Messenger FABRI69: Alza le mani,
figlio di puttana. ANTOBAS: Ti guardo,
scuotendo il capo, un sorriso ironico in faccia. Non alzo le mani. FABRI69: Ti ho detto di alzare
le mani. Mi sto incazzando. ANTOBAS: E incazzati,
ispettore, incazzati, che a me non me ne fotte un
cazzo. FABRI69: Faccio un passo
avanti, passo la pistola nella sinistra e ti colpisco allo stomaco con la
destra. Un colpo violento. ANTOBAS: Barcollo. Mi
piego in due, ma mi raddrizzo. Ti guardo. Pezzo di merda! FABRI69: Ti colpisco al
mento e poi sferro una ginocchiata alle palle. Cadi in ginocchio e ti mollo
due pugni in faccia. ANTOBAS: Sono in
ginocchio, il sangue che mi cola dal naso e dal labbro. Ansimo. Schifoso
pezzo di merda, bastardo. FABRI69: Tengo la pistola
con la sinistra, ti stringo il collo con la destra. ANTOBAS: Spalanco la
bocca, non riesco a respirare. FABRI69: Ti ammazzo, figlio di puttana. Ma prima ti fotto. ANTOBAS: Ti guardo, mentre
disperatamente cerco di far entrare un po’ di aria nei miei polmoni. FABRI69: Allento la presa,
abbasso la cerniera e mi apro i pantaloni. Tiro fuori il cazzo, già duro. Te
lo trovi davanti agli occhi. ANTOBAS: Respiro a fatica,
la gola in fiamme, mentre guardo questo magnifico boccone di carne. Vorrei
morderlo. Ne sento l’odore. FABRI69: Ti metto di nuovo
una mano intorno alla gola. Stringo leggermente e ti infilo il cazzo in
bocca. ANTOBAS: Lo sento
riempirmi la bocca, caldo e appetitoso. Lo avvolgo con le labbra e incomincio
a succhiare. FABRI69: Forza, finocchio,
succhia. Succhia. ANTOBAS: Non dico nulla.
Voglio la stessa cosa che vuoi tu. Passo la lingua
sulla cappella, ne assaporo il gusto. FABRI69: Chiudo gli occhi.
Sei una troia, nient’altro che una troia. ANTOBAS: Le mie mani
salgono sulle tue cosce. La mia lingua, le mie labbra lavorano, inghiotto
fino a che riesco e poi mi ritraggo, i denti mordicchiano con delicatezza. FABRI69: Le dita intorno
al tuo collo stringono di più. ANTOBAS: Respiro di nuovo
a fatica, ma non smetto di succhiare e leccare. FABRI69: È bello fotterti. ANTOBAS: Le mie mani
risalgono fino alla cintura. La slacciano. Ti calano i pantaloni. Le mie dita
ora ti accarezzano il culo. FABRI69: Io muovo il culo
avanti e indietro, fottendoti in bocca. ANTOBAS: Le mie mani
avvolgono il tuo culo, stringono, fanno male. FABRI69: Mi piace.
Mugugno. ANTOBAS: Le mie dita
scivolano lungo il solco, fino al buco del culo, mentre continuo a succhiarti
il cazzo. FABRI69: Chiudo gli occhi. ANTOBAS: Il medio stuzzica
un po’ il buco. FABRI69: Ti guardo, poi
richiudo gli occhi, confuso. ANTOBAS: Il dito entra,
fino in fondo. FABRI69: Gemo. ANTOBAS: La lingua
continua a fare il suo lavoro, ti avvolge il cazzo, lo accarezza, mentre il
dito ti stuzzica il buco del culo e preme. FABRI69: Cazzo! ANTOBAS: La bocca avvolge
il cazzo e il dito preme. FABRI69: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx ANTOBAS: Bevo la tua
sborra, gustandone ogni goccia. Ripulisco con cura il cazzo con la lingua. Fabrizio si dà una pulita e
riprende a scrivere: FABRI69: Prendo la pistola e te la punto tra gli occhi. ANTOBAS: Ho ancora il dito
nel tuo culo e il tuo cazzo in bocca. FABRI69: Stai per crepare,
figlio di puttana. ANTOBAS: Il mio dito
ancora si muove nel tuo culo. Con l’altra mano mi afferro il cazzo e
incomincio a smenarmelo. FABRI69: Io sorrido. Mi
piace sapere che tra poco ti aprirò un foro rosso tra gli occhi. Fatti
l’ultima sborrata, figlio di puttana. ANTOBAS: Ormai manca poco.
