L’accabadora

 

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C’è stato un altro morto, stavolta in Via della Magnolia. Il Quartiere degli Alberi, considerato tanto chic, è diventato all’improvviso una specie di Bronx. Dormitorio di gente bene, ricchi e riccastri che di giorno lasciano i loro appartamenti di lusso in mano a colf, bambinaie, autisti e giardinieri di ogni provenienza. Eppure, proprio qui, dopo il duplice omicidio di Via delle Pigne, eccone un altro.

Natale Borghetti Casera è stato ritrovato nudo e cadavere in camera da letto, dalla colf filippina, che è uscita come un razzo dalla villa, urlando peggio di un’aquila. Sembrava che non volesse più smettere di correre e urlare. Hanno dovuto sedarla. La moglie e i tre figli erano in vacanza nella loro villa in Sardegna. Ancora un paio di giorni e sarebbero rientrati, perché riaprono le scuole. Gli altri domestici sono assenti anche loro per ferie. Nessuno ha visto niente. Nessuno sa niente. Però qualcuno in casa c’è stato, anche se pare non aver lasciato tracce, ma solo molto disordine in giro. A detta della colf, il signor Borghetti Casera era un maniaco dell’ordine; per intenderci, uno che ripiega persino i calzini sporchi, prima di sbatterli nella cesta della biancheria da lavare. E infatti i suoi abiti erano rigorosamente piegati e appoggiati in bell’ordine su una poltrona.

In attesa dei risultati delle analisi della scientifica e dell’autopsia della vittima, brancoliamo nel buio. Ma una cosa è certa, quello che l’ha ucciso, di solito si usa durante giochini piuttosto gradevoli, se ti piace il genere…

 

Chissà cosa ne direbbe Danilo? Riassorbo in fretta lo stupore di averlo pensato.

Lui direbbe: - Ricordati: soldi, sesso, potere. Tutto il resto è follia. –

Sono incazzato nero. Incazzato soprattutto con me stesso. Cosa mi è venuto in mente di illudermi che potesse nascere una storia con Danilo?

No, non sono uno sfigato. È che nella vita sono sempre incappato in una bella collezione di stronzi. Questa volta non è diversa dalle altre. È uno stronzo anche lui, solo che non si capisce subito, perché è un tipo che parla poco, non si sbilancia. È così che ti frega. Tu lo sorprendi mentre ti fa una radiografia, scambi la sua espressione inebetita per timidezza e imbarazzo, il suo sorriso incerto per interesse, e troppo tardi capisci che ti ha sviato alla grande. La mia foto sul suo computer, per esempio, che ci faceva? Da quella è partito tutto. Mi sono ingannato. Per l’ennesima volta, mi sono illuso. Ma almeno, in questo caso, posso fare retromarcia, prima di ritrovarmi schiantato contro un muro. Di strade senza uscita ne ho già percorse più che a sufficienza. Devo ammettere che Danilo non ha tentato di portarmi fuori strada. Alla mail con cui lo invitavo a vederci, non ha nemmeno risposto. Più chiaro di così.

Dov’ero rimasto? Il possibile movente per il caso Borghetti Casera, già. C’è qualcosa di strano. Morte per asfissia. L’ha ucciso una ball gag. Si è trattato di un tragico incidente? Se volevano ammazzarlo, avrebbero potuto trovare un modo migliore, qualcosa di più veloce e pratico, come per esempio un bel proiettile in mezzo alla fronte.

Sarulli mi spia di soppiatto. Sento il suo sguardo su di me già da qualche minuto.

- Che c’è, Sarulli?

- Ecco, ispettore, pensavo…

- … Stai attento, potrebbe essere nocivo.

Sarulli mi guarda stupito. Non capisce le mie battute. Che gliele faccio a fare?

- Continua, Sarulli.

- Insomma, quel coso che gli hanno messo in bocca… Che cazzo era?

- Una pallina di gomma. Un bavaglio. Lo chiamano ball gag.

- Beh, faceva impressione con quella pallina rossa in bocca e quella cinghia di pelle nera legata dietro la nuca. Sembrava uno di quegli attrezzi sadomaso...

- Lo era, Sarulli.

- Quindi è stato un incidente o l’hanno fatto secco volontariamente?

- Ancora non si può dire. Aspettiamo il referto dell’autopsia.

- Il capo ha raccomandato la massima discrezione, ma come facciamo a lasciarne fuori i giornali?

- Basterà dire che è morto soffocato, senza specificare come.

- Ce la faremo? E se poi lo scoprono?

- Già, te li immagini gli articoli sui giornali? Te la immagini la vedova?

- Cazzo.

- Già.

- Io dico che l’hanno ammazzato.

- Perché?

- Non lo so, sembra un teatrino, una scena costruita ad arte. Era nudo.

- E allora? Stava scopando. È abbastanza ovvio che fosse nudo.

- Ma prima di scappare, la tizia avrebbe potuto gettargli addosso il lenzuolo.

- Perché, Sarulli?

- Per il pudore. Una brava ragazza non lo avrebbe abbandonato così.

- Sarulli, mi mandi fuori di testa.

- Era solo un’idea.

- Certi giochi possono risultare pericolosi se non si è esperti. Si è fatto legare con le manette al letto, si è lasciato imbavagliare e poi, chissà, a un certo punto qualcosa è andato storto. Quando ha capito quello che era successo, che il gioco era finito male, la donna si è spaventata ed è fuggita a tutta velocità.

- Non mi convince.

- Aspettiamo i risultati dell’autopsia. Fino a quel momento sarà difficile capirci qualcosa.

- Ma intanto le piste si raffreddano.

- Quali piste, Sarulli? Non abbiamo un cazzo di niente. Bisogna indagare sulla vittima, per iniziare a farci un’idea. 

Se avessimo qualcuno davvero in gamba, qui, per esempio qualcuno come Danilo…

Ma non posso rivolgermi a lui per qualunque minchiata. Penserebbe che ancora ci provo. Ed è l’ultima cosa al mondo che voglio che pensi.

