Il vicino Quando sente il rumore del
camion che si avvicina, Ernest si dirige alla finestra. L’autocarro si ferma
nella piazzola. Ernest ha uno scatto d’ira. Stringe rabbiosamente il trapano con
cui stava lavorando. Se lo aspettava,
naturalmente: gli operai hanno passato un mese a sistemare la casa di fronte
alla sua e di certo chi ha pagato i lavori lo ha fatto per venirci ad
abitare. Il problema è che Ernest non sopporta l’idea di avere un vicino. Non
è mai stato particolarmente socievole, ma negli anni in cui è vissuto da solo
in questa casa, lo è diventato ancora di meno. Non è più abituato ad avere
gente tra i piedi. Vive in un’area boscosa: ettari ed ettari
di alberi e laghetti con qualche sentiero e un’unica strada, che dalla
statale raggiunge la sua casa e quella di fronte. Non ci sono altre
abitazioni e fino ad ora, Ernest è vissuto in totale solitudine. Di qui non i sentono i rumori del traffico, non ci sono luci. Solo i
rumori della natura e il suo silenzio. Ed adesso, dopo che per un mese Ernest è
stato disturbato dai lavori in corso, arriva anche qualcuno. Merda! Merda!
Merda! Se non fosse tanto
furente, Ernest potrebbe riflettere che il vicino avrebbe più ragione di lui
a lamentarsi, visto che un laboratorio di falegnameria produce parecchio
rumore. Ma Ernest vive l’arrivo di uno sconosciuto come un’invasione del suo
territorio. Non c’era nessuno in quella casa quando lui ha affittato la sua e
per sette anni è vissuto in santa pace. Se aveva voglia di compagnia, la sera
poteva raggiungere la cittadina, che è a nemmeno venti miglia: chiacchierare
con gli amici, soprattutto con Josh, il poliziotto;
bere un po’ di birra. Altrimenti, c’era il suo paradiso personale, di stelle
e di alberi, di neve e di ghiaccio in inverno. Ernest non può neanche
pensare di trasferirsi: ha comprato da poco la casa in cui abita e si è
cacciato nei guai. Guai seri. Ha fatto il passo più lungo della gamba: il suo
laboratorio funzionava a pieno ritmo, aveva parecchi clienti e gli sembrava
di poter pagare il mutuo senza difficoltà. Ha acquistato la casa e la crisi è
arrivata, pesantissima, con la chiusura della fabbrica giù a Castlebourgh e poi con il calo del turismo, l’altra
attività della zona. Meno clienti. Molti che non pagano e quando lo
incontrano in città fingono di non vederlo, magari attraversano pure la
strada per non trovarselo di fronte. Gli devono parecchio denaro,
di che pagare le rate per un anno, ma il mutuo si paga con i dollari, non con
i crediti. Ernest non è il tipo da
fermare la gente per strada e chiedere i soldi che gli devono. E adesso ha
l’acqua alla gola. Il lavoro scarseggia. Ernest vive male, il pensiero della
banca è un assillo. Comprare quella casa è stata la peggiore cazzata della sua
vita. Ed ora ci si mette anche il vicino. Il tipo arriva su un
fuoristrada, poco dopo il camion. Ernest non lo ha mai visto. Proprio per
evitare di vederlo, nell’ultimo mese ogni volta che sentiva il rumore di
un’auto evitava di affacciarsi. Non aveva proprio voglia di sapere che faccia
avesse quel tizio e, men che mai, di dover
scambiare con lui i saluti e magari dargli pure il benvenuto. Adesso però è inutile
continuare a infilare la testa nella sabbia nella speranza che il problema si
risolva da solo. È ora di scoprire chi è quel rompicoglioni che ha comprato
la casa e se l’è fatta risistemare. Il suo nuovo vicino. Il tizio scende
dall’automobile. È alto e magro. Occhiali da sole scurissimi, che a Ernest
danno immediatamente fastidio: non gli piace la gente che nasconde gli occhi.
Ma a Ernest il vicino non piacerebbe in nessun caso, neanche se fosse una
fotocopia di se stesso. D’altronde non è che Ernest si piaccia in modo
particolare: ha un corpo forte, muscoloso, ma con tendenza a mettere su pancia,
nonostante abbia appena raggiunto i quaranta (beve troppa birra); un viso
senza nessun tratto notevole, coperto da un fitto barbone, nero come la pece.
Forse solo gli occhi azzurri sono davvero belli. Il vicino è più alto di
lui e più magro. È vestito in modo elegante: un abbigliamento adatto più ad un cittadino che ad uno che ha una casa in mezzo ai
boschi del Canada. Ernest si dice che vuole vederlo in autunno, con quelle
scarpe di cuoio, a sprofondare nella neve. Il tipo non ha la barba ed
Ernest è costretto a riconoscere che non è per niente brutto: ha sempre
apprezzato i maschi, anche se vive in castità da troppi anni, e questo è un
bell’esemplare. Il vicino parla con gli
operai della ditta di trasloco. Poi si mettono tutti al lavoro. Ernest si rifugia nel suo
laboratorio, ma dopo un po’ decide che non ne può più e prende l’accetta e la
sega per andare a procurarsi un po’ di legna. Ha stretto accordi con diversi
proprietari della zona per tagliare alcuni alberi
nei loro terreni, ma adesso non ha voglia di prendere il furgoncino perché
rischierebbe di incontrare il vicino. Preferisce uscire dalla porta del retro
e andare ad abbattere l’abete malridotto che ha individuato vicino a casa sua
alcuni giorni fa. L’aria è tiepida, la
primavera è ormai arrivata e fuori si sta bene. Ma Ernest sta sempre bene nei
boschi. Anche adesso, camminando sul terreno coperto di aghi di pino, gli
sembra che i crucci si allontanino un po’ dalla sua mente: ritroverà il
vicino e il mutuo tornando a casa, adesso però può non pensare a loro. Può
guardare il cielo attraverso le cime degli alberi e sentirsi in pace con il
mondo e con se stesso. Quando Ernest torna è più
sereno. Il camion dei traslochi è scomparso e il vicino non si vede, ma la
macchina è parcheggiata fuori, davanti alla casa. Passano tre giorni prima
che si incontrino. Ernest si è un po’ rappacificato all’idea di avere
qualcuno che abita accanto a lui, per cui quando le loro auto si incrociano
lungo la stradina, accosta di lato, per lasciarlo passare. Il tizio si ferma
e gli sorride. Quel figlio di puttana ha
un bel sorriso, Ernest deve riconoscerlo. - Grazie. Sei il mio
vicino di casa, vero? Ti ho visto qualche volta dalla finestra. Io sono
Terence. Terence Fieldstone. L’ultima cosa che Ernest
ha intenzione di fare in questo momento è una conversazione. Ma non può ripartire, in quanto l’altro blocca la strada, troppo
stretta per due veicoli. Bofonchia un: - Ben arrivato. Sono
Ernest. Non è il massimo della
cordialità, ma ad Ernest non gliene fotte un cazzo
della cordialità. Sta già sentendo la rabbia montare dentro, anche se ha
abbastanza cervello per tenerla a freno. Il vicino sorride, un po’
ironico. Dice: - Grazie per
l’accoglienza. Ci vediamo, Ernest. E riparte. Ernest lo guarda allontanarsi,
bestemmiando. Rimette in moto. Le cose non funzioneranno bene con quell’uomo.
Ma in fondo Ernest sa benissimo che se l’è cercata. Passano altri giorni.