Sento la pressione della pistola sulla pelle, il calore del tuo cazzo in
bocca, il calore del tuo culo intorno al mio dito. FABRI69: È ora, bastardo! ANTOBAS: Cazzo! FABRI69: Sparo. ANTOBAS: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Fabrizio riprende il
fazzoletto di carta e finisce di pulirsi. Poi si alza e va a gettarlo. Passa
in bagno, piscia e torna a sedersi al tavolo. Sullo schermo è apparso un
nuovo messaggio di Antonio. ANTOBAS: Allora, com’è
andata? FABRI69: Bene. Mi
piacciono queste seghe informatiche. ANTOBAS: Vorrei farla
davvero questa scena, non solo immaginarla. FABRI69: Anche il colpo di
pistola? ANTOBAS: Dipende, se sei
stufo di me, allora va bene anche il proiettile. Fabrizio scrive che deve
pensarci per decidere, poi cancella e scrive la verità: FABRI69: Mi manchi da morire, Antonio. ANTOBAS: Anche tu mi
manchi. Fabrizio si sente di nuovo
avvolgere nella tristezza, la sua compagna costante di questi mesi a Torino.
Preferisce interrompere la conversazione. FABRI69: È meglio che
vada, ora. ANTOBAS: Ti abbraccio, Fabrizio. Forte, forte,
forte. Fabrizio si disconnette,
spegne il computer, si alza dalla scrivania e va in camera. Si stende sul
letto. Non pensava che sarebbe stato così male. Certo, sapeva che avrebbe
sofferto lasciando Antonio, la sua città, la famiglia, gli amici. Ma c’era la
promozione a ispettore, una grossa soddisfazione, per cui valeva la pena di
affrontare qualche anno di rinunce. Anche quando era diventato poliziotto,
era stato per due anni a Milano. Ma allora non gli era pesato tanto: certo,
aveva nostalgia di Napoli, ma gli piaceva respirare un’aria nuova, avere una
maggiore libertà, conoscere un’altra città e tutto quello che offriva. Questa volta quando è
partito ha provato un senso di smarrimento molto più forte. Si è detto che
sarebbe passato, che si sarebbe abituato. Ha sottovalutato quello che prova
per Antonio. La mancanza di Antonio è una ferita che non riesce a
cicatrizzarsi. Si sentono ogni giorno, chattano, si ritrovano quando possono,
ma è troppo poco per Fabrizio. Erano abituati a condividere la vita, non
qualche fine settimana. * Il cellulare di Fabrizio
suona. Fabrizio pensa che sia Antonio, ma il numero non è quello. - Pronto. - Ciao, Fabrizio. Sono
Mauro. Come va? Fabrizio ha incontrato
Mauro due mesi dopo il suo arrivo, a una riunione in questura. Gli ha fatto
piacere ritrovare una faccia amica. Mauro è ispettore a Torino già da otto
anni. È meno triste di un tempo: le ferite sembrano essersi cicatrizzate. In qualche modo Mauro ha
colto lo smarrimento di Fabrizio in questa città e ogni tanto si fa vivo: ha
conservato la stessa sensibilità di un tempo. E la stessa bellezza, che con
il passare degli anni sembra perfino essersi accresciuta. - Sono sopravvissuto anche
alla giornata di oggi. - Incredibile! E io che volevo chiederti quando era il tuo funerale. Mi
spiacerebbe non esserci. - Grazie. Sei davvero
gentile. Senti, Mauro, non ti hanno mai detto che sei proprio stronzo, vero? Mauro ridacchia. - Diciamo che qualche
volta me l’hanno fatto capire. Combiniamo una di queste sere? - Volentieri. Meno male che c’è Mauro,
che lo invita a uscire e che in alcune occasioni gli ha fatto conoscere altre
persone. Fabrizio è sempre stato socievole, ma a Torino si trova a disagio,
gli sembra che la gente sia ostile, chiusa in se stessa. Sa benissimo che è
lui a essersi chiuso, incapace di reagire alla sofferenza per la separazione
da Antonio. Si isola e questo rende tutto più difficile. - Quando sei libero? - Sempre, a parte
mercoledì che ho il turno. - Una vita mondana molto intensa.