Riflettendoci, la posizione in cui si è trovato Borghetti era la più idonea per lasciarci le penne. Possibile che prima di farsi mettere il bavaglio non avesse stabilito un segnale di stop? Non ci si lascia mettere supini con una pallina in bocca che t’impedisce di deglutire, addirittura bloccati con le manette. Forse Borghetti non era pratico del gioco, e forse anche la Mistress era una neofita con scarsa esperienza.

-       Ispettore...

-       Dimmi, Sarulli.

-       E se fosse stato un killer?

-       Avrebbe usato una calibro 9.

-       Quindi lei propende per l’incidente.

-       Io non propendo, Sarulli. Io aspetto gli esiti delle analisi. Poi propenderò per cercare il colpevole. Intanto vado a dare istruzioni che ricerchino dati sulla vittima. Anzi, vacci tu, che io devo riflettere.

Sarulli fa la faccia espressiva di un tostapane, poi sembra collegare le mie parole all’idea di un ordine ed esce dicendo:

-       Comandi.

E se fosse stato un killer? E se mia nonna avesse le ruote, sarebbe una carrozza. Un sicario, oppure qualcuno che Borghetti conosceva, tanto da farlo entrare in casa. Poi l’ospite ha tirato fuori una pistola. Sotto la minaccia dell’arma l’ha fatto spogliare. Mettergli le manette puntandogli contemporaneamente la pistola, non è agevole. Forse la prima gliel’ha fatta mettere da sé, l’altra l’ha sistemata lui, tanto ormai non poteva temere una reazione. Però un calcio ben assestato? Niente segni di lotta. Niente tracce. Per le impronte bisogna aspettare. Magari qualcuna c’è. Ci vuole pazienza.

Non escludiamo questa possibilità. Chi poteva avercela a morte con Borghetti? Ma prima di tutto, perché? Ecco, partiamo dal movente, che è meglio. Quando saprò vita morte e miracoli del signor Natale Borghetti Casera, potrò iniziare le indagini. Per ora, sono tutte balle.

Certo Danilo, a quest’ora, si sarebbe già girato il suo film. Cazzo, ma proprio adesso mi doveva capitare questa storia? Devo smetterla di pensare a quello stronzo.

 

Finalmente qualcosa su cui lavorare. La camera da letto era piena d’impronte, ma nessuna estranea a quelli di casa, quindi chi è stato in quella stanza portava i guanti. Ma la cosa più importante è che il medico legale ha rilevato che il naso della vittima era stato stretto, probabilmente da uno stringinaso da piscina. Un modo per accelerare la morte. Adesso è certo. Si è trattato di omicidio.

Gli scavi nella vita della vittima hanno dato esiti sconcertanti. Neppure un’ombra, neppure un appiglio, per quanto vago. Ho interrogato tutti i suoi colleghi, i conoscenti, i domestici. Niente. Era stimato, apprezzato, persino amato da tutti.  Per la moglie era l’uomo più onesto, affettuoso e buono del mondo. Facciamolo santo subito. Dove sta la fregatura? Conduceva una doppia vita? Era una spia con una facciata immacolata? Da qualche parte c’è qualcuno che mente, qualcuno che per qualche oscuro motivo lo odiava tanto da pagare un sicario per farlo fuori. E cazzo, io devo trovarlo.

-       Ispettore...

-       Dimmi, Sarulli.

-       Che ne pensa adesso? Chi può essere stato?

-       Contemplo un ampio spettro di possibilità.

-       Cioè?

-       Non lo so.

-       Allora che facciamo?

-       Ci sto pensando.

-       Facciamo qualche ricerca nell’ambiente dei sicari? Che ne dice?

-       Sarulli, secondo te uno va nella sede amministrativa dei sicari e fissa un appuntamento con l’ufficio informazioni?

-       Volevo dire che tra loro magari s’informano, le voci girano...

-       E dove vai a cercarli, Sarulli?

Sarulli ci riflette un attimo, roteando gli occhi come fanno certi clown al circo, per mostrare al pubblico che ne stanno pensando una delle loro.

-       Gli unici che conosco sono in galera. - ammette a malincuore.

Nonostante la sua intelligenza sia solitamente assimilabile a quella di un portalampada, questa volta Sarulli ha senz’altro ragione. Io lo conosco un killer, l’ho catturato, è stato processato e condannato, so dov’è ospitato e uno dei suoi custodi è un mio amico.

- Sei un genio, Sarulli.

Il suo sorriso incerto e appena accennato mi dice che un complimento gli fa lo stesso effetto di una battuta ironica. Non lo capisce. Che glielo faccio a fare?

 

Di Amilcare Cardella si può dire tutto, tranne che sia un chiacchierone. Al processo, a malapena sono riusciti ad estorcergli qualche monosillabo. È un osso duro, lo so, ma ci devo provare. 

Luca e io siamo amici da molti anni, dai tempi in cui tentavamo senza discriminazioni o preconcetti tutti i concorsi che venivano indetti. Alla fine, io entrai in Polizia, lui divenne guardia carceraria. Luca mi ha combinato un incontro con Cardella. Spero di cavargli almeno qualche nome.

Amilcare mi riconosce subito. Probabilmente risulta difficile dimenticare la faccia di chi ti ha messo le manette ai polsi, dopo averti atterrato con un gancio destro. Del resto anch’io me lo ricordo bene, nonostante la mia attenzione fosse ipnotizzata dalla Luger calibro 9 che gli sbucava dalla cintura dei pantaloni.

Mi guarda e tace. Gli faccio un cenno con il capo. Lui lo imita. La sua espressione non esprime sorpresa, né curiosità. Ma non appena gli chiedo notizie dei suoi colleghi, si mette a ridere.

Ho un metodo tutto mio per far parlare i meno loquaci, un ottimo sistema che adesso mi pare superfluo descrivere. Non ha mai fallito, eppure, quando Amilcare Cardella si decide a parlare, quello che ottengo sono soltanto risposte evasive, generiche, sibilline, sempre troppo vaghe, per i miei gusti. Ho bisogno di nomi e indirizzi.

