusi per questa serata insolita.

 

Sono di nuovo invitati a cena due sere dopo. Cenare a palazzo d’Aquaforte almeno due volte la settimana diventa un’abitudine. Qualche volta Jacopo o Alvise o tutti e due si fermano con Michael per la notte, in altri casi tornano a casa.

Dopo due settimane, Ruggero si rivolge a Jacopo e gli dice:

- Jacopo, io conto di fermarmi almeno ancora un mese a Venezia. E non so quanto si fermi Michael, il conte Walser. Mi piacerebbe assumere te e Alvise come gondolier de casada, per tutto il periodo in cui staremo tutti e due in città. Alvise sarà al servizio di Michael e tu al mio e a disposizione di Janos, se vorrà muoversi per conto suo.

La proposta prende di sorpresa Jacopo. Presenta diversi aspetti positivi, ma ci sono alcuni punti che andrebbero chiariti, prima di dare una risposta.

- La ringrazio, signor duca.

Il duca ha le idee chiare, perché riprende subito il discorso ed elenca le condizioni senza che Jacopo debba chiedere nulla. Conclude dicendo:

- Ogni sera vi diremo a che ora trovarvi il mattino – o il pomeriggio – dopo. Non vi offro di sistemarvi a palazzo, anche se c’è l’appartamento del gondoliere vicino al deposito delle gondole: non varrebbe la pena per pochi mesi.

Il duca propone infine il salario che ha in mente: come Jacopo si aspettava, è un’offerta molto generosa.

- Ne parlerò ad Alvise, ma credo di poterle dire fin d’ora che siamo ben felici di passare al suo servizio.

Alvise non ha naturalmente nessuna obiezione, per cui vengono entrambi assunti e ricevono una livrea.

 

I giorni trascorrono sereni, tra visite, passeggiate, giri in gondola, qualche concerto, l’opera per Michael e molto sesso tra il conte e i due gondolieri e tra Ruggero e Janos, che ha incominciato a studiare l’italiano: Ruggero ha assunto un maestro che gli dà lezioni quasi ogni giorno.

Quando sono da soli, Ruggero e Janos parlano un po’ di tutto.

- Michael ha perso la testa per i due gondolieri.

- Come dargli torto? Jacopo è molto bello e Alvise ancora di più.

- È un bel toso, un bel ragazzo, è vero. Ti piace?

Janos sorride.

- Non come il duca d’Aquaforte, di certo, ma sì, mi piace.

- Il duca d’Aquaforte? Quel rangotàn ti piace?

Ruggero ha usato la parola veneziana, che Janos non può capire.

- Rangotàn? È una parola italiana?

- No, veneziana.

- Che significa?

- Una scimmia. Come fa a piacerti uno scimmione come il duca?

- Vuoi davvero che te lo spieghi?

- No, tutto sommato no. Torniamo ad Alvise. Ti piacerebbe scopare con lui?

Janos è sorpreso dalla domanda e non lo nasconde.

- Ruggero, io…

Ruggero lo interrompe.

- Janos, io ti amo e se ti innamorassi di un altro ne soffrirei moltissimo, ma qui non si parla d’amore. Se Alvise ti piace e lui ci sta, come credo, a me va benissimo che tu scopi con lui. Non sono il tuo padrone.

- Non ti importerebbe?

- Di una scopata? No, assolutamente. Tu saresti geloso se scopassi con qualcun altro?

- Io… non lo so… credo che sia come dici tu. Se non sei innamorato, va bene.

- Mi fa piacere sentirtelo dire, perché io ogni tanto scopo con Michael, ad esempio. Non mi è capitato dopo che ti ho conosciuto, ma siamo molto amici e scopare è un modo per essere più vicini. Prima o poi lo faremo di nuovo.

Janos è un po’ sorpreso. Non ha mai pensato che in un rapporto d’amicizia potesse esserci lo spazio per il sesso. Ma a Nebenfluß non aveva amici a cui fosse molto legato e in ogni caso non gli sarebbe mai passato per la mente di proporre a un amico di scopare.

 

Janos non cerca Alvise, anche se ogni tanto, adesso che sta imparando l’italiano, scambia due parole con lui. Ruggero gli basta, è tutto ciò che desidera. Si diverte a disegnare, una passione che ha da molto tempo: traccia schizzi di diversi angoli di Venezia, ma ritrae anche Michael, Alvise, Jacopo e soprattutto Ruggero.

La trasformazione avvenuta nella sua vita gli pare irreale e deve ancora abituarsi a non essere più il guardacaccia del duca, ma il suo uomo. È felice e si gode tutto ciò che offre Venezia: i palazzi e le chiese che si riflettono sui canali, avvolti nella luce della tarda primavera; la vita animata delle piazze e dei campi; le calli in cui è facile perdersi e gli innumerevoli ponti; le isolette perse nei silenzi della laguna; gli spettacoli musicali e anche quelli teatrali, che non riesce a seguire, ma lo affascinano ugualmente. E apprezza moltissimo l’atmosfera rilassata e raccolta delle serate in cui sono insieme tutti e cinque.

