Escort

 

 

Il telefono squilla. Non conosco il numero: potrebbe essere un nuovo cliente. Oppure uno di quelli che con la scusa di chiedere informazioni mirano a eccitarsi un po’ senza spendere. Ce ne sono che ci provano più volte, ma di solito alla seconda blocco il numero: non ho voglia di perdere tempo.

- Pronto, mi chiamo Giovanni.

È una bella voce, profonda, da basso. E mi piace che si sia subito presentato con il nome.

- Io sono Luca.

Ovviamente lo sa, se ha chiamato il mio numero.

Prosegue:

- Ho visto le tue pagine su Internet. E i filmati. C’è scritto che ti occupi anche di prime volte, di perdita della verginità.

Mi coglie un po’ di sorpresa: la voce è quella di un uomo adulto, non di un ragazzo, e la sicurezza del tono esclude che si tratti di un quarantenne imbranato che infine si decide a lanciarsi, dopo una vita di seghe solitarie. Un etero che vuole un’esperienza gay? Possibile, ne ho avuti molti tra i miei clienti, ma perché parla di perdita della verginità?

Non esprimo i miei dubbi e mi limito a rispondere:

- Sì certo. Ho una buona esperienza in questo campo.

È vero. Non che ci sia la coda per farsi sverginare da me, ma in questi anni di attività mi è capitato molte volte.

- Benissimo. Dai tuoi filmati mi sembri in gamba e mi piace come ti poni, per cui penso che tu sia la persona adatta.

- Conto di non deluderti.

Sono sicuro di non deluderlo: è raro che qualcuno rimanga deluso. Ma non amo vantarmi, non si fa mai una bella impressione con il cliente.

- Si tratta di mio figlio. Ha sedici anni.

Cazzo! Nel mio lavoro sono abituato a sorprese di ogni genere, ma questa è la prima volta che mi capita. Un padre che mi chiede di sverginargli il figlio…

Esito un attimo a rispondere e lui coglie la mia incertezza.

- Ti crea dei problemi?

In effetti sono perplesso, per cui gli rispondo:

- I miei clienti sono tutti maggiorenni.

- Certo. Ma Davide non mi sembra disposto ad aspettare due anni e io preferisco che lo faccia con qualcuno di cui mi posso fidare e non con qualche coglione rimorchiato su Grindr.

- Capisco.

Capisco davvero il suo punto di vista, ma non voglio ficcarmi nei guai. Lui ha colto benissimo i motivi della mia incertezza e puntualizza:

- Con un sedicenne non corri rischi di nessun tipo, a livello legale, intendo. Io vorrei che lo facesse con te. E anche lui lo vorrebbe: ti ha visto nei filmati che hai messo su Internet e gli sei piaciuto parecchio.

Rifletto un momento, poi mi dico: perché no?

- Va bene. Quando vorresti venire?

- Domani pomeriggio va bene?

- D’accordo. Quante ore?

- Diciamo due. Le tariffe sono quelle che ho visto sul sito, suppongo.

- Sì, certo.

- Benissimo. Lo accompagno io.

Mi chiedo se si limiterà ad accompagnarlo o se vorrà assistere. Non mi stupirebbe, per niente. Ho avuto diverse richieste di mariti che volevano vedermi scopare le loro mogli e in due casi mogli che volevano vedermi scopare i loro mariti. Più diverse altre variazioni: se ne vedono di tutti i colori nel mio lavoro. È uno degli aspetti che apprezzo.

- Va bene alle quattro?

- Perfetto. Quello da cui ho chiamato è il mio numero di cellulare. Se c’è qualche problema, mi puoi contattare.

- Va bene. A domani.

- A domani, Luca.

Chiude la comunicazione.

E va bene. Qualche cosa di nuovo. Domani un padre mi porta il figlio perché io lo svergini. Come saranno arrivati a questa decisione? Una volta i padri portavano i figli al casino per iniziarli alla sessualità (etero, comunque), ma erano altri tempi.

 

Arrivano puntuali, alle quattro spaccate. La videocamera del citofono inquadra le loro facce: a suonare è stato il figlio, un ragazzo che in effetti dev’essere sui sedici anni. Dietro di lui c’è la figura del padre, più alto di una spanna, ben piantato. Non chiedo chi è: mi limito a premere il tasto che apre la porta e dico:

- Secondo piano.

Li attendo sulla porta. Mentre li faccio entrare, Giovanni mi tende la mano e mi dice il suo nome. È alto, più di me (che sono 1.80), spalle larghe, corpo vigoroso, viso non bello, no, ma molto virile, a cui la barba fitta e nerissima dà un’aria un po’ tenebrosa, quasi truce. È stempiato e ha qualche filo bianco tra i capelli.

Anche Davide mi dà la mano, ma la sua stretta è più incerta. Mi guarda fisso. Mi sta confrontando con le immagini che ha visto sulle mie pagine, mi spoglia con gli occhi (tra poco potrà farlo anche con le mani e credo che non veda l’ora).

Giovanni sorride. Ha un bel sorriso, che attenua la brutalità del suo volto.

- Ti affido Davide, Luca. So di lasciarlo in buone mani.

Poi estrae dalla tasca della giacca una busta e me la porge.

- Questo è quanto concordato.

Non controllo. Non è elegante e in ogni caso sono sicuro che c’è quanto deve esserci: Giovanni non è il tipo da tirare bidoni.

Giovanni aggiunge:

- Torno tra due ore.

Guarda il figlio, sorride e dice:

- Divertiti, Davide.

Poi si dirige alla porta. Io l’accompagno e gliela apro. Giovanni si congeda.

Davide è rimasto in piedi in mezzo all’ingresso-living. Gli indico una poltrona.

- Siediti, Davide.

Davide esita un attimo. Forse si aspettava che io gli saltassi addosso o lo portassi direttamente in camera da letto, ma preferisco procedere per gradi. Mentre si siede, gli sorrido e gli spiego:

- Abbiamo tempo, due ore sono tante, e, prima di passare all’azione preferisco che ci parliamo un po’. Ho bisogno di conoscerti un po’ meglio, per essere sicuro che tutto funzioni bene.

Davide annuisce. Scherza spavaldo, per nascondere il suo imbarazzo:

- Dobbiamo conoscerci a fondo, sì.

Io scuoto la testa. Sospetto che io avrò modo di conoscerlo abbastanza a fondo, perché è giovane e appare disponibile ad aprirsi, ma escludo che lui possa conoscermi a fondo. Ci sono oltre vent’anni di differenza tra di noi e non credo che Davide abbia un’idea della complessità della mia esperienza. Né che gli interessi più di tanto, al di là di una curiosità tutta di superficie.

Sorrido e gli dico:

- Allora, non hai mai avuto rapporti?

- Completi no. Qualche sega e basta.

Il tono è sempre sicuro di sé, ma mi rendo conto che non è del tutto a suo agio.

- Vuoi incominciare con un massaggio?

Lo propongo spesso per la prime volte: il cliente si rilassa e tra noi si stabilisce una certa intimità, che aiuta a superare le paure.

- Sì, sì, va bene. Non ne ho mai fatto uno.

- Allora passiamo di là.

Quando siamo nello stanzino per i massaggi, gli dico:

- Spogliati completamente, Davide. Se ti va bene, mi spoglio anch’io.

- Certo che mi va bene!

Sorrido. Mi spoglio con gesti lenti, ben conscio che lui non mi perde d’occhio neanche un secondo. Togliersi gli abiti è un’arte che alcune donne e pochi uomini conoscono bene.

Davide è paralizzato. Deglutisce e rimane a guardarmi, incapace di proseguire (si è tolto solo la felpa). Io proseguo, tranquillo. Rimango in camicia: è sempre l’ultimo indumento che tolgo, se sono io a spogliarmi. Davide fissa il cazzo che  sporge tra i lembi della camicia.

Io mi avvicino a lui, lo bacio sulla bocca e poi, sempre con molta lentezza, incomincio a spogliarlo. Lui mi lascia fare. Io lo accarezzo con delicatezza, poi riprendo a togliergli gli abiti. Quando gli calo i boxer, vedo che ce l’ha duro. Lo sfioro appena con le dita, ma Davide sussulta.

- Stenditi sul futon, a pancia in giù, Davide.

Lui annuisce, ma non si muove. Ho l’impressione che la mia vicinanza lo paralizzi. Allora mi sposto e vado al tavolino dove tengo l’olio per i massaggi. So che mi sta fissando. Lentamente, dandogli la schiena, mi sbottono la camicia, me la tolgo e l’appoggio sopra gli altri vestiti. Ora può vedermi bene il culo. Sento il suo sguardo su di me. Mi volto e gli dico, sorridendo:

- Ancora lì, pigrone? Sul futon!

Davide obbedisce. Mi metto di fianco a lui. Gli pongo le mani di fronte al viso, in modo che possa sentire l’odore dell’essenza che userò. Poi gli appoggia il petto all’altezza della vita. Incomincio a percorrere il suo corpo con le mani: con la destra salgo lungo la schiena verso il collo, con la sinistra scendo verso il culo, lo supero e scivolo su una gamba, per poi ritornare lungo l’altra. Con la destra incomincio a massaggiargli delicatamente il collo e la nuca. 

- Respira a fondo.

Davide esegue. Rimango appoggiato su di lui. Quando le mie dita scorrono sul suo culo, lo sento fremere. Mi sollevo, ma continuo a muovere le mani, in carezze delicate. Ora mi concentro sul collo e sulla nuca, poi scendo lungo la schiena e risalgo, per tracciare infine cerchi concentrici. Successivamente le mani incominciano a battere con energia.

Gli sollevo una gamba e la massaggio, poi faccio lo stesso con l’altra. Nel posarle sul materassino, le allontano e mi metto in ginocchio nello spazio che ho creato. Di nuovo mi appoggio su di lui. Gli accarezzo la schiena, poi le mie mani scendono sul lato esterno, lungo i fianchi.

Mi sollevo e mi sposto. Ora mi appoggio di nuovo su di lui, ma di lato. Il mio cazzo preme leggermente contro la sua coscia, mentre ancora lo accarezzo.

