Un regalo inaspettato di Rossana L’uomo che gli apre la
porta ha i capelli grigi, ma la faccia è piuttosto giovane. Cristiano non gli
darebbe più di quarant’anni. Ha un bel sorriso cordiale ed occhi grigi che
sembrano scintillare, maliziosi. - Buongiorno, ho
telefonato prima, sono… L’uomo lo interrompe
subito: - Venga avanti, dottore,
l’aspettavo. Cristiano segue l’uomo,
che lo precede nell’ufficio: aspetta in piedi, fino a quando con un cenno
della testa lo invita a sedere sulla sedia davanti alla scrivania. Prima di
prendere posto, sporgendo il busto in avanti, il consulente immobiliare
trattiene la cravatta con la sinistra e offrendo la destra al cliente si presenta. - Mi chiamo Bruno, tanto
piacere. Cristiano porge la sua
mano e si ripresenta, evitando di insistere sul dottore. - Vede dottore, (appunto!)
il collega col quale lei ha parlato al telefono mezz’ora fa ha raccolto i
suoi dati, le sue richieste e ha fatto delle ricerche. In questo momento lui
non c’è, è dovuto uscire per un altro impegno ma…
sarò lieto di occuparmi di lei e vedrà che uscirà da qui soddisfatto. Ho già
pronte delle occasioni che sono certo non vorrà non prendere in
considerazione. Tutta la pappardella è
accompagnata da un sorriso che intenderebbe riproporre lo scintillio
malizioso degli occhi, ma ha come risultato un fastidioso ghigno da furbetto
e a Cristiano i furbetti non piacciono. Guardandolo dritto negli occhi
Cristiano calma subito l’entusiasmo del giovane ed esuberante ragazzo con una
chiara ed educata risposta: - Senta, lasciamo da parte
il dottore. Mi ascolti: è un vero peccato che il suo collega sia dovuto
andare via, avremmo risparmiato entrambi del tempo dato che telefonicamente
avevo già esposto le mie richieste, peraltro semplici: cerco un appartamento
provvisto del necessario e con necessario, intendo un tetto, un pavimento, una stanza da
letto, un bagno e una cucina decenti. Questo non dovrebbe essere difficile.
Ma voglio complicarle la vita: digiti sulla sua bella tastiera il nome della
località che ora le dirò e faccia una ricerca che escluda il centro abitato e
si sposti verso una zona solitaria e silenziosa. Questo è ciò di cui ho
bisogno: che mi dice? A questo punto Cristiano
si appoggia alla spalliera e si rilassa sfoggiando un attraente ed esagerato
sorriso. Bruno si schiarisce la
voce e si dà da fare sui tasti: dopo qualche minuto e qualche goccia di
sudore a imperlargli la fronte volge lo schermo del suo pc
verso il cliente. Questi, dopo aver inforcato gli occhiali e accostato la
poltrona alla scrivania, è pronto a selezionare gli esiti della ricerca con
l’aiuto del consulente che dentro di sé sogghigna soddisfatto alla vista
degli occhiali da lettura: segno di un età avanzata e, grazie a Dio, di una
debolezza in un uomo che gli sembra tutto di un pezzo. La vanità dovuta alla
giovane età si impossessa di lui facendogli gonfiare il petto e, pieno di sé,
a impostare la voce dandole una cadenza accondiscendente e professionale allo
stesso tempo: - Cinquanta metri quadri,
ristrutturata, indipendente con giardino e posto auto. Posizionata nella zona
del vecchio centro storico che si cerca di recuperare: un tempo era abitato
dai pescatori, ma ora le case sono state quasi tutte abbandonate dai
proprietari che, quando non riescono a vendere, affittano, soprattutto nel
periodo estivo: il mese di aprile è un periodo tranquillo, glielo garantisco. Cristiano dà un’occhiata
veloce alla foto che appare nello schermo e ritenendosi soddisfatto accelera
la parte burocratica e si appresta ad alzarsi quando Bruno lo blocca ancora
una volta. - L’appartamento è sfitto
da quasi un anno, lei vorrebbe prenderne possesso già nei prossimi giorni, mi
permetta di darle un consiglio: mandi avanti la sua signora che si faccia
aiutare da qualcuno per arieggiare e dare un’occhiata alla casa prima di
sistemare la vostra roba. - Ma di cosa parla? Quale
signora? - Cristiano guarda l’uomo con un sopracciglio sollevato che la dice
tutta sul limite della sua pazienza. - Intendevo sua moglie:
scusi ma la fede che porta al dito e che per tutto il tempo ha girato e
rigirato, ho pensato che… beh, mi scusi, non volevo
essere indiscreto, io… già mi scusi ancora. Spero
che sia tutto di suo gradimento. Arrivederci. Rimasto solo Bruno
sprofonda nella poltrona e sbuffando cerca di ritrovare un po’ di amor
proprio esplodendo in un: - Cazzo! Cristiano esce
dall’ufficio e una volta ritrovata la calma si guarda l’anulare sinistro e
solo ora si accorge di quanto l’anello lo abbia arrossato. Se Bruno vedesse
le sue lacrime ne sarebbe contento: dov’è finita la tua arroganza
dottore? Il viaggio in macchina
sarebbe dovuto servire a rilassarlo ma la giornata appena trascorsa è stata
un susseguirsi di impegni e tutti piuttosto pesanti: la tensione accumulata
gli ha provocato una forte emicrania che gli dà la nausea. Al mattino prima di tutto
la visita a casa di sua madre: vedova da tanti anni, non l’ha mai sentita
lamentare per la solitudine con la quale ha sempre dovuto convivere. - Vederti per me è sempre
una gioia, preferisco non badare alle settimane che passano dall’ultima
volta: so bene quanto ti impegna il lavoro. Già, il lavoro. Il reparto
di cardiologia quell’ultimo mese è diventato un incubo per Cristiano:
