Il teatro chiude Fabrizio è steso sulla
scrivania, le gambe a terra, i pantaloni alle caviglie e il culo in aria. Ha
le mani legate dietro la schiena e la cravatta di Antonio intorno alla bocca,
come bavaglio rudimentale. Antonio è accovacciato dietro di lui. Gli sta
leccando il culo, spingendo a fondo la lingua. Poi Antonio si alza e infila
un dito in culo a Fabrizio, che sussulta. Estrae il dito e ne mette due. Li
muove più volte, stuzzicando l’apertura. Fabrizio geme. Poi Antonio toglie le
dita e si abbassa i pantaloni. Ha il cazzo in tiro,
una goccia di sborra che luccica sulla cappella. In quel momento il
cellulare di Fabrizio squilla. - Merda! Fabrizio ha dovuto lasciarlo
acceso: è reperibile. Antonio scioglie le mani
di Fabrizio, che si toglie la cravatta dalla bocca e prende il telefonino.
Legge il nome di Vincenzo. - Ciao, Vincenzo. - Ciao, Fabrizio. Ti
disturbo? - No, figurati. Fabrizio soffoca un
gemito: quel bastardo di Antonio gli ha morso una natica, addentando con una
qual certa energia. - Senti, vorrei parlare
con Antonio per una faccenda… Sembra che Vincenzo voglia
aggiungere altro, ma si ferma. Fabrizio, che è stato
morso una seconda volta, medita vendetta e risponde: - Ma certo. Guarda, è qui.
Te lo passo, così gli parli tu. Passa il telefonino ad
Antonio, ghignando. Antonio lo prende con la
sinistra, mentre con la destra si gratta i coglioni: - Ciao, Vincenzo. Antonio e Vincenzo si
conoscono poco: Vincenzo è un vecchio amico di Fabrizio, ogni tanto lui,
Fabrizio e altri amici si ritrovano, ma Antonio lo ha visto solo qualche
volta e di rado ha avuto occasione di parlare con lui. - Ciao Antonio, scusa se
ti disturbo. - Ma no, figurati. Ahi! - Che è successo? - Niente, niente. Dimmi. E mentre lo dice Antonio
molla una sberla a Fabrizio, che è passato dietro di lui, gli ha morsicato il
culo e adesso glielo sta leccando. - Ho bisogno di parlarti
del teatro, il Massimo. - Dimmi. - Vorrei parlarti con
calma. Ci possiamo vedere? - Sì, certo. Vieni a cena da noi lunedì. E intanto Antonio molla
un’altra sberla a Fabrizio, che però scansa il colpo e morde più in basso. - Vorrei parlarti prima di
lunedì, se è possibile. - Se è urgente, possiamo
vederci anche oggi. Nel pomeriggio, non questa sera però, perché recito. - Grazie. Va bene se ci
incontriamo in piazza Bellini? Fabrizio intanto ha spinto
Antonio sulla scrivania, nella stessa posizione che aveva lui prima. Antonio si
rassegna. Si stende sul ripiano, divaricando le gambe. - D’accordo. Potrebbe
andare verso le sette? - Sì, certo. Scusa se ho
rotto, magari a quest’ora riposavi, ma non sapevo quando telefonarti. - No, va benissimo. Quanto
a rompere ci pensa Fabrizio, tutto il giorno… L’osservazione è un po’
incongrua, ma forse se Vincenzo potesse vedere Fabrizio che sta premendo con
il cazzo contro il buco del culo di Antonio, mentre le mani gli stringono i
coglioni, capirebbe la frecciata. Fabrizio reagisce dando una stretta più
vigorosa e Antonio sussulta. Antonio progetta un
contrattacco, perciò aggiunge: - Adesso te lo passo, così
lo saluti. Fabrizio si china e molla
un morso deciso alla natica destra di Antonio, poi prende il telefonino. - Ciao, Vincenzo. Allora
ci vediamo questa sera. Accompagno Antonio. O è una faccenda strettamente
privata? Antonio intanto sta
cercando di liberarsi dalla posizione in cui si trova, ma Fabrizio preme
contro di lui, poggiandogli una mano sulla schiena. - No, figurati. Non te lo
rubo, Fabrizio… sarebbe come sparare alla Croce
Rossa. - Stronzo! Ridono tutti e due e
Antonio ne approfitta per liberarsi e riprendere l’iniziativa. Costringe
Fabrizio ad assumere la posizione di prima e, non appena questi chiude la
comunicazione, lo infilza con il palo, in modo da bloccarlo sul posto.
Fabrizio grugnisce, perché l’ingresso, per quanto preparato, è stato un po’
troppo deciso. Antonio si ritrae un po’ e
si ferma un momento, si china su Fabrizio, gli bacia il collo e poi, a
tradimento, spinge fino in fondo. Fabrizio sussulta di nuovo ed esclama: - Figlie e’ zoccola! Antonio risponde
arretrando e poi avanzando ancora più deciso. Fabrizio mugugna. Antonio ara il campo,
metodicamente e con grande energia. Fabrizio geme, mentre il piacere sale,
tumultuoso. Antonio incalza, non dà tregua, sembra avanzare ogni volta più a
fondo. E infine vengono entrambi, Fabrizio con un grido strozzato, Antonio
con un grugnito sordo. - Aie nu’
bel mazzo. * Gennaro Irsina, detto Zelluso, dà ad
Andrea la busta da passare al Caprese, il poliziotto. Poi si dirige al
negozio di scarpe per riscuotere. È incazzato a morte: Angelo Scibone ha avuto la faccia come il culo ad affidare la
faccenda del teatro agli Albanella. A Gennaro la
faccenda non va proprio giù. Questo non è un quartiere degli Scibone, qui comandano i Parete. Chi si crede di essere,
Angelo Scibone? Costantino Parete era furibondo,
una strage voleva fare. I fratelli hanno faticato a calmarlo. Ma la faccenda
non finirà così. Il negoziante paga quello
che deve. È uno che paga regolarmente, non come quel coglione del meccanico a
cui hanno dovuto incendiare l’officina. Gennaro Irsina si chiede che cazzo succederà, adesso che
Salvatore Scibone è morto. Prima il figlio minore,
poi il padre. Gli Scibone abbasseranno la testa?