Dopo cena passano sempre nel salotto e chiacchierano un buon momento.

Jacopo conversa spesso con Ruggero: si trova bene con lui. Parlano un po’ di tutto. Una sera che Michael ha fatto dono di due belle camicie a ciascuno dei due gondolieri, Jacopo osserva:

- Il conte è molto generoso.

- Sì, Michael lo è di natura.

Ruggero non dice altro. Parlare di denaro con Jacopo e Alvise lo mette un po’ a disagio. Li paga per il loro lavoro, molto più di quanto non sia normale, ma non chiede loro nulla. Il rapporto tra Michael e i due gondolieri gli appare più ambiguo e vuole evitare di ferire qualcuno.

- Il conte è generoso, lei ci paga uno sproposito. Non siamo venali, ma questi soldi ci fanno comodo. Voglio che in futuro Alvise possa comprarsi una gondola.

- La gondola che usa non è sua?

- No, suo padre era un gondoliere, ma Alvise non ha un’imbarcazione di sua proprietà. Non le racconto la storia delle liti che ci sono state nella sua famiglia. Una brutta faccenda, ma Alvise si è ritrovato senza niente: solo gli abiti che aveva addosso e qualche debito.

- Non avere una gondola propria naturalmente significa che una parte dei guadagni va al proprietario.

- Certo.

- Tu invece sei padrone della gondola che usi, vero?

- Sì, è vecchia, ma con qualche riparazione, vedrò di farla reggere ancora per un po’ di anni.

Jacopo è stupito dalle domande del duca: è ben difficile che un ricco nobile si interessi della situazione economica di un gondoliere. Il duca lo sorprende, ma fin dall’inizio, dal primo invito a cena, si è rivelato del tutto diverso dagli altri aristocratici. Invita lui e Alvise come se tra non loro non ci fosse un abisso sociale ed è evidente che non gliene importa niente.

 

Il giorno seguente, Ruggero dice:

- Jacopo, la conversazione dell’altra sera mi ha fatto venire voglia di vedere come fabbricano le gondole, una cosa che mi ripromettevo sempre di fare, ma che ho continuato a rimandare per un motivo o per un altro. Hai voglia di accompagnarmi?

- Certamente. Andiamo allo squero di San Trovaso, se le va bene.

Jacopo porta Ruggero e Janos. Lo squerariolo è sorpreso di vedere arrivare il duca d’Aquaforte ed è ben contento di fargli visitare il cantiere e di spiegargli le diverse fasi della costruzione di una gondola. Gli parla di aste e dritti, corbe e volti, sanconi e piane e nota con un certo stupore che il duca segue con interesse. Non solo: pone anche molte domande, informandosi non soltanto sulle caratteristiche generali delle gondole, ma anche su dettagli tecnici molto specifici. Chiede se esistono modelli diversi, ma scopre che la forma e le dimensioni sono regolate rigidamente.

Lo squerariolo gli fa vedere le diverse fasi della lavorazione, che è lunga, e gli illustra gli strumenti, dalle asce alle pialle, dai martelli al maglio. È contento dell’interesse mostrato dal duca. Non se lo aspettava, ma la famiglia di Ruggero è in parte veneziana ed è evidente che il duca, anche se viene a Venezia solo ogni tanto, sa di che cosa parla e vuole informazioni precise. È un piacere fargli vedere il cantièr, la controsagoma che si usa nella fase iniziale, e poi due gondole in lavorazione col culo par aria, dove si vede lo scafo che sta prendendo forma.

L’interesse del duca sorprende Jacopo ancora più dello squerariolo, perché certi dettagli su cui Ruggero si informa non hanno nessun interesse per chi non deve condurre una gondola. A molte delle domande del duca potrebbe rispondere, ma lascia che sia lo squerariolo a parlare e interviene solo ogni tanto. Ruggero però si rivolge spesso anche a lui: vuole conoscere il suo parere su diversi aspetti. In più occasioni tra Jacopo e lo squerariolo si svolge una breve discussione, che diventa animata quando il tema si sposta ad alcune innovazioni che riguardano le barche da regata. Infervorati i due parlano in veneziano, che Ruggero è comunque in grado di capire. Janos invece rimane in disparte: non capisce nulla di ciò che viene detto, ma osserva volentieri il cantiere e gli artigiani al lavoro. Conta di disegnarli quando tornerà al palazzo e non gli spiacerebbe tornare con l'album da disegno per tracciare alcuni schizzi.

La visita dura molto più del previsto. Alla fine Jacopo riconduce Ruggero e Janos a casa.

 

Quello stesso pomeriggio, mentre Janos prende lezioni di italiano, Michael si rivolge a Ruggero.

- Ruggero, sei a Venezia da quindici giorni e non abbiamo scopato neanche una volta. Ora che c’è Janos, non vuoi più farlo con il tuo fratellino?

