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Una fine da topi -
Mateo, ti vuole subito il sergente Bolnuovo. Mateo Roser si
alza dal tavolo dove sta finendo la sua colazione e raggiunge l’ufficio del
sergente. Saluta. - Mi
ha chiamato, signor sergente? -
Sì, Roser. C’è da portare il bandito alla base di
Santa Teresa, da dove lo faranno arrivare a Río
Alto. Lo accompagnerai tu. -
Sì, signor sergente. -
Partite subito. Voglio che siate al passo di Camarca
prima di notte. -
Sì, signor sergente. Il
sergente gli dà una chiave. -
Questa è la chiave delle manette. Non gliele devi togliere per nessun motivo,
hai capito? Per nessun motivo. Puoi anche lasciarlo senza mangiare e senza
bere: per due giorni non muore. E se muore, chi se ne fotte? Un pezzo di
merda in meno. Mentre
il sergente parla, arriva un soldato che conduce il prigioniero. Mateo lo
guarda in faccia. Il taglio sotto l’occhio, il sangue raggrumato colato dal
naso e dalla bocca, le escoriazioni. Mateo distoglie lo sguardo. Cerca di
ricacciare lontano le immagini del giorno prima, del pestaggio feroce a cui
ha assistito. Il
sergente riprende a parlare. - Se
questo pezzo di merda si allontana di due passi, tu gli spari subito. Chiaro? Mentre
dice queste parole, il sergente guarda il prigioniero, che pare del tutto
indifferente. -
Sì, signor sergente. -
Non gli togli le manette neanche se deve cagare. Può cagarsi addosso. Chiaro? -
Sì, signor sergente. - Se
rifiuta di camminare, gli spari ai coglioni, prima di sparargli in bocca. -
Sì, signor sergente. -
Poi gli tagli i coglioni, glieli metti in bocca e gli tagli la testa. Mi devi
portare la testa con i coglioni in bocca, hai capito? Altrimenti non ti credo
e ti faccio fucilare per aver lasciato scappare il prigioniero. -
Sì, signor sergente. - Se
cade in un dirupo, recuperi la testa e me la porti. Qui non torni senza la
ricevuta della consegna del prigioniero o la sua testa. -
Sì, signor sergente. Mateo
risponde, ma il sergente non lo guarda mai. Fissa il prigioniero, con un
ghigno rabbioso. - Se
decidi di ammazzarlo per strada, non farlo in fretta. Divertiti un po’ con
lui. Ma mi porti la testa con i coglioni in bocca, capito? -
Sì, signor sergente. -
Adesso puoi andare. Fuego ti darà l’occorrente. Mateo
saluta ed esce. Il sergente continua a guardare il bandito, finché loro due
non sono fuori. Un
soldato arriva. Ha uno zaino, un fucile, una pistola, un coltello. Porge il
tutto a Mateo. Mateo
si avvia con il prigioniero. Ci
vogliono almeno sette ore di marcia per raggiungere il passo di Camarca. Hanno davanti dieci-undici ore di luce. Se il
prigioniero collabora, non avranno problemi. ma se si opponesse? Se si
rifiutasse di camminare? Mateo non se la sentirebbe di uccidere un uomo a
sangue freddo. E se, anche volendolo, il prigioniero non fosse in grado di andare
avanti? Dopo le botte di ieri… Mateo
vorrebbe cacciare dalla sua mente i pensieri che ora si affollano. Il
pestaggio del prigioniero non è il peggiore, anche se a Mateo ha fatto
orrore: un uomo disarmato e legato, picchiato con ferocia da un sergente e quattro
soldati per puro divertimento. La distruzione del villaggio, di ieri mattina,
è stata molto peggio. Le capanne incendiate, due donne stuprate, almeno tre
uomini uccisi. Gli abitanti erano accusati di aiutare i guerriglieri, anche
se non c’era nessuna certezza che fosse così. Mateo
si passa una mano sulla fronte. Non ha quasi chiuso occhio, questa notte, lui
che ha sempre dormito come un sasso. Quando, dopo l’addestramento, lo hanno
mandato qui, pensava di rischiare la pelle, ma di servire il suo paese.