Figuriamoci! Angelo è il peggiore, un figlio di puttana che non arretra
davanti a niente. È stato lui a proporre l’affare agli Albanella,
come se qui comandasse lui. Ma quello finirà per scavarsi la fossa da solo: ‘o purpo se coce
dint’ all’acqua soja. Gennaro Irsina passa nel negozio a fianco. È l’ultimo. Ha finito
il giro e può andare da Ninì Parete a consegnare il denaro. Esce e non si accorge
dell’uomo alle sue spalle. Sta guardando la donna che gli viene incontro, un gran
pezzo di fica, davvero. Quelle labbra rosse lui vorrebbe sentirsele intorno
al cazzo. La donna alza lo sguardo e di colpo la sua espressione cambia
completamente: si ferma, il terrore negli occhi. Gennaro Irsina
intuisce, ma è troppo tardi. Il rumore dello sparo e la fitta violenta alla
schiena gli dicono che è finita. Ancora due colpi, mentre la donna si volta e
corre via. Gennaro Irsina è a terra. L’uomo si china su di lui e lo finisce
con un colpo alla testa. Si allontana senza fretta. La gente si dilegua,
senza guardare il corpo di Gennaro. * Suonano alla porta. Alex Caprese si sta
facendo la doccia. Bestemmia. Prende l’accappatoio e se l’infila. Guarda
dallo spioncino. È Andrea. Alex apre. Andrea gli
porge la busta e si allontana. Alex ritorna sotto la doccia. Quando ha
finito, si guarda allo specchio mentre si asciuga, prima di uscire di casa. Sorride alla propria immagine. È soddisfatto di
sé. Chiunque lo sarebbe, al suo posto: un’alta statura; un corpo da atleta,
scolpito da vent’anni di palestra, con un ampio tatuaggio sulla spalla
destra, che prosegue poi sul braccio e altri tatuaggi sparsi in punti
diversi; un viso interessante, dai lineamenti forti;
barba e capelli cortissimi, appena un po’ più lunghi sopra il capo; un cazzo
vigoroso e due palle voluminose. Alex si sistema i capelli,
poi si infila i jock-strap,
la camicia di un azzurro pallido, la cravatta a righe blu e rosa, i pantaloni
e la giacca. Alex si veste spesso con l’abito: sa benissimo che la
combinazione di un fisico virile come il suo e un vestito elegante è irresistibile. Si spruzza due
gocce di profumo e poi si mette gli occhiali a specchio. Si osserva,
orgoglioso del risultato. Prende due biglietti dalla
busta e se li mette nel portafogli. Esce di casa. Alex cammina per le vie.
Raggiunge piazza Bellini e si siede in uno dei locali che si affacciano sulla
piazza, alle spalle del monumento. Tira fuori un sigaro, lo accende e se lo
infila tra le labbra. Il sole sta calando, ma Alex
non si toglie gli occhiali da sole a specchio. Gli occhiali e il sigaro sono
un po’ il suo marchio e accentuano il suo fascino virile. Chi lo conosce si
avvicina e lo saluta. Alcuni lo invitano a unirsi a loro per la serata. Alex
non prende impegni. A un tavolo vicino c’è
Vincenzo Russo. Non si sono mai parlati, ma Alex lo conosce di vista. Abitano
molto vicino e Vincenzo, che è vicedirettore nell’ufficio postale della zona,
fa anche il consigliere nella sua circoscrizione. Adesso sta dandosi da fare
per evitare l’abbattimento del teatro Massimo: raccoglie firme ai mercati e
in tutte le occasioni. Alex si chiede perché uno debba rischiare la pelle in
quel modo. La demolizione del teatro interessa a gente che sta in alto, molto
in alto. Lo hanno già menato, tre giorni fa. Ha
ancora i segni in faccia, ma non desiste. Alex si dice che il tipo è una
testa di cazzo. Anche lui, quand’era giovane, aveva molti ideali in testa, ma
poi, dopo che non è riuscito a diventare ispettore, ha imparato a fare i
conti con la realtà. Certo che il Russo ha più o meno la sua età e non ha
rinunciato a combattere per quello in cui crede. È una testa di cazzo, ma
tanto di cappello. Antonio Basile e Fabrizio
arrivano in quel momento. Fabrizio è un suo collega, nella polizia anche lui,
ma ispettore. Un bell’uomo, ma loro due non hanno mai combinato niente:
Fabrizio è innamorato di Antonio, stanno insieme da
una vita. Quando li vede Alex prova una punta di invidia. La sua libertà gli
piace molto, può scopare tutte le volte che vuole: uno come lui ha la coda di
maschi che aspettano solo di farselo mettere in culo da lui. Però a volte
Alex si chiede che cosa si prova ad amare in quel modo. Forse sarà il passare
degli anni, ma non si diverte più come una volta. No, non è vero, scopare
continua a piacergli, ma a tratti sente il bisogno di altro. Cazzate. Ha
provato a costruire qualche cosa di diverso, ha avuto qualche storia che è durata qualche mese e poi è finita. Si è sempre messo con
gli uomini sbagliati. O forse è lui a essere sbagliato. In questo periodo ogni
tanto gli capita di sentire una sottile insoddisfazione. Non sa dare un nome a questo malessere. Cazzate. Passerà. Fabrizio si avvicina ad
Alex. Batte la mano aperta contro quella del collega
e scambiano due parole. Poi raggiunge Antonio, che si è seduto al tavolo di
Vincenzo. * - Vedi,
Antonio, se tu potessi parlare al pubblico dello spettacolo... Vincenzo si morde il
labbro. Vorrebbe aggiungere ancora qualche cosa, ma
è incerto. Antonio risponde: - Lo farò,
Vincenzo. Non sapevo che ci fossero dietro queste porcate. Il teatro è di un
privato, lo hanno venduto, ci hanno comunicato che non ci avrebbero più
ospitato. Ordinaria amministrazione. Ma ora che mi hai spiegato come stanno le cose, di certo inviterò il pubblico a firmare la
petizione all’uscita. Vincenzo annuisce. - Grazie,
ma… Antonio, so
che non hai paura, ma dietro alla faccenda ci sono gli Scibone,
gente che non scherza. Non vorrei che tu passassi qualche guaio. - Sono loro che ti hanno
regalato quei bei segni in faccia, vero? Vincenzo annuisce. Fabrizio
gli ha chiesto subito, appena l’ha visto, che cosa gli era successo, ma
Vincenzo ha risposto in modo evasivo. Antonio riprende: - Va bene, se mi cambiano
i connotati, posso sempre usare un po’ di trucco. I vantaggi di noi attori. Vincenzo è preoccupato.
