La foto Figaro qua, Figaro là Figaro qua, Figaro là
Figaro su, Figaro giù
Figaro su, Figaro giù… Purtroppo ho frequentato assiduamente un nonno
che dell’Opera aveva fatto la sua ragione di vita. Questo mi ha… traviato. Pedinare i Bersagli non è di mia
competenza, ma il mio collega Giulio Sorrentini,
alias Osram, si è ammalato. Lo chiamo Osram perché è come una lampadina a risparmio energetico,
ci mette un certo tempo ad illuminarsi quel tanto da far luce, e tuttavia non
ne fa mai abbastanza. Io mi occupo della documentazione, ma se
capita non sono contrario ad un po’ di movimento. Quando ho iniziato a fare questo mestiere
è stato quasi per sbaglio. In realtà, cercavo soltanto un lavoro d’ufficio,
perché sapevo usare bene il computer. Non ho mai detto quanto, però col tempo
i miei capi lo hanno capito ed apprezzato. L’agenzia Pink Panther
Investigazioni, mi ha tenuto ben stretto; uno come me è un tesoro da
custodire. Hanno continuato ad aumentarmi lo stipendio per timore che
passassi alla concorrenza. Io non lo avrei mai fatto, ma i titolari non lo
sapevano. Un po’ di cinismo ed una certa dose di sarcasmo li ho appresi da
loro. Prima mi ritenevo un bravo bambino. Sin dall’inizio, questo contratto mi ha
dato da riflettere. Come se fossimo nel medioevo, il signor Lamberini ha richiesto espressamente ed esclusivamente il
servizio fotografico. Niente intercettazioni ambientali, niente telecamere nascoste,
niente cimici, niente di niente. È convinto che la moglie abbia un amante, ma
ne vuole unicamente una prova fotografica. In realtà non vuole che
c’impicciamo degli affari suoi. Questa storia mi puzza. Oggi Nadia Mancini, la sua mogliettina,
si è data da fare. Pellegrinaggio ai negozi di lusso (di quello sfrenato) e
parrucchiere. Ci ho fatto il muschio qua fuori. Ma possibile che a rendere
perfetta la perfezione ci si metta tanto? Aspetta un attimo, aspetta. Chiamo Osram al cellulare. - Ciao, sono Danilo. Come stai? - Come ieri. Quest’influenza mi sta
uccidendo. - Mi dispiace. Senti, Nadia Mancini è
stata dal parrucchiere molto spesso? - Nelle ultime due settimane, un giorno
sì e uno no. Perché? - E quanto ci sta di solito? - Tre ore, ci sta, che poi lì non c’è un
cazzo di bar dove infilarsi. È una gran rottura di palle. - Non ti sembra strano? - No, perché? - Mia sorella dal parrucchiere ci andava
ogni dieci giorni. E mia madre diceva che era esagerata. - Dici che ci va per qualcos’altro? - Vado a dare un’occhiata. - Ecco, bravo, così almeno ti siedi. - Guarisci in fretta, Giulio, che mi
manchi. Non so vivere senza di te. - Vaffanculo. - Vado. Coiffeur Antoine Uomo Donna. Entro
anch’io. La ragazza con i capelli viola che mi accoglie, mi dice che devo
aspettare venti minuti. Ci sto. Tra le clienti non c’è traccia di Nadia. Mi
siedo sul divanetto che guarda verso il retro. Sul corridoio che ho di fianco
ci sono varie porte. Ogni tanto una delle ragazze entra ed esce da una di quelle
stanze. Ci tengono carrelli, asciugamani, mantelline. Ad un tratto una porta
si apre. Li vedo. Si salutano sulla porta con un lunghissimo bacio, senza
neppure badare a chi possa guardarli. Si staccano e si parlano ancora. Mi
studio Antoine a sufficienza, poi mi alzo. All’ingresso dico che mi sono
ricordato di un impegno. Tornerò. Ti ho beccato! Ti ho beccato! Adesso
fotografarti è l’ultimo lavoretto che mi è rimasto, caro Antoine. Diciamo
pure che ho avuto una botta di culo. Neanche appostarmi davanti ad un portone,
in attesa di sorprendere il Bersaglio mentre esce da casa dell’amante, è di
mia competenza, ma Osram è ancora fuori
combattimento, e poi io l’ho visto e lui no. Oggi però è giovedì, il giorno
in cui il cliente è impegnato fino a notte fonda, il giorno in cui, a suo
dire, la mogliettina si prende un po’ di libertà. Per questo sono qui, per
risparmiare una settimana. Sennò questa storia rischia di durare
all’infinito. Prima gli forniamo una prova visiva, prima ce lo leviamo dalle
scatole. È strano. Sono le 3:00 e del parrucchiere
non si è vista l’ombra. Sono qui da tre ore. Non vorrei essere arrivato
troppo tardi. Sopraggiunge un’auto. Vedo i fari che si
avvicinano e il veicolo che si accosta al marciapiede. Sono due uomini. Si
baciano nell’abitacolo buio, ma io li vedo benissimo, attraverso l’obiettivo
della reflex. Scatto una foto. Perché lo sto facendo? Noia. Solo per noia. Il
passeggero scende. Click click. L’auto riparte. Il
tizio sta aprendo il portone.. Click click.
Dall’andatura non eccessivamente lineare mi sembra un po’ ubriaco. Basta. Sono le 4:00. Dal portone non è
uscito nessuno e anche il cliente tarda a rientrare. Me ne torno a casa. Non mi fa bene lavorare di notte. Adesso
non riesco a dormire. Vado al computer per scaricare le tre stupide foto che
ho scattato. Questa è bella, il tizio ubriaco
assomiglia al nostro cliente. Ingrandisco. No, non gli assomiglia. È lui,
accidenti. È proprio lui. Il signor Perfettino
che vuole le prove che la moglie lo tradisca, mentre lui fa quel cazzo che
vuole. Magnifico esemplare di stronzo. Pomeriggio. Mi sento uno zombi, ma sono
venuto in ufficio per parlare di questa storia con Armando Fiorini, alias Toroseduto. È uno dei soci, ex-poliziotto, mentre l’altro
è Paolo Carraro, ex-guardia giurata, che io chiamo il Tovaglia. Entro nella stanza di Toroseduto
senza bussare allo stipite della porta aperta. In silenzio appoggio gli
ingrandimenti sull’unico rettangolo sgombro della sua immensa scrivania,
invasa di strumenti altamente tecnologici. Lui li afferra, li guarda, li valuta. Si
mette gli occhiali e ripete da capo l’intera manovra. Poi solleva gli occhi
grigi su di me con un punto interrogativo stampato in mezzo alle
sopracciglia. - Che diavolo significa? - Lo riconosci? - Certo, è Lamberini,
il cliente che vuole incastrare la moglie. - Indovinato. Quelle le ho fatte stanotte
alle 3:00. - So leggere. Ce l’hai stampato sopra. Ma
che ci dovrei fare con ‘sta roba? - Fa’ tu. Io te le ho date. Cosa vuoi
farne sono affari tuoi. - Io ti ci ho mandato per fotografare
l’amante, non il cliente. - L’amante della moglie non si è visto.
In compenso si è visto il suo, che l’ha accompagnato fin sotto casa. - Facciamo finta che non abbiamo visto
niente. Andiamo avanti per la nostra strada. Sei entrato nella sua posta
elettronica? - Mi avevi detto di entrare in quella
della signora, non nella sua. - Infatti, era a quella della moglie che
mi riferivo. - Vabbè, non
sei stato molto chiaro, stavamo parlando di lui. - Di lui, di lei, chi se ne fotte. Ci sei
entrato o no? - Sì, certo. - E allora? Tiro fuori un foglio dalla tasca. - La sorella sta bene. Luigino, il
nipote, ha preso otto al compito in classe di matematica. La sua amica Milvia non può andare a una cena importante perché non ha
niente da mettersi, un suo amico… - … Moretti! Mi chiama per cognome, quando si incazza. - Sì? - Che cazzo me ne frega? Hai trovato
qualcosa? - Quello che ti stavo leggendo. - No, porcomondo!