prendersi cura di pazienti con gravi patologie che gli affidano il proprio
cuore mentre il suo è a pezzi può avere delle gravi conseguenze e il primario
della clinica è stato il primo a farglielo notare: - Sta’ a casa Cristiano,
allontanati da qui e cerca un po’ di pace. Vedrai, c’è un limite alla
sofferenza, anche a quella che ci provoca la scomparsa di una persona cara:
passerà anche questo brutto momento. Prenditi cura di te e appena sarai
pronto a riprendere il lavoro, questa è la tua casa. Già “la tua casa”: niente
di più vero per Cristiano, che ha trascorso più tempo all’interno di
quell’ospedale che in qualsiasi altra parte, compresa la casa dei suoi
genitori, lasciata all’età di 19 anni. Allora tutto il suo essere
era preso dagli studi e dal raggiungimento della laurea col massimo
dell’impegno per poter avere l’onore di affiancare i professori che fanno
della propria professione una missione e che lo incoraggiavano a fare
altrettanto, con duro lavoro e dedizione. La vita all’interno
dell’ospedale trascorre quasi ovattata: tra gioie e dolori, successi e
insuccessi. Ed è al suo interno che si sviluppa il carattere del medico:
freddo o passionale, scontroso o amorevole. Ma soprattutto in quei
reparti si vivono le relazioni: il personale, i colleghi, parte di un tutto
che deve funzionare alla perfezione. Anche quando ci si va a
innamorare della persona sbagliata o quando si ruba un po’ di amore nelle
stanze vuote o nei sottoscala, sempre lontani dalla luce del sole. Ad un tratto ci si ritrova
seduti su una panchina all’interno dei giardini che circondano quell’edificio
diventato “casa” e mentre si sta per scartare il regalo del 48esimo
compleanno che un amico ha fatto trovare nell’armadietto degli spogliatoi si
sorride e Cristiano lo fa mentre pensa alla cena e a quel regalo che, ha già
capito, renderà la serata più eccitante. Ma in quel momento squilla
il cellulare e quel regalo ancora incartato rimane lì, sulla panchina fredda
di un giorno di fine febbraio, sino a quando l’uomo addetto alla cura e
manutenzione del parco lo nota e dopo qualche indecisione decide di aprire: -
Aaah esclama, e un sorriso gli illumina il viso,
dando a quella noiosa giornata una vibrante svolta. Perché la vita è così:
vicino all’uomo che soffre c’è sempre qualcuno che ha un buon motivo per
gioire. - Cristo! - urla Cristiano
inchiodando la macchina con una frenata che lascia sull’asfalto buona parte
dei pneumatici. Cosa diavolo era quello? Maledetti motociclisti! Intanto la moto che gli ha
tagliato la strada all’ingresso della cittadina è solo un faro all’imbrunire
di un'altra giornata per concludere la quale rimane ancora un’ultima fatica:
trovare quel meraviglioso rifugio che Bruno ha tanto calorosamente suggerito. Non c’è stato bisogno di
chiedere aiuto: l’indirizzo e il cognome del proprietario sono chiari e il
cancello chiuso che lo separa dallo stretto cortile soffocato dalle piante e
quindi dall’ingresso dell’appartamento ora è lì davanti a Cristiano, che però
indugia sul sedile della macchina. Che fretta c’è a voler
entrare in una casa che non è la propria, una casa che trattiene i ricordi di
persone che gli sono estranee? Cristiano si volta e osserva le camicie appese
ai ganci sopra gli sportelli posteriori: perché diamine si è portato dietro
tutte quelle camicie? Non ricorda neppure cosa
ha messo dentro il borsone, al buio solo una macchia scura sul sedile. Ma
mentre lo guarda ripensa all’ultimo viaggio del quale non ricorda quasi
nulla: solo un mese fa. Ricorda il dolore della
notizia dell’incidente e della morte del fratello e di sua moglie e subito la
partenza per il riconoscimento del corpo. Di suo fratello naturalmente: la
moglie neanche la conosceva. Nessuno in casa sapeva che si era sposato: da
tanti anni viveva lontano, in giro per il mondo con la sua moto e tutta la
rabbia che da sempre lo accompagnava. Mauro aveva sempre avuto
la tendenza al vittimismo: due anni più piccolo di Cristiano non ha fatto
parte della categoria del piccolo e viziato secondogenito, al contrario lui
ha sempre rinfacciato ai genitori di trascurarlo e di preferire Cristiano,
l’essere perfetto, che qualunque cosa dicesse o facesse li riempiva di
orgoglio. Perfino quando aveva dichiarato la sua omosessualità: neanche saperlo
finocchio aveva scalfito l’adorazione verso quel figlio, promesso ad avere
tanto successo nella vita! Cristiano soffriva
maledettamente, ma qualunque cosa facesse per avvicinarsi al fratello era
inutile. Fino a che il primo anno di università non prese la decisione di
dividere le spese di affitto con un collega allontanandosi dalla famiglia per
vivere la propria vita tra studio e lavoro, sperando che il fratello
riuscisse a fare altrettanto. Mauro l’aveva seguito a
ruota e da quel momento non si era fatto più vivo, solo qualche sporadica
lettera o telefonata li metteva al corrente dei suoi spostamenti: Asia,
America e chissà in quali altri posti. Senza sapere come si sostenesse, la
speranza di tutti era che trovasse il luogo giusto per vivere in pace con se
stesso, cosa impossibile fino a quell’ultimo anno quando con una lettera
indirizzata alla madre, ormai vedova da tempo, annunciava di essersi
sistemato presso una comunità di Rom coi quali viveva e lavorava, in Toscana.
