Magia

 

 

Ho visto la sua faccia su un manifesto e ne sono rimasto come stregato: un hawaiano, non so chi sia, qui ospite a una conferenza sui rischi climatici e sulle conseguenze di una corsa insensata al consumo senza badare alla distruzione della Natura, unica nostra vera ricchezza. Una faccia magra e forte, sguardo che ti entra dentro,  capelli che sanno di vento, di surf e di Oceano, una vaga rassomiglianza al giovane Costner di balla coi lupi. Ma quel che più mi ha colpito sono gli affascinanti tatuaggi polinesiani, bellissimi e misteriosi: l’occhio sinistro è completamente immerso in un lungo e basso rettangolo, nerissimo e brillante, che dalla radice del naso si allunga orizzontalmente fino ai capelli e dà al suo sguardo una profondità quasi sovrannaturale. Alcune greche di pura geometria, sottili e parallele fra loro, incrociano invece in verticale il rettangolo perdendosi e insinuandosi con altre in arrivo dal retro del collo. Un bel viso anche senza tatuaggi, ma questi lo rendono del tutto unico, eccezionale, misterioso e magico, non puoi non pensare a un mondo perduto, un paradiso distante e senza tempo, una civiltà diversa ma non estranea e intimamente legata alla nostra più recondita essenza.

Questo caldo afoso è fuori tempo a inizio giugno, a sera sono stravolto ma alla conferenza non potevo mancare per vederlo dal vero e ammirare più da vicino la sua misteriosa bellezza. Nell’atrio, un banco vende l’ultimo numero di una rivista naturalistica illustrata, dove scopro lui in copertina ma qui è tutto il corpo ad essere inquadrato, nudo, incredibile, vestito solo di tatuaggi, un’opera d’arte da cui non riesco a staccare lo sguardo per tutta la serata mentre distrattamente ascolto i relatori finché arriva lui, jeans e camicia anonimi e quel suo viso incredibile. Si chiama Keli (ma il nome completo è lunghissimo e impronunciabile) e mi stupisco di sentirlo parlare in perfetto inglese: mi do dello stupido, le Hawaii sono ben uno stato degli U.S.A., no..?! Al termine scatto come una molla, prima che i relatori scompaiano raggiungo Keli e il suo assistente-traduttore, al quale mi spaccio per giornalista per chiedere un’intervista all’hawaiano. Ma la sua risposta è negativa: - Niente interviste – dice – non c’è tempo. - Senza minimamente scompormi mi rivolgo direttamente a Keli in inglese: - Ho mentito e chiedo scusa: non sono un giornalista, ma desidero fortemente incontrarla da persona a persona, posso chiederle un appuntamento?

Anche lui non si scompone, il suo occhio immerso nel rettangolo nero mi trafigge come una freccia di fuoco scrutandomi dentro fino in fondo. Mi risponde subito, pronto: - Domani, alle otto, quando inizierà a piovere.

Se ne va (piovere?! con questo tempo?! magari! davvero impossibile, direi...) lasciandomi col traduttore, che di malumore mi dà l’indirizzo per domani, un hotel semicentrale sul lungo Po: alle otto meno dieci sarà nell’atrio e mi accompagnerà lui da Keli. A casa rileggo l’articolo ma non do più che una veloce occhiata alla copertina e alle sue foto nella rivista, non voglio sporcare l’incontro di domani con una sequela di seghe rivolte a quella foto, allo splendore di quel corpo color dell’ambra ricoperto dagli straordinari tatuaggi tradizionali del suo luogo d’origine: diretta espressione popolare dell'identità hawaiana, riconducibili a figure geometriche e linee semplici, ma che avvicinate fra loro formano poi figure molto complesse e suggestive, capaci di raccontare – per chi ne conosca i segreti – l’intera vita di chi li porta.