Adesso si chiede che cosa sta facendo. Mateo
procede in silenzio, il fucile in mano, controllando che il prigioniero lo
segua. Non scambiano una parola per due ore, finché arrivano alla sorgente di
Huaya. Mateo beve a lungo. Il caldo è intenso e ha
sudato molto. Poi Mateo prende la borraccia, la riempie e chiede al
prigioniero: -
Vuoi bere? L’uomo
lo guarda, diffidente. Poi risponde: -
Sì. Mateo
gli avvicina la borraccia alle labbra e lo fa bere. Lascia che beva tutto il
contenuto della borraccia, interrompendo ogni tanto il getto perché possa
respirare, e poi gli chiede se ne vuole ancora. L’uomo annuisce. Beve
moltissimo: non deve aver avuto un goccio d’acqua da quando lo hanno
catturato, ieri pomeriggio. -
Ancora? -
Basta. Grazie. Mateo
si stupisce che l’uomo lo abbia ringraziato. Lo guarda. Il viso è sporco.
Sangue, fango e sudore. -
Siediti qui, che ti lavo la faccia. L’uomo
sembra sorpreso. Anche Mateo è meravigliato delle sue parole: ha parlato
senza pensare. Il prigioniero si siede. Mateo
gli sciacqua la faccia, pulendo con delicatezza le ferite. -
Così va meglio. -
Grazie. -
Adesso andiamo. Il
prigioniero si alza. -
Come ti chiami? La
domanda sorprende Mateo. Esita. Poi risponde: -
Mateo. L’uomo
annuisce. Mateo esita un attimo, poi chiede: - E tu? Mateo
si pente subito di aver chiesto. Non vuole dare familiarità al prigioniero. - Mi
chiamano Peludo. Già,
i guerriglieri non usano un nome, ma solo un soprannome. -
Andiamo. Si
rimettono in marcia. Due ore dopo Peludo dice: -
Mateo, devo pisciare. Mateo
si volta. Non dice niente. -
Devo farla nei pantaloni? C’è
un sorriso sul viso di Peludo. Mateo
non sa che cosa dire. Scuote la testa. Si
avvicina, impacciato. Sbottona i pantaloni di Peludo, che non ha mutande.
Passa dietro e li abbassa. Peludo ha un culo muscoloso, coperto da una
peluria nera. Mateo distoglie rapidamente lo sguardo. Sente lo scroscio del
getto di Peludo. Allora Mateo si sbottona i pantaloni e piscia anche lui,
evitando di guardare Peludo. Poi si risistema. - Ho
finito. Mateo
si volta. Guarda ancora il culo di Peludo e si sente la gola secca. Merda!
Rimanendo dietro a Peludo, gli solleva i pantaloni, poi passa davanti e li
chiude. Si rimettono in marcia. Camminano
ancora una mezz’ora, poi Mateo decide che è ora di mangiare. Lo comunica a
Peludo e si siedono. Mateo
tira fuori le provviste. E adesso, come dare da mangiare a Peludo? Non
intende togliergli le manette, ma non vuole neppure lasciarlo a digiuno. -
Hai sete? -
Sì. Mateo
gli dà di nuovo da bere. Poi prende il pane e il formaggio. Non sa che fare e
gli scoccia che Peludo lo veda così, esitante. Taglia un pezzo di pane e un
pezzo di formaggio e li avvicina alla bocca di Peludo, che apre le labbra.
