Affari di famiglia La
famiglia di mio padre era la classica tribù: erano otto fratelli, tutti
maschi, sposati (a parte zio Marco) e con svariati figli. Tre erano rimasti al
paese o nelle vicinanze, gli altri cinque avevano lasciato la Calabria,
sparpagliandosi nelle città del Centro e del Nord, come mio padre e zio
Marco, che erano venuti a Milano. In estate si ritrovavano dai miei nonni in
Calabria: per tutti loro era inconcepibile trascorrere le vacanze da un’altra
parte, bisognava andare al paese e stare tutti insieme. Alcuni rimanevano a
lungo, altri solo due settimane, altri ancora venivano due volte, in periodi
diversi. Era un continuo andirivieni di gruppi familiari che arrivavano e
ripartivano. Due
dei fratelli che vivevano in Calabria avevano ognuno una propria casa, il
terzo stava con i nonni. Quelli che scendevano dal Nord dormivano per lo più
a casa dei miei nonni, che era grande, ma a luglio e soprattutto ad agosto,
con il ritorno dei vari fratelli sparsi per l’Italia e delle loro famiglie,
c’erano momenti in cui era affollata all’inverosimile. Ma tutti sembravano
preferire stare stipati nella casa dei miei nonni, piuttosto che accettare
l’ospitalità degli altri fratelli: in realtà gli piaceva stare insieme. E ad
agosto anche gli zii che vivevano nelle vicinanze, quando non lavoravano
stavano gran parte del tempo a casa dei genitori: a cena eravamo spesso
trenta o quaranta. Le donne di famiglia passavano molte ore a preparare da
mangiare. Erano appena iniziati gli anni ’70 e nel paese poco era cambiato
rispetto ai decenni precedenti. L’estate
in cui compii diciassette anni eravamo talmente tanti, che io e mio cugino
Nunzio fummo messi a dormire sul tetto dell’ovile, che era piatto e si
raggiungeva con una scala a pioli. Mia madre non era entusiasta dell’idea:
secondo lei avremmo benissimo potuto dormire in una stanzetta dove stavano
Giovanni e Marco, due fratelli di mio padre. Ma i due zii non erano d’accordo
e in effetti stendendo altri due materassini a terra, nella camera non ci si
sarebbe potuti muovere. L’alternativa era il fienile, ma scegliemmo il tetto. Non
mi spaventava certo l’idea di dormire all’aperto e con Nunzio stavo
benissimo: avevamo la stessa età e, anche se ci vedevamo solo in estate,
eravamo piuttosto affiatati. Lui viveva in un paese vicino, ma a luglio e
agosto passava buona parte del tempo con i nonni: i genitori lavoravano
entrambi ed erano ben felici di toglierselo di torno. La
prima sera salimmo sul tetto con la scala e ci stendemmo. Era una splendida
serata, calda ma non afosa, e si stava bene all’aperto. Ci spogliammo
completamente. Non ci vergognavamo certo a metterci nudi: un po’ perché ci
conoscevamo fin da quando eravamo bambini e un po’ perché nella famiglia di
mio padre il senso del pudore era piuttosto scarso. Spesso facevamo il bagno
tutti insieme e avevo avuto modo di vedere nudi i miei zii e i cugini maschi.
Per inciso, tutti con una buona dotazione: Nunzio diceva che in paese i Donato,
che eravamo noi, li chiamavano Minchiagrossa. Non
so se fosse vero, Nunzio ogni tanto inventava o almeno arricchiva un po’ la
realtà, ma non era impossibile. A scuola i compagni mi prendevano in giro
dopo quella volta che, negli spogliatoi, uno mi aveva abbassato le mutande e
tutti mi avevano visto. Essere preso in giro perché l’avevo grosso non mi
infastidiva, anzi: mi inorgogliva. Quell’anno
però a volte mi sentivo un po’ a disagio. A scuola avevo avuto le prime
esperienze. Non parlo di seghe collettive, come quelle che ci facevamo spesso
al paese e che non avevano nessuna rilevanza. Erano successe cose che mi
avevano turbato. Quella sera ne parlai a Nunzio. Noi eravamo arrivati in
mattinata e Nunzio e io non avevamo avuto modo di rimanere da soli. Sul tetto
dell’ovile però ci confidammo. Prima parlammo un po’ degli studi, poi lui
domandò: -
E com’è andata quest’anno con le femmine, Tonio? Ti sei fatto la ragazza? -
No, ma… l’ho fatto, Nunzio. L’ho fatto con una che ha vent’anni. -
Venti?! Minchia! Come hai fatto? Raccontami, dai. Nunzio
aveva avuto il suo primo rapporto l’anno precedente e me l’aveva raccontato.
Io gli narrai quello che era successo: -
Mi hanno invitato a una festa, un ragazzo di quinta che conoscevo appena. -
E come mai uno di quinta, che ti conosce pure poco, ti ha invitato? -
Credo… quest’inverno nello spogliatoio, una volta per scherzo un compagno mi
ha tirato giù le mutande. Da allora mi prendono in giro perché ce l’ho
grosso. Secondo me mi ha invitato per quello. -
Voleva che glielo mettessi in culo? -
Ma no, che dici?! Credo… forse gliel’ha detto la ragazza. -
Quella di vent’anni? -
Sì, gli ha detto: invitalo, così me lo faccio. È una che va con tutti.