Senti, giovedì esco con alcuni amici dell’ambiente. Vuoi unirti a noi, così
conosci qualcuno, o preferisci che ci vediamo io e te? - Meglio
solo noi due, se non ti spiace. - Va bene. Una pizza? - Aggiudicato. Concordano l’ora e il
posto, poi si salutano. Fabrizio si dice che
uscire con Mauro è una buona idea. Si sfogherà un po’. Con lui può parlare di
tutto: Mauro è stato il primo con cui si è aperto, secoli fa. Appena l’ha
rivisto gli ha raccontato di Antonio. * FABRI69: A che punto è il
progetto dell’Edoardo II? ANTOBAS: Procede, procede.
Dovremmo definire gli ultimi elementi nel prossimo mese e poi possiamo
partire per la messa in scena. FABRI69: Sono anni che ne
parli. ANTOBAS: Non bisogna avere
fretta. 'A gatta, pe gghì
'e pressa, facette 'e figlie cecate.
Ma questa è la volta buona e il gattino non nascerà cieco! FABRI69: Sono contento. ANTOBAS: Anch’io. Tanto,
davvero tanto. È stato un po’ il sogno della mia vita. L’avevo scoperto ai
tempi del liceo, figurati. FABRI69: Eri andato a
vederlo? ANTOBAS: No, l’avevo
letto. Me l’aveva fatto leggere il mio insegnante di inglese. In inglese.
Figurati, l’inglese del Cinquecento! FABRI69: Mica da poco! ANTOBAS: No, una roba
folle. Infatti mi ero preso in biblioteca
un’edizione italiana. FABRI69: Lazzarone! ANTOBAS: Bada a quello che
dici. Ti faccio fare la fine di Edoardo! FABRI69: Schiacciato sotto
una tavola? ANTOBAS: No, inculato con
una spada rovente. FABRI69: Ma che dici? ANTOBAS: Così è la tradizione
storica. E da qualche parte, credo a Bologna, c’è pure un pettine che
raffigura questa scena. FABRI69: Terribile… ANTOBAS: La regina voleva
vendicarsi del tradimento. FABRI69: Ma lo spettacolo
che abbiamo visto quella volta… ANTOBAS: Hanno fatto
vedere il finale di Marlowe, su cui qualcuno ha pure dei dubbi. Dicono che
non sia quello originale, che sia stato ritoccato. FABRI69: Su certe cose hai
proprio una cultura… ANTOBAS: Su certe cose? FABRI69: Quando si parla
di maialate nella storia… ANTOBAS: Guarda un po’ la
ritrosa verginella… FABRI69: Sì, questa sera
potrei fare il verginello ritroso. ANTOBAS: Poco convincente, ma visto che non ti vedo, magari posso far
finta di crederti. FABRI69: Ma come ti
permetti di insinuare che sono poco convincente, vecchio porco! ANTOBAS: Vecchio? Sono
quaranta tra un mese, stronzo! FABRI69: Appunto, vecchio. ANTOBAS: Va bene sono un vecchio porco. Un proprietario terriero della
Virginia. E tu sei l’ultimo schiavo nero che ho comprato all’asta, un
bocconcino di vent’anni. FABRI69: Nero? ANTOBAS: Certo, se fai il
ventenne, vergine e pure ritroso, puoi anche fare il nero, no? Sei più
credibile come nero che come vergine. FABRI69: Stronzo! ANTOBAS: Due belle
frustate lasciano il segno sulla tua pelle d’ebano. Il padrone non tollera
gli schiavi impertinenti, anche se hanno una bella bocca e un bel culo. FABRI69: Ti guardo, gli occhioni pieni di lacrime… ANTOBAS: Ti mollo due
sberle. FABRI69: Ahi! ANTOBAS: I miei schiavi
devono essere rispettosi e obbedienti. FABRI69: Lo sarò, mio
signore. ANTOBAS:
Bene, vediamo: succhiami il cazzo. FABRI69: Mio signore! ANTOBAS: Altre due sberle. FABRI69: Mi sa che mi
verrà la faccia gonfia come un pallone. ANTOBAS: Quello che ti
meriti. FABRI69: Mi inginocchio, in
lacrime. Prendo in bocca il tuo cazzo e incomincio a succhiarlo, prima
esitando, poi apprezzo il bocconcino e me lo gusto. ANTOBAS: Vedo che ti
piace. E facevi tante storie! FABRI69: È una cosa nuova
per me. Un po’ di ritrosia è inevitabile. Ma ora me lo sto proprio gustando.