-       Forza, Amilcare. Lo sai che, se voglio, posso far diventare la tua vita qua dentro un inferno.

-       Vai a farti fottere, sbirro.

-       Questa è proprio una bell’idea, Amilcare. Da qui a domani sarai tu a invocare il mio nome e a chiedere di potermi parlare.

Ho fatto rinchiudere Amilcare in una cella d’isolamento.

 

Luca appoggia il mio piano con considerevole riluttanza.

-       Mauro, mi vuoi far licenziare?

-       È solo per una notte.

-       E chi sarebbe il prescelto?

-       Attila, il vento che uccide.

Luca sbarra gli occhi dallo stupore, poi scoppia a ridere.

-       Cazzo, quello se lo fa a spezzatino. E come lo convinci?

-       Non ce ne sarà bisogno. Basta dargli il via libera.

-       Che mi fai fare, Mauro! Tu sei pazzo.

-       Sarò presente. Mettiamo una telecamera per controllare che non si ammazzino e interveniamo alla prima richiesta di aiuto, sempre che Attila lo lasci fiatare.

 

Ken Onaiyekan, nigeriano di Benin City, trent’anni, stazza armadio con specchiera, è ospite a carico dello Stato per svariati reati, ma non è un violento, anzi. È capitato nel paese sbagliato al momento sbagliato, costretto per sopravvivere a piccoli furti e qualche truffa di un’ingenuità disarmante. Lo chiamano Attila, il vento che uccide, perché dopo lo sbarco nel nostro paese, qualcuno gli ha insegnato che mangiare molto aglio crudo previene le malattie, disinfetta e cura qualunque malanno. Lui ci crede fermamente, applicandosi alla prevenzione con sempre rinnovato entusiasmo. Coloro che sono costretti a viverci, sostengono che intorno a lui non volino insetti di alcun genere. Quelli che osano, cadono stecchiti. Non è raro che anche per gli umani il suo alito risulti fatale.

Ho parlato con Attila, spiegandogli le mie necessità e chiedendogli un favore. Lui ha capito al volo. Il suo immenso sorriso è straripato mangiandosi mezza faccia. Non ho mai visto due occhi brillare così. Dev’essere in crisi di astinenza. Non c’è stato neppure bisogno di promettergli niente. Considera già il suo compito un regalo insperato. Ho solo dovuto assicurargli che gli avremmo lasciato fare il suo lavoro senza interromperlo. Certo, questo glielo devo.

 

Faccio trasferire Attila nella cella di Amilcare. E aspetto.

La telecamera inquadra perfettamente l’intera cella, di tre metri per due. Quando Attila fa il suo ingresso, improvvisamente mi appare più piccola. Luca osserva il monitor, seduto accanto a me, fino a quando, dopo qualche minuto, appaiono chiare le intenzioni del Vento che uccide. Amilcare si oppone con tutte le sue forze, ma deve ben presto arrendersi alla forza superiore. Attila l’ha costretto in posizione prona e gli ha già calato i calzoni, quando Luca si allontana dalla postazione.

-       Non vuoi vedere come finisce il film?

-       No, grazie, mi basta l’immaginazione. Se quello denuncia la cosa, io vado nei casini, lo sai, vero?

-       Non parlerà. Sarà il primo a pretendere il silenzio sull’accaduto. Se gli altri venissero a sapere che Attila l’ha fottuto, si trasformerebbe subito in territorio di caccia. E non credo sia la sua più grande aspirazione, se devo giudicare da come si agita.

-       Vado a sentire se ti chiama in soccorso.

-       Ti raggiungo tra poco.

Attila è molto dotato, ha una notevole energia e una bella resistenza. Si muove lento, metodico, sicuro ed implacabile, lavorandosi il bel culo di Amilcare con evidente soddisfazione. Vederlo impegnarsi con una simile abnegazione mi ha irrigidito. Un giro su quella giostra me lo farei anch’io, ma sono in servizio.

 

Dopo le bestemmie e gli improperi di rito, rivolti a me, ai miei antenati e a tutti i miei parenti, vicini e lontani, Amilcare si è deciso a parlare. Gliel’avevo detto. Dopo avermi fornito i nomi di un paio dei suoi colleghi, ci tiene a precisare:

-       Non sono una spia. Non credere che sia diventato il tuo informatore. Io non so niente. Mi faccio i cazzi miei.

-       Sta bene. Ancora una cosa. Sai niente dell’omicidio di Borghetti Casera?

Amilcare fa una faccia strana, ma mentre la sua testa dondola un deciso no, i suoi occhi lo smentiscono a tradimento.

-       Sì, che sai qualcosa. Forza, parla, non è difficile.

-       Non so chi è stato.

-       Però sai qualcosa. Dai, dimmelo.

-       Non sono sicuro che sia vero.

-       E tu dimmelo lo stesso.

Amilcare si guarda la punta delle scarpe come se non le avesse mai viste prima, poi alza lo sguardo e spara tutto d’un fiato:

-       Dicono che sia stata una femmina, ma io non ci credo.

-       Una donna?

-       Lo vedi che non ci credi neanche tu?

-       Una del tuo giro?

-       Non ci sono femmine nel mio giro.

Una killer improvvisata o semplicemente in trasferta? Per ora preferisco accantonare questo dubbio.

 

Invece, sulle finanze di Borghetti Casera, avrei fretta di avere notizie, ma qui le cose vanno a rilento. E dire che a Danilo basterebbero cinque minuti. Che faccio? Ci provo? Non vorrei, ma sono costretto. Gli scrivo una mail, secca ma non troppo, che si capisca che ho fretta, e solo per questo gli chiedo il favore, e perché sa fare bene il suo mestiere, anche se lui non ha idea di quanto mi pesi chiederglielo.