Insomma, alla festa, sai com’è, luci soffuse, si ballava stretti. Tutti si strusciavano,
qualcuno scompariva in un’altra stanza. ‘Sto tizio
aveva una casa enorme e i suoi mica c’erano. -
Magari potessi partecipare a una festa così. In questo buco del culo di posto
feste così non se ne fanno. Eravamo
nel 1971 e nei paesi della provincia calabrese in effetti non si tenevano
certo feste di quel tipo. Nunzio
riprese: -
Va’ avanti, dai. -
Insomma, c’era questa ragazza, che faceva quinta anche lei, come il padrone
di casa, ma ha un anno in più perché ha ripetuto. Si è avvicinata a me, mi ha
sorriso, io l’ho invitata a ballare. Abbiamo ballato stretti stretti e lei si è strusciata contro di me. Minchia,
Nunzio, mi è diventata dura in dieci secondi. Allora
quando tornavo al paese riprendevo a dire “minchia” invece di “cazzo”, che avevo
imparato al Nord e a Milano ormai mi veniva più naturale. -
Insomma, Nunzio, io ero lì, la minchia dura, lei che sorrideva. Non sapevo
che minchia fare. Lei lo sapeva benissimo, la troia. Mi ha preso per mano e
mi ha portato nel corridoio. Ha aperto una porta, ma erano in quattro o
cinque a scopare, lì dentro. Siamo andati oltre. Siamo entrati in una camera,
abbiamo chiuso la porta e ci siamo spogliati tutti e due. E poi abbiamo
scopato. Nunzio
voleva sapere tutti i dettagli e io glieli raccontai. Nel racconto trascurai
l’incertezza con cui mi ero mosso, la vergogna che avevo provato e le
sensazioni non proprio esaltanti. Calcai invece la mano sulle mie
prestazioni, credo quanto mai ordinarie, e sul presunto entusiasmo della
ragazza. -
E poi? Non l’hai cercata? -
Sì, certo, viene nella mia stessa scuola. Ma sai com’è, quella vecchia
canzone di Battisti, Dolce di giorno,
no? Lei, il contrario. Quella sera era una troia in calore. Ma quando ho
cercato di avvicinarmi di giorno, mi ha guardato come se fossi uno stronzo
appena cacato da un cane per strada. -
Non era stata soddisfatta? -
Ma no, è che ho tre anni in meno di lei, non voleva mica farsi vedere in giro
con un moccioso. -
Che stronza! -
Già! -
E non hai combinato altro? -
No… Esitai
un po’. -
No? Il
tono di Nunzio era chiaramente ironico. Aveva colto la mia esitazione. -
Insomma, c’è stata una faccenda… ma non lo raccontare a Tommaso. Tommaso
era un altro cugino, che aveva tre anni in più e con cui passavamo molto
tempo, ma con lui non avevo la stessa confidenza. -
Sarò muto come un pesce. -
Sono stato invitato un’altra volta a una festa di ragazzi più grandi. -
Lo stesso che ti ha invitato per la ragazza? -
No, un altro, anche lui di quinta. -
E lì che cosa è successo? -
Io mi annoiavo. Le ragazze non mi consideravano. Ne avevo invitata qualcuna a
ballare, ma mi dicevano di no. A un certo punto uno, si chiama Enrico, fa
terza, l’ha fatta quest’anno, adesso andrà in quarta, mi invita ad andare in
una camera dove “ci si divertiva”. -
E tu? -
Io ci sono andato. Erano quattro maschi e una femmina. Tutti nudi. Ci
spogliamo anche noi. Io ero un po’ in imbarazzo, così, davanti agli altri.
Uno si avvicina, mi guarda la minchia, dice “Bel cazzo!” e la prende in mano.
Gli ho chiesto “Che cazzo fai?”, ma lui si è messo a massaggiarla. Nunzio, lo
sai com’è, no? Mi stava diventando dura. Lui si è chinato e me l’ha presa in
bocca. -
Minchia! -
E lecca e succhia e passa la lingua sulle palle e… non capivo più niente,
Nunzio, te lo giuro, più niente capivo. Ero completamente rincoglionito. E
questo che me la succhiava. Minchia! -
E poi? -
E poi gli sono venuto in bocca. E lui ha bevuto, tutto. Poi si è staccato.
Intanto uno ha dato il cambio all’altro sulla ragazza. -
E tu? -
Io mi sono tirato su i pantaloni e sono venuto via. -
Perché? -
Non me la sentivo. Con tutti quelli. Non lo so. Quello che me l’ha succhiata.
È una roba da froci. In
realtà mi era piaciuto, più della scopata con la ragazza, ma mi sarei
vergognato a raccontarlo. E la faccenda mi aveva comunque scombussolato. Nunzio
rise. -
È quello che fanno zio Marco e zio Giovanni in questo momento, puoi
scommetterci. Io
rimasi di sasso. Marco e Giovanni erano i due fratelli di mio padre che in
quelle notti dormivano nella stanzetta. Zio Marco lo conoscevo benissimo:
viveva anche lui a Milano ed era spesso a cena da noi o a pranzo la domenica.
Zio Giovanni era sposato e aveva cinque figli, ma adesso era qui con tre dei
ragazzi e senza la moglie, rimasta a Roma con i due ragazzi più grandi, che
già lavoravano. -
Ma… figurati! No, non è possibile! Ma davvero? -
Certo, scopano sempre quando sono qui e zia Maria non c’è. Scopano anche
quando la zia c’è, ma allora lo fanno nel bosco. L’anno scorso li ho spiati. -
E non mi hai detto niente, stronzo! -
Eri già partito. L’ho scoperto solo a fine agosto. -
Ma zio Marco… e zio Giovanni che è sposato. Pure quando c’è la moglie. Nunzio
rise di nuovo: -
Magari la moglie non vuole prenderselo in culo. -
Ma… davvero… Nunzio
mi raccontò quello che aveva visto, con tutti i dettagli del caso. Io mi resi
conto che mi stava diventando duro. La cosa un po’ mi turbava. Con Nunzio
c’eravamo anche fatti qualche sega insieme, ma qui si parlava di uomini che
scopavano. Anche a Nunzio però era diventato duro. La luce delle stelle mi
permetteva di vedere il suo profilo e la massa del cazzo. Nunzio
concluse il suo racconto: -
Insomma, prima zio Marco l’ha preso in bocca, come ha fatto con te quel tizio
alla festa, poi in culo. -
Gli zii, chi l’avrebbe mai detto?! Ero
disorientato. Ed eccitato. Nunzio
mise tranquillamente la sua mano sul mio cazzo. Fu come una scossa elettrica.