Poi mi sollevo e incomincio a massaggiare il culo di Davide, con movimenti energici, facendo scorrere le mani sull’esterno e poi sull’interno delle natiche. Spargo un po’ di olio e riprendo a massaggiargli il culo. Le mie dita ora scivolano anche lungo il solco e lo sento gemere. Più e più volte passo le dita sull’apertura e le faccio scivolare fin sotto, dietro le palle. Poi gli tengo una mano sulla schiena e con l’altra gli accarezzo con tocchi delicati i gioielli di famiglia.

Nuovamente emette un piccolo gemito.

Proseguo a lungo con il massaggio sulla schiena e sulle gambe e ogni volta le mie dita scivolano lungo il solco e accarezzano le palle. Mi stendo ancora su di lui, poi riprendo il movimento, ma lo sento ansimare e gemere forte.

Mi rendo conto che è venuto. Non è strano, succede ad alcuni.

Lui balbetta:

- Io… io…

- Sei venuto, Davide, ho capito. Rilassati. Adesso proseguiamo. Abbiamo tempo per continuare. E andare oltre.

Lui annuisce.

- Ora, quando ti senti, senza fretta, ti puoi voltare sulla schiena.

Gli passo una mano sulla schiena, in una carezza molto dolce, e gli dico:

- È tutto a posto, Davide. Eri impaziente e hai goduto presto. Ora che l’urgenza del desiderio si è calmato, proseguiamo.

Davide si volta sulla schiena. Gli sorrido.

- Respira di nuovo a fondo, Davide.

Davide esegue e, man mano che respira, si tranquillizza.

Gli sollevo la gamba destra e gli appoggio il piede sul mio petto. Poi la massaggio dal polpaccio alla coscia e la poso sul futon, allontanando il piede dall’altro. Faccio lo stesso con la gamba sinistra.

Nuovamente mi stendo su di lui, il mio viso sul suo petto, il torace che preme sul suo uccello. Le mie mani scivolano in movimenti circolari lungo il petto e poi su fino al viso.

Riprendo posto tra le sue gambe, mi chino in avanti e faccio scorrere le mie mani dalle spalle al torace, al ventre, alle gambe. Le dita, aperte, gli accarezzano più volte l’uccello, con tocchi lievi.

Passo dietro la sua testa. Mi chino su di lui e lo accarezzo, dai fianchi fino al torace. Poi gli prendo le mani e le appoggio dietro la mia schiena.

- Tieniti.

E nuovamente mi chino in avanti per accarezzare il corpo, mi soffermo sull’uccello che nuovamente si tende e sulle palle, con tocchi gentili.

Mi ritraggo, tolgo le mani di Davide, mi sporgo in avanti e le poggia sul mio petto. Davide sfiora la peluria, poi appoggia con forza e infine mi stringe i pettorali. Senza cambiare posizione, continuo a massaggiarlo. Le mie mani ritornano più volte alle sue palle e all’uccello, che è di nuovo in tiro.  Davide mi stringe più forte il petto, ma io mi stacco. Passo davanti e mi stendo su di lui. Ora i nostri corpi aderiscono. Prendo le sue mani e me le appoggio sulla schiena.

- Puoi accarezzarmi.

Davide fa salire le mani e poi le fa scendere, accarezza il mio culo, lo stringe.

Ora è pronto e anch’io lo sono. Lascio che mi accarezzi un buon momento, poi gli dico:

- Come vuoi che concludiamo, Davide?

Lui mi guarda, smarrito.

- Vuoi che ti prenda? Vuoi che ti faccia venire con le carezze? O con la bocca? O vuoi usare tu la bocca?

Non gli chiedo se vuole mettermelo in culo. Non è quello che desidera. Sorride e dice:

- Tutto.

Rido e gli do un buffetto.

- Ingordo! Si può fare un po’ di tutto.

Lo accarezzo ancora. Mi stacco e gli passo la lingua sul cazzo, dalla base alla cappella, più volte. Lui geme. Allora lo prendo in bocca e con molta lentezza lo succhio. Davide geme più forte.

Poi mi alzo e gli tendo le mani. Davide capisce e le prende. Lo tiro su. Ora è in ginocchio davanti a me. Gli accarezzo i capelli e gli avvicino la testa. Guarda il mio cazzo teso. Apre la bocca e lo accoglie. Lo succhia, dapprima incerto, poi ci prende gusto. Lo lascio fare.

Poi lo stacco e gli dico:

- Stenditi sul futon, a pancia in giù. Ma questa volta non è un massaggio.

Rido e aggiungo:

- O forse sì, un massaggio interno.

Lui annuisce. È un po’ spaventato.

Si stende. Io gli prendo le caviglie e gli allargo le gambe. Poi prendo il lubrificante e il preservativo. Spargo il lubrificante e mentre lo faccio gli infilo un dito in culo. Lui sussulta. Io continuo a spalmare la crema e spingo nuovamente il medio dentro il buco. Lo faccio più volte, finché sento che la carne cede senza opporre resistenza. Mi infilo il preservativo e mi stendo su di lui.

Gli passo la lingua dietro l’orecchio, gli sussurro:

- Adesso infiliamo il maialino sullo spiedo.

Lui ridacchia, ma colgo il suo nervosismo.

Appoggio la cappella contro l’apertura, gli mordo con forza il lobo dell’orecchio, strappandogli un gemito, e spingo. La carne cede. Mi muovo con molta cautela.

- Tutto bene, Davide?

- Sì, credo di sì…

Rido. Gli bacio la nuca e avanzo ancora. Sento che si tende e mi ritraggo completamente. Lo accarezzo ed entro di nuovo. Avanzo e vado un po’ oltre, poi esco di nuovo. Al terzo ingresso lo sento più rilassato, allora avanzo di più. E poi, con lentezza, incomincio la mia cavalcata. I suoi gemiti ora sono più forti. Sento che la tensione sale dentro di lui.

Mi volto su un fianco insieme a lui e continuo a spingere, mentre la mia mano gli afferra l’uccello e si muove rapida. Dopo un momento lo sento gemere più forte e il seme schizza nuovamente.

Poi rimaniamo così, abbracciati, il mio cazzo ancora dentro il suo culo, il suo tra le mie dita. Non mi interessa venire e magari lui ha ancora voglia di giocherellare un po’ con il mio cazzo.

Gli chiedo:

- Soddisfatto della tua prima volta, Davide?

- Della prima e della seconda! Cazzo! Che bello!

Sorrido e lo accarezzo. Lui è completamente rilassato e mi accorgo che sta scivolando in una specie di dormiveglia. Con un braccio lo tengo stretto a me e con l’altra mano continuo ad accarezzarlo, delicatamente. Il mio cazzo perde lentamente consistenza e volume, ma senza ammosciarsi del tutto, perché la guaina di carne in cui è infilato è calda e stretta. Ci sono clienti che vogliono che io venga: le donne quasi sempre, gli uomini meno spesso. Per alcuni è del tutto indifferente: io sono lo strumento del loro piacere e una volta che sono venuti, non gliene fotte un cazzo che io abbia un orgasmo o meno.

Il tempo passa e ormai è ora che Davide si prepari: tra un po’ suo padre passerà a prenderlo.

Gli accarezzo il viso e gli dico:

- Vuoi farti una doccia, Davide?

Lui si scuote.

- Non possiamo rimanere così tutta la notte?

- Temo di no…

- E va bene.

Si stiracchia, si stacca da me, si volta, mi bacia sulla bocca.

- Non ho voglia di alzarmi.

- Va bene. Allora incomincio a farmi la doccia io.

Mi alzo e vado in bagno. Quando torno Davide è ancora disteso. Mi guarda, con occhi sognanti.

- Non riusciamo a fare un bis, un tris?

Sorrido e scuoto la testa.

- No, Davide, non c’è più tempo. Se vuoi farti la doccia, vai. Altrimenti ti rivesti.

Si alza mugugnando e si dirige in bagno.

 

Giovanni suona alle sei in punto. Ero sicuro che sarebbe stato puntuale. Sale.

- Siediti, Giovanni. Davide si sta facendo una doccia.

Giovanni scuote la testa, mentre si siede.

- Una doccia! Ci vorrà mezz’ora prima che esca. Mi sa che dovrò pagarti un supplemento.

Rido e rispondo:

- No, non faccio pagare anche il tempo della doccia: non lo insapono mica io.

Lui sorride, ma subito aggiunge, serio:

- Spero che tu non abbia un altro appuntamento tra poco, perché davvero Davide rimane sotto la doccia per ore.

- Nessun appuntamento, nessun problema.

Giovanni mi guarda e chiede:

- Com’è andata, Luca?

- Questo dovresti chiederlo a Davide, no?

- A lui lo chiederò. In realtà glielo leggerò in faccia e poi comunque mi racconterà. Ma vorrei saperlo da te, che sei in grado di valutare.

- Direi che è andata benissimo. Davide mi è sembrato entusiasta.

- Ottimo. Ci tenevo che la sua prima esperienza completa fosse soddisfacente. E avvenisse senza rischi. E non parlo solo di trasmissione di malattie, lo hai capito benissimo.

Annuisco.

- Sì, certo. Puoi incontrare gente fuori di testa. O anche solo gente che pensa esclusivamente al proprio piacere.

- Esatto.

Giovanni mi guarda e mi chiede, a bruciapelo:

- Ti ha stupito che ti telefonassi io per Davide, vero?

Non è una vera e propria domanda.

- Sì, non mi era mai capitato. Uomini o donne che volevano offrire al loro partner un’esperienza diversa, sì, tantissime volte, in tutte le possibili varianti. Ma un padre che portasse il figlio, no.

Giovanni sorride di nuovo.

- Una prima volta anche per te.

Annuisco. E mi passa per la testa il pensiero che non mi spiacerebbe che ci fosse una seconda volta e che Giovanni assistesse. Lui aggiunge:

- In una delle tue interviste dici che ti piace sorprendere. Ti piace anche essere sorpreso? O vuoi sempre condurre il gioco?

Così si è letto le mie interviste e se le ricorda.

- Mi piace anche essere sorpreso.

E mi piacerebbe che lui adesso mi sorprendesse. Come, non so: se sorpresa deve essere, tocca a lui inventare. Ma Giovanni non sembra intenzionato a sorprendermi ulteriormente.

 

Infine Davide arriva, sorridente. Dice subito:

- Vero che per la mia promozione mi regali un altro pomeriggio con Luca?