È buono. Non è tanto pulito… ANTOBAS: Come ti permetti? FABRI69: I vecchi porci
non si lavano spesso. Per cui sento l’odore di piscio e di sudore, ma mi
piace. Mi piace il tuo cazzo. ANTOBAS: Ti piacerà anche
quando te lo gusterai in culo. FABRI69: In culo… Mio signore, ti prego. Io non ho mai… ANTOBAS: Succhia,
stronzetto. FABRI69: Succhio, passo
bene la lingua, lecco, sperando che tu ti accontenti
di questo. ANTOBAS: Non mi
accontenterò, lo sai. E tu hai voglia di scoprire che cosa si prova a
prenderselo in culo. Fabrizio fa per digitare
la risposta, ma si ferma. L’eccitazione sta svanendo. C’è una sofferenza che
sale, forte. ANTOBAS: Credo che adesso
te lo farò gustare anche dalla porta posteriore. Fabrizio fissa lo schermo,
incapace di muovere le mani per battere una risposta. ANTOBAS: Qualche problema,
Fabrizio? FABRI69: Scusami, è che
questa sera non mi va. ANTOBAS: Lasciamo perdere.
Qualche cosa che non va? FABRI69: No, è che… senza neanche vederti… ANTOBAS: Dobbiamo
prenderci tutti e due la webcam. FABRI69: Sì. ANTOBAS: Fabrizio, qual è
il problema? Fabrizio guarda lo
schermo, senza rispondere. Qual è il problema? Digita, d’impulso. FABRI69: Non mi basta. Non
mi basta più. ANTOBAS: Sì, ti capisco,
anche a me non basta. FABRI69: Ho bisogno di
stringerti, di abbracciarti. Non ne posso più di queste seghe. Che senso ha? ANTOBAS: Ti telefono. Il telefono squilla dopo
pochi secondi. Fabrizio risponde. Vorrebbe scherzare, chiedere chi è, anche se
sul display del cellulare c’è il nome di Antonio, anche se Antonio gli ha
appena scritto che gli avrebbe telefonato. Ma Fabrizio non ha più voglia di
scherzare. - Fabrizio, ti amo. - Anch’io ti amo, Antonio. - Non stai bene, Fabrizio?
- No, non è che sto male.
È che… mi manchi, Antonio. - Anche tu mi manchi, da
impazzire. Non ci aspettavamo la tua partenza, ma possiamo cercare di
organizzarci meglio. Mi ricaverò dei periodi di libertà. È stato tutto
improvviso. Lasciami un po’ di tempo. Ma questa sera Fabrizio
non riesce a ricacciare indietro il malessere che ha trovato voce. Ha bisogno
di tirarlo fuori. - Non mi bastano le seghe
su Internet, Antonio. Voglio… voglio
un corpo da abbracciare, da stringere. Non è questo il problema,
Fabrizio lo sa benissimo. Non è il sesso, è la quotidianità che gli manca. C’è un attimo di pausa.