Poi si taglia due pezzi per sé e se li mette in bocca. Mangiano così, senza
scambiare parola. Mateo è a disagio ed evita di guardare Peludo, che invece
lo fissa. Solo quando gli dà un boccone, Mateo lo guarda. Il guerrigliero ha
un viso cordiale e a Mateo sembra di vedere una scintilla di ironia in quegli
occhi scuri che lo fissano. Mateo
spartisce quello che ha. Dà ancora da bere a Peludo e poi riprendono il
cammino. Adesso viene la parte più dura. Si sale verso il passo e la fatica
si fa sentire. Sono le ore più calde e finché il sole batte, il calore sarà
soffocante. Poi, dopo il tramonto, la temperatura calerà in fretta. Il
sentiero è ripido e Mateo avverte la fatica. Ha lo zaino e il fucile. Il
prigioniero cammina spedito. Mateo si chiede come farà, prima del passo,
quando ci sono dei passaggi difficili, in cui occorre aiutarsi con le mani. Due
volte si fermano per riposarsi. Infine arrivano alla parte più esposta. Il
sentiero è stretto, a tratti si aprono precipizi. Mateo si volta a guardare
Peludo, che cammina sicuro, anche con le mani legate dietro la schiena. Ora
a lato dello stretto passaggio si apre una voragine. Peludo sorride: - Se
cado qui, non so se riesci a portare la mia testa a quel figlio di puttana di
Bolnuovo. Mateo
guarda l’abisso che si apre ai loro piedi: una parete verticale, che con una
serie di salti scende fino a valle. Se qualcuno finisse su una di quelle
balze, sarebbe impossibile recuperarne il corpo. Ora
sono davanti a una parete su cui occorre arrampicarsi. Ci sono numerosi
appigli, ma per un uomo con le mani legate dietro la schiena, è quasi
impossibile salire. Mateo esita. Si è impegnato a non togliere le manette al
prigioniero. Si mette il fucile a tracolla e passa dietro a Peludo. Lo
sostiene, lo spinge. Peludo
riesce a salire. Ora ha superato l’ultimo passaggio difficile. Di lì al
colle, non ci sono più problemi. Mateo deve ancora superare il salto oltre il
quale ha spinto Peludo. Mentre si sta issando, vede davanti a sé Peludo, che,
voltato verso di lui, lo guarda. Se Peludo gli desse un calcio ora, Mateo si
schianterebbe al fondo del dirupo e Peludo potrebbe proseguire fino a
raggiungere qualche villaggio amico, dove gli segherebbero le manette. Guarda
in viso Peludo, che lo sta fissando. Di colpo Peludo scoppia a ridere e fa un
passo indietro. Mateo sale. Guarda Peludo, che ha smesso di ridere, ma ha un
ghigno stampato in faccia. -
Sei poco prudente, soldato. Mateo
annuisce. Di colpo gli pare di essere più stanco. Sta portando quest’uomo a
morire. Lo tortureranno, lo picchieranno, lo uccideranno. Mateo
si passa una mano sulla fronte. Mateo è stanco, ma non è solo la stanchezza
del cammino e della notte quasi insonne. È molto di più. Mateo
riprende a camminare, senza dire niente. -
Non te la prendere, Mateo. Mateo
non replica. Cammina, senza più nemmeno guardare se Peludo lo segue. Vorrebbe
che fuggisse, che scomparisse. Se il sergente lo farà fucilare, tanto peggio.
Ma quando arriva al colle e si volta, Peludo è dietro di lui. Sono
saliti bene, hanno ancora quasi due ore di luce. Però
devono scendere, sul colle non c’è uno spazio per fermarsi. Il pianoro è poco
sotto, mezz’ora di cammino. Raggiungono
il pianoro, solcato da un ruscello. -
Mateo, devo cagare. Mateo
si volta e guarda Peludo. E adesso? Non può dirgli di farla nei pantaloni. Peludo
gli dice: -
Toglimi le manette, soldato. Prometto che non cercherò di scappare e me le
farò rimettere. Sai benissimo che se avessi voluto ucciderti, avrei potuto
farlo. Mateo
lo sa, ma sa anche che se lo avesse fatto cadere nel burrone, Peludo sarebbe
rimasto con le mani bloccate dietro la schiena. Mateo
annuisce. Peludo si volta, dandogli la schiena. Mateo gli apre le manette e
gliele toglie. Si dice che ha fatto una cazzata. E poi si dice che non gliene
fotte un cazzo. Peludo
si allontana e scompare dietro un sasso. Dopo un po’ riappare, ma non torna
da Mateo. Si avvicina al torrente, si spoglia e entra nell’acqua, che gli
arriva fino alle ginocchia. Incomincia a lavarsi. Per
Mateo è stata una frustata. Quel corpo potente, coperto da una peluria scura,
gli toglie il respiro. Mateo non riesce a distogliere lo sguardo da quel
torace muscoloso, da quel ventre, dal grande uccello, dalle palle. E il
desiderio che gli brucia dentro si tradisce nella violenta erezione. Mateo si
vergogna. Peludo
si lava nell’acqua, che di certo dev’essere ben fredda. Poi torna a riva, si
riveste e si avvicina a Mateo. Sorride e nel suo sorriso a Mateo pare di
leggere una presa per il culo. Peludo
rimane un momento così, poi si volta e mette le mani dietro la schiena. Mateo
guarda quelle grosse mani pelose e dice: -
No, non ora. Dopo che abbiamo mangiato, se confermi la tua promessa. - Va
bene. Si
siedono vicino al torrente e mangiano. Mateo
dice: - Ci
stendiamo qui. Peludo
scuote la testa. -
Guarda il cielo, soldato. Mateo
alza il capo. Nuvole scure si avvicinano. Merda! -
Quella non è una pioggerella estiva, Mateo. È bufera. Mateo
annuisce. Si
alzano e cercano un posto in cui possano stare al riparo. A un certo punto
Mateo non vede più Peludo e si chiede se questa volta non sia davvero
scappato. Ma
la voce di Peludo lo chiama. -
Qui Mateo! Si
dirige verso la voce. Peludo è di fronte a un’apertura nella montagna. Una
fenditura stretta, più che una grotta, ma sufficiente perché due persone
possano stendersi e perfettamente riparata dalle intemperie. Mateo
mette lo zaino, il fucile e la pistola all’interno. Stende la coperta. Poi
guarda Peludo. Deve mettergli le manette. Peludo
capisce. -
Mettimele davanti. La promessa è sempre la stessa, ma almeno dormirò meglio.