Giovanni lo guarda con un’espressione di compatimento. Scuote la testa, poi risponde:

- Col cazzo, Davide. Se vuoi un pomeriggio con Luca te lo devi guadagnare. Te ne offro uno per ogni otto che mi porti nella scheda finale.

La discesa della mascella di Davide mi fa capire che le probabilità di un otto nella scheda di fine anno sono alquanto ridotte.

- Ma, papà…

- Hai ancora tre mesi. Puoi darti da fare, pelandrone. Di matematica e scienze ce la potresti fare. E se ce la fai anche di storia, ti regalo quattro ore: due pomeriggi da due o un pomeriggio tutto di fuoco. Vedi un po’ tu.

Giovanni sorride e si rivolge a me:

- Non è stupido, non completamente, almeno, ma il suo obiettivo è cavarsela. Sei o sette: non di più. Se una volta gli capita per errore di andare oltre e magari di prendere un otto, subito si siede e il compito successivo è un cinque.

Io sorrido e guardo Davide.

- Davide, devi dimostrare a tuo padre che ti sottovaluta.

Lui fa una smorfia. Di nuovo scuote la testa. Poi mormora:

- Staremo a vedere.

 

*

 

- Pronto? Sono Giovanni.

Non dice altro, ma mi ricordo immediatamente di lui, anche se sono passati tre mesi: forse è per la voce calda e profonda, che mi permette di distinguerlo da altri Giovanni conosciuti; forse è il fatto che ho pensato in più di una occasione a lui, perché la situazione mi aveva colpito.

Gli dico subito:

- Non mi dire che Davide ha preso un otto.

Lui ride. Non rileva che mi ricordo perfettamente di lui e del nostro dialogo finale: ho l’impressione che lo desse per scontato.

- No, ci ha provato, ma poi ha lasciato perdere: non ha la fermezza necessaria per perseguire un obiettivo per un lungo periodo.

Dato che non prosegue, gli chiedo:

- Ma tu hai deciso di offrirgli lo stesso due ore con me?

- No, ho deciso che ti prendo io, per una serata. Se sei libero. E se te la senti.

L’idea mi solletica alquanto. Rispondo, scherzoso:

- Perché non dovrei sentirmela? Sei pericoloso?

- Sì.

L’ha detto molto serio e io rimango un attimo spiazzato. Chiedo:

- In che senso?

- Avrai modo di scoprirlo, se accetti di correre il rischio.

Non c’è nessuna nota ironica nella sua voce e io ho l’impressione che non stia scherzando. Se un altro si presentasse in questo modo, non accetterei: non vedo perché dovrei affrontare dei rischi. Ma Giovanni mi attrae e non mi sembra davvero pericoloso. Non me lo vedo come psicopatico.

- Direi che accetto. Quando ti andrebbe bene?

- La settimana prossima, giovedì. Dalle 19.30 alle 23.30. Andiamo alla Scala, a vedere la Carmen. Ti va bene?

Rimango di nuovo spiazzato: Giovanni ci riesce. Una serata alla Scala? Se andiamo a vedere un’opera, mi sa che non rimarrà il tempo per altro. Faccio spesso da accompagnatore, anche per più giorni, ma di solito c’è il tempo per il sesso, tanto. In qualche raro caso si rivolgono a me solo perché impersoni un ruolo (il fidanzato, l’avvocato, l’amante), ma Giovanni non mi ha detto nulla del genere. Gli chiedo:

- Devo impersonare un ruolo?

- Te stesso.

- Va bene. Accetto la sfida. Non credo che mi ucciderai alla Scala, lasciando il mio cadavere sul palcoscenico.

- Sarebbe una morte molto teatrale, si potrebbe fare… Ma sarà per un’altra volta. Ci vediamo giovedì. Passo io a prenderti alle 19.30. All’indirizzo della volta scorsa?

Esito un attimo. Non vivo nell’appartamento dove ricevo i clienti e di solito non do il mio indirizzo personale. Mi capita di fermarmi a dormire anche di là, di solito in compagnia, ma qualche volta anche da solo, anche soltanto perché ho fatto tardi e non ho voglia di rivestirmi e tornare a casa. Sono abituato a dormire fuori, da clienti, in alberghi, in altre città e comunque nell’appartamento c’è tutto il necessario.

- Sì, va bene lì. Devo vestirmi da gran serata?

- Non è una prima. Elegante, comunque.

- D’accordo.

 

Sono contento che Giovanni abbia telefonato. E sono curioso di capire come evolverà la serata. Mi trascinerà via dopo il primo atto? Ci rinchiuderemo in uno dei cessi, mentre Carmen canta qualche aria famosa? Non credo che intenda fare sesso in sala durante lo spettacolo. O magari ha un palco e scoperemo lì, in un angolo buio? Ci sono angoli sufficientemente bui in un palco alla Scala? Non sono mai stato in un palco alla Scala. Scopare con Giovanni sulle note di Bizet… mica male. Ce ne sono diversi che amano farlo con una colonna musicale. Un mio cliente è fissato con il Bolero di Ravel e vuole venire alla fine del pezzo. A me l’accompagnamento non spiace.

 

Giovedì è arrivato e sono impaziente di vedere come evolverà la serata. Giovanni arriva puntualissimo, come sempre. È in taxi. Avevo pensato che sarebbe passato a prendermi con la sua auto, ma probabilmente preferisce farsi scarrozzare.

- Ciao, Luca.

- Ciao Giovanni.

Mi metto la cintura e il tassista parte, senza aspettare che Giovanni gli indichi la destinazione. Evidentemente gli ha già detto prima che andiamo alla Scala.

- Conosci la Carmen?

- Alcune arie, certamente.

Canticchio un’aria famosa, di cui non conosco le parole.

- Taratatà taratatà

Lui sorride e canta l’aria, a mezza voce:

- L'amour est enfant de Bohême,

Il n'a jamais, jamais connu de loi,

Si tu ne m'aime pas, je t'aime,

Si je t'aime, prend garde à toi.

Poi il sorriso scompare e mi chiede:

- Sai che cosa vuol dire il testo?

Scuoto la testa. Giovanni risponde, senza sorridere:

- L’amore è zingaro/ non ha mai, mai conosciuto legge/se non mi ami, io ti amo/ se io ti amo, attento a te.

Io sorrido, senza sapere bene che cosa dire. Non mi capita spesso di non riuscire a replicare: sono abituato a dialogare con persone diversissime tra di loro e non mi costa mai fatica sostenere una conversazione. Ma mi mette a disagio l’espressione seria di Giovanni, il tono della sua voce: mi sembra che una battuta sarebbe fuori posto. Potrei dire che parlare di amore non ha senso, ho scopato a pagamento con suo figlio e adesso mi paga per una serata insieme, dai contorni indefiniti. E d’improvviso mi sento un po’ inquieto. Mi viene da chiedermi se andiamo davvero alla Scala. Stupidaggini. Mi sto lasciando suggestionare.

Devio la conversazione:

- Un personaggio interessante, Carmen. Pericolosa.

- Pericolosi entrambi. Pericolosa la loro relazione: troppo diversi. Certe relazioni possono essere distruttive.

Non mi entusiasma la piega che ha preso la nostra conversazione, ma sto al gioco e lo provoco:

- Per questo hai scelto la Carmen? Come monito?

Lui ha un mezzo sorriso e dice:

- Forse.

Poi il suo sorriso si allarga e dice:

- Stai benissimo vestito così. Hai molto buon gusto nel vestirti e un bel maschio in un abito elegante ci guadagna.

La conversazione si sposta su un terreno meno insidioso, ma non va avanti a lungo, perché dopo pochi minuti il taxi ci lascia davanti alla Scala, dall’altra parte della via. Attraversiamo.

Giovanni fa vedere i biglietti ed entriamo. Non siamo in un palco. Siamo in platea, in due ottimi posti, piuttosto avanti e centrali. Per vedere l’opera sono perfetti, per fare qualunque altra cosa sono del tutto inadatti. Sono curioso di vedere come evolverà la serata.

Giovanni seleziona la lingua sullo schermo posto davanti a lui. Vedo che sceglie il francese. Io mi accontento dell’italiano.

Giovanni concentra la sua attenzione sul palcoscenico e di fatto mi ignora per tutta la durata del primo atto. Si limita soltanto a guardarmi e a sorridere quando il soprano canta l’aria di cui abbiamo parlato in taxi. È un sorriso vagamente mefistofelico o sono io che me lo immagino? Lo conosco poco e non posso dire.

Mi concentro sullo spettacolo, che è notevole. I cantanti sono molto bravi, per quello che posso capire io. Magari non sono particolarmente appetibili da un punto di vista fisico (non credo che sarei follemente attratto da Carmen, di forme un po’ troppo abbondanti), ma sotto quest’aspetto il corpo di ballo è superlativo: una serie di splendidi ragazzi che nella scena alla taverna danno il meglio di sé.

Alla fine dell’atto, Giovanni sorride e mi dice:

- Ci sgranchiamo un po’ le gambe?

- Volentieri.

Mentre passeggiamo incontriamo due sue conoscenze, una coppia piuttosto anziana. Giovanni fa le presentazioni, in modo piuttosto formale: di me dice solo che sono Luca, di loro due dice i nomi e spiega che sono due vecchi amici di famiglia. Mi viene da pensare che siano amici dei suoi genitori, perché hanno una ventina d’anni più di Giovanni.

Mentre torniamo ai nostri posti, incontriamo un bell’uomo, sui quaranta-quarantacinque, che saluta Giovanni. Lui mi presenta di nuovo come Luca e di lui, Marcello, dice che è il suo avvocato. Noto che tutte e due le volte Giovanni si è limitato a dire il mio nome, senza assegnarmi nessun ruolo: non ha detto che sono un amico, non si è inventato nulla. Mi chiedo se la sua è stata una scelta consapevole e in questo caso qual è la motivazione: non dire chi sono può servire per evitare domande, ma può anche suscitare curiosità. Sorrido di me stesso. Di solito non mi pongo tante domande con i miei clienti, ma il comportamento di Giovanni mi incuriosisce.