Sussultai. Nunzio disse: -
Potremmo provare anche noi, no? Un bel 69. Sapevo
che cos’era un 69, ma l’avevo sempre immaginato tra un uomo e una donna. -
Un 69, tra maschi? -
Perché no? La
mano di Nunzio sul mio cazzo mi impediva di ragionare o forse sarebbe meglio
dire che spingeva i miei pensieri in un’unica direzione. Nunzio si girò e si mise
su un fianco, in modo che la sua faccia si trovasse davanti al mio cazzo. -
Dai, mettiti in posizione, così vediamo com’è. Mi
bastò girarmi verso Nunzio per trovarmi il suo grosso cazzo davanti alla
faccia. Esitai. Nunzio incominciò ad accarezzarmi la cappella con la lingua e
poi l’avvolse con le labbra. Sussultai di nuovo e, con la sensazione di
tuffarmi al buio, glielo presi in bocca. Non sapevo bene come muovermi, non
avevo mai fatto niente del genere, ma non volevo tirarmi indietro. Quello
che stavo facendo mi faceva un po’ senso: non avevo mai preso in bocca il
cazzo di un uomo, non ne avevo mai sentito il calore, la consistenza,
l’odore. Quello che Nunzio stava facendo a me era splendido. E, sarà che le
sensazioni che mi trasmetteva la bocca di Nunzio erano troppo forti, sarà che
intanto mi stavo abituando, anche succhiargli il cazzo non mi dispiaceva per
niente. Venni
poco prima di Nunzio, che quando sentì il getto, si staccò. Io feci lo
stesso. Ci pulimmo e ci stendemmo di nuovo come prima. Ero alquanto turbato. Nunzio
disse: -
Non è mica male. Bofonchiai: -
No, no… -
Domani ti faccio vedere una cosa, ma adesso è ora che ci mettiamo a dormire.
Buona notte, Tonio. -
Buona notte. Nonostante
il mio turbamento, mi addormentai in fretta. Il
giorno seguente, dopo aver fatto colazione, lavorammo tutti a risistemare il
vecchio fienile. I nonni non tenevano più tanti animali come un tempo:
avevano ancora le galline, i conigli e una dozzina di pecore. Il fienile
serviva come magazzino, ma aveva bisogno di manutenzione. I mesi estivi erano
sempre l’occasione per fare qualche lavoro alla casa e tutti i fratelli
partecipavano con entusiasmo. Io
guardavo gli zii, in particolare Marco e Giovanni, e ripensavo a quello che
mi aveva detto Nunzio. Mi sembrava incredibile. Lavoravano tutti alacremente,
a torso nudo, e guardavo affascinato i rivoli di sudore che scorrevano sul
petto e sulla schiena di questi maschi alquanto villosi. Li sentivo prendersi
per il culo, in un continuo gioco di battute, quasi sempre centrate sul
sesso. Li vedevo scherzare spintonandosi e mettendosi le mani addosso. Nulla
di nuovo rispetto a come li avevo sempre visti, ma dopo il racconto di
Nunzio, tutto mi appariva in una luce diversa. In
tarda mattinata, dopo aver concluso il lavoro, ci allontanammo dalla cascina.
Io chiesi: -
Ma davvero zio Marco e zio Giovanni lo fanno anche loro? -
Fanno ben altro. E… -
E…? -
La seconda volta ho visto zio Marco bere il piscio di zio Giovanni! -
Cosa?! Mi sta pigliando per il culo. Non è possibile! -
No, ti assicuro. Zio Giovanni ha detto che doveva pisciare e zio Marco si è
inginocchiato davanti a lui. Giovanni gli ha pisciato in bocca. E poi si sono
baciati. -
Che maiali! L’idea
di zio Marco che beveva il piscio di zio Giovanni mi sembrava incredibile. Nunzio
rise. Parlammo d’altro, ma dopo pranzo Nunzio mi disse: - Zio Enzo mi ha dato
qualche fumetto… Enzo viveva in paese, ma
si spostava spesso per lavoro, all’interno della regione. - Lo zio legge ancora i
fumetti? Nunzio rise. - Non sono fumetti per bambini… - Che cosa intendi? - Vado a prenderne uno. Il fumetto che Nunzio mi
fece vedere era un fumetto per adulti, di cui io conoscevo l’esistenza, ma
che non avevo mai avuto occasione di vedere. Era la storia di un soldato
inglese durante la seconda guerra mondiale. Paracadutato in Francia, veniva
ospitato da una ragazza con cui scopava. Il giorno dopo però i tedeschi lo
scoprivano e lo catturavano. Un ufficiale lo frustava e poi lo inculava, ma
attratto da lui, finiva per succhiargli il cazzo. La storia continuava, ma il
numero che Nunzio aveva finiva a quel punto. - Mica male come storia,
no? - Direi proprio di no.