Arrivo per tempo, sudato per l’afa già opprimente, una cappa che schiaccia il Po e lo ingabbia in una bruma nebbiosa. L’assistente mi conduce oltre l’atrio, mi spiega che per venire incontro al desiderio di Keli gli ha trovato una sistemazione, strana ma adeguata, nel lussureggiante giardino di questo hotel, all’interno del capanno in legno della sauna, spenta d’estate, dove alloggia con lo Sciamano che viaggia con lui. Il giardino pare una piccola foresta tropicale che digrada verso il fiume; davanti al capanno, un ampio quadrato in doghe di legno sotto un ampio tendone bianco: lì, l’assistente mi chiede di spogliarmi, nudo. In un angolo, un piccolo braciere spande il suo fumo fortemente aromatico in volute pesanti e lente. Mi tolgo tutto senza perdere tempo, lui veloce mi allaccia sui fianchi un filo di canapa sottile e resistente al quale appende davanti un leggero telo bianco a contenere il sesso, poi arrotolandolo come una cordicella che fa passare in mezzo alle natiche per appenderla nuovamente al filo, dietro. E’ già scomparso e in un istante scroscia un acquazzone tropicale, segnalando le otto precise, evidentemente... Come fosse uscito dalla cortina di fumo Keli è lì davanti a me, nudo come sulla copertina della rivista, solo una sottile e lunga striscia di stoffa nera arrotolata che gli cinge i fianchi, si tuffa tra le natiche e rispunta davanti a ricoprire e avvolgere con precisione il solo sesso, ricadendogli davanti con due lembi lunghi fin quasi al ginocchio. L’aria è già fresca, purificata dalla violenta pioggia che batte sul tendone con il suono sordo di un tamburo, mentre i grani di brace sembrano non consumare mai le spesse foglie verdi appoggiate sopra e che alimentano le volute di fumo che ci avvolgono, calde e opprimenti, oppiacee. Vicino al braciere una ciotola con un olio ambrato che lui raccoglie e appoggia davanti a me, ci immerge le mani e comincia dal piede destro a ungermi e massaggiarmi metodico, lento, senza una parola. Poi la gamba, la coscia, la natica e l’altra natica per proseguire sul dorso e da lì al braccio opposto, il destro. Quindi le spalle e l’altro braccio, il viso e il collo per scendere davanti sul petto, il ventre, la coscia sinistra e giù fino al piede prima di interrompersi. Mi sento nuovo, rigenerato, l’olio viene subito assorbito lasciando la pelle morbida e lucente. – Ora allo stesso modo fai tu – mi dice – e troverai tutte le risposte.

Mi inginocchio e immergo le mani nell’olio, le ritraggo grondanti e guardo il suo piede e la sua gamba che inizio a toccare, a sentire, a percepire. Il piede è forte come una roccia, asciutto e mostra in rilievo, sotto pelle, tutti i fasci nervosi che gli permettono di correre per le spiagge meravigliose dove è nato, tenersi in equilibrio sulla tavola in mezzo alle onde dell’Oceano, percorrere le foreste sulle pendici dei vulcani in cerca del Fuoco sacro e degli Spiriti degli Antenati. Come l’altro, senza tatuaggi il piede appare più nudo rispetto al resto del corpo, ma subito sopra la caviglia inizia una larga fascia nera ad anello e al di sopra di questa, tutto il polpaccio e tutta la parte posteriore della coscia sono completamente nere, un’intera fascia nera verticale separata di netto con due bordi incredibilmente diritti e precisi dalla parte frontale della gamba, riempita invece da piccole geometrie in righe orizzontali, oblique, circolari che si rincorrono si inseguono fluttuano e si frangono contro i contorni della zona nera posteriore. Il fumo delle foglie e dei grani di incenso sembra addensarsi, avvolge i nostri due corpi come una nebbia calda che respiro e riempie i polmoni dilatandoli per correre nel sangue fino a una remota zona cerebrale, risvegliandola... e ora comincio a capire, comincio a leggere il suo corpo e a sentirlo: oltre le mie mani e i miei cinque sensi percepisco così la narrazione della sua vita e la sua gamba destra - l’inizio del percorso - racconta dove è nato, vedo il suo villaggio davanti all’Oceano, la sabbia le palme di cocco, la foresta e le piantagioni di ananas e avocado alle spalle delle semplici case in legno che si aprono verso l’esterno alla vita in comune.

