Un bravo ragazzo

 

Episodio1DDDD.jpg

 

- È un bravo ragazzo, dai! Non fare tante storie.

- È un lazzarone perditempo.

- Comunque domani è in squadra con te.

Domenico si è avvicinato, in modo da sentire la conversazione tra il responsabile e il caposquadra, mentre fa finta di ascoltare musica con le cuffie. In realtà ha spento il volume, perché era curioso di vedere la reazione del caposquadra. Ha già lavorato con lui, un anno fa, e sospettava che non lo avrebbe accolto a braccia aperte: aveva sempre da ridire se Domenico si prendeva una piccola pausa, ad esempio per fumare una sigaretta. Come se gli alberi patissero ad essere potati cinque minuti dopo! Per quelli come lui, uno non dovrebbe mai smettere un secondo di lavorare.

Il caposquadra gli si avvicina e ringhia:

- Domani alle otto, Domenico. E cerca di essere puntuale, per una volta.

Domenico si toglie le cuffie e annuisce.

È contento di aver trovato questo lavoro. È solo per un mese, ma va bene. Non sapeva più dove sbattere la testa. È stato proprio un cazzone a buttare via così i soldi dell’ultimo lavoro. La prossima volta starà più attento.

 

*

 

La prossima volta starà più attento. Ormai Salvatore sa di aver fatto una cazzata ad affidare al cognato la faccenda. Chiede ancora, facendo finta di niente, mentre la moglie e la cognata sono nel negozio.

- Allora, Raffaele, è tutto pronto?

- Quasi. Ci vuole ancora un po’ di tempo, Salvo.

- Non possiamo partire neanche questo mese?

- No, ma il prossimo…

Salvatore schiuma di rabbia, ma dissimula.

- Il prossimo, il prossimo È da maggio che ce la conti con questa storia del mese prossimo.

- Salvo, pazientate ancora un po’. Queste cose non si possono fare in fretta. 'A gatta, pe gghì 'e pressa, facette 'e figlie cecate.

Salvatore annuisce. Ha capito benissimo. Suo padre aveva ragione: Raffaele mena il can per l’aia e intanto fa affari con gli altri. Ha fatto male a fidarsi di lui, solo perché è di famiglia. Raffaele pensa di menarli tutti per il naso all’infinito? ‘A sera so’ bastimiente;a mattina so’ varchette: la mattina è arrivata e i bastimenti di Raffaele si sono rivelati barchette. È ora che suo cognato paghi.

Salvatore sorride, nascondendo la sua irritazione:

- E va bene, aspetteremo ancora. Ma dopo Natale la faccenda deve partire.

- Ma certo che parte, Salvo, figurati!

Salvatore fa di nuovo cenno di sì con il capo. Non sa se Raffaele gli crede o meno, ma non ha importanza. Raffaele ha tirato troppo la corda e gli presenteranno il conto.

Intanto le donne escono dal negozio con il regalo che Ninetta ha voluto prendere ad Angelo.

- Questo però non lo apri fino a Natale, eh, Angelo?

Angelo annuisce, giudizioso come sempre.

Angelo vuole stare tra mamma e papà, così Salvatore e Maria lo prendono per mano. Ninetta e Raffaele vanno avanti. Salvatore guarda la schiena di Raffaele. Deve risolvere la faccenda in fretta, prima di tornare a Napoli. È una bella rottura di palle.

 

*

 

È una bella rottura di palle. Impossibile dormire. Antonio ha sonno: è rientrato in albergo alle due e non sono neanche le nove. Ma ci sono dei lavori in corso nella strada e come cazzo si fa a dormire con il rumore di quel fottuto motore?

Antonio si stiracchia nel letto e poi decide che è meglio che si alzi: deve pisciare e ha voglia di farsi una bella doccia. Tanto di riprendere sonno manco si parla. Si direbbe che stiano trapanando la sua camera. Il rumore non è proprio quello di un trapano, forse è una sega elettrica, che ogni tanto smette e poi riprende. Sia quel che sia, chi cazzo se ne fotte?! Ha fatto male a lasciare un po’ aperti i vetri, ma faceva caldo: il riscaldamento è troppo forte.

Antonio si alza. È nudo. Si dirige in bagno. C’è una grande finestra, ma tanto la camera è al secondo piano e ci sono tutti gli alberi davanti. E se poi qualcuno lo vede, non è un problema: da sotto al massimo lo vedono fino alla vita, se si avvicina ai vetri.

Dopo aver pisciato, Antonio si volta e si dirige verso la doccia. È in quel momento che sente il fischio. Il classico fischio di ammirazione che ogni tanto un uomo lancia a una donna, inequivocabile. Antonio sussulta: gli sembra che abbiano fischiato a due passi da lui. Vero è che la finestra è aperta, ma insomma, siamo al secondo piano…

Antonio alza gli occhi e sussulta di nuovo. C’è un uomo davanti alla sua finestra, un po’ più in alto. Come cazzo fa a stare lì? L’uomo lo sta guardando. È un ragazzo, avrà vent’anni o poco più, capelli biondi e occhi chiari, una faccia da angelo e un sorriso da diavoletto. Il tipo sorride, si porta due dita alle labbra e fischia di nuovo, fissandolo.

Antonio scoppia a ridere. Sì, certo, il tipo lo vede tutto e Antonio sa di essere una vista interessante quando è nudo. Non a tutti piacerebbe, di viso non è certo bello e alcuni lo giudicherebbero un po’ troppo peloso, ma sul suo arnese nessuno ha mai avuto da ridire.

Antonio sorride al ragazzo e intanto una voce da sotto urla:

- Che cazzo fai, Domenico? Ti muovi?!

Ma Domenico non si muove. Antonio nota che ha una sega elettrica in mano (è proprio lui lo scassapalle che lo ha svegliato) ed è su una piattaforma. Sta potando gli alberi, ma adesso si è fermato e lo guarda, ghignando.

Antonio scuote la testa e si avvicina alla doccia. Non si affretta a entrare. Fingendo di controllare la temperatura dell’acqua, indugia un po’. Poi si mette sotto il getto. Domenico non può vederlo bene, oltre il vetro, ma continua a guardare dalla sua parte e non si decide a riprendere il lavoro. Antonio si insapona per bene (soprattutto il culo e il cazzo), si fa pure lo shampoo e poi esce dalla doccia. Solo quando si mette l’accappatoio, Domenico sospira e riprende a potare.

L’irritazione dovuta alla sveglia imprevista è passata. Antonio è di buon umore: il giochino lo ha divertito.

 

Mezz’ora dopo Antonio esce: vuole farsi una passeggiata, prima di ritrovare gli altri a pranzo. Ama starsene un po’ da solo, più che mai ora che la sua storia con uno degli attori della compagnia è finita.

Al fondo della strada stanno ancora potando gli alberi. Antonio va in quella direzione, tanto per lui è lo stesso. Vuole vedere se c’è sempre il ragazzo. Sì, eccolo là. Non bada a lui, ma proprio mentre Antonio arriva alla sua altezza, Domenico abbassa lo sguardo e lo vede. Antonio passa senza alzare la testa, ma il fischio è inequivocabile. Antonio sorride. Alza il braccio destro, con la mano in alto e il dito medio teso, lo muove due volte e prosegue, ridendo.

Il rametto gli arriva esattamente in testa. Antonio si volta verso Domenico. Certo che ha una buona mira, quello stronzo! Ma ride di nuovo.

Domenico gli urla:

- Aspetta!

Poi si rivolge al collega.

- Fammi scendere, che ho da dire due cose a questo mio amico.