Minchia! Sapevo che c’erano fumetti di questo genere, ma non ne avevo mai
visti. - Proviamo la scena nella
cella? - Quella dell’ufficiale nazista
e il prigioniero? Perché no? Ogni tanto ci divertivamo
a improvvisare qualche scena: eravamo due gladiatori che si affrontavano in
uno scontro mortale nell’arena o due cow-boy impegnati in un duello oppure
assaliti e uccisi dagli indiani. Lo facevamo fin da quando eravamo piccoli e
avevamo continuato a farlo crescendo. Con il tempo le nostre scene erano
diventate più complesse. Entrambi amavamo il teatro: Nunzio era in un gruppo
che metteva in scena spettacoli ispirati alle leggende popolari calabresi e
io avevo preso parte ad alcune recite al liceo. A queste scene ci
dedicavamo di solito all’aperto: avevamo i nostri posti segreti, dove non
rischiavamo di essere disturbati. Alle spalle della cascina un bosco si
inerpicava sul fianco della montagna e tra gli alberi e le rocce era facile
appartarsi. Nunzio prese nel fienile
una corda e raggiungemmo un grande faggio che era uno dei nostri luoghi
preferiti. Alcuni roccioni, resti di un’antica frana, lo isolavano e lo
nascondevano. Nunzio legò la corda al ramo
di un albero. Poi si spogliò completamente, sollevò le braccia e si passò la
corda intorno ai polsi: non era legato, avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi
momento, ma sembrava esserlo. Mi tolsi la cinghia dei pantaloni. - Adesso la pagherai,
inglese bastardo! La battuta non era
esattamente così, ma il senso era quello. Non stavamo recitando sul
palcoscenico, per cui l’importante era rimanere nella parte, anche usando
altre parole. - Non mi piegherai,
crucco. Colpii piano. Una, due,
tre volte. Al terzo colpo Nunzio
disse: - No, Tonio, così non va.
Devi colpire più deciso. Abbassai il braccio,
perplesso. Sapevo che cosa significava prendersi un po’ di cinghiate: mio
padre non era manesco, ma una volta aveva davvero usato la cinghia. Confesso
che me l’ero meritata. Ricordavo che avevo portato i segni per un bel po’ di
tempo. - Ma… ti rimarranno i
segni… - Un po’ di arrossamento
passerà presto. Al culo puoi colpire più forte. Anche se i segni rimangono
più a lungo, non è un problema. Farò attenzione a non farmi vedere se ci
bagniamo tutti insieme. Poi, cambiando tono,
Nunzio disse: - Non mi piegherai,
crucco. Lo colpii con decisione al
culo e lo vidi sussultare. - Crucco bastardo! Lo colpii ancora. Limitavo
la mia forza, perché non volevo fargli troppo male, ma le cinghiate
lasciavano il segno. Mi resi conto che mi piaceva frustarlo, mi piaceva
vedergli il culo arrossato e i segni, ora ben visibili. - Non mi piegherai,
bastardo! - La vedremo. A quel punto la scena
proseguiva con il nazista che inculava il prigioniero. Ero convinto che
avremmo recitato quella parte, come recitavamo le scene in cui ci
ammazzavamo. Mi dava l’occasione di strusciarmi un po’ contro di lui e dopo
l’esperienza della sera prima l’idea mi stuzzicava alquanto. Mi spogliai, come faceva
il nazista nel fumetto. Mi avvicinai a Nunzio e gli strinsi il culo con le
dita. Sussultò nuovamente: non ero stato delicato e la pelle era irritata
dalle cinghiate ricevute. - Ora ti faccio abbassare
la cresta. Gli appoggiai il cazzo sul
solco. - Che cazzo vuoi fare,
bastardo? Era la battuta del
prigioniero e io rimasi nella mia parte: - Mettertelo in culo. Risi. Nunzio disse: - Figlio di puttana! Poi aggiunse, in un
sussurro: - Inumidisci bene. Ebbi un attimo di
smarrimento. Avevo pensato che avremmo recitato, ma le parole di Nunzio mi
indicavano un’altra strada: dovevo incularlo davvero. Guardai il culo,
coperto da una peluria leggera, con i segni rossi lasciati dalle cinghiate.
Ero disorientato, ma il cazzo era teso allo spasimo. Mi dissi che se Nunzio
lo voleva, per me andava benissimo. Se avesse cambiato idea, mi avrebbe detto
di fermarmi. Inumidii la cappella,
sparsi un po’ di saliva sull’apertura e piegai leggermente le ginocchia per
poterlo infilzare. Con il cazzo premetti
contro l’apertura e lentamente, perché avevo paura di fargli male, spinsi
dentro. Lui disse la sua battuta: - Ti ucciderò, bastardo! Io simulai una risata. La
sensazione del mio cazzo che si infilava nel suo culo, forzando la carne, era
splendida. La posizione non era delle più comode, ma non ci badavo: il
piacere era troppo intenso. Fottere Nunzio mi trasmetteva sensazioni
fortissime, molto più della scopata con la ragazza. Mi piaceva stringergli il
culo con le dita, sentire il suo odore di sudore. Il contatto tra i nostri
corpi era bellissimo. Andai avanti a fotterlo,
cercando di far durare il piacere il più a lungo possibile. Infine venni. Mi ci volle un buon minuto
per calmarmi. Nunzio ripeté: - Ti ucciderò, bastardo! La scena proseguiva. Con
uno sforzo tornai a immedesimarmi nel personaggio e risposi come nel fumetto: - Ti è piaciuto, stronzo? - Ti ammazzerò, figlio di
puttana. Cercai di ridere e passai
davanti a lui. Eravamo faccia a faccia. Lui aveva il cazzo mezzo duro. Nel fumetto
quello del paracadutista era teso. Lo guardai. Lo avevo
succhiato la sera prima e ora l’avrei fatto di nuovo. - Ti piace, eh, crucco?! Lo guardai in faccia.
Ghignai. Feci quello che richiedeva la mia parte. Mi inginocchiai. Ora avevo
il suo cazzo davanti alla faccia. Lo guardai. L’avevo succhiato la sera
prima, ma era buio, non avevo avuto modo di vederlo. Era grosso, con la
cappella ancora in parte ricoperta dalla pelle, una vena in rilievo. Sentivo
l’odore, di sudore e piscio. - Leccalo, crucco! Nella scena l’ufficiale
cede al desiderio. Non avevo motivo per non farlo. Ero confuso, ma sapevo di
desiderarlo. Passai la lingua due volte dalla cappella alla base. Sentii il
gusto. - E ora succhialo, che è
quello che vuoi. Lo presi in bocca e
incominciai a succhiare. Posai le mani sul culo di Nunzio e strinsi con
forza, mentre le mie labbra e la mia lingua giocavano con il suo cazzo.