Per la madre, abituata da anni a saperlo dall’altra parte del mondo, esposto
a chissà quali pericoli, saperlo così vicino, anche se non abbastanza da
poterlo vedere, fu come se qualcuno le avesse allentato la morsa
dell’angoscia che per tutti quegli anni le opprimeva il petto. Sapere che il
proprio figlio viveva con una famiglia di Zingari non la turbava minimamente.
Cristiano, che si era
stancato di vivere con sensi di colpa che sentiva di non meritare, fu appena
sfiorato dalla notizia: che continuasse a vivere come meglio credeva, non
toccava certo a lui riportare a casa il figliol prodigo, ormai uomo fatto, se
questi non ne aveva nessuna intenzione. Ma il destino è bastardo:
proprio a lui invece era toccato riportarlo a casa: purtroppo dentro una
bara. È l’alba quando Cristiano si
sveglia tutto indolenzito. Scende dall’auto e dal mazzo di chiavi sceglie
quella che apre il cancelletto. Il posto è tranquillo: intorno a lui le basse
case dei pescatori sono vuote, solo i gabbiani a salutare l’unico abitante
dei dintorni. Varcato il cancello un
piccolo tratto di cortile con il fondo lastricato da autobloccanti,
evidentemente messi di recente, segna il cammino fino al portellone di legno
della casa. Aperto questo non rimane che prendere la terza chiave e aprire la
porta a vetri: finalmente Cristiano può entrare nel piccolo appartamento. Piccolo è piccolo: è tutto
davanti ai suoi occhi, quasi claustrofobico al buio. Aprendo la porta
finestra della camera da letto ci si trova sul cortile interno che, unendosi
a quello dell’ingresso forma una elle. Una volta entrata all’interno la luce
del mattino, si possono distinguere i contorni di un’abitazione modesta ma
dotata del necessario. Questa per il prossimo mese sarà la nuova casa di
Cristiano. Suo fratello forse avrebbe
da ridire vedendolo qui: il dottore
che vuole fare l’asceta. Il moderno Siddharta che
cerca se stesso. Ma si sbaglierebbe: Cristiano non cerca affatto se stesso.
Lui sa bene chi è e cosa vuole. Cristiano ha solo bisogno di capire un
dolore, capire cosa gli manca di un fratello che non vedeva da circa
trent’anni e che non ha mai conosciuto. Scegliere di stare nella
cittadina che li ha visti felici quando da bambini vi si trasferivano con i
genitori per passarci le vacanze, in qualche modo lo riporta agli inizi,
quando tutto doveva ancora accadere, quando si poteva immaginare il proprio
futuro diverso da quello che troppo in fretta è già diventato passato. Non c’è malinconia
nell’animo di Cristiano, sente chiaramente che l’assenza di una parte della sua
famiglia, un altro pezzo di famiglia dopo la scomparsa del padre, chiede di
essere colmata da nuovi affetti: per lui che non si è mai concesso il lusso
di un rapporto stabile anche se dentro di sé l’ha sempre desiderato. Per lui
che ha sempre avuto paura di desiderare troppo. Ha avuto tanto dalla vita:
chiedere di più non poteva. L’amore ha sempre dovuto
aspettare! Dopo un mese dalla
scomparsa di Mauro e dopo due settimane di vita più o meno solitaria, se si
escludono le poche frasi di cortesia con gente incontrata durante le brevi
passeggiate o nei negozi dove si ferma per acquistare cibo e acqua, Cristiano
mette a riposo i pensieri e aspetta che sia il silenzio a fargli compagnia. Sul tavolo ha le lettere
che negli anni Mauro indirizzava alla madre: alcune di poche righe, altre un
po’ più lunghe, ma sempre molto vaghe. Mai una parola di sé, solo descrizioni
di luoghi e la stessa identica conclusione: non preoccuparti per me. Io sto
bene. Mauro. Le ultime lettere
risalgono a un anno fa: quando aveva deciso di vivere tra i Rom. La mamma non
gliene aveva parlato, ma nella lettera c’è un breve accenno ad una ragazza
con la quale conviveva, ma sono poche parole e Cristiano non può sapere se
sia la stessa che è morta con lui nell’incidente, cioè sua moglie: dopo un
anno poteva essere tutto cambiato. Quelle lettere sono tutto
quello che possiede della vita del fratello. Istintivamente porta le dita a
toccare la fedina dorata: gliel’aveva sfilata dall’anulare quando era rimasto
solo nella camera mortuaria. Un anello, una scatola di
scarpe colma di lettere e qualche fotografia di quando erano piccoli:
vorrebbe ricordare un abbraccio o un sorriso, ma non ne possiede memoria e
questo lo rattrista molto. Improvvisamente il
silenzio viene interrotto dal rombo di una moto che sembra spaccargli le
orecchie. Cristiano si precipita fuori e cerca con lo sguardo di anticipare
le falcate che sembrano non arrivare mai al cancello e quindi alla strada
dove sosta quell’infernale motore. - Ehi!…Ehi…..DICO
A TE! L’uomo in sella alla sua
Yamaha, non avrà più di trent’anni… forse
trentacinque, ora che si è levato il casco dalla testa, si affretta a
spegnere il motore. I suoi capelli scuri e mossi sono spettinati e la faccia