Ruggero scuote la testa.

- Lo faccio volentieri. Janos è un’altra faccenda. Lo amo.

- Sei davvero innamorato, Ruggero. Non ti ho mai visto così.

- Non sono mai stato davvero innamorato.

Salgono in camera. Michael si è abituato a essere posseduto da Jacopo, che è un magnifico stallone, ma è felice di riprovare lo sperone di Ruggero, che dà prova di tutte le sue, davvero notevoli, doti.

Dopo la scopata rimangono stesi sul letto.

- Janos si è accaparrato il miglior toro da monta disponibile sul mercato.

Ruggero ride.

- Mi sento un po’ sminuito. Spero che Janos non mi apprezzi solo per il cazzo.

- Non solo per quello, se non è stupido. Ma anche per quello.

- Può darsi.

- Te lo terrai ben stretto. Ma non credo che pensi di andarsene.

- Spererei proprio di no. Ma se vuole, è libero di farlo. Ha ricevuto un’eredità inaspettata, che gli permetterà di vivere anche se dovessimo separarci e lui non riuscisse a trovare un lavoro. O non ne avesse voglia.

Sul viso di Ruggero c’è un sorriso ironico, che mette Michael sulla strada.

- Un’eredità inaspettata? Mi sa che qualcuno ci ha messo lo zampino.

Ruggero annuisce.

- Amo Janos, con un’intensità che non mi lascia dubbi. Ma non so che cosa ci riserva il futuro e non voglio che lui dipenda completamente da me. Ha bisogno di avere un po’ di denaro suo, da spendere liberamente. E di sapere che può andarsene quando vuole.

- Non credo che se ne andrà. Sarebbe un cazzone, se lo facesse.

- Spero che non lo faccia, ma voglio che si senta libero di scegliere, senza preoccupazioni sul proprio futuro.

- Ruggero, mi chiedo se Janos ha una vaga idea della fortuna che gli è capitata.

- Io sono stato fortunato a trovare lui.

 

Un giorno, dopo che hanno scopato in tre, Michael dice ai due gondolieri:

- Il duca e io siamo invitati a Villa Contarini. Staremo via tre giorni. Ma quando torno, recuperiamo il tempo perso.

Ride e aggiunge:

- E voglio vedere voi due scopare insieme. Non l’avete mai fatto davanti a me.

Jacopo e Alvise non dicono nulla: la frase di Michael li ha lasciati senza parole. Si limitano a intascare quanto il conte porge loro e a salutare. Tornando a casa non parlano della richiesta del conte. Hanno tempo: Michael ha detto che non ci sarà per tre giorni.

Quando arrivano, Alvise salta a terra, ma Jacopo non scende dalla gondola: dice che è ancora presto e conta di lavorare un po’ prima di rientrare. Non ne avrebbe certo bisogno: ciò che Michael dà loro ogni volta per “cenare” vale parecchie giornate di lavoro fruttuoso e adesso c’è anche il salario del duca. Ma preferisce non rimanere con Alvise e avere il tempo di riflettere. Il cugino è un po’ stupito, ma non cerca di trattenerlo: è anche lui frastornato e non gli spiace rimanere da solo.

Jacopo non cerca clienti. Si tiene lontano dagli imbarcaderi e un po’ rema, un po’ rimane fermo, lasciando che a correre siano i suoi pensieri.

Sa di desiderare Alvise, di questo ormai è certo, e lo desidera con un’intensità che lo spaventa. L’affetto che ha sempre provato per lui è diventato amore. Ma proprio per questo non vuole che Alvise scopi con lui solo perché il conte lo desidera. Non potrebbe accettarlo.

Quando torna a casa, è tardi. Alvise è fuori con gli amici. Jacopo si stende per dormire, ma non prende sonno. È ancora sveglio quando sente il cugino rientrare, ma rimane in silenzio a letto. Infine si addormenta e sogna Alvise.

 

Il giorno dopo Jacopo esce presto e rientra tardi, ma Alvise lo ha aspettato per mangiare. Si rende conto che il cugino lo sta evitando e che la richiesta del conte lo ha spiazzato.

Cenano parlando di cose insignificanti, poi Alvise affronta l’argomento.

- Il conte vuole che io e te scopiamo davanti a lui.

Jacopo guarda Alvise e dice:

- Non intendo farlo. Se gli va bene, bene, altrimenti pazienza. Può andare a farsi fottere da qualcun altro.

- Perché? Che problema c’è?

Jacopo non risponde, ma guarda torvo Alvise, che cerca di sdrammatizzare con una battuta:

- Faccio proprio schifo?

Jacopo però non è in vena di scherzi.

- Alvise, non voglio che tu scopi con me perché il conte vuole vederci. Non posso accettarlo. Puoi darti ad altri perché ti piace e guadagni un po’ di lire, ma non a me.

- Non capisco il problema. Ogni tanto scopiamo con qualcuno per avere un po’ più di denaro. In questo periodo lo facciamo con una frequenza eccezionale, ma non abbiamo mai dato importanza a queste faccende. Perché irritare il conte, che è gentile e generoso?