La serata procede. Seguo con interesse il secondo atto. Nel nuovo intervallo do un’occhiata all’ora. Finiremo verso le undici, il che vuole dire che o Giovanni mi chiede un supplemento o la serata si concluderà senza che abbiamo scopato. Tutto sommato mi spiacerebbe: sono curioso di scoprire com’è Giovanni a letto. Incrociamo di nuovo Marcello: ho il vago sospetto che ci abbia tenuto d’occhio e abbia fatto in modo di incontrarci per poter parlare con noi; prima stava per incominciare il secondo atto e non c’è stato il tempo. Questa volta si rivolge a me:

- Che ne dici di questa Carmen?

- È la prima volta che vedo una Carmen: non frequento l’opera, di solito. A me piace molto.

- Anche a me. Bravissima lei. E bravi tutti. Comunque, se frequenti Giovanni, avrai modo di farti una cultura operistica. È un intenditore.

Ho l’impressione che Marcello sia curioso e che gli piacerebbe sapere che rapporto ho con Giovanni. Chissà che cosa penserebbe se sapesse che mi paga – parecchio – per accompagnarlo all’opera. E mentre me lo chiedo, mi dico che Giovanni potrebbe avermi assoldato proprio per ingelosire Marcello, nel qual caso capisco perché mi paga solo per stargli vicino mentre si bea della Carmen.

Sta per iniziare il terzo atto (mi sembra di capire che in realtà sia il quarto: due atti sono stati accorpati, in effetti prima c’è stato un cambiamento di scene, senza un vero e proprio intervallo). Torniamo a sederci. L’opera si avvia verso la sua conclusione tragica. Quando ci alziamo guardo l’ora: sono le undici passate.

Usciamo e attraversiamo la strada. Giovanni si dirige verso uno dei taxi fermi. Evidentemente il tassista lo conosce e lo aspettava, perché scende per aprire la portiera. Non so se è lo stesso dell’andata. Giovanni gli dà il mio indirizzo.  Vorrà salire da me o la serata si concluderà così? Chiedendomi di salire, creerebbe una situazione ambigua: mi ha pagato per quattro ore, che sono trascorse. A che titolo salirebbe? Ma io non ho fatto nulla in queste ore, se non guardare l’opera e scambiare due chiacchiere con lui. Farà leva su quello? O si aspetta un invito da parte mia? Nel qual caso la scopata sarebbe al di fuori del rapporto di lavoro, cosa che non succede: la mia vita sessuale, più che soddisfacente, si svolge per intero nell’ambito del lavoro.

Giovanni guarda l’ora.

- Per le undici e trenta ci siamo.

Tira fuori dalla tasca una busta e me la porge, senza dire nulla.

La prendo e sorrido:

- Per un biglietto all’opera.  

La mia frase è volutamente ambigua. Può voler dire che con questi soldi posso comprare un biglietto all’opera (più d’uno, di sicuro) o che li ho guadagnati assistendo a un’opera. 

Lui annuisce. Quando l’auto arriva sotto casa mia, dice:

- Buona notte.

Non mi dà un bacio di commiato, non dice niente, è evidente che non si aspetta nulla. Il programma della serata era questo e lui l’ha rispettato. Io anche. Ma non sono abituato ad ingannarmi e so benissimo che sono un po’ deluso. In ogni caso ho guadagnato una bella cifra, senza nessuna fatica. Va bene così. Giovanni è un tipo strano: mi incuriosisce. Scoperei volentieri con lui, ma se a lui va bene pagarmi per accompagnarlo in giro, nessun problema.

 

*

 

Sto entrando in casa quando il cellulare squilla. Spero che non sia un cliente che mi vuole vedere questa sera, perché torno adesso dalle riprese di un film porno e non ho nessuna voglia di uscire di nuovo o di ricevere qualcuno per una serata di sesso. Per quanto io sia sessualmente molto attivo, dopo alcune ore di ripresa non ho proprio più voglia di scopare. Per oggi ho dato.

Tiro fuori il cellulare e guardo il numero: è Giovanni. Merda! Proprio questa sera!

Chiudo la porta e rispondo.

- Ciao, Giovanni.

Poi mi dico che forse ho fatto male a salutarlo con il nome: a questo punto sa che l’ho inserito nella memoria del telefonino. Ma perché non avrei dovuto farlo? È un mio cliente.

- Ciao, Luca. Sei libero questa sera?

Esito un attimo. A chiunque altro risponderei che non lo sono, ma Giovanni mi incuriosisce, sono tre mesi che non lo sento e mi scoccia pensare che magari si farà vivo tra altri tre mesi, a Natale.

- Non ho impegni, ma sto rientrando adesso a casa, dopo aver girato un film. Non sono al massimo della forma.

Lui sembra riflettere un attimo, poi dice:

- Domani sera andrebbe bene? Ti voglio in forma smagliante.

- Senz’altro. Domani sarò in grado di fare faville.

- Benissimo. Allora ti spiego. Andiamo in cena con un mio cliente. È russo, ma parla bene l’inglese e so che lo conosci. Io ti presento come un amico, ma lui deve pensare che c’è qualche cosa di più. A tavola faremo qualche piccolo gesto, ci guarderemo, nulla di particolare, ma sufficiente a fargli credere che siamo amanti. Lui ti punterà e avrà il tempo per parlarti, perché io riceverò due telefonate. Credo che ti farà la corte e alla fine ti proporrà di passare il resto della serata con lui. Nel suo albergo, di certo. Io ti pago la serata e la notte, perché non so quando ti congederà.

- Puoi pagarmi il giorno dopo, così posso dirti quanto è durato il tutto.

- No, va bene per la notte. Ti passo a prendere alle otto. Ovviamente vestito elegante.

- Certo.

Sto per dirgli di passare a prendermi a casa mia e non allo studio, ma lascio perdere.

Dopo che ha chiuso la conversazione, rifletto. Di nuovo Giovanni mi paga per scopare con qualcun altro. Perché? Chi è questo tizio?

 

Alle otto precise Giovanni arriva in auto. Questa volta guida lui. Saluto e salgo. Poi, dopo un breve scambio di battute, gli dico:

- Posso chiederti chi è questo signore?

- Diciamo un mio cliente, importante, con cui voglio concludere un affare molto vantaggioso per me.

- E mi regali a lui perché sia ben disposto?

- Sì, direi che possiamo metterla così, ma lui non deve sospettarlo. Deve credere che tu sei il mio amante, che io sono geloso e che tu gli cedi solo perché lui è affascinante: in questo modo sarà convinto di fottermi.

Credo di aver capito. Il cliente crederà di fottere (in senso metaforico) Giovanni, fottendo (in senso letterale) me, ma mi sa che alla resa dei conti con ogni probabilità sarà Giovanni a fotterlo (di nuovo in senso metaforico).

Giovanni prosegue:

- Quindi tu sei il mio amante. Lui ti piace, ti colpisce subito: forte, virile, potente. Lo stuzzichi, ti lasci corteggiare, ma con prudenza: non vuoi che io me ne accorga. Approfitterai delle due volte che mi assenterò per le telefonate: in quei momenti potrai condurre il gioco più apertamente. Dopo cena io ti riaccompagnerò a casa, ma tu gli avrai dato appuntamento. Gli dirai che mi congederai con la scusa che sei stanco o magari che abbiamo già scopato prima della cena o qualche cosa del genere. È tutto chiaro?

- Sì, direi di sì.

Mi chiedo che razza di lavoro faccia Giovanni. È il caso di chiederglielo? No, meglio di no.

- Ancora una cosa. Quando scoperete, lui di sicuro ti chiederà dettagli della nostra relazione, vorrà sapere che cosa facciamo a letto. Sei tu che me lo metti in culo, sei il mio stallone personale. Lui allora vorrà mettertelo in culo: gli sembrerà di umiliarmi, di fottermi. E tu glielo lascerai fare e poi gli dirai che a letto è molto meglio di me, che vorresti scopare ancora con lui. Ma non gli lascerai il numero di telefono, perché io ti controllo. Questo è importante.

Mi è capitato spesso di interpretare qualche personaggio nella mia attività: per alcuni clienti mi trasformo in dottore, in poliziotto, in cliente di un escort (e loro diventano l’escort) e così via. Non mi dispiace questo gioco di ruolo.

 

Il locale è il Seta del Mandarin Oriental, in via Andegari. Lo conosco di nome, ma non ho ancora avuto modo di mangiarci.

Ci sediamo al bar.

- Sei pronto, Luca?

- Certo.

- Mi raccomando, non lasciargli il numero di telefono.

È molto serio quando lo dice:

- Va bene.

Giovanni si è messo in modo da poter vedere la porta, che tiene d’occhio.

- Eccolo.

Ci sono due persone che stanno per entrare: il russo non è solo, lo accompagna un uomo sui trenta-trentacinque. Non avevo previsto questo. E adesso? Giovanni capisce la mia perplessità e mi dice:

- Nessun problema. È la sua guardia del corpo. Non cena con noi.

Infatti la guardia dà un’occhiata intorno, controllando che tutto sia a posto, ed esce, mentre il russo si dirige verso di noi. Mi chiedo perché questo russo abbia bisogno di una guardia del corpo. Intanto lo osservo mentre si avvicina. Statura media, sui cinquanta, forse anche di più, capelli scuri, grigi alle tempie, niente barba. Non è un bell’uomo. È vestito con abito grigio-blu, camicia chiara a righe e fazzoletto da taschino della stessa stoffa, cravatta blu. Al mignolo un anello con un grosso rubino. Nonostante l’abito di buon taglio, non è davvero elegante. Sembra un mafioso italo-americano di film come Il Padrino.

Giovanni fa le presentazioni. My friend Nikolaj, my friend Luca. Chissà se Nikolaj crede davvero che Giovanni lo consideri un amico? Ne dubito.

Incomincia un dialogo interamente in inglese, che Giovanni parla perfettamente e il russo abbastanza bene. Io sto molto vicino a Giovanni, il mio braccio, appoggiato sul bancone, sfiora il suo. Ma guardo spesso il russo come se lo trovassi interessante. Se Giovanni si volta verso di me, lo guardo e gli sorrido, fingendo di ignorare completamente Nikolaj. Un giochino semplice, appena percepibile: siamo solo agli inizi, Nikolaj non deve considerarmi una puttana, altrimenti penserà che non vale neanche la pena di conquistarmi. A un certo punto Giovanni sembra accorgersi che guardo un po’ troppo Nikolaj e mi poggia una mano sul ginocchio. Io sorrido e lo guardo. Nikolaj sembra non rilevare. Mi piace sentire la mano di Giovanni sulla gamba.