a metà tra la sorpresa e lo spavento è quella di un ragazzino sorpreso dalla
mamma mentre ne combina una delle sue. -Che roba è quella? -
domanda Cristiano, fuori di sé dalla rabbia. - Una moto. - è la
risposta ovvia. - Non la voglio qui. - Non ho nessuna
intenzione di lasciargliela! - Senti ragazzino, farai
meglio a sgombrare prima che… - Ehi, calma. Vede questa
casa? - Indicando la casa di fronte il centauro scende dalla moto e si ravvia
i capelli. – Si dà il caso che sia mia o meglio è dei miei genitori, ma io ci
vengo a stare nei fine settimana, quando ho voglia di un po’ di pace. Mi
chiamo Andrea, scusi se l’ho disturbata, ma sa che mi ha messo paura? Cristiano guarda Andrea e
si dà del coglione per essere stato così cafone: - Scusi lei la sfuriata,
di solito sono più socievole, ma sto qui da qualche giorno in completo
silenzio e il rombo della sua… - Moto? Ha qualcosa contro
le due ruote? - chiede Andrea. - Sì, a dire il vero non
mi stanno troppo simpatiche. - Un vero peccato. Stavo
per chiederti di farci un giro. - Non credo proprio no, io… senti posso offrirti un caffè. Non è per farmi
perdonare, è solo che stamattina ancora non l’ho preso e mi farebbe piacere
berlo in compagnia. - Volentieri, metto la
borsa dentro casa e arrivo subito. Cristiano osserva Andrea
allontanarsi per pochi metri, entrare in casa e subito dopo riapparire con
un’aria così rilassata e allegra che per un attimo gli provoca una vertigine. - Tutto ok? Chiede Andrea
mentre gli poggia una mano sulla spalla. - Sì, certo, entriamo. Andrea ha 38 anni, possiede
un negozio di articoli per motociclisti, manco a dirlo, e un piccolo garage
annesso per le riparazioni. Vive anche lui in città e se ne allontana
volentieri appena possibile, naturalmente seduto su quel sellino di pelle
nero. Naturalmente. Cristiano parla poco: è un
uomo che ha deciso di prendersi del tempo per sé e questo basta. La prima sera cenano
insieme in pizzeria e al rientro si fermano a ridosso del muretto di
recinzione della casa, fa freddo e dopo un po’ si decidono a ritirarsi ognuno
nella propria casa, ognuno nei propri pensieri. La domenica si svegliano
presto e come due bambini desiderosi di ritrovare l’amichetto appena
conosciuto si precipitano fuori dai rispettivi cancelli per riprendere a
parlare come se la notte appena passata si fosse assunta il compito di
rigenerare l’entusiasmo di un incontro inaspettato. La giornata che era
iniziata con un cielo coperto e minaccioso di pioggia, durante la mattinata
vede un pallido sole farsi sempre più prepotente fino ad arrivare, verso
mezzogiorno, ad una completa vittoria su quei rimasugli di striature grigie
che pian pianino lasciano il cielo scoperto e luminoso. La temperatura
tiepida accarezza i due uomini che con gesto pigro e trattenendosi dalla
tentazione di massaggiarsi le natiche intorpidite scendono dal basso muretto
dove da alcune ore vivono la loro estraneità più completa verso il resto del
mondo: l’approssimarsi dell’ora di pranzo suggerisce la ricerca di qualcosa
da mettere sotto i denti. - Conosco un posticino
tranquillo qui vicino dove possiamo mangiare del pesce fresco. Andrea, che conosce bene
la zona e alcuni dei suoi abitanti, è ben felice di fare da cicerone e
Cristiano accetta volentieri e si lascia guidare dall’entusiasmo e dalla
vitalità contagiosa di Andrea. - Sarò completamente nelle
tue mani per tutta la giornata, lascio a te tutte le decisioni: il pesce
fresco va benissimo. Prendo le chiavi della macchina e sono pronto. Il sorriso di Andrea è
disarmante e Cristiano, forse per la prima volta, almeno nella vita da
adulto, riconosce i sintomi dell’innamoramento che gli farebbero dire di sì a
tutto come un perfetto idiota, ma niente e nessuno lo convincerebbe a
vincere il terrore che prova nei
confronti delle moto di grossa cilindrata e quella che Andrea con aria
innocente indica gli appare mostruosamente grossa. - Niente da fare, bello. Andrea con una breve corsa
raggiunge Cristiano alle spalle mentre entra in casa e, con uno slancio che
lascia entrambi pieni di imbarazzo, lo abbraccia sussurrandogli in un
orecchio: - Ti devi fidare di me! Cristiano si volta lentamente e guardando
Andrea negli occhi allontana quel momento diventato troppo intimo,
sorridendo: - Di solito suggerisco
l’uso della fiducia minimizzandola a una sola dose una tantum: siccome sto
morendo di fame è fondamentale che il pranzo sia degno della dose che oggi
sto riponendo in te! Detto questo con una mano
gli allontana una ciocca di capelli dal viso precedendo di poco un gesto che
Andrea ripete spesso. Andrea con l’odore della
pelle di Cristiano ancora nelle narici cerca di nascondere il rossore che gli
imporpora il viso segnato da un sottile filo di barba che spera trattenga il turbamento:
sollevando le braccia in segno di resa si dirige verso la porta alla ricerca di
aria che, oltre le orecchie, possa rinfrescargli anche le idee in questo
momento un po’ confuse. - Mi arrendo! Vado a
prendere il giubbotto. Il pranzo alla trattoria Il Veliero supera tutte le aspettative
di Cristiano che confessa di non mangiare così da mesi. Anche il vino
consigliato dalla casa non manca di sorprenderlo per la sua freschezza e, al
momento di alzarsi, anche per la gradazione che lo caratterizza. Prima di uscire Andrea si
scusa un attimo con Cristiano per avvicinarsi ad una ragazza che fa capolino
da dentro la cucina. L’abbraccio e i due baci
sulle guance fanno intendere una certa confidenza e il parlare fitto fitto, incontrandosi dentro luminosi occhi sorridenti,
non lasciano dubbi sull’intensità di quella confidenza. Non si prendono il
disturbo di coinvolgere Cristiano e neanche hanno il tempo di accennare a un
minimo di presentazioni che la ragazza viene richiamata al suo lavoro: altri
baci, altri abbracci e Cristiano decide di avviarsi verso l’uscita fingendosi
interessato al gioco di alcuni bambini che si inseguono sulla spiaggia, in
realtà respirando a pieni polmoni per vincere il senso di nausea che, sarà
stato il troppo vino, forse, gli provoca crampi allo stomaco. - Una vecchia amica. Andrea si scusa di nuovo
con Cristiano e quando si accorge che questi non accenna a muoversi dal bordo
della ringhiera che delimita una piattaforma di cemento dove d’estate si
sistemano tavolini e sedie per i pranzi e le cene all’aperto, lo guarda e in
un misto tra apprensione e divertimento gli urla: - Cazzo, ma sei verde! Cristiano che odia
mostrare la propria debolezza si irrita più con se stesso che con il tono con
cui Andrea si è espresso, ma poi è con lui che sfoga la sua frustrazione: - Ti dispiace abbassare la
voce? E poi non sono verde, non ho mai visto nessuno diventare verde, semmai
giallo o bianco, ma mai verde: sono mica l’incredibile Hulk! Detto questo e sforzandosi
di mantenere un’andatura regolare Cristiano si incammina lungo la spiaggia:
l’aria è più fresca nel pomeriggio inoltrato, ma intorno a loro famiglie con
bambini e coppie solitarie si godono
la serata domenicale. Dopo qualche minuto di
silenzio Cristiano riprende i contatti con la realtà e dopo aver individuato
una panchina libera propone ad Andrea di sedersi qualche minuto prima di
riprendere l’auto e fare ritorno in quella casa che ora gli appare ancora più
piccola e silenziosa. Improvvisamente il suo umore è precipitato, ma dà la
colpa al troppo tempo libero: da anni
non è più abituato a trascorrere giornate di questo tipo. Da studente spesso si
concedeva lunghe passeggiate in montagna, quasi sempre da solo, poche volte
con amici e colleghi di corso, nessuna con una persona speciale con cui
dividere la stessa passione. Le escursioni in montagna insieme alla passione
per la musica classica e l’opera hanno sempre creato un vuoto attorno a lui,
ma questo non lo ha mai preoccupato più di tanto. Il lavoro in ospedale, la passione più
grande di tutte, gli ha sempre dato quello di cui aveva bisogno giorno dopo
giorno, per tutti questi anni. Ora qui davanti ad un mare stupendo, vicino ad
un uomo che parla ininterrottamente regalando sorrisi a chiunque incontri il
suo sguardo, prova qualcosa che la sua vita impegnata e frenetica non gli ha
mai mostrato, qualcosa che è un misto tra lo stordimento e l’esaltazione,
qualcosa di importante che non vuole ignorare e vorrebbe non finisse. Andrea, che ha rispettato
il silenzio di Cristiano, ha percepito un cambiamento nell’umore di
quest’uomo che è riuscito a dribblare ogni tentativo volto ad aprire uno
spiraglio nella sua vita, al limite della riservatezza, ma carico di un
fascino maschile che mai avrebbe pensato potesse catturarlo con tanta
intensità. Un brivido lo fa tremare di eccitazione e quando si volge verso
Cristiano il desiderio è quello di leggere nei suoi occhi la risposta alla
domanda che ad un tratto è diventata l’unica degna di dare un senso alla sua
esistenza da questo momento in avanti. Ma Cristiano è un muro impenetrabile,
senza rendersene conto si mette a girare intorno al dito quell’anello ancora
così lucido e rivolgendosi ad Andrea con la sua voce calda propone di
rientrare. - Credo che sia il momento
giusto, che dici? - Sì, lo credo anch’io, la
temperatura si è abbassata parecchio e a quanto pare siamo rimasti in pochi
ad ammirare questo bellissimo tramonto. Vieni, ti do una mano a tirarti su. - Tu cosa? Porta rispetto
verso gli anziani bamboccio, sono in grado di alzarmi da solo e se è il caso
portarti sulle spalle sino alla macchina. - Oooh,
ma davvero? Vienimi a prendere stallone, sono pronto! Detto questo con un balzo
Andrea si mette in piedi sulla panchina dove poco prima stavano seduti