Adesso sembra quasi pentito di essersi rivolto ad Antonio. - Antonio, ho esitato
molto prima di chiamarti. Mi sono chiesto se è giusto. Ti faccio correre dei
rischi. - Vincenzo, tu ne corri
più di me. Definiscono i dettagli.
Questa sera stessa in teatro ci saranno i banchetti per le firme e i
volontari. * - Basile prima dello
spettacolo si rivolge agli spettatori e li invita a firmare la petizione:
quelli lo fanno, ne raccolgono un casino ogni sera. Di questa faccenda si sta
parlando troppo. - Bisogna far fuori il
Russo. Poi magari diamo anche una lezione a quel finocchio del
Basile. Ma eliminato il Russo non raccoglieranno più niente. Quelli
che gli stanno dietro scapperanno. È l’esercito ‘e Francischiello. Ennio annuisce. - La morte del Russo però
provocherà un puttanaio. - Possono dire tutto
quello che vogliono, tanto il teatro è stato venduto. Lo ammazzate
domani. - Va bene. Me ne occupo
personalmente. Ennio saluta e se ne va. Angelo Scibone
riflette. Ammazzare il Russo significherà una serie di polemiche, che
probabilmente andranno oltre Napoli, ma poi tutti dimenticheranno. Magari
nascerà un’associazione culturale Vincenzo Russo o gli dedicheranno una
biblioteca. Ma il teatro verrà abbattuto e si costruiranno i palazzi. Non è
un affare così importante, ma Angelo Scibone ci tiene a far sapere a tutti che lui non si tira
indietro davanti a niente. Ammazzarne uno perché gli altri capiscano. E se
qualcuno non capisce, fa la stessa fine. * Vincenzo è seduto al
tavolo della cucina. Ha finito di mangiare. Guarda il piatto vuoto. Non ha voglia di alzarsi,
ma si fa forza. Prende il piatto e lo mette nel lavello, insieme alla pentola
e allo scolapasta. Lava il tutto e lo mette ad asciugare. Si siede in poltrona.
Accende il televisore, ma lascia che le immagini scorrano, senza guardare.
Chiude gli occhi. Potrebbero ammazzarlo, lo sa benissimo. Ha paura. Qualcuno
potrebbe essere sulle scale, ora, qualcuno che viene a ucciderlo. Vincenzo
stringe ancora di più gli occhi chiusi. Perché si è lanciato in questa
impresa? Sta facendo don Chisciotte contro i mulini a vento, lo sa benissimo.
Perché, allora? Perché bisogna fare
qualche cosa e questo è quel poco che lui può fare. Vincenzo spegne il televisore
e rimane nel buio della camera. Non c’è solo la paura. C’è una tristezza che
ha origini più lontane. Ora che la sua vita è minacciata, sente di più la
solitudine. Sa che se avesse un
compagno, si preoccuperebbe anche per lui, sarebbe un fardello in più di
fronte al pericolo che incombe. Ma adesso avrebbe bisogno di sentire
l’affetto di qualcuno, non soltanto la solidarietà di chi apprezza ciò che
sta facendo. Non ha un compagno, non è mai riuscito a costruire qualche cosa
che durasse. Forse non ci ha mai provato davvero. Quando era più giovane, gli
bastava il sesso occasionale. Adesso no. Ormai va di rado nei locali gay. Da quando ha incominciato a impegnarsi in prima
persona, è diventato ancora più attento. Ma si sente solo. * Vincenzo cammina per la
strada, verso la piazza dove oggi raccoglieranno le firme. Non si è accorto
dell’uomo che lo segue, mantenendosi a una certa distanza. Non si sente
tranquillo: sa di essere in pericolo. Ogni tanto si guarda intorno. Ma non
vuole rinunciare, non rinuncerà, anche se questo
potrebbe costargli la vita. L’uomo che gli viene
incontro lo ha guardato solo un attimo, ma in Vincenzo è scattato
qualche cosa. Non lo perde di vista mentre si avvicinano. L’uomo passa oltre,
ma Vincenzo rallenta e si volta. Lo vede estrarre la pistola. Vincenzo scatta
di corsa. I due spari risuonano insieme. Vincenzo sente la fitta violenta
all’anca e crolla al suolo, a faccia in giù. Sente i passi del suo assassino
che si avvicina correndo, mentre la gente si dilegua. Non può alzarsi, il dolore è atroce. Lo hanno colpito e adesso
stanno per finirlo. Ma l’uomo che arriva e si
china su di lui non è quello che gli ha sparato: è Alex Caprese, un collega
di Fabrizio, che sta vicino a casa sua. L’uomo sta chiamando al cellulare,
mentre si inginocchia al suo fianco, guardandosi intorno. Ha una pistola in
mano. - Russo, dove l’ha
colpita? Vincenzo è intontito dal
dolore, sta perdendo tanto sangue, non riesce a parlare. Chiude gli occhi.
Sente Caprese che parla con il commissariato, chiede l’ambulanza. Lo guarda.
Stringe sempre la pistola. L’uomo che gli ha sparato è fuggito e potrebbe
ritornare? Oppure potrebbe esserci un complice, come spesso accade. - Russo, non riesce a
parlare? Una pozza di sangue si
allarga sotto il corpo di Vincenzo. Alex lo volta, gli abbassa i pantaloni,
tampona la ferita, cercando di frenare l’emorragia. Vincenzo ha l’impressione
che il mondo si allontani sempre più. Sente appena la sirena dell’ambulanza. * Alex è davanti alla sala
operatoria. È tornato in ospedale dopo aver deposto. Non sa nemmeno lui perché
è lì, accanto ai genitori di Vincenzo e ai fratelli. Sono molte le cose che
Alex non saprebbe spiegare, di questa assurda giornata. Era alla finestra di casa
sua quando ha visto passare Vincenzo Russo. Gli è successo tante volte di
vederlo passare o di incontrarlo: abitano a nemmeno due isolati di distanza.