Certo che il ragazzo ha una bella faccia tosta! E si prende pure tutte le pause che vuole, sul lavoro. E poi dicono dei napoletani…

Il collega di Domenico abbassa il marchingegno e il ragazzo si trova sospeso forse un metro sopra Antonio, un po’ spostato. Antonio si avvicina, incuriosito.

- Sei occupato, questa sera?

Non perde tempo, il tipo!

- Questa sera recito: se vuoi vedermi, vieni a teatro.

- Sei un attore? Che fai?

- Filumena Marturano.

 

*

 

- Filumena Marturano? Che è?

Fabrizio pensa che Carmine è proprio ignorante: non conoscere un’opera così famosa! Poi si dice che forse si lascia condizionare un po’ troppo dal suo essere napoletano, ma Mauro gli dà man forte:

- Eduardo de Filippo. È un classico.

- Allora, ci venite a vederlo? O avete paura perché è in napoletano? Vi faccio da traduttore…

Mauro annuisce e dice:

- Io ci vengo volentieri.

Carmine invece declina l’invito:

- Troppa fatica. La lascio a voi terroni.

Detto da uno che viene da Enna (a uno di Napoli e uno di Biella, profondo Nord), il “terroni” non può considerarsi offensivo.

Fabrizio avrebbe voluto che venisse anche Carmine: la serata sarebbe stata più allegra. Mauro è una gran bella persona (in tutti i sensi: di fatto è il più bell’uomo che Fabrizio abbia mai conosciuto – conoscenza non in senso biblico, purtroppo), ma è sempre così serio! Fabrizio avrebbe bisogno di un po’ d’allegria: la lontananza da casa gli mette tristezza.

 

*

 

La lontananza da casa gli mette tristezza. Anche se è con i suoi genitori, ad Angelo mancano la sua città, gli amici, la scuola: questa settimana incominciavano le prove per la recita di Natale e Angelo voleva partecipare, ma papà doveva venire a Milano per qualche giorno e ha deciso di portare anche lui e la mamma.

E poi qui a Milano fa così freddo e il cielo è sempre grigio! Ieri c’era anche la nebbia e dalla finestra dell’albergo gli edifici sembravano sfumare nel nulla.

Ma adesso, davanti al Duomo, Angelo dimentica la sua tristezza e rimane a bocca aperta. È davvero immenso, con le sue mille guglie, e tutto bianco. Quel poco di sole che filtra attraverso la nuvolaglia sembra quasi far scintillare l’edificio. Angelo non ha mai visto una chiesa così.

- Allora, piccolo, che ne dici del Duomo di Milano?

Ninetta gli sorride. Angelo ricambia il sorriso.

- È grande!

Il sorriso di Ninetta si allarga. Lo prende per mano e si dirigono verso l’ingresso. I suoi genitori lo seguono, insieme a Raffaele, il marito di Ninetta. Angelo guarda stupito lo smisurato interno, le grandi vetrate colorate.

Dopo il giro in Duomo vanno a mangiare.

All’uscita passeggiano per le vie del centro. A un certo punto Ninetta vede il cartellone di uno spettacolo teatrale e dice:

- Danno Filumena Marturano, questa sera. Una compagnia di Napoli! Perché non andiamo a vederla?

Raffaele storce il naso:

- Figurati, Angelo e Maria vengono qui per quattro giorni e vanno a vedere una compagnia di Napoli! Possono andare tutti i giorni a teatro a Napoli.

Maria Scibone sorride:

- A me non spiacerebbe. Magari lasciamo i nostri mariti e andiamo noi due. Che ne dici, Ninetta, come quando eravamo ragazze, eh?

- Ma sì, è una bella idea.

Ninetta si rivolge ad Angelo:

- E tu? Vieni anche tu con noi, a teatro?

- Ma è troppo piccolo!

L’intervento della mamma non frena Angelo. A lui piace il teatro.

- Sì, voglio venire anch’io a teatro!

- Possiamo portare anche lui. È così giudizioso.

Maria Scibone è un po’ preoccupata. Non sa se il testo è adatto a un bambino di sette anni.

- Non è che magari… io non me la ricordo, la commedia…

Ninetta la tranquillizza:

- È Eduardo De Filippo, dai, non è mica una di quelle porcherie che fanno adesso.

Salvatore Scibone interviene:

- Io vi accompagno al teatro, ma non vi tengo compagnia.

- Bisognerà vedere se ci sono i biglietti.

Raffaele dice:

- Me ne occupo io. So a chi rivolgermi.

 

*

 

- So a chi rivolgermi. È molto giovane, ma in gamba. L’ho già usato due volte.

- Bada, Tano: non deve fare errori. Se quel figlio di puttana sospetta qualche cosa…

- Fidatevi, don Salvatore. Sarà tutto fatto come volete.

- Se tutto va bene, ti darò le chiavi dell’appartamento. Metti un uomo alla porta, a controllare che quello stronzo non esca. Ma che non si faccia scoprire.

- E se esce?

- Se esce e non rientra per tempo, dovrai occuparti di lui in un altro momento. Ma preferirei risolvere tutto mentre ci sono io qui.

- Sarà fatto, don Salvatore.

- Il tipo deve essere di ritorno prima che finisca la spettacolo. Devo avere indietro le chiavi.

- Certamente, don Salvatore.

Salvatore saluta e se ne va. Non è detto che tutto fili liscio: bisogna che riesca a prendere le chiavi. E poi bisogna vedere se quello stronzo rimane in casa. Ma è meglio risolvere questa faccenda adesso, mentre è qui. Con la scusa di aiutare Ninetta a sistemare gli affari di Raffaele, potrà farsi un quadro della situazione e vedere se c’è qualcun altro che si merita un po’ di piombo.

 

La sera Salvatore Scibone lascia l’auto vicino al teatro e accompagna la moglie, il figlio e la cognata all’ingresso. Si fa dare le loro pellicce e le porta al guardaroba. Mentre le consegna, prende dalla tasca della pelliccia di Ninetta le chiavi di casa e le fa scomparire nella propria giacca. Aveva contato sul fatto che Ninetta non mette quasi mai le chiavi nella borsa, ma preferisce tenerle in tasca.

Ritorna dalle donne e dice:

- Torno a prendervi alle undici. Vi aspetto qui nell’atrio.

- Guarda che possiamo prendere un taxi al ritorno.

- No, di sicuro. Non ti preoccupare, Ninetta. Ho una buona scusa per sganciarmi dagli amici. Tieni tu il tagliando del guardaroba?

- Va bene. Grazie, Salvatore. Si ‘nu babbà.

Ninetta prende il tagliando e lo mette nella borsa.

Salvatore saluta, esce e si dirige al bar dove ha dato appuntamento a tre amici. Entra, saluta e si siede. Ordinano da bere, poi Salvatore dice:

- Un attimo solo, ragazzi.

Entra nel cesso e si dirige all’orinatoio verticale. Il ragazzo è già lì, con il giornale in tasca. Bene. Per il momento tutto va per il verso giusto. Deve andare per il verso giusto. Questa sera tutto deve filare liscio.

 

*

 

Questa sera tutto deve filare liscio. Domenico ha bisogno di quei soldi. È stato una testa di cazzo a sprecare così quelli che gli hanno dato le altre volte: si è ritrovato in pochissimo tempo con il culo per terra. Questo lavoro è quello che ci vuole. Questa volta dei soldi cercherà di fare un uso migliore.