Continuai, sempre più eccitato, finché Nunzio venne. Questa volta non mi
avvertì e quando sentii la scarica non mi ritrassi. Avevo già assaggiato il
mio sborro, ma era la prima volta che bevevo quello di un altro maschio.
Lasciai che un po’ di sborro mi colasse dall’angolo della bocca, come nel
fumetto: eseguire le azioni e dire le battute della storia mi permetteva di
tenere una direzione, di non cedere alla confusione che avevo in testa. Mi alzai e fissai Nunzio
negli occhi. Lui disse la sua battuta: - Ti è piaciuto, crucco! - Come a te è piaciuto
prendertelo in culo, bastardo. Il numero del fumetto
finiva così. Nunzio sciolse le mani.
Poi disse: - Niente male, questa
scena. Niente male. Il male ce l’ho al culo, però. Nunzio ridacchiò, ma mi
sembrava che fosse un riso un po’ forzato. Anche a me andava bene non parlare
seriamente di ciò che avevamo fatto: ero piuttosto turbato. Perciò risposi
sullo stesso tono: - A me la bocca non fa
male, però non è che il tuo sborro abbia un buon gusto. Nunzio ridacchiò di nuovo.
Aggiunse: - Vediamo che cosa succede
nell’episodio successivo. - Non ce l’hai? - No, ma quando riporto
questi, lo zio me ne dà altri. Due
dei fratelli se ne andarono: sarebbero tornati due settimane dopo. Arrivarono
mio padre e la moglie di zio Giovanni con gli altri due figli. Ci fu una
ridistribuzione delle camere e ci sarebbe stato un posto anche per me e
Nunzio, in due camere diverse, ma noi dichiarammo che avremmo continuato a
dormire sul tetto dell’ovile finché non fosse piovuto. Nunzio
disse: -
Domani gli zii vanno a scopare nel bosco. Li seguiamo e li guardiamo. Che ne
dici, Tonio? Non
risposi subito. L’idea mi piaceva moltissimo, ma mi spaventava. -
Minchia, Nunzio! Se ci scoprono? -
Non ci scoprono, non si guardano neanche intorno. E possiamo sempre dire che
stavamo andandocene a spasso. Il
giorno dopo rimanemmo vicino alla casa e quando gli zii si allontanarono,
prendendo il sentiero del bosco, li seguimmo a distanza. Io avevo il cuore
che batteva forte. Seguire qualcuno senza farsi vedere non è facile. Certo,
come diceva Nunzio, se ci avessero scorti, avremmo potuto dire che stavamo
facendo anche noi una passeggiata. Ma mi sarei vergognato come se mi avessero
sorpreso a rubare. Gli
zii però camminavano tranquillamente, scherzando tra di loro. Una sola volta
ebbi l’impressione che zio Giovanni guardasse dalla nostra parte. A
un certo punto si infilarono in una zona in cui gli alberi erano molto fitti.
Aspettammo un buon momento, poi, muovendoci con molta cautela, ci
avvicinammo. Io ero agitatissimo. Arrivammo in un punto dove potevamo
vederli, almeno in parte. Non potevamo avvicinarci di più senza correre il
rischio di essere scoperti. Zio
Giovanni e zio Marco si stavano baciando e intanto si spogliavano a vicenda.
Non che avessero molto da togliersi: una canottiera zio Marco, una maglietta
zio Giovanni, i pantaloni e le mutande. Le loro bocche si cercavano e poi si
ritraevano e intanto le mani sbottonavano, slacciavano una fibbia,
sollevavano una maglia, calavano i pantaloni. Presto furono entrambi nudi,
tutti e due con il cazzo mezzo in tiro. Non
riuscivo a distogliere lo sguardo da zio Giovanni, che era il maschio più
maschio che io conoscessi, grosso e peloso come tutti gli uomini della
famiglia, ma con una massa di muscoli di tutto rispetto e un cazzo...
favoloso. Zio
Marco si mise a quattro zampe. Zio Giovanni si mise dietro di lui, si
inginocchiò e gli passò più volte la lingua tra le natiche, poi si stese su
di lui. Gli sussurrava delle cose che noi non potevamo sentire. Avrei voluto
avvicinarmi, ma l’idea che potessero sorprenderci a spiarli mi spaventava. Zio
Giovanni spinse e vedemmo zio Marco sollevare la testa di scatto. Sentimmo il
suo gemito. Il fratello era entrato dentro di lui. Pensavo al cazzo che avevo
visto, grosso e duro, che si faceva strada nel culo di zio Marco. Ce l’avevo
duro, ovviamente. Vedere Giovanni fottere era uno spettacolo. Andarono
avanti a lungo. A un certo punto zio Giovanni afferrò il cazzo del fratello e
con il movimento della mano lo fece venire. Venne anche lui, perché lo
vedemmo aprire la bocca e chiudere gli occhi. Poi zio Marco si lasciò
scivolare a terra e rimasero così, Giovanni sopra, Marco sotto. Chiusero gli
occhi e credo che si abbandonassero al sonno. Nunzio però mi fece cenno di
andarcene e ci allontanammo. Tornando
verso la cascina, non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo visto. Mi
sembrava incredibile -
Non avrei mai detto, zio Giovanni che scopa con zio Marco. -
Secondo me i nostri zii scopano tutti tra di loro. -
Ma che minchia dici!? -
Sono cresciuti in otto in questa casa, otto maschi, allora trovare una donna
che ci stesse, qui in paese, figurati! E poi basta sentirli parlare tra di
loro. Non
sapevo se Nunzio avesse ragione per la faccenda dello scopare insieme, ma per
quanto riguarda i discorsi che facevano i fratelli quando erano insieme, era
vero. Non sembravano avere nessun pudore e se non c’erano le mogli, il sesso
era il loro argomento preferito. E poi c’era molta intimità tra di loro, si
abbracciavano spesso e non era raro vederli sdraiati sul prato a stretto
contatto. Due
giorni dopo zio Enzo ci diede altri fumetti. Incominciammo subito da quello
che ci interessava, la storia di cui avevamo messo in scena un episodio. L’ufficiale inculava
un’altra volta il prigioniero e poi gli succhiava il cazzo, ma il
paracadutista inglese ne approfittava per strangolarlo. La storia proseguiva:
l’uomo incontrava un’altra ragazza, che lo ospitava e con cui, ovviamente,
scopava. Anche nei due episodi successivi c’erano diverse scene di sesso, ma
tutte tra l’uomo e alcune donne: erano fumetti che si rivolgevano soprattutto
a lettori eterosessuali, a cui non spiaceva vedere ogni tanto il protagonista
o un altro personaggio coinvolto anche in rapporti omosessuali. - Va bene, domani
proseguiamo con la storia. Per me continuare la storia
significava metterlo in culo un’altra volta a Nunzio e ne avevo una gran
voglia. Non mi spiaceva neanche succhiarglielo di nuovo: ormai lo facevamo
tutte le sere. Dissi, ridendo: - Mmmm,
se mi strangoli, finisci in galera. - Farò sparire il tuo cadavere. Così il giorno dopo
inculai nuovamente Nunzio. Mi piacque molto. Ritornando
a casa, vedemmo zio Giuliano disteso su una coperta sull’erba e mio padre
accanto a lui, con la testa sulla sua pancia. Vedendo
che lo guardavo, mio padre mi sorrise e disse: -
È un cuscino comodissimo! Quell’intimità,
che avevo osservato molte volte e in cui non avevo mai visto niente di
strano, mi sembrava confermare le parole di Nunzio. Mi sembrò pure che zio
Giuliano ce l’avesse mezzo duro, perché c’era un rigonfio nei pantaloni.