Prendiamo un aperitivo al bar, poi ci spostiamo a uno dei tavoli nel cortile. La cucina è di altissimo livello e la presentazione dei piatti molto raffinata. Parliamo di viaggi, di cinema, della situazione economica mondiale, di donne. Io divido equamente le mie attenzioni tra i due commensali, ma a Giovanni mi rivolgo in modo più diretto, a Nikolaj lancio solo occhiate e gli sorrido, senza farmi troppo notare. Giovanni riceve una telefonata dopo che abbiamo finito di mangiare il primo, spaghetti con anemoni di mare, gamberi, limone nero e crema di ravanelli, una delizia.

Giovanni si scusa, si alza e si allontana nel cortile, mettendosi sotto il porticato.

Nikolaj mi sorride e io ricambio il sorriso.

- Vivi a Milano?

- Si, sono nato qui e non ho mai lasciato la città, se non per qualche viaggio. E tu, di dove sei?

- Io sono nato a Tallinn, in Estonia, ma me ne andai a Mosca quando ero ancora ragazzo. Tallinn non era il posto giusto, se volevi fare strada, soprattutto per i russi.

Parliamo un momento di Tallinn, ma non appena c’è una pausa, lui mi chiede:

- Conosci Giovanni da molto tempo?

- No, non da molto.

Sorrido e aggiungo:

- Un uomo affascinante.

Ma mentre lo dico, guardo Nikolaj con un mezzo sorriso.

- Siete molto legati?

Io annuisco.

- Direi di sì. Mi trovo bene con lui.

- E lui di certo si trova bene con te.

- Credo di sì.

- Un bell’uomo, elegante. Voi italiani avete un’eleganza naturale… Metti gli stessi abiti addosso a un russo e sembra che li abbia rubati a un altro. Il che magari è vero.

Ride e anch’io sorrido. Lui prosegue:

- Noi russi siamo uomini d’azione, forti, decisi, se occorre spietati. Voi italiani siete come le femmine, attenti alle mode, eleganti.

Tra un po’ dirà che sappiamo tutti suonare il mandolino e cucinare. Va bene, pazienza, non posso invitarlo a sparare meno cazzate, per cui dico:

- Ci sono russi molto sexy. E poi se gli abiti non vanno bene, basta toglierli.

Un’altra risata, mentre ammicco. Poi però devio la conversazione: non voglio scoprirmi troppo. Dev’essere lui a condurre il gioco.

- Per quanto ti fermi a Milano?

- Parto domani mattina.

Mi fingo leggermente deluso, ma senza esagerare. Lui osserva:

- Anche Giovanni viaggia spesso. Tu non lo accompagni nei suoi viaggi d’affari?

- No, Giovanni è molto riservato per quanto riguarda il suo lavoro. Non ama parlarne e io di certo non voglio ficcare il naso.

- Perciò passi molto tempo da solo. Giovanni è geloso?

Sorrido e dico:

- Sì, abbastanza. Sai com’è, noi italiani…

Visto che gli piacciono gli stereotipi, gli do anche questo e in effetti lui concorda subito:

- Sì, gli italiani sono gelosi. E infedeli.

Ridacchio.

- Se ne vale la pena…

Credo che siamo già arrivati al dunque. Arriva anche Giovanni, che secondo me ci ha tenuti d’occhio e ha deciso che per questa fase avevamo parlato abbastanza.

Riprendiamo la conversazione a tre, ma Giovanni poggia una mano sulla mia, in un gesto di possesso, rivolto chiaramente a Nikolaj. Gli sta dicendo: “Questo è mio”. E mi piace sentire la sua mano che stringe la mia, il suo braccio che mi sfiora. Intanto però un piede di Nikolaj si accosta a uno dei miei. Non lo sposto e ora la sua gamba è contro la mia. Sopra la tavola, Giovanni afferma il suo possesso; sotto, Nikolaj lo insidia.

Arriva il secondo: per fortuna le dosi non sono eccessive, perché sto mangiando troppo e questo morone con rosa di Gorizia è eccellente. Domani in palestra dovrò darmi da fare per smaltire.

Parliamo di argomenti diversi, ma intanto il piede di Nikolaj mi accarezza una gamba.

Siamo al dolce quando arriva la seconda telefonata.

Nikolaj mi dice subito:

- Vieni da me questa sera?

Fingo di esitare.

- Se lo scopre, Giovanni mi ammazza.

- Non credo che abbia i coglioni per farlo. In ogni caso non lo scoprirà. Ti congedi con una scusa e mi raggiungi al Grand Hotel et de Milan. Che ne dici?

Fingo di esitare.

- Ma Giovanni…

- Gli dici che sei stanco e vuoi andare a dormire. Ti aspetto. Alla reception chiedi del signor Innokentievic. Non te ne pentirai.

- Va bene.

Giovanni arriva. Ci ha lasciato pochissimo tempo: doveva essere certo del risultato.

Dopo che abbiamo bevuto un liquore, Giovanni chiede il conto, che paga, senza che Nikolaj cerchi di fermarlo. Ci alziamo.

Nikolaj dice:

- Sono molto stanco e andrò a dormire.

- Va bene, Nikolaj. Ci vediamo domani e concludiamo.

Ci stringiamo le mani sulla porta. C’è la guardia del corpo, che attende.  Si avviano a piedi: sono davvero due passi.

- Tutto come previsto?

Sorrido a Giovanni.

- Sì, certo. Devo raccontarti che sono stanco e raggiungerlo in albergo.

- Devi lasciar passare almeno un’ora.

- Sì, che rottura! Se penso che in cinque minuti potrei essere lì…

Giovanni mi riaccompagna all’appartamento. Mi dà la busta con la mia tariffa per la serata e la notte.

Io salgo, mi lavo i denti, controllo di essere a posto e raggiungo l’albergo in taxi.

L’impiegato alla reception telefona a Nikolaj e poi mi dice che il signor Innokentievic mi aspetta. Salgo al quarto piano.

La guardia del corpo è sulla porta. Mi fa entrare e controlla che non abbia armi, con una rapida perquisizione.

Io rimango un po’ sorpreso. Chiedo:

- Ma che cazzo di lavoro fai?

Lui ride e alza le spalle, senza rispondere.

La guardia esce.

- Scusa, Luca, ma le precauzioni non sono mai troppe.

Scuoto la testa. Incomincio a chiedermi in che gioco sono finito.

- Vuoi un po’ di vodka?

- No, santo cielo! Ho già bevuto troppo. E ti avviso: è inutile che tu mi faccia ubriacare. Non ho niente di interessante da raccontarti. Ti ho già detto che Giovanni non mi parla mai del suo lavoro.

Nikolaj ride.

- Non ti ho invitato per parlare del lavoro di Giovanni. Ne so più io di te.

- Senza dubbio.  E spero proprio che ci dedichiamo ad altro.

Nikolaj sorride. Si avvicina, mi sbottona la giacca e la fa scivolare a terra. Lo lascio fare.

- Così va meglio.

Incomincia a sbottonarmi la camicia. Io lo lascio fare, ma quando ha finito, gli sciolgo il nodo della cravatta, la sfilo e la lancio lontano, poi gli tolgo la giacca e mi metto ad armeggiare con la sua camicia. Quando gliel’ho tolta, lui mi apre la fibbia della cintura e poi la cerniera dei pantaloni e li fa scivolare a terra. I boxer seguono la stessa strada e io rimango con calze e scarpe ai piedi, pantaloni e boxer arrotolati alle caviglie: assolutamente ridicolo. Ma lui non se ne preoccupa e mi afferra il culo a piene mani, stringendo. Poi fa scivolare due dita lungo il solco, indugia sull’apertura e sorride.

Si stacca e si toglie le scarpe. Io ne approfitto per fare lo stesso, togliere le calze e liberarmi di pantaloni e boxer, mentre lui si apre i calzoni. Ha un bel cazzo: niente di particolare, ma bello sostanzioso.  

Lui mi mette le mani sulle spalle e mi forza ad inginocchiarmi.

- Succhiamelo un po’.

Glielo prendo in bocca e gioco un po’ con la lingua e con le labbra, finché lui mi allontana.

Si cala i pantaloni e le mutande e se li toglie. Poi si sfila anche i calzini e intanto mi chiede:

- Che fai con Giovanni?

Sorrido e dico:

- Sei curioso!

- Dai, dimmelo. Si fa fottere da te?

Io annuisco.

- Sì, gli piace.

- È una troia, a letto, vero? Scommetto che si fa anche pisciare in bocca. Ho conosciuto degli italiani a cui piace.

Certo che ne ha conosciuti: il sottoscritto, ad esempio. E ci sono anche parecchi russi che lo fanno, qualcuno ho avuto modo di frequentarlo anch’io, ma so che non devo contraddirlo e gli lascio la sua massa di pregiudizi idioti. Sorrido e dico:

- Vuoi sapere troppo. Possiamo lasciar perdere Giovanni? Credevo che volessi combinare qualche cosa con me, non parlare di lui.

Nikolaj annuisce.

- Va bene, lasciamo perdere quella troia e gustiamoci il maiale. Mettiti a quattro zampe, che voglio assaggiare il tuo culo.

Adesso mi capita meno spesso che qualcuno voglia mettermelo in culo: di solito sono io a essere attivo. Quando avevo dieci anni in meno, era più frequente. Non mi dispiace, se l’altro ci sa fare. Dubito che Nikolaj sia bravo a letto, ma non ha importanza: è per il suo piacere che vengo pagato, non per il mio.

C’è però una cosa importante. Dico, deciso:

- Con il preservativo. Non scopo mai senza.

Lui fa una smorfia. L’idea non lo entusiasma ed è un motivo in più per non cedere. Sorrido e aggiungo:

- Ce ne sono nella tasca della giacca.

Mi chino e ne prendo uno.

- Te lo metto io.

Lui mi lascia fare. Si limita a dire:

- Non so se sta. Ce l’ho grosso.

Mi verrebbe da ridere. Ha un bel cazzo, abbastanza voluminoso, ma non è niente di particolare: ne ho visti di assai più grossi e rigidi.

Apro la bustina, tiro fuori il preservativo, assesto un leggero morso al suo cazzo, facendolo ridere, poi gli metto il preservativo sulla cappella e lo srotolo. Lui lo guarda e scuote la testa.