Prometto che non ti strozzo. Mateo
alza le spalle. Infila le manette in tasca. -
Stenditi. Mateo
si stende di fianco a Peludo. Lo spazio è ridotto e i loro corpi si toccano. -
Soldato, tu sei pazzo. Se non ti ammazzo io, ti ammazza il sergente. Quel
figlio di puttana di Bolnuovo non scherza. -
Allora è meglio se mi ammazzi tu. Ma adesso lasciami dormire. Peludo
non dice niente. Le loro braccia si toccano. Peludo mette la sinistra sulla
destra di Mateo e la stringe. Poi la lascia. Poco
dopo Mateo sente il suo respiro profondo. Mateo si dice che Peludo ha
ragione: è davvero pazzo. E poi si addormenta. La
tempesta della notte lo sveglia. I tuoni fanno tremare la montagna. Peludo
gli mette di nuovo una mano sulla sua, senza dire nulla. La
tempesta dura due ore, ma entrambi si riaddormentano prima che finisca. Quando
Mateo si sveglia, il cielo non è più completamente buio. Non c’è nessuno al
suo fianco e Mateo è contento che Peludo sia scappato. Sa benissimo che con
ogni probabilità Bolnuovo lo farà fucilare, ma
forse è meglio così. In
quel momento Peludo ritorna. -
Sveglio? -
Sì. Credevo che te ne fossi andato via. -
Sono solo andato a pisciare. -
Perché non sei scappato? - Ho
promesso. Ma da quando mi metti le manette non prometto più niente. Mateo
pensa che questa sera saranno alla base di Santa Teresa. Lui consegnerà il
prigioniero e domani tornerà alla sua sede. Peludo sarà torturato, massacrato
di botte e infine ammazzato: perché da quello che gli hanno detto i compagni,
questa è la sorte dei guerriglieri. Si estorcono le informazioni che i
prigionieri possono dare e poi li si fucila. Mateo
è angosciato. Fanno
colazione. Peludo chiede: -
Perché fai il soldato? -
Sono di leva. -
Non pensavo che mandassero anche i soldati di leva contro la guerriglia. Mateo
alza le spalle, senza rispondere. - Se
stai con loro, finirai per diventare come loro. Mateo
si sente sempre peggio. -
Andiamo. Voltati. Peludo
ubbidisce. Mateo gli mette le manette. Incominciano a scendere. Poi risalgono
per l’altopiano. Si fermano a mangiare e bere e ogni volta Mateo toglie le
manette a Peludo. Quando
infine avvistano il villaggio di Santa Teresa, è quasi sera e di nuovo il
cielo minaccia tempesta. Sta scendendo una pioggia fine, che presto potrebbe
trasformarsi in un muro d’acqua, come ieri sera. L’angoscia
che lo ha accompagnato tutto il giorno ora schiaccia Mateo. Sa che non può
consegnare quest’uomo al macello. -
Voltati. Peludo
non capisce. -
Muoviti. Peludo
esegue. Mateo
gli toglie le manette. -
Vai, scompari. Peludo
si volta e lo guarda. -
No, Mateo. - Ma
perché? Cazzo! Perché? -
Perché Bolnuovo davvero ti ammazza. O ce ne andiamo
insieme o mi consegni. -
Andarsene insieme? Sei pazzo?! Arresterebbero i miei, farebbero pagare a loro
la mia diserzione. - Se
non torni, crederanno che io ti abbia sorpreso e ucciso. -
No! Vattene. -
No! Mateo
brandisce il fucile, ma che cosa può fare? Minacciare di ucciderlo se non se
ne va?. -
Vattene, perdio! Vattene! -
No. Peludo
non si muove. Mateo
sente la disperazione invaderlo. - Mateo,
non c’è niente da fare. Se non vuoi venire via con me, consegnami. - Ma
perché? Perché? Peludo
ha già risposto, ma Mateo non può accettare che il guerrigliero lo faccia per
lui. -
Mateo, stai solo facendo il tuo compito. Hai già visto fare molto di peggio,
se l’altro ieri eri al villaggio che avete distrutto. E farai molto di peggio
anche tu, se non te ne vai. Ma se non te la senti di andare via ora,
consegnami. Mateo