Pensai che mio padre dormiva nella camera con zio Giuliano e che non mi aveva
chiesto se volevo dormire con loro: una brandina ci sarebbe stata. L’idea
che mio padre potesse scopare con uno dei fratelli mi turbava e la scartai.
Zio Giovanni e zio Marco scopavano tra di loro, magari anche qualcuno degli
altri lo faceva, ma questo non vuol dire che lo facessero tutti. Mio padre
non mi aveva proposto di dormire in camera con lui e lo zio, è vero, ma non
significava niente: io non mi ero lamentato perché dormivo sul tetto
dell’ovile. Nei
giorni seguenti tornammo a spiare gli zii che scopavano. Ma la quarta volta
che li seguimmo, quando arrivammo vicino alla piccola radura, non li vedemmo.
Prima che avessimo avuto il tempo di capire, comparvero alle nostre spalle. Zio
Giovanni rise e disse: -
Le altre volte lo spettacolo ve l’abbiamo offerto gratis. Adesso però, se
volete assistere ancora, dovete pagare pegno. Nunzio
rise e disse: -
Perché no? Non
appariva per niente sorpreso e mi chiesi se non si fosse messo d’accordo con
gli zii. Zio
Giovanni si rivolse a me: -
Che ne dici, Tonio? Il
fatto che chiedesse a me e non a Nunzio era una conferma dei miei sospetti. Deglutii
e dissi: -
Io… che cosa… Intervenne
zio Marco. -
Nunzio dice che Tonio ha un bel cazzo. Lo assaggerei volentieri. Giovanni, tu
puoi gustarti il culo di Nunzio, che già ti conosce. -
Va bene. A te va bene, Tonio? Annuii. Gli
zii e Nunzio si spogliarono in fretta. Io esitai un attimo, ma poi mi tolsi anch’io
gli abiti e rimanemmo tutti e quattro nudi. Zio
Marco si accovacciò davanti a me e senza perdere tempo prese in bocca il mio
cazzo, incominciando a succhiarlo e leccarlo. Nunzio
fece lo stesso con zio Giovanni, a cui venne duro subito. Allora lo zio
disse: -
A quattro zampe. Nunzio
non esitò. Lo zio si sputò sulla mano e gli sparse la saliva intorno al buco
del culo, poi si inumidì la cappella e con cautela lo infilzò. Non sapevo
come Nunzio riuscisse a reggere un cazzo di quelle dimensioni. Vidi sul suo
viso una smorfia di dolore, ma poi si rilassò e quando lo zio prese a
spingere, i suoi erano chiaramente gemiti di piacere. Il
mio cazzo si era messo sull’attenti e zio Marco si mise a quattro zampe.