assorti nei loro pensieri. Cristiano vorrebbe sprofondare per l’imbarazzo, ma
cerca di non fare il guastafeste. - Ho detto se è il caso,
vedo che sei in grado di camminare benissimo da solo. Quindi è meglio che tu
scenda da lì e vada avanti, razza di impertinente. Cristiano si avvicina e
con fare protettivo lo abbraccia stringendogli leggermente il braccio intorno
al collo. Vicino a loro una bambina di circa 5 anni ha seguito lo stupido
teatrino dei due mentre il gelato che teneva in mano si scioglieva
tristemente andando a sporcare la manica della giacchina
rossa, in tinta con le scarpine, anche loro striate di un bel blu puffo.
Quando Andrea le passa vicino, ancora legato a Cristiano, le fa l’occhiolino
e le sorride. La bambina si sveglia dall’incantesimo e ricambia timidamente
il sorriso per poi correre dalla mamma seduta poco più in là, tutta presa
dalla conversazione delle amiche. Al sicuro fra le sue gambe non smette di
osservare quella strana coppia: solo il grido esasperato della mamma la
riporta ai suoi problemi di bambina. Il viaggio di ritorno
prevede come per l’andata un breve tragitto di una mezz’ora che i due
riempiono con qualche banalità e tanti silenzi. Dopo aver parcheggiato
l’auto, Cristiano si rivolge ad Andrea, che prima di scendere dalla macchina
recupera le chiavi di casa poggiate nel portaoggetti: - Da domani si riprendono
le vecchie abitudini! Partirai presto? Andrea non risponde alla
domanda ma trovando il coraggio e fingendo indifferenza chiede a Cristiano: - Tua moglie ti
raggiungerà presto? Cristiano, che per due
giorni ha scordato perfino il suo nome, guarda Andrea con sorpresa. - Mia che? - chiede
ridendo. - Beh…
Andrea indica la fedina e sorride facendo tremare le gambe di Cristiano. –
Anche se non ne hai parlato quella se non sbaglio è una fede e posta in quel
dito può voler dire solo una cosa. - No, ti sbagli io non ho
nessuna moglie. Non ho neanche una fidanzata se per questo e anzi ti confesso
che non ho mai avuto in testa una donna in tutta la mia vita. Andrea diventa
improvvisamente serio e mentre abbassa gli occhi a guardarsi la punta degli
stivali sospira: - Bene. Cristiano incrocia le
folte sopracciglia scure che rendono i suoi occhi ancora più profondi, cerca
lo sguardo di Andrea e chiede: - Ci vedremo ancora? - Tu non ti muovere da
qui! Cristiano pensa alle due
giornate appena trascorse e al senso di vuoto che già prova nel vedere Andrea
allontanarsi. Guarda l’anello al dito e sorride tra sé. - No, non mi muovo. L’inizio della nuova
settimana va un po’ a rilento: Cristiano non riesce a carburare e Andrea è il
nome che più spesso gli affiora alle labbra. - La vita deve continuare,
ragazzo mio. Non ti dimentico, sta tranquillo, Mauro! E Mauro non si fa
dimenticare: dopo qualche giorno arriva la chiamata di una donna in preda
alla disperazione: - Calmati mamma e dimmi di
preciso cosa dice la lettera. - Dice di andare nel loro
accampamento in Toscana, il posto adesso non lo ricordo. Dice che è molto
importante: è un regalo di Mauro. - Merd…
Va bene, dammi un paio d’ore e sono a casa. Cristiano spegne il
cellulare e lo sbatte sul letto imprecando a voce alta: - Cazzo, Mauro, cosa ti ho
fatto per odiarmi in questo modo? Non vuoi proprio vedermi felice eh? Va
bene, va bene, vediamo di capirci qualcosa. Ci vuole una settimana per
capire, anzi per quello è bastato un giorno: è stato tutto molto chiaro e
nonostante tutto facile. La vita nell’accampamento
Rom non gli è sembrata facile per niente, invece, ma è stato l’unico posto
dove Mauro ha vissuto e dove Cristiano ha potuto respirare la stessa aria,
l’unico passaggio che lo può aiutare a capire qualcosa di lui dalle tracce
che si è lasciato dietro. Può ascoltare i racconti degli uomini che lo hanno
accettato fra loro e che gli hanno permesso di sposare una sorella e questo
già gli sembra irreale. Il resto, la sorpresa più grande, il regalo di Mauro
alla sua famiglia di origine, quello, dopo lo shock iniziale è diventato la
sua ragione di vita e per una settimana non ha fatto che ringraziare e nello
stesso tempo lottare contro la burocrazia e contro uomini che amano
complicare l’esistenza altrui, facendo di tutto per tornare a casa il prima
possibile. Il resto dei giorni sono occorsi per
riprendere a respirare, per guardare alla propria vita di colpo così ricca e
piena di aspettative per il futuro. Le settimane passano
troppo veloci, le decisioni da prendere sono tante e tutte vitali per lui, per
la sua vita di medico, per la sua vita di uomo pieno di responsabilità, per
la sua vita che è già mutata e che forse cambierà ancora, per la sua vita. Sa che manca ancora un
tassello e sa che Andrea riempirebbe lo spazio mancante alla perfezione… Ripensa ai due giorni
trascorsi insieme, che ora, a distanza di quasi un mese, sembrano lontani