Terminato di ungere e di leggere la coscia lui si gira e all’altezza dei miei occhi compaiono le natiche. Ognuna, al centro, ha un cerchio che contiene una specie di doppia stella: ed è il vento, il cielo, il sole e la luna. Pesco nuovo olio dalla ciotola, mi alzo e proseguo sul dorso. Linee curve concentriche si allontanano dal centro dei glutei trasformandosi improvvisamente in linee più scure a raggiera, che si ampliano fino ai fianchi, e in leggere linee brevi zigzaganti in gruppo sulla schiena: ed ecco il respiro dell’Oceano sulle spiagge chiare, le sue onde calme e le sue onde gigantesche, lui con la sua tavola per perdersi sull’acqua e nell’acqua, uno squalo che lo aspetta e lo protegge in mare aperto. Il contatto delle mani sulla pelle scivolosa e subito morbida e profumata mi fa sentire l’odore dell’acqua salata nelle narici, mi fa vedere lui bambino alle prime armi su una vecchia tavola consumata, lui ragazzo ormai padrone delle onde, lui uomo che corre sul fondale marino reggendo un masso per restare a fondo e prepararsi ad affrontare uno degli incidenti più pericolosi sulla tavola, la caduta che fa restare sott'acqua rischiando di ucciderti: vedo lui, completamente nudo sulla tavola, come usavano gli Antenati e come molti ancora usano per rispettare le tradizioni dei Padri. Lui nudo sulle onde tranquille di Macaha, poi su specchi d’acqua sempre più difficili e tumultuosi come tra le spiagge nere di polvere di lava di Kaimu, conosciuta anche come Kalapana, fino a cimentarsi sulla costa nord di Ohau, dove lame di coralli affilate come rasoi quasi a pelo d’acqua non perdonano alcun errore e dove ora arrivano i surfisti più competitivi al mondo a rubare spazio silenzio e il contatto con la Madre Acqua.

Il percorso delle onde mi conduce al braccio sinistro dove trovo sul bicipite tre grandi rettangoli pieni contornati da triangoli più piccoli: ci sono delle famiglie, dentro queste capanne, la sua di origine con il padre già anziano, una madre molto più giovane, tanti fratelli e sorelle di tante età diverse riuniti attorno a un unico fuoco, la sera, a cantare e danzare e scambiarsi collane di fiori nei giorni di festa. Una seconda famiglia, è la prima sua, con la sua donna e un bambino, poi un’altra famiglia e un’altra ancora: tutte vicine, nessun dramma nel cambiare donna figli focolare, tutti restano uniti nella perenne ricerca di nuovi modi di vivere l’amore che non finisce mai. Più giù, sull’avambraccio, tanti disegni a V come uccelli in volo, sono i figli usciti dalle sue famiglie, nascono crescono e prendono il volo senza voltarsi mai ma restando sempre vicini. La mano, nuda come il piede, nessun segno tatuato.

Ritorno su, nuovo olio sulle spalle, riempite da disegni curvi disposti alternati come le scaglie di un pesce o le tegole di un tetto: è il suo lavoro di operaio edile, che alterna all’attività di pesca su una barca con altri del suo villaggio. Ha lavorato in città a costruire case con il ferro e il cemento, ma poi è tornato nei villaggi a costruire case semplici in legno, per restare fedele alla sua terra e al suo popolo, e mentre le costruisce abita e vive con gli abitanti di quel villaggio, con loro pesca pesci e gamberi, raccoglie le noci di macadam, costruisce le tavole per i bambini che intraprendono il primo viaggio sulle onde.

Torno davanti a lui. Il braccio destro è sorprendentemente libero, con l’olio e il fumo che inalo percepisco che lì c’è ancora tanta storia da scrivere, altri figli, altre famiglie, altri incontri, tutta la Vita che il futuro gli riserva fino all’ultimo viaggio sul mare, quando le sue ceneri saranno portate su una tavola di koa circondata dalle tavole dei tanti parenti e amici e verranno disperse in mare aperto al largo di Waikiki, dove aveva imparato l’he’e nalu, lo scivolo sull’onda.

Il collo forte porta linee morbide e sottili che vanno a incrociarsi con quelle rigidamente verticali tracciate sul viso: la Via degli Antenati, poco visibile ma diritta, che conduce al Sacro rappresentato dal rettangolo pieno che incornicia l’occhio sinistro per dargli profondità di visione e la capacità di guardare l’Invisibile oltre il Visibile. Indugio sulla sua fronte, sulle guance, attraverso con le dita i capelli per percepire sotto di essi i tatuaggi nascosti che potrebbero esserci e che forse ci saranno, per ora solo qualche accenno che si affaccia dal collo e si interrompe.

Le mie mani scivolano ai lati del collo, prepotentemente risucchiate dal suo torace magro e forte, dai suoi pettorali, dai suoi capezzoli che mi attirano come un gigantesco magnete, circondati solo da un cerchio sottile: il petto è quasi completamente vuoto ma lo leggo ugualmente, sento quanto spazio ancora c’è nel suo cuore per amare tanti ancora che devono venire, quanto ancora il suo ventre deve generare, quanto sperma ancora deve produrre e regalare, rappresentato dai tanti piccoli punti che dall’ombelico si rapprendono e si concentrano verso il suo sesso, che sfioro lateralmente scendendo lentamente su un ginocchio per arrivare alla sua coscia sinistra dove con le mani vedo, sul retro, tutte le donne che ha amato e che lo hanno amato, o con cui è soltanto giaciuto per una notte.