Jacopo ripete:

- Per me può andare a farsi fottere, te l’ho detto.

- Non ti capisco, Jacopo.

- Alvise, io… oh, merda!

Jacopo si alza di scatto. Vuole uscire e interrompere questa conversazione.

Alvise si alza. Ora sono uno di fronte all’altro.

Tacciono, guardandosi.

Alvise fa un passo avanti. Mormora:

- A me piacerebbe farlo, perché l’ho sempre desiderato.

Jacopo chiude gli occhi e apre la bocca: gli manca il respiro. Quando riesce a riprendersi, dice:

- Anch’io l’ho sempre desiderato.

Jacopo si avvicina fino a che i loro corpi si sfiorano, poi appoggia le mani sulle guance di Alvise e lo bacia.

Dopo che si sono baciati, è Alvise a dire:

- Andiamo di sopra.

Nella camera dove dorme Alvise c’è un letto più grande.

Salgono al primo piano. Seduto sul letto Jacopo guarda Alvise svestirsi. È bello vedere il disvelarsi di questo corpo vigoroso e snello. Alvise si toglie il giubbino scuro e appaiono le braccia muscolose; i pantaloni chiari calano e scoprono le gambe ben tornite, ricoperte da un fine vello dorato; la maglietta viene tolta e lanciata su una sedia, mentre appare il torace muscoloso; e infine il culo, candido e perfetto, viene liberato dalle mutande.

Jacopo sorride e osserva:

- Ti xe beo vestìo, ma nuo ti xe oncóra più beo.

Non parlano spesso in veneziano: lo capiscono entrambi perfettamente e lo usano con gli amici e i clienti veneziani, ma le loro madri erano due sorelle bresciane e tra di loro e con i figli parlavano italiano. Ora però Jacopo sente il bisogno di ricorrere al dialetto, non saprebbe nemmeno spiegare il perché.

Ciò che Jacopo ha detto è vero, nessuno potrebbe negarlo: Alvise ha la fiera bellezza della sua giovinezza. Il giovane scuote la testa e ride. Jacopo aggiunge:

- Me piase vardarte quando ti te vesti, ma me piase oncòra de più vardarte quando ti te spogi.

Alvise ride di nuovo, si avvicina a Jacopo che gli prende la testa tra le mani e lo bacia sulla bocca, poi la sua lingua si infila tra i denti del cugino, mentre le sue mani scorrono lungo la sua schiena, fino al culo, che stringono con forza.

Alvise gli toglie giacca e camicia e le sue dita scorrono tra il pelame che copre il torace, poi sulla schiena. Jacopo ricambia l’abbraccio e le sue mani ora sono morse, che fanno male quando stringono, ora sono delicate. Senza freni, percorrono il corpo di Alvise ed è bello sentirle scorrere sulla pelle, pizzicare, mentre un dito scivola lungo il solco verso una meta precisa.

Alvise slaccia i pantaloni di Jacopo e li abbassa, insieme alle mutande. Le sue mani incontrano il magnifico cazzo, già sull’attenti.

Alvise lo osserva, poi il suo sguardo scende ai suoi superbi coglioni, grossi, ricoperti di pelame pure quelli. E, mentre Jacopo si volta un po’ per togliere la seconda scarpa, Alvise può contemplare il culo, robusto e villoso.

Ora Jacopo è nudo con il cazzo in tiro: una splendida vista.

Alvise si mette in ginocchio: vuole gustare questo cazzo splendido, vuole accoglierlo in bocca, accarezzarlo con la lingua, sentirlo crescere ancora di volume e durezza.

La lingua di Alvise si protende in avanti e lambisce la cappella, accarezzando lievemente. Poi la bocca si apre del tutto per accoglierla e lingua e labbra lavorano alacremente. Alvise succhia e lecca, lecca e succhia e nella sua bocca la massa diventa sempre più grande e rigida. La mano di Alvise accarezza la sacca, stringe un po’ per sentire la consistenza dei voluminosi coglioni.

Alvise continua un bel pezzo a lavorare con la lingua, ma ormai il desiderio è troppo forte. Senza alzarsi, dice:

- Bene, adesso me lo metti in culo.

- Come comanda, sor padron.

Alla frase scherzosa di Jacopo Alvise alza gli occhi e lo guarda. Gli sta dando ordini, come se fosse il suo padrone, è vero. Non è così. E Jacopo lo sa.

Alvise si alza e si mette davanti al letto. Appoggia il torace, divaricando bene le gambe.

Si volta a guardare Jacopo. Il cazzo svetta verticale, maestoso. Alvise sa che avrà male al culo per diversi giorni.

- Entra piano, ma poi dacci dentro, Jacopo.

- Certo, sor padron.