Non mi sbagliavo. La risposta arriva dopo appena mezz’ora. Mi chiede come sto. Come dovrei  stare, stronzo? Sto di merda. Mi dice allegramente che le ferie l’hanno rimesso al mondo, che si sente come nuovo. Beato lui. Poi chiude augurandosi di essermi stato utile e di contattarlo senza problemi ogni volta che ne abbia bisogno. Che generosa concessione!

Pare che il Borghetti avesse un’assicurazione sulla vita. Mi sarei stupito del contrario, dal momento che ormai ce l’hanno cani e porci. Ma la notizia più interessante è un prelievo in contanti di trentamila euro, due giorni prima di morire. Cosa diavolo ne ha fatto? Li ha spesi? Ce li aveva in casa?

Devo tornare alla villa.

 

-       Signora Borghetti, mi perdoni se la disturbo ancora.

La signora si passa una mano elegante sulla fronte, si riavvia la chioma bruna e fluente e mi prega di sedermi. Poi solleva il suo sguardo da timida cerbiatta su di me.

-       Mi dica, Ispettore.

-       Lei è al corrente che il suo defunto marito aveva ritirato trentamila euro da un suo conto, poco prima della tragedia?

-       No, non lo sapevo. - risponde stupita, guardando verso un quadro appeso sulla parete di destra.

-       Magari sono in casa.

-       Controllerò.

-       Avrei bisogno che controllasse immediatamente. - le dico, guardando anch’io il quadro.

Sono certo che là dietro c’è la cassaforte, anche se non l’ho vista durante la perquisizione.

Capisco la sua riluttanza.

-       Senza quest’informazione non posso proseguire l’indagine. Dobbiamo fare in fretta.

La signora infine si decide. Sposta il quadro, armeggia con la combinazione, apre la cassaforte.

Sposta un paio di scatole e qualche fascio di fogli, poi rimette tutto a posto com’era e si volta verso di me.

-       Qui non ci sono.

La signora Borghetti richiude la cassaforte e torna a sedersi.

-       Crede che li abbiano rubati? È per questo che è stato ucciso mio marito? Per trentamila euro?

Vorrei dirle che c’è gente ammazzata per pochi spiccioli, ma mi blocco in tempo.

-       Cosa avrebbe potuto farne suo marito? Perché gli servivano?

-       Non lo so.

-       Era solito tenere tanto contante in casa?

-       No, assolutamente.

-       E non ha proprio idea del loro possibile utilizzo?

-       No, gliel’ho già detto.

-       Va bene, signora. Se dovesse tornarle in mente qualcosa, mi chiami.

-       Non ne dubiti.

 

      Cosa diavolo ci si fa con trentamila euro? Io ci comprerei una moto, ma Borghetti perché li ha ritirati? Un ricatto? Un debito di gioco? Ipotesi del genere non sembrano concordare con il suo profilo. Un santo non gioca, né viene ricattato. Beneficenza? Un prestito ad un amico che si trovava in difficoltà?

Ricomincio la girandola tra colleghi, amici e parenti. Di questi soldi nessuno sa niente. E io torno da capo.

Intanto la fase B è iniziata. Ricerca del sicario. Due distinti appostamenti per beccare Ferruccio Passalacqua e Corrado Casucci, detto il Mancino, due balordi che hanno cominciato la carriera con piccoli furti, per passare poi alle rapine e ultimamente saliti di categoria: si fanno chiamare killer. Purtroppo non abbiamo niente per sbatterli dentro, ma farsi un giretto al Commissariato scommetto che li metterà un po’ sul chi vive.

Il primo ospite è Corrado Casucci. Una faccia da squalo, butterata dall’acne, occhi da pesce morto e labbra taglienti. Anche se non ha nessuna voglia di parlare, riesco a convincerlo. La richiesta di un avvocato risulta tanto scontata quanto inutile. Ho solo bisogno d’informazioni, non ce l’ho con lui. Quando lo capisce - ma ci è voluta molta pazienza - finalmente si rilassa.

-       Non ne so niente, ma c’è una voce che circola.

-       E sarebbe?

-       Dicono che il lavoro l’abbia fatto una troia di Barcellona.

Cazzo, questa non ci voleva. Non mi va proprio di dover allargare le indagini a livello internazionale.

-       Non sai altro?

-       No. A quest’ora sarà a godersi i soldi a Tossa de Mar.

-       Perché proprio Tossa de Mar?

-       Beh, è un bel posto. Io ci andrei.

-       Sai quanti sono questi soldi che deve spendersi là?

-       No, e neanche voglio saperlo.

-       Se ti viene in mente qualcosa, o senti altre voci in proposito, fammi una telefonata.

-       Ci può contare. - mi dice, con la stessa espressione che assumerebbe per dirmi “Col cazzo!”

 

Quando arriva Ferruccio Passalacqua, quasi mi stupisco. Sembra un modello, alto, magro, bello, elegante, col portamento un po’ trasversale che assumono quando sfilano in passerella.

Lui ci tiene molto a mantenere intatti i suoi connotati, quindi mi risponde subito e volentieri.

-       È stata una donna.

-       Che mi sai dire di lei?

-       So soltanto che è venuta in trasferta, dalla Sicilia.

-       Dalla Sicilia?

-       Esatto.

-       Sei sicuro?

-       Sicurissimo.

-       L’hai vista? Ci hai parlato?

-       L’ho vista di sfuggita. Si era fermata alla Pensione Elena, vicino a casa mia. Ci siamo incontrati per caso e mi ha chiesto come arrivare a Via della Magnolia. La mattina dopo l’ho vista uscire con la valigia e poi ho letto sul giornale di quel Borghetti. Però non c’era scritto che si trattava di omicidio. Dopo ho ricollegato.

-       Cosa ti rende tanto sicuro che l’abbia ucciso lei?

-       Aveva la faccia giusta.

-       Cioè?

Ferruccio guarda verso il soffitto, con l’aria di cercare le parole adatte per descrivere la sua sensazione.