vorrebbe colpire Peludo. Non può consegnarlo. E
mentre cerca disperatamente una soluzione, si rende conto che è troppo tardi:
un gruppo di soldati sta arrivando. Li hanno visti. - Mi
spiace, Peludo. Peludo
sorride: -
Dei due, sei messo peggio tu. Peludo
si volta e in pochi minuti raggiungono i soldati che vengono loro incontro.
Mateo dice che ha un prigioniero da consegnare al capitano. Attraversano
il villaggio e giungono alla caserma. Mateo c’è già stato due volte. Ma
davanti all’edificio rimane sbalordito: tutta un’ala è crollata. - Ma
che è successo, signor sergente? Un attentato? L’uomo
gli risponde. -
No, la bufera di questa notte. Questi edifici sono tenuti insieme con lo
sputo. Tutta l’ala ha ceduto di colpo. È andata bene che gli scricchiolii
hanno svegliato i soldati e alcuni sono riusciti a fuggire, ma sono morti in
dodici. Il
capitano Molina prende in consegna il prigioniero e rilascia a Mateo il
foglio con la ricevuta. Mateo sente un peso tremendo, che lo schiaccia.
Guarda Peludo, che sembra non badargli. -
Portatelo nella cella. Mateo
fissa Peludo che, scortato da due soldati, scende lungo una scala. Si rende
conto che i gradini scompaiono nell’acqua fangosa: Peludo avanza e l'acqua
già gli arriva al ginocchio. Mateo
guarda il capitano. -
Ma… signor capitano… dove lo portano? Il
capitano alza le spalle. - La
cella è allagata, ma l’acqua arriva solo fino alla vita. Non abbiamo altro
posto. Non intendo neanche far dormire gli uomini qui, questa notte, visto
che è ripreso a piovere. -
Ma, signor capitano, se piove ancora… non c’è il rischio che la cella venga
allagata completamente? Che si verifichino nuovi crolli? Il
capitano ripete lo stesso movimento delle spalle. -
Soldato, mal che vada, farà la fine dei topi. Forse per lui è meglio. Non
saprei dove metterlo. Né so dove mettere lei. Ho dovuto far requisire quattro
case per sistemare i superstiti. Questa notte minaccia di nuovo bufera e non
è prudente che rimaniamo qui. La caserma è pericolante. Un’altra bufera e
viene giù tutto. Mateo
pensa a Peludo, nella cella con l’acqua fino alla vita. Se la caserma crollasse…
Perché quel coglione non ha accettato di scappare? Perché lui non l’ha fatto
scappare prima? - Io
dormo qui, signor capitano, se lei me lo consente. Sono responsabile del
prigioniero. Il sergente Bolnuovo pensa che possa
avere informazioni importanti sui guerriglieri. Vorrei che arrivasse vivo. Mateo
sta inventando: a Bolnuovo non gliene fotte un
cazzo che Peludo sia consegnato vivo o crepi. Per lui è lo stesso. Gli
importa solo che non scappi. - Se
ci fosse un crollo, creperesti anche tu soldato. E ormai ti ho dato la
ricevuta. Non sei più responsabile di un cazzo. Fottitene. -
Per favore, signor capitano. Il sergente mi pelerà vivo se il prigioniero
muore mentre io sono qui. Se mi può lasciare la chiave della cella,
controllerò che il livello dell’acqua non salga troppo. Al massimo lo porto
fuori e gli rimetto le manette. -
Sei una testa di cazzo, soldato, ma se preferisci crepare sotto le macerie,
fa’ come cazzo ti pare. Il
capitano scuote la testa e sorride. Mateo pensa che
dev’essere migliore del suo sergente. Non che ci voglia molto. L'ufficiale
chiama uno dei soldati che hanno accompagnato Peludo nei sotterranei e si fa
dare la chiave della cella, che consegna a Mateo. Mangiano
qualche cosa sotto il porticato, poi il capitano e i suoi uomini raggiungono
le case in cui passeranno la notte. Mateo
rimane sotto il porticato. La pioggia sta rapidamente crescendo di intensità.