Jacopo si avvicina e una mano scivola tra le gambe, fino a raggiungere i coglioni di Alvise. È una carezza, che diventa un po’ più ruvida. Jacopo stringe un po’, lascia che le dita giochino con le palle, tendano la pelle dello scroto, solletichino la base del cazzo, avvolgano i coglioni.

- Va bene così, sor padron?

Alvise annuisce. Ora Jacopo fa scorrere una mano lungo il solco tra le natiche e, arrivata al buco, lo stuzzica un po’, poi si bagna la punta delle dita e ne introduce uno, tracciando un cerchio sull’anello di carne, prima in superficie, poi più in profondità. Il gioco viene ripetuto con due dita inumidite e Alvise geme.

Alvise sente la cappella premere contro il buco del suo culo. Gli sembra che sia un palo. Jacopo entra piano. Fa male, ma è bellissimo.

Jacopo si ferma un attimo e chiede, sornione:

- Procedo, sor padron?

- Dacci dentro, Jacopo.

Jacopo esegue. Alvise geme, mentre l’amico spinge con decisione, poi si ritrae, fino a che solo la punta è dentro. Avanza di nuovo, implacabile e si ritira, con un ritmo costante e Alvise si accorge di non riuscire a frenare i gemiti.

La mano di Jacopo gli sta accarezzando il cazzo. Jacopo prosegue, sembra non volersi fermare mai. Alvise non ce la fa più, il piacere è troppo intenso e sovrasta il dolore, che pure avverte.

Infine Jacopo aumenta il ritmo, mentre la sua mano lavora, esperta e sicura, la cappella di Alvise, gli accarezza i coglioni, scorre lungo l’asta. A Alvise pare di esplodere. Il piacere che sgorga dal suo cazzo e quello che perfora il suo culo gli dilaniano il corpo. Alvise quasi grida e si affloscia. Poco dopo anche Jacopo viene e si ferma. Il magnifico cazzo si riduce un po’ di volume.

Rimangono stretti l’uno all’altro.

- Ti amo, Jacopo.

- Anch’io ti amo, Alvise.

 

Quando Michael torna, i due gondolieri non hanno problemi a scopare davanti a lui. Le giornate riprendono come prima, ma adesso quando scopano a tre Alvise e Jacopo sono ben felici di farlo tra di loro. Michael non sospetta che è stato il suo intervento a provocare la nascita di questa coppia.

 

Passano alcune settimane. Il soggiorno veneziano di Ruggero e Janos volge alla fine. Il duca intende far conoscere al compagno Firenze e Roma, oltre ad alcune località minori: Janos non è mai stato in Italia e non ha avuto molte occasioni di viaggiare nella sua vita.

Dopo una delle solite cene, Michael e Alvise chiacchierano con Janos, mettendo scherzosamente alla prova le sue conoscenze di italiano, mentre Ruggero e Jacopo fumano un sigaro vicino al camino.

Jacopo dice:

- Mi avessero detto tre mesi fa che mi sarei ritrovato nel salotto del duca d’Aquaforte a fumare un sigaro con lui, avrei risposto: Ma ti se sbregà?

- Anch’io non mi aspettavo di far amicizia con un gondoliere, ma Michael ci ha fatti conoscere e ne sono contento. Mi piace chiacchierare con te, Jacopo, anche se mi dà un po’ fastidio che tu continui a darmi del lei.

Non è la prima volta che Ruggero lo invita a dargli del tu, ma Jacopo ignora l’invito. Ormai ha capito che a Ruggero andrebbe davvero bene così e lo farebbe anche, ma non è sicuro che Michael sarebbe della stessa idea e non vuole che si crei una situazione poco chiara. Si sente molto più vicino a Ruggero che a Michael, anche se scopa con il conte e non con il duca.

- Il conte è curioso di tutto: della gente, della cucina, della lingua, di quel che si fa a letto. Non si pone molti limiti.

- No, davvero, ed è una cosa che apprezzo di lui. Non si vergogna della sua curiosità, dei suoi desideri. Ama provare di tutto e non ha paura di esplorare mondi nuovi.

Jacopo guarda Ruggero e chiede:

- Lei non ama esplorare?

A Ruggero sembra che lo sguardo di Jacopo carichi la domanda di tanti significati, ma forse è solo una sua impressione.

- Non mi dispiace. Sono anch’io curioso. Ma non voglio apparire sfacciato.

Jacopo fa un cenno di assenso, appena percettibile.

- Lei è riservato, a differenza del conte.

- Lo sei anche tu. O mi sbaglio?

- No, non si sbaglia. Ci sono cose di cui parlo solo con Alvise o con un amico. Non amo mettermi in piazza. Ma apprezzo il modo in cui il conte esprime liberamente i suoi desideri. Se ha voglia di provare qualche cosa, lo dice. Buon per lui.

Jacopo continua a fissare Ruggero negli occhi e il duca avverte una tensione che non ha mai provato conversando con il gondoliere.