Ma oggi Alex ha preso la pistola ed è sceso, deciso
a seguirlo. Perché? Istintivamente ha pensato che voleva proteggerlo. Ha visto il killer
estrarre la pistola e sparare. Ha sparato contemporaneamente e lo ha ucciso,
ma non è riuscito a impedirgli di ferire Vincenzo. E ora è qui, ad attendere
notizie di quest’uomo che conosce appena, che ha rischiato di morire per
difendere un teatro. * Alex passa a trovare
Vincenzo, che oggi è lucido. Ieri, dopo l’intervento, a tratti delirava. Alex non va in orario di
visite: è in divisa, ha appena finito il turno, e in quanto poliziotto lo
lasciano passare senza fare storie, tanto più che Vincenzo è sotto sorveglianza.
Il collega alla porta lo saluta. Scambiano due parole, poi Alex entra.
Vincenzo è steso a letto, molto pallido. Gli hanno dovuto fare diverse
trasfusioni ieri, c’è mancato pochissimo che morisse dissanguato. Dovranno
operarlo ancora. - Alex Caprese. Ti devo la
vita, grazie. Alex non pensava che
Vincenzo conoscesse il suo nome. Ma glielo avranno detto i parenti. - Sono contento di essere
intervenuto in tempo. Purtroppo non sono stato abbastanza veloce da ucciderlo
prima che ti sparasse. - Sono vivo e questo è già
tantissimo. Grazie. Rimangono muti. Non sanno
bene che dirsi. Non si conoscono. Allora Alex chiede del teatro Massimo.
Vincenzo racconta, si appassiona. Alex chiede ancora. È affascinato da
quest’uomo che ha deciso di andare avanti, nonostante gli avessero offerto
soldi per lasciar perdere, nonostante le minacce. A interrompere è un
medico, che strapazza Alex: il paziente deve riposare, ha subito
un’operazione delicata. Per gli interrogatori ci sarà tempo. Non vede quanto
lo ha affaticato? Alex si scusa. Non sta a spiegare che non è lì per lavoro. Saluta Vincenzo e dice
che passerà ancora a trovarlo, se gli va bene. Vincenzo gli sorride e
dice che lo rivedrà volentieri. * Angelo Scibone
è furibondo. La morte di Ennio è un brutto colpo per lui, era uno dei suoi
uomini più fidati. E Vincenzo Russo non è
neanche crepato. Per fortuna è bloccato a letto e senza di lui la raccolta
delle firme non andrà avanti: adesso hanno tutti paura.
L’avvertimento è stato chiaro e il fatto che il Russo sia ancora vivo forse è
un vantaggio: c’è stato meno casino, in fondo l’unico morto era un
camorrista. Angelo medita di ammazzare
l’agente che ha fatto secco Ennio. Ma ci sono affari più urgenti. L’uccisione
di Gennaro Irsina ha avuto conseguenze impreviste.
I Parete si sono rivolti ai Santagata, si sono
messi sotto la loro protezione. Hanno fatto una cazzata, i Parete, pagheranno
caro questo colpo di testa. * Alex passa altre volte a
trovare Vincenzo che adesso sta meglio. Alex ha chiesto a Vincenzo
del suo impegno, poi della sua vita. Ogni volta parlano a lungo. Il medico
che la prima volta ha rimproverato Alex ripete di non stancare troppo il
paziente, ma non insiste. Si rende conto che le visite di Alex hanno un effetto positivo su Vincenzo. Di fronte a ciò che gli
racconta Vincenzo, Alex si sente a disagio: lui non è onesto come Vincenzo,
tutt’altro. Ha accettato compromessi, per una vita più comoda. Piccole cose.
Ma piccole cose che un agente non dovrebbe fare, Alex lo sa. * Andrea Iannaciti
si avvicina ad Alex Caprese. Sorride, mentre gli porge la solita busta. Alex
scuote la testa. Andrea pensa che Alex voglia di più. Senza smettere di
sorridere, dice: - Non basta? Se Caprese vuole di più, va
bene: vuol dire che è disponibile a fare di più ed è
tanto di guadagnato. - Non prendo
più soldi da nessuno. Faccio il mio lavoro. Il tono è duro e non
lascia spazio a equivoci: su Alex Caprese non si può più contare, per nulla. Iannaciti fa ancora un tentativo: - Forse abbiamo dato poco,
ma possiamo… Alex non lo lascia
concludere: - Ho già preso troppo. Non
prenderò più nulla. Faccio il mio lavoro. Alex ha deciso che non
sarà più carne vennuta. Alex fa il suo lavoro. Non
si può più contare su un occhio chiuso in certe occasioni, su un controllo
superficiale. Il giorno dopo, quando si crea una situazione in cui Alex
avrebbe abitualmente finto di non vedere, guarda con attenzione. Sa benissimo
che rischia. * Alex è appena entrato nel
portone di casa, quando gli saltano addosso in tre. Altri tre entrano dietro
di lui. Alex sa che è la lezione che gli spetta per essersi tirato indietro.
Con un pugno colpisce uno degli aggressori e lo manda a terra, ma sono in sei
e lo bloccano facilmente. Alex molla un calcio ad un
altro degli assalitori, ma un gigante gli ha passato il braccio intorno alla
gola e lo sta soffocando, mentre un altro incomincia a sferrargli pugni allo
stomaco e al ventre. Alex lotta, ma i colpi gli
mozzano il fiato, il dolore sale vorticoso. Alex si chiede se si limiteranno
a menarlo o se lo ammazzeranno. Uno gli molla un
pugno in faccia, poi un secondo, un terzo. Alex sente il dolore incandescente
al naso, alla bocca. Una ginocchiata ai coglioni gli strappa un urlo. Altri
pugni ancora. Quando l’uomo che gli
stringeva il collo lo lascia, Alex cade a terra, incapace di sostenersi.