Poi Antonio dice. - Fabrizio, se il problema
è questo, se hai bisogno di scopare davvero, puoi farlo, ce
lo siamo detti quando sei partito. - Non te ne frega niente
se lo faccio. Non è una domanda e non è
nemmeno una constatazione: è un’accusa, che Antonio coglie. - Non è così, Fabrizio. Ma
preferisco sapere che scopi con qualcun altro e sei sereno, piuttosto che
pensarti teso e insoddisfatto. - Tu scopi con qualcun
altro? - No, Fabrizio. - Perché no? La libertà
vale per tutti e due, no? - Perché non ne sento il
bisogno. C’è una pausa, poi Antonio
riprende: - Fabrizio, sono nella
nostra città, nella nostra casa, tra gli amici di sempre, in un ambiente dove
ho mille legami. Mi manchi tantissimo, ma sono in una situazione privilegiata
rispetto a te. Fabrizio pensa che è vero, eppure sa che da solo soffrirebbe anche se fosse a
Napoli. E sa che Antonio soffre, anche se non lo dice apertamente. Eppure Fabrizio sente la
rabbia che sale e dice: - Allora secondo te dovrei
andare in qualche locale gay a rimorchiare? C’è un silenzio. Poi
Antonio risponde: - Se ti fa stare meglio, fallo, Fabrizio, fallo. - Lo farò. Fabrizio non vuole farlo.
Vuole ferire Antonio, lo sa benissimo e si odia per questo. - Fabrizio? - Sì? - Mi spiace che tu stia
così male. Qualunque cosa ti faccia stare meglio, va bene. Per me quello che
conta è che tu stia meglio. - Anche se per stare
meglio mi metto con un altro? C’è un momento di silenzio
dall’altra parte del telefono. Fabrizio riprende: - Scusa, Antonio. Sono uno
stronzo. - No, stai male. Ma in
qualche modo ne verremo fuori. * FIL76: Ma hai proprio 18
anni? ILCAVALIERE: Sì, te l’ho detto. FIL76: Perché non vuoi
mandarmi una foto? ILCAVALIERE: Mi vedrai di
persona. FIL76: Allora ti piace
prendertelo in culo? ILCAVALIERE: Se ci sai
fare, sì. FIL76: Ci so fare. Nessuno
si è mai lamentato del mio cazzo. Te lo faccio gustare in bocca e in culo. ILCAVALIERE: Sì. FIL76: Domani sera ti va bene? ILCAVALIERE: Va bene. FIL76: Da me non è
possibile. Da te? ILCAVALIERE: No, sto con i
miei. FIL76: Potremmo andare in
campagna. Oppure al Valentino, però di notte, tardi. ILCAVALIERE: Al Valentino
va bene. È sicuro? FIL76: Sì, sì. I tuoi non
fanno storie se rientri tardi? ILCAVALIERE: Ci sono
abituati. FIL76: Ti va bene all’una? ILCAVALIERE: Sì. Dove? FIL76: Ti spiego. Hai
presente la fontana dei Mesi? Angelo prende mentalmente
nota delle informazioni. Non scrive mai, ha un’ottima memoria e sa che è sempre
meglio non lasciare tracce. Nessuno potrebbe risalire a lui attraverso
l’indirizzo di Messenger che ha usato. Il tizio non è male, a
giudicare dalle foto che gli ha mandato. Crede che lui stia a Torino, mentre
c’è solo per qualche giorno, per un affare della famiglia. Gli ha detto che è
uno studente. Angelo sorride dell’ingenuità del tipo. Sa che farebbe meglio a lasciar perdere, ma vuole riprovare, anche se è
pericoloso. In ogni caso, nessuno lo saprà mai. * Fabrizio raggiunge il Po.
Dall’alto della riva guarda l’acqua che scorre nera sotto le grandi arcate
del ponte. Fa freddo, anche se è solo ottobre. C’è vento, un vento che scende dai monti. Fabrizio guarda in basso i
locali notturni che si affacciano sui Murazzi,
lungo il fiume. C’è un gruppo numeroso che chiacchiera. Si sentono risate.
Sono giovani. Sono allegri. Fabrizio ha trentadue anni, ma si sente vecchio,
anche se quei giovani hanno più o meno la sua età. Fabrizio percorre la riva
ed entra nel Valentino. La notte il parco è luogo di incontri. Fabrizio non
ci viene mai. Non ha mai cercato altro. Ma questa notte, dopo la telefonata
di ieri con Antonio, ha deciso di venirci. Ha un preservativo in tasca, ma sa
che non lo userà. Non è venuto qui alla ricerca di
un incontro, anche se dà un’occhiata intorno: quando incrocia qualcuno, lo
guarda appena. Percorre il parco per un lungo tratto, poi decide che andrà a
dormire. In quel momento vede il ragazzo. Avrà vent’anni, forse neanche, ma è
davvero bellissimo. Per un attimo i loro occhi si incrociano. Ha uno sguardo
che a Fabrizio pare quasi di sfida. Fabrizio prosegue per la sua strada. Non
c’è posto per un altro, lo sa benissimo, neanche per un’ora. Antonio occupa
tutto lo spazio disponibile. * Eccolo. È certamente lui.