Qualcosa dell’amante! E non fare finta di non capire. Quando fai così mi
verrebbe voglia di mandarti a… - … No, non ho trovato niente. Toroseduto si rilassa. Appoggia la schiena alla
poltrona, mettendo in evidenza la sua grossa pancia. - Vaffanculo. –
mi dice. Tradotto, levati dalle palle e torna a
lavorare. Devo ammettere che le mie conversazioni
con Toroseduto sono sempre fonte d’ispirazione.
Voglio proprio entrarci nella posta elettronica di Roberto Lamberini. D’accordo, Lamberini
vuole solo le foto, ma io posso permettermi di ficcare un po’ il naso negli affari
suoi. O no? Armeggio un po’. E voilà. A prima vista
sembra non ci sia molto di interessante. Aspetta. Aspetta, cos’è questo? “Non mi sembra una buona idea coinvolgere
un investigatore privato. È un rischio troppo grosso. Finisce che ci sarà
d’impaccio al momento buono. A che serve?” Risposta del Lamberini
“È un ottimo alibi.” Merda! Che cazzo hanno intenzione di
fare, ‘sti due? Sarà meglio che segua a ritroso. Innanzitutto chi è questo? Alessandro
Barbaro. Vediamo cos’altro si dicono. Niente di importante. Indietro.
Indietro. Ecco. “L’unica sarebbe levartela dalle palle.”
Così. Senza una progressione logica. Forse ne hanno parlato al telefono. Ma
di che? Un’auto che si guasta continuamente, una carie, un’assicurazione
troppo cara, ecc. ecc. Perché allora mi viene subito in mente la povera
signora Nadia Mancini? Povera, poi! È un bel pezzo di figliola, come direbbe
Paolo, che ha un debole per le bionde. Questa è pure benestante di suo. L’ho
appurato il primo giorno. Lui invece è
un broker, che fa affari con i soldi degli altri. Indietro, indietro. Siamo a gennaio. “Ci ho ripensato a lungo. Potremmo
vederci a cena, per discutere di quell’affare... ” E il Barbaro gli risponde:
“Sì, l’affare si sta già ingrossando… Vediamoci
stasera. Non ne posso più.” Carini. Ho una vaga idea di che cosa
fosse l’affare che si stava già ingrossando… Non c’è altro. Ma il vizio della
curiosità non mi è mai venuto meno, perciò armeggio un po’ per studiarmi
anche Alessandro Barbaro. Come hacker non sarò forse il massimo, ma questa è
pura routine. Eccoci. Ha un bel po’ di amici, questo
tizio. Le mail sono piene di allegati. Cristosanto!
E che allegati! Qua è meglio che entrare in un sito porno…
- Danilo! Sobbalzo come un ragazzino sorpreso con
le dita nella marmellata. - Dimmi, Paolo. - A che punto sei con Lamberini?
Vorrei dirgli che sono nel pieno di una
ricerca molto piacevole, eccitante, arrapante… Ma
so che odia queste cose, come io odio le sue camicie a grossi quadri
sgargianti, che sembrano ritagliate dalle tovaglie delle vecchie trattorie di
campagna. - Ho trovato l’amante, ma ancora niente
foto. Di lui invece ho notizie interessanti, ma non ancora confermate. Sto
approfondendo. - Di lui non ci interessa, non perdere
tempo. Il nostro compito è solo quello di beccare lei con le mani nel sacco. - Nel pacco, volevi dire. Bella immagine. Molto suggestiva. Il Tovaglia ride. - Sei sempre il solito. - Non credo che sarà facile fotografarla
in dolce e fedifraga compagnia. Ieri sera non è successo niente. E comunque la
foto di un tizio che esce da un portone non significa granché. Finora la
signora non si è mai fatta vedere in giro con lui. Giulio l’ha seguita per
due intere settimane. - Ma Lamberini
vuole quelle foto. Fatele. - E se non escono mai insieme? - A lui bastano quelle del tizio che esce
dal portone. - Comunque è inutile che parli al
plurale. Giulio si è ammalato. Ci sono solo io, qui. - Beh, allora pensaci tu! E se ne va. Trovarla con le mani nel pacco non sarà
facile. Ritorno a Lamberini
e agli allegati che gli ha inviato il Barbaro. Ah, ecco, volevo ben dire. Non
male il signor Barbaro. È proprio quello che si scambiava effusioni con il
cliente. Beh, almeno adesso ha un nome e un cognome. Quanta bella gente. E
questo chi sarebbe? Che tipo serio! Non sembra entrarci niente con questi
qua, anche perché è l’unico vestito. Camicia bianca sbottonata, da cui si
affaccia appena un capezzolo. Jeans sbottonati da cui appare un triangolo di
slip neri. Maturo ma molto sexy. Si chiama Mauro. Sarà il suo vero nome? Ravanare in mezzo a tutta questa gente non è facile.
Indietro, indietro. No, prima di gennaio non c’è niente. Concentrati, Danilo,
non sei in pausa pranzo. Mauro. Non posso farne a meno. Me lo piazzo sulla
chiavetta. Torniamo a Barbaro. Avanti avanti avanti. Qui non c’è niente. Peccato. Ritorno a Nadia.
Avanti e indietro. Qui non si cava un ragno dal buco. Tante belle
informazioni, che non mi servono a un cazzo. Si parla del Lamberini.
Mi torna in mente Mauro. Chissà se è il suo vero nome? Da quando me lo sono
piazzato sul desktop di casa, ci sogno sopra come un cretino. - Come hai fatto a pensarci? – mi chiede Osram, che è tornato al lavoro, anche se non sembra
troppo in forma. - Te l’ho detto. Troppo parrucchiere.
Doveva esserci sotto dell’altro. O sopra. - Che tipo è? - Niente di speciale. - Insomma non è il tuo tipo. - Mi stupisce che possa essere il tipo di
qualcuno. Pensavo che questa Nadia avesse gusti più raffinati. Lamberini non è male. - E quella storia delle sue foto? - Chi te l’ha detto? - Armando. Me le ha fatte vedere. - Non le terrei in archivio, se fossi in
lui. Sono fuori tema. - Le ha date a me, infatti. - Bruciale. - Vacci piano. Ho aperto un dossier
“Trasversali”. Le ho già messe insieme ad alcune altre di casi simili. Magari
ci potrebbero tornare utili in futuro. Non pensi che sarebbe giusto avvertire
la signora? - L’influenza ti ha infettato anche il
cervello? - No, è solo che mi sembra un’ingiustizia
che lui passi per una povera vittima, mentre è uno stronzo coi fiocchi. Anche questa è una bella immagine. Un po’
logora, forse, ma… - Giulio, toglitelo immediatamente dalla
testa. C’è un’etica… - … e mettiamoci pure una morale. E
allora? - Giulio, Giulio…
non è che a forza di seguirla ti sei innamorato di… - …Non dire
stronzate. - E tu non farle. Osram si innamora facilmente. Le sue cotte
durano poco, ma sono molto intense. Io, al contrario di lui, non m’innamoro
mai, ma se mi accade, sono marchiato a vita. Ho già due belle cicatrici che
vorrei poter cancellare. Ma ho giurato di non cascarci più. - Ragazzi, vi devo parlare. – annuncia Toroseduto, irrompendo nella stanza come un treno, senza
fermarsi finché il suo grosso sedere non incontra la poltrona. - Parla, capo. - Ha chiamato Lamberini:
è sicuro che giovedì il tizio andrà a trovare la moglie. Vuole le foto del
parrucchiere che entra ed esce dal suo portone. Gliele dobbiamo procurare.
Quindi, appostamento e foto. Ok? - Anche giovedì scorso eravamo convinti
che si sarebbe fatto vivo, però non si è visto. Cosa lo rende così sicuro? -
Non me l’ha voluto dire. - Dai, Giulio, rimboccati le maniche. –
gli dico. - Un’altra nottata in bianco. – sospira
lui. Toroseduto si scolla dalla nostra poltrona e prende
la rincorsa verso quella del suo ufficio. - Danilo, puoi andarci tu? Se passo
un’altra nottata all’addiaccio, mi becco una ricaduta. Lo guardo di sbieco. Odio fare gli
appostamenti. - Per favore. - E va bene. Però fai tu le stampe. - Grazie, Danilo, farò tutto quello che
vuoi. - Tutto tutto?
– gli chiedo, con un sorrisetto ironico. - Scordatelo! La sua schiena che si allontana è una
risposta piuttosto provocante. Il suo lato B è quello che preferisco. Questa volta ho voluto fare le cose per
bene. Già alle 19:30 sono nascosto tra i grossi cassonetti della
spazzatura e i due tronchi di platano,
ubicati di fronte al portone del civico 8 di via delle Pigne. Dietro di me
c’è l’alto muro di tufo che circonda un ampio parco con tanto di laghetto. Ho
visto rientrare Nadia e subito dopo
anche il marito. Sono già pronto con la reflex. Ho deciso di fotografare ogni
movimento. Alle 20:30 click click esce Roberto Lamberini, salendo su un taxi che si è appena fermato
davanti al portone. 21:30 sbadiglio. Usciti dal portone: uomo in tuta da
ginnastica con cane, donna con borsa gigante, famigliola in libera uscita,
altro cane portato al guinzaglio da donna in là con gli anni, due ragazzi in
blue-jeans e giubbotto di pelle nera. Entrati: quattro ragazzi e due ragazze
a distanza di cinque o dieci minuti l’uno dall’altro, un uomo anziano con
cappello e bastone, due donne con un bambino, un uomo elegante click click, un uomo con borsone in tenuta sportiva, uomo con
cravatta fosforescente click click, fattorino con
quattro pizze sceso da un motorino, altro uomo piuttosto anonimo. In nessuno
ho riconosciuto il parrucchiere. Altro sbadiglio. Barretta energetica di
emergenza. Tornano insieme i due cani rincorsi alla meglio da donna in là con
gli anni e uomo in tenuta ginnica. I due cani si annusano, poi il portone si
apre ed esce il fattorino senza pizze e l’uomo click click
con cravatta fosforescente. Mi sembra di essere qui da un’eternità. E
il parrucchiere che fa? Mi dà buca anche stanotte? Sono già stufo. Non sono
portato per questo mestiere. Arrivano due volanti a sirene spiegate.
Brusche frenate, stridore di pneumatici, sbattere di portiere, affollamento
davanti al portone. Salgono tutti insieme, chi per le scale, chi con
l’ascensore. Arriva un furgone. Scendono quattro poliziotti intabarrati nelle
tute di carta, con valigioni al seguito. Mi
stupisco. Qui c’è scappato il morto. In qualche modo quei due ce l’hanno
fatta. Hanno ammazzato la Mancini. Per ore aspetto che accada qualcosa, ma
non c’è più nessuno da fotografare. Arriva un furgone della polizia mortuaria
vuoto, riparte occupato. Il furgone della scientifica e le volanti se ne
vanno. Lamberini non è rientrato. Si è fatto
giorno. Me ne torno a casa. Nelle mie foto ci sono tutti i movimenti
avvenuti fuori e dentro quel portone, dalle 19:30 in poi. Stampo tutte le
foto con data e ora, in doppia copia. Qualcosa mi dice che prima o poi la
polizia verrà a cercarle. Le metto tutte in una busta formato A4 con relativo
Cd. La svolta degli eventi piace poco a Toroseduto. La sua agitazione si profila evidente dal
fatto che resta in piedi, mentre finisco di raccontare. Poi gli faccio vedere
le foto. Solo allora si siede. - Non c’è il parrucchiere, vero? - No, lui non si è visto. E non ho visto
neppure tornare Lamberini. Se l’ha ammazzata lui,
da dove diavolo è rientrato in casa? Poco dopo arriva il Tovaglia con i
giornali. - Ragazzi, hanno ammazzato Roberto Lamberini. Restiamo di sasso. - Che cosa? Ero sicuro che lui avesse
fatto fuori la Mancini. - Sbagliato. Un colpo di pistola alla
nuca, secco. E abbiamo perso il cliente. C’è un po’ di movimento in corridoio.
Poi, con mio grande stupore, sbuca lui in persona, in carne ed ossa, in
abbigliamento regolamentare, con tutti i bottoni infilati nelle asole, ma per
me chiaramente riconoscibile. - Ispettore Della Corte. – si presenta -
Avrei bisogno di farvi qualche domanda. - Venga pure, ispettore, si accomodi. –
gli dice Toroseduto. Mauro si siede davanti alla sua
scrivania. Io resto in piedi al fianco di Armando, immobilizzato come una
statua. Mauro lo fissa per qualche istante, poi
guarda me. Mi studia. Mi sento
vagamente a disagio. La barba di due giorni, gli occhi grandi,
blu, i capelli mossi, scuri, con flash d’argento sulle tempie, un volto
vissuto ma armonioso, con le rughe a sottolineare i punti giusti, e in cui le
labbra piene fanno la loro bella figura, attirando lo sguardo. Veramente non
so se dirigerlo sulle labbra o sugli occhi. È una bella lotta. Penso che è un
poliziotto. Penso che ho la sua foto sul desktop e sento un insolito brivido
scorrermi lungo la schiena. - Immagino abbiate già saputo che un
vostro cliente è stato assassinato, stanotte. Precipito dalle nuvole, impattando
violentemente sul terreno. - Ne stavamo parlando proprio adesso,
ispettore. – gli dice Toroseduto. - Tra le sue carte abbiamo ritrovato una
vostra ricevuta di pagamento. - Sì, era solo un anticipo, in realtà non
avevamo ancora concluso il contratto. - Di cosa si trattava? - Era convinto che la moglie lo tradisse
e ne voleva una prova documentale. Proprio stanotte abbiamo fatto un appostamento,
con relative foto, davanti a casa sua. - A che ora? - A che ora, Danilo? – mi chiede Toroseduto. - Dalle 19:30 fino alle 7:00. Dopo che è
andata via la polizia ci sono rimasto ancora un’ora circa. - E chi hai fotografato? Chissà perché a me da del tu. - Tutti quelli che sono entrati o usciti
dal civico 8 di Via delle Pigne. - Sei sicuro? Non ti sei mai distratto? - No, mai. È tutto documentato. - Benissimo. Mi servirebbero le copie di
quelle foto. Io esco dalla stanza, tornandoci nel giro
di un minuto. Gli metto sotto il naso la busta. - L’avevo già preparata. Oltre alle
stampe, ci sono le foto in digitale memorizzate su CD.
- Benissimo, grazie. - Io non capisco. – mi sfugge. - Che cosa? - Non so perché, ma mi ero convinto che Lamberini volesse far fuori la moglie. E invece hanno
fatto secco lui. - Da dove ti è venuta quest’idea? - Non so. Una sensazione. Un
presentimento. Non posso certo dirgli che ho frugato
nella sua posta elettronica. - Il genere di cose che non costituiscono
prova, insomma. - Esatto. Mauro mi guarda negli occhi. Non sembra
troppo convinto. Poi tira fuori dal taschino un biglietto da visita,
porgendomelo. - Chiamami, se ti viene in mente
qualcosa. - Lo farò. Guardo il biglietto. Ispettore Mauro
della Corte, con la d minuscola. Cellulare e mail. Lo faccio sparire in una
tasca. Si congeda così. Si alza dalla
poltroncina ed esce, senza neppure salutare. Neppure ciao. Neppure ci
vediamo. Neppure un semplice vaffanculo. Il mio mistero è chiuso in me. No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà… Nonno, perché mi hai fatto questo? Ho un tarlo che mi perseguita. Come
diavolo ha fatto Lamberini a rientrare in casa
senza che io lo vedessi? Sono al civico 8 di Via delle Pigne, di prima
mattina. Un tizio sta facendo le pulizie, con il portone spalancato. - Scusi, questo palazzo ha un altro
ingresso? – gli chiedo. - C’è quello dei box, sulla strada
parallela, a Via delle Sequoie. Grandioso. Sono proprio un imbecille. Il
parrucchiere può benissimo essere entrato ed uscito da lì, come pure la
Mancini e lo stesso Lamberini. Ed io fermo qui come
un pezzo di baccalà. Gran servizio fotografico ho fatto! - Le spiace se do un’occhiata? - No, entri pure. Liberali, questi custodi d’oggi. In fondo al corridoio laterale c’è una
porta aperta. Una signora anziana mi guarda dalla soglia e mi assale
chiedendomi chi sono, cosa faccio, cosa voglio, perché sono lì. Le spiego che sto facendo delle indagini.
Pensa subito che sia un poliziotto e comincia a raccontarmi vita, morte e
miracoli dell’intero condominio. - Io non dormo mai e vedo tutti quelli
che entrano ed escono, dalle finestre sopra i box. - E la notte dell’omicidio ha visto
entrare od uscire qualcuno che non aveva mai visto prima? - No, no. Nessuno sconosciuto. La ringrazio e me ne vado. - Ha parlato con mia madre? Non le dia
retta. È solo una vecchia pettegola. – mi dice il portiere. Chiamo Mauro per rivelargli la mia
scoperta di un secondo ingresso. - Grazie per l’interessamento, ma lo
sapevo già. Chi esce in macchina, lo fa dalla parallela. - Solo io non lo sapevo. - - Non te la prendere. Ti è venuto in
mente qualcosa? - Niente che di sicuro non saprete
presto, se non lo sapete già. - Senti, ti va di mangiare insieme un boccone
a pranzo, così magari ne parliamo un po’? A volte anche le notizie più banali
possono aiutare. - Come vuoi, ma sono certo che per te
sarà uno spreco di tempo. Comincio a sentirmi un idiota. Ho 140 di
Q.I., ma non si direbbe. Sarà che mi sono fatto condizionare da Osram. È stato lui a dirmi che quello era il portone. Mi
sono fidato. Se avessi investigato da me, non mi sarei limitato all’indirizzo
fornitomi dal cliente. Avrei cercato per prima cosa le planimetrie al
catasto, come faccio sempre. Ben mi sta. Così imparo a fidarmi. Domenica compio 37 anni. Lo so, non li
dimostro, ma oggi li sento tutti pesarmi addosso, uno sopra l’altro. Vorrei
tornare al mio lavoro di routine, a scrivere banali rapporti cullato dal
dolce ticchettio dei tasti. Perché questa storia del Lamberini
mi sta dando il tormento? Perché la mia mente continua a dirmi che c’è
qualcosa di enormemente sbagliato nella situazione che si è venuta a creare? Vedo arrivare Mauro. Vado in apnea. E che
c’è in quest’uomo che mi manda in pappa il cervello? Mauro mi raggiunge. Mi sorride. Quando
stira le labbra, scopre appena i denti, bianchissimi, perfetti. Per un attimo
ne sono abbagliato. Nella trattoria Da Mamma Fina, a metà
strada tra il commissariato e l’agenzia, c’è un tavolo libero. Ci sediamo.
Qui non c’è bisogno di ordinare. Ti portano quello che c’è e se non ti sta
bene te ne puoi anche andare a mangiare altrove. A loro non importa. Ma fatto
sta che è sempre affollata, all’ora di pranzo. - Da quanto lavori alla Pink Panther? Una domanda che può apparire banale, ma
che a me fa scorrere un leggero brivido lungo la schiena, come se fosse il
preludio ad altre domande a cui non posso rispondere. - Dieci anni. - Ti sarai fatto una bella esperienza. - Da noi il lavoro è distribuito. Diciamo
che ognuno ha la sua specializzazione. Per esempio, Giulio fa i pedinamenti,
Paolo si occupa di problemi nelle aziende, io di raccogliere le
documentazioni, Armando è un tecnico superspecializzato
in strumentazioni all’avanguardia... - E come raccogli le documentazioni? Eccola, è già arrivata la domanda a cui
non posso rispondere. Mauro mi fissa per qualche secondo, poi sorride. - Senti, Danilo, lo so già come voi altri
raccogliete dati e informazioni. È per questo che sono qui. Rilassati. Non ho
alcuna intenzione di farti passare dei guai. Vorrei soltanto che tu
condividessi con me le scoperte che hai fatto. Sento gli addominali rilassarsi. È così
facile cedergli? - Che cosa vuoi sapere? - Mi hai detto che non capivi. Che ti
saresti aspettato che la vittima fosse la Mancini e non il Lamberini. Perché? Cosa ti ha dato questa impressione? - Ho letto alcuni strani messaggi nella
posta elettronica del Lamberini. In uno scambio con
un certo Alessandro Barbaro, c’era qualcosa che non mi convinceva. Mauro trasale impercettibilmente. Certo,
ho nominato il Barbaro. È lui che ha mandato la foto di Mauro al Lamberini. Deve conoscerlo bene. - Cosa dicevano questi messaggi? - Te li faccio avere non appena ritorno
in agenzia. Comunque parlavano di togliersi qualcuno dalle palle. E in uno
scambio successivo Barbaro diceva che mettere di mezzo un’agenzia
investigativa era un rischio e che avrebbe potuto intralciarli. Lamberini invece gli ha risposto che sarebbe stato un
ottimo alibi. - Capisco. - Tra il Lamberini
e il Barbaro c’era una tresca. Li ho fotografati che si baciavano. Di nuovo Mauro ha un trasalimento.
Impallidisce leggermente. - Se vuoi ti mando anche la foto. - Sì, grazie. Potrebbe esserci utile. –
mi risponde, tentando di nascondere il suo evidente disagio sotto una patina
di professionalità. - A questo punto bisognerebbe cercare il
colpevole tra quelli che facevano affari con lui. Ho scoperto che aveva un
sacco di debiti. - Abbiamo appurato che la Mancini è
benestante, ma non erano in comunione di beni. - Esatto. Anche se non fosse stato
indebitato fino al collo, lei dalla morte del marito non ci avrebbe
guadagnato niente. - Ma neanche il contrario. A cosa sarebbe
servita a Lamberini la morte della moglie? - Aveva stipulato un’assicurazione sulla
sua vita. Si sarebbe intascato quella. - Però le cose sono andate in un altro
modo. - Già. Poi mi torna in mente un altro tassello. - Anche il Barbaro aveva debiti con Lamberini. - Ti dispiacerebbe mandarmi tutta la
documentazione che hai raccolto? - Ma vi basta guardare nel suo computer. - Il suo computer è stato smontato e le
schede di memoria sono state sottratte. Sono spariti anche due faldoni in cui
Lamberini archiviava le sue transazioni. Non
abbiamo nulla su cui lavorare. Tutto ciò che avremo sarà quello che potrai
procurarci tu. Sono stupito. La soluzione del caso
dipende da me. - Avete già interrogato la Mancini,
immagino. - Ovvio, è la prima cosa che abbiamo
fatto. - È stata convincente? - Lei era da alcuni amici quella sera. È
tornata all’una e mezza e ha trovato il marito in formato cadavere e la casa
sottosopra. - Ovviamente era uscita in macchina. Mauro sorride. - Ovviamente. - Il marito è uscito in taxi da Via delle
Pigne, ma sarà tornato da Via delle Sequoie. - Dal momento che non hai fotografato il
suo rientro, sembra evidente. - Ci ha mandato lui a fare l’appostamento
quella sera, dicendo di essere sicuro che avremmo potuto beccare l’amante che
usciva dal portone. Nessuno mi toglierà dalla mente che non ci voleva lì per
quel motivo. - E perché allora? - Perché potessimo vedere lui che usciva… - E poi? - E poi vederlo rientrare. - Stai dicendo che voleva uccidere la
moglie? Uscire dal portone quando tu lo avresti visto, rientrare da Via delle
Sequoie, assassinare la moglie, uscire dal retro e poi tornare più tardi a
farsi vedere da te davanti al portone di Via delle Pigne? Ma che alibi
sarebbe stato, scusa? Una volta appurato che c’era un’uscita secondaria, il
suo alibi non avrebbe retto due minuti. - Doveva aver messo in mezzo qualcun
altro. Per esempio quel Barbaro. Si sarà fatto vedere in giro con lui. Poi si
è allontanato con l’intenzione di ritornare presto. Con un po’ di fortuna
nessuno avrebbe notato la sua assenza. - Sei molto fantasioso nelle tue ricostruzioni.
C’è solo un piccolo particolare. È lui la vittima. - Ed è proprio questo che non mi quadra.
Qualcun altro ha approfittato del suo stesso piano, per levarlo di mezzo. - Escluderei la moglie. Lo stub ha dato esito negativo. - E Barbaro? Gliel’avete fatto? - Del Barbaro sei il primo a parlarne.
Provvederemo. – mi dice un po’ freddamente. Finiamo il pasto quasi in silenzio. Poi
ciascuno se ne torna da dove è venuto. Sulla porta, Mauro mi fa un cenno con
due dita sulla fronte. Un saluto. Un saluto vero. La settimana trascorre in fretta, dietro
ad un altro caso. Osram si è ripreso perfettamente.
Io non mi sono portato il lavoro a casa. Quando accendo il computer,
l’immagine di Mauro mi da il benvenuto. Apro in fretta qualche file per non
indugiare troppo su di lui. Dovrei cambiare lo sfondo del desktop, prima che
strane idee mi comincino a girare nella testa. Da troppo tempo sono solo. Solo come un
coglione, da quando Renato mi ha mollato. Una storia che ancora fa male. Il venerdì sera di solito esco, ma fino a
poco fa pioveva a dirotto. Lampi improvvisi flashano
ancora il cielo. Avrei un libro da finire, ma pare che non riesca a
trattenere la mia attenzione. La mente vola spesso altrove, mentre gli occhi
ripercorrono all’infinito le stesse due righe. Suonano alla porta. Spero non sia qualche
rompicoglioni del condominio con la solita raccolta di firme. Mauro? Mauro qui? - Scusami per l’invasione di campo, ma
alla Pink Panther non sono riuscito a passare. Lo invito a sedersi sul divano. Lui
esegue, scostando il libro che stavo tentando di leggere. Gli offro da bere.
Rifiuta. - Ci sono novità sul caso? – gli chiedo. - Credo avessi ragione tu. È stata
trovata l’auto di Lamberini posteggiata vicino ad
un locale notturno. Abbiamo interrogato alcuni habitué. Tutti ricordano Lamberini e Barbaro al locale, quella notte. Un paio di
loro sono concordi nell’affermare che a un certo punto sono usciti e dopo una
mezz’ora Barbaro è tornato da solo. - Gli avete fatto lo stub?
- Sì, è risultato negativo. - Beh, almeno sappiamo che non è stato
lui. - Ha ammesso di aver riaccompagnato a
casa Lamberini. - E come lo giustifica? Lamberini aveva la macchina, poteva tornare a casa da
solo. E ci sarebbe poi da capire quando e perché ce l’ha portata… - Dice che non si sentiva di guidare, non
stava bene. - Subito dopo sarebbe stato ancora
peggio. Mauro mi lancia uno sguardo
indecifrabile. - Alessandro Barbaro non c’entra. - Se lo dici tu. Lo difende. C’è qualcosa tra quei due. Me
lo sento. - Ti ha parlato dei debiti che aveva
contratto con lui? - Poche centinaia di euro. Li aveva già
pronti da restituire. - Gli avrai chiesto se sapeva che Lamberini voleva uccidere la moglie. - Dice che voleva solo divorziare. Che
cercava le prove del suo tradimento, per non rischiare di doverle pure
passare gli alimenti. - Certo, che stupido. Ed io che ci ho
ricamato sopra tutta un’altra storia. Nonostante tutto, Mauro sembra depresso. - Scusami se te lo chiedo, ma Alessandro
Barbaro lo conosci bene? - Cosa te lo fa pensare? – mi chiede
stupito. Una foto che ho sul desktop. - Niente, è solo un’impressione. - Tu e le tue impressioni…
Sì, lo conosco bene. Da due anni. - Non dev’essere
facile per te. - In effetti questa storia mi ha fatto
venire l’ulcera. - Posso offrirti un bicchiere di latte? Mauro mi lancia un’altra occhiata da
sfinge. - Dalla Mancini non avete ricavato più
niente? - Sembra la persona più limpida del
mondo. Ha solo ammesso di essersi fatta un amante, perché il marito la
trascurava da tempo. Abbiamo anche interrogato il parrucchiere, che si fa
chiamare Antoine, all’anagrafe Antonio Beltrami. Un tipo anonimo e di poche
parole. Diventa un artista sfrenato soltanto quando si ritrova tra le mani
una bella capigliatura, come quella della Mancini. - Però della Mancini cura più il resto,
che la capigliatura. - Niente di strano. La Mancini è una
bella donna. - E pure ricca. - E pure innocente, sembrerebbe. - Già. Silenzio. - Posso chiederti una cosa? - Che cosa? - Perché sei depresso? - Affari personali. Mi passerà. - Non vuoi davvero niente da bere? - No, grazie, me ne vado. Si alza, mi fa quella specie di saluto
militare e se ne va, chiudendo la porta alle sue spalle con un lieve plop. Perché è venuto? mi domando. Per fare il
punto della situazione? Con me? Perché proprio con me? Che Osram non
fosse una volpe, lo so da anni, ma scoprire fino a che punto possa essere
coglione, è una rivelazione che mi stupisce ogni volta. Siamo stati dietro ad
un caso per dieci giorni solo perché lui non ha voluto seguire il Bersaglio
dentro un centro commerciale. E quello si è defilato da un’altra uscita. Così
abbiamo mancato l’incontro cruciale e ci sono voluti altri otto giorni di
appostamenti e pedinamenti. Lo guardo bene in faccia. - La prossima volta entraci
in un centro commerciale, anche se tu li odi.
- Che ne sapevo che c’era un’altra
uscita? - Quello è grande come un paese. Ti pare
possibile che progettino un solo ingresso? Sei, ne ha! Sei! - La prossima volta ci vai tu, così il
caso lo risolvi in quattro e quattr’otto, come hai fatto con quello della
Mancini. Se fosse stato per te non avrebbe saputo nemmeno che il marito
pensava al divorzio. Mi scorre velocissimo un film davanti
agli occhi della mente. Quell’idiota gliel’ha detto. - E quando lo ha saputo? – gli chiedo,
con la massima calma possibile. - Il giorno prima che ammazzassero il
marito. Le ho detto che quel giovedì saremmo stati ad aspettare il suo amante
davanti al portone. - Ma il marito l’hanno ammazzato e così
il problema del divorzio si è risolto da solo. - Meglio così. - Certo, meglio così. E che altro le hai
detto? - Naturalmente che il marito se la faceva
con un tizio. - Naturalmente. Ci penso e ci ripenso tutto il giorno. Cosa
sapeva la Mancini? Primo, sicuramente, della polizza sulla vita. Gliel’aveva
scritto alla sorella. Secondo, che il marito la faceva pedinare. Giulio le ha
detto anche dove e quando avremmo aspettato al varco il parrucchiere. Terzo,
sapeva di Alessandro Barbaro. Quarto, era sicuramente al corrente dei suoi
debiti. Alla sorella scriveva che litigavano per questo. Rimescolo il bel
mazzo di carte che mi ritrovo in mano e non ne viene fuori un bel gioco.
L’unico dubbio che mi sorge è che Nadia Mancini possa aver temuto che il
marito la volesse uccidere per intascare l’assicurazione. Ha assoldato un
killer per ricambiare anticipatamente il favore? Ma la storia del divorzio e
del Barbaro avrebbero dovuto tranquillizzarla. Uno non assume un occhio per
spiare la moglie, se vuole ucciderla, no? No, Nadia non c’entra niente. A
meno che non abbia letto anche lei la posta elettronica del marito e non le
siano sorti gli stessi dubbi che sono venuti a me. In ogni caso, preferisco dirlo a Mauro.
Gli telefono, ma lui è impegnatissimo. Mi chiede se
è urgente. No, non preoccuparti. Mi richiama lui. Stasera non riesco a togliermi dalla
mente Mauro della Corte. Sono spacciato. Non doveva accadere. Non dovevo
lasciarmi andare fino a questo punto. Sono un vero idiota. Lo guardo nel
monitor e più lo guardo più mi sento un idiota. E intanto la tensione nei
miei pantaloni diventa intollerabile. Finirò per farmi una sega mesta e
solitaria, mormorando Mauro, Mauro, Mauro? Neppure si è degnato di richiamarmi. Si
sarà dimenticato. Tanto per fare qualcosa, vado a dare
un’occhiata alla posta elettronica della Mancini. Lo faccio per abitudine.
Non si sa mai. Ah, adesso il parrucchiere è diventato
invadente. Quanta ingratitudine c’è in certe donne. Forse non gradisce più il
suo taglio di capelli. Presto si cercherà un altro coiffeur. E poi non riesce
a dormire bene. Ha degli incubi in cui il marito buonanima pretende di fare
sesso con lei, vestito di una calzamaglia nera come quella di Diabolik. Rido.
Ci vorrebbe Freud, per dipanare questa matassa. Suonano alla porta. Sto ancora
sorridendo, mentre apro. - Mauro! Pensavo che mi telefonassi. - Invece ho preferito passare. - Siediti. Qualcosa da bere? - Sì, grazie. L’ultima volta si è seduto, ma non ha
voluto nulla da bere. Stavolta beve, ma non si siede. Forse non gli riesce di
fare le due cose contemporaneamente. Libiamo, libiamo nei lieti calici, che la bellezza infiora… - Ti ho sentito ridere, prima. - Stavo leggendo una cosa. La Mancini… Mauro si avvicina al computer e legge
anche lui. - Diabolik? - Mica male, vero? Lei si sentirà Eva Kant? - Già. Cosa pensi che abbia rubato? - Quella là non ha bisogno di rubare
niente. Con tutti i soldi che ha, può comprarsi quello che vuole. - Eppure ci sono cose che non si possono
comprare. - Lo so. Dicevo tanto per dire. - Cosa volevi dirmi al telefono? - Volevo avvertirti che Giulio ha
informato la Mancini del nostro contratto, il giorno prima che ammazzassero
il marito. E gli ha detto anche della storia con Barbaro. - Cazzo. Ha fatto finta di cadere dalle
nuvole, quando glielo abbiamo detto. E per delicatezza nessuno le ha parlato
di Barbaro. - Invece sapeva già tutto. - Questo cambia le cose. - Non credo. - Sì, se ha un complice. E poi è una
donna molto intelligente. Potrebbe esserle venuto lo stesso dubbio che è
venuto a te, soprattutto se è andata a ficcare il naso nelle mail del marito.
- Un complice? Io ho pensato che avrebbe
potuto assoldare un killer, ma ad un complice non ho pensato. E chi potrebbe
essere, secondo te? - Devo riguardarmi la lista dei suoi
contatti. - Ma lei frequenta solo gente bene,
tranne quel parrucchiere. Anzi neppure più lui tra poco. Hai letto? È
diventato invadente. - Sì, ho letto. Ma tu come mai
t’interessi ancora della sua posta elettronica? - È un caso che continua a non quadrarmi,
ecco come mai. - Prima o poi imboccheremo la pista
giusta. – dice Mauro, chiudendo la posta elettronica. Ma chi gliel’ha
chiesto? È troppo tardi per fermarlo, troppo tardi per qualunque cosa. La sua
foto emerge sul desktop. Io resto paralizzato in mezzo al
soggiorno. - Ah. - Barbaro l’aveva mandata a Lamberini. Mi rendo conto, già mentre lo sto
dicendo, che non può essere una giustificazione. Mauro si volta molto lentamente e
lentamente viene verso di me. Io indietreggio impercettibilmente. I miei
occhi sono inchiodati ai suoi. - E tu che ci fai? Ti ci spari le seghe? La sua voce è fredda come una lama di
ghiaccio. Letale. Vorrei sprofondare. Vorrei essere altrove. Ma il suo
sguardo non è ugualmente freddo. È una strana contraddizione, che mi lascia
spiazzato. Mi arriva vicinissimo. Solleva il
braccio. Spero che mi tocchi con una carezza. Invece appoggia due dita sulla
fronte, in un saluto privo di qualunque espressione. Mi gira intorno e se ne va, tirandosi
dietro la porta, senza quasi rumore. Avrei preferito che l’avesse sbattuta. Mi butto sulla poltrona a peso morto. Che
figura di merda! E poi mi piomba addosso tutto il resto.
Non gli piaccio. Nemmeno un po’. Sono un cretino. Come ho potuto pensare che potesse
accarezzarmi? Ha tagliato corto, pur di allontanarsi subito da me. Neppure
una battuta di spirito, una frase ironica, un tentativo di alleggerire il mio
imbarazzo. Mi rivedo nella mente la stessa scena cento volte e ogni volta è
una variante diversa. E tutte finiscono in un altro modo. Sono appena tornato in ufficio dalla
pausa pranzo, che il Tovaglia entra con i giornali. Quando è ancora in mezzo
al corridoio, la sua voce stentorea legge il titolo in prima pagina. - Ancora un omicidio in Via delle Pigne. Io esco di corsa dalla stanza. - Hanno fatto fuori la Mancini. –
annuncia. - Ecco, adesso sì che non ci capisco più
niente. – mormoro. Afferro uno dei giornali e leggo tutto
l’articolo. Trovata in casa strangolata con un’autoreggente. La macabra scoperta
stamattina alle nove, quando la governante ha fatto il suo ingresso
nell’appartamento. Il cronista si pone il dubbio che
l’omicidio del marito sia stato un errore e che la vittima designata fosse
invece proprio lei. E bravo. Però l’unico che la voleva morta è passato a
miglior vita prima di portare a termine il piano. E adesso? Rifletti, Danilo, non sei in pausa
pranzo. Perché si ammazza la gente? a) Soldi b) Sesso c) Potere a) Chi ci guadagna? La sorella. Ma anche
lei è piena di soldi. No, questo non può essere il movente. Allora quale? b) Può mai essere che l’abbiano fatta
fuori per gelosia? Chi? La Mancini frequentava solo quell’invadente di
Antoine. Invadente? Cosa voleva dire con invadente? Si era trovato un altro e
voleva mollarlo? Lui, in un impeto di rabbia, ha afferrato la prima cosa che
gli è capitata tra le mani, una calza autoreggente, e con quella l’ha
strangolata? c) E il potere? Non mi risulta che avesse
nulla a che fare con giochi di potere, di nessun tipo. Nadia Mancini raccontava tutto alla
sorella. Se qualcuno può svelare qualche mistero, sono sicuro che è lei. Vorrei poter chiamare Mauro, ma dopo la
scena di ieri sera non è proprio il caso. Leggerò sui giornali le novità
sulle indagini, se ci saranno. Mi ammazzo di lavoro per tutto il giorno,
senza un attimo di respiro, per impedirmi di pensare ad altro. Ma il tempo
scade. Devo tornare a casa. E qui non ho scuse. Cazzo, che schifo di vita. Ho
un’ottima occasione per andare a dormire presto. Ma prima cambio la foto
dello sfondo. Una splendida spiaggia bianca, ornata di palme lussureggianti.
Non una forma di vita. Deserto, una singola nuvola bianca si staglia
nell’azzurro implacabile del cielo. Forse un giorno ci andrò. Il mare mi
tranquillizza. Ma certo, potrei fare un viaggio. Ho un sacco di ferie
arretrate. Sono investito dall’entusiasmo. Andarmene per qualche giorno fuori
dai coglioni… Tornare abbronzato, rilassato, forse
persino soddisfatto da qualche sporadico incontro fortunato. In vacanza si
può fare, lontano mille miglia da qui. Qui no. Preferisco star solo, che
passare per storie usa e getta. Internet è ricca di buone mete e consigli di
viaggio. Vago tra siti pieni di splendide foto. Suonano alla porta. Sobbalzo. Chi diavolo
è a quest’ora? Guardo l’orologio, le 22:15. Non mi passa neanche per l’anticamera del
cervello che possa essere Mauro. Invece me lo ritrovo davanti. Sono così
stupito che resto imbalsamato davanti alla porta. - Ti disturbo? - No. - Allora, mi faresti entrare? Mi sposto, ancora piuttosto intontito
dallo stupore. Lui entra. Si siede, senza che io abbia ancora pronunciato più
di un monosillabo. Mauro guarda verso il monitor del computer. Spiaggia
deserta e mare allettante. Sembra deluso. No, sono io che me lo immagino. - Hai saputo dell’omicidio di Nadia
Mancini? - Sì. La mia conversazione non è un granché a
volte, lo riconosco, ma non mi viene da dire altro. Non capisco cosa ci
faccia Mauro sul mio divano. Non capisco cosa voglia. E se davvero vuole
qualcosa, o è solo passato ad aggiornarmi sul caso, eventualità che non avevo
preso in considerazione. - Vuoi qualcosa da bere? – gli chiedo. - Fai tu. Puro whisky di malto, invecchiato 20
anni, regalo di compleanno di mio fratello. Dopo il primo assaggio, Mauro se
ne versa dell’altro. Ha la faccia di uno intenzionato a sbronzarsi. Non ha
più detto una parola. Forse dovrei essere io a dirne qualcuna. - Il caso si è complicato ulteriormente.
– commento. - Anche la mia vita privata. - Sfortunato in amore? Beh, anch’io. Lo sono sempre stato, ma
non posso farci niente. - Prima non mi interessava. Pensavo solo
a divertirmi. Ma adesso, non so, adesso che mi sembra di essere più vecchio,
niente mi soddisfa. Neppure la storia con Alessandro mi stava bene. C’era
qualcosa che… non so… non
mi bastava. Non c’è niente che mi basti. Sono incontentabile. - Il vuoto che c’è dentro rimane sempre
vuoto. Lo so. Ha appena ammesso che stava con Barbaro
ed io non mi sono nemmeno finto stupito. Mauro solleva gli occhi su di me. Sono
blu, come me li sogno quando lo sogno. Sono grandi, blu, con screziature
grigie. Lo conosco a memoria. Mi piace tutto di lui, ma adesso non devo
pensarci. Non adesso. - Eppure sono sempre stato convinto che
qualcosa avrebbe potuto riempirlo. - Io ormai non ci spero più. - Hai tolto la mia foto dal desktop. Oggi
ci ho pensato molte volte e lo sai? in fondo non mi dispiaceva che tu mi
guardassi. - Mi era sembrato il contrario. - Volevo chiederti scusa. Ho reagito
male. Non ne avevo il diritto. Quando Alessandro mi ha scattato quella foto,
sapevo già che avrebbe fatto un bel giro. Solo, non mi aspettavo di trovarla
qui, che tu… non mi aspettavo che tu avessi… - …Va bene,
Mauro. Non ti preoccupare. È stata solo una stronzata. Non ne parliamo più. Ma come? Sono io che cerco di tagliar
corto, adesso? Cosa diavolo mi ha preso? Sono davvero un imbecille. - Tu sei una persona intelligente.
Confrontarmi con te mi fa piacere. Mi sembra che parliamo la stessa lingua.
Era da tanto che non mi succedeva. Ti andrebbe di fare qualcosa insieme, non
so, magari andare al cinema? Così, per conoscerci meglio. Se il tuo intento è quello di scopare,
non c’è bisogno che ci giri intorno. - Per me… - Sei offeso con me. Posso capirti.
Quando ti passa, chiamami o mandami una mail. Si alza. Vorrei saltargli addosso,
immobilizzarlo, legarlo al letto e scoparlo fino allo sfinimento. Invece lo
guardo uscire come un sonnambulo che non ha il controllo di se stesso. Una furtiva lagrima
negli occhi suoi spuntò… Vado alla finestra. Lo vedo attraversare
la strada, avvicinarsi ad un’auto scura, appoggiare una mano sul tettuccio,
l’altra sulla maniglia, e restare così, come indeciso, per un minuto. Tornerà
indietro? Poi lo vedo scuotere la testa, aprire la portiera e salire. Quel
momento d’indecisione mi resta ben vivo nella mente. Non so perché ho avuto quest’idea di
andarmi davvero a tagliare i capelli da Antoine. Lui neppure c’è. Ascolto le
sue ragazze che parlano con i clienti, che sono quasi tutte donne. Hanno voci
squillanti, come se per farsi sentire attraverso il rumore del fon o del
casco, fossero state costrette ad acquisire quella caratteristica. Mentre mi
sottopongo allo shampoo, chiudo gli occhi. Le due ragazze alle mie spalle
stanno parlando tra loro. - Allora è sicuro? Il Beauty Center non
si fa più? - No. Il socio di Antoine si è tirato
indietro. Deve cercare un altro finanziatore. Comunque, il progetto resta in
piedi. - Ma dai, ormai sono sei anni che va
avanti questa storia. Mi conviene cercare lavoro altrove, sennò resterò per
sempre una sciampista. Io ho il diploma di estetista massaggiatrice alla
Scuola Europea. Antoine mi ha convinto a restare perché mi aveva promesso che
nel giro di due anni avrebbe aperto il Centro. Ma ora basta, non gli credo
più. L’amica sospira. La sento, perché ha
chiuso il rubinetto della doccetta. - Mi dispiace che tu te ne vada. - Anche a me, ma non posso più aspettare. Poi un asciugamano mi avvolge la testa e
una mano decisa mi spinge ad alzarmi. Il finanziatore si è tirato indietro o è
semplicemente deceduto? Povero Antoine. Il suo sogno di spillare quattrini
alla Mancini è spirato con lei. Sono parecchie le vittime di questa storia. A
parte i due coniugi, c’è Antoine che non potrà costruire il Centro Benessere,
Alessandro Barbaro che non ha più chi gli presta soldi, Mauro della Corte che
ha mollato il compagno, Giulio Sorrentini che ha
definitivamente perduto il mio rispetto, la Pink Panther
Investigazioni che ha perso la mia assoluta devozione. Sto lavorando da cani
in questo periodo. Sono troppo distratto. Meglio non tralasciare niente. Ho inviato
una mail a Mauro, riportando la conversazione delle sciampiste di Antoine.
Gli ho anche ricordato che Nadia raccontava tutto alla sorella. Di questo
forse non gli avevo mai parlato. Un nuovo caso sta mettendo a dura prova
l’agenzia. I grugniti provenienti dalla poltrona di Toroseduto
e il passo pesante del Tovaglia in corridoio ne sono il contorno. Osram si fa vedere poco, ma altrettanto combina. Di
quando in quando, Paolo mi propone di lavorare sul campo, in appoggio di
Giulio, ma io continuo a dirgli che non ne avrei il tempo. Chi farebbe le
ricerche? Ho proposto invece di assumere un altro attivo, se Giulio non
basta. Ed è evidente da tempo che non può bastare. Sono totalmente concentrato su una
relazione, quando un colpo di tosse mi fa sollevare lo sguardo verso la
porta. Sullo stipite bianco si appoggia una spalla di Mauro. Il resto è
inclinato in posa plastica, mostrando un rilassato atteggiamento d’attesa. - Disturbo? Tu non disturbi mai. - No, entra. Mauro avanza col passo felino di un
predatore. Mi si secca la gola. - Ti ho già detto che sei sprecato, qui
dentro? - Non me lo ricordo. Perché dici così? - Ho fatto una bella chiacchierata con la
sorella di Nadia Mancini. Pare che avesse promesso di finanziare il progetto
di Antoine, ma che si fosse tirata indietro, dopo la morte del marito. Era
intenzionata a chiudere la sua relazione. - Due buoni moventi per un omicidio. - È esattamente quello che ho pensato
anch’io. Il problema è che non abbiamo uno straccio di prova. - E testimoni? - Li stiamo cercando. - Ci vorrebbe qualcuno con le finestre su
Via delle Sequoie. Qualcuno che soffre d’insonnia. Qualche vecchia pettegola
che sa tutto di tutti. - Ne conosci una? - La madre del portiere. Un punto interrogativo appare evidente
nello sguardo di Mauro. - Come la conosci? - Ho fatto anch’io le mie piccole
indagini. - Ci avrei scommesso. Ti va di venire con
me? Faccio mostra di essere titubante per
qualche secondo, ma la verità è che con lui andrei dappertutto, fosse pure
all’inferno. Spengo il computer, afferro la giacca e
sono già pronto. La signora Evelina ci accoglie
sorridente, sfregandosi le mani, quasi le avessimo portato un’appetitosa
leccornia su cui gettarsi. Mi riconosce. È contenta di poterci essere utile.
Ci mostra la finestra da cui segue gli andirivieni del condominio, come
volesse dimostrarci che quello che ci dirà è tutto vero, l’ha potuto
constatare con i suoi occhi. La signora ha anche una memoria di ferro.
Rabbrividisco. Io, se non mi scrivo tutto, non so nemmeno che cosa ho
mangiato ieri. Mauro mi lancia qualche occhiata, mentre trascrive le sue
risposte su un taccuino. Ne ricaviamo una succulenta informazione. - Se Nadia Mancini era da amici, la sera
in cui hanno ucciso il marito, perché Antoine è venuto qui? – chiedo a Mauro,
mentre in realtà sto chiedendolo a me stesso. - C’era anche la notte in cui hanno
ucciso Nadia. - Che te ne pare? Ha fatto ambo su questa
ruota? - Ricapitoliamo. – dice Mauro, seduto al
volante della sua auto. Io, di fianco a lui, non gli lascio modo di
riflettere e mi lancio, bruciandolo sul tempo. - Il mercoledì Giulio avvisa la Mancini.
Lei capisce che c’è sotto qualcosa. Probabilmente non sa cosa, ma si spaventa.
Ne parla con Antoine. Lo convince che il
marito vuole farla fuori e gli chiede il suo aiuto. Nadia magari gli
promette anche quei famosi soldi per aprire il Centro Benessere. Antoine
prende la pistola (ma ce l’ha una pistola?) e il giovedì la toglie dall’impaccio.
Però, tolto di mezzo il marito, Nadia si tira indietro. Può farlo. Non sarà
certo Antoine a denunciarla, né la può ricattare, dal momento che l’assassino
è lui. Poi, dopo qualche giorno, Nadia gli dice anche che può togliersi dai
piedi, che la loro storia è finita. A quel punto Antoine non ci vede più,
afferra una calza e la strangola. Fine della storia. - Bella ricostruzione. - Plausibile? - Non c’è lo straccio di una prova. - Non posso mica fare tutto io! Mauro scoppia a ridere. Mi si stringe lo
stomaco. Vorrei saltargli addosso e baciarlo fino a lasciarlo senza fiato. Lui mette in moto e mi riporta a casa.
Quando si ferma in doppia fila gli chiedo - Non sali? - Devo tornare in commissariato. Se non
faccio troppo tardi, magari passo dopo. Passa pure quando vuoi. Non c’è fretta.
Del resto anch’io ho bisogno di tempo. Tempo.
Mi scavo dentro. Una pratica che sovente
respingo come un pericolo mortale. Ma devo farlo, ormai. Mi trovo con le
spalle al muro. Un pugno d’acciaio mi sta stritolando il cuore. Cazzo, ho
ancora un cuore. Chi l’avrebbe mai detto? Devo arrendermi all’evidenza. Mi
sono innamorato come un cretino. Innamorato? Ma è possibile? Perché sfuggo a
questa possibilità? Perché non so accettarla? Non voglio soffrire, ecco
perché. Non di nuovo. Ancora altre cicatrici a scavarmi la carne. Tagliare di netto, adesso. Fuggire alla
velocità della luce. È un’opzione possibile? Ce la farei? Sì, ce la posso
fare. Farebbe male per un po’, ma poco. Potrei sopportarlo. Suonano alla porta. Vado ad aprire con il
cuore in gola. - Buonasera, signor Moretti. Stiamo
raccogliendo le firme per chiedere che quella serratura scassata del portone
d’ingresso sia sostituita. Sono otto mesi che telefoniamo all’amministratore
e finora non ci ha degnato di attenzione. Con le firme di tutto il
condominio, speriamo che si svegli. - Certo, è una scocciatura che possa
entrare chiunque a qualsiasi ora. Firmo. Credo che in questo momento potrei
firmare qualsiasi cosa. Antoine doveva avere le chiavi del cancello dei box.
Non c’è citofono da quel lato. Trovargli le chiavi non sarebbe comunque una
prova sufficiente. Bisognerebbe trovargli la pistola. Mauro non si è visto. Meglio così. È
l’ora dei fantasmi, quella in cui di solito mi addormento distrutto. Una
melodia continua a ronzarmi nel cervello. È la solita storia del pastore… Il povero ragazzo voleva raccontarla e s’addormì.
C’è nel sonno l’oblio. Come l’invidio! Anch’io vorrei dormir così, nel sonno almen l’oblio
trovar! Ha confessato l’omicida dei coniugi di
Via delle Pigne. È sul giornale di stamattina. Antonio
Beltrami ha ceduto dopo diciotto ore di interrogatorio. Dietro sue precise
indicazioni, una squadra sta cercando in una discarica i documenti e i componenti
del computer, mentre un’altra sta dragando un canale alla ricerca della
pistola. La mia ricostruzione doveva
avvicinarsi al vero. Mauro non si è fatto vivo. Risolto il
caso, non ha certo più bisogno di me. Torno placido e solingo alla mia routine
quotidiana. Sto meditando seriamente di partire. Ho bisogno di cambiare aria.
- Danilo, è pronta quella relazione? - Quasi. Appena finita te la porto. - Cos’hai Danilo? Ti vedo strano. – mi
dice il Tovaglia. - Sono un po’ stanco, ho bisogno di
prendermi qualche giorno di ferie. - Adesso? Ma siamo su tre casi! - C’è sempre qualche caso. È per questo
che ho tante ferie arretrate. Paolo sospira. - E va bene, tanto prima o poi dovrai
farle. Quando vuoi iniziare? - Domani. - Facciamo così. Quando mi finisci ‘ste benedette relazioni, te ne puoi andare a casa. Lo dice perché pensa che mi ci vorrà fino
a venerdì. - Ci sto. - Vado ad avvisare Armando. I grugniti si sentono dalla mia stanza,
ma me ne fotto. Le relazioni sono già tutte pronte, tranne l’ultima che sto
per completare. Metto il turbo e tra mezz’ora sono fuori. Toroseduto si trascina fino alla mia poltrona. Non
ci credo, ha il fiatone. - E quanto vorresti stare via? – mi fa,
continuando la conversazione che ho iniziato con Paolo. - Due settimane. Toroseduto mi guarda fisso. - Cazzo. E se ne va strascicando i piedi, come
l’uomo più infelice del mondo. Avevo proprio bisogno di staccare, di
fare il punto della situazione e di rientrare in me. Al mio ritorno in agenzia, abbronzato,
rilassato e persino lievemente felice, mi avvisano che l’ispettore della
Corte mi ha cercato. Mi ha inviato anche una mail. Non voglio neanche
leggerla. Sono pragmatico, testardo, determinato.
Le melodie che mi assalgono all’improvviso, a qualcuno potrebbero apparire anacronistiche.
Vivo solo. Ho chiuso il cuore con un lucchetto e ho buttato le chiavi. Se a
volte mi piace qualcuno, vivo un bel sogno per qualche settimana, poi mi
sveglio e cancello tutto. Tramuta in lazzi lo
spasmo e il pianto, in una smorfia il singhiozzo e il dolor, ridi pagliaccio
sul tuo amor infranto, ridi per quel che t'avvelena il cor! |