La carriera di un pornodivo ovvero Una storia improbabile - Che faccia! Che cosa ti
è successo? Willie si è spaventato a vedermi. Lo so, devo
avere una faccia da funerale, ma è esattamente come mi sento. - Mi hanno licenziato, Willie. - Merda! Avevo sentito
dire che la Johnson è in crisi, ma non pensavo… Scuoto la testa. Sapevo
benissimo che sarebbe potuto succedere, anch’io avevo sentito le voci,
nell’azienda circolavano da tempo, ma avevo sperato che fossero infondate. Willie riprende: - Dai,
Sean, non buttarti giù. Un altro lavoro lo trovi. - Di questi tempi? A quel
livello? Era già stato un colpo di culo che mi prendessero alla Johnson. Non sono laureato, non ho
neppure il diploma di scuola superiore. Quando quel bastardo di mio padre se
ne andò, scomparendo nel nulla, rimanemmo senza niente, salvo il mutuo da
pagare. Mia madre cadde in depressione, i miei due fratellini non potevano
certo lavorare ed io, che avevo sedici anni e una borsa di studio, lasciai la
scuola. Fui tanto fortunato da trovare un lavoro, sufficiente perché
potessimo tirare avanti. Da allora sono passati undici anni, io mi sono
trasferito a San Diego e continuo a mantenere la famiglia: mia madre è uscita
dalla depressione e lavora, ma guadagna poco e i miei fratelli studiano e
vorrebbero andare all’università. Alla Johnson
avevo fatto carriera, erano soddisfatti di me: contavo di continuare a salire
di grado. Ed ora? Che cazzo faccio, ora? - Sean, non è la fine del
mondo. Un altro lavoro lo trovi, magari pagato di meno… Willie non conosce la mia situazione: di solito
non ne parlo. - Non posso guadagnare di
meno. Ho bisogno di guadagnare di più. Willie mi guarda, senza capire: con i miei
studi, un lavoro come quello che avevo alla Johnson
era il massimo. Ma io avrei davvero bisogno di più soldi di quelli che
guadagnavo alla Johnson, perché i miei fratelli
possano studiare. Non voglio che debbano anche loro mollare tutto e cercarsi
un lavoro, come ho dovuto fare io. Non voglio che debbano caricarsi di debiti
per pagare l’università. Voglio che abbiano una vita migliore della mia. - Vieni, sediamoci e mi
racconti. Ci sediamo da Starbucks e gli spiego la mia situazione. Quando ho finito, lo
guardo e gli dico: - E adesso? Willie annuisce. Non ha una soluzione in tasca,
naturalmente. Sarebbe troppo bello. Io proseguo: - Tanto vale che mi tiri
un colpo. Willie sta meditando. Ha qualche cosa in testa,
ma è incerto. - Sputa l’osso, Willie. Se hai un’idea di come possa fare a guadagnare
quello che mi serve, sei il benvenuto, qualunque cosa sia, a parte il killer
di professione. Willie sorride: - Vabbe’,
se già metti dei limiti… Ghigno. - D’accordo, accetto anche
di fare il killer, pure il serial killer. Non lo potrei proprio fare
e questo Willie lo sa benissimo. Mi prende in giro
perché quando una mosca mi ronza in casa, cerco di farla uscire aprendo la
finestra, invece di schiacciarla. Willie mi guarda, sardonico, e butta lì: - Potresti provare con il
sesso. Come escort, intendo. O fare del porno, quella roba lì, insomma… Sobbalzo sulla sedia. Non
sono mai stato un bigotto, ho uno scarsissimo senso del pudore (e Willie lo sa benissimo: ha avuto modo di verificarlo), ma
al porno non avevo mai pensato. - Che cazzo dici? - Sean, uno come te può
guadagnare un casino come escort, lascialo dire a me che ti conosco.
Magnifica attrezzatura, ottima tecnica, resistenza… La butto sul ridere: - Va bene, quanto mi paghi
per la scopata di oggi? In
effetti l’incontro
con Willie dovrebbe finire con una bella scopata,
di solito è così. Willie sorride: - Avresti il coraggio di
farmi pagare, dopo che ti ho suggerito io l’idea?! - Certo! Dove trovo i
clienti? - Apri un sito internet,
ti rivolgi ad uno di quelli esistenti. Oppure, visto
che sei agli inizi, ci sono i bordelli, quelli della Maximum,
ad esempio. - La Maximum?
Stai scherzando? Anche se non frequento
bordelli (non ne ho bisogno e non potrei permettermelo), so che quelli della Maximum sono il top. - Ho un amico nel giro, ti
faccio presentare da lui. Secondo me ti prendono. * Entro nella camera di
vetro. Ce ne sono una quindicina, qui al Maximum6, ma in futuro ne faranno
altre, in una nuova ala. Sono stanze normali, ma hanno da una a tre pareti di
vetro, per cui dal corridoio si può vedere quello che succede. La gente paga,
e paga caro, per avere accesso al corridoio e vedere
dal vivo due (o magari tre o quattro) uomini che scopano oppure che vengono
legati e frustati. E parecchi pagano per scopare con noi in una di queste
camere, sotto gli occhi di altri maschi che li guardano, ma che loro non
possono vedere. È una delle tante idee per
cui la Maximum si merita il suo nome. Ci lavoro ormai da due
anni. Va bene. Mi permette di guadagnare quanto mi serve per mia madre e i
miei fratelli. Ho fatto anche tre film. Non che mi piacesse molto l’idea, ma
dovevo farmi conoscere. Le mie quotazioni sono in salita, guadagno sempre di
più. Va bene, va molto bene. Non era quello che avrei
voluto fare nella vita, lo so, ma almeno ho un lavoro, ben pagato. Lamentarsi
sarebbe assurdo. Inizio a spogliarmi, molto
lentamente. Non bisogna mai avere fretta. Quelli dall’altra parte devono
sbavare, rimanere attaccati al vetro in attesa. Lascio cadere la giacca di
pelle. Mi apro un po’ la camicia, come se avessi
caldo, in modo da mostrare i miei pettorali ben modellati: nel mio lavoro la
seduta quasi quotidiana in palestra è un obbligo. Ci vado volentieri. Qui al
Maximum6 ce n’è una che per noi è gratuita. In realtà, siamo pagati per
andarci. È una grande palestra, aperta anche a chi non lavora qui. E ci
vengono in tanti, per vedere i loro idoli che fanno gli esercizi, che sudano,
che si spogliano (c’è sempre un fottio di gente negli spogliatoi), che fanno
la sauna e il bagno turco. Ogni tanto qualcuno ci prova, ma su questo noi abbiamo
istruzioni precise. Non in palestra. Se vogliamo, nessuno ci impedisce di
scopare fuori. Possiamo anche suggerire di prendere una camera qui, con
pareti di vetro o normale. Mi siedo sul letto e mi
guardo attorno, come se fossi annoiato. Mi sfilo gli stivali e li lascio a
terra. Mi stendo. Sbadiglio. Distrattamente mi accarezzo la patta. Guardo un po’ il soffitto.
Ci sono anche due camere che hanno il soffitto di vetro, qui, ma questa è
normale. Mi apro completamente la camicia. Mi passo la mano sul torace. Mi
stuzzico un po’ un capezzolo. Alex, uno dei miei colleghi, dice che sono
bravissimo a far impazzire chi mi guarda. A me non sembra di fare niente di
speciale, ma lui dice che non è quello che faccio, ma il modo in cui lo
faccio. Sbavano tutti. Mi alzo. Vado al cesso. Questa è una delle stanze che
hanno anche il cesso con la parete di vetro. Mi metto davanti alla tazza.
Tiro fuori il cazzo e incomincio a pisciare. Il cazzo non è a riposo, perché
prima l’ho stuzzicato un po’ e poi sapere che altri mi stanno guardando mi
eccita. So che ci sarebbero un sacco di uomini
felici di essere qui davanti, inginocchiati, a bere il mio piscio. Ogni tanto
qualche cliente me lo chiede. Lo faccio volentieri. Mi piace. Gli piscio
anche in faccia, se lo vogliono. Ma non mi faccio pisciare addosso, nemmeno
nei film, come non me lo faccio mettere in culo. Non tiro su la cerniera.
Ritorno in camera con il cazzo fuori. Poi, dando la schiena alla parete di
vetro (questa stanza ne ha una sola, sul fondo), mi abbasso i pantaloni. Li
lascio cadere a terra, poi lentamente mi chino per raccoglierli, mettendo
bene in mostra il mio culo. Off limits, lo sanno
tutti che non è disponibile. Un tizio ha offerto
cinquemila dollari per il mio culo. Mi ha fatto ridere l’idea, ma non mi va
di darlo via a pagamento. Assurdo? Lo so, è così. Guadagno un casino, il mio
conto in banca è bulimico, perché cazzo dovrei dare via il culo per farlo
crescere ancora di più? Se proprio ne avrò bisogno, ci sarà tempo per farlo. Ho sollevato i pantaloni e
li butto su una sedia. Le calze le ho tolte subito. Ora ho solo i jock-strap e la camicia aperta. Faccio scivolare anche i jock-strap a terra, mi chino di nuovo in avanti e li
raccolgo. Torno a stendermi sul
letto, tenendomi la camicia. Lentamente, incomincio ad accarezzarmi il cazzo. Francisco entra. Giacca,
cravatta, camicia bianca: è elegantissimo. Ha pure una ventiquattrore: dà
l’impressione di un uomo d’affari che ha sbagliato porta, ma ovviamente siamo
d’accordo. Francisco finge di essere
sorpreso, fa per ritrarsi, ma poi si blocca, fissando il mio cazzo ormai bello duro, come se non riuscisse ad allontanarsi. Ha la
bocca aperta e si passa la lingua sulle labbra. Francisco è un bel maschio e
mi piace. È simpatico e dice sempre che con me farebbe volentieri gli
straordinari. Io gli sorrido. Lui apre
la bocca. Pare che boccheggi. Chiude la porta alle sue spalle, lascia cadere
la valigetta e si avvicina al letto. Io gli tendo una mano e
lui la prende. Lo attiro a me e ci baciamo. La testata del letto è contro una
delle pareti di vetro e ci scommetterei che sono in tanti a guardarci. Il
nostro è un bacio lungo, appassionato, le nostre labbra si incontrano, le
nostre lingue avanzano ed esplorano ognuna la bocca dell’altro. Intanto
Francisco ha allungato la mano e l’ha poggiata sul mio cazzo. Il contatto con
quella mano calda è una sensazione molto piacevole. Io lo tengo stretto a me.
Lui, vestito di tutto punto, io che ho addosso solo una camicia completamente
aperta. E oltre il vetro chissà quanti maschi in calore. E di colpo mi succede, di
nuovo! Mi chiedo che cosa ci faccio qui, che senso ha tutto questo. È solo un
momento, passa in fretta. Scaccio i pensieri e stringo con foga Francisco. È
un bell’uomo Francisco, vestito da uomo d’affari fa un
figurone. Scopa bene, ha un gran bel culo e sa usare bene la bocca. È un
piacere scopare con uno come lui, di che leccarsi i baffi. I dubbi svaniscono. Le
nostre bocche si separano ed io guido la testa di Francisco a scendere lungo
il mio corpo fino a che raggiunge il cazzo. Francisco mi guarda, come se
fosse smarrito. È bravo nella sua parte, lui. Poi avvicina la bocca, timoroso, e mi passa la lingua sulla cappella. Sorride e
si avventa sul piatto di carne, dandosi da fare a tutto spiano. Ogni tanto mi
guarda, come a chiedere se sono soddisfatto. Sì, lo sono, cazzo! Lo sono e
tutto il resto non ha senso. Francisco lavora un buon
momento, mentre io gli accarezzo il capo. Succhia, lecca, morde. La tensione
sale. Lo fermo. Mi sollevo a sedere. Lui mi guarda, quasi smarrito.
Lentamente, incomincio a sciogliergli il nodo della cravatta. Lui mi lascia
fare. Finge di essere spaventato, guarda il mio arnese, come se realizzasse
solo ora che sta per prenderselo in culo. Io rido, mentre gli sfilo la
cravatta, che gli lego a un polso. Mi guarda, come se non capisse, ma sa
benissimo che cosa lo aspetta: ci siamo messi d’accordo per bene. Lo bacio,
gli spingo la lingua tra i denti, quasi a forza, e lui chiude gli occhi. Gli
stringo il culo, attraverso il tessuto dei pantaloni. Poi gli faccio scivolare la giacca dalle spalle. Cade a terra. La
cravatta è ancora legata al suo polso. Incomincio a sbottonargli
la camicia e a ogni bottone ci baciamo appassionatamente. Mi piace Francisco,
mi piace un casino. È bello baciarlo, abbracciarlo,
mentre un sacco di maschi in calore ci guardano e
sono pure pagato per farlo, pagato bene. Chissenefotte
se avevo altri progetti? Scaccio il pensiero. Ho finito di sbottonare la
camicia, faccio scivolare anche quella a terra, poi passo una mano dietro la
sua schiena e afferro la cravatta. La tiro, in modo che lui sia costretto a
portare il braccio dietro, e passo il tessuto intorno all’altro polso. Lego
bene: la sua elegante cravatta è diventata un legaccio. Mi guarda, timoroso,
ma c’è un rigonfio ai pantaloni che non lascia dubbio su ciò che sta
provando. Mi alzo in piedi e lo
forzo a inginocchiarsi. Me lo faccio succhiare ancora un po’. Poi mi volto.
Mi lecca il culo, passa la lingua sul solco, mi mordicchia le natiche, poi di
nuovo sento una carezza umida. Mi giro e lo afferro per
la nuca, costringendolo ad alzarsi. Gli slaccio la cintura e la sfilo. Me la
metto intorno al collo, mentre gli sbottono i pantaloni e glieli calo. Ha i jock-strap, sotto. Io passo due dita sotto l’elastico e
li faccio scivolare a terra, vincendo la resistenza del magnifico cazzo,
grosso e teso. Poi lo afferro con
violenza e lo sbatto sul letto. Impugno la cintura e gli frusto il culo. Lui
ha un guizzo. A Francisco piace, per cui nei nostri giochi inseriamo spesso
un po’ di sado-maso. Una seconda frustata, un nuovo sussulto. Poi gli passo
la cinghia intorno al collo, stringo bene, gli allargo le gambe e gli infilo
un dito nel culo. Mi sono mosso senza delicatezza e Francisco ha di nuovo un
guizzo. Adesso prendo il
preservativo dal tavolino, me lo infilo, proprio di fianco al vetro, in modo
che mi vedano bene. Lo lubrifico e do un po’ di crema lubrificante anche
intorno al buco di Francisco, che ora finge di essere spaventato. Io ghigno, gli premo la
testa contro il lenzuolo con la destra, mi stendo su di lui e gli entro dentro. Ci vado piano, ma lui finge di soffrire, si
contorce, senza riuscire a sfuggire alla mia presa. Iniziamo la nostra
cavalcata, una lunga corsa. Spingo con forza, rallentando quando sento che
l’orgasmo si avvicina, riprendendo poi quando la tensione si calma un po’. Tutti conoscono la mia
resistenza e so che ormai davanti alla parete di vetro ci dev’essere
il pienone. Quando mi rendo conto che non potrò più resistere per molto, mi
sollevo, forzando Francisco a sollevarsi insieme a
me. Siamo in piedi sul letto ed io avanzo lentamente verso la parete di
vetro, in modo che tutti possano vedere il cazzo duro di Francisco mentre io
lo scopo. Il suo corpo è contro il vetro ed io spingo con energia, con
movimenti violenti che lo fanno sussultare. Gli stringo i capelli e lo sento
urlare. Mentre il suo seme si spande sul vetro, io gli vengo in culo, con un
grugnito sordo. Rimaniamo un momento così,
lui contro la parete trasparente ed io appoggiato su di lui, in piedi, mentre
il suo sborro scivola sul vetro, oltre il quale altri uomini saranno venuti. * - E vendi ancora le
mutande sporche? Rido. Willie
mi prende in giro perché quattro anni fa ho incominciato a vendere i jock-strap che usavo in palestra. L’idea non era mia,
altri lo facevano prima di me. Steve mi aveva detto che c’era un certo
pubblico interessato. Cazzo! Aveva proprio ragione. Matt, che è il mio
agente, aveva organizzato tutto, compresi gli slogan sul sito. Entrate nei miei jock-strap.
Li uso in palestra, poi li impacchetto e ve li mando. Se ci volevano
anche un po’ di sborro, oltre al sudore, costava di
più. Qualcuno mi chiedeva anche qualche goccia di piscio. Perché dire di no?
Ne ho venduti un sacco, c’è stato un periodo in cui
non riuscivo a stare dietro alle richieste.
Devo dire che mi vergognavo un po’, ma l’idea mi divertiva anche. Avevo bisogno di soldi:
due fratelli all’università costano un casino e mia madre era ripiombata
nella depressione. Anche essere depressi costa. Ma adesso Rick ha finito
l’università e ha incominciato a fare il medico, senza avere neanche un
dollaro di debito: a differenza di tanti suoi colleghi, non dovrà lavorare
per anni soltanto per riuscire a restituire i prestiti ottenuti per le spese
universitarie. Mia madre si è risposata e sta benissimo: un marito l’ha fatta
sprofondare nella depressione, un altro l’ha aiutata a uscirne. Spero solo
che Joshua non la molli, ma sembra una pasta
d’uomo. Ormai io devo pagare solo per gli studi di Patrick. Adesso non ho davvero
bisogno di vendere la mia biancheria: a parte il fatto che le spese sono
diminuite, guadagno molto di più. Mi pagano di più per tutto: per i film; per
andare al Maximum8, l’ultimo che hanno aperto, di
superlusso; come escort; anche solo per essere presente a una serata in un
locale. Ma sono due anni che non
vedo Willie e non l’ho aggiornato. Ormai vive sulla
costa orientale e ci scambiamo qualche mail o messaggi su Facebook,
ma ci vediamo di rado. - No, non ne ho più bisogno.
Guadagno abbastanza. - Cazzo! Ho visto le tue
tariffe sul sito. Roba da capogiro. - Sono un po’ caro, lo so. Rido e aggiungo: - Ma le mie tariffe stanno
per aumentare: non riesco a stare dietro a tutte le
richieste e aumentare il prezzo è un buon modo per selezionare. Willie non sembra stupito. - Eri già così otto anni
fa, quando scopavamo e tu non ti facevi pagare. E col tempo è diventato
ancora più forte. Non capisco che cosa
intende dire. - Così come, Willie, che cosa? Non ho capito. - Credo che te l’abbiano
detto in tanti. Sorrido, mi aspetto una battuta, ma Willie non sembra
scherzare. Chiedo di nuovo: - Che cosa? - Sei unico, Sean. Non sei
come gli altri. Rido. È una frase senza
senso. Siamo tutti unici e facciamo tutti le stesse identiche cose. - Questo i clienti lo
dicono. Anche la pubblicità. Ma sono tutte cazzate. Non faccio niente che non
sappia fare qualunque escort. - Non è questo, Sean, non
è questo. Non c’entra un cazzo. Come non c’entrano le misure. Macho Tom ce l’ha perfino più grosso di te, ma per una sera con lui
basta la metà e scommetto che anche così ha meno clienti di te. Ti sei mai
chiesto perché? Ridacchio. Non so che
dire. Mi verrebbe da rispondere che Macho Tom ha anche metà cervello
(rispetto ad una persona normale), ma di solito i
clienti non vogliono una conversazione colta. Willie
riprende: - Hai presente Greta
Garbo? - Certo! Chi non la
conosce?! - È un po’ così. La
chiamavano la Divina. La prima volta che fece un film comico, i giornali
titolarono “Garbo Laughs”. Il riso della Garbo era
un evento. Ha fatto una serie di film uno più mediocre dell’altro. E non era
neppure una grande attrice. Ma ha fatto sognare milioni di uomini. - Grazie! Mi stai dicendo
che sono un mediocre attore e pessimo anche a letto. - Sei bravo a recitare,
nei film hard che giri sei l’unico che davvero recita, e a letto, già prima
di avere l’esperienza che hai ora, eri un grande. Ma non è quello, Sean. È che… è la tua presenza, Sean, la presenza
scenica, la chiamano gli attori. No, neppure, sto dicendo una cazzata. Rido, anche se sono
curiosissimo di sentire che cosa ha da dirmi. Aggiungo: - Non una cazzata. Tante
cazzate, direi. Willie scuote la testa. - Sei tu che non capisci
un cazzo. - Guarda che di cazzi me
ne intendo. Willie ride. - OK, d’accordo, riconosco
che su questo, per quanto abbia le mie conoscenze, rimango un dilettante in
confronto a te. Ma non è questo il problema. È che non è facile da spiegare.
Qualunque cosa facesse la Garbo, diventava speciale, lei non era come le altre. Con te è lo stesso. Willie sbuffa, chiaramente in difficoltà.
Prosegue: - Mi verrebbe da dire che
si vede che leggi Dostoevskij. Perché i tuoi russi non li hai mai
abbandonati. - Si vede? Non ricordo
nessuna scena in cui mentre scopo leggo Delitto
e castigo. - Cazzo! Non è questo! Si
capisce che tu leggi i romanzieri russi. Non sei di questo mondo. - Wow! Uno spirito
ultraterreno. - E lasciami finire, stronzo! Scuoto la testa. - Uno stronzo
ultraterreno? Willie ride. - Stronzo sì, ma non è
questo. È… Quando Parker Williams si spoglia, tutti
pensano: che magnifico maschio! È uno sballo. Quando ti spogli tu… è come se si spogliasse un
dio. C’è un distacco, in quello che fai, sei in scena e nello stesso tempo
sei oltre, irraggiungibile. - Non è che ti capisca
molto. In
effetti non riesco a
capire quello che mi sta cercando di dire Willie o
piuttosto direi che non mi convince, anche se lusinga il mio amor proprio. - Quanto ti hanno offerto
per il culo? Rido. L’ultima volta ho
raccontato a Willie del tizio che mi aveva offerto
cinquemila dollari. Adesso prima di rispondere esito. Me ne hanno offerti
ventimila, ma temo che non mi creda. - Ventimila, Willie. Un arabo. Willie non sembra stupito. Annuisce. - Credi che ci sia un
altro tra le star per cui qualcuno pagherebbe ventimila dollari? - E che ne so? - Nessuno, Sean, anche se
non ci