- Su, a quattro zampe.

Obbedisco.

Lui si inginocchia dietro di me. Sento il suo cazzo premere contro il buco del culo e poi forzarlo. Gli dico:

- Cazzo! Avrei dovuto metterti un po’ di lubrificante. Ce l’hai troppo grosso.

Lui ride, soddisfatto, senza capire che i miei complimenti e le mie lamentale fanno parte della prestazione. Sono abituato a ben altro.

Lui si stende su di me e incomincia a fottermi. Lo fa con energia e la sensazione è piacevole, ma la cavalcata dura pochi minuti. Sento un gemito e il suo cazzo perde volume e consistenza. Esce da me, si alza e va in bagno.

Lo sento che apre la doccia. Si lava, mentre io mi rialzo.

Rientra poco dopo in accappatoio. Sorride e dice:

- Ti è piaciuto, vero?

Non è davvero una domanda: è sicuro di aver fatto faville. Non mi stupisce: diversi miei clienti sono convinti di essere bravissimi stalloni, anche quelli che in realtà valgono molto poco a letto; forse soprattutto quelli. Io mi guardo bene dal deluderli. Rispondo:

- Certo! Sei davvero un magnifico toro da monta.

- E tu sei una magnifica puttana.

Dovrei prenderlo come un complimento, suppongo. E comunque è azzeccato, anche se il suo “whore” mi dà un po’ fastidio. Gli dico:

- Grazie.

- Se vuoi farti una doccia, prima di andare via, puoi accomodarti.

- Grazie, è un’idea.

Mi congeda e io sono contento di potermene andare. Giovanni mi ha pagato per tutta la notte, ma non ci tengo a rimanere oltre con questo stronzo. Mi faccio una rapida doccia, mi rivesto. Gli dico:

- È stato davvero un piacere. Spero che tu combini altri affari con Giovanni.

Dopo di che me ne vado. Torno a casa in taxi, soddisfatto di aver guadagnato una bella somma e di non aver dovuto passare la serata con Nikolaj.

 

Mi aspetto che Giovanni mi telefoni, per sapere com’è andata, ma non si fa vivo. Mi usa quando ha bisogno. Non ho motivo per lamentarmi: sono un escort e lui si serve di me e mi paga regolarmente; non siamo amici, non gli faccio favori personali. Se pago il sarto perché mi cucia una camicia su misura, non gli telefono per ringraziarlo: è un servizio a pagamento. Però… però… Va bene, è inutile.

Mi dico che sono una testa di cazzo. Giovanni è molto corretto con me e il nostro è un rapporto di lavoro. Magari tra tre mesi si fa di nuovo vivo. Per farsi accompagnare a un concerto o perché io scopi con chi cazzo vuole… Saremo quasi a Natale. Magari mi chiederà di farmelo mettere in culo da Babbo Natale. Purché non mi chieda di scopare con la Befana…

 

Invece Giovanni mi telefona una settimana dopo.

- Ciao, Giovanni.

- Ciao, Luca. Hai un’ora per me adesso?

Merda! Tra poco più di due ore viene Elisabetta. I tempi sono troppo stretti.

- Ho un appuntamento alle sei, Giovanni.

- Nessun problema. Possiamo vederci al Balloon bar tra venti minuti. Non servirà  neanche tutta l’ora. Per le quattro e mezzo sei libero.

Il Balloon è a quattro passi dall’appartamento dove ricevo: deve averlo scelto apposta. Ma perché mi vuole vedere al bar? Per prendere un aperitivo?

- Va bene.

Sono a casa, non nell’appartamento, per cui prendo un taxi. Di lì andrò direttamente all’appartamento. Arrivo puntuale.

Giovanni è a un tavolo e mi fa un cenno. Lo raggiungo.

- Scusa se ti ho fatto venire, ma è urgente.

Urgente? Un urgente bisogno di scopare? Dubito, visto che ci vediamo al bar. O ha scelto questo bar per poter salire da me e intende fare una sveltina in casa o magari in ascensore? Da Giovanni mi aspetto di tutto.

- Nessun problema.

Giovanni tira fuori una busta e me la passa.

- Questo è per l’ora.

Poi chiede:

- Che cosa prendi?

Mi infilo la busta in tasca e gli dico:

- Un bicchiere di bianco.

Fa un segno al cameriere, che arriva immediatamente. Ho l’impressione che Giovanni sia uno di quelli a cui i camerieri prestano subito attenzione.

Ordina e appena siamo di nuovo soli, mi dice:

- Senti, devo chiederti una cosa.

- Dimmi.

- Hai dato il tuo numero di telefono a Nikolaj?

- No. Mi avevi detto di non farlo.

Peraltro lui non me l’ha nemmeno chiesto: non mi sembrava particolarmente interessato.

- E neanche il tuo indirizzo, vero?

- No, ma…

Esito un attimo e poi gli chiedo:

- Perché mi chiedi queste cose?

- Nikolaj è stato ammazzato. E di sicuro faranno alcune indagini. Non parlo della polizia russa, che di certo non si occuperà del recente soggiorno di Nikolaj in Italia, ma dei suoi amici. Cercheranno le persone che hanno avuto contatti con lui e tu devi essere preparato.

Sono rimasto senza parole. Del discorso di Giovanni ho sentito quasi solo le prime parole: “Nikolaj è stato ammazzato”.

Arriva il cameriere e porta le ordinazioni, per cui tacciamo un momento entrambi.

Quando il cameriere se ne va, chiedo:

- Ammazzato, come?

Non voglio sapere come è stato ucciso, ma capire perché è stato ucciso, da chi. Giovanni però prende la domanda alla lettera e mi risponde:

- Una settantina di colpi di mitra, nella sauna della sua dacia.

- Settanta?

Per uccidere un uomo non servono settanta colpi. Che senso ha? Giovanni capisce perfettamente quello che intendo e mi spiega:

- Sì, un messaggio molto chiaro. Chi si mette contro di noi finisce così. Corpo crivellato, faccia completamente sfigurata, cazzo e coglioni spappolati. Non una bella fine.

Ci metto un momento ad assimilare. La mia testa in qualche modo rifiuta. Nikolaj non mi stava simpatico, non mi importava niente di lui, però, cazzo!

Giovanni riprende:

- Tu non corri nessun rischio. Non ne correresti neanche se gli avessi lasciato un tuo recapito e se vi foste scritti mail d’amore incandescenti ogni giorno. Ma volevo essere sicuro. Può darsi che qualcuno ti contatti. In questo caso puoi dirgli quasi tutta la verità. Ti assoldo ogni tanto come accompagnatore, ho scopato con te quel pomeriggio…

Giovanni sorride e aggiunge:

- Questo non è vero, lo so, ma dev’essere la nostra versione. Poi siamo andati a cena con Nikolaj, che ti ha fatto la corte e tu hai ceduto. Di lì in poi puoi raccontare tutto quello che è successo. L’unico elemento che non deve saltare fuori è che ti ho detto io di scopare con lui. D’accordo?

- D’accordo, Giovanni. Non vuoi raccontarmi qualche cosa di più?

- No, meno ne sai, meglio è.

Una domanda preme. La formulo:

- Tu sei in pericolo?

- No, direi di no. E, ripeto, tu non corri nessun rischio, anche se dovessero risalire a te. Delle scopate di Nikolaj non fotte un cazzo a nessuno. Può darsi che vengano anche da te. Da me verranno e tutto sommato, se mi chiedono della terza persona che era con noi a cena, e di sicuro sapranno che c’era una terza persona, è meglio che gli dia il tuo nome, così non avranno l’impressione che io voglia coprire qualcuno. Su Internet ti troveranno e sapranno che gli ho detto la verità. Quindi è possibile che vengano da te, ma non rischi assolutamente nulla. Chiaro?

Bevo il mio bicchiere di vino, senza rispondere. Sono frastornato.

Lui sorride e dice;

- Va bene, adesso vado, così non fai tardi.

Guardo l’orologio. Non sono passati neanche venti minuti.

- Ho tempo. Mi hai pagato per un’ora.

E mentre lo dico, mi rendo conto che è assurdo che mi abbia pagato per avvisarmi. Non c’è davvero motivo. Gli rendo i soldi. Ma prima che faccia in tempo a dirgli le mie intenzioni, lui replica:

- Hai ragione, utilizziamo il tempo rimasto, almeno un po’.

Chiama il cameriere, che arriva immediatamente (ma come cazzo fa?) e paga.

Poi mi dice:

- Dai, andiamo al cesso.

Lo guardo. Non capisco. Lui si alza e si dirige verso i gabinetti. Io lo seguo.

I gabinetti maschili sono sulla destra, quelli femminili a sinistra e al centro c’è quello per l’handicap: è lì che si dirige. Apre la porta e mi fa cenno di entrare. Passa dopo di me, chiude e fa scattare il blocco. Poi mi spinge contro il lavandino, mi preme la faccia contro lo specchio e si appoggia su di me. Sento il suo corpo premere contro il mio. La sua mano mi blocca la testa sul vetro e il desiderio mi trascina. In un attimo il cazzo mi si irrigidisce e io grugnisco di piacere.

Lui si stacca, ma la sua mano sinistra tiene sempre ferma la mia testa contro lo specchio. La destra mi afferra il culo, lo stringe, poi passa davanti, armeggia con la cintura, slaccia la fibbia, mi cala i pantaloni e i boxer. Oh, cazzo! È brutale, quasi uno stupro, eppure mi trasmette sensazioni fortissime.

Sento le sue dita umide che scorrono lungo il solco, trovano l’apertura, la forzano. Poi le sue mani mi lasciano. Nello specchio lo vedo prendere dalla tasca un preservativo. Se lo mette. Vorrei vederlo, vorrei vedere il suo cazzo, che deve aver tirato fuori dai pantaloni, ma lui si è infilato il guanto, la sinistra ritorna a premermi la testa contro lo specchio. Gemo di nuovo.

Ecco, ora! Ora! La sua cappella preme contro il buco del mio culo, entra, piano, poi è tutto il cazzo che si infila, fino in fondo. Grosso, duro, caldo. Mi fa male ed è bellissimo. Sono nelle sue mani, una preda docile. Il mio cazzo è gonfio di sangue, teso al massimo, il piacere è intensissimo. Mi piace sentire questo cazzo dilatarmi le viscere, mi piace, anche se le sue spinte sono brutali. O forse mi piace per questo.