Mateo guarda la scala. L’acqua è salita di un gradino. Mateo si guarda
intorno alla luce ormai molto debole. Non c’è nessuno. Mateo
si spoglia, rimanendo in mutande. Accende la lampada che il capitano gli ha
lasciato e scende lungo la scala. Poi ha un ripensamento. Risale e si toglie
anche le mutande: l’acqua è fangosa, non è il caso di bagnare e sporcare le
mutande che già non sono di certo pulite. Nel sotterraneo l’acqua gli arriva
a metà torace. La porta della cella è davanti a lui: ce n’è una sola. Mateo
apre la porta. Peludo è in piedi, contro la parete di fronte, a due passi: la
cella è minuscola. Peludo
guarda dietro di lui, per capire se c’è qualcun altro. -
Sei solo, soldato? -
Sì. Sono andati via. L’edificio potrebbe crollare questa notte, se piove di
nuovo in modo violento. E tu farai la fine dei topi. Peludo
sorride: -
Allora è meglio che tu te ne vada in fretta, Mateo. Mateo
chiude la porta alle sue spalle e appende la lampada a un gancio che pende
dal soffitto, poco sopra la sua testa. - Me
ne andrò solo se vieni fuori anche tu. -
Cazzo, Mateo! Sei cocciuto come un mulo. -
Peludo, hai tutta la notte davanti, prima che si accorgano della tua
scomparsa. Puoi metterti in salvo. - Ti
ho già risposto, Mateo. Tu hai cambiato idea? -
No. - Io
neppure. - Va
bene, allora ti tengo compagnia. Peludo
si avvicina. Ora è di fronte a Mateo. Lo sovrasta di almeno quattro dita. - Soldato,
non sei armato e potrei anche prenderti con la forza e trascinarti fuori di
qui. Le
parole di Peludo turbano Mateo. “Prenderti con la forza”. Mateo ha capito
benissimo il senso di queste parole, ma l’immagine che ha visto nella sua
testa è un’altra: Peludo che lo stringe tra le sue braccia e lo possiede. Ma
assai più delle parole lo turba la vicinanza del corpo di Peludo, che lo
sfiora e accende il desiderio. Peludo
fa ancora un passo avanti, per costringerlo ad arretrare, e i loro corpi si
toccano. Si guardano negli occhi. Gli
sembra che Peludo legga dentro di lui, che veda il suo desiderio. Mateo ha
paura, paura di ciò che desidera. Peludo apre la bocca, ma non dice nulla. Lo
guarda, gli passa una mano sulla faccia. È bagnata e sporca di fango, quella
mano, ma la carezza stordisce Mateo. Mormora: -
Peludo. -
Sono Ramiro. Ramiro
lo stringe tra le braccia. Mateo ricambia la stretta. Mateo
non saprebbe dire se è la sua bocca a cercare quella di Ramiro o viceversa.