-       Aveva una parrucca bionda e portava degli enormi occhiali da sole, come una che non vuol farsi riconoscere. Parlava a voce bassa, senza fare gesti, stava un po’ rigida, insomma. Ed è filata subito via, quando le ho detto da che parte andare, come temendo che se fosse rimasta di più, io poi me la sarei ricordata.

-       Come fai a dire che aveva la parrucca?

-       So riconoscere una parrucca, soprattutto una da pochi soldi.

-       E come fai a dire che veniva dalla Sicilia?

-       Ho riconosciuto l’accento.

-       Ricordi altro?

-       No, non credo.

 

Prossima tappa Pensione Elena, non troppo distante dal Quartiere degli Alberi. Roberto Scavini mi accoglie con un ringhio, quando gli mostro il tesserino, manco fossi della Finanza.

-       Solo qualche domanda a proposito di una sua ospite.

-       Ah, va bene. - mi concede, rilassandosi visibilmente.

So che hai qualcosa da nascondere, ma in questo momento ho altro da fare.

Scavini mi ascolta con attenzione, poi si muove senza esitare. Apre il registro sotto i miei occhi. Grazia Campo, patente, un indirizzo di Messina. Scavini mi porge la fotocopia del documento.

-       Vuole una copia?

-       Mi farebbe una cortesia.

Scavini sorride.

-       Era strana, quella donna. Aveva un’espressione dura, tirata, come di una persona incazzata con il mondo intero.

-       Ricorda la voce?

-       Bassa. Sembrava che facesse fatica a parlare.

-       E si è fermata solo per una notte, vero?

-       Sì, guardi, è scritto qui.

-       Bene. Non è che ha dimenticato qualcosa in camera?

-       No, niente.

-       Ci ha dormito qualcun altro da allora?

-       No, perché?

-       Purtroppo dobbiamo disturbarla. La scientifica deve raccogliere ogni traccia possibile di questa signora.

-       Ma sono state fatte le pulizie.

-       Lo so, ma qualche traccia resta sempre.

 

Qualcosa verrà fuori. Con il DNA trovato in casa Borghetti Casera si potrà confrontare quelli ritrovati alla Pensione Elena. Un lavoro lungo e tedioso. Tediosa soprattutto la mia attesa dei risultati. Se mi va bene ci vorrà un mese. Naturalmente l’indirizzo della killer era falso. Ho diramato la foto segnaletica e fatto avviare le ricerche in tutta la Sicilia, ma non ho molte speranze. Sono a un punto morto.

Sarulli si aggira per l’ufficio, mentre io rifletto. O tento di farlo.

-       Sarulli, siediti o vatti a prendere un caffè.

-       Mi scusi, sto pensando. Quando penso devo camminare.

-       Certo, per attivare il cervello ci vuole forza motrice...

-       Eh?

-       Niente, Sarulli, mi distrai.

Ho un campanello d’allarme che mi risuona nella testa, ma non riesco ad afferrarne il senso. C’è qualcosa che mi disturba, qualcosa che non quadra, ma non riesce ad affiorare.

-       Ispettore...

-       Dimmi, Sarulli.

-       Si ricorda i vestiti?

-       Quali vestiti?

-       Quelli di Borghetti, piegati ordinatamente sulla poltroncina.

Un lampo di luce.

-       Ecco cos’era! Genio! Sei un genio.

-       Mi prende in giro.

-       No, Sarulli, dico sul serio. Era proprio questo che mi disturbava, in tutta questa storia.

-       Anche a me.

-       Ti pare possibile che questa Grazia Campo abbia detto al Borghetti, sotto la minaccia di un’arma - Si spogli - e poi abbia aspettato, con tutta calma, che la vittima designata ripiegasse con cura i suoi abiti?

-       A me pare proprio una stronzata. Scusi il francesismo.

-       Anche a me pare quel francesismo lì.

-       Però c’è un’altra possibilità.

-       Cioè?

-       Che fosse davvero un incontro combinato di quel tipo, sadomaso, voglio dire, e che Grazia Campo abbia sostituito la donna che avrebbe dovuto presentarsi. Fino a quando il Borghetti non si è ritrovato alla sua mercé, si è comportata normalmente. Non ha nemmeno avuto bisogno di un’arma. Soltanto di uno stringinaso.

-       Non è da escludere. Devo riflettere, Sarulli. Tu vattene a casa.

-       Ha intenzione di restare qui tutta la notte?

-       Ancora non lo so.

-       Le porto un panino e un caffè e poi me ne vado.

-       Grazie, Sarulli.

In fondo devo ricredermi. Non è così imbranato come sembra. Di cervello è un po’ lento, ma quando prende l’avvio sa ragionare. Insomma non è un velocista, è un passista, e può arrivare lontano.

Riprendo in mano l’intero incartamento. Comincio a sfogliare tutta la documentazione dall’inizio, partendo dal referto medico, a cui ho dato soltanto una scorsa veloce.

Rientra Sarulli proprio mentre mi sfugge: - Cazzo!

Lui si blocca all’istante.

-       Cos’ha trovato?

Gli indico la cartella che ho sotto gli occhi, ripetendo: - Cazzo, cazzo, cazzo!

Sarulli si avvicina e legge anche lui.

-       Ma come? Sarebbe morto lo stesso? Aveva due mesi di vita?

-       Come ha fatto a sfuggirmi? Sono proprio un idiota!

-       Beh, ma cosa cambia?

-       Questo cambia tutto, Sarulli, non lo vedi? Ecco a cosa gli sono serviti i trentamila euro. È stato lui stesso ad ingaggiare il killer, per far intascare l’assicurazione alla moglie. Hai letto i massimali?

-       No.

-       Sono qui, sulla mail di Danilo.

Sarulli legge e poi emette un sonoro fischio.

-       C’è una bella differenza, in effetti. Così la sua famiglia è a posto per tutta la vita. Cosa sono due mesi, rispetto a una cifra del genere? Probabilmente per due milioni mi farei ammazzare anch’io.