Il viso dai lineamenti forti, un corpo robusto, come appare nelle foto.
Angelo gli sorride. L’uomo gli si avvicina. - Sei tu il Cavaliere? - Sì, Fil76. L’uomo lo fissa,
sorridendo. - Sei davvero un bel
ragazzo. Perché non hai voluto mandarmi una foto? - Non mi piace che le mie
foto vadano in giro su Internet. - Sei molto giovane, fai
bene a essere prudente. Angelo annuisce. - Mettiamoci là dietro. - Va bene. Quando sono tra gli
alberi, l’uomo spinge Angelo contro un tronco e lo bacia. Gli infila la
lingua tra le labbra. Si stacca e lo guarda, anche se al buio può appena
vederne la sagoma. - Sei bellissimo. L’uomo gli poggia una mano
sulla patta e preme. Il cazzo di Angelo reagisce a quel contatto e si
irrigidisce. L’uomo ride: - Una bellissima troietta. Lo bacia ancora, poi dice: - In ginocchio. Angelo esita. L’uomo ha
abbassato la lampo e sta tirando fuori il cazzo.
Angelo guarda l’ombra scura protesa in avanti. L’uomo gli posa le mani sulle
spalle ed esercita una certa pressione. Angelo cede. Ora è in ginocchio,
davanti al cazzo dello sconosciuto. Ne sente l’odore. Lo prende in bocca. Lo
lecca, lo succhia. Non l’ha mai fatto, ma voleva provare. Gli piace la
sensazione di un cazzo caldo e duro in bocca. L’uomo muove il culo
avanti e indietro e il cazzo penetra più a fondo, poi si ritrae. Sì, è bello. Gli piace.
Gli piace un casino. Angelo lecca e succhia e il desiderio cresce. - Adesso basta. Non voglio
venirti in bocca. Voglio gustare il tuo culo. L’uomo si ritrae, poi
mette le mani sulle braccia di Angelo e lo solleva. Gli slaccia la cintura e
gli abbassa pantaloni e slip. Poi lo spinge contro il tronco su cui si sono
appoggiati poco fa. Gli accarezza il culo, lo
stringe. È una sensazione piacevole questa, delle due mani che premono,
pizzicano, fanno male. L’uomo si china. Angelo avverte la carezza umida della
lingua che scivola tra le natiche e sussulta. Poi la sente premere contro il
buco, forzarlo. Angelo chiude gli occhi, stordito dal piacere che prova. L’uomo passa più volte la
lingua sul solco, preme contro l’apertura, mordicchia le natiche e intanto le
sue mani stringono il culo, una si sposta davanti a solleticare il cazzo. Angelo trattiene a fatica
un gemito, mentre le sue dita stringono la corteccia ruvida. L’uomo si solleva. Per un
attimo tra loro non c’è nessun contatto, poi Angelo sente la pressione del
cazzo che si appoggia all’apertura e la forza, mentre le mani dello
sconosciuto gli stringono forte il culo. L’uomo spinge, lentamente,
fermandosi per lasciare ad Angelo il tempo di abituarsi. Quando infine è
arrivato in fondo, gli sussurra nell’orecchio: - Ti piace, eh, troietta? Dimmi che ti piace. Angelo annuisce, senza
parlare. - Dai, dimmelo, dimmelo. Lo voglio sentire. Angelo sussurra: - Mi piace. È vero, gli piace. Da
troppo tempo non gli era più successo, a casa non è
possibile. Ma oggi il desiderio era troppo forte. Non è stato difficile
trovare il sito giusto, qui a Torino, dove nessuno lo conosce. L’uomo ci dà dentro. Ci sa
fare. Spinge e si ritrae, con un movimento regolare. Ad Angelo sfugge un gemito. - Dimmi ancora che ti
piace. - Mi piace. - L’hai mai gustato un
cazzo così, eh, ragazzo? Angelo non risponde. Il
cazzo che gli riempie il culo si muove, con spinte vigorose. L’uomo ha una buona
resistenza e il piacere cresce. L’uomo imprime un ritmo
più forte alla sua cavalcata e infine viene dentro di
lui, con un suono inarticolato che pare quasi un gemito. Si appoggia su
Angelo, e lo stringe tra le braccia. * Hanno ammazzato un uomo
nella notte, nel parco del Valentino. Lo hanno trovato questa mattina alle
otto, tra i cespugli, con la gola tagliata. È stato sgozzato tra l’una e le
due, quando Fabrizio ha lasciato il parco. Fabrizio non si occuperà
di questa inchiesta, non fa parte della squadra omicidi, ma il delitto lo
turba. Pare che la vittima sia uno degli uomini che vanno al Valentino alla
ricerca di incontri. Forse è uno di quelli che Fabrizio ha incrociato, che lo
hanno fissato e che si sarebbero avvicinati se solo Fabrizio si fosse
dimostrato disponibile. Un uomo che sarebbe ancora vivo, se avesse trovato
lui invece del suo assassino. Il pensiero lo disturba.