Ma il davanti della coscia mi fa sussultare, mi fa inalare ancora più fumo caldo e denso che ancora più mi mostra come i tanti triangoli, o forse punte di freccia, incuneati a formare tante file geometriche siano i tanti uomini con i quali ha sparso il suo e il loro seme perché il seme è Vita e con chiunque si vive, si ama, si giace. I suoi compagni di lavoro, gli abitanti del suo villaggio, persino qualche turista o altri sconosciuti incontrati nei suoi viaggi, uomini che comunque hanno attraversato la sua vita e con i quali ha condiviso una notte o solo un momento per scambiarsi con gioia il flusso vivo e vitale che li ha uniti, in qualche modo, per sempre. Altro olio mi serve per completare questa narrazione e per capire che gli spazi vuoti tra una fila e l’altra di triangoli sono spazi per chi ancora deve venire, per chi ancora lo amerà e sarà riamato e trovo e mi perdo in uno spazio, un vortice, una vertigine, uno spazio ancora vuoto dove un giorno sarà tatuato il triangolo che rappresenterà anche me, perché ora mi sto guardando giacere anch’io con Keli, anch’io scambierò con lui i flussi vitali della Vita che per un minuto ci uniranno per sempre.

Arrivo al punto finale del viaggio, è il suo piede sinistro, che dopo le visioni di tanti tatuaggi letti e narrati mi risulta sorprendentemente nudo, come l’altro, come le mani. Un roteare delle due liste intrecciate di stoffa nera che cadono a terra, il suo sesso è ora nudo, mi si mostra davanti al mio viso, è dritto e duro, sottolineato da linee nere inchiostrate che nascono pesanti alla radice e si alleggeriscono fino a scomparire arrivando verso il glande non prima di ondeggiare e perdersi in volute come di fumo. Avvicino ancora di più il mio viso, la mia bocca si allarga per accoglierlo, pronto a realizzare quanto già visto nella visione suscitata nella coscia. Ma lui si ritrae allontanandosi e nello stesso Spazio il Tempo si sdoppia come in una frattura che collega e unisce due diversi universi paralleli e mentre restiamo separati, senza neppure sfiorarci, guardo il suo sesso distante e contemporaneamente e inspiegabilmente il suo sesso duro sta riempiendo la mia bocca, entra ed esce ritmicamente sempre più veloce, sempre più in fondo fino a riversare tutto il suo seme che sento un po’ salato come l’Oceano ma anche dolce come il cocco e un po’ acidulo come gli ananas coltivati al suo villaggio. Guardo incredulo il suo sesso immobile e asciutto che in chissà quale futuro riverserà nella mia bocca lo sperma che sto già assaporando e ingoiando prematuramente.

