La doccia

 

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      Sono fradicio di sudore e stanco morto: per quanto vada regolarmente in palestra, devo dire che fare il muratore sotto questo sole cocente è un’altra faccenda. Ma sono contento della giornata: abbiamo sistemato tutto il muro verso il fiume e quella parte almeno è a posto. Mi aspettano ancora quattro giorni di lavoro, ma dovrebbero essere meno pesanti. E in ogni caso sono ben contento, come tutti, di dare una mano a Mattia per completare la sistemazione dell’agriturismo. È un buon modo per passare cinque giorni di ferie: dovremmo finire per venerdì sera, in modo da lasciare le camere per gli ospiti paganti in arrivo per il fine settimana.

Entro nei miei appartamenti, come li ha chiamati Enzo. Gli amici sono alloggiati nella casa più in alto, che di solito Mattia apre solo per il week-end. Una camera per me non c’era, avrei dovuto dormire insieme agli altri, magari con Marcella e Fabrizio e il piccolo Ezio. Gli altri amici sono tutti sposati e con figli: non mi sembrava proprio il caso di invadere il loro spazio e, a dirla tutta, non avevo neanche molta voglia di sopportare i bambini. I bimbi mi piacciono, ma non quando si svegliano strillando alle tre di notte. L’altra possibilità era sistemarmi nella casa dove anche in questi giorni ci sono gli ospiti paganti, ma occupare una stanza proprio in alta stagione sarebbe stato assurdo: Mattia ha bisogno del denaro che guadagna affittando le camere, mettere in funzione l’agriturismo gli è costato una barca di soldi.

Così Mattia mi ha proposto di dormire nei locali di fianco alle vecchie scuderie. È un’ala non più usata, che Mattia prima o poi provvederà a ristrutturare, quando avrà i mezzi. Ci sono tre camere, con il gabinetto e una doccia comune. Ma io sono il solo ospite, per cui ho uno spazio enorme a disposizione. Posso dormire ogni notte in un letto diverso!

Salgo la scala esterna, entro e mi tolgo scarpe, pantaloni e slip. La maglia non ce l’ho addosso: sarebbe stata tutta inzuppata di sudore. Esco e percorro il corridoio fino al grande spazio delle docce.

Sono appena entrato quando avverto la sensazione, fortissima. So di non sbagliarmi: qualcuno mi sta guardando. Ho sempre avuto un sesto senso per questo, anche se Andrea dice che sono tutte storie. Non mi accorgo se qualcuno mi lancia uno sguardo: sento se mi fissano. E adesso qualcuno mi sta fissando.

Apro il rubinetto della doccia e do un’occhiata in giro, facendo finta di niente. Sulla parete opposta la parte alta del muro ha molte aperture, probabilmente è stata fatta così per favorire la dispersione del vapore. Chi mi osserva è lì, anche se non posso vederlo. Controllo la temperatura dell’acqua e giro la manopola finché è quasi fredda, come mi piace. Ma continuo a sentirmi addosso lo sguardo di qualcuno. E avverto la tensione che cresce. Il cazzo incomincia a riempirsi di sangue e a irrigidirsi. Questo è l’effetto che mi fa sapere che qualcuno mi sta spiando mentre sono nudo o magari mentre scopo. Sì, non faccio fatica ad ammetterlo: sono un esibizionista. Mi è sempre piaciuta l’idea di essere guardato mentre sono nudo e diverse delle foto che ho messo su Internet sono alquanto audaci, al limite del sito porno. Per dirla tutta, ci sono anche quelle che non lasciano molto spazio alla fantasia, ma ovviamente non sono sulla mia pagina di Facebook. In sauna, quando scopavo, lasciavo sempre la porta aperta: l’idea che qualcuno mi potesse vedere mi eccitava ancora di più.

Chi può essere? Qualcuno dei nostri amici, mi sembrerebbe molto strano. Sposati, padri di famiglia, dovrebbero essere poco interessati ad altri uomini (le esperienze con uomini sposati mi hanno dimostrato il contrario, è vero, ma loro sono amici miei e sanno benissimo che se vogliono vedermi nudo, hanno solo da dirlo. E se vogliono andare oltre, che problemi ci sono? Insomma, perché prendere di nascosto ciò che ti danno gratis? Tra i miei tanti difetti, non c’è la mancanza di riservatezza, per cui non avrebbero nulla da temere). I bambini sono troppo piccoli. Qualcuno degli uomini che lavorano per Mattia? Forse… non li conosco.

Perché sono sicuro che sia un uomo? Non sono in grado di rispondere.

Intanto il cazzo è bello teso, in orizzontale, ed io mi metto sotto la doccia. Prima rimango rivolto verso la parete, in modo da mettere bene in mostra il culo. Poi mi giro, così si vede bene anche il cazzo, che sta tendendosi ancora di più. Incomincio a insaponarmi, con cura, e nel farlo bado a farmi vedere completamente, lato A e lato B, in modo che chi mi sta guardando possa apprezzare tutto. Quando mi insapono il culo, mi volto in modo che possano vedere il sapone che scorre lungo il solco, due volte. Mi chino anche un po’, per insaponarmi i piedi, in modo che vedano il mio culo bello aperto.

Quando mi volto, il cazzo è ormai duro come una pietra e perfettamente verticale. Mi insapono a lungo i coglioni, mettendoli in mostra. Sono grossi e pelosi e ne vado orgoglioso. Sì, lo so, oltre a essere esibizionista, sono anche narcisista.

Poi mi insapono la base del cazzo.

Rimango sotto la doccia a lungo, molto più del solito, girandomi più volte. Lascio che il sapone mi sfugga di mano tre volte, chinandomi ogni volta per raccoglierlo. Se al tizio piace il mio culo, ha avuto modo di vederlo in ogni dettaglio. Se gli interessa di più il cazzo, è pronto all’uso.

Infine chiudo la doccia e rimango un attimo in ascolto, dando la schiena alla parete con le aperture. So che lui è ancora là, ne avverto lo sguardo. Se non è ancora venuto, dev’essere fatto di pietra.

Sorrido, poso il sapone e prendo l’asciugamano. Anche strofinarsi è un’arte. Per asciugare le gambe e i piedi, bisogna chinarsi. Il culo va asciugato bene, facendo passare l’asciugamano nel solco e premendo bene sul buco. Il cazzo va asciugato con delicatezza, accarezzandolo. E i coglioni pure.

Ora sulla punta del cazzo c’è una goccia. Se mi strofino ancora un po’, sarò io a venire, ma non intendo farlo. Oggi non voglio dargli questa soddisfazione. Sì, lo so, sono un po’ stronzo: l’ho fatto eccitare e poi lo lascio a bocca asciutta. Ma lui non si è neanche fatto vedere.

Torno in camera. Qui le pareti sono normali e nessuno mi può spiare. Peccato. Mi chiedo se farmi una sega, ma preferisco rimandare. Mi piace lo stato di tensione in cui mi trovo. Non manca molto alla cena, io e Fabrizio abbiamo lavorato fino all’ultimo. Mi rivesto, facendo un po’ fatica a infilare i jeans. Mi metto una camicia a maniche lunghe, tanto le serate sono fresche e poi nasconde meglio la protuberanza.

A tavola c’è un gran casino. Siamo quindici adulti e otto bambini. Dopo cena ci riuniamo con Mattia per discutere i lavori di domani. Mattia fa i complimenti a tutti per come abbiamo lavorato e in particolare a me e a Fabrizio che abbiamo finito in un giorno un lavoro che pensava richiedesse più tempo. Leo ironizza sul fatto che finché c’è da usare i muscoli, io e Fabrizio siamo bravissimi, basta che non ci chiedano di usare il cervello. Lo mandiamo a fare in culo con effetto stereo (io voce da baritono, Fabrizio da basso).

Più tardi riesco a rimanere un momento con Mattia e gli chiedo delle persone che lavorano con lui, come se fosse una pura curiosità da parte mia o un generico interesse per la sua attività. Lasciando da parte le donne, ci sono solo due istruttori di equitazione. Entrambi abitano in zona e quindi non cenano nella cascina. Si chiamano Federico e Antonio.

Possono avermi visto arrivare ieri sera o, più probabilmente, in giornata mentre lavoravo. Gli sono piaciuto (sì, d’accordo, sono anche un po’ narciso, l’ho già detto, ma se metto piede in un locale gay ho sempre uno sciame che mi ronza attorno, vorrà ben dire qualche cosa, no?). La vecchia scuderia è usata come deposito di materiali, per cui tutti e due ci vanno. Sono i due indiziati principali.

Il risultato del colloquio con Mattia è che mi torna duro.

Non andiamo a dormire tardi: fare il muratore per nove-dieci ore concilia il sonno. Ma prima di mettermi a dormire, mi spoglio completamente e ritorno nel locale delle docce. Non c’è nessuno a osservarmi, lo sento. Mi spiace.

 

Il lavoro prosegue. Dato che sono giovane e forte, mi tocca fare lo sterratore e tra il muratore e lo sterratore, non è facile scegliere. Cazzo! Se proseguo così, questi cinque giorni mi serviranno più di un mese di palestra. Sempre che sopravviva, naturalmente, perché non è detto.

Ci do dentro tutto il giorno. Voglio finire il lavoro, anche se Fabrizio a un certo punto dà forfait: lo prenderò per il culo tutta la sera, sempre che riesca a tenere gli occhi aperti dieci minuti dopo cena. Anche questo non è detto.

Pure questo lavoro è concluso, con i complimenti di Mattia. Mi fanno molto piacere, perché di Mattia ho grande stima. Raggiungo i miei appartamenti. Appena salgo sul primo gradino, ripenso al tipo che mi spiava. Spero che ci sia anche questa sera. Lo desidero.

Raggiungo direttamente la stanza delle docce, ancora vestito. C’è. Ne avverto la presenza. Guardo verso la parete con le aperture. Dietro si intravedono vari oggetti. Non vedo occhi, ma da qualche parte ci sono. E mi stanno fissando. Sorrido.

Mi chino e mi tolgo una scarpa, poi l’altra. Le metto in un angolo, tanto il locale è grande: ci sono sei docce. Poi mi sfilo i pantaloni. Lo faccio molto lentamente, dando il culo al tipo che mi spia. Piego i pantaloni e li metto insieme alle scarpe. Voglio farlo cuocere a fuoco lento, questa sera. Il cazzo mi sta già diventando duro e un po’ mi dispiace: vorrei farglielo sospirare. Rimango in slip e mi guardo intorno, come per farmi un’idea della stanza. Poi, sempre senza fretta, mi abbasso un po’ le mutande, finché ho il culo fuori, ma il cazzo, ormai piuttosto teso, ancora coperto. Scorro ancora le pareti con gli occhi. Infine faccio scivolare lo slip. Lo guardo. Lo avvicino al viso. Annuso l’odore, di sudore e di piscio: quando ho pisciato, ho lasciato che qualche goccia bagnasse lo slip. Mi piace l’odore, mi è sempre piaciuto. Mica solo l’odore: anche il gusto.

Sì, lo so, sono un porco. Ma solo al 50%. Per l’altro 50% sono una troia. Ci tengo a mettere i puntini sulle i. Se no la gente si fa un’idea sbagliata di me.

Mi passo lo slip sul viso, poi lo faccio scendere dietro, lungo il solco, come se mi pulissi il culo e lo annuso di nuovo, poi lo getto lontano, verso i pantaloni. Ora ho il cazzo duro. Con la destra, lentamente, mi accarezzo. Me la passo sul torace, poi sul ventre, infine sul cazzo. Stringo i coglioni, con una certa forza, gli do qualche colpo con le dita della mano (sì sono pure masochista, ma anche lì solo al 50%, per l’altro 50% sono sadico: quando mi strizzo i coglioni godo come masochista e come sadico; sono i vantaggi di essere versatile).

Poi mi volto, in modo che il tipo possa vedermi da dietro. Le mie mani accarezzano il culo, lo pizzicano un po’, poi un dito scorre lungo il solco, tre volte. La quarta arriva fino al buco, stuzzica un buon momento, poi si infila dentro, piano, piano. Lo sento avanzare e gemo. Lo spingo ancora un po’ e gemo di nuovo. Mi chino in avanti, in modo che possa vedermi bene. Estraggo il dito e, sempre rimanendo chinato in avanti, ritorno alla carica, facendone avanzare due. Gemo ancora, forte. Poi tolgo le dita. Mi rialzo. Le guardo. Le annuso. Le faccio passare sul ventre e poi sul torace.

Sì, d’accordo, le ho tutte. In effetti, quando si parla di sesso e dintorni, ci sono poche cose che non mi interessa fare. A parte bambini, ragazzini e il genere femminile (ma devo confessare che per l’ultima categoria ho avuto alcuni cedimenti), ho provato quasi tutto.

Cadaveri no, non mi interessano, anche se quando ho letto quel racconto dell’agente che strangola un trafficante di armi e poi lo incula, mi è venuto duro. Non ho mai avuto occasione di strangolare nessuno, per cui non ho provato. Se mi dovesse capitare, magari vedo che effetto fa. Purché sia un bel maschio. Diciamo purché sia un maschio. Insomma, in fondo non è che capiti tutti i giorni di strozzare qualcuno, non si può andare tanto per il sottile.

Anche gli animali non è che mi interessino molto. Però, farsi inculare da un leone… un bel leone con una grossa criniera, che te lo mette in culo… Temo che non mi succederà mai. Forse, se avessi un amico in un circo, potrei provare. Anche un cavallo andrebbe bene, evitando di farselo mettere dentro tutto. Una volta con Andrea siamo andati a vedere la monta di un toro, alla fattoria di un suo amico. Cazzo! Che spettacolo! Mi sarebbe piaciuto essere al posto della vacca.

Sto divagando, ma intanto il cazzo è bello duro e io me lo accarezzo un po’. Sento gli occhi del tipo su di me. Vorrei che venisse qui. So che lo sto facendo impazzire, ma lui sta facendo impazzire me.

Mi volto verso la parete con i rubinetti e apro una delle docce. Come ieri, mi lavo molto lentamente, mi insapono con grande cura, metto in mostra tutto. Anche questa volta alla fine sono sul punto di venire. Allora giro il rubinetto, finché l’acqua è gelida. Rimango un buon momento sotto, poi mi tolgo. La tensione è un po’ calata. Posso asciugarmi senza rischiare di venire, ma quando ho finito tutta la manovra, sono di nuovo sull’orlo. No, questa soddisfazione non gliela voglio dare.

Esco dalla doccia, prendendo i pantaloni e le scarpe. Lo slip lo lascio lì, così il tipo può dare ancora un’occhiata (bastardo dentro? Sì, avete azzeccato). Raggiungo la mia stanza. Sono teso. Stuzzicare il tipo è divertente, ma sono insoddisfatto. Sono eccitato, vorrei un cazzo o un culo. Questa faccenda è assurda, finisce che mi eccito io più di lui. Magari è impotente, per quello spia gli altri.

Sono nervoso. Mi rendo conto che sono in ritardo per la cena. Mi vesto in fretta e scendo. Quando arrivo, Fabrizio mi prende per il culo, pensava che non sarei più arrivato, che non fossi più in grado di muovermi dopo la fatica di oggi. Gli rispondo per le rime. Gli altri ridono. Mattia mi fa di nuovo i complimenti, propone di assumermi. Mi dice che posso fermarmi anche tutta l’estate, tanto i miei appartamenti non vengono affittati agli ospiti. Io rido, come tutti, e gli rispondo a tono. Scherziamo, ma per tutta la serata rimango insoddisfatto.

Quando torno in camera, mi metto subito a letto e dormo come un sasso. Ma verso il mattino mi sveglio, il cazzo duro come una pietra, pensando al tipo che mi spia. Vado nella doccia, ma non avverto la sua presenza. Vorrei farmi una sega, ma voglio che lui mi veda.

Torno in camera. Prendo dal borsone un paio di slip. Intanto mi viene in mente che ieri ho lasciato di là il paio che indossavo, quello che con cui mi sono divertito davanti al tizio. Meglio che li ritiri. Mi dirigo al locale della doccia. Le mutande non ci sono più. Come cazzo… C’erano ieri sera prima di cena. Nessuno è entrato qui. Che cazzo ne so, se qualcuno è entrato? Non ho mica chiuso a chiave! Quel figlio di puttana… Durante la cena o nella notte, mentre dormivo... Pezzo di merda!

Sono sicuro? Sì, sono sicuro di aver lasciato quel fottutissimo slip qui. A ogni buon conto torno in camera a controllare, ma ovviamente non c’è.

 

Oggi il lavoro è stato meno faticoso, ma comunque non abbiamo scherzato. Mattia ha riservato a me e a Fabrizio i compiti più impegnativi a livello fisico ed è sensato che sia così. Però che fatica! In palestra ci do dentro, ma è un’ora, al massimo due. Qui sono otto, nove ore. Sì, potrei prendermela più comoda, ma c’è tanto da fare e siamo venuti qui per dare una mano a Mattia, non per grattarci i coglioni.

Mi dirigo ai miei appartamenti, ma sono nervoso. Spero che quel bastardo non ci sia, che sia andato a farsi fottere. Ieri e l’altro ieri l’idea della sua presenza mi divertiva, mi piaceva, mi eccitava. Oggi mi dà fastidio. L’idea che sia entrato in questa ala della casa di notte mi manda in bestia. Mi viene addirittura da pensare che potrei parlarne a Mattia, dire che mi è sembrato di vedere qualcuno, che mi è scomparso uno slip, ma poi mi dico che è meglio di no. Non voglio fargli perdere tempo dietro queste cazzate. Ha già abbastanza casini.

Entro in camera. Mi siedo sul letto. Se potessi, eviterei di farmi la doccia, ma sono sudato come un maiale. Mi alzo per spogliarmi, ma rimango fermo. Mi avvicino alla finestra e guardo fuori. Sono scazzato.

Mi spoglio in camera. Rimango ancora fermo, vicino alla finestra, nudo. Poi vado nel locale doccia. C’è, avverto la sua presenza. Ho un moto di rabbia, ma mi rendo conto che se lui non ci fosse, sarei deluso. Sono una testa di cazzo.

Guardo la parete, deliberatamente. La esploro, pezzo per pezzo. Non vedo nulla, ma lui è lì, tra quei buchi. Mi avvicino, per vedere meglio, anche se così vedo bene solo i buchi in basso, quelli in alto, da sotto li vedo male. Vorrei gridargli di andarsene. Ma non lo faccio. Mi volto, dandogli la schiena, e vado fino a uno dei rubinetti. Mi giro e guardo di nuovo la parete. Piscio, senza smettere di fissare la parete. Poi abbasso lo sguardo. Guardo il piscio, che in parte cola verso lo scarico, in parte è rimasto sul pavimento. Provo l’impulso di chinarmi e leccarlo. Sì, mi piace, l’ho già detto, ma preferisco bere quello degli altri. Alla fonte.

Guardo ancora verso la parete. Devo liberarmi di questa ossessione. Vuoi vedermi venire, stronzo? È questo che vuoi? Va bene, ti accontento, ma poi ti levi dai coglioni. Faccio due passi avanti. Sotto i piedi il mio piscio. Mi accarezzo il culo con la sinistra. Infilo dentro un dito. Il cazzo si sta irrigidendo, senza che io lo abbia toccato. Lo accarezzo, lentamente. Gemo, due volte. Le sensazioni che mi trasmette la mia mano sono violente. Quel bastardo mi sta guardando e io mi faccio una sega per lui. Lo odio, ma il desiderio è violento. Mi accarezzo piano. Dev’essere una bella sega, come Dio comanda. Mi stuzzico un po’ i coglioni, poi la mano ritorna a fare il suo lavoro. Piano, piano. Quel bastardo mi guarda, lo sento. E gode anche lui. Mi sto facendo una sega davanti a lui. Per lui.

Cerco di spingere il dito della sinistra più a fondo. Mi volto perché lui veda bene, mi chino in avanti. Poi mi raddrizzo e mi giro di nuovo. Riprendo ad accarezzarmi il cazzo e i coglioni. La tensione sale, ma quando diventa troppo forte, rallento e mi fermo. Guardo le aperture nella parete. Lui è lì, lo so. La mia mano prosegue la sua opera. Mi fermo ancora, ma quando riprendo capisco che ormai la tensione è troppo forte. Mi afferro il cazzo con decisione e muovo la mano in alto e in basso, finché vengo. Urlo, un urlo appena contenuto. È un piacere intensissimo, mi sembra di non aver mai goduto tanto. Di sicuro mai facendomi una sega. Ma non mi sto facendo una sega, sto scopando con quel figlio di puttana.

Lo sborro schizza in alto, me lo trovo sulla barba, sulla bocca, sul torace, sul ventre, sulla mano. Mi lecco le labbra, poi mi porto la mano alla bocca e bevo ogni goccia. Mi sembra di offrirle a lui, a quel bastardo oltre il muro. Raccolgo le gocce sul torace e sul ventre. Gusto anche quelle.

Poi mi stendo sul pavimento e chiudo gli occhi. Sto impazzendo.

Solo dopo una mezz’ora mi faccio la doccia. Lui è sempre lì, lo so.

 

A tavola mi chiedono che cos’ho. Fabrizio mi prende per il culo, mi dice che non ce la faccio più, che voglio far vedere che sono forte e che al terzo giorno sto schiattando: non arriverò a venerdì. Cerco di non tradire il mio nervosismo, ma partecipo poco alla conversazione. Me ne vado in camera presto e mi corico subito, ma non riesco ad addormentarmi. Mi alzo e vado nel locale delle docce. Accendo la luce. Lui non c’è. Non c’è nessuno.

- Bastardo!

Lo dico al muro. Torno a letto, ma mi addormento molto tardi.

 

Oggi ho lavorato come una bestia, senza smettere mai. A un certo punto Enzo mi chiede che cosa è successo: ha capito benissimo che c’è qualche cosa che non va. Gli dico di lasciar perdere. Voglio stancarmi tanto da non ricordarmi nemmeno che esisto. Potrei chiedere a Enzo o a Fabrizio di fare la doccia da loro. Potrei dire che da me non c’è acqua calda. Ma Mattia verrebbe a controllare, per evitarmi il disagio. Sono cazzate. Sono io che sono fuori di testa. Sono rimasti solo due giorni: oggi e domani. Domani sera ce ne andiamo tutti. Magari questa sera il tipo non ci sarà più. Mi ha visto in tutti i modi, magari adesso si toglie dai coglioni.

Quando torno in camera, sono teso. Rimango seduto a lungo vicino alla finestra, bevendo ogni tanto. Magari si stuferà e se ne andrà. Magari se n’è già andato. E mentre lo penso, mi alzo e vado nella doccia. Sento di nuovo la sua presenza, fortissima. Chino la testa. Vorrei urlargli di andarsene, ma non lo faccio. È inutile che mi racconti palle. Voglio che lui ci sia. Voglio offrirmi ancora a lui, voglio scopare con lui. Vorrei urlargli di venire qui e di fottermi, perché è quello che voglio.

Mi spoglio, gettando i vestiti in un angolo. Poi li raccolgo e li porto in camera.

Rientro nelle docce. Rimango a gambe larghe, di fronte alla parete. Il cazzo mi si tende. Che cosa vuoi che faccia per te, oggi, stronzo? Non voglio ripetermi. Mi dico che sono pazzo. Volevo che scomparisse e ora sono qui a chiedermi che cosa vorrebbe che facessi.

Torno in camera. Prendo un foulard nero che mi sono portato, da mettere attorno al collo la sera, se fa freddo. Apro l’armadio alla ricerca di qualche cos’altro, non so che cosa. Nello scomparto in alto ci sono diversi oggetti. Li prendo, li guardo. Una vecchia spazzola da donna con il manico di plastica. Annuisco.

Rientro nel locale. Mi metto il foulard sotto il cazzo e ci piscio sopra. Buona parte del piscio cola a terra. Poi me lo metto come bavaglio. Sento il gusto del piscio. Mi chino in avanti, il culo rivolto verso la parete dove sta acquattato quel bastardo. Avvicino il manico della spazzola al culo. Premo contro il buco. Fa male. È troppo grosso. Lo tolgo. Ci sputo sopra. Ci passo sopra le dita per distribuire la saliva. Riprovo. Fa male, parecchio, ma continuo. Il buco si allarga, il manico entra dentro. Fa un male fottuto. Lo tolgo. Sento le goccioline di sudore sulla fronte. Riprovo. Questa volta riesco a farlo entrare, ma il male è tanto forte che barcollo. Lo spingo dentro. Il dolore aumenta. Spingo ancora. Quasi urlo. Mi metto in modo che lui mi veda di profilo, la spazzola in culo e il cazzo teso. Incomincio a farmi una sega. Vado piano, anche se il dolore al culo mi spingerebbe a finire in fretta. Ma non penso al mio piacere, penso al suo. Sono impazzito, ormai, lo so. Mi accarezzo il cazzo, strizzo un po’ i coglioni, spingo ancora la spazzola e sussulto per il dolore.

Lui mi sta guardando, mi vede, il viso sudato, il bavaglio intriso di piscio in bocca, la spazzola in culo. C’è altro, bastardo? Vuoi altro? Dimmelo, lo farò.

La mano fa il suo lavoro, il manico della spazzola in culo è intollerabile, ma non è un manico, è il suo cazzo, grosso e duro, che mi spacca il culo.

Infine vengo e, malgrado il dolore, il piacere è sconvolgente. Cado a terra ansimante, sul piscio e lo sborro che ho versato. Rimango così. E improvvisamente ho voglia di piangere.

Poi mi muovo. A fatica estraggo la spazzola. Sciolgo il bavaglio. Mi metto sotto la doccia, lavandomi. Pulisco anche la spazzola e lavo il foulard. Poi mi siedo contro la parete, sotto il getto d’acqua, e mi metto davvero a piangere, lasciando che quel bastardo mi guardi.

A tavola mi impongo di far finta di nulla. Ho cancellato con cura le tracce delle lacrime. Scherzo, dico che domani è giorno di paga e che Mattia si ridurrà in bolletta, quando sarà il mio turno. Ma mantenere la maschera mi costa fatica.

Quando torno in camera, vado subito nel locale della doccia. Non avverto la sua presenza.

 

Oggi è l’ultimo giorno. Siamo riusciti a fare tutto quello che avevamo in progetto. Dovrei essere contento, ma non lo sono. Voglio vedere il tipo, voglio sapere chi è. Voglio spaccargli la faccia. Sono parole. Forse voglio solo farmi spaccare il culo da lui.

Finiamo presto: gli altri hanno già liberato le camere in mattinata e rientrano a Milano. Io sono venuto con la mia auto e, non dovendo lasciare la camera, posso fermarmi un po’ di più. Ci sono ancora le lezioni di equitazione. Vado al maneggio e osservo i due istruttori che aiutano Mattia. Quale dei due?

Uno mi piace molto: sui quaranta-quarantacinque, classico orso (ho sempre avuto un debole per gli orsi), viso cordiale, barbone grigio. L’altro è molto giovane, un biondo non oltre i trenta, non particolarmente interessante, fisico ben costruito, ma un’aria un po’ ebete. Spero che sia l’orso. Cerco di incontrare lo sguardo di entrambi, ma non paiono badare a me.

Ne hanno ancora per mezz’ora. Posso farmi la doccia in pace e poi andarmene. Salgo in camera, mi spoglio ed entro nel locale doccia. Sento la sua presenza.

Esco a razzo, le palle in giostra. Mi rivesto, scendo e passo dall’altra parte della casa. Devo fare un giro lungo, perché ci sono diversi edifici attaccati gli uni agli altri. Arrivo infine alla porta. È chiusa a chiave.

Torno al maneggio. I due istruttori sono al lavoro. Non è uno di loro due.

Chi cazzo c’è, oltre la parete? Non ho sognato, ne sono sicuro. Lo slip è davvero scomparso.

Torno in camera. Non mi farò la doccia, tanto questa sera sono a casa. Ma mentre lo penso mi sto spogliando. Raggiungo il locale della doccia. Sento che lui è qui. Torno in camera e prendo di nuovo il foulard. Rientro nel locale doccia e mi bendo gli occhi. Non vedo niente, assolutamente niente. Rimango un buon momento in piedi, la schiena contro la parete da cui lui mi sta guardando.

Poi mi metto a quattro zampe, sollevando bene il culo. Vieni a prendermi, figlio di puttana. Vieni a prendermi, bastardo. Spaccami il culo, porco. Sono qui. Faccio quello che vuoi, tutto quello che vuoi. Sono a tua disposizione.

Ti aspetto.

 

2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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