Forse, se avesse accettato uno di quegli inviti, adesso sarebbe lui a essere
disteso sul tavolo dell’obitorio. Per tutta la giornata è di
cattivo umore. Con il passare delle ore il fastidio che prova si trasforma in
una tristezza cupa. Oggi gli tocca pure occuparsi di un sordido caso di
prostituzione minorile. Tutto gli sembra squallido. Nel pomeriggio si mette
anche a piovere. Fa freddo, troppo. Sembra di essere a gennaio. Che città di
merda! Infine Fabrizio lascia il
commissariato e torna a casa. È una casa, quella in cui vive? La casa era
quella che condivideva con Antonio. Quella è la sua casa, non questo
monolocale che gli appare desolato. Il telefono squilla. Fabrizio
lo prende. Guarda il nome sul display. Antonio. Fabrizio esita, non ha voglia
di parlare, non ha nemmeno voglia di sentire
Antonio, oggi, vuole soltanto avvoltolarsi in questa tristezza cupa che lo
svuota dentro. Ma al quinto squillo preme il tasto della risposta. - Ciao, Fabrizio. Fabrizio riesce a dire: - Ciao. Fabrizio incomincia a
piangere. Non riesce a fermare le lacrime. - Fabrizio…
che cosa succede? Stai male? Fabrizio scuote la testa,
come se Antonio potesse vederlo. Non riesce a parlare. - Fabrizio, per favore… È successo qualche cosa? Fabrizio riesce a dire: - No…
no… scusami. Fabrizio chiude la
comunicazione. Poi spegne il telefono. Si dirige al letto. Si toglie le scarpe e si infila sotto le coperte, ancora
vestito. Si copre completamente e piange. * Antonio ha il cellulare
spento. Fabrizio si dice che riproverà dopo. Gli spiace per ieri sera. Non
avrebbe dovuto lasciarsi andare così alla depressione. Ha fatto soffrire Antonio,
lo sa benissimo. Che colpa ha Antonio se lui ha deciso di diventare ispettore
ed è stato trasferito a Torino? Sta scaricando su di lui la propria
disperazione. Vorrebbe parlare ad
Antonio, scusarsi, ma il telefono è sempre spento. Probabilmente è a teatro,
sta facendo delle prove, oppure in qualche scuola. Sempre a girare per le
scuole a tenere corsi di teatro, nei peggiori quartieri di Napoli, per
compensi irrisori. Ma a Napoli lui sapeva
sempre dov’era Antonio, ogni giorno si dicevano i loro programmi,
commentavano quello che gli era successo. Adesso sa ben poco delle giornate
di Antonio, anche se si sentono regolarmente, anche se chattano. Qualcuno suona al
citofono. Pubblicità? Ma è tardi. Non saranno mica i Testimoni di Geova? Sono
passati il mese scorso, ma Fabrizio non ha aperto. O
il solito scassapalle che vuole vendere il giornale
di qualche gruppuscolo? Fabrizio decide che non
vale la pena di alzarsi. Squilla il telefonino.