Incominciano a prenderlo a calci. Alex cerca di riparare la testa e i
coglioni, ma i colpi sono una gragnuola. Alex ha la sensazione di perdere il
contatto con la realtà, fluttua in un vuoto in cui arriva soltanto un’eco dei
colpi, sente appena i calci alle mani, alle costole, alla faccia, alle
braccia, alle gambe. Sprofonda in una voragine di dolore, dolore
che cresce e lo soffoca. Non riesce più a respirare. Un colpo alla testa più
forte. Il mondo oscilla paurosamente. Gli uomini se ne vanno, insultandolo,
ma Alex non li sente. Alex non sente più nulla. * Costantino e Tommaso
Parete stanno tornando a casa, quando una macchina esce da una strada
laterale e blocca il passaggio. Tommaso tira fuori la pistola, ma la raffica
di mitra prende lui e il fratello prima che riesca a sparare. Dopo aver
crivellato di colpi l’auto, gli assalitori controllano che l’autista e i due
fratelli siano morti. Costantino respira ancora e con lo sguardo ormai
annebbiato fissa la pistola che uno degli uomini gli preme sulla fronte prima
di sparargli. Mormora: - Merda. Mentre uno dei sicari
finisce Costantino Parete, altri due uomini dei Parete vengono uccisi davanti
a un bar. In serata Angelo Scibone
sorride, soddisfatto. I Parete hanno avuto un bel colpo: due fratelli uccisi,
tre dei loro uomini ammazzati. Nella gran mattanza della
giornata il poliziotto massacrato di botte passa in secondo piano. * Alex non si è più fatto vedere.
Aveva promesso di tornare mercoledì scorso, ma non è venuto. Non è venuto
nemmeno dopo. Vincenzo è triste. Si era
affezionato ad Alex, si era abituato alla presenza di quell’uomo forte che si
interessava a lui. Gli piaceva parlare con lui. Gli sembrava di leggere nei suoi occhi affetto. Vincenzo si dice che è
proprio un idiota: ha bisogno di affetto a tal punto che gli sembra di
trovarlo anche in chi di certo non può provarne per lui. Sono dieci giorni che Alex
non si è fatto vivo. E d’altronde, perché dovrebbe continuare a venire a
trovarlo? * - Posso parlarle,
commissario? - Certo, Caprese, entra
pure. Accomodati. Alex entra e si siede. Ha
ancora il braccio al collo e i segni sulla faccia, ma si è ripreso: ha
passato quattro giorni in ospedale, ma per fortuna non ci sono state lesioni
interne significative. Alex è teso. Sa che alla
fine del loro dialogo il commissario gli dirà che deve lasciare la polizia.
Potrebbe anche dirgli che finirà sotto processo, ma questo non gli sembra
probabile, conoscendo il suo superiore. Alex ha bisogno di fare i
conti con il suo passato. - Volevo spiegarle perché
mi hanno pestato. Subito dopo l’aggressione
Alex ha detto che non sapeva perché lo avevano picchiato. Molti hanno pensato
che sia stato menato per aver ucciso l’uomo che stava per far fuori Vincenzo
Russo, ma chi è un minimo addentro a queste faccende sa che non è così: per
un uomo ammazzato, la risposta può essere solo un omicidio. Il commissario guarda Alex
negli occhi. Alex si è tolto gli occhiali a specchio. Si sente nudo, di
fronte al suo superiore, e sa che sta per mettersi a nudo in un modo ancora
più forte. Una parte di lui gli dice che sta facendo la peggiore cazzata
della sua vita, ma un’altra parte non gli lascia alternativa. Racconta. Tutto quello che
c’è da raccontare. Non è moltissimo, non ci sono tanti episodi. Incomincia
con una specie di rimborso per un danno subito, un rimborso
che Alex non avrebbe dovuto accettare. E poi altre somme di denaro. Poca
roba. Si può riassumere in fretta. Un poliziotto poco onesto. E mentre parla
Alex sente la vergogna che lo schiaccia, una vergogna
che non ha mai provato prima. Quando le racconti, le
cose assumono contorni precisi. Il commissario lo ascolta
con attenzione, senza parlare. Alex conclude: - Come vede, hanno fatto
bene a pestarmi. Alex non sorride. Il
commissario neanche. Gli chiede invece: - C’è altro, Caprese? Alex non abbassa gli
occhi: - No, signor
commissario, non ho mai fatto nient’altro, glielo garantisco. Ho cercato di
fare il mio lavoro bene, in tutto il resto. C’è un momento di
silenzio, poi Alex dice l’ultima cosa che ha da dire: - Do le dimissioni,
commissario. Se lo ritiene opportuno, mi denuncerò. Il dolore che Alex sente
mentre dice queste parole lo schianta. Ma sa che deve farlo. Il commissario
tace e lo fissa. Alex sostiene lo sguardo. - Che cosa conti di fare? Alex solleva le spalle.
Non sa. Forse la guardia privata o il buttafuori. Tutto gli sembra
indifferente. Il commissario riprende: - Tu non vorresti lasciare
la polizia, Caprese, vero? - No, non vorrei, se
potessi. - Perché? - Perché vorrei poter
continuare a fare il mio lavoro, onestamente, fino in fondo. Ma le presenterò
la lettera di dimissioni, commissario. Il commissario sorride. - No, Caprese. Niente
dimissioni. Non lavorerai più nell’area di Arenella:
ti assegno a un’altra area, dove puoi ripartire da zero. So che lavorerai
bene, in futuro. Il commissario gli sorride
e quel sorriso fa bene ad Alex, forse più ancora di sapere che non deve
cercare un altro lavoro, che ha una possibilità di incominciare da capo. Il
commissario va oltre, mentre lo saluta e gli stringe la mano: - Sono contento che tu me
l’abbia raccontato, Caprese. Ho sempre pensato che ci fosse una buona stoffa,
in te. E forse valeva la pena di pagare il prezzo che hai pagato
per trovare la tua strada. * C’è un altro colloquio per
Alex, uno che gli pesa più ancora di quello che ha avuto con il commissario. Alex ritorna in ospedale.
Appena lo vede, Vincenzo esclama: - Alex! Che cosa ti è
successo? - Niente di grave. - Come, niente di grave!? Hai il braccio rotto e i segni in faccia. Alex… - Il braccio non è rotto.
L’osso è solo incrinato e tra pochi giorni sarà tutto a posto. Mi hanno
menato. - Perché? Alex, è colpa mia, vero? Ti hanno menato perché mi hai
salvato. - Vorrei che fosse così,
Vincenzo, ma non lo è. - Ma…
allora? - Adesso te lo spiego. Non è facile raccontarlo a
Vincenzo, a uno tanto onesto da rischiare la pelle per la legalità. Non è
facile pensare che ogni volta che lo incontrerà per strada, dovrà abbassare
gli occhi. Vorrebbe poterglielo dire e non vederlo mai più. Alex racconta tutto. Non
nasconde niente. Non vuole lasciarsi nessuna possibilità. Vincenzo ascolta.