Guardai il culo che mi si offriva, più grosso e molto più peloso di quello di
Nunzio. Mi piaceva, mi piaceva molto. Sparsi un po’ di saliva e poi entrai,
con una certa cautela. Lo zio accolse il visitatore con un grugnito di
soddisfazione. Mentre
fottevo zio Marco, guardavo zio Giovanni fottere Nunzio e mi sembrava che mi
venisse ancora più duro. Scendendo
verso casa, mi rivolsi a Nunzio: -
Tu avevi già scopato con lo zio, vero? Non
era neppure una domanda, perché le parole di zio Marco erano state
chiarissime. Nunzio non cercò di negare. -
Sì, l’estate scorsa. -
E sapevi che oggi ci avrebbero sorpreso. -
Sì, ci avevano visto già la prima volta e avevano capito che volevamo
spiarli. Questa mattina zio Giovanni mi ha detto che ci avrebbe fatto
partecipare, se tu eri d’accordo. Mi
chiesi se c’erano altre cose che Nunzio non mi aveva detto, ma non glielo
domandai. -
Non mi hai detto niente. -
No, è vero. Ma sapevo che lo zio non ti avrebbe forzato. Se non volevi,
dicevi di no e finiva lì. Era
vero, ma mi dava fastidio che Nunzio mi avesse tenuto nascosto diverse cose:
io con lui mi ero confidato, senza celare nulla. Non gliene parlai e il
nostro rapporto continuò come prima, ma mi rendevo conto di aver meno fiducia
in lui. Scopammo
alcune altre volte tra di noi e con gli zii. All’inizio
di agosto ci raggiunse mio fratello Alex, che aveva incominciato a lavorare
due anni prima, appena concluso l’istituto per geometri. Alex
aveva cinque anni in più di me e a Milano vivevamo in due mondi separati: lui
con i suoi amici più grandi, io con i miei. In Calabria le differenze di età
contavano poco. Il
giorno dopo il suo arrivo il cielo si coprì e verso sera incominciò a
piovere. Io e Nunzio dovemmo rientrare in casa. Nunzio si sistemò nella
camera dei suoi genitori e io con Alex, in uno stanzino dove stavano a
malapena i due materassini. -
Ma perché cazzo ti ostini a dormire sul tetto dell’ovile? -
Si sta benissimo. -
Sì, raccontala a un altro. Che è, scopi con Nunzio? Esitai
un attimo, preso in contropiede. Lui scoppiò a ridere e, mentre io cercavo di
negare, disse: -
Allora hai ragione a dormire sul tetto. Io
ero imbarazzato. Per quanto ci fosse una grande confidenza tra di noi – gli
avevo anche parlato della ragazza con cui avevo scopato – mi vergognavo. -
Ma no, noi… -
Tranquillo, Tonio. Qui metà dei maschi passa il suo tempo a scopare con
l’altra metà. Le
parole di Alex confermavano quello che mi aveva detto Nunzio. Avrei voluto
chiedergli di più, ma mi limitai a dire: -
È vero, zio Giovanni e zio Marco scopano insieme. Non l’avrei mai detto. -
Li avete spiati, vero? A
questo punto negare non avrebbe avuto senso. -
Sì. Nunzio sapeva dove vanno. -
Li ho spiati anch’io, due anni fa. Tonio, non sono gli unici. Volevo chiedergli se anche
nostro padre scopava con i fratelli, ma mi rendevo conto che preferivo non
saperlo. Alex rise e aggiunse: - Lo zio Giovanni è
bravissimo a scopare. La frase di Alex mi fece
nascere un sospetto. - Si direbbe che tu
l’abbia provato. Questa volta fu lui a
essere preso in contropiede. Si rese conto di aver parlato troppo, ma rise e
disse: - Tu no? - No. L’ho messo in culo a
zio Marco, ma con zio Giovanni non ho fatto niente. - A zio Marco piace
prenderselo in culo. E anche succhiare cazzi. Tu hai mai provato? - Sì, con Nunzio. E tu, a
chi l’hai succhiato? - A zio Giovanni e a
Nicola. Nicola
era uno dei nostri cugini. -
Ed è stato zio Giovanni a mettertelo in culo. Alex
rise di nuovo. -
Sei un bel curioso, Tonio! -
Io ti ho raccontato quello che ho fatto. -
E va bene. Zio Giovanni me l’ha messo in culo. È stato un po’ doloroso, ma valeva
la pena. Però adesso a forza di parlare di ‘ste cose, mi è venuto duro. -
Anche a me. -
Allora dobbiamo darci una mano. O la bocca. Optammo
per la bocca e così dopo mio cugino Nunzio e mio zio Marco fu la volta di mio
fratello Alex. Mi resi conto che non avevo più remore: ormai anche per me era
diventato normale scopare con gli altri maschi di famiglia. Un mese dopo,
rientrato a Milano, mi stupivo pensando a quello che avevo fatto nell’estate
e non ebbi mai la tentazione di ripetere l’esperienza con Alex, ma lì, in
quel paese arroccato sul pendio della montagna, era la cosa più naturale del
mondo. Nella
seconda metà di agosto la casa si svuotò. I miei genitori tornarono a Milano
con Alex e zio Marco: il viaggio in cinque non sarebbe stato comodo e io non
avevo fretta di rientrare. Decidemmo che sarei rimasto ancora una settimana:
sarei tornato fino a Roma con zio Giovanni e i cugini; di lì avrei proseguito
in treno fino a Milano. A quel punto al paese rimanevamo solo io, zio
Giovanni e due dei suoi figli, oltre naturalmente agli zii che abitavano in
zona. Il
giorno dopo la partenza dei miei, zio Giovanni mi chiese se avevo voglia di
fare una passeggiata nel bosco. Accettai
di buon grado, curioso di vedere che cosa sarebbe successo. -
Tonio, quest’estate ti sei divertito anche tu. Risi. -
Intendi dire… scopando? -
Certo. Il miglior modo per divertirsi, no? -
Sono d’accordo. -
Adesso siamo rimasti io e te, che non abbiamo mai scopato insieme, anche se
ci siamo visti all’opera. Annuii.
Sapevo dove lo zio voleva arrivare. Non ci girò intorno: -
Non te lo sei mai preso in culo, vero? Scossi
la testa. Zio
Giovanni sorrise e disse: -
Hai voglia di provare? Me
l’aspettavo, ma la proposta, così diretta, mi disorientò. Avevo paura, ma
avevo anche voglia di provare -
Zio, mi piacerebbe, ma… -
Hai paura che ti faccia male, vero? Sì, ti farà un po’ male, non c’è dubbio,
ma sarò molto attento e credo che il piacere sarà più forte del dolore. Se
invece non vuoi, nessun problema. Respirai
a fondo e annuii. Lui sorrise. Non dicemmo niente: ci dirigemmo verso il
posto dove avevamo scopato con Nunzio e zio Marco. Ci fermammo e ci
guardammo. Io stavo un po’ distante, ancora spaventato. Zio Giovanni sorrise
di nuovo e incominciò a togliersi i pochi indumenti che aveva addosso.