-       Comunque questo non cambia il fatto che dobbiamo trovare Grazia Campo, o come diavolo si chiama.

 

Peccato che sia andata così. Due mesi di vita buttati. Questa storia uscirà fuori al processo, e l’assicurazione si rifiuterà di pagare per l’omicidio. Comunque, anche cinquecentomila non sono fagiolini. Aggiunti al patrimonio attualmente disponibile, la famiglia Borghetti Casera potrà dormire sonni tranquilli.

Mentre bevo il caffè ormai freddo, suona il cellulare.

Stento a crederci. Danilo?

-       C’è un momento di stanca in agenzia. Se posso esserti utile nel caso che stai seguendo, non farti scrupoli. Abusa di me.

Danilo ride.

Abuserei volentieri di te, ma in un modo che forse non ti aspetti.

-       Non credo che tu possa trovare con i tuoi mezzi una ricercata che probabilmente si aggira per la Sicilia.

-       Non è detto. Tu mandami tutto quello che hai su di lei. Ci provo.

-       Va bene, ma domani. Adesso è tardi. Non vai a casa?

-       Potrei dire lo stesso a te. Sei ancora al Commissariato, vero?

-       Sì, ma sto per uscire.

Se gli chiedo di venire a cena con me? No, vaffanculo. È lui che me lo deve chiedere.

-       Mauro, come stai? Ti sento una voce strana. Sei stanco?

-       No, ma è stata una giornata lunga.

-       Riposati. Ci sentiamo.

-       Sì, ci sentiamo.

Vedersi no, eh? Troppo pericoloso. Hai ragione, potrei saltarti addosso e finalmente abusare veramente di te.

Cazzo, ma come faccio a scordarmelo, se mi torna sempre tra i piedi? Il fatto che l’abbia ricontattato io per la storia dei conti bancari di Borghetti, in questo momento non mi sembra  rilevante. D’accordo, devo ammetterlo. Sono un po’ stronzo anch’io.

 

Un paio di giorni buttati via. La vedova Borghetti in lacrime, quando l’abbiamo informata dei risultati dell’autopsia. L’incredulità nei suoi occhi. Non riesco a darle torto. Ma possibile che la scelta di andarsene in quel modo sia stata davvero di Borghetti? Un santo che si fa trovare morto in quel modo... Ci vuole coraggio. Doveva proprio essere sicuro che non saremmo arrivati a scoprire la verità. Cosa gli dava quella sicurezza? Non ha pensato a come si sarebbe sentita la moglie, venendo a sapere che se la spassava così, in sua assenza? Un rapporto extraconiugale è già difficile da digerire, ma pure sadomaso! E che cazzo! Un vero sadico, senza alcun rispetto per i sentimenti della moglie, altro che santo. Non mi convince. Non riesco proprio a capire.

Dalle mie lugubri considerazioni mi salva Danilo.

-       Non crederai a quello che ho scoperto.

-       Mettimi alla prova.

-       Ho controllato le liste passeggeri degli aerei che sono atterrati quel giorno negli aeroporti siciliani. Non c’era nessuna Grazia Campo. Però non mi sono arreso, così alla fine ne ho trovata una su un volo per Olbia.

-       Farò diramare immediatamente un ordine di ricerche in zona.

-       È inutile. Da lì ha noleggiato un’auto e indovina dov’è andata?

Comincia a tremarmi una palpebra. È un tic nervoso che mi prende quando sento che sto per ricevere una pessima notizia.

-       Dimmelo tu.

-       Porto Cervo. Lì ha lasciato la macchina. E sai cosa c’è a Porto Cervo?

-       Danilo, mi sto incazzando. Dimmelo e basta.

-       Ma dai, Porto Cervo. Non ti dice niente?

Improvvisamente, me lo ricordo.

-       È dove hanno la villa i Borghetti.

-       Esatto.

-       Non è possibile! Ma come cazzo hai fatto?

-       Come al solito, con una buona dose di culo.

No, questa è classe. Vorrei avere un collaboratore come te, in questo merdoso Commissariato.

-       Questo significa che all’eutanasia ci ha pensato la moglie. E i soldi dove sono finiti?

-       Per il momento non lo so, ma sto ancora cercando.

-       Grazie, Danilo. Sei impagabile.

-       Non c’è di che. Mi tengo in allenamento, dal momento che qui in agenzia c’è calma piatta. Se scopro ancora qualcosa ti chiamo subito.

-       Grazie.

 

Devo farlo. Devo chiedere l’autorizzazione per una perquisizione nella villa dei Borghetti a Porto Cervo. E voglio essere presente. Quello che proprio non capisco è perché si sia fermata in una Pensione, quando poteva benissimo andare a casa sua. E se il piano fosse scaturito da lei? Se il marito non ne sapesse niente? E i trentamila come ce li faccio entrare?

Sarulli non è molto felice della svolta che hanno preso le indagini. E del resto neanch’io. Ma anche se questa storia mi piace sempre meno, evidentemente non posso insabbiare le prove, nonostante la signora Stefania mi faccia pena. Penso ai suoi tre figli che si ritroveranno di botto orfani di padre e con la madre in galera. Ma non posso farci niente.

 

L’ispettore Gavino Sanna mi viene a prendere all’aeroporto di Olbia. In poco più di mezz’ora siamo a Porto Cervo. In Via Cala Romantica, pini, palme e mirti nascondono una bella villa a cento metri dal mare.  Di fianco si distendono due piscine, una più grande, a forma di cuore e una più piccola, rotonda e meno profonda. Mi aggiro per le stanze cercando d’immaginare la vita che fanno i ricchi, senza riuscirci troppo bene. Alla fine mi dico che io mi romperei le palle, senza un cazzo da fare tutto il giorno. Sarà per questo che non sono nato ricco e che non ho mai avuto l’ambizione di diventarlo.

Abbiamo convocato i collaboratori domestici di casa Borghetti. Sono tre, due sorelle e un fratello di Mores, tutti sardi. Per una volta, personale locale. Li faccio entrare uno alla volta nel tinello, che ha un’intera parete a vetri rivolta verso le piscine e il mare.