La sua destra passa davanti, ora sta giocando con i miei coglioni. Non c’è tenerezza, mi fa male. Sono una sua cosa e mi va bene, in questo momento è quello che voglio essere. Sono ubriaco, anche se ho bevuto un unico bicchiere di vino. Sono ubriaco di desiderio, di queste mani brutali, del suo grosso cazzo che mi fotte, del suo corpo.   

Dai coglioni la sua mano risale al cazzo. Stringe con forza, in una morsa che è presa di possesso, poi si muove, lenta, verso l’alto e verso il basso, mentre continua a fottermi.

Mi sembra che il mondo stia vorticando intorno a me. Il piacere è sempre più forte e infine non può più essere contenuto. Vengo e gemo, forte, travolto da un’intensità di godimento che di rado ho provato nella mia vita. Lo sborro si sparge nel lavandino e sulla sua mano. Un po’ raggiunge lo specchio. Chiudo gli occhi.

Lui spinge più forte. Sento solo un verso animale e dopo un momento il cazzo che mi dilata le viscere perde volume e consistenza.

Mi ha preso come un bruto, in piedi contro il lavandino e lo specchio di un cesso. Il culo mi fa male: ora che il piacere svanisce, sento il dolore, forte. Anche i coglioni mi fanno male. E io mi sento bene, appagato ed esausto.

Lui esce da me e mi spiace. Butta il preservativo nel cesso. Poi apre il rubinetto del lavandino, prende un po’ di carta igienica, la bagna e mi pulisce il cazzo, stando dietro di me. Intanto mi passa la lingua dietro l’orecchio. Butta anche la carta igienica nel cesso e tira l’acqua. Si rassetta rapidamente.

Io sono confuso. Mi muovo lentamente. Mi tiro su i boxer e i pantaloni. Mi sistemo. Mi guardo allo specchio. Sono a posto. Lo vedo di fianco a me, sorridente. Mi afferra la cravatta e mi tira verso di lui. Mi bacia, spinge la sua lingua a fondo nella mia bocca. È bellissimo, ma non riesco a dirglielo.

Poi si stacca. Guarda l’ora.

- Cinque meno venti, abbiamo fatto un po’ più tardi del previsto.

Non aspetta una mia risposta. Apre la porta, controlla che non ci sia nessuno ed esce.

Sulla soglia si volta e dice:

- Buona giornata, Luca.

Annuisco, incapace di rispondere.

Mi muovo con lentezza e quando rientro nella sala, Giovanni è già all’uscita. Non si volta.

Io esco e mi dirigo verso l’appartamento. Ho scopato con Giovanni. Dovrei dire che Giovanni mi ha fottuto. Il culo mi fa male. Io sto bene. Giovanni mi ha baciato. Mi ha preso come un animale. È stata una delle migliori scopate della mia vita.

Infilo una mano in tasca e trovo la busta con i soldi, che mi riporta alla realtà. No, non li voglio, non per questa scopata. La prendo e guardo il contenuto. Quattro biglietti da cinquanta. No, non li voglio.

C’è una mendicante seduta sul marciapiede. Mi chino e le porgo un biglietto. Lei mi guarda allibita. Non li prende. Io le sorrido, faccio un cenno di incoraggiamento e lei afferra la banconota e la fa scomparire rapidamente in una tasca.

Un altro biglietto fa la stessa fine, con un anziano che chiede sempre l’elemosina vicino all’appartamento: anche lui non vuole crederci, ma ghermisce subito il biglietto con mani avide. Arrivo a casa. Gli altri due li darò via domani.

Ho bisogno di stendermi. Mi metto sul letto e chiudo gli occhi. Una cosa del genere non mi era mai successa. Ci sono clienti con cui sto benissimo, alcune donne e qualche uomo con cui scopare è puro piacere, gente davvero brava a letto. Giovanni mi ha preso come un animale, eppure ho goduto intensamente.

Mi ci vuole una mezz’ora per riprendermi. Poi mi concentro sul prossimo incontro: faccio il mio lavoro sul serio e non voglio che i miei casini personali – perché ormai sono in un casino, lo so benissimo – interferiscano con le mie prestazioni. Non è solo che non voglio deludere i clienti: se svolgo un lavoro, voglio farlo bene.

Recupero la concentrazione necessaria, ma mentre accarezzo Elisabetta, la stringo, la prendo e la porto al piacere, il pensiero va a un altro corpo, che non ho mai visto nudo, ad altre sensazioni, che ho provato oggi.

Al termine Elisabetta è entusiasta dell’ora.

- È sempre bello con te, ma oggi… c’era qualche cosa di magico. Mi sembrava che tu fossi innamorato di me.

Lei ride. Sa benissimo che non è così. Ma capisco perché ha avuto questa sensazione. Annuisco e sorrido. Forse non sono innamorato, ma cotto sì, temo proprio di sì. Non di Elisabetta, certo. Lei mi dice:

- So che è solo una mia impressione, ma è stato bello avere questa sensazione.

Quando Elisabetta se ne va, mi stendo nuovamente e cerco di riflettere.

Non conosco Giovanni. So che ha un figlio, che ama l’opera, che faceva affari poco chiari con un russo, che è molto ricco e che ha buon gusto. Non so altro. Non so che lavoro fa, che cosa gli piace nella vita, com’è. Non conosco neppure il suo corpo. Non l’ho mai visto nudo o almeno senza camicia. Non so com’è il suo cazzo. L’ho sentito grosso e duro in culo, ma non l’ho mai visto. Eppure in qualche modo quest’uomo ha un forte potere su di me. Merda! Merda!

 

In serata cerco Innokentievic su Internet. Non trovo niente. Probabilmente non scrivo giusto il nome. Oppure la faccenda non è abbastanza rilevante perché ne parlino i notiziari europei: un omicidio di mafia in Russia non è quella gran notizia.

Nessun russo si fa vivo. Meglio così. Ho già abbastanza pensieri con Giovanni. A tratti penso di telefonargli, ma poi mi chiedo che cosa potrei dirgli. Che mi piace un casino e che vorrei scopare ancora con lui? Non è solo questo, lo so. Vorrei poterlo frequentare un po’, conoscerlo meglio e capire se quello che provo è solo una cotta passeggera. E lui, che cosa prova? Niente, assolutamente niente: non c’è nessun interesse da parte sua, questo è evidente, altrimenti non mi cercherebbe ogni tre mesi. Mi usa quando gli servo. Il nostro è un rapporto di lavoro.

 

Passano tre giorni e mi rendo conto che il pensiero va in continuazione a Giovanni. Mi dico che potrei telefonargli e chiedergli quanto vuole per una scopata. Lui non è un escort, magari però si farebbe due risate e accetterebbe.

Ovviamente io non telefono mai ai clienti: è una questione di professionalità. Se vedo che qualcuno mi ha cercato, lo richiamo, altrimenti evito di farmi vivo io.

Per fortuna Giovanni mi cerca. Però lo fa mentre io sono al lavoro. Quando il cliente se ne va, vedo che c’è una sua chiamata. Mi dà molto fastidio che il cuore acceleri i battiti quando vedo il suo nome.

Gli telefono subito.

- Ciao, Giovanni, ho visto che mi hai cercato.

- Sì. Volevo sincerarmi che non fosse passato nessuno da te. Parlo dei nostri amici stranieri.

Pensa che il suo telefono possa essere sorvegliato? In fondo per avvisarmi ha preferito vedermi di persona, l’altro giorno.

- No, nessuno.

- Ne ero sicuro. Hanno capito chi sei e che non c’entravi un cazzo.

- Meglio così.

- Sì, meglio così.

C’è un momento di silenzio. Adesso lui riattaccherà. Non voglio. Gli dico:

- Sono contento che tu abbia chiamato. Avevo pensato di telefonarti io, ma non lo faccio mai con i clienti. Non è professionale.

- Con me puoi farlo, nessun problema. Che cosa volevi dirmi?

Rido.

- Una cazzata. Volevo chiederti una cosa.

- Dimmi.

Ho detto bene: è una cazzata. Mi sono già pentito di aver parlato. Avrei dovuto dirgli che volevo solo sapere se c’erano novità con i russi, ma ormai non sarebbe più credibile.

Lui dice ancora:

- Allora?

Mi rendo conto che non ha senso, non posso chiedergli quanto vuole per scopare con lui. Non è una battuta divertente. È stupido.

- Non mi dire che non trovi le parole, Luca.

Chino la testa. Mi verrebbe da premere il tasto rosso e chiudere la chiamata. È ancora Giovanni a parlare:

- Possiamo vederci, Luca, se hai piacere. Magari ti è più facile.

- Sì, mi farebbe piacere vederti, senza nessuna fottuta busta di mezzo. Oppure, se vuoi, pago io.

Giovanni ride:

- Sarebbe una bella idea, ma direi che ne possiamo fare a meno. Vieni da me, vengo io da te, ci vediamo in terreno neutro?

Esito un attimo, poi mi decido per casa sua: sono curioso di vedere dove abita, com’è la sua casa. È un modo per conoscerlo un po’ di più.

- Verrei da te.

Poi mi viene in mente Davide e gli chiedo:

- O c’è tuo figlio?

- No, stanno tutti e due con la madre. In realtà Mauro fa l’Erasmus a Copenaghen.

Quindi ha due figli e non uno. Ed è separato. Mi è venuto da chiedergli se Davide era con lui, non ho pensato alla moglie o alla compagna, che pure deve avere (o avere avuto), se ha fatto un figlio.

Mi dà il suo indirizzo.

- Sono lì tra mezz’ora, Giovanni.

Mi rendo conto di essere alquanto agitato. Mi faccio una rapida doccia. Mi cambio la biancheria, anche se l’avevo messa pulita questa mattina. Chiamo un taxi mentre scendo.

Giovanni abita al terzo piano di una bella casa d’epoca. Mi apre la porta e sorride. È vestito con giacca e cravatta. Io invece ho scelto un abbigliamento curato, ma sportivo.

- Sono contento che tu sia venuto, Luca.

Mi fa entrare. Ampio ingresso, da cui passiamo in un salone luminoso, con un arredamento essenziale, moderno e molto elegante. Predomina il bianco delle pareti, del divano e delle poltrone, e il verde delle piante.