Guardai nuovamente il suo grosso cazzo, che già si stava tendendo. Si distese
supino sull’erba. Mi
avvicinai a lui e lo osservai. Mi sembrava che fosse magnifico. Cercando di
nascondere il mio turbamento mi spogliai. Lo zio mi tese un braccio e quando
gli porsi la mano, l’afferrò e mi tirò verso di sé. Mi stesi su di lui e ci
baciammo. Al secondo bacio infilò la sua lingua tra i miei denti. Aprii la
bocca, confuso, e la sua lingua si spinse fino a incontrare la mia. Poi
spinsi anch’io la lingua nella sua bocca. Intanto
le sue mani mi accarezzavano la schiena e stringevano forte il culo. Una
scivolò lungo il solco e sentii un dito premere contro il buco. Mi irrigidii,
ma il dito indugiò solo un momento, poi andò oltre. Ritornò poco dopo e
questa volta lo lasciai fare. Andammo
avanti un buon momento a baciarci e abbracciarci. Ero confuso, combattuto tra
il desiderio e la paura, per cui lasciai che fosse lui a stabilire i tempi.
Le sue mani accendevano il mio desiderio. Mi
afferrò e mi stese sulla schiena di fianco a lui. Le sue mani percorrevano il
mio corpo, in carezze, ora leggere, ora più decise. Poi si chinò su di me e
fu la sua bocca a esplorare il viso, il collo, il petto. Le sue labbra mi
succhiarono i capezzoli, poi avvolsero il cazzo, ormai perfettamente teso.
Succhiò un momento, infine si sollevò e con un movimento rapido mi voltò a
pancia in giù. Sapevo
che ora mi avrebbe inculato e provavo timore. Sentii la sua lingua scorrere
sul solco. Lo fece più volte ed era bellissimo. Gemetti di piacere. Lui
continuò. Ogni tanto si interrompeva e mi mordicchiava con delicatezza il
culo. Poi riprendeva a far passare la lingua e intanto le sue mani mi
accarezzavano, dalla schiena al culo. Ora la sua lingua indugiava sul buco,
pareva volerlo forzare. Io gemetti di nuovo: era troppo forte, troppo bello. Sentii
il suo peso su di me e quasi senza che me ne rendessi conto, fu dentro di me.
Non mi fece male, solo un po’ di fastidio. Le sue mani mi accarezzavano la
nuca, su cui deponeva dei baci. Poi mi mordicchiò una spalla e prese a
muoversi avanti e indietro. Ora che aveva incominciato a spingere, a tratti
era un po’ doloroso, ma era anche bello. Mi piaceva sentirlo dentro di me, mi
piaceva il movimento deciso con cui avanzava e poi si ritraeva. Andò
avanti a lungo e il dolore crebbe, ma il piacere rimase più forte. Arrivò
infine il momento in cui prese a spingere con più vigore, accelerando il
ritmo, e infine venne dentro di me con un gemito. Poi
si girò sulla schiena e rimanemmo distesi, lui sotto di me, io appoggiato su
di lui, il suo cazzo ancora in culo. Mi afferrò il cazzo con la mano e
lentamente mi portò al piacere. Mi piacque venire con il suo cazzo ancora in
culo, una presenza alquanto ingombrante, anche se era meno rigido e grande di
prima. Come
lo zio aveva previsto, era stato doloroso, ma anche molto bello. Ripetemmo
l’esperienza nei giorni seguenti, con alcune varianti. Una
volta gli chiesi se qualcuno dei fratelli gliel’aveva mai messo in culo. Era
una domanda alquanto indiscreta, ma considerando che la facevo mentre il suo
cazzo mi infilzava, non era neanche così sfacciata. Lui
mi sussurrò nell’orecchio: -
Sei un bel curioso. Comunque la risposta è sì. Giunse
infine il momento di tornare alle nostre case. Partimmo alle otto di sera,
dopo aver salutato i parenti. Zio Giovanni preferiva viaggiare di notte, per
evitare il traffico intenso. Sul
sedile posteriore i miei due cugini si addormentarono subito. Erano entrambi
più giovani di me. Zio
Giovanni mi sorrise e mi chiese: -
Allora, Tonio, come è andata questa vacanza? -
Bene… molto bene… certo non è stata come mi aspettavo. -
Non ti aspettavi… niente di quello che è successo? -
No. Non sospettavo proprio… non pensavo che… Scossi
la testa e non continuai: il messaggio era chiaro e non volevo che i miei
cugini svegliandosi potessero sentire qualche cosa di compromettente. Anche
lo zio controllava ogni tanto nello specchietto retrovisore che i figli
dormissero. -
Sei entrato a far parte del clan. -
Del clan? -
Quello dei maschi di famiglia, adulti o quasi. Con usanze particolari e
legami molto forti gli uni con gli altri. -
Molto particolari, in effetti. -
Siamo così, Tonio. Siamo nati nell’arco di 12 anni, otto maschi, tutti che
amano fottere. Rise. -
Domani mattina di quest’estate rimarrà il ricordo. L’importante è che sia un
bel ricordo. -
Lo è. -
Adesso dormi. Tanto non ho bisogno di chiacchierare per rimanere sveglio e domani
hai una giornata pesante: hai ancora parecchie ora di treno fino a Milano. Mi
addormentai e nei miei sogni ritornarono le immagini degli zii. Quando
mi svegliai eravamo fermi davanti a un bar, a pochi chilometri da Roma. Mi
stiracchiai. Scendemmo tutti e quattro a fare colazione. I miei cugini
andarono al bagno e rimasi solo con lo zio. Avrei
voluto dire qualche cosa, ma mi rendevo conto che ci eravamo detti tutto
quello che avevamo da dirci. L’estate era alle nostre spalle e noi ci
apprestavamo a rientrare nelle nostre vite quotidiane. Ciò che era successo
apparteneva a un’altra realtà. Zio
Giovanni mi accompagnò a Termini, dove comprai un biglietto per il primo
treno per Milano. Quando
mi fui seduto nel vagone, mi assalì la malinconia, perché avevo vissuto un
periodo intensissimo. Mentre mi riaddormentavo, mi dissi che ci sarebbero
state altre estati. Ci
furono. 2022 |