Una voluta di fumo più spessa, da dietro ne esce un uomo quasi anziano e già nudo, molto meno tatuato di Keli, capisco subito essere lo Sciamano da alcuni piccoli attrezzi e una boccetta di inchiostro che porta con sé. Keli mi invita a sdraiarmi supino, obbedisco e lui si pone al fianco dello Sciamano, accovacciati entrambi, per aiutarlo tenendomi bloccato il braccio sinistro. Non ho mai voluto farmi tatuare, ma di questo ne sarò orgoglioso, lo terrò per me senza esibirlo impudicamente e senza mai rivelarne le origini e le circostanze. Lo Sciamano intinge nell’inchiostro un piccolo pettine aguzzo che appoggia sulla pelle picchiettandolo con un bastoncino per fare entrare sottopelle le punte che portano il pigmento nero; un poco doloroso, ma senza dolore so che non avrebbe significato e anche se non so nulla del disegno che sta iniziando, sarà certamente qualcosa che fa o farà parte della mia Storia. Il disegno prende forma piano piano nei suoi contorni, poi l’inchiostro viene iniettato fino al riempimento  di alcuni spazi; osservo con attenzione ogni nuovo punto d’inchiostro che come fosse un pixel su uno schermo va a completare il tutto e capisco d’un tratto che si vanno delineando due piccoli triangoli incuneati, o forse le punte di due frecce, che senza dubbio rappresentano me posseduto da Keli o forse viceversa o forse entrambe le cose. In un attimo il mio sesso si indurisce e vorrebbe realizzare subito concretamente quello che il tatuaggio vuole rappresentare ma Keli è accovacciato lì davanti e mi blocca inesorabile il braccio concentrandosi sull’opera dello Sciamano restando assorto, distante. Ma di nuovo il Tempo si scompone e nella rinnovata frattura sento il peso di un corpo invisibile e immateriale che mi schiaccia sul legno della pedana, sento qualcosa spinto tra le natiche, qualcosa che punta sullo sfintere, lo preme e lo allarga, lo penetra piano per vincere la resistenza. Tento di restare immobile e non far capire cosa succede ma Keli immobile lo sa, lo vedo dal suo sguardo: si trova lì, di fronte a me, quasi in stato di trance, ma contemporaneamente è sopra e dentro di me, solo in un tempo diverso da questo. Non posso non muovermi, non posso non gemere sotto i suoi colpi potenti sempre più veloci fino a che lo sento rallentare, il suo orgasmo mi lascia stanco, vinto come un animale cacciato e abbattuto nella foresta. Posso usare il mio braccio libero per toccarmi la schiena o le natiche, dove ancora sento tutto il suo corpo immateriale che aderisce al mio, insinuo le dita tra le natiche dove sento un rivolo bagnato e denso, raccolgo la sborra che ne esce e questa è ben viva e reale, la porto alle bocca e ne risento il sapore dolce ma lievemente acidulo e salato. Il tatuaggio è finito, lo Sciamano lo copre con alcune foglie come quelle buttate sopra la brace e le fissa con un legaccio vegetale, poi se ne va scomparendo dietro il fumo, nella baracca di legno. Capisco che non ha senso restare, raccolgo da qualche parte i miei abiti spiegazzati, mi rivesto. Keli ancora inginocchiato accenna un sorriso, complice, con un sussurro appena percettibile mi chiede di tornare questa sera per restare a dormire con lui, senza Sciamano e senza fumi allucinogeni, solo due maschi insieme nello stesso letto per avverare la visione profetica che ho letto nel suo tatuaggio e che lo Sciamano ha impresso nel mio. Sì..! a stasera.

Fuori, la pioggia è discontinua ma quasi non me ne rendo conto, mi sento a contatto come mai prima con gli elementi della natura: l’aria, il fresco, il sole nascosto che aspetta il suo turno, la pioggia... A che serve un ombrello? mi rendo conto che non serve a proteggere il corpo, ma soltanto gli abiti, e in questo momento voglio solo lasciare che la pioggia continui a macerare la camicia e i pantaloni per sentirla scorrere sotto, sulla pelle come fossi nella foresta, nudo. Cammino lento, ripenso alle incredibili sensazioni provate, il fumo inebriante, la capacità acquisita di leggere il corpo di Keli, la stregoneria che sdoppiando il tempo mi ha fatto già provare il sesso duro di Keli, la sua sborra nella mia bocca e nel mio intestino senza neppure esserci toccati, per ora. Mi è chiaro d’un tratto che, forse, solo qui a Torino poteva succedere, in questa città tanto banale e tranquilla quanto piena di simboli magici, esoterici, sparsi nel tempo in ogni angolo, al vertice mondiale dei due triangoli della Magia Bianca e di quella Nera. Mi fermo attonito: senza rendermene conto sono finito proprio di fronte alla fontana del Fréjus, con in cima la statua dell’angelo Lucifero, nudo, bellissimo, con in testa la stella rovesciata emblema e simbolo magico, qui in piazza Statuto considerata fin dal tempo antico come luogo nefasto, già sede di una grande necropoli romana, con questa fontana che – si dice – cela la porta d’ingresso agli Inferi... E subito rivedo nei miei occhi piazza Savoia con il suo obelisco egizio, simbolo di potere e occultismo, il Rondò della Forca in zona “Valdocco” (Vallis Occisorum...), le chiese cristiane con le statue pagane e i simboli metamorfici nell’architettura della cupola, la Meridiana Astrologica che misura il Tempo Astrale, la simbologia occulta sparsa a piene mani nella Gran Madre, gli occhi vuoti che fissano i passanti da sotto il marciapiede di via Lascaris, i portoni dei palazzi antichi con i demoni-lampada o il Portone del Diavolo... E, ancora, il mascherone diabolico, il quadrato magico del Sator, il balcone sorretto da un enorme pipistrello di pietra, per non parlare di tutta quanta la magia millenaria racchiusa nel museo egizio e che si sprigiona silenziosa dall’edificio come una nebbia invisibile per conquistare la città e i suoi abitanti assoggettandoli inconsapevoli a una splendente Magia...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice

 

 

Website analytics