anni luce. Pensa all’enfasi dei
racconti che lo hanno trascinato dentro i suoi viaggi, alle descrizioni
dettagliate delle parti meccaniche delle moto che ripara, spesso dopo averle
smontate quasi completamente, che dette da un altro lo avrebbero annoiato a
morte, ma sentirle con la sua voce, con l’espressione facciale che lo rendono
unico e con quel gesticolare esagerato delle mani, quasi a voler sostituire
con i gesti la difficoltà a trovare il termine giusto che renda l’idea della
grandiosità della sua passione, lo riempiono di orgoglio e commozione. Pensa ai suoi occhi
nocciola, liquidi, come quelli di un cerbiatto, attenti e pronti a captare i
cambiamenti intorno a lui, pensa al suo corpo forte e alla tenerezza di
quell’abbraccio e al rossore che aveva malamente cercato di nascondere. Cristiano pensa che è
arrivato il tempo di entrare dentro quell’abbraccio, dentro quelle guance
imporporate, dentro i suoi gesti, i suoi racconti, dentro la sua vita, la
vita di un altro uomo, la vita di Andrea.
Andrea è nella sua
officina e la delicatezza del lavoro che sta svolgendo non ammette
distrazioni. Una moto smontata può incuriosire e a chi non se ne intende può
ricordare i giochi da bambino, quando smontare gli oggetti era eccitante, ma
basta un niente perché un suo errore, anche piccolo, abbia conseguenze
disastrose. Si concede uno stacco,
ogni tanto, il tanto per riflettere e darsi una coltellata al cuore. Deve farlo,
deve soffrire perché sa che prima arriva ad esaurire il dolore della
delusione che ha provato e che prova ancora, prima la sua vita riprenderà
come prima. No, sbagliato, non sarà
più come prima, ma intende provarci. Cristiano è seduto in
macchina da circa mezz’ora, guarda il garage, guarda la moto smontata e
guarda Andrea che con la massima concentrazione assembla i vari pezzi. Il cuore va a mille, ha il
terrore di quello che sta per fare, ma non può vivere il resto della sua vita
senza darsi una possibilità, se va male pazienza. Cristiano si gira ancora
una volta e sorride, poi si decide: scende dalla macchina, apre lo sportello
posteriore, prende la cesta da sopra il sedile, chiude lo sportello e
percorre la breve distanza che lo separa dall’ingresso del garage. - Ciao Andrea. Andrea lo guarda, guarda
la cesta poggiata in terra e solleva nuovamente lo sguardo. Decisamente non
sarà più come prima. Ma adesso è intenzionato a capire e si decide a parlare: - Quale parte di “non ti muovere”
hai avuto problemi a capire? Cristiano trattiene il
respiro, si aspetta di essere mandato al diavolo. Andrea non lascia
trasparire nulla dal volto contratto e invece, dopo qualche minuto: - Che roba è quella? - Una cesta con una
bambina di tre mesi dentro che dorme. - Cristiano riprende a respirare. - Non la voglio qui. - Non ho nessuna
intenzione di lasciartela. Andrea si avvicina a
Cristiano: - Dunque una donna almeno
ti è passata per la mente. - No, Andrea. Questa
bambina è la figlia di mio fratello, morto due mesi fa di incidente. La sua
donna, madre del bambino, faceva parte di una famiglia di zingari e anche lei
è morta. Mio fratello ha vissuto con loro per un anno, ma quando è nata la
bambina si è fatto promettere di consegnarla alla nostra famiglia, nel caso
in cui gli fosse successo qualcosa. Non è stato facile per la famiglia della
moglie mantener fede all’impegno preso, ma dopo un mese di riunione tutto il
clan ha deciso di farlo. Hanno telefonato a mia madre, era l’unico numero che
mio fratello aveva lasciato scritto: aveva pensato a tutto, quasi prevedesse
la sua scomparsa. Non aveva previsto anche quella della moglie perché la
lettera dice chiaramente che oltre alla bambina ci saremmo dovuti
prendere cura anche della giovane
donna. Non so il perché di questa scelta, forse vuole essere un regalo a
quella famiglia che era convinto non lo sapesse amare e vuole darci la
possibilità di riscattarci. Non so! Ti chiedo scusa per non averti avvisato,
ma è successo tutto troppo in fretta e l’unica cosa che so di te è
l’indirizzo del tuo negozio, è stato stupido non scambiarci i numeri di
telefono, ma non sono venuto qui per chiederti nulla, solo per giustificare
la mia assenza. - Questo mi dispiace
molto: è stato un mese tremendo, ho sperato che tu venissi e ho sperato che
avessi tante cose da chiedermi. Mi fa male al cuore vederti qui davanti a me. - Se per questo io sono
uno specialista del cuore, Andrea, chi più di me può prendersene cura? - Che vuoi dire,
Cristiano? - Sono un cardiologo, curo
i malati di cuore. - Non me lo avevi detto. - No, è vero, non era
nelle mie priorità in quei giorni: cercare di trattenermi dal saltarti
addosso era molto più importante. Ma tu piuttosto, non mi hai detto di essere
gay. - Dovevo? E poi non lo
sono, gay: sei l’unico uomo verso il quale ho sentito una forte attrazione.