- Senza dubbio. È un vantaggio e a volte un po’ invidio la sua sfacciataggine…

Ruggero non fa in tempo a completare la frase, perché Michael si avvicina con Janos e dice:

- Ruggero, bisogna che portiamo Janos all’opera. L’opera gli piace, ne sono sicuro, gli ungheresi ce l’hanno nel sangue, la musica. Lo portiamo alla Fenice. So benissimo che quando sarete a Firenze o a Roma non lo porterai mai.

Ruggero scuote la testa. Ama la musica, ma non l’opera. Prima di dire che non verrà, chiede a Janos: non vuole che rinunci soltanto perché lui non viene.

- Janos, ti piacerebbe vedere un’opera?

- Certamente. Non ci sono mai stato.

- Va bene, allora Michael ti accompagnerà.

- Tu non vieni?

- No. Vado volentieri ai concerti, ma l’opera mi annoia. Sono contento che ci sia Michael, che è un intenditore. Ti farà la testa come un pallone, ma imparerai un sacco di cose.

E infatti il giorno successivo Michael intrattiene Janos per due ore, spiegandogli la trama della Traviata e cantandogli le arie più famose.

 

La sera dello spettacolo Alvise fa salire sulla gondola Michael e Janos, che si sistemano ai loro posti. Ruggero e Jacopo sono all’imbarcadero e il duca regge il candeliere che ha preso per accompagnare gli amici. Quando la gondola si stacca, Michael dice, scherzando:

- Non dovremmo lasciarvi soli, voi due.

Ruggero e Jacopo rimangono all’ingresso sul canale e li guardano allontanarsi.

Quando l’imbarcazione volta dietro l’angolo del palazzo e scompare, Ruggero si gira verso Jacopo, che è a qualche passo di distanza, appena visibile alla luce delle candele. Il gondoliere è appoggiato alla parete, le braccia conserte, e lo sta fissando. Ruggero si sente a disagio. Dovrebbe parlare, congedare Jacopo, dirgli che non ha bisogno di lui questa sera e può ritenersi libero, ma rimane a fissarlo, in silenzio. Gli sembra che i suoi pensieri siano intorpiditi. Dentro di sé avverte nuovamente la tensione dell’ultima sera in cui ha parlato con Jacopo. Ora però essa assume contorni più precisi. Questo maschio che lo guarda, senza parlare, gli appare davvero un dio marino, come dice Michael, un Nettuno vigoroso e potente. Si sente attratto, ma nello stesso tempo, confusamente, minacciato.

Dopo un momento cerca di scuotersi. Osserva:

- Spero che si divertano.

Jacopo annuisce appena, senza parlare. Di fronte a questa presenza muta il turbamento di Ruggero cresce. Perché Jacopo rimane lì silenzioso, nell’ombra? Dovrebbe tornare a casa.

Ruggero non trova parole e rimane anche lui muto a fissare Jacopo, tenendo il candeliere in mano. Questo silenzio innaturale, che si prolunga, gli pesa, ma non riesce a spezzarlo.

È la voce di Jacopo a romperlo.

- Non lo desidera anche lei?

Jacopo non ha detto a che cosa si riferisce. Ruggero potrebbe far finta di non aver capito, chiedere spiegazioni, cercare di restituire a quel loro rimanere immobili nella semioscurità un’apparenza di normalità. Ma Ruggero ha capito perfettamente. Non ha bisogno di riflettere per rispondere e non vuole mentire, anche se ha l’impressione di essere sull’orlo di un baratro.

- Credo di sì.

- Allora possiamo salire in camera sua.

Ruggero tace. Ha già ceduto, ma rimanda di un momento la capitolazione. Pensa al suo amico Siegmund**. Guarda ancora Jacopo, poi annuisce.

- Andiamo di sopra.

In camera Ruggero lascia che le mani forti di Jacopo lo spoglino. Si chiede che cosa sta facendo, ma poi cancella ogni pensiero e si abbandona. Non è come quando Janos gli toglie gli abiti: sono le mani di un padrone, quelle che ora gli sfilano la giacca e la camicia, gli calano i pantaloni e le mutande, lasciandolo nudo e inerme.

A un cenno di Jacopo si stende sul letto, sulla schiena, mentre il gondoliere incomincia a spogliarsi. Solleva la testa e guarda alla debole luce delle candele l’uomo che sta per possederlo: sa che questo è quanto sta per avvenire, perché lo vogliono entrambi. Guarda il corpo che ora si mostra in tutta la sua forza: le spalle larghe, le braccia robuste, il petto coperto da una leggera peluria nera, il ventre, dove il pelame diventa una foresta rigogliosa, contro cui batte il grande cazzo, ormai rigido.

Jacopo ricambia lo sguardo, in silenzio, senza sorridere. Sale sul letto, in ginocchio. Solleva le gambe di Ruggero e se le mette sulle spalle. Inumidisce la cappella con la saliva. Due dita umide si infilano tra le cosce di Ruggero, premono contro l’apertura, inumidendola. E poi è il cazzo a premere ed entrare, mentre Jacopo si china e bacia sulla bocca Ruggero. Il duca si abbandona completamente a questo maschio che prende possesso di lui. Gli sembra di non avere più forze e rimane immobile, travolto da sensazioni troppo forti.