Sa che ora le sue labbra si incontrano, che si stanno baciando. È la prima
volta che bacia un uomo. Forse l’ultima, perché tra poco potrebbero essere
entrambi morti, affogati come topi in trappola. Il loro bacio diventa
ardente, la lingua di Ramiro entra nella bocca di Mateo, mentre le mani di
Ramiro stringono il culo di Mateo, tanto forte da fare male. Quando
le loro bocche si separano, a Mateo sfugge un: - Sì! Ramiro
lo stringe ancora, lo abbraccia, preme su di lui e il desiderio cresce,
vertiginoso. Ramiro gli bacia la bocca, il collo, i capezzoli che l’acqua
ormai lambisce. Poi lo volta contro la porta. Mateo sente l’arma di Ramiro,
che preme contro il suo culo, e boccheggia. Ramiro gli bacia il collo, gli
morde un orecchio, gli accarezza i capelli. - Lo
vuoi, Mateo? -
Sì. Mateo
si abbandona completamente. Ramiro lo sostiene, gli allarga le gambe, lo
solleva un po’ e Mateo sente lo sperone forzare l’ingresso, lentamente. Mateo
chiude gli occhi, mentre il suo corpo accoglie l’arma che avanza. Il dolore
che prova gli sembra lontano, mentre il piacere cresce e lo avvolge tutto. È
la prima volta che viene posseduto, la prima volta che un uomo lo stringe, la
prima volta che conosce questo piacere violento e doloroso, questo abbandono
totale a un padrone che prende possesso del suo corpo. Geme,
più volte. Grida: -
Peludo! Ramiro! Vorrebbe
aggiungere altre parole, ma la vergogna lo blocca. Grida ancora: -
Sì! L’uccello
di Ramiro è completamente dentro di lui, presenza dolorosa e intollerabile,
che lo riempie e gli toglie il fiato. Il dolore sale, ma diventa piacere.
Mateo grida ancora: -
Sì! Ramiro
incomincia a spingere. Ogni movimento è una fitta che percorre tutto il corpo
di Mateo, sofferenza e godimento ugualmente intollerabili. Ramiro sussurra il
suo nome e la sua voce lo stordisce. Mateo
geme, sempre più forte, mentre Ramiro prosegue, inesorabile, la sua cavalcata
selvaggia, che pare interminabile, che Mateo vorrebbe non finisse mai. Le
mani di Ramiro lo stringono, lo accarezzano, lo sostengono, fanno vibrare
tutto il suo corpo. La bocca di Ramiro lo bacia sulla nuca, sui capelli. Lo
spiedo di Ramiro lo infilza senza pietà. Infine
Ramiro viene dentro di lui e la sua mano gli afferra l’uccello, portandolo
rapidamente a un piacere violentissimo, che gli strappa un grido e poi una
serie di singhiozzi, man mano che le scosse si attenuano. Mateo
ha l’impressione di non riuscire a stare in piedi. Lascia che Ramiro lo
trascini fuori dalla cella, dove ormai l’acqua è quasi all’altezza del collo,
chiuda la porta e lo forzi a salire la scala fino al cortile. Rimangono
un momento sotto la pioggia, a lavarsi del fango. -
Rivestiti, in fretta. Mateo
ubbidisce. Gli sembra di non avere più una volontà. Ramiro
sta trafficando con uno dei pali del porticato. - Spostati,
Mateo. Mettiti alla porta della caserma, pronto a scappare. Mateo
esegue, ma le parole di Ramiro gli fanno temere per lui. Che cosa sta
facendo? Ramiro
traffica ancora. C’è un rumore violento e una parte del porticato crolla,
quasi travolgendolo. -
Ramiro! -
Non ti preoccupare. Ramiro
continua a trafficare, ma ora Mateo è angosciato. Non si vede quasi niente,
nel buio della notte, ma Mateo intuisce che Ramiro
vuole far cadere il porticato e favorire il crollo dell’edificio, già
pericolante, in modo che la cella rimanga del tutto sepolta e tutti possano
pensare che il prigioniero è morto. Solo il prigioniero? No, Mateo lo sa
benissimo. Anche lui risulterà morto nella cella dove nessuno scaverà. Perché
lui se ne andrà con Ramiro. Non è una scelta ragionata. È l’unica via che può
percorrere, ormai. Un
nuovo crollo. Mateo sussulta. -
Ora possiamo andare, Mateo. Ramiro
lo bacia sulla bocca, sotto l’acqua che li inonda. Ramiro
non gli ha chiesto niente. Sa che Mateo lo seguirà. Sono
già lontani, quando sentono il rumore più forte dell’ultimo crollo. Il
giorno dopo il capitano Molina comunicherà che il soldato Mateo
Roser e il prigioniero che sorvegliava sono morti
nel crollo della caserma. Il soldato avrà diritto a una menzione speciale
alla memoria, per l’attaccamento al dovere, e i suoi riceveranno una piccola
pensione. Ma tutti, dal sergente Bolnuovo al
capitano Molina, penseranno che è stato un coglione: per cercare di salvare
il prigioniero che gli era stato affidato, ha fatto una fine da topi. 2012 |