- Siediti, Luca, e rilassati.

Lo guardo e sorrido.

- Si vede così tanto che sono teso?

Lui non risponde, si limita a dirmi:

- Lo sono anch’io.

- Tu? E perché?

- Perché non so bene che cosa nascerà da questo nostro incontro.

Ci guardiamo negli occhi. Lui sorride. Sembra sicuro di sé, ma colgo nella sua espressione un’attesa.

È lui a parlare:

- Che cos’è che volevi dirmi, Luca?

Lo guardo. Respiro a fondo e dico:

- Che mi piaci un casino, Giovanni. E che vorrei conoscerti meglio. E capire se per te sono solo una puttana da usare quando serve o se anch’io ti piaccio.

Giovanni sorride.

- Anche tu mi piaci un casino, Luca. E anch’io vorrei conoscerti meglio. E capire se per te stare con un uomo e scopare è solo una questione di soldi o ci può essere altro.

Lo guardo fisso. Mi sento più tranquillo, ora:

- Abitualmente è solo una questione di soldi, ma credo che con te potrebbe essere diverso.

Giovanni annuisce.

- Allora possiamo giocare a carte scoperte.

Fa una pausa e prosegue:

- Mi hai colpito molto, Luca. Mi erano piaciuti i tuoi filmati, ma quando ti ho parlato, quando Davide è venuto da te… insomma, mi sei piaciuto moltissimo. Ma sul tuo sito sei molto chiaro: scopi per soldi, non ti interessano relazioni.

Annuisco e dico, sorridendo:

- Sì, devo difendermi.

- Lo capisco. Perciò ho lasciato perdere, ma ho pensato spesso a te. E ho deciso di sorprenderti. Non sapevo bene come fare. Ma quando mi sono ritrovato un biglietto libero per la serata alla Scala, ho deciso di invitarti. Ti pagavo per quelle ore, solo per stare con me. Ero curioso di vedere se poi mi avresti invitato a salire, ma ovviamente non l’hai fatto.

- Non mi è sembrato che lo volessi.

- No, o mi invitavi senza nessuna pressione da parte mia o non valeva la pena.

Un momento di pausa.

- Ho deciso che era assurdo e che era meglio lasciar perdere. Poi c’è stata la faccenda di Nikolaj. Avevo bisogno di fotterlo, commercialmente, intendo, e ho pensato che servirmi di te fosse una buona idea. Ma quella sera, averti vicino, che giocavi a fare l’innamorato… merda! Era bello, Luca. Mi piaceva, mi piaceva un sacco la tua tenerezza, anche se era simulata. Quando ti ho riaccompagnato a casa, avevo la tentazione di dirti di lasciar perdere e di non andare da Nikolaj. Poi mi sono detto che non aveva senso.

Incomincio a capire. Mi sembra che siamo andati avanti su binari paralleli, evitando un incontro che entrambi volevamo.

- E infine ho deciso di fare ancora un tentativo. Ho inventato la faccenda dell’omicidio di Nikolaj…

- Inventato? Cazzo! Vuoi dire che non è vero…

- No, non è vero. Nikolaj è un coglione che probabilmente fa anche affari sporchi in Russia, ma non mi risulta che la mafia voglia eliminarlo. È vivo e vegeto.

Scuoto la testa, incredulo.

- Così ti ho agganciato di nuovo, ma ripromettendomi che sarebbe stata l’ultima volta. Credo che avrei mantenuto. Quando abbiamo parlato al bar, ho concluso che era del tutto inutile e così ho deciso di chiudere. Ma quando ti ho detto che me ne andavo e tu mi hai risposto che c’era ancora tempo… cazzo! Il desiderio è esploso e… abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, anche se avevo deciso che non avrei mai scopato con te a pagamento.

Giovanni guarda verso la finestra, poi si volta verso di me e conclude:

- Questo è tutto.

Rido, sollevato e felice.

- Sei una testa di cazzo, Giovanni, e pure uno stronzo. Questa faccenda di Nikolaj non te la perdono. Non sai che cosa dovrai fare per farti perdonare.

Giovanni ha capito benissimo il senso del mio discorso.

- Farò tutto quello che vuoi. O quasi.

Mi sporgo verso di lui, gli afferro la cravatta, lo tiro verso di me e lo bacio sulla bocca, poi spingo la lingua tra le labbra, mentre le mie mani si infilano sotto la sua giacca. Giovanni non rimane inattivo e in breve ci ritroviamo tutti e due sulla mia poltrona, con qualche indumento in meno e gli altri piuttosto in disordine.

Dopo un nuovo bacio, Giovanni si stacca e mi dice:

- Passiamo in camera da letto e facciamo le cose con calma?

- Volentieri.

- L’altra volta ti ho preso come un animale, lo so.

Rido e gli dico:

- È stata una delle migliori scopate della mia vita.

Lui sorride. Chiede, malizioso:

- Ti piace un po’ di violenza?

- Mi piaci tu.

Mi rendo conto di essermi scoperto del tutto, ma va bene così.

Giovanni si alza, mi mette le mani sui fianchi e mi fa alzare, poi mi prende la destra e mi guida alla camera da letto. Mi aspettavo una camera da letto moderna, come il salotto, ma c’è un vecchio guardaroba di legno, probabilmente di fine Ottocento, e un letto matrimoniale anch’esso d’epoca, con due comodini.

Giovanni mi spinge sul letto, si stende su di me e riprendiamo a baciarci, stringerci, accarezzarci, spogliarci. Addosso ci è rimasto molto poco. Ci stacchiamo un momento per liberarci di quello che è di troppo (tutto è di troppo in questi casi), poi ricominciamo con i nostri giochi, ma il desiderio preme: ormai abbiamo tutti e due il cazzo duro. Dico a Giovanni:

- Alzati. Voglio vederti. Voglio vederti nudo e con il cazzo in tiro.

Lui ride. Mi piace vederlo ridere.

Obbedisce e si alza. Ha un signor cazzo, devo riconoscerlo. E mi piace.

Scivolo a terra, in ginocchio, avvicino la bocca e afferro il boccone succulento. Mi metto a succhiarlo con energia, mentre le mie mani stuzzicano i suoi coglioni (senza molta delicatezza: gli rendo la pariglia dell’altro giorno). Lui si china su di me, le sue mani scorrono sulla mia schiena, fino al culo, un dito scivola sul solco, stuzzica l’apertura.

- Basta così, Luca, o vengo.

Mi stacco e lo guardo.

- Non vuoi venire?

- Vorrei prenderti ancora. È stato bellissimo prenderti, sentirti mio.

Annuisco e mi stacco. Giovanni prende dal cassetto del comodino un preservativo. Io glielo prendo e, rimanendo in ginocchio, apro la bustina e glielo infilo. Mi piace srotolarlo, vederlo coprire questo bel cazzo. Lui si china, mi mette le mani sotto le ascelle, mi solleva, mi bacia, mi volta e mi fa appoggiare il petto sul letto. Mi sento un giocattolo nelle sue mani e desidero esserlo. Sento la sua saliva sull’apertura, poi le sue dita che stuzzicano, si infilano, giocano con il mio buco del culo e poi infine il suo cazzo che si affaccia ed entra da padrone. Lui si stende su di me, mi accarezza, mi morde una spalla, poi il lobo di un orecchio. Incomincia a muoversi ed io gemo di piacere.

È una bella cavalcata, lunga, potente. Il suo cazzo mi scava in culo, le sue mani mi accarezzano, mi pizzicano, mi stuzzicano. Infine lui geme e viene dentro di me.

Sto bene così, il suo cazzo ancora gonfio di sangue e caldo in culo, ma il desiderio preme.

Lui mi arrotola un ciuffo di capelli con un dito e mi chiede:

- Non sei venuto. Che cosa vuoi fare?

- Ti va bene se ti rendo il favore?

Lui ride:

- Mi va bene tutto, con te.

Scivola via, butta a terra il preservativo, mi sorride mentre mi alzo, mi guarda, poi si mette com’ero io.

Prendo anch’io un preservativo dal cassetto rimasto aperto e me lo infilo, mentre guardo il suo culo. Mi piace il suo culo. Appoggio le mani sulle sue natiche e le divarico un po’, guardando il buco. Lascio colare un po’ di saliva. Poi avvicino la cappella e spingo, entrando. La carne oppone resistenza: Giovanni non deve prenderselo spesso in culo. Non so perché, ma questo mi fa piacere. Mi stendo su di lui e mi muovo lentamente, mentre le mie mani percorrono il suo corpo. Il desiderio preme, ma non voglio venire subito. Mi fermo, aspetto che l’eccitazione cali un po’, poi riprendo a muovermi. Più volte devo interrompere la cavalcata, finché infine il desiderio è troppo forte. Allora accelero le spinte e vengo, travolto da un’ondata di piacere intensissimo.

 

Ora siamo distesi sul letto, abbracciati.

- L’altra sera, quando pensavo che stavi scopando con Nikolaj e che ti avevo messo io tra le sue braccia… Merda! Ero furente con me stesso!

Rido. La gelosia di Giovanni mi fa piacere.

- Non è granché a letto, il tuo amico russo, anche se è convinto di essere uno stallone formidabile. Ma voleva sapere che cosa facevi.

- Gli hai detto che me lo mettevi in culo, vero?

- Certo, come mi avevi detto tu.

- Be’, adesso è vero.

- Anche il contrario è vero.

Lui sorride. Io proseguo:

- Voleva anche sapere se ti facevi pisciare in bocca.

- E tu che cosa gli hai risposto?

- Non ho risposto. Non mi avevi dato indicazioni in proposito.

Giovanni rimane in silenzio, poi dice:

- Per me nel sesso c’è molto del gioco. Non ho limiti, confesso, ma solo se uno mi piace davvero. La domanda potrebbe avere una risposta affermativa in futuro, ma Nikolaj non avrà modo di portela, perché se si avvicina a te, fa davvero la fine che ti ho raccontato.

Corrugo la fronte, fingendomi preoccupato.

- Spero che tu non sia geloso… Con il mestiere che faccio sarebbe un problema.

Giovanni ride.

- No. Dei tuoi clienti no. Ma di chi cerca di rubarti a me, sì.

 E dopo averlo detto, mi bacia sulla bocca.

 

2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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