-       Signora Zedda, si ricorda esattamente quando è partita la signora Borghetti?

-       Quando ha chiamato la polizia per dire che il signor Natale era morto.

-       No, intendo la prima volta, prima che il marito morisse.

-       La signora Stefania è arrivata con i figli ai primi di giugno, il 4 mi sembra, e poi il 2 di agosto è arrivato il signor Natale, che è ripartito il 2 di settembre. La signora è partita con i bambini il giorno dopo che ha telefonato la polizia.

-       E durante tutto questo tempo non si è mai allontanata da qui?

-       No, mai. Stava sempre con i bambini.

-       La ringrazio. Può uscire dalla porta principale.

Chiamo il fratello, che aspetta in soggiorno. Non voglio che si parlino. Non devono guardarsi nemmeno.

-       Signor Zedda, quando è entrato al servizio dei Borghetti?

-       Sono cinque anni. Ho lavorato qui tutte le estati.

-       Come si comportavano, di solito?

-       Sono persone gentili, squisite. Ci hanno sempre trattato benissimo, altrimenti non sarei tornato. C’è un sacco di lavoro qui. Comunque pagano bene.

-       Si ricorda quando sono arrivati?

-       Quest’anno hanno tardato un po’. La signora ha accompagnato i figli il 4 giugno, perché il grande ha iniziato ad andare a scuola. I gemelli iniziano il prossimo anno.

-       Il marito li ha raggiunti dopo?

-       Sì, lui viene sempre in agosto. Si ferma per tutto il mese.

-       E si ricorda quando è partita la signora Stefania, da sola?

-       Da sola? Da sola mai. Viaggia sempre con i figli.

-       Quando è ripartita la signora?

-       Era l’8 settembre.

-       È proprio certo che non si sia mai allontanata, neppure per un giorno?

-       Sono sicuro.

Faccio uscire anche lui. Mi resta l’ultima.

-       Quando ha saputo della morte del signor Borghetti?

-       Il 7 settembre. Ero in questa stanza con la signora Stefania, quando hanno telefonato. All’inizio non ho capito niente. La signora piangeva e non riusciva a calmarsi. Poi, quando me l’ha detto, sono rimasta sconvolta. Era così giovane, così una brava persona. Non c’è giustizia a questo mondo.

-       La signora era appena rientrata dal suo piccolo viaggio, vero?

-       Quale viaggio?

-       Non era partita per un giorno?

-       No, è sempre stata qui. Da giugno a settembre, come tutti gli anni.

-       È proprio sicura?

-       Certo.

Tutti disinvolti. Date, affermazioni, nessuna esitazione, nessuno sguardo rivolto al cielo in cerca dei ricordi. Si sono messi d’accordo. Hanno stabilito le risposte in anticipo. Mi serve una consulenza veloce.

-       Danilo, ho bisogno che mi controlli una cosa.

-       Dimmi tutto.

-       Puoi dare un’occhiata ai conti di... aspetta, ho un biglietto da qualche parte. Eccolo. Enrico, Elisabetta e Marisa Zedda. Abitano a Mores. Ti basta?

-       Hai le date di nascita?

-       Me le procuro e te le mando. Grazie, Danilo.

-       Non c’è di che.

 

Intanto la perquisizione non ci fornisce nessun chiarimento. Non ci sono prove. La foto camuffata della Campo è al vaglio di uno specialista, che non si è ancora degnato di fornirmi l’esito del suo lavoro. Se a fare la foto è stato uno in gamba, l’avrà trasformata con un programma di fotoritocco. A me basterebbe avere la conferma di questo. Ma continuo a non capire come possano essersi svolti i fatti. Anche il nostro specialista sta cercando qualche appiglio, ma la documentazione finora raccolta non ci serve a niente.

Danilo non ha trovato conti intestati ai fratelli Zedda. Evidentemente si può vivere anche senza aprire un conto in banca, soprattutto se non si hanno soldi da versarci.

Mentre Gavino mi riaccompagna ad Olbia, dopo altri due giorni buttati, facciamo insieme il punto della situazione. Gavino non è d’accordo con me quando uso la parola eutanasia.

-       Io non la chiamerei proprio eutanasia, ma insomma. Da queste parti c’erano donne, una volta, che venivano mandate a chiamare quando un povero disgraziato era in fin di vita, ma proprio non si decideva a morire. Era la sofferenza di quella condizione a spingere la gente a chiamare l’accabadora.

-       E che faceva quest’accabadora?

-       Gli dava il colpo di grazia. Però non si sa bene come funzionava. La signora della morte faceva uscire tutti dalla stanza, e dopo, quando usciva lei, il poveretto aveva reso l’anima a Dio.

-       Hai ragione, non si può chiamare eutanasia. Natale Borghetti, secondo il referto medico-legale, aveva ancora due mesi di vita.

-       E la moglie sostiene che era all’oscuro della malattia del marito?

-       Già.

-       È possibile? Hai parlato col medico legale?

-       Non ancora.

-       Devi chiederglielo.

-       Mi sono ripromesso di farlo quanto prima.

-       A mio modesto parere, la signora Borghetti non è un’accabadora, è un’assassina.

-       Credo di essere d’accordo con te.

-       Ecco. Siamo arrivati. Se torni da queste parti a farti una vacanza, fatti vivo. Mi farebbe piacere.

Beh, farebbe piacere anche a me. Sento che potremmo diventare amici. E forse, se non ho capito male, persino qualcosa di più. Mi torna subito in mente Danilo. È diventata un’ossessione. Oppure è qualcos’altro? Danilo è un punto interrogativo, ma l’amore non ha fretta. Suona bene. Amore. Peccato che non sia mai riuscito a trovarlo. Con pensieri del genere mi potrei giocare la carriera. Devo aver preso un colpo di sole. Dormo per tutta la durata del volo. Anche la stanchezza fa brutti scherzi.

 

Il rientro in sede mi regala finalmente qualche soddisfazione. La foto del documento falso è stata ritoccata. Non si può escludere che il fotoritocco abbia avuto origine da una foto della signora Borghetti. Il medico legale sostiene che la vittima, in quella fase della malattia, soffriva sicuramente di forti emicranie, che dovevano rendergli la vita difficile. Impossibile, secondo il suo parere, che la moglie non se ne fosse accorta.

I trentamila euro restano sempre un mistero, così come la testimonianza dei fratelli Zedda, che, ad ogni buon conto, Gavino ha deciso di tenere sotto sorveglianza.

Danilo mi chiama per sapere se ci sono novità, dopo la trasferta in Sardegna. Valuto la possibilità di mandarlo a fanculo una volta per tutte, così da togliermelo definitivamente dalla testa e dal cuore. Poi propendo per fornirgli l’ultima possibilità.

Il mio resoconto è succinto ed essenziale. Danilo commenta.

-       Mi sembra di aver capito che sospetti gli Zedda di complicità. Se la signora è partita per fare quel lavoretto al marito, i trentamila potrebbero essere serviti per tappargli la bocca. Sarebbe utile sapere se hanno quei soldi. Peccato che se li tengano sotto al materasso. Anche la storia del pernottamento in Pensione è strana. Potrebbe trattarsi di un semplice depistaggio. Voleva che si credesse che ad ammazzarlo fosse stata un’altra, ovviamente, e può aver messo in scena tutto quel teatrino per questo.

-       Anche Sarulli parla di teatrino, sin dall’inizio delle indagini. Una cortina fumogena per depistarci, certo. Ma non c’è una prova che sia una. La Borghetti ha viaggiato con documenti falsi. Nella villa non è stato trovato niente, nemmeno quella parrucca di cui parlava Ferruccio Passalacqua. I trentamila non si sa che fine abbiano fatto. Il giorno dell’omicidio nessuno ha visto niente. Tutti gli interrogati si sono limitati a descrivere la vittima come un santo e non un solo pettegolezzo ha sporcato la linda reputazione della moglie. Non so a che cosa afferrarmi.

-       Io avrei un’idea, forse è stupida, ma potrebbe funzionare.

-       Quale sarebbe?

-       C’è una probabilità su un milione, ma chissà.

-       Allora?

Comincio ad essere molto nervoso.

-       Mettiamo che la Borghetti non abbia buttato via la parrucca. Nella villa di Porto Cervo non è stata trovata. La perquisizione qui è stata effettuata prima che lei rientrasse. Supponiamo che se la sia portata dietro e che ora sia in casa sua. Chiedile a bruciapelo se possiede una parrucca bionda e poi apposta qualcuno che frughi nella sua spazzatura.

-       Danilo, ma sei fuori? Della parrucca si sarà disfatta come prima cosa, appena restituita l’auto al noleggio. Non poteva permettersi che qualcuno la vedesse per le vie di Porto Cervo conciata in quel modo.

-       Le borse delle donne sono molto capienti.

Col culo che si ritrova, il trucco potrebbe anche funzionare.

-       E va bene, voglio seguirti. Se funziona, ti pago una cena.

Non è esattamente quello che avrei voluto dire, ma ormai l’ho detto.

-       Non è necessario. È soltanto una stupida idea.

Ha già rifiutato, lo stronzo. Mai più. Ho deciso. Gli tolgo il saluto.

 

La spazzatura di casa Borghetti mi ha davvero fatto risolvere il caso. Sarulli è incredibilmente sorpreso di trovarsi tra i guanti la parrucca bionda. Se la rigira come studiasse un animale orrendo e sconosciuto.

-       È solo una parrucca, Sarulli.

-       Ma è quella che la incastra definitivamente.

-       Credo proprio di sì. Adesso portiamo la signora Stefania in Commissariato. Mi raccomando, se ci sono i bambini in giro, non dire niente. Non c’è bisogno che l’ammanettiamo.

-       Comandi.

Appena giunta in sede, la signora Stefania Borghetti Casera ha già chiamato i suoi legali e richiesto al notaio di farle pervenire il “plico”. Sono molto curioso di scoprire di che si tratta.

Nel frattempo, si rifiuta di rispondere. Ha detto che prima di tutto vuole che leggiamo questo misterioso plico.

Il plico è una dichiarazione firmata ed autenticata dal notaio, in cui Natale Borghetti Casera confessa di essere malato terminale e di aver chiesto alla legittima consorte di aiutarlo ad uscire di scena. L’intero piano è stato da lui progettato fin nei minimi dettagli. E poi ci sono altre dieci righe di tentativi di scagionare la moglie da ogni responsabilità. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli che ciò non è possibile. La legge è uguale per tutti. Per la legge questo è un omicidio.

Stefania Borghetti risponde alle mie domande in modo sicuro e per nulla reticente. Soltanto ad una di esse rimane stupita. Sostiene ancora di non sapere niente dei trentamila euro.

-       Signora Borghetti, i fratelli Zedda saranno accusati di complicità in omicidio. Diecimila euro a testa mi sembra davvero poco, per ricompensare gli anni di galera che dovranno scontare.

-       Loro non c’entrano niente. Il giorno in cui sono partita li avevo messi in libertà ed avevo assunto una bambinaia volante. Quando sono andati via ero ancora in casa e quando sono tornati ero già rientrata. Non si sono accorti della mia assenza.

-       Può dirmi il nome della bambinaia?

-       Si chiama Teresa. Era una ragazza sveglia, in vacanza anche lei a Porto Cervo. Ci sapeva fare con i bambini e a loro stava simpatica. Per questo mi sono fidata a lasciarli con lei.

-       Il cognome e l’indirizzo?

-       Non lo so. Credo che non me l’abbia mai detto. Non ricordo.

Se questa sarà la sua versione e i domestici la confermeranno, potrebbero anche essere scagionati. Ma lei no. Il plico non può difenderla.

L’accabadora verrà condannata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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