Di rado interviene. Alex conclude, alzandosi. - Questo è tutto,
Vincenzo. Volevo dirtelo. Addio. Vincenzo gli prende una
mano e la stringe. - Perché addio, Alex?
Perché ti alzi? Devi andartene proprio ora? Alex sente la stretta
della mano di Vincenzo. Vorrebbe liberarsene, ma Vincenzo tiene quella mano
tra le sue, bloccandolo. - Siediti, Alex. Non te ne
andare. Mi sei mancato molto, in questi giorni. Vincenzo sorride. - Adesso che sei qui, non
ti lascio andare via. Alex si siede. - Vincenzo, non sono come
te, io. - Alex, quasi vent’anni
fa, abitavo a Scampia e se a un certo punto Fabrizio
non fosse riuscito a procurarmi un lavoro dalle parti di Milano, sarei finito
a spacciare, lo so benissimo. Ero disposto a tutto. - Io un lavoro ce l’ho. Ma quattro soldi in più mi facevano comodo… Mi faccio schifo. - Alex! Alex vorrebbe alzarsi di
nuovo, per fuggire via, ma Vincenzo continua a tenergli una mano e a questo
contatto Alex non vuole sottrarsi. Ha bisogno dell’affetto che sente nella
stretta di Vincenzo. Ha bisogno di leggergli negli occhi lo stesso affetto di
prima, di non trovare traccia della condanna che si aspettava. E di colpo gli
sembra di non meritare niente di ciò che riceve e ancora prova l’impulso di
fuggire. Ma Vincenzo gli stringe la mano e Alex non ha le forze per liberare
la mano dalla stretta leggera, quasi una carezza, di Vincenzo. Alex è confuso. Né il
commissario, né Vincenzo hanno reagito come lui si
aspettava. Non hanno mostrato disgusto. Gli verrebbe da dire che tutti e due
gli hanno dimostrato stima e affetto. Ciò che lui sa benissimo di non
meritarsi. Alex sta bene, in questa
stanza d’ospedale, la mano di Vincenzo sulla sua. Gli sembra di essere
convalescente, nell’anima come nel corpo. * Nell’istituto di
rieducazione Vincenzo fa esercizi ogni giorno. È l’ora di visita e Alex, che
arriva sempre fuori orario, in divisa, se ne va: non ha voglia di fermarsi
quando ci sono i parenti di Vincenzo, gli sembra di essere di troppo. Nel
corridoio incrocia Livio, il fratello maggiore, e si salutano. Livio entra in camera e chiede
a bruciapelo a Vincenzo: - Enzo,
ma Alex è il tuo uomo? Non me ne hai mai parlato. Livio sa benissimo i gusti
di Vincenzo e sa anche che un marcantonio come Alex è esattamente il suo
tipo. Vincenzo sorride. - Magari, Livio. Magari!
Uno così! Mi leccherei i baffi da mattina a sera. Ma uno così manco si
accorge che io esisto. - Non si direbbe proprio. Lo incontro un casino di volte. Quante volte viene a
trovarti? Tre volte a settimana? - Sì, più o meno. Vincenzo mente
spudoratamente e lo sa benissimo: Alex viene quasi tutti i giorni. - Secondo me aspetta solo
che tu ti faccia avanti. Farsi avanti? Vincenzo non
oserebbe mai. Sa di non essere bello, non è ricco, non ha niente, adesso è
pure zoppo. Che può vederci Alex in uno come lui? - Figurati! - E perché viene così
spesso, allora? * - È un casino, Fabrizio. Fabrizio aspetta. Alex gli
ha detto che voleva parlargli. Adesso camminano per le strade. Fabrizio non
riesce a immaginarsi che cosa Alex voglia dirgli. Non si sono mai frequentati
molto, non sono amici. Sono colleghi e sono entrambi gay,
ma hanno stili di vita diversi. Perché
Alex si rivolge a lui? Forse proprio perché non sono amici: è più facile
parlare con qualcuno che non ti trovi davanti tutti i giorni. - Che cosa? Alex alza le spalle. - Fabrizio, sono sempre
rimasto un bel po’ davanti allo specchio, prima di uscire. Mi sistemo. Mi
piace fare colpo, mi piace piacere. Sono una
puttana, lo so. Fabrizio non capisce dove
Alex voglia andare a parare, ma sorride. - Non esagerare. - È così. Negli ultimi due
mesi però… è diverso, Fabrizio. Mi guardo allo
specchio e vedo un fottuto coglione che si credeva chissà chi. Ho la faccia
da coglione. Fabrizio guarda Alex,
interdetto. Non può credere a quello che dice: uno come lui, con il successo
che ha con gli uomini! Sì, magari Alex di faccia non ha niente di
particolare, è una faccia normale, ma ha un fisico… - Non è l’opinione di
nessuno di quelli che conosco. E a vederti in un locale o anche solo in
piazza, sei sempre circondato da mosconi. - Sì, gli stronzi attirano
i mosconi. - Alex! Ma che ti piglia? - Scusa, Fabrizio. Te l’ho
detto, sono un coglione. Non me ne fotte niente di tutti quelli che mi
vogliono portare a letto. Fabrizio, sai perché il commissario mi ha spostato
al Vomero? Fabrizio ha un’idea, ma
non è lusinghiera per Alex. In qualche modo certe voci circolano: si diceva
che Alex accettasse qualche compenso per chiudere gli occhi ogni tanto.
Fabrizio si trincera dietro un prudente: - Non so. - Perché gli ho raccontato
la verità. Ho accettato denaro… Merda! - Alex, ci sediamo e mi
racconti le cose dall’inizio? Si siedono. Alex tace. - Qual è il problema? Alex non risponde.
Rimangono in silenzio a lungo. Fabrizio apre bocca per dire qualche cosa,
quando Alex dice: - Tra due giorni Vincenzo
esce dall’istituto. La rieducazione è finita. Adesso cammina, zoppicando. Lì
lo potevo andare a trovare quasi tutti i giorni. E adesso? Adesso non posso
presentarmi a casa sua un giorno sì e l’altro anche e dire: “Sono venuto a
trovarti”. Fabrizio è di nuovo
spiazzato. Alex salta da un argomento all’altro, sembrano i pezzi di un
puzzle che vengono gettati alla rinfusa, uno dopo l’altro, sul tavolo. Ne
mancano molti, ma questa volta Fabrizio ha la sensazione di aver trovato il
bandolo della matassa. - Sei
innamorato? - Merda! - Cioè sì. Diglielo. Sono
certo che gli piaci un casino. Fabrizio va sul sicuro:
Vincenzo gli ha detto che Alex gli piace molto. - Merda! - Qual è il problema,
Alex? Sei innamorato di Vincenzo, che è una gran
bella persona. - Lo so. Ma io non sono
una gran bella persona, Fabrizio. Io sono un fottuto coglione, neanche
onesto. Merda! Che cosa può vederci in uno come me? Fabrizio potrebbe fare un
elenco, neanche tanto breve, di caratteristiche fisiche, le stesse per cui
Alex potrebbe scopare ogni giorno con dieci maschi diversi, se ne avesse voglia. Ma ha capito che il problema è un altro. - Che cosa può vederci in
uno come te? La voglia di cambiare vita. La disponibilità a rischiare la
pelle per salvare uno che nemmeno conoscevi. Una presenza costante, perché
sei andato a trovarlo sempre. La capacità di innamorarti. E poi Vincenzo non
è un santo e tu hai alcune caratteristiche che sicuramente apprezza, come le apprezziamo tutti. Quando ti guarda vede quello che vedo io, non quello che ti dice il tuo specchio in questo
periodo. E sai una cosa? Alex lo guarda, senza dire
nulla, ma muove appena la testa in una domanda inespressa. - Secondo me dovresti
cambiare specchio. * - Antonio, dobbiamo organizzare
una cena per festeggiare il ritorno a casa di Vincenzo. Invitiamo lui e Alex. - Va bene, ma perché solo
lui e Alex? - Perché quei due si
devono mettere insieme. Antonio guarda Fabrizio,
senza dire niente. Su certe manovre nutre molti dubbi. - Alex è innamorato di Vincenzo, a Vincenzo Alex piace un casino e ci giurerei
che è innamorato anche lui, anche se non me l’ha mai detto in questi termini.
- Insomma, Giorgio se ne vò jì
e ‘o vescovo n’ ‘o vò caccià.
Ma nessuno dei due fa il primo passo? - Sì, nessuno dei due si
ritiene all’altezza dell’altro. - Hanno ragione. - Ma…
come sarebbe a dire?! - In
effetti Vincenzo sarà venti centimetri in meno di Alex. Diciotto, per essere
esatti. - Ma lo sai che quando ti
ci metti sei proprio stronzo? Antonio inarca le
sopracciglia. - Fornivo un dato
oggettivo di supporto alle tue argomentazioni. O forse dovrei chiamarle farneticazioni… Comunque lunedì si può fare una cena. * Vincenzo si fa la doccia.
Si mette l’accappatoio e torna in camera. Ha finito l’ultima fisioterapia del
mattino e adesso ha un’ora prima delle visite. Leggerà un po’, poi si
collegherà a Internet. Vincenzo finisce di
asciugarsi i capelli, con il cappuccio dell’accappatoio. Li ha più lunghi: in
questi mesi sono cresciuti alquanto. Avrebbe voluto tagliarseli, ma Alex gli
ha detto che così sta bene e allora Vincenzo ha deciso di tenerli un po’
lunghi. Alex… Vincenzo passa un sacco di tempo a
pensare ad Alex. Sa benissimo che è irraggiungibile, che è solo un bel sogno.
Ma una voce gli dice che se il suo bel sogno viene a trovarlo praticamente
tutti i giorni, forse… Alex entra in quel
momento. Non ha bussato, contrariamente al solito: Alex ha la testa ingombra
di mille pensieri e non gli è venuto in mente di bussare. Non è neppure
l’orario in cui pensava di venire, ma quando è tornato a casa dal turno di
notte, non riusciva a prendere sonno. Pensava a Vincenzo. E allora si è
alzato dal letto, si è fatto la doccia, si è vestito
con l’abito ed è uscito per venire a trovare Vincenzo. Vincenzo ha l’accappatoio
aperto. Alex apre la porta e lo
guarda. Vincenzo ha la netta sensazione che nella stanza non ci sia più aria.
Guarda Alex, senza muoversi, senza coprirsi. Alex richiude la porta
dietro di sé e fa tre passi avanti, fino a che il suo corpo sfiora quello di
Vincenzo. Nessuno dei due pensava
che oggi sarebbe successo quello che desiderano da tempo. Ognuno fantasticava
di arrivarci con qualche manovra che non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere
in atto. Ma i loro corpi sono più saggi e più diretti. Alex mette le mani sui
fianchi di Vincenzo e lo attira a sé. Lo bacia sulla bocca, con cautela. Ha
ancora paura di un rifiuto, anche se qualche cosa gli dice che quel bacio è
stato a lungo atteso e desiderato, anche se le braccia di Vincenzo lo stanno
stringendo e le sue mani gli accarezzano la schiena. Interrompono il bacio,
si guardano negli occhi, si sorridono e poi si baciano di nuovo. Ma questa
volta la lingua di Alex si apre la strada tra i denti di Vincenzo, mentre
sotto l’accappatoio le sue mani scivolano sul culo e
afferrano la carne, la stringono. Alex ha paura ad andare
avanti, ma il desiderio preme in entrambi. Vincenzo è nudo e non può
nasconderlo, Alex è vestito ma la protuberanza all’altezza del cavallo è
inequivocabile. Alex stacca la bocca e
mormora: - Vincenzo, amore mio, amore mio! Non dà a Vincenzo il tempo
di rispondere: lo bacia appassionatamente, di nuovo la lingua avanza e Alex
spinge Vincenzo sul letto. Vincenzo si trova disteso
sulla schiena, le gambe ancora a terra, e Alex è steso su di lui e si
baciano, perché non esiste nulla di più bello al mondo che baciare per la
prima volta l’uomo che ami, che hai sempre desiderato di baciare, anche prima
di conoscerlo, perché è così, Alex sa che ha sempre voluto baciare Vincenzo,
anche prima di incrociarlo per la prima volta, anche quando gli passava
accanto senza nemmeno notarlo, anche quando baciava uomini molto più belli e
Vincenzo ha sempre desiderato di baciare Alex. E quando il bacio si
interrompe, Vincenzo trova il coraggio di dire, mentre le sue mani tremanti
slacciano la cravatta di Alex, mentre lo guarda e pensa che non è possibile: - Ti amo,
Alex. Alex chiude gli occhi. È
troppo forte. Si lascia scivolare in ginocchio e prende in bocca il cazzo di
Vincenzo, teso, poi lo lascia andare. Lo avvolge con la lingua, lo lecca con
cura, più volte, dall’alto in basso, soffermandosi sulla cappella, poi lo
bacia. La bocca si appoggia cui coglioni, li bacia, li accarezza con la lingua. Vincenzo ha chiuso gli
occhi e tiene le mani sulla testa di Alex. - Alex, amore mio, amore mio. Alex incomincia a
succhiare con cura. Vincenzo geme. Le mani di Alex sono sui fianchi di
Vincenzo, risalgono, stringono, pizzicano, ma è la bocca a fare la parte del
leone, inghiottendo la preda. - Alex, sto per venire. Alex non toglie la bocca.
Sente la scarica e la inghiotte. Non è prudente, non è saggio quello che fa,
ma beve e poi, con delicatezza, passa la lingua intorno alla cappella di
Vincenzo. Vincenzo si alza. Gli
sorride. - Lascia che ti spogli. Con le mani che ancora si
muovono incerte, Vincenzo finisce di togliere la cravatta di Alex, poi gli
sfila la giacca e sbottona la camicia. La apre e accarezza il torace di Alex.
Gli sembra che non sia vero. Può davvero passare la sua mano sulla pelle di
Alex, sentirne il calore. Poi Vincenzo slaccia la
cintura di Alex e cala la cerniera. Alex si toglie le scarpe,
le calze e i pantaloni. Vincenzo fissa il rigonfio dello slip. Alex gli
sorride e toglie l’ultimo indumento. Vincenzo si mette in ginocchio e prende
in bocca questo cazzo imponente che gli si offre. Alex lo accarezza. Ancora
gli sembra incredibile. Anche se ha in bocca il gusto del seme di Vincenzo,
anche se Vincenzo gli sta succhiando il cazzo, gli sembra che non sia vero. Vincenzo lascia la preda e
si alza. Gli sorride, di nuovo spaventato. Si volta e si appoggia sul letto. Alex si mette in ginocchio
e passa la lingua sul solco. Lecca con cura, spinge la lingua a fondo,
accarezza l’apertura, la forza. Le sue mani intanto accarezzano il culo di
Vincenzo, lo pizzicano. Poi Alex si stacca, prende
dalla tasca della giacca la bustina del preservativo, l’apre e se lo infila. - Vincenzo, amore mio! E mentre lo dice avvicina
il cazzo all’apertura e con delicatezza entra. Avanza piano, perché non vuole
fare male a Vincenzo. Una volta dentro, si muove con cautela, anche se
Vincenzo lo incoraggia. Alex guarda la schiena di
Vincenzo, la accarezza e gli sembra di non poter credere alla felicità che lo
inonda. Il movimento di Alex si fa
più intenso, Vincenzo geme. Alex spinge deciso, ora, avanzando fino in fondo
e ritraendosi, uscendo e rientrando, inebriato dalle parole che Vincenzo gli
dice. Alex lascia che il suo corpo ripeta i gesti che ben conosce,
ma che oggi acquistano un significato nuovo. E quando infine viene, in un
parossismo di piacere, Alex si dice che non ha mai goduto tanto. Si abbandona
sul corpo di Vincenzo, felice. Sono i rumori nel
corridoio a riscuoterli. Si rivestono in fretta. Alex si sta annodando la
cravatta quando qualcuno bussa. Si guardano. Sono a posto. Si sorridono.
Tutti e due annuiscono e Vincenzo dice: - Avanti. È Livio, che li guarda.
Alex e Vincenzo si sono rivestiti, ma Livio sembra perplesso. - Disturbo? È Vincenzo a rispondergli: - No. Ma vorrei che tu
facessi conoscenza con Alex. E mentre lo dice, Vincenzo si sente felice. Livio capisce benissimo il
senso della frase. Non gli va a genio l’idea che suo fratello scopi con un
uomo e, poiché vuole bene a Vincenzo, gli verrebbe da prendersela con Alex.
Ma c’è nello sguardo e nel sorriso di Vincenzo una gioia sconfinata, che
Livio non gli ha mai visto prima. E se quest’uomo che ha davanti ha il potere
di rendere felice Vincenzo, allora va bene. Livio sorride ad Alex e si
stringono la mano. * Suonano alla porta. - Allora mi raccomando,
Antonio, dammi una mano che questa sera li faccio mettere insieme. Antonio alza le
sopracciglia. Le strategie di Fabrizio gli sembrano velleitarie. - Nun
te fà debbeto
cu ‘a vocca. Fabrizio scrolla le
spalle. È sicuro di farcela: Alex è innamorato perso di Vincenzo,
a Vincenzo Alex piace un casino, insomma, che ci vuole? Non sta
vantandosi di fare cose impossibili. Alex e Vincenzo sono
arrivati insieme, Fabrizio si dice che è logico, visto che abitano vicino:
Alex avrà dato un passaggio a Vincenzo. Antonio li guarda
sorridere e sospetta che l’obiettivo della cena sia già stato raggiunto.
Meglio così. Vincenzo gli piace moltissimo, sul piano umano. Alex non lo
conosce, ma da quello che gli ha detto Fabrizio gli sta simpatico. Si mettono a tavola. A un
certo punto Fabrizio chiede: - Non hai
problemi a casa tua, con quelle scale senza ascensore? Vincenzo risponde,
sorridendo: - Non sono rientrato in
via Cavallotti, sto da Alex. Antonio intuisce e sorride
anche lui: - Un progetto di
protezione a lunghissima scadenza? Alex ricambia il sorriso: - A vita. Meglio andare
sul sicuro. Ora Fabrizio ha il netto
sospetto che sia un po’ tardi per combinare il matrimonio. Al massimo la cena
va bene per festeggiarlo. 2012 |