Non mi era mai capitato: le donne mi hanno sempre attratto e non potrei mai
pensarmi nelle braccia di un uomo se non nelle tue: questo pensiero mi ha
fatto impazzire. Cristiano non resiste più
e con un passo arriva davanti al corpo di Andrea che trema per l’emozione.
Con delicatezza poggia le labbra sulle sue dandogli un leggero bacio. Andrea schiude le labbra
impaziente di conoscere quel nuovo sapore che tanto ha stravolto la sua
immaginazione e che ora gli provoca un’ondata di piacere mai provato
prima. Dopo il bacio, Andrea si
piega sulle ginocchia e osserva la bambina che continua a dormire. - La terrai tu? - Lo desidero tanto, sì,
farò la domanda di adozione, spero non ci siano problemi! - Così ci sarà una donna
fra noi. - Sì, ci sarà e ci sarà
una moto, ci saranno i nostri rispettivi lavori e il fantasma di un fratello
che spero riposi in pace. Ci saranno tante cose fra noi ma spero che insieme
riusciremo a dare a tutto il giusto posto senza togliere niente all’amore che
proviamo uno per l’altro. Andrea porge la mano a
Cristiano che lo aiuta a rimettersi in piedi, si abbracciano e mentre
assaporano il secondo bacio una vocina dal basso chiede attenzione: la
bambina ha spalancato un paio di occhioni verdi e
luminosi che catturano lo sguardo di entrambi. Cristiano si commuove
davanti a questo miracolo e pensando a Mauro sorride: “Grazie per questo
regalo, ne avrò la massima cura: che razza di fratello perfetto sarei se
no!”. Nella cesta di Rebecca,
questo il nome della figlia di Mauro, proprio sotto il suo cuscinetto rosa,
c’è un sacchetto di stoffa ricamato che qualcuno della famiglia ha riempito
di piccoli portafortuna. C’è anche un foglietto di cartoncino color avorio e
sopra è stato stampato un detto Rom. Dice così: “Noi Rom siamo come l’erba
che si piega al vento e che si rialza appena la tempesta è passata”. Nessuno dei due si sognerà
mai di distruggere quel cartoncino! Ora Rebecca è tra le
braccia della nonna paterna; la sua vita ha subito per la prima volta dopo
anni, uno scossone che l’ha fatta ringiovanire di almeno dieci anni. Si è
proposta con piacere di occuparsi della nipotina, quando Cristiano e Andrea
sono al lavoro. All’inizio, per dare il
tempo al figlio di abituarsi al cambiamento, la teneva con sé anche nei fine
settimana: Cristiano prendeva troppo alla lettera i libri di pediatria che
rispolverava dalla biblioteca di casa e la signora Ersilia doveva calmare la
sua ansia spiegandogli che un bambino si cresce con serenità e soprattutto
con amore: questo di sicuro Cristiano e Andrea non avevano bisogno di
impararlo dai grossi tomi che dopo poco tempo ripresero infatti il loro posto
nello scaffale, per lasciare lo spazio a giocattoli e pannolini maleodoranti. Andrea è tra le braccia di
Cristiano, che russa leggermente. È domenica mattina e loro si son presi
l’abitudine di svegliarsi presto per fare l’amore e scambiarsi tenerezze,
prima che Rebecca dalla sua cameretta irrompa nel loro spazio di cielo per
accaparrarsi la parte che le spetta di diritto. Il sorriso della bambina
ingenuamente ipocrita dopo le urla che durante la notte li ha letteralmente
sbalzati dal letto, li ripaga delle ore di veglia e pazienza per quelle borse
sotto gli occhi. Andrea prende in braccio Rebecca che si dimena felice
tendendo le braccine verso Cristiano: la domenica
sceglie lui come primo chef per la colazione. Il resto della settimana esce
troppo presto per andare in ospedale e tocca ad Andrea occuparsi di tutto. Si trattava di trovare un
equilibrio e la bambina ha messo d’accordo tutti, ad Andrea non rimane che
scegliere la musica che lui preferisce: stamattina è la volta dei Muse. Cristiano storce il naso
ma non fiata: le sue preferenze sono state ampiamente soddisfatte la sera precedente,
dopo aver messo a letto il diavoletto. Un’occhiata al suo compagno gli fa
capire che anche lui le ha apprezzate.
|