L’uomo si mette di fianco a lui, controlla che non ci sia nessuno e gli passa le chiavi, poi tira fuori il cazzo e si mette a pisciare. Domenico intasca le chiavi e fa lo stesso. Lancia un’occhiata al cazzo del tipo: niente di speciale. Certo non è come quello che ha visto questa mattina in albergo, l’attore che adesso sta recitando da qualche parte. Già, qui vicino c’è un teatro, non sarà mica… sarebbe una bella coincidenza. I teatri a Milano non sono mica così tanti, potrebbe essere... Darà un’occhiata. Tanto deve essere di ritorno prima delle undici, per restituire le chiavi.

L’uomo esce per primo. Domenico aspetta un buon momento, prima di uscire anche lui dal cesso e poi dal locale.

Raggiunge la metropolitana, stazione Dante Cordusio. Sono sei fermate, poi deve cambiare e fare altre tre fermate. Esce e si dirige verso la casa del Caracci. È passato due ore fa a vedere dov’era, per andare a colpo sicuro. All’angolo c’è Fausto, che gli fa un cenno con la testa. Raffaele Caracci dovrebbe essere in casa. Ottimo. Sta andando tutto per il verso giusto.

Domenico raggiunge l’ingresso, apre il portone e poi sale in ascensore fino al quarto piano. Esce e fa l’ultimo piano a piedi.

Appoggia l’orecchio contro la porta. Non si sentono rumori. Introduce la chiave nella serratura. C’è solo uno scatto: sì, Raffaele è in casa. Domenico apre la porta, silenziosamente, e spinge il battente con la sinistra, mentre con la destra stringe la pistola. L’ingresso è immerso nel buio, ma al fondo del corridoio ci sono delle luci. 

Domenico procede, senza far nessun rumore, la pistola con il silenziatore in mano, pronto a sparare. C’è una luce a destra, in quello che dev’essere il bagno, e una a sinistra nella camera da letto. Domenico conosce la pianta della casa, gli hanno fatto vedere uno schizzo. In quale dei due locali sarà Raffaele?

Il rumore di un cassetto che si chiude dà una risposta alla sua domanda.

Domenico si avvicina alla porta. Sporge la testa. Raffaele Caracci è di schiena, con l’accappatoio addosso. Gli abiti sono ammucchiati su una sedia.

Raffaele si volta e vede Domenico. Fa per gettarsi a terra, ma Domenico è più rapido. Spara tre volte, colpendo Raffaele al torace. Raffaele si porta le mani alle ferite e cade sulla moquette, rantolando. Domenico si avvicina, gli spinge la pistola in bocca e spara. Il corpo di Raffaele ha un ultimo guizzo, poi rimane immobile, la vestaglia aperta, il sangue che ancora cola dalle ferite.

Domenico gli dà un’occhiata. Il tipo aveva un bel cazzo, mezzo duro. Adesso però potrà fottere solo i morti. Domenico pensa di nuovo al tizio che ha visto questa mattina nella camera d’albergo. Quello gli piaceva un casino e aveva proprio un bell’arnese. Ora che torna al bar, vede se al teatro lì vicino danno quella commedia con il nome di donna, come cazzo era?

Domenico esce dalla stanza. Sta percorrendo il corridoio quando il campanello suona. Merda! Domenico si irrigidisce. Hanno suonato alla porta o al citofono?

La porta ha uno spioncino. Domenico guarda. Non c’è nessuno. Gli conviene uscire. Suonano di nuovo. Domenico aspetta un momento. Il tizio si stuferà e se ne andrà. Suonano una terza volta. Raffaele doveva aspettare qualcuno. Ma era in accappatoio. Una donna, forse? Una doccia prima di scopare?

Domenico apre la porta dell’appartamento ed esce. Scende a piedi, ma al terzo piano si ferma. La persona che ha suonato sarà all’ingresso. Domenico pensa che forse è meglio fare in un altro modo. Risale fino all’appartamento di Raffaele. Sta sudando.

Apre con la chiave. Stanno di nuovo suonando.

Domenico solleva il citofono e preme il pulsante per aprire. Poi esce e richiude la porta, mentre si sente qualcuno che entra. Scende lungo le scale. L’ascensore viene chiamato dal piano terreno. Domenico regola il passo in modo da non trovarsi davanti all’ascensore quando sale. Arriva al piano terreno e in quel momento dalla portineria si affaccia una donna sui cinquanta che lo squadra.

Domenico tira diritto. Cazzo! Questa non ci voleva! Ha la sciarpa e il passamontagna, ma quella troia l’ha visto bene in faccia. Cazzo! Ammazzare pure lei? No, troppi rischi.

Domenico esce.

Dietro l’angolo Fausto ha l’auto con il motore acceso. Domenico sale e Fausto parte.

- Tutto bene?

- Sì, fatto tutto. Ma aspettava visite.

- Chi? Ti ha visto?

- No, non mi ha visto. Non so chi era. Ho aperto, così è entrato e salito in ascensore mentre io scendevo le scale. Adesso magari sarà ancora davanti alla porta a chiedersi perché cazzo non apre.

- Non hai lasciato le impronte sul citofono?

- Non mi sono mai tolto i guanti.

- Va bene. Dammi la pistola.

Domenico gliela porge.

Non ha detto nulla della tizia che ha incontrato. Probabilmente era la portinaia. Forse dovrebbe parlarne. E se poi gli fanno delle storie? Meglio non dire niente.

Fausto passa la busta con i soldi a Domenico e lo lascia a una fermata della metropolitana. Ha ancora parecchio tempo prima di riconsegnare le chiavi. Passerà davanti al teatro per vedere se è quello dove recita l’attore. Una bella scopata adesso ci starebbe bene.

La faccenda è sistemata.

 

*

 

La faccenda è sistemata. Il ragazzo è sul marciapiedi e quando l’ha visto arrivare con gli amici, si è grattato l’orecchio destro, il segno convenuto.

Salvatore scende dall’auto, saluta gli amici e si dirige al bar. Passa davanti a Domenico e il fazzoletto con cui si stava soffiando il naso gli cade a terra proprio davanti al ragazzo. Si china e lo raccoglie, insieme alle chiavi. Entra nel locale, prende un caffè ed esce subito. Lo spettacolo sta finendo.

Quando la moglie e l’amica escono dalla sala, Salvatore è lì ad accoglierle. Angelo è assonnato, ma sorridente.

- E come si è comportato, Angelo? Non hai disturbato, vero?

Angelo scuote la testa.

Maria sorride:

- Ma figurati, ha seguito benissimo.

Poi Salvatore si rivolge a Ninetta:

- Dammi il tagliando, che ritiro le pellicce.

Salvatore si mette in coda al guardaroba. Quando infine viene il suo turno, rimette le chiavi al loro posto. Dopo aver aiutato Ninetta e sua moglie a indossare le pellicce, le accompagna all’auto e riconduce Ninetta a casa. Aspetta che sia entrata, poi si dirige all’albergo. Sa benissimo che tra poco dovranno tornare da Ninetta, che di certo telefonerà alla sorella in albergo quando troverà il cadavere del marito.

Angelo dorme sul sedile posteriore. Salvatore chiede alla moglie:

- Ti è piaciuto?

 

*

 

- Ti è piaciuto?

La sera a teatro è stata una festa per Fabrizio, che ha ritrovato il dialetto della sua città. Per un momento gli è sembrato di essere di nuovo a casa. Spera che lo spettacolo sia piaciuto anche a Mauro. Lo ha visto seguire con molta attenzione, ma questo rientra nella serietà che contraddistingue il suo collega.

- Un casino. È un gran bel testo. E loro sono proprio una bella compagnia. Sono stati bravissimi, tutti e due. Grande lei, ma ancora più bravo lui.

- Sembra giovane, per quella parte, eppure...

- Sì, secondo me non ha più di trent’anni, ma era perfetto.