L’ingresso è lento e le mani di Jacopo percorrono il corpo di Ruggero in leggere carezze, che a tratti diventano strette vigorose, mentre il cazzo affonda, fino a che i coglioni battono contro il culo del duca. Il dolore è forte: Ruggero non è mai stato posseduto e Jacopo è un maschio molto vigoroso. Ma al duca va bene così, accetta questa sofferenza come prezzo da pagare per una sottomissione completa.

Poi il gondoliere prende a spingere vigorosamente, travolto da un desiderio che non lascia spazio ad altro. La sensazione del cazzo che gli scava nel culo è dolorosa, ma Ruggero non vorrebbe che fosse diverso. Vuole che Jacopo lo prenda e tutto il resto non ha importanza. Desidera questo dolore e questo piacere, che dal suo culo si diffonde in tutto il corpo.

L’orgasmo è un lampo accecante, che schianta Jacopo. Gli sembra di non riuscire a reggersi. Esce, abbassa le gambe del duca e si abbandona sul suo corpo.

Lentamente i battiti del cuore rallentano, il respiro ritorna regolare.

Ruggero abbraccia Jacopo. A trentasei anni, per la prima volta, un altro maschio lo ha preso.

Jacopo scivola di fianco. Si stende supino e lo guarda. Ruggero capisce. Si riscuote. Si solleva su un fianco. Guarda questo corpo forte, questo culo vigoroso. Inumidisce l’apertura, poi si stende su Jacopo, gli bacia la nuca, gli mordicchia un orecchio, affonda i denti nella spalla e intanto preme con il cazzo fino a farlo entrare. Avanza lentamente, finché non ha preso possesso del culo che gli si è offerto. È una sensazione fortissima.

Il cazzo di Ruggero ora è tutto dentro Jacopo. Le mani accarezzano, le labbra baciano, i denti mordono, la lingua lecca. Jacopo affonda in un mare di sensazioni, in cui il piacere si mescola al dolore. Da molto tempo non nuotava in questo mare, ma Ruggero lo accompagna ed è bello immergersi con lui.

Ruggero incomincia a spingere e i movimenti provocano un po’ di dolore. Solo quando le spinte diventano più violente, il dolore cresce e Jacopo stringe i denti. Ruggero grugnisce, un verso animale, prolungato, e Jacopo sente il seme spandersi nelle sue viscere.

Il cazzo di Ruggero perde consistenza e volume. Ora per Jacopo è piacevole averlo dentro. Ruggero gli accarezza una guancia.

Non dicono nulla.

Nonostante il dolore al culo, forte per entrambi, sono appagati.

Più tardi, Jacopo si alza.

- È ora che vada.

Ruggero non sa come comportarsi. Si chiede se Jacopo si aspetta un compenso, un dono. Non gli sembra probabile, ma è incerto. Fa per alzarsi, ma Jacopo lo ferma:

- Rimani a letto. Questa è un’altra faccenda, Ruggero.

È la prima volta che Jacopo lo chiama per nome e gli dà del tu. È sensato così. Quello che c’è stato tra loro è davvero un’altra faccenda, che non ha niente a che fare con il divertirsi insieme ai turisti per fare un po’ di soldi. E ora non sono più il duca d’Aquaforte e uno dei suoi gondolier de casada. Sono Ruggero e Jacopo, due maschi che si sono conosciuti attraverso il gioco dei corpi.

Jacopo si riveste. Si china a baciare Ruggero, un bacio lieve, ma il duca lo stringe e il loro bacio diviene ardente.

Jacopo si stacca e se ne va. Ruggero rimane a letto. È confuso, ma sa di aver desiderato ciò che è successo e ne è contento. Si è offerto, a un uomo che non ama, ma che stima e che lo attrae. E il dolore che prova è il sigillo del loro legame.

Il gondoliere torna verso casa. Ripensa a quanto è successo. Pochissime volte nella sua vita si è offerto a un altro maschio e solo quando era molto più giovane. Ma lo desiderava. Desiderava prendere Ruggero e farsi prendere da lui, desiderava l’incontro dei loro corpi. È contento che sia avvenuto.

 

Janos e Michael ritornano dall’opera. Janos è entusiasta.

- È bellissima. Alla fine quasi mi veniva da piangere.

Michael ghigna.

- Mi sa che dovrai portarlo all’opera, a Firenze e a Roma.

Ruggero ride e dice a Michael:

- Disgraziato, me l’hai rovinato!

Anche Michael ride e risponde:

- Imparerai ad apprezzare l’opera anche tu.

- Mi sa che mi toccherà. Colpa tua.

- Merito mio, vuoi dire! Non ami l’opera, ma lei ti ama…

E Michael canticchia l’Habanera della Carmen:

Si tu ne m'aimes pas, je t'aime;

Si je t'aime, prends garde à toi!