Antonio! Che bello! - Ciao! - Ciao. Sono qui, sotto
casa tua, ma se sei occupato torno dopo… Quello di Fabrizio è un
urlo di gioia, che interrompe la frase di Antonio: - Qui?!
Sali! Antonio sale i tre piani
di scale, a piedi, come sempre. Fabrizio è sul pianerottolo, impaziente. Non
gli pare vero. Lo abbraccia appena arriva, senza aspettare di essere al
riparo da sguardi indiscreti. Antonio lo stringe e
rimangono un momento abbracciati sulla soglia, poi Antonio sussurra: - Entriamo. Fabrizio è troppo felice
per riuscire a parlare. - Ho suonato, non hai
risposto. Spero… - Antonio! Credevo che
fossero i soliti scassapalle. Non aspettavo
nessuno. Che bello! Che bello! Fabrizio lo abbraccia e
questa volta si baciano. - Come mai qui? Non mi hai
detto che saresti venuto. - Mi sono liberato da
tutti gli impegni. Volevo parlarti direttamente. - Qualche problema? Antonio scuote la testa. - No, nessuno. Solo che
conto di trasferirmi qui a Torino tra due mesi. - Cosa? - Se mi vuoi… - Se ti voglio?! Cazzo, Antonio, è la cosa più bella che possa
immaginare. Ma come fai… il teatro… - Cercherò qui a Torino.
Ho ricevuto qualche proposta da altre città in passato e spero di riuscire a
trovare qualche cosa anche qui. Al massimo mi mantieni. Un ispettore guadagna
bene? Antonio sorride. - Sufficiente per due. Però
fai le pulizie di casa per guadagnarti il vitto. - Non bastano le
prestazioni a letto? - Quelle servono per
pagare l’alloggio. - Sei un po’ esoso. Mi sa
che mi darò da fare per trovare un lavoro. Magari come lavapiatti in un
ristorante. - Ma tutti i tuoi progetti
a Napoli? Lo spettacolo di quest’anno? - Non parteciperò.
Pierluigi mi sostituisce. È una buona cosa che facciano un po’ senza di me.
Sai come sono: voglio dirigere tutto, devo sempre avere l’ultima parola.
Almeno si prendono un po’ di libertà. Fabrizio ha assistito più
volte alle prove degli spettacoli. Conosce il rigore di Antonio, che cura
ogni dettaglio. Ma sa benissimo che ascolta sempre gli altri, tutti, e non si
impone. Scuote la testa: - E i progetti nelle
scuole? - Rebecca e Nicola sono
perfettamente in grado di sostituirmi: anzi, credo che possano
fare di meglio. Sono più giovani, hanno un sacco di idee. Partono da quello
che abbiamo fatto insieme e possono andare oltre, molto oltre. - E l’Edoardo
II? Il sogno della tua vita? - Edoardo non scappa. Lo
farò un’altra volta. Con più esperienza lo farò meglio. Sembra tutto
semplicissimo: mollare la compagnia che uno ha messo su con fatica e a cui ha
dedicato tutto se stesso, proprio ora che si è affermata; lasciare il lavoro
nelle scuole in cui ci si è messi in gioco giorno per giorno nelle realtà più
difficili; accantonare un progetto che si è inseguito per anni e anni e che
infine si poteva realizzare. Quanto è costata ognuna
di queste decisioni ad Antonio? Fabrizio guarda Antonio e
scuote la testa. Non riesce a parlare. - Fabrizio, per me tu sei
più importante. - Antonio, tu sei pazzo! Ma mentre lo dice, Fabrizio ha le lacrime agli occhi. - Fabrizio, non rinuncio
al teatro. Rinuncio solo a un progetto, per un po’ di tempo. E tornerò a Napoli,
periodicamente. Però conto di stare a Torino la maggioranza dell’anno. Voglio
stare vicino a te. È così strano? È un segno di pazzia? In questo caso ti sei
scelto un compagno pazzo. Dovevi scegliere meglio… Fabrizio non parla. Scuote
nuovamente la testa. Vorrebbe nascondere le lacrime, di cui si vergogna.
Antonio lo abbraccia e Fabrizio si mette a piangere senza ritegno. 2012 |