Terence non va molto in città. Però ogni tanto cammina per i boschi e questo
dà fastidio a Ernest. Sa benissimo che non è razionale: il vicino può
camminare come e dove vuole, se non entra in proprietà private recintate, ma
Ernest considera quei boschi suoi, anche se ne possiede solo un’area
ristretta. Non ha voglia di incontrarlo in quelle foreste. In città le voci
circolano. Sanno che Ernest ha un vicino. Josh lo
piglia per il culo: - Come farai adesso che
non sei più tutto solo? Non potrai più trasformarti in lupo la notte. Se ne
potrebbe accorgere. - Fanculo,
Josh. Josh ride: è sempre cordiale con lui ed
Ernest si trova bene. Se non fosse che ha dato un taglio deciso alla propria
vita affettiva e sessuale, Ernest cercherebbe di capire i gusti di Josh e la possibilità di costruire qualche cosa. Ma dopo ciò che ha vissuto con Carl, Ernest ha chiuso con i
sentimenti e con il sesso. La ferita ci ha messo anni a rimarginarsi. Per il
piacere basta la mano destra, ma proprio solo quando la tensione è
intollerabile. Qualche volta, negli ultimi mesi, gli è apparsa l’immagine di Josh mentre si masturbava, ma lui l’ha ricacciata
indietro. Oltretutto Josh è divorziato, quindi è
difficile che gli piacciano gli uomini. Trascorrono altri quattro
giorni prima che Ernest si trovi faccia a faccia con
Terence nel bosco. Ernest ha la sega e l’ascia: sta tornando al furgone dopo
aver abbattuto un albero. Per fortuna di Terence, Ernest, nonostante il suo
pessimo carattere, non ha tendenze omicide e sa controllarsi: un’ascia ed una sega sono armi pericolose. - Buongiorno, Ernest. Come
va il laboratorio di falegnameria? La risposta che a Ernest
viene sulla labbra è un “Fatti i cazzi tuoi”, ma
oltre all’autocontrollo Ernest possiede anche alcune buone maniere: i suoi
gli hanno insegnato l’educazione e qualche cosa è rimasto, nonostante la vita
solitaria. - Bene. Come risposta non è
proprio incoraggiante, per uno che vuole scambiare due
chiacchiere, ma Terence pare non farsi problemi. - Un giorno o l’altro ti chiederò di farmi una nuova libreria. Se non sei troppo
esoso. - Adesso ho molto da fare. Non è proprio la verità e
un potenziale cliente andrebbe trattato con i guanti (Ernest li ha addosso ed in effetti pensa che se strangolasse quell’uomo non
lascerebbe tracce; potrebbe poi seppellirlo nel bosco), ma Ernest è incazzato
nero. Terence scoppia a ridere.
Ha una bella risata, cordiale. - Non avevi voglia di
avere un vicino o sono proprio io che ti sto sul culo? A Ernest verrebbe da
rispondere: “Tutti e due”, ma evita di farlo; non ha senso scaricare su
questo tizio che vuole essere gentile il proprio malumore. - Non sono abituato ad
avere vicini. Non mi entusiasma averne uno. Terence annuisce. Sorride. - L’avevo sospettato.
Cercherò di non essere troppo fastidioso. Prometto di non venirti a chiedere
il sale se lo finisco. Ernest ha un mezzo
sorriso. - Quello puoi farlo. Basta che tu rimanga sulla porta. Terence scoppia a ridere. - Certo! Non voglio farmi
mordere. - Non ho cani. - Scusa, volevo dire
azzannare dall’orso… Ernest grugnisce. Poi
aggiunge: - Buona passeggiata. Terence risponde: - Buon lavoro! Ernest si dice che si sta
comportando da idiota. Se ne rende perfettamente conto. È di cattivo umore,
ma perché deve scaricarlo su un tizio che ha come unico difetto quello di
apprezzare una casa in mezzo ai boschi? Una settimana dopo suonano alla porta verso le otto di sera. Ernest non ha
sentito nessuna auto avvicinarsi, per cui deve trattarsi del suo vicino. - Mi scuso se rompo,
magari sei a cena. - Non ancora. - Ho finito il sale e non
ho voglia di andare in città a comprarne una scatola. Me lo puoi prestare? Guardando il sorriso di
Terence Ernest si dice che lo sta pigliando per il culo. Ma decide di stare
al gioco. - Va bene. Si volta e si dirige verso
la cucina. Arrivato alla porta si gira e vede che Terence è rimasto sulla
soglia: non si stupisce, si ricorda benissimo della conversazione della
settimana precedente. - Puoi entrare. Terence si finge
sbalordito. - Davvero? Ernest scoppia a ridere. - Piantala,
stronzo. Vieni avanti. Terence segue Ernest in
cucina. - Hai
una bellissima casa. Le rifiniture le hai fatte tu, vero? - Sì. Ma la tua casa è
uguale alla mia. Devono averle costruite insieme. - Da fuori sono uguali, ma
dentro ti assicuro di no. Ernest ha preso un pacco
di sale e lo porge a Terence. - Un intero pacco? Me ne
basta una manciata. - Così sono sicuro che non vieni a chiedermelo un’altra volta. Ma Ernest lo dice
sorridendo. Anche Terence sorride, rispondendo: - Sei sempre stato così
scorbutico o lo sei diventato vivendo da solo? La risposta Ernest la conosce
bene. Non è mai stato particolarmente socievole, ma nemmeno misantropo. Lo è
diventato dopo il fallimento della storia con Carl. Aveva investito molto su
quel rapporto, troppo: per lui era per sempre. Sui sentimenti Ernest non
conosce mezze misure. E poi il trasloco, la pace ritrovata lontano dagli
uomini, nel silenzio dei boschi. - Sai com’è, vivendo nei
boschi... - In
effetti sei proprio un bell’esemplare di orso. Sì, è diventato un orso
(fisicamente lo era già prima). “Bell’esemplare”. La frase si può intendere
in modi diversi. - Potrei morderti. - Eh no! Non è giusto. Mi
hai detto tu di entrare. - Ma non ti ho detto che
non ti avrei azzannato. - Azzannato da un bell’orso… Chissà com’è… “Bell’orso”. Dove sta
andando a parare Terence? - Non credo che ti
convenga provare. Terence ha fatto un passo
in avanti. Ora è vicinissimo. Ernest si chiede se ‘sto tizio che ha trattato
a pesci in faccia non intenda baciarlo. Si sta anche domandando che cosa
farebbe in questo caso, quando Terence sorride e dice: - Grazie per il sale.
Prometto di non rompere più. Si volta e si dirige verso
la porta. Ernest è rimasto senza
parole. Un po’ deluso, sì, questa è la verità. Sono otto anni che non bacia
un uomo. Non gli sarebbe dispiaciuto provare di nuovo. Sulla soglia Terence si
volta ancora e gli dice: - Posso invitarti una sera
a cena? Per ringraziarti del sale. Ernest sorride. Annuisce. - Va bene. - Venerdì? - D’accordo. Grazie. - Alle otto,
orso. Ma se cerchi di mordermi ti metto la museruola. - So comportarmi bene.
Talvolta. Sorridono tutti e due e
Terence se ne va. L’ultima volta che l’ha
visto avrebbe voluto spaccargli la faccia, ma adesso è contento di andare a
cena da lui. Ernest si dice che è una buona cosa. Ha bisogno di un po’ di
compagnia. E se ci sarà anche altro, ben venga. Non ha più abbracciato un
uomo, dopo Carl. Nei tre giorni che mancano
alla cena, Ernest vede due volte Terence, da lontano. Si salutano
cordialmente. Ernest si è fatto la doccia
e si è cambiato, biancheria compresa. Il giorno prima è andato a farsi
tagliare i capelli e la barba: il parrucchiere non lo vedeva da un anno, ma
non si è stupito: in effetti Ernest va a farsi dare
una regolata ogni estate; quest’anno è solo un po’ in anticipo. Voleva
presentarsi in ordine alla cena: quando i suoi capelli sono lunghi, tendono ad andare ognuno per conto suo. Adesso che si è
dato una sistemata sembra un po’ meno orso. Josh
l’ha visto mentre usciva dal barbiere e ha storto il naso: dice che Ernest
sta molto meglio come orso feroce, adesso sembra
travestito da essere umano. Ernest l’ha mandato a fare in culo. Per l’occasione ha
indossato un paio di jeans puliti (non quelli che usa
nei boschi) ed una maglietta rossa. Il profumo no, quello non se l’è mai
messo. E neanche camicia e cravatta. Però è presentabile. Suona alla porta di
Terence, che gli apre. Ha un paio di jeans tagliati corti e una maglietta
bianca. - Benvenuto. Taglio di
capelli e di barba. Wow! L’hai fatto per farmi
dimenticare che sei un orso, così non sto in guardia e mi azzanni? Ernest emette una specie
di grugnito. - Dipende dalla qualità
della cena. Se non mi dai abbastanza da mangiare, in
effetti potrei mettere altro sotto i denti… Terence inarca le
sopracciglia: - Che cos’altro? Ernest finge di ignorare
la domanda e replica, burbero: - Vediamo che cosa c’è da
mangiare. - Sei così affamato? Forse
è meglio che faccia un salto in città a prendere qualche Big Mac. - Big Mac?
Cristo santo! Vorrai mica darmi da mangiare quella
robaccia? Forse è meglio che me ne torni a casa e veda che cosa c’è in frigo. In
effetti a Ernest il
cibo di McDonald’s fa proprio schifo. Durante lo scambio di
battute si sono spostati in cucina. La disposizione dei locali sembra
identica a quella della casa di Ernest, ma
rifiniture e mobili sono diversi. Terence è molto bravo ai
fornelli e la cena è buona, anche se leggera: Ernest, con il lavoro che fa, è
abituato a mangiare parecchio. Durante il pasto, Terence
lo punzecchia sulla sua vita da orso nei boschi, gli chiede se in inverno va
in letargo in qualche grotta. Ernest gli chiede come se la caverà quando ci
sarà la neve e dovrà spalare per tirar fuori l’auto dal box. Ogni tanto
parlano più seriamente. Ernest mette in guardia Terence dal camminare in alcune
aree del bosco in inverno: nella direzione del lago il terreno è molto
irregolare e ci sono buche profonde in cui è facile cadere quando la neve le
nasconde. Anche in estate bisogna fare attenzione, perché arbusti, rami e
foglie secchie possono coprire piccoli dirupi. Finita la cena, passano in
salotto e chiacchierano un po’ seduti sul divano. Ernest è reticente sul suo
passato, si limita a dire che viveva a Edmonton e che poi ha deciso di
trasferirsi. Terence invece racconta molto. È stato negli Stati Uniti, prima
di venire in Canada. Ha abitato a New York, a
Philadelphia, a Toronto. È la prima volta che abita in mezzo ai boschi. - Mi sa che quest’inverno
sarà dura, per un cittadino come te. - Mi darai una mano, vero? - Ma figurati, ho troppo
da fare. Ernest ride, Terence anche. Poi, senza nessun preavviso, Terence scivola di
fianco a lui e gli prende la testa tra le mani. Lo
bacia. Ernest accetta quel bacio, lo ricambia. Si abbracciano e nel brusco
movimento quasi rotolano a terra. Terence ride. - Andiamo in camera da letto, è meglio. Non gli ha chiesto nulla,
ha dato per scontato che Ernest volesse quello che voleva
lui. E in fondo è così, anche se Ernest avrebbe preferito un po’ di dolcezza.
Ma uno che si presenta come un orso, non suscita molta tenerezza. Terence gli toglie la
maglietta e lascia che Ernest faccia altrettanto. Poi si apre
i pantaloni, senza toglierseli. Spinge Ernest sul letto e si stende su di
lui. Lo bacia, irruente, poi gli afferra la testa e la guida verso il cazzo,
che già ha alzato la testa. Ernest accetta che sia Terence a condurre il
gioco: con Carl aveva fatto di tutto, davvero di tutto, e gli era piaciuto.
Ernest prende in mano il bel cazzo di Terence, lo accarezza dolcemente e poi,
quando è teso e duro, avvicina la bocca e incomincia a leccarlo. Sono otto
anni che non fa l’amore, otto anni che non gusta un
bel cazzo, che non ne sente l’odore: Terence si è lavato anche lui prima di
cena e questo a Ernest spiace un po’, perché gli piacciono i sapori e gli
odori più forti. Ernest lavora bene,
ritrovando gesti e movimenti che gli pareva di aver dimenticato: la lingua
percorre l’asta, indugia sulla cappella; le labbra avvolgono, succhiano; i
denti mordicchiano; le dita stuzzicano i coglioni, scivolano dietro la sacca
e premono leggermente contro l’apertura, poi ritornano ad avvolgere la loro
preda. Terence dimostra il suo apprezzamento con qualche mugolio di piacere. - Ora basta, perché
altrimenti vengo. Terence cala pantaloni e
slip di Ernest (che abitualmente usa ancora le vecchie mutande, ma l’altro
giorno in città si è comprato due paia di slip). Non glieli toglie: li lascia
attorno ai polpacci, imprigionandogli le gambe. Lo fa stendere sul dorso, poi
gli solleva le gambe, ripiegandole fin quasi sulla faccia. Non è una
posizione comodissima, ma Ernest lascia che Terence faccia ciò che vuole.
Controlla solo che il vicino prenda il preservativo e se lo infili. Terence ghigna. - Adesso l’orso se lo
becca in culo! - Ringrazia che non ti
posso mordere! Ma se mi arrivi a tiro… - Hai perso l’occasione, ormai… Terence si è infilato il
preservativo ed avvicina la cappella all’apertura.
Si bagna due dita ed inumidisce un po’ l’ingresso
che sta per forzare. Lo fa due volte e poi spinge. Ernest sussulta: sono otto
anni che nessuno lo infilza. Gli è sempre piaciuto ma, anche se Terence non è
entrato in modo brutale, ha perso l’abitudine e la penetrazione è stata
dolorosa. - Fermati un momento. Terence annuisce,
ghignando. Quando Ernest gli fa un cenno, incomincia a spingere. Il suo corpo
e le sue braccia costringono Ernest a rimanere piegato in due, le gambe
ripiegate quasi sulla testa, bloccate dai pantaloni che gli coprono la
faccia. Ernest non riesce neppure a vedere Terence, ma ne sente il cazzo in
culo, che si muove vigoroso. Tiene le mani sulle gambe di Terence che,
inginocchiato sul letto, lo infilza senza pietà, muovendosi con violenza
avanti e indietro. Infine Terence viene, con
una serie di spinte più intense. Esce da lui ed Ernest può infine distendere
il corpo. Si sfila pantaloni e slip e guarda
Terence, steso accanto a lui. Terence gli sorride. Ernest ha il cazzo duro ed aspetta che Terence gli offra una mano o la bocca o il
culo: gli va bene tutto, Ernest è molto versatile e con Carl scambiavano
spesso le parti. Ma Terence rimane disteso,
senza fare nulla. Prende dal comodino un pacchetto di sigarette e ne accende
una. Ernest è un po’ irritato dal comportamento di Terence. Oltre tutto il fumo gli dà proprio fastidio. Ma Terence allunga una
mano e gliela posa sul cazzo, stringendo. Il contatto è gradevole. Ernest
sorride. Terence spegne la sigaretta nel portacenere, dopo appena una boccata
e si siede su Ernest. Gli afferra i pettorali con le mani, stringe. Poi china
la testa e gli morde i capezzoli, uno dopo l’altro. Si sposta indietro,
scivolando sulle cosce, e afferra la sacca dei coglioni. Infine si siede su una
coscia di Ernest e gli dice: - Su, fatti una sega. E con la mano destra gli
afferra un capezzolo ed incomincia a torturarlo. Ernest si afferra il cazzo
ed incomincia ad accarezzarlo. Guarda Terence che
sorride e muove la mano con forza. Chiude gli occhi, mentre il piacere sale.
Nella sua testa passano immagini del passato. Rivede Carl. Immagina Josh al posto di Terence. Ed
infine il piacere sgorga impetuoso ed il seme si sparge sul suo petto. A Terence è tornato duro. - Su, orso, fa’ una sega
anche a me. - Fai lavorare sempre me! - Io la mia parte l’ho già
fatta… A Ernest non spiace.
Prende in mano il bel cazzo di Terence e lo lavora con cura, fino a che altro
seme si spande sul suo petto. Questa volta Ernest passa un dito e lo
raccoglie, poi lo assaggia. Terence scuote la testa. - Mi sembra che tu sia più
un maiale che un orso. L’intonazione è scherzosa,
ma a Ernest pare di cogliere un giudizio negativo, che gli dà fastidio.
Decide di ignorare il commento. - Forse… Accarezza il culo di
Terence, stringendolo tra le mani. Terence dice: - Adesso devo pisciare. Ernest non molla la presa.
- Sono pronto. Ghigna e apre la bocca. Terence fa una smorfia. - Piantala. Lasciami
andare. Ernest coglie il fastidio
nella voce di Terence. Lo lascia immediatamente, un
po’ sconcertato. Terence va in bagno.
Ernest è confuso. Si solleva a sedere. Quando torna Terence è
sorridente, ma incomincia subito a vestirsi. Ernest si alza e si
riveste anche lui. È perplesso, ma non lo lascia trapelare. Quando ha finito
si avvicina a Terence, che gli dà le spalle mentre si abbottona
i pantaloni, e lo abbraccia. Terence lo lascia fare, ma Ernest avverte una certa
impazienza. Scioglie subito l’abbraccio. Ernest è irritato, ma si
controlla. Dice: - Bene, adesso è meglio
che vada. Grazie per la cena. Terence non cerca di
trattenerlo. Sorride e dice: - E per il
dopo cena? Ernest vorrebbe dire che
ha visto e fatto di meglio, ma si controlla: tutto sommato è un orso ben
educato. - Per quello abbiamo
contribuito tutti e due, no? Terence annuisce. Ernest saluta e rientra in
casa. Sale in camera e si stende
sul letto, senza spogliarsi. Vuole pensare. Qualche cosa non ha
funzionato. Perché? Terence ha preso l’iniziativa, ma poi ha pensato
soprattutto a sé. Non è così raro nel mondo gay (e
anche tra gli etero), Ernest lo sa benissimo, ma è fastidioso. Poi Terence è
sembrato schifato quando lo ha invitato a pisciargli in bocca. Ed anche
prima, quando ha gustato il suo seme. Va bene, ci sono
gli etero che in tutta la loro vita non sono andati oltre la posizione del
missionario, ci sono gay ugualmente limitati. Ernest non è contento. Sì,
è stato bello scopare di nuovo, sentire un bel cazzo
in culo, accarezzarlo, gustarlo. Però avrebbe voluto qualche cosa di più. È
il suo limite. Vuole sempre qualche cosa di più. Avrebbe anche voluto
trascorrere la notte con Terence, invece di tornare a dormire a casa sua, ma
questa era davvero una pretesa eccessiva. Ernest si alza. Accende la
luce e si spoglia. Dopo una rapida doccia, si mette a letto e riprende la
lettura dell’ultimo libro della Munro. Cazzo!, se
scrive bene quella donna! L’indomani Ernest non vede
Terence e si dedica al suo lavoro. Anche il giorno successivo rimane nel
laboratorio, ma nel pomeriggio va nel bosco a tagliare un po’ di legna che
gli serve. È tornato da poco quando suonano alla porta. Terence, ovviamente.
Ernest ha un moto di fastidio. Non ha voglia di ritrovarselo di fronte, ma di
sicuro Terence lo ha visto entrare. Va ad aprire. Terence è lì, sorridente. - Di invitarti a cena non
ho nessuna intenzione, mantenerti con quello che mangi mi costerebbe uno
sproposito, ma che ne diresti di passare da me per il
dopo cena? Ernest ha un attimo di
esitazione, ma poi annuisce. - Va bene, verso le nove? Il sorriso di Terence si
allarga: - Benissimo. Sempre che
non ci sia il tuo programma preferito… - Se c’era il mio
programma preferito, col cazzo che ti dicevo di sì! Terence scoppia a ridere. - Bene, allora è fatta,
visto che non hai niente di meglio da fare… Ernest non ha grandi
aspettative. Sarà il bis della sera prima, eviterà quelle maialate che gli
piacciono molto e si farà una bella scopata. Non ci sarà altro e va bene
così. Terence lo fa salire
subito in camera e poi lo spoglia con irruenza. Ernest lo lascia fare: a
Terence piace condurre il gioco, per lui non ci sono problemi. Terence si toglie gli
abiti e lo spinge sul letto, a pancia in giù. Gli solleva il culo e poi si
appoggia su di lui. Prepara il terreno con un po’ di saliva, si mette il
preservativo e poi lo infilza. Con la mano preme sulla testa di Ernest,
schiacciandolo contro il bordo del materasso, mentre comincia a muoversi
avanti e indietro. Ernest si dice che è bello, è proprio bello:
gli piace la violenza di Terence, quel prenderlo quasi a forza. Terence sarà
limitato, ma quelle cose che fa, le sa fare. Il
cazzo si muove ritmicamente, dilatando il culo e poi quasi lasciandolo e ad ogni spinta Ernest avverte una piacevole fitta. La
tensione cresce ed Ernest avverte che il proprio cazzo è duro come una
roccia. Terence potrebbe dargli una mano, basterebbe poco. Ma Terence
continua a premergli la testa contro il lenzuolo e non bada a lui. Poi Ernest
sente le spinte diventare più intense e rapide e Terence si affloscia su di lui. Ernest geme. Con la mano si afferra
il cazzo e si mette ad accarezzarlo energicamente. È bello sentire il corpo
di Terence che lo schiaccia sul letto e il suo cazzo ancora grosso in culo,
mentre con la mano si fa una sega. Ma la voce di Terence lo
blocca: - Che fai? Non mi sporcare
il lenzuolo! Terence si ritira e lo fa
voltare sul dorso. Ernest prova l’impulso di alzarsi e andarsene così, con il
cazzo duro, senza neanche rivestirsi, ma ormai è troppo vicino al piacere e
completa l’opera. Il seme gli si spande sul ventre. Terence è andato in bagno
a lavarsi. Ernest rimane disteso sul letto. Il bisogno è stato soddisfatto,
ma non si sente appagato. Che senso ha? Si riscuote, si pulisce
rapidamente con un fazzoletto e quando Terence rientra si è già rivestito. - Io vado. Non aspetta una risposta,
non cerca di nascondere la sua irritazione. Gli piace prenderselo in culo,
Terence ci sa fare, ma gli sembra di essere soltanto un giocattolo da usare
quando serve e poi abbandonare in un angolo. Due sere dopo, Terence
torna a suonare alla porta. - Ciao, vicino. Non ti ho
visto e mi chiedevo se questa sera volevamo dedicarci a qualche attività
collaborativa. Ernest sospettava che
Terence sarebbe venuto. Risponde subito. - Mi spiace, questa sera
vado in città. Devo vedere alcuni amici. È venerdì e in effetti è il giorno in cui più spesso Ernest va a Otterford. Al bar di solito trova Josh
e con lui parla sempre volentieri. Se le cose con Terence andassero in un
altro modo, rinuncerebbe: non è un appuntamento fisso, c’è andato la
settimana scorsa e ci va proprio per dire di no a
Terence, per fargli capire che non è così indispensabile. - E come farai senza di
me? Terence assume un’aria
sconsolata, chiaramente ironica. Ernest risponde in modo
scontroso: - Spero di sopravvivere. - Sì, mi raccomando, così
domani sera vieni da me. Terence non aspetta una
risposta e a Ernest va bene così: non sa che cosa gli risponderebbe, in
questo momento. Nel bar c’è Josh, che lo accoglie sorridente: - Due settimane di fila? A
che cosa dobbiamo l’onore? È per evitare il vicino? Josh non sospetta di aver azzeccato. Ernest
risponde, laconico: - Fanculo,
Josh! Josh ride, come sempre. - Ernest, non so come mai,
ma ogni volta che mi vedi mi mandi affanculo.
Finirò per prenderlo come un invito… Josh lo sta guardando, malizioso. Ernest sta
al gioco: - Devo ripetermi o ti
ricordi come ti ho risposto prima? - Vedo che l’avere un
vicino non ti ha reso molto più socievole... - Fanculo,
nel caso tu non avessi capito. - …e
che la tua conversazione non ne ha guadagnato. - Fanculo! Ma questa volta scoppiano
tutti e due a ridere come matti. È bello stare con Josh,
scherzare con lui. È bello anche parlare con lui, che ascolta attento. Ernest
finisce per raccontargli anche dell’assillo del mutuo. Josh
conosce i padroni dell’albergo della cascata, l’unico che fa ancora affari a
pieno ritmo, perché è frequentato da una clientela danarosa, che anche in
questo periodo può permettersi di spendere. Vogliono rinnovare la sala,
magari potrebbero rivolgersi a lui. Ernest torna a casa tardi.
È contento della serata, è contento di aver visto Josh e di aver parlato con lui. Sta bene con Josh. Certo che se Josh
sospettasse che lui è gay…
Che cosa farebbe? Probabilmente nulla. Non si allontanerebbe. Rimarrebbe suo
amico. Il pomeriggio del giorno
seguente Terence viene a bussare. È sorridente: - Questa sera la scusa
degli amici in città non puoi usarla: in primo luogo è vecchia; in secondo
luogo se tu vai due sere di seguito in città, il sole domani sorge ad ovest. Quindi sei costretto ad
una scelta. Terence ci sa fare:
cordiale, ironico, gentile. Difficile dirgli di no. - E sarebbe? - O mi dici brutalmente di
no e poi sarai responsabile di due catastrofi… - Due catastrofi? - La mia crisi depressiva
e il tuo gomito della lavandaia… Ernest scuote la testa,
sorridendo. In ogni caso il gomito della lavandaia gli potrebbe venire lo
stesso: tanto gli tocca comunque farsi le seghe. Vero che come falegname è
bravo a usare la sega, però… Terence riprende: - … o mi dici di sì. Io
suggerirei la seconda ipotesi. Ernest annuisce. - Va bene, accetto il tuo
consiglio. Non ha motivo di
rifiutare. Ha capito i limiti entro cui deve muoversi e comunque è ben contento
di prenderselo in culo. La serata funziona, meglio
delle precedenti, perché Ernest evita i comportamenti che potrebbero
infastidire Terence. Subito dopo la scopata, ritorna
a casa. Mentre si spoglia per la notte, Ernest pensa che per la prima volta sta separando completamente il sesso dall’amore. Va bene.
Si dice che in fondo vive come prima, in pace, e in più scopa, il che non
guasta. Ben presto il ritrovarsi a
sere alterne da Terence diventa un’abitudine. Ogni volta Ernest se ne va
subito dopo che hanno scopato: Terence non fa mai un tentativo di
trattenerlo. Ernest continua a dirsi che va bene così. È ormai autunno, quando
infine Ernest ammette che non è vero, che non gli va bene così. Le scopate
suscitano in lui altri desideri. Quando torna a casa, subito dopo una serata
di sesso, sempre piacevole, Ernest sente che non gli basta. Prima non
avvertiva il bisogno di affetto, adesso sì, adesso la solitudine gli pesa. Ci
sono dei giorni in cui il senso di insoddisfazione è tanto forte, che Ernest non
ha nemmeno voglia di scopare. Allora si ritrae, dice che non si sente bene
(scusa poco credibile, visto che gode sempre di ottima salute). Terence
allora sfodera tutte le sue arti di seduzione: sa essere ironico e farlo
sorridere, lo coinvolge ed alla fine ottiene ciò che
vuole. Quando arriva l’inverno,
Ernest incomincia a pensare che anche le scopate non sono poi così
soddisfacenti: gli piacerebbe anche variare un po’, ma quando ha proposto a
Terence di farlo nel bosco (all’inizio dell’autunno, non ora che c’è la
neve), lui lo ha guardato come se fosse impazzito. Se Ernest esce dal
seminato, anche solo di mezzo passo, Terence sembra alzare immediatamente un
muro. Cambia faccia in un modo inquietante. Eppure Ernest
non tronca. Non se la sente più di rimanere da solo. Quando non scopa con
Ernest, va più spesso in città, ormai almeno una volta la settimana, con Josh che lo prende per il culo (beccandosi l’immancabile:
“Fanculo, Josh”) e gli
chiede del suo misterioso vicino, che non si vede mai in città. In effetti Terence sembra essere quasi più orso di Ernest
e di rado esce di casa. Una sera Josh gli porta una notizia favolosa: ha suggerito ai
proprietari dell’albergo della cascata di rinnovare la loro sala rivolgendosi
a lui e loro hanno accettato. Una commessa importante, da parte di gente che
pagherà. Per un po’ potrà vivere senza l’assillo del mutuo. Sono passati oltre sei
mesi dall’arrivo di Terence. L’inverno è arrivato, la neve copre i boschi.
Ernest lavora in modo assiduo: tra due mesi deve consegnare i mobili e i
rivestimenti per le pareti che gli hanno chiesto i padroni dell’albergo.
Adesso che il problema del mutuo è diventato meno pressante, Ernest è più
sereno, ma continua ad avvertire un’insoddisfazione di fondo nel suo rapporto
con Terence. Ernest sente il rumore del
motore di un’auto. Si stupisce. Non è quella di Terence, che ormai riconosce.
D’inverno è ben difficile che qualcuno si spinga fin da lui. Se hanno bisogno
di parlargli, gli telefonano. Guarda dalla finestra. La macchina della polizia:
è Josh.
Ernest lo vede molto volentieri. Gli apre la porta senza
aspettare che bussi e lo vede davanti alla casa di Terence. Sta suonando il
campanello, ma non ottiene risposta. Strano: a Josh
sembrava che Terence fosse in casa, non l’ha sentito andare via. Magari è a
spasso nei boschi. Che vorrà Josh da Terence? Josh si dirige verso la casa di Ernest. Gli
sorride, entra, saluta, scherza sul fatto che Ernest vive in mezzo ai lupi. - E come mai sei venuto da
queste parti, rischiando di farti divorare da un lupo famelico? La faccia di Josh ritorna seria. - Una brutta faccenda,
Ernest. Sto facendo il giro delle case isolate di tutta l’area. Ieri una
donna ha visto per strada, a Otterford, un uomo che
è ricercato dalla polizia in tutto il Canada e negli USA: un pluriomicida.
Forse quell’uomo era solo di passaggio qui. Forse no. Sto cercando di capire
se qualcuno l’ha visto e può aiutarmi a capire dove si trova ora. Ernest si sente a disagio,
non sa neanche lui perché. Josh tira fuori da una cartella che ha in
mano due foto e alcuni disegni di una stessa faccia, con e senza barba, con i
capelli corti e lunghi. - Dimmi se ti sembra di
aver mai visto quest’uomo. Ernest guarda le foto. Non
ha bisogno di osservare i disegni per riconoscere Terence in quelle immagini:
il volto è lo stesso, anche se rispetto alle fotografie ora porta i capelli
più corti e non ha più traccia di barba. Uno dei disegni corrisponde
perfettamente a come è adesso, a parte la pettinatura. Ernest si sente male.
Guarda le immagini e non riesce a parlare. - L’hai mai visto, Ernest? Ernest scuote la testa. A
fatica risponde, cercando di non tradirsi: - No, direi proprio di no. Josh annuisce. - È un assassino. Ha
ucciso molte volte, in luoghi diversi. Deve avere seri problemi mentali. È maledettamente
pericoloso. Un fottuto assassino pericoloso. Ernest ripete: - No, non l’ho mai visto. Josh china la testa. Riprende le fotografie e
i disegni. Li ripone. - Va bene. Se lo vedessi,
se ti ricordassi di averlo visto da qualche parte,
anche solo un sospetto, telefonami subito. Tu hai anche il mio cellulare. È
una faccenda maledettamente seria. - Lo farò. Josh esce. Ernest sente il rumore del
motore che si allontana. È turbato. Si siede sulla sedia. Si prende la testa
tra le mani. Perché ha mentito a Josh? Non è
innamorato di Terence, lo sa benissimo. Crede che sia innocente? Non lo sa.
No, non crede che sia innocente. Problemi mentali. Sì, anche lui ha colto
qualche cosa di inquietante nel comportamento di Terence. Perché non ha detto la verità a Josh? È una
follia. Se Terence è davvero un assassino, potrebbe uccidere ancora e lui ne
sarebbe responsabile. A Ernest pare di
soffocare. Si alza di scatto. Ha bisogno di prendere aria, di respirare.
Andrà a tagliare un po’ di legna. Prende solo l’ascia ed
esce. Sceglie il sentiero che porta al lago. Ci sono alcune betulle che vuole tagliare. Ne abbatterà una. Ha fatto pochi passi
quando sente un rumore alle sue spalle. Si volta. Terence lo sta seguendo.
Ernest intuisce: negli occhi del vicino legge la propria
condanna a morte. Terence deve averlo visto parlare con Josh,
che era in divisa. Ha intuito. Ernest non dice nulla. Lo guarda, muto. Anche Terence rimane zitto, ma lentamente
estrae la pistola. Ernest scatta a destra,
lasciando il sentiero. Mentre corre valuta le sue
possibilità. Il bosco è spoglio e non è molto fitto: non offre una protezione
sufficiente. Prendere la mira e sparare a un bersaglio in movimento tra gli
alberi non è facile e questo è l’unico punto a suo
vantaggio. Il problema è che correndo rischia di inciampare o cadere in
qualche fossa coperta dalla neve: Terence lo raggiungerebbe e potrebbe
ucciderlo senza difficoltà. Terence corre dietro di
lui. Si muove veloce, non ha bisogno di controllare dove mette i piedi: gli
basta seguire le sue orme. Merda! La prima pallottola gli
fischia a due dita dall’orecchio. Ernest sa di essere spacciato. Davanti c’è
una radura: allo scoperto Terence non avrà difficoltà a prendere la mira e
sparare. Merda! C’è un grosso pino davanti
a lui, ai margini della radura. Un’idea gli passa per la testa. Si ferma
dietro il tronco. Terence è vicinissimo. Ernest si sporge e lancia l’accetta,
mentre Terence spara. Ernest sente un violento dolore alla spalla. Cade
malamente a terra e la neve cede sotto i suoi piedi: precipita in una fossa.
Raggiunge il fondo e sente una fitta lancinante alla gamba. Quando il dolore gli
permette di riaprire gli occhi, Ernest si guarda intorno. È al fondo di una
buca, non molto profonda, ma con le pareti quasi verticali. Ha sicuramente
una gamba rotta e dalla ferita alla spalla perde sangue in abbondanza. Questa
buca sarà la sua tomba. Ha colpito Terence, lo sa: prima di cadere per il
colpo ha fatto in tempo a vedere che l’ascia aveva raggiunto il bersaglio. Ma
non è detto che l’abbia ucciso. Se è ancora vivo, Terence può trascinarsi
fino alla fossa e finirlo senza nessuna difficoltà: Ernest non avrebbe
nessuna via di scampo. E anche se l’ha ucciso e
non ha più nulla da temere da parte sua, Ernest non potrà risalire in
superficie, nelle condizioni in cui si trova. Neanche a parlarne. Nessuno lo
troverà mai. Nessuno passa da quelle parti. Ci vorranno giorni e giorni perché qualcuno si accorga della sua scomparsa e
prima che lo cerchino, il suo cadavere sarà già stato divorato dagli animali
dei boschi. Perché ha mentito a Josh? Ernest non vuole
arrendersi. Prova a muoversi, ma quasi sviene per il dolore. Deve provarci,
almeno provarci. Sulla gamba destra e sulla spalla
sinistra non può contare. Si trascina sul lato sinistro del corpo, cercando
di non appoggiare la spalla, e si afferra con la mano destra a rami e radici
sporgenti. Lentamente, riesce a spostarsi un po’ in avanti, verso il punto in
cui la parete della fossa è meno inclinata. Ernest striscia in quella
direzione, stringendo i denti per non sentire il dolore. Si muove piano, si
aggrappa a tutto quello che trova. Ha percorso forse un metro, ma è tutto
sudato e gli sembra di essere esausto. Il dolore alla gamba e alla spalla è
una pulsazione continua. Ernest chiude gli occhi e stringe i denti. Il
terreno ora si fa più inclinato. Deve riuscire a issarsi fino a mettersi
appoggiato contro la parete, sostenendosi sulla gamba sana. Deve farcela.
Ogni movimento è un’agonia. Ernest ha un conato di vomito. Non ce la fa, non
ce la può fare. Deve farcela, deve
almeno provare. Lentamente, con una fatica
atroce, cercando di ignorare la sofferenza, riesce a sollevarsi un po’. Si
aggrappa a una radice. Si tira ancora un po’ su. Si
appoggia con il corpo contro la parete. Ce l’ha
fatta. Guarda in alto. E allora capisce che è
finita. Non potrà proseguire. Salire è impossibile, anche se il bordo della
fossa è ad appena una spanna sopra il suo braccio teso. Il dolore è troppo
violento, non ce la farebbe mai ad issarsi. Morirà
assiderato nella notte, se non muore dissanguato prima. Ernest chiude gli occhi,
appoggia il viso contro la terra. Perché ha mentito a Josh? In quel momento sente il
grido: - Ernest! Ernest! Non è la voce di Terence.
È la voce di Josh. Ernest guarda il soffitto della
camera. Bianco. Il medico gli ha detto che
l’operazione è andata bene: la spalla ritornerà perfettamente a posto, il
proiettile non ha fatto grandi danni, Ernest è stato davvero fortunato. Anche
per la gamba, nessun problema: una brutta frattura, ma guarirà in un tempo
ragionevole. Tornerà a casa tra poco e dovrà cercarsi qualcuno che gli dia
una mano: un lungo periodo di riposo è necessario, ha detto il dottore, ma
tra due mesi potrà riprendere il lavoro. Ernest vorrebbe essere
morto. La commessa dell’albergo della cascata è sfumata: tra due mesi avrebbe
dovuto consegnare il tutto. Altri lavori non può
farne. Non pagherà il mutuo. Perderà la casa. E poi ci sono i guai con
la polizia. Ha mentito ad un agente che ricercava un
pericoloso assassino. Perché Josh non lo ha
lasciato morire nella buca? Josh entra sorridente e chiude la porta alle
sue spalle. - Buongiorno! Il dottore
mi ha detto che stai benissimo… - Fanculo,
Josh. È detto di cuore, dal
profondo dell’anima. Ernest se ne fotte se Josh si
incazza e lo manda in galera per complicità. Ormai non gli resta che spararsi
un colpo. Josh però ride. - Il male passerà e
riprenderai a lavorare in un paio di mesi. Ernest chiude gli occhi. - Tra un paio di mesi mi
avranno tolto la casa perché non pago il mutuo. Josh ride. Ernest ripeterebbe volentieri
quanto detto prima. - Tu puoi pagare il mutuo
e comprarti anche la casa del tuo vicino, tanto la metteranno all’asta. - Che cazzo dici? Josh è serio, ora: - Quel tizio aveva
ammazzato sette persone, Ernest. Era uno psicopatico: si metteva con un uomo,
poi dopo qualche mese lo faceva secco e scompariva nel nulla. C’è una taglia sulla sua testa, una grossa taglia. Messa dai
familiari di due vittime. Ve la dividerete in due: la donna che l’ha
riconosciuto ed il cittadino che l’ha identificato
come il suo vicino di casa, ha rischiato di venire ucciso ed è invece
riuscito ad ammazzarlo. Se Josh
non fosse buono come il pane, Ernest giurerebbe che lo sta prendendo per il
culo e che vuole fargli pagare cara la mancata collaborazione. Ma che Josh lo stia prendendo per il
culo ci sta anche, che si vendichi no. - Josh,
non so se sei rincoglionito con l’età… Josh emette una specie di grugnito. Ha un
anno in meno di Ernest. - … o se eri scemo già da
bambino... però le cose non sono andate proprio così. - Cosa? C’è scritto tutto
nel rapporto di polizia. Tu hai identificato l’assassino e mi hai aiutato a
cercarlo, ma lui ti ha sorpreso e ti ha sparato. Vorrai mica
insinuare che il rapporto è falso? Mi faresti perdere il posto,
brutto stronzo! C’è un momento di
silenzio. A Ernest la faccenda appare irreale, ma sa benissimo che è vero.
Non perderà la casa. Non è rovinato. - Cazzo, Josh! Ma perché lo stai facendo? Sono stato uno stronzo.
Ti ho mentito. Ho protetto un assassino... Josh non dice nulla. Ernest finalmente riesce a
dire quanto gli preme in gola da tempo: - Scusami,
Josh. Ho fatto una cazzata. Sono rimasto sconvolto
quando mi hai fatto vedere le foto. Josh annuisce. Non sorride più. - Va bene così, Ernest. La
tua faccia diceva tutto. Per quello non me ne sono andato: ho parcheggiato
l’auto poco lontano e sono tornato indietro. Sapevo
che me l’avresti detto se ti avessi messo alle strette, ma in quel momento mi
sembravi troppo angosciato e ormai la risposta giusta la sapevo. Di nuovo silenzio. È Josh a riprendere, incerto: - Gli volevi…
gli volevi molto bene? Ernest guarda Josh.
Qual è il senso di quella domanda? Josh deve aver
capito che loro due erano amanti (non che ci volesse molto, visto che Terence
ammazzava gli uomini con cui aveva avuto una
relazione), ma perché vuole sapere? Ernest scuote la testa. - No. Stavo bene con lui. Non è vero, non è neanche vero, ma è complicato spiegare. Ernest prosegue: - Erano anni che… non stavo con qualcuno. Mi sono lasciato sprofondare
nella solitudine. E quando Terence… o come cazzo si
chiamava… è arrivato…
avevo bisogno di qualcuno, Josh. Ho capito che non
stavo bene da solo. Volevo la solitudine, ma… Ernest non riesce a
spiegare. Conclude: - No, non ero innamorato, Josh. Josh sorride. Sembra contento. Ernest chiede: - Tu avevi capito? Insomma… che io… Ernest si sente un po’ in
imbarazzo a dirlo. È Josh a concludere per lui: - Se avevo capito che ti
piacciono gli uomini? Cazzo, Ernest, è almeno un anno che ti faccio la corte
in tutti i modi, ogni volta che ti vedo. Ernest guarda allibito Josh. Certo, è vero che quando si vedono
Josh è molto cordiale… Ma
lui non ha mai capito… Non riesce a rispondere
direttamente. Devia un po’ il discorso: - Ma se non ci vediamo
quasi mai! - Certo, ma non sono io
che me ne sto tra i lupi. Ernest sorride. C’è
qualche cosa che si sta dilatando in lui, una sensazione di euforia. Il senso
di oppressione di mezz’ora fa è svanito nel nulla. - Tra i lupi? Non ti piace
la casa dove abito? - Il posto è bellissimo.
Ma da solo non ci starei mai. La domanda viene spontanea
alle labbra di Ernest: - E in due? Josh sorride. - Con la persona giusta… Ernest alza il braccio
sano. - Avvicinati un po’. Josh si avvicina. Ernest gli prende una mano
e lo attira verso di sé. - Fatti guardare negli
occhi. Ma l’intenzione di Ernest
non deve essere quella di guardare Josh negli
occhi, perché quando Josh si china su di lui, gli
passa la mano dietro la testa e lo costringe ad abbassarla fino a che le loro
labbra si toccano. E dopo il bacio, la lingua
di Josh si infila nella bocca di Ernest, mentre la
sua mano scivola sul corpo del paziente. Forse ha bisogno di un appiglio ed
Ernest, che è molto buono, è ben lieto di fornirgliene uno, che sta già
acquisendo la consistenza giusta. Infatti Josh stringe bene e ritrova l’equilibrio. Ernest toglie la mano che
teneva la testa di Josh. Josh lo bacia ancora e poi lo
accarezza. La mano sinistra (perché la destra è sempre occupata più sotto)
gli passa tra i capelli, si impiglia tra i peli della barba, due dita si
infilano tra le labbra ed Ernest le mordicchia. È bello sentire la carezza
della mano di Josh sul viso, sulle guance, è bello
sentire il bacio di Josh sugli occhi. Josh è tenero e delicato. Si baciano ancora, con
dolcezza, senza parole. Il dottore non sarebbe per
niente contento se scoprisse che il paziente, operato due sere prima, si sta
dedicando a un’attività che rischia di far salire la temperatura corporea. Ma
Josh ha detto chiaro e tondo che nessuno deve
entrare nella camera. Ci sono dei vantaggi a essere un poliziotto. Sono passati altri sei
mesi. Sei mesi in cui Josh (nel tempo libero) ha
fatto da infermiere, cuoco, autista e assistente a Ernest. Da uomo delle
pulizie no, Ernest ha fatto venire una gentile signora due giorni la
settimana, in alcune delle ore in cui Josh era al
lavoro: a Josh ha detto che come uomo di casa è una
frana, anche se come cuoco si salva. Josh ha ovviamente richiesto un compenso
adeguato ed Ernest ha dovuto rassegnarsi a pagare in natura, di solito la
sera (talvolta invece di mattina). Ernest però fa pagare a Josh l’affitto della casa (Josh
si è stabilito da lui), sempre in natura (di mattina, talvolta invece la
sera): hanno una contabilità molto complessa, ma nessuno dei due si lamenta,
anche se qualche volta paga di nuovo quello che ha già pagato la sera (o la
mattina) prima. Ernest ha ripreso a
lavorare ed ha completato i mobili per l’albergo della cascata: gli hanno
concesso di ritardare la consegna. Josh dice che lo
hanno fatto perché volevano a tutti i costi avere i mobili fatti dall’uomo
che ha ucciso un famoso assassino (un elemento di attrazione per gli
immancabili turisti della cronaca nera). Ernest invece suppone che anche
questa volta sia intervenuto Josh. L’estate è calda ed Ernest
è felice. Ernest sarebbe felice anche se l’estate
fosse fredda. Ernest è felice e basta. Oggi è piovuto, parecchio,
ma un’ora fa è tornato il sole. Le foglie degli aceri hanno tutte diamanti di pioggia sulla superficie. Josh arriva nel tardo pomeriggio. Avranno una
lunga serata insieme, il sole tramonta tardi. Josh scende dall’auto, ma non si dirige verso
la casa. Guarda Ernest che è uscito ad accoglierlo sulla porta. Ghigna e
dice: - Che ne diresti di farci
un giro nel tuo nuovo bosco? Con una parte dei soldi
della ricompensa Ernest si è comprato un nuovo appezzamento di terreno,
contiguo alla sua proprietà. È un’area selvaggia, con un laghetto e
pochissimi sentieri. Ernest sa benissimo che cosa significa la proposta di Josh: scopare nel bosco. Lo hanno già fatto altre volte. Ernest finge di essere
perplesso, ma in realtà ha una voglia matta di andare. - È tutto fradicio. Ci
sarà da infangarsi. - Ci laviamo nel laghetto. Ernest sospira: - Va bene, prendo le
chiavi della jeep. Solo per farti piacere. Ma questa sera lavi tu i piatti. - Potresti anche comprarti
la lavastoviglie, con tutti i soldi che hai… Salgono sulla macchina.
Non si sono baciati, non si sono toccati. Ernest vede benissimo il rigonfio dei
pantaloni di Josh. Vorrebbe saltargli addosso. Ma a tutti e due piace
stuzzicarsi così. Ernest sente l’odore di Josh. Gli
piace da impazzire l’odore di Josh, quando è
sudato. Josh lo sa. Tornando in auto non deve aver
acceso l’aria condizionata apposta, per arrivare tutto sudato. Percorrono un pezzo di
strada nel bosco, poi Ernest si ferma: la sterrata diventa un sentiero,
alquanto fangoso, non è più possibile proseguire. Josh incomincia a spogliarsi, lentamente.
Posa gli abiti sul sedile posteriore, senza dire una parola, senza toccare
Ernest. Ma lo guarda, non distoglie un attimo gli
occhi da lui. Ernest lo fissa, la gola secca ed il cazzo duro. Rimane vestito. Josh si toglie i pantaloni. Non ha niente
sotto, salvo un magnifico cazzo bello teso verso l’alto. Di sicuro non è
andato al lavoro così. Si sarà tolto gli slip prima di arrivare. Josh ha finito. Guarda Ernest, sorride e
scende dall’auto. Prende il sentiero e si dirige verso il laghetto. Ernest
guarda Josh. La schiena di Josh,
larga, forte: Josh è un tronco d’albero. Il culo,
robusto, peloso. Le gambe, possenti. Ernest sa che, se appena si toccasse,
verrebbe in questo momento. Ernest si spoglia in
fretta. Scende dall’auto e segue Josh, ma questi
scatta di corsa e scompare in mezzo alla vegetazione, che vicino al lago è
piuttosto fitta. Ernest lo perde di vista. Dove cazzo si è nascosto? A che
gioco sta giocando? Allo stesso gioco a cui sta giocando lui, tutti e due con
il cazzo duro e una voglia matta di scopare, ma decisi a stuzzicarsi. Ernest avanza guardandosi
intorno. Josh gli salta addosso di colpo,
mandandolo a terra: si era nascosto dietro un cespuglio. Josh
lo schiaccia al suolo, ma Ernest cerca di liberarsi
e rotolano avvinghiati. Il terreno è bagnato e fangoso, si infradiciano in
fretta. Josh ha bloccato le braccia di Ernest e gli
impedisce di muoversi. I loro corpi nudi aderiscono, quello di Ernest preme
sul terreno umido. - Ti arrendi? Ernest borbotta,
fingendosi indignato: - Fanculo,
Josh! Mi hai preso a tradimento. - Sì, è quello che sto per
farti… Ripeto, ti arrendi? - Ho qualche scelta? - No. Ernest sospira, ma non ce
la fa più. Quel bel cazzo che gli preme sul culo lo sta facendo impazzire. - Va bene, mi arrendo. Josh lo molla, si mette in ginocchio e
incomincia a mordergli il culo, poi passa a leccare il solco, con cura,
indugiando con la lingua sul buco. Ernest mugola. Josh
si stende su di lui ed incomincia a mordicchiargli
un orecchio, poi l’altro, poi gli passa la lingua sul collo. Ernest non ce la
fa più. Josh si tira su e accarezza il culo di Ernest
con le mani, lo strapazza un po’, stringendo deciso, poi gli accarezza la
schiena. Ernest sospira, si tende e con uno scatto si solleva e rovescia Josh, gettandolo a terra. Rotolano tutti e due sull’erba
bagnata e il fango, ma questa volta Ernest è sopra. Blocca Josh, che non oppone troppa resistenza, e gli infila un
dito in culo. Josh sussulta. Il culo di Josh è sporco di fango, per cui Ernest ritiene superflui
i convenevoli e passa rapidamente al dunque. Muove
un po’ il dito, lo toglie ed al suo posto infila un
cazzo caldo e duro. Josh ha un guizzo. - Cazzo, Ernest! - Sì, è un cazzo. Hai
indovinato subito! Ernest lascia che Josh tiri un po’ il fiato, poi si mette al lavoro,
seriamente, dandoci dentro. Stringe quel bel culo con le mani impiastricciate
di fango e spinge ben bene la sua mazza ferrata, fino in fondo, mentre Josh geme. Sente il piacere che cresce e che infine
esplode. Riempie il culo di Josh del suo seme. Poi si volta di lato,
forzando Josh ad assumere la stessa posizione, ed afferra il cazzo di Josh con
la mano. Il cazzo di Josh è bagnato e sporco di fango, ma caldo e duro. La mano di Ernest completa
l’opera, imbrattandolo completamente. Ernest lo guarda e si dice che è
bellissimo, che non ha mai visto niente di più bello. Anche Josh
viene presto, anche per lui il desiderio era troppo forte. Rimangono distesi,
esausti, poi Josh si stacca. Si alza. Guarda
Ernest, ancora disteso a terra, sporco di fango. Senza preavviso, incomincia
a pisciargli in faccia. - Che cazzo fai? Come se fosse la prima
volta! - Ti pulisco,
Ernest, sei sporco come un maialino. - Fanculo,
Josh! Ernest aspetta che Josh abbia finito, poi si solleva e gli si lancia
addosso. Rotolano di nuovo a terra. Si baciano, appassionatamente. Poi Josh
si solleva e aiuta Ernest ad alzarsi. Si dirigono verso il lago, ma Josh afferra a
tradimento Ernest e lo spinge contro un albero. Ernest si appoggia al tronco
per non cadere e sente di nuovo il corpo di Josh
che preme sul suo. - Questa volta non mi
scappi. Ernest non intende
provarci, anche perché quello che sente contro il culo gli toglie il fiato. Josh questa volta entra anche lui senza perdere tempo. Il desiderio è meno
impetuoso e Josh ci dà dentro a lungo, tanto a lungo che Ernest perde la nozione del tempo. Chiude gli
occhi e lascia che il mondo scompaia: rimangono solo le mani di Josh che lo stringono, il cazzo di Josh
che gli scava le viscere, la bocca di Josh che lo
morde e la tensione che cresce di nuovo, tanto intensa da essere
intollerabile. E infine vengono insieme, appoggiati al tronco dell’albero. Dopo, quando entrambi sono
riemersi dal piacere, si staccano. Josh guarda il
tronco, sporco di fango. Guarda le gocce di seme di Ernest sul muschio che
copre la corteccia. Lo raccoglie con un dito e se lo mette in bocca,
fregandosene del fango. Poi abbraccia Ernest e lo
bacia, sulla bocca, mentre gli infila un dito in culo. - Josh! Dopo che si sono baciati, Josh gli dice: - Sai una cosa, Ernest?
Sei lurido e puzzi come un maiale. Faresti meglio a lavarti. - Fanculo, Josh 2011 |