 

Il giorno dopo è l’ultimo che Ruggero e Janos trascorrono a Venezia.

- Noi partiamo domani e oggi voi due mi accompagnate allo squero, quello dove eravamo stati insieme, Jacopo.

- Come comanda, sor padron.

L’espressione veneziana, che Jacopo non ha mai usato nei suoi confronti, suona un po’ burlona.

Quando arrivano, lo squerariolo li accompagna fino a due gondole nuove.

Ruggero dice:

- Queste sono le vostre gondole.

Jacopo lo fissa e tuona:

- Ruggero!

C’è un rimprovero nella voce di Jacopo, ma il viso si è aperto in un sorriso di gioia.

- È un segno di amicizia, nient’altro, Jacopo, e vorrei che tu lo prendessi come tale.

Jacopo annuisce. Guarda le due gondole e dice:

- Cogiòni! però!

Poi si volta verso Ruggero e prosegue:

- Per quello volevi sapere tutto sulle gondole e su come si costruiscono. Avevi già in mente di farle costruire. E volevi che fossero le migliori.

A Jacopo è bastata un’occhiata per rendersi conto che Ruggero ha ordinato il meglio.

- Sì, avevo deciso di farlo e sono tornato qui il giorno dopo la nostra visita per dare l’ordine.

Jacopo scuote la testa. Guarda le gondole e ripete l’esclamazione di prima:

- Cogiòni! però!

Gli sembra incredibile. Ruggero è riuscito a prenderlo del tutto di sorpresa. Ma è stato così fin dall’inizio, dal primo inatteso invito a cena fino a questo dono.

 

Tornati a palazzo, Ruggero lancia la sua proposta. Alvise rimarrà al suo servizio come gondolier de casada e avrà diritto all’appartamento. Nei periodi in cui a palazzo non ci sarà né Ruggero, né un suo ospite, lavorerà per conto proprio, pur continuando a ricevere un salario mensile, ridotto. Quando il duca o altri, invitati da lui, saranno a palazzo, rimarrà a disposizione di Aquaforte e dei suoi ospiti. Jacopo potrà continuare a usare il deposito per la gondola e naturalmente condividere l’appartamento di Alvise. Se ci saranno altre occasioni in cui il duca sarà presente e contemporaneamente ci saranno ospiti, Jacopo sarà assunto per il periodo necessario.

 

È arrivata la sera. Ruggero e Janos partiranno in mattinata. Prima di scendere a cena, parlano nella camera del duca.

- Mi spiace partire.

- Se vuoi possiamo restare, Janos.

- No, ho proprio voglia di visitare l’Italia. Ma qui… sono stato così bene.

- Mal che vada, torniamo presto.

Janos annuisce. Poi chiede:

- Pensi che Michael si stabilirà qui a Venezia?

- No, Michael sta benissimo e probabilmente resterà un po’ di mesi. Alvise e Jacopo gli vogliono bene, ma sono innamorati l’uno dell’altro, non di lui. E a Michael piacciono molto, ma non è innamorato di loro o, per meglio dire, è innamorato come si innamora Michael.

- Non credi che sia capace di amare… amare davvero, intendo?

- Non lo so, Janos. È capace di voler bene, profondamente. A me è realmente affezionato e so che farebbe qualsiasi cosa per me. Ma… non credo che abbia mai conosciuto l’amore. D’altronde anch’io fino a qualche mese fa non sapevo che cosa fosse l’amore.

Si baciano, poi raggiungono gli altri a cena.

 

Il giorno dopo Jacopo e Alvise accompagnano Ruggero e Janos alla stazione. Michael ha preferito rimanere a palazzo: i commiati gli mettono sempre tristezza.

Al momento di salutarsi, Jacopo abbraccia Ruggero, che ricambia la stretta.

- Spero che tu ritorni presto a Venezia, Ruggero. È assurdo, ma adesso che te ne vai, mi sembra di perdere un amico.

- Perché assurdo? Anche per me è così.

Poi Jacopo stringe la mano a Janos e gli dice, in tedesco:

- Sei un uomo fortunato, Janos, molto fortunato.

- Lo so.

Jacopo sorride. Janos sa di essere un uomo fortunato, ma probabilmente non sospetta quanto. Anche lui e Alvise sono stati fortunati: l’incontro con Michael e con Ruggero ha cambiato le loro vite.

I facchini hanno caricato i bagagli, il treno si avvia. Jacopo e Alvise rimangono a guardarlo. Quando scompare e sul binario non c’è più nessuno, Jacopo spinge Alvise in un angolo un po’ nascosto e lo bacia.

 

 

 

* Et qui, dans l'Italie… : E chi in Italia/ non ha il suo granello di follia ?/Chi non riserva agli amori/ i suoi giorni più belli ?/ Lasciamo il vecchio orologio/ nel palazzo del vecchio doge/ contargli delle sue notti/ la lunga noia.

** Siegmund: v. Esplorazioni.

 

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