Quando hai cominciato e cosa ti ha mosso a scrivere (non intendo i racconti erotici)?

 

Ho incominciato a scrivere  negli anni ’90. Fin da quand’ero ragazzo amavo inventarmi storie, immaginare scene. Ho sempre letto molto ed i libri letti, i film visti, perfino la lettura del giornale potevano suggerirmi una storia, una fantasia, che però mi tenevo in testa. Poi ho incominciato a scrivere alcune storie. Per un po’ ha avuto l’idea di pubblicare, ma le difficoltà mi hanno scoraggiato, per cui ho continuato a scrivere senza pensare ad una pubblicazione.

 

Quando hai iniziato a scrivere, lo hai fatto quindi soprattutto per il tuo piacere, oppure già avevi chiaro in mente che ci sarebbe stato qualcun'altro che avrebbe letto le tue storie?

È stato facile o imbarazzante per te far leggere a qualcuno i tuoi primi scritti? A chi li hai fatti leggere?

 

Dopo aver rinunciato a pubblicare, non avevo nessuna intenzione di far leggere i miei racconti o romanzi ad altri: scrivevo solo perché mi piaceva. Solo dopo un certo tempo ho incominciato a pensare che alcuni racconti forse avrebbero potuto essere pubblicati. Ma mi sono guardato bene dal farli leggere ad amici e conoscenti: mi vergognavo troppo. E non parlo dei racconti erotici, che arrivarono dopo, ma degli altri. Credo che avrebbero dovuto torturarmi per ottenerli. Ho mandato I quattro re a tre case editrici senza che nessuno avesse letto né il romanzo, né altro.

 

Però, ad un certo punto, è stato pubblicato “I quattro re” che, se ricordo bene, è stata una tua sfida al genere erotico; sfida vinta, con premio finale! Ti va di raccontare cosa hai provato, all'idea di essere pubblicato? Come hai vissuto il fatto di arrivare a pubblicare un libro di un genere a cui sei giunto quasi per caso e che non è, o forse è meglio dire, non era tra i tuoi preferiti?

 

L’idea che il mio libro fosse piaciuto e che la casa editrice avesse deciso di pubblicarlo mi fece molto piacere. Pensavo che sarebbe stato l’inizio di una carriera letteraria, lo consideravo una tappa in un percorso che mi avrebbe portato oltre. Non pensavo che sarei diventato uno specialista del genere, perché i miei interessi erano più vasti. Poi la necessità di far conoscere un po’ il libro mi ha spinto a prendere un’altra strada. Tuttora però scrivo racconti e soprattutto romanzi che non hanno nulla (o ben poco) di erotico. E continuo a non leggere quasi mai testi erotici.

 

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Personalmente credo che l'etichetta di scrittore erotico gay sia limitante, anche se quasi sicuramente derivata dalla pubblicazione de "I quattro re" e dalla natura della maggior parte dei racconti pubblicati sul sito; quale definizione ti rappresenta meglio o comunque con quale vorresti essere definito?

 

Scrittore e basta. Volendo scrittore gay (ma ha un senso?), perché i protagonisti dei miei romanzi e della maggioranza dei miei racconti sono gay. Ma mi sembra un’etichetta un po’ fuorviante.

 

Tra i  tuoi lettori, molte sono le donne. Ti ha sorpreso l'interesse femminile per i tuoi racconti e romanzi?  Che impressione ti ha fatto?

 

Mi ha sorpreso moltissimo ed in un primo momento mi sono sentito molto in imbarazzo. Non riuscivo a capire che cosa potesse trovarci una donna. Poi mi sono reso conto che avevo qualche pregiudizio (nel senso letterale, di giudizi non basati sull’esperienza, ma dati a priori). Adesso mi sono abituato all’idea.

 

La seconda esperienza con la pubblicazione arriva con “Ispettore Ferraris, punto e a capo”. Quanto sei legato a questo personaggio, forse il meno romantico tra i tuoi personaggi, amatissimo dai tuoi lettori?

 

È un personaggio che mi piace proprio perché non romantico, certo non raffinato, alquanto brusco, con una personalità forte, ma in fondo non invulnerabile come vorrebbe apparire.

 

Hai detto che gli spunti per i tuoi racconti hanno diverse origini  - libri letti, film, foto, etc , e a volte giungono improvvise ; per fissare l'dea prima che sfugga hai sempre con te un quadernetto per gli appunti o un registratore?

 

Assolutamente no. Ed infatti ogni tanto perdo un’idea per strada. L’unica cosa che faccio, se l’idea mi sembra proprio buona, è buttare giù al computer, quando posso, qualche riga come promemoria, magari un pezzo della scena che mi è venuta in mente.

 

Quando inizi a scrivere un nuovo racconto, hai già in mente a grandi linee la trama oppure questa si forma poco alla volta?

 

Dipende. I racconti non nascono tutti allo stesso modo. A volte so benissimo dove voglio andare: la trama mi è ben chiara in tutti i suoi elementi essenziali. Altre volte invece ho in mente solo una situazione o l’inizio della vicenda oppure la parte centrale o, di rado, la conclusione. Quel che è buffo è che non c’è un rapporto tra ciò che ho in testa prima di mettermi a scrivere ed il modo in cui poi avviene la stesura: sia il racconto di cui ho in mente tutta la trama, sia quello per cui ho solo un’idea, possono svilupparsi senza fatica o incertezze, oppure procedere a stento, perché non so come continuare o perché ciò che avevo pensato non mi convince; possono anche arenarsi (ho diversi racconti interrotti) o cambiare del tutto direzione durante il percorso. In qualche caso il racconto diventa un romanzo (mi è successo tre volte). Capita anche che riprenda un racconto avviato anni prima e lo concluda, così come l’avevo pensato in origine o in modo del tutto diverso.

 

Che tipo di "rapporto" hai con i tuoi scritti: ti ci affezioni, o una volta finiti, e pubblicati, non ci pensi più? Ci sono scritti ai quali sei particolarmente legato?


Mi affeziono a molti dei miei scritti, ma non a tutti, e ci sono pagine che ho riletto diverse volte, altre che di rado mi capita di rivedere. Sono molto affezionato ai miei romanzi che definisco “da cassetto”, quelli che per il momento rimangono inediti e, tra quelli pubblicati sul sito, il mio preferito è In missione. Ci sono diversi racconti che mi porto nel cuore, soprattutto direi quelli in cui il protagonista ha una sua fragilità affettiva  (magari non evidente, come appunto nel caso di In missione).

 

A  distanza di tempo ti capita mai di rileggerli, e magari di non esserne soddisfatto ? O che a seguito di una critica, ti sia magari rimproverato di non aver "lavorato" abbastanza e di aver "sprecato" una buona idea? C'è un racconto che, a posteriori, ti rimproveri di aver pubblicato?

 

Sì, senza dubbio mi capita di non essere soddisfatto. In alcuni casi ho la sensazione che avrei dovuto lavorarci ancora. Non sempre però questo significa che abbia sprecato una buona idea: talvolta mi rendo conto che l’idea iniziale non era granché. Altre volte invece la situazione è quella che tu descrivi: sento che quella storia avrebbe potuto essere sviluppata meglio. Nel rinnovare il sito non ho più ripreso alcuni racconti che non mi sembravano adeguati alla pubblicazione. Anche sul sito nuovo ce ne sono comunque alcuni che secondo me avrebbero da guadagnare se ci rimettessi le mani e tra questi anche i romanzi.

 

Quale racconto ti sei particolarmente divertito a scrivere?

 

Se parliamo di divertimento, di sicuro quelli più ironici, come Il regalo di compleanno o Un porcorso fuori percorso.

 

C'è un racconto che ti ha stupito, positivamente o meno, per l'accoglienza che ha ricevuto dai tuoi lettori?

 

Mi è successo più volte. Ai tempi in cui invitavo i lettori a dare una valutazione numerica ai racconti, il classico da 1 a 10, Cibo per avvoltoi, che a me sembrava troppo violento per incontrare i gusti altrui, risultò essere il più amato. In tempi recenti L’orca e Progetto individuale hanno suscitato reazioni ugualmente positive. Invece un racconto come Giornata d’autunno, un’elegia che rimane tra i miei preferiti, è passato sotto silenzio. Non mi stupisco più di tanto: ognuno ha una sensibilità diversa.

 

Quando capisci che il racconto è ultimato, e non ha più bisogno di ritocchi?

Impossibile individuare un criterio. È una questione di sensibilità. Ad un certo punto mi rendo conto di non essere più in grado di aggiungere o migliorare. Però talvolta rimango insoddisfatto, senza sapere come intervenire.

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Nella quasi totalità dei tuoi racconti di ambientazione moderna, nelle scene di sesso, sei sempre attento alle precauzioni (riuscendoci sempre in modo molto naturale e senza dare l'impressione di una forzatura nel raccontare) e anche al modo di approcciare all'atto; sono due caratteristiche difficilmente riscontrabili nei racconti erotici, quasi ci fosse da parte tua, attraverso i racconti, anche un intento di educazione sessuale rivolta ai tuoi lettori, sbaglio?

 

Forse parlare di educazione sessuale è eccessivo, però il problema me lo pongo. Nell’immaginario erotico il preservativo non c’è: travolti dalla passione o dal desiderio, i protagonisti si danno da fare in grande libertà. La realtà ai tempi dell’AIDS è alquanto diversa: certo esistono anche i fautori del sesso bareback (capisco, ma non condivido, anche perché le cure sono a carico del servizio sanitario nazionale) e gli idioti che sono convinti che basta fare in fretta o lavarsi dopo, ma oggi è probabile che personaggi sessualmente molto attivi, come alcuni dei protagonisti dei miei racconti, prendano le dovute precauzioni. In alcuni casi invece i personaggi non fanno uso del preservativo o perché è un rapporto consolidato o per giovanile incoscienza o per altri motivi ancora. Quanto al modo di approcciarsi all’atto, diciamo che ognuno lo fa secondo le sue modalità e dato che molti dei miei personaggi sono abbastanza attenti all’altro, si pongono in un certo modo.

 

Nei tuoi racconti, quasi esclusivamente a lieto fine, i bravi vincono e i cattivi pagano pegno. Gli unici racconti che hanno un finale di morte per il protagonista infatti è dove il protagonista è un "cattivo" (Colpo grosso) o sceglie la morte (per es. Lampo, che comunque ha doppio finale): non senti il rischio di staccarti troppo dalla realtà?

 

Sul sito pubblico romanzi e racconti d’evasione e non me ne vergogno. Sono libri d’evasione di solito anche i gialli, i romanzi d’avventura, Dickens e Simenon, Camilleri e Defoe. Capisco benissimo che, leggendone tanti, uno possa trovarvi una visione troppo ottimistica, ma credo che il lettore abbia coscienza del tipo di testi che legge.

Nella letteratura gay abbiamo di solito le profonde crisi esistenziali di chi si scopre gay. Ci siamo passati tutti – o quasi – però, sant’Iddio, non ci siamo fermati tutti lì, no? Capito di essere gay, sofferto, accettato, sperimentato, abbiamo costruito grattacieli e curato ammalati, spazzato le strade ed esplorato il deserto, combattuto guerre e programmato computer, recitato al Piccolo e vinto premi Nobel, truffato anziani e spento incendi, scoperto nuovi farmaci e creato gioielli, lavato i vetri e cucinato nelle mense popolari, rapinato banche e lavorato in ufficio, cantato a Sanremo e fatto il bagnino. Insomma, abbiamo vissuto delle vite in cui l’essere gay, per quanto una componente fondamentale di noi, non era l’unica cosa che importava. Ed allora ho voglia di scrivere racconti in cui uomini gay vivono avventure e storie in cui l’essere gay conta molto, poco o niente, a seconda dei casi.

Ho scritto anche romanzi di altro tipo, ma anche lì i personaggi (gay, il protagonista almeno, e non gay) vivono, lavorano, lottano, soffrono, amano, muoiono, vincono, perdono, senza passare il tempo a macerarsi sulla società che li respinge e sul come dirlo alla mamma. In questi miei romanzi, che prima ho definito “da cassetto”, non c’è necessariamente il lieto fine. 

 

Il sito nasce prevalentemente per adempire all'impegno di pubblicizzare “I quattro re”. Penso che siano tutti d'accordo nel considerarlo, tra i tanti siti di erotismo gay, un caso a parte, irrinunciabile, per la qualità di quanto si trova. Però, mi chiedo se non cominci a starti un po' stretto, se non ci sia, oggi, da parte tua un'esigenza di ampliare la tua “offerta” letteraria: sbaglio?

 

Non sbagli, come dicevo prima. In effetti credo che prima o poi andrò oltre, decidendomi a pubblicare anche i romanzi che ho scritto in questi anni e che non sono erotici. E parlo di pubblicazione autonoma, perché le esperienze precedenti, in cui ho proposto e spesso non ho nemmeno ricevuto risposta, non sono state proprio entusiasmanti.

 

Quando scrivi,  sicuramente da quando hai aperto il sito sai che ciò che decidi di pubblicare verrà letto. Quanto questo ti condiziona?

 

Mi condiziona abbastanza, in effetti. A volte mi chiedo se ciò che scrivo non possa essere troppo forte, se qualcuno non rimarrà deluso. Cerco di non tenerne troppo conto ed ogni tanto arriva qualche racconto, come La doccia o Il parcheggio, che rompe completamente gli schemi: altrimenti il rischio è di riscrivere tutte le volte lo stesso racconto.

 

Nel tuo sito, nel Cantiere, si trovano puntualmente tutte le spiegazione sulle origini dei tuoi racconti e anche i  romanzi sono preceduti da una sorta di tua recensione; cosa ti ha spinto a questa consuetudine, direi abbastanza fuori dal comune per uno scrittore?

 

Il Cantiere nasce da un’esigenza di correttezza: spesso un racconto mi è stato ispirato da un romanzo, da un film o da altro e mi sembra doveroso dirlo, soprattutto quando il debito è più forte, quando non è solo uno spunto, ma davvero una scena che ho ripreso.

Per i romanzi è un po’ diverso: la presentazione serve a preparare un po’ il lettore. Ha la funzione della quarta di copertina ed in fondo in libreria uno va a vedere che cosa c’è scritto dietro (o nel risvolto) per farsi un’idea del libro, prima di comprarlo.

 

La lettura, per sua natura, lascia libero spazio all'immaginazione; il tuo modo di scrivere,spesso cinematografico, è perfetto per questa pratica mentale; spesso tu abbini ai tuoi racconti/romanzi l'immagine di un personaggio preciso; è forse un aiuto per i tuoi lettori meno fantasiosi? O piuttosto, visti anche i romanzi come “Cerro del diablo”, una sorta di  ammiccamento ai romanzi illustrati d'altri tempi? 

 

Direi né l’uno, né l’altro. Uso le illustrazioni per rendere la pagina più gradevole: una pagina interamente scritta non è molto piacevole, soprattutto al computer; le immagini contribuiscono a migliorare l’insieme e nello stesso tempo possono essere stimolanti (in tutti i sensi).

 

Spesso paragoni il tuo scrivere ad una ricetta culinaria, in cui mescoli gli  stessi ingredienti, amore, sesso, avventura e violenza, variandone la quantità. A parte che, visti i risultati letterari, credo tutti pensiamo tu sia un ottimo cuoco, non citi come ingrediente la tua meravigliosa ironia, sempre presente. Possiamo aspettarci un romanzo, o almeno un nuovo racconto, che abbia come ingrediente principale proprio il tuo umorismo, come è stato per “Regalo di compleanno”?

 

Prima o poi ricapiterà, di sicuro. Come combinare un matrimonio va un po’ in quella direzione, probabilmente. Però l’ironia è un ingrediente un po’ particolare: mi sembra un’erba aromatica, più che uno dei componenti di base.

 

Hai scritto anche racconti molto violenti, che una volta inserivi in un'area nera e che adesso non sono più sul tuo sito, ma altrove. Vuoi raccontare il perché di questa scelta? 

 

Forse per una questione di immagine personale. I racconti neri, che non piacciono praticamente a nessuno, erano vissuti, anche da me, come un corpo estraneo al sito stesso, per cui ho preferito eliminarli.

 

Ferraris a parte, “In missione” credo sia l'unico altro tuo romanzo di ambientazione moderna; è un caso o una scelta, quella di sviluppare le tue storie nel passato, più o meno prossimo?

 

Sono sempre stato affascinato dalla storia e, per un amante dell’avventura, la storia offre infinite possibilità. Ma in realtà sono molto numerosi anche i racconti di ambientazione contemporanea.

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Nel forum del sito i commenti sono quasi esclusivamente positivi, hai mai pensato che sia anche perché l'invito è rivolto a chi ha gradito ciò che ha letto e che quindi hai dei lettori molto educati?

 

Su Internet spesso basta cliccare su “Mi piace” o “Non mi piace”, per cui è facile che uno  mandi un parere negativo. Nel mio sito per mandare commenti bisogna scrivere all’autore e se uno ha mollato il racconto dopo dieci righe o l’ha trovato uno schifo, probabilmente non ha voglia di perdere altro tempo per scrivere all’autore. Non seleziono i commenti, ma in effetti non ricevo stroncature. Aggiungerei che i lettori scrivono molto poco: in fondo, se qualcuno ti regala qualche cosa, un grazie non ci sta male.

 

Credo non ci sia scrittore al quale non sia stata rivolta questa domanda: quanto di autobiografico c'è in quello che scrivi?

 

Domanda molto impegnativa. Credo che ci sia molto. Non per quanto riguarda le vicende: pochissimi sono i riferimenti autobiografici e quasi sempre marginali. Ma tutti i personaggi hanno una parte di me, anche se nessuno di loro è un mio ritratto.  E nell’ambientazione ritornano soprattutto luoghi che ho visitato, oltre a quelli in cui vivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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