Uscendo, guardano i nomi sul cartellone.

- Antonio Basile. Tu la compagnia la conosci? Viene da Napoli.

- No, non conosco molto i nomi degli attori. Andavo poco a teatro a Napoli.

- Questo spettacolo hai deciso di vederlo perché hai nostalgia di casa?

Mauro coglie al volo, sempre. Fabrizio ha già avuto modo di notarlo. Una sensibilità rara.

- Un poco.

- Hai la famiglia a Napoli?

- Genitori e due fratelli. E gli amici. Ma conto di tornarci. Ho fatto domanda di trasferimento. Magari non mi danno proprio Napoli, ma almeno un comune vicino.

- Te lo auguro.

- E tu, conti di tornare a Biella?

Sul viso di Mauro passa un’ombra.

- Non ho più nessuno a Biella.

Fabrizio vorrebbe chiedere, ma intuisce che è meglio cambiare argomento.

- Adesso che so che ti piace il teatro, magari qualche volta combiniamo.

- Volentieri.

- È stato bello sentire di nuovo un po’ di napoletano.

- Non è facile stare così lontano da casa, vero?

No, non è facile, per niente. Inizialmente a Fabrizio non era dispiaciuto allontanarsi da Napoli:  pensava che sarebbe stato più facile combinare qualche cosa in una città dove non conosceva nessuno. Una metropoli come Milano offre molte occasioni: per qualcuno che sa di essere gay, anche se non ha mai avuto esperienze, dovrebbe essere più facile passare dai sogni alla realtà, tanto più se si tratta di un bel ragazzo. E Fabrizio lo è, anche se vicino a Mauro si rende conto che tutto è relativo.

Fabrizio si chiede che cosa ha combinato in questi due anni. La risposta è semplice: niente. Si è lasciato sfuggire alcune occasioni, perché gli è mancato il coraggio di mettersi in gioco. Quando è in divisa, ignora gli sguardi lusinghieri che gli lanciano alcuni uomini (e molte donne, ma quelli li ignorerebbe comunque); quando non è in uniforme si sente più libero, ma si limita a un mezzo sorriso, poi non sa più che cosa fare. Due volte è stato avvicinato, ma in un caso lo ha scoraggiato l’atteggiamento dell’uomo, nell’altro è stato troppo imbranato e il tizio s’è stufato e se n’è andato. Due volte, sulla metropolitana, ha lasciato che nella ressa delle ore di punta un uomo premesse contro di lui, una volta da dietro, una da davanti. Il suo corpo ha risposto con violenza alla pressione, è stato sul punto di venire, ma lui non sapeva che fare e probabilmente all’altro bastava così.

E adesso, passati due anni, con la prospettiva di tornare a casa tra qualche mese, Fabrizio è al punto di prima.

Vorrebbe almeno avere qualcuno con cui confidarsi: a Napoli ha diversi amici, a cui è molto legato. Ma proprio perché è molto affezionato a loro, ha paura di sputtanarsi. Qui a Milano ha fatto amicizia con alcuni colleghi, ma sul lavoro deve muoversi con prudenza. E allora?

Fabrizio si dice che la risposta potrebbe essere Mauro, uno che non andrebbe certo a raccontarlo in giro, sensibile e discreto. Ma non saprebbe da che parte incominciare. Butta lì:

- Hai voglia di fare due passi?

L’inverno è gelido, ma Fabrizio ha bisogno di parlare. Lo spettacolo ha smosso qualche cosa in lui.

- Volentieri.

E adesso? Come affrontare l’argomento? Non è così facile.

- Proprio un bello spettacolo, vero?

Quando si dice andare subito al sodo…

 

*

 

Quando si dice andare subito al sodo! Domenico non ci ha proprio girato intorno:

- Certo che uno deve aspettare un bel po’ per scopare con te!

Antonio non pensava di vederlo all’uscita del teatro. Domenico non si era neppure fatto dare l’indirizzo e Antonio era sicuro che avrebbe trovato di meglio da fare. Invece il ragazzo è qui davanti a lui, il solito sorriso da diavoletto sulla faccia angelica.

Va bene, il programma della nottata subisce una brusca inversione di rotta, ma promette di essere interessante.

Antonio risponde per le rime:

- Va già bene che non ti faccio pagare per il fuori programma!

Antonio si congeda dal resto della compagnia. Qualche ammiccamento, una battuta di Federigo, che in scena è uno dei suoi figli, anche se ha solo quattro anni in meno di lui, poi gli altri si dileguano. Conoscono i gusti di Antonio, che non ne fa mistero con nessuno.

- Dove andiamo?

- Da te, no?

- Sono in albergo, la camera non è per due. Non ti lasciano salire.

- Tu non ti preoccupare. Andiamo.

Antonio è un po’ perplesso. In albergo di certo non permetteranno a Domenico di salire in camera e di notte il portiere è ancora più attento nel sorvegliare l’ingresso. Ma probabilmente il ragazzo starà ancora con i genitori. Non sarà mica minorenne? Antonio gli lancia un’occhiata. No, ha superato i venti, di sicuro.

Intanto sono arrivati all’albergo.

- Eccoci qua. E ora?

- Entriamo. Io dico che ti aspetto all’ingresso.

- E poi?

- Che numero è la tua camera?

- 218. Secondo piano. Ma questo lo sai!

Antonio ride, pensando alla scena della mattina. E intanto avverte una certa tensione.

- Ci vediamo tra poco.

Si lasciano nella hall. Domenico si siede su una della poltrone e gli dice che lo aspetta. Antonio sale in camera.

Antonio si chiede se davvero Domenico riuscirà a salire. Probabilmente sì.

E in effetti dopo pochi minuti Antonio sente bussare alla porta.

Antonio apre e chiede:

- Ma come cazzo hai fatto?

 

*

 

- Ma come cazzo hai fatto?

Mauro sorride, il suo sorriso un po’ triste .

- Sono gay anch’io, Fabri. E non mi è stato difficile capire che anche a te piacciono gli uomini.

Fabrizio rimane a bocca aperta. Mauro aveva capito che lui è gay e questo è già incredibile, visto che Fabrizio controlla molto il proprio comportamento. E adesso salta fuori che pure Mauro è gay.

- Ma… come… si capisce?

- Come ho fatto a capirlo? Non ti interessi alle donne, non le guardi, non gli fai complimenti e non fai neanche apprezzamenti su di loro quando i colleghi parlano di donne. E… probabilmente, in quanto gay sono più attento.

Fabrizio potrebbe aggiungere un altro elemento: la sensibilità di Mauro.

- E io che non sapevo da che parte incominciare per dirlo!

Mauro sorride.

- Può non essere facile. Per te è un problema parlarne, vero?

- Sì, lo è. E… non so come muovermi.

- Hai paura che si venga a sapere?

- Sì. Tu no?

- No, non mi importa. Sono così.

- Sai, Mauro, quando mi hanno mandato qui a Milano, mi immaginavo un sacco di esperienze, vita . Sono passati due anni, spero di tornare a casa presto e non ho fatto niente.

- Neanche a Napoli, vero?

Fabrizio scuote la testa.

- Non lasciarti bloccare dalla paura, Fabrizio.

Fabrizio sa che Mauro ha ragione, ma saperlo non è sufficiente.

- Ma tu…

Fabrizio si blocca. Si vergogna. Vorrebbe chiedere a Mauro come fa, ma Mauro è talmente riservato.

- Io vivo la mia vita.

Mauro ha un sorriso amaro. Aggiunge:

- Come posso. Senza nascondermi. Non c’è un amore, non c’è più spazio per l’amore. Ci sono incontri casuali, che lasciano il tempo che trovano. Ma, Fabrizio, la mia situazione non fa testo. Dovrei spiegarti cose di cui preferisco non parlare.

- Anch’io… anche a me è successo di essere avvicinato, ma… non so come fare…

- Fabrizio, tu che cosa vuoi? Voglio dire, che cosa è importante per te, adesso? Quello che vuoi è scopare con un uomo, capire se è davvero quello che ti piace? O cerchi altro?

Bella domanda. A Fabrizio piacerebbe avere una risposta pronta. Sì, vuole scopare, su questo non ha dubbi. E poi vorrebbe anche altro, vorrebbe l’amore. Ma gli sembra una meta un po’ troppo ambiziosa per uno che non ha mai nemmeno baciato un uomo. E Mauro?

Non è alle prime armi, Mauro. Ha esperienza. Di certo ci sa fare.

 

*

 

Di certo ci sa fare, cazzo!, se ci sa fare! Bacia bene, Antonio. Bacia e accarezza, con delicatezza. Domenico non è che impazzisca per i preliminari, ma non gli vanno neanche bene le toccate e fughe. Antonio ci sa fare. Lo stringe, lo bacia, gli succhia un labbro, poi la bocca scivola di lato e gli morde un orecchio. Intanto le sue mani hanno incominciato a spogliarlo. È inverno, gli strati sono tanti, ma Antonio, che si è sfilato il giaccone, non sembra avere fretta. Gli toglie la sciarpa e il passamontagna, abbassa con lentezza la cerniera del giaccone, mentre la sua lingua si infila tra i denti di Domenico. Ogni tanto le mani indugiano tra i capelli o sul culo, sulla patta o sulla schiena, due dita carezzano una guancia. È tenero, Antonio, è dolce. Domenico lo lascia fare. Poi le mani riprendono a spogliarlo, piano. Adesso che Domenico è a torso nudo, Antonio si china e gli succhia un capezzolo, poi l’altro, glieli pizzica tra i polpastrelli, li succhia con le labbra e infine attira Domenico a sé e lo abbraccia.

Domenico decide di collaborare e incomincia a spogliare Antonio, che non si sottrae. Presto sono tutti e due in pantaloni e allora Antonio si inginocchia davanti a Domenico, gli apre la cerniera dei pantaloni, li abbassa un po’ insieme agli slip, gli tira fuori il cazzo ormai gonfio di sangue e glielo prende in bocca, lo accarezza con la lingua, dai coglioni alla cappella, tre volte. Poi le labbra si posano sulla cappella, in un bacio, e si aprono, per accoglierla. Antonio l’avvolge con le labbra e l’accarezza con la lingua, poi si mette a succhiarla. Domenico geme. Ci sa fare con la lingua, cazzo!

Mentre la bocca lavora il cazzo di Domenico, le mani di Antonio abbassano completamente pantaloni e slip e indugiano sul culo. Lo accarezzano, lo pizzicano, lo maltrattano, scorrono sul solco tra le natiche, stuzzicano l’apertura. Domenico geme di nuovo.

Antonio si alza. Gli sorride e finisce di spogliarsi, mentre anche Domenico si libera di scarpe, calze, pantaloni e slip. Domenico guarda il cazzo di Antonio che emerge dai pantaloni ed emette un fischio, sonoro. L’ha già visto e apprezzato, ma ora che ha alzato la testa è davvero uno spettacolo.

Antonio scuote la testa:

- Nelle altre camere dormono. Vuoi che qualcuno venga a vedere che cosa succede qui?

Domenico fischierebbe ancora, ma si china e avvicina la bocca alla splendida salsiccia che intende gustare. Passa la lingua, avvolge la cappella e incomincia a succhiare con cura. Intanto Antonio gli accarezza la testa, poi le sue mani scendono lungo la schiena, fino al culo.

Domenico proseguirebbe a lungo, ma il desiderio preme. Allora si alza e si stende sul letto, a pancia in giù, le gambe divaricate.

Antonio fruga nella valigia che è nell’armadio e prende una bustina. Si mette il preservativo e avvicina la bocca al culo di Domenico. Inumidisce due dita con la saliva e le infila nell’apertura, piano.

Poi Antonio si stende sul corpo che gli si offre e con delicatezza spinge la mazza ferrata in avanti, a prendere possesso del culo di Domenico. Quando è giunto fino in fondo, si ferma un momento, poi incomincia a muoversi. Antonio lavora metodico: spinge e si ritrae, avanti e indietro, senza dare tregua. Ogni tanto però cambia ritmo: alle spinte continue succedono allora colpi decisi intervallati da pause ed è una goduria sentire il cazzo di Antonio che indugia sull’apertura e poi avanza fino in fondo. Intanto le mani di Antonio si muovono lungo il corpo di Domenico, dalla testa al culo, alternando carezze e pizzicotti.

Antonio procede, instancabile, e Domenico si chiede se andrà avanti fino a domani mattina. Nessuno lo ha mai scopato così. Domenico sente il piacere che sale dal suo culo dilatarsi oltre ogni limite, nonostante il dolore che il continuo movimento dell’imponente sperone gli provoca.

Antonio rallenta il ritmo, spaziando le spinte. E poi, con un colpo deciso avanza di nuovo fino in fondo. A quel punto accelera il ritmo e Domenico geme senza ritegno, mentre l’ondata di piacere lo travolge. Antonio emette una specie di grugnito e si abbatte su di lui, con un’ultima serie di spinte che si attenuano.

Cazzo, che scopata! Formidabile. Domenico è sfinito. Una giornata fortunata, oggi. Questa mattina imprecava mentre tagliava i rami agli alberi e si diceva che era stato un fottuto coglione a spendere tutto quello che aveva guadagnato con i lavori precedenti. E nel pomeriggio gli offrono un altro lavoro, ben pagato. Il lavoro è filato liscio, lui ha un frego di soldi, adesso, e ha pure trovato questo tipo, che ha un cazzo da cavallo e ci sa fare a scopare.

Vedere Antonio nudo gli ha portato davvero fortuna. Il buon giorno si vede dal mattino.

 

*

 

Il buon giorno si vede dal mattino. Fabrizio è appena arrivato in commissariato, quando viene chiamato in riunione. C’è già Mauro, che come al solito è arrivato in anticipo al lavoro. C’è stato un omicidio. Il commissario Chiodi dice:

- Poggio e Bragadin, voi affiancate l’ispettore Dambrosio in questa inchiesta.

Lui e Mauro lavoreranno insieme. Gli fa piacere. Non succede mai: Mauro lavora nella squadra omicidi, mentre Fabrizio, come spesso succede con i nuovi agenti, fa un po’ di tutto, di solito occupandosi di reati meno gravi. Adesso il commissario vuole che segua anche le indagini per un omicidio.

Dambrosio fa il punto:

- Il morto è un tal Raffaele Caracci. Di Napoli. Trasferito a Milano sei anni fa. Qualche piccolo precedente penale, nel periodo in cui era a Napoli. Sospettato di essere legato alla camorra e di occuparsi degli affari di alcune famiglie di Napoli qui a Milano. La moglie è cognata di Salvatore Scibone. Gli Scibone sono una delle famiglie che contano a Napoli. Parliamo di camorra, s’intende, non di alta società.

Fabrizio annuisce. Sa chi sono gli Scibone, di nome almeno: chi vive a Napoli certi nomi li conosce.

Mauro chiede:

- Quindi potrebbe trattarsi di un delitto di camorra?

- Potrebbe. La moglie è andata con la sorella al Piccolo. Quando è tornata a casa ha trovato il cadavere del marito.

Fabrizio guarda Mauro, che ricambia lo sguardo. Loro due erano nello stesso teatro della moglie della vittima.

- Che avete da guardarvi?

È Fabrizio a rispondere:

- Eravamo tutti e due al Piccolo, ieri sera. A vedere Filumena Marturano.

- Magari avete notato la moglie. Una gran bella donna, alquanto procace.

Mauro e Fabrizio non notano molto le donne, ma non è il caso di dirlo. L’ispettore prosegue:

- In questi giorni a Milano c’è anche Salvatore Scibone e questo delitto può avere a che fare con lui.

Mauro chiede:

- Sospetta che Scibone possa aver deciso l’eliminazione del cognato o che altri abbiano ucciso Caracci come avvertimento per Scibone?

- Una delle due. Ma può anche essere un’altra storia. Caracci, a sentire la portinaia, amava molto le donne. Non possiamo neanche escludere l’ipotesi di qualche marito cornuto.

Dambrosio fornisce tutti gli elementi in possesso della polizia. Il più rilevante appare l’informazione fornita dalla portinaia: un giovane è stato visto uscire dalla casa all’ora dell’omicidio.

Nel corso della giornata Fabrizio, Mauro e l’ispettore interrogano tutti gli inquilini della casa. Nessuno ha visto niente, solo quelli del quarto piano hanno sentito all’ora del delitto suonare più volte, con insistenza, al piano di sopra. Nessuno di loro ha ricevuto un giovane la sera precedente: perciò è probabile che il ragazzo sia davvero implicato nell’omicidio.

La portinaia però ha visto scendere anche una donna, che doveva essere salita al quinto piano. È scesa qualche minuto dopo il ragazzo.

Uno dei due è l’assassino, l’altro è quello che ha suonato a lungo.

La portinaia non ha mai visto prima il ragazzo, non è uno che frequenta la casa. Quanto alla donna, la portinaia appare reticente, ma poiché si tratta di un’inchiesta di polizia, preferisce dire tutto quello che sa: l’ha vista salire altre volte dal Caracci, sempre quando la moglie non c’era. A buon intenditor…

Dopo aver riparlato con la portinaia, Dambrosio sguinzaglia Fabrizio e Mauro: le cose da fare sono tante.

 

*

 

Le cose da fare sono tante e tocca a Salvatore occuparsene: lui è il parente più stretto a Milano, in questo momento. Ci sono le formalità per il funerale, complicate dal fatto che Raffaele è morto ammazzato, per cui bisognerà aspettare che la polizia dia il via libera. Ci sono i parenti da avvisare. Ci sono varie pratiche da sbrigare. E poi ci sono le faccende serie a cui badare, quelle per cui Salvatore è venuto a Milano. Appurato che Raffaele faceva il doppio gioco e risolto il problema, bisogna fare in modo che gli affari vadano avanti.

Salvatore si alza presto. Ninetta ha dormito in albergo con Maria. Salvatore e Angelo hanno preso un’altra camera sullo stesso piano.

Ninetta piange, parla molto al telefono con i parenti di Napoli, riceve qualche visita. A un certo punto si rivolge a Salvatore:

- Chi è stato? Perché? Salvatore, devi scoprirlo!

Salvatore annuisce.

- Non riesco a immaginare, Ninetta. Qui Raffaele aveva contatti con tanta gente che io non conosco.

- Se non mi aiuti tu, Salvatore…

- Poi mi fai vedere le carte, i conti. Vedo se riesco a capirci qualche cosa, Ninetta.

Non che Salvatore si aspetti di trovare molto: suo cognato non era certo tanto stupido da tenere la documentazione degli affari a cui si dedicava. Le faccende di cui si occupava Raffaele, come quelle che segue Salvatore, non sono del tipo per cui si tiene un rendiconto. Ma qualche elemento che gli permetta di farsi un quadro più preciso della situazione magari c’è, se la polizia non l’ha sequestrato. A Salvatore farebbe piacere scoprire chi sono quelli con cui faceva affari quel figlio di buona donna di Raffaele, invece di fare gli interessi degli Scibone.

- Grazie Salvatore. Se penso che quei maledetti…

Ninetta non conclude la frase e scoppia a piangere.

Maria l’abbraccia.

Salvatore lascia passare un momento, poi dice:

- Se vuoi davvero che scopra chi è stato, fa’ attenzione che nessuno tocchi le cose di Raffaele. Quei bastardi vorranno di sicuro far sparire quello che li può tradire. Diffida anche degli amici. Raffaele ha aperto al suo assassino in accappatoio e l’ha fatto entrare, oppure qualcuno si è procurato le chiavi di casa, in ogni caso dev’essere qualcuno che conosceva bene.

Angelo lo sta guardando in modo strano.

Dopo un momento, Salvatore lascia Ninetta con Maria e porta Angelo nella loro stanza.

- Perché mi guardavi così? Che c’è?

Angelo dice:

- Hai detto alla zia che qualcuno forse ha rubato le chiavi di casa sua. Magari le ha prese a te.

- A me? Che dici?

- Sì, ieri sera, quando le hai tolte dalla tasca della pelliccia della zia.

Salvatore guarda suo figlio. Angelo ha sette anni, ma è sveglio.

- L’hai detto a qualcuno?

- No.

- Allora stammi bene a sentire, Angelo. Questa è una faccenda seria. Non devi parlarne con nessuno, hai capito? Neanche con la mamma.

- Va bene.

- La mamma non deve saperlo, perché si preoccuperebbe. È una faccenda di uomini, questa.

Angelo annuisce, serio.

- Sì, papà. Non lo dirò a nessuno.

- Bravo bambino.

Salvatore accarezza la testa di Angelo. Ha la testa sul collo, Angelo. Questo Salvatore ha già avuto modo di notarlo. Non parlerà.

Poco dopo arriva la polizia.

I due agenti e l’ispettore parlano anche con Salvatore, che fornisce il suo alibi.

Quando escono, Maria dice a Salvatore:

- Ma che bei ragazzi ha la polizia di Milano. A Napoli di agenti così non se ne vedono.

Salvatore sorride.

- Certo che hai una bella faccia tosta a dire davanti a me una cosa del genere…

Scuote la testa.

 

*

 

Scuote la testa.

- Ma che sorpresa!

Antonio è stupito di vederlo. Ma la scopata di ieri sera è stata superlativa e Domenico ha intenzione di venire ad aspettarlo tutte le sere all’uscita del teatro. Adesso che ha soldi a disposizione e non deve sbattersi per raccattare due lire, di sicuro non lo beccano più a potare alberi.

Vanno di nuovo in albergo. Antonio sale in camera e, mentre aspetta Domenico, si spoglia e si infila l’accappatoio. Domenico arriva: come faccia, lo sa solo lui. Quando vede Antonio nudo, Domenico ridacchia:

- Già pronto, eh?

- Voglio farmi la doccia. Poche cose ti fanno sudare come il teatro.

- Ma no, ma dai, mi piace il tuo odore.

Domenico si avvicina, gli apre l’accappatoio e incomincia a strofinargli il viso sul torace, annusando.

- È un bell’odore.

Domenico annusa, scende fino al ventre.

- Anche qui c’è un bell’odore.

E Domenico prende in bocca il cazzo di Antonio, lo succhia e lo lecca un buon momento, poi si stacca e dice:

- Un buon sapore, anche, oltre a un buon odore.

Poi Domenico passa dietro, si infila sotto l’accappatoio, annusa anche il culo e lo lecca con gusto. Antonio scherza:

- Anche lì l’odore è buono?

- Come diceva sempre mia nonna, del maiale non si butta via niente.

Antonio ride.

- Allora, se hai sete, vieni qui davanti.

Domenico capisce e obbedisce. Apre la bocca e avvolge la cappella. Il cazzo di Antonio non è più a riposo, ma può ancora essere utilizzato per l’uso statisticamente più frequente.

Domenico beve con gusto.

Quando ha finito, Domenico riprende a lavorare la cappella con la lingua e con le labbra e il cazzo di Antonio acquista rapidamente la consistenza giusta. Domenico non smette, la sua lingua percorre il cazzo, scende ai coglioni, il naso annusa con entusiasmo la mescolanza di odori, le dita stringono la pelle (un po’ troppo: Antonio sussulta e gli molla un buffetto).

Antonio si stende sul letto, sulla schiena, e guida Domenico a sedersi su di lui. Prende la bustina del preservativo e gliela passa.

- Questa sera lavori tu. Mettimelo.

Prima di aprire la bustina, Domenico dà un’ultima leccata, poi infila il guanto.

Antonio gli mette le mani sui fianchi e lo solleva, poi lo fa spostare in avanti e, tenendo con una mano il cazzo in verticale, con l’altra spinge Domenico ad abbassarsi. Domenico sente la pressione dell’asta contro il suo culo. Si sposta un po’, in modo da facilitare l’ingresso, poi affonda lentamente, assaporando la sensazione del magnifico palo che affonda nella sua carne. Con un gemito che è anche di dolore, Domenico si abbassa ancora, facendosi infilzare completamente dalla picca.

Cazzo, che cazzo!

Antonio gli accarezza il cazzo e i coglioni. Domenico incomincia a sollevarsi e abbassarsi, infilzandosi ogni volta nella picca. Le mani di Antonio gli stringono i fianchi e lo guidano nel movimento ritmico. Domenico chiude gli occhi, interamente concentrato nel piacere intensissimo che gli procura il palo in culo. Domenico procede e Antonio asseconda il suo movimento con spinte. Domenico ha l’impressione che il cazzo di Antonio gli scavi le viscere e giunga fino allo stomaco. A tratti Domenico si arresta e Antonio muove il culo, in piccola spinte, mentre le sue mani stuzzicano i fianchi di Domenico o salgono a martoriargli i capezzoli.

Domenico è esausto, goccioline di sudore scivolano lungo il suo corpo. Fa un caldo infernale nella stanza e il piacere lo stordisce. Gli sembra che questa cavalcata sia infinita, che da sempre il palo lo infilzi e lo lasci per poi nuovamente trafiggerlo.

Infine Domenico viene con un urlo e il getto ricade sul ventre di Antonio.

Allora Antonio lo stringe più forte per i fianchi e sollevando e abbassando il culo, imprime una serie di spinte vigorose, finché anche lui viene.

Un’altra scopata con i fiocchi. Uno così Domenico vorrebbe averlo nel suo letto ogni sera. Che culo ha avuto a vederlo ieri! È andata proprio bene.

 

*

 

È andata proprio bene. Non ci è voluto molto a risalire alla donna. Nel pomeriggio Raffaele Caracci ha fatto alcune telefonate. Una per procurare alla moglie, alla cognata e al nipote i biglietti per lo spettacolo, servendosi di certe sue conoscenze. Una per l’automobile che era dal carrozziere. La terza a una donna.

Convocata in commissariato, Anita Leccese cerca di negare, ma quando le dicono che la portinaia l’ha vista, incomincia a tremare. Dambrosio la mette alle strette, Mauro fa l’agente buono, in un gioco delle parti che Fabrizio conosce benissimo. Mauro è molto adatto, sembra davvero capire la situazione della donna, la rassicura, la incoraggia e quanto c’è da sapere viene fuori senza difficoltà. Mauro è davvero bravo.

Raffaele Caracci era il suo amante, l’ha chiamata nel pomeriggio per dirle che la sera era libero, perché la moglie era a teatro. Lei è andata da lui all’ora fissata e ha suonato più volte sotto.

- Poi mi ha aperto. Io sono salita. Ho suonato di nuovo alla porta, ma non rispondeva nessuno.

- Il signor Caracci ha parlato al citofono?

- No, ha solo aperto. Io…

- Quindi non può dire che è stato lui ad aprirle.

- No… no.

L’ispettore chiede, ma la donna non ha nessuna idea su chi possa aver ucciso Raffaele Caracci e perché.

Al termine dell’interrogatorio, Dambrosio parla con Mauro e Fabrizio. È probabile che sia stato l’assassino ad aprire, quando ha capito che la donna non se ne sarebbe andata. La portinaia ha visto il ragazzo scendere mentre l’ascensore saliva all’ultimo piano, quindi l’assassino potrebbe proprio essere lui. Ma come ha fatto ad entrare? La serratura non è stata forzata. Doveva avere le chiavi.

La donna potrebbe avere un paio di chiavi dell’appartamento di Caracci? Difficile, non avrebbe suonato. Caracci era sposato, dare le chiavi di casa all’amante sarebbe stato assurdo.

Discutono a lungo. Bisognerà trovare il ragazzo, confrontando l’identikit fornito dalla portinaia con le foto dei pregiudicati. Se non si trova nulla, sarà utile diffondere l’identikit.

Fabrizio è contento di lavorare con Mauro: è attento e intelligente. Sa porre le domande giuste. Gli piace averlo vicino. E mentre lo pensa, si rende conto che gli piace Mauro. Non è innamorato, no, questo no. Però gli piace.

Rendersene conto non è piacevole. Non c’è nulla da fare, Fabrizio lo sa benissimo, tutto congiura contro di lui: Mauro gli ha detto di avere incontri occasionali, ma non può chiedergli di scopare, glielo dice l’istinto prima ancora della ragione. E Mauro non è innamorato, ha detto chiaramente che non c’è posto per l’amore nella sua vita.

Fabrizio ha l’impressione che le cose vadano tutte per il verso sbagliato.

Questa non ci voleva.

 

*

 

Questa non ci voleva. Tano è incazzato nero.

- Perché non mi hai detto che la portinaia ti ha visto, stronzo?

Domenico si dice che è stato una testa di cazzo a tacere: avrebbe dovuto prevedere che sarebbe saltato fuori. Il fatto è che non aveva voglia di complicarsi la vita.

- Che importanza ha? Avevo il passamontagna sui capelli e la sciarpa.

- Ti ha visto in faccia, stronzo. Ha deposto. Hanno il tuo identikit alla polizia.

Domenico si muove sulla sedia. È a disagio. Questa davvero non ci voleva.

- Ma non possono risalire a me in nessun modo.

- E se pubblicano l’identikit sui giornali?

Domenico scrolla le spalle. Non ha una risposta.

- Adesso devi sparire, in fretta. Parti oggi stesso. Vai a Genova.

- Ma posso nascondermi anche qui…

- Ti togli dai piedi. Non devono trovarti.

- Non mi faccio trovare.

- Cazzo! Mi hai capito? Vai a Genova! Parti questa sera stessa. Non passi a casa, chiaro?

Tano gli dà l’indirizzo di Genova. Domenico annuisce, ma è incazzato. Antonio rimane ancora quattro sere. Si perde quattro notti di scopate con i fiocchi.

Domenico scende dall’auto e si allontana. E intanto pensa che può dormire da Antonio e andare a Genova quando Antonio se ne va con la compagnia. Certo, non può rimanere in albergo tutto il giorno, ma per strada, in questo periodo in cui girano tutti imbacuccati, chi vuoi che lo riconosca? Se dorme in albergo e si alza con Antonio, poi va in giro per le strade, nel pomeriggio si rintana in qualche cinema e nessuno lo trova. Sì, perché rinunciare a quattro notti di fuoco per andare a rinchiudersi in qualche stanza a Genova?

Domenico va a mangiare un boccone, poi si ficca in un cinema e aspetta che arrivi l’ora di trovare Antonio.

 

In albergo Antonio gli lega le mani alla testata del letto. Domenico non si è mai trovato legato, ma sa che di Antonio si può fidare. Chissà che cosa direbbe Antonio se sapesse che lui ha ucciso due uomini e una donna per soldi? Domenico sorride.

Antonio si prende il mento tra le dita della destra e lo guarda pensieroso, poi dice, come se fosse perplesso:

- Commaggia fa cu cchisto?

- Che cazzo dici?

Antonio sorride.

- Mi chiedevo che devo fare oggi con questo bel maialino che ho qua.

Poi si alza, sfila la cintura dei pantaloni e la fa roteare in aria.

- Vediamo un po’ se la pelle del culo è abbastanza tenera.

- Ehi, ehi! Vacci piano.

Antonio ghigna. Gli prende i piedi, glieli solleva, forzandolo a tenere in alto le gambe, e molla una frustata.

- Ahi!

Domenico ride: il colpo non è stato tanto forte. Quello successivo è più deciso. Fanno male, i colpi, ma non troppo. Stuzzicano.

Dopo averlo frustato, Antonio gli solleva ancora di più le gambe, forzandolo a piegarsi completamente su se stesso. Intanto gli passa la lingua sul solco. Lavora a lungo con la lingua (che accarezza e spinge), con i denti (che mordono il culo già indolenzito dalle frustate), con le dita (che si infilano senza nessun ritegno), mentre con un braccio gli tiene le gambe piegate e sollevate in aria.

E poi appoggia le gambe di Domenico sulle proprie spalle e avanza l’arma formidabile.

Domenico geme.

- Cazzo!

 

*

 

- Cazzo!

Salvatore Scibone è furente.

- Non lo so, don Salvatore. Gli avevo detto di andarsene, ma a Genova non è mai arrivato. Non deve aver lasciato Milano.

- Merda! Se lo beccano e lo fanno parlare… Mi ha visto, gli ho dato le chiavi. Sa come trovarti. Tano, che cazzo hai combinato?!

- Mi spiace, don Salvatore. Il ragazzo aveva lavorato bene. Non c’erano stati problemi, le volte precedenti. E per un caso come questo, in cui non dovevano poter risalire a nessuno della famiglia, mi sembrava l’ideale: anche se l’avessero visto, se ci fosse stato qualche inconveniente, nessuno poteva metterlo in relazione con voi. Ho sbagliato, don Salvatore, lo so.

- Il ragazzo è una grandissima testa di cazzo! Bisogna eliminarlo. Se lo beccano, è capace di parlare. Non ci possiamo fidare.

- Avete ragione, don Salvatore.

- Me ne occupo io. Tu pensa solo a trovarlo. Dobbiamo trovarlo prima della polizia.

Tano si passa una mano sulla fronte.

- Stiamo cercandolo tutti. A casa non è più passato.

Salvatore Scibone si alza, furibondo.

- Tano, tu devi trovarlo, quel bastardo, prima che lo trovi la polizia. Hai capito?

Tano annuisce. Lo sa benissimo. Ha sguinzagliato tutti i suoi uomini.

Salvatore Scibone se ne va.

La telefonata arriva due ore dopo. Tano guarda il numero sul cellulare. È uno dei suoi uomini. Ha riconosciuto Domenico. Lo ha visto e lo ha seguito.

 

*

 

Lo ha visto e lo ha seguito, ma Domenico se n’è accorto e lo ha seminato. Poi si è infilato nel cinema. Sono le otto quando esce dal locale. Adesso si allontanerà dalla zona e poi cercherà un posto per mangiare un boccone.

Sta camminando quando un uomo gli si affianca. Contemporaneamente Domenico sente la pressione contro la schiena. Si irrigidisce.

Il tizio che si è messo vicino a lui dice:

- Sali in auto.

Un’auto si è fermata contro il marciapiedi. Domenico esita. Non possono sparargli per la strada, c’è gente. Il tizio lo spinge verso l’auto. Domenico sa che la polizia lo cerca. Non può attirare l’attenzione, chiedere aiuto. Potrebbero sparargli. E se invece riuscisse a scappare, ma arrivasse la polizia, sarebbe ancora peggio. Ma che cosa intendono fargli? Se lo mandano a Genova, poco male. E se invece…

Domenico si trova seduto sull’auto. L’uomo che gli era di fianco si siede accanto a lui. Dall’altra parte sale l’uomo che gli stava dietro, quello con la pistola.

- Non cercare di fare il furbo. Se non fai scherzi, non ti faremo niente.

L’uomo seduto davanti, accanto all’autista, compone un numero.

- L’abbiamo trovato.

 

*

 

- L’abbiamo trovato.

La notizia che gli dà Mauro, appena Fabrizio entra in ufficio, è bella. Sono diversi giorni che cercano l’assassino di Raffaele Caracci e adesso l’hanno trovato. Ma la faccia di Mauro non è quella di chi sta dando una buona notizia. Fabrizio chiede:

- Dov’è?

- Adesso all’obitorio. Lo hanno trovato questa notte all’Idroscalo. Sei pallottole. È lui, siamo sicuri.

- Cazzo!

- Lo hanno fatto tacere quando hanno capito che eravamo sulle sue tracce.

La morte dell’assassino rende ben difficile risalire ai mandanti.

 

*

 

La morte dell’assassino rende ben difficile risalire ai mandanti: Salvatore Scibone è tranquillo, ora. Il mattino passa il giornale a Ninetta, piegato sull’articolo in cui si parla del ritrovamento del cadavere.

- Era l’assassino di Raffaele.

Ninetta lancia un’occhiata all’articolo, poi alza lo sguardo.

- Ne sei sicuro?

- Sì. Raffaele è stato vendicato.

Salvatore non dice di più, non è necessario: Ninetta capisce benissimo che è stato Salvatore a fare ammazzare l’assassino di Raffaele.

- Perché l’ha fatto?

- Qualcuno l’ha pagato per farlo.

- Tu sai chi?

Salvatore lo sa benissimo, ma di certo non lo dirà.

- Questo non lo so ancora, Ninetta, ma forse i documenti di Raffaele mi aiuteranno a scoprirlo.

Ninetta annuisce.

Salvatore sta esaminando quello che Ninetta gli ha dato. Non è molto, ma ci sono cose interessanti, abbastanza per dire che quel figlio di puttana di Raffaele ha avuto quello che si meritava.

L’inchiesta è bloccata.

 

*

 

L’inchiesta è bloccata.

Ma questo ormai non tocca più Fabrizio: ha ottenuto il trasferimento, torna a casa. Non proprio a Napoli: a Torre Annunziata, ma con la Circumvesuviana non ci vuole molto. Tornerà a stare dai suoi. Parte tra pochi giorni.

Fabrizio guarda Mauro che lavora alla sua scrivania. Gli sarebbe piaciuto provare a costruire qualche cosa con lui, ma non era proprio possibile.

Peccato!

 

*

 

Peccato!

Domenico non è venuto neanche questa sera. Antonio si è stupito di non vederlo ieri, all’uscita dal teatro: aveva detto che ci sarebbe stato. E non c’è neanche oggi.

Gli dispiace. Non solo per le scopate, ma perché gli si era affezionato: Antonio si affeziona facilmente. E poi Domenico è simpatico. È un bravo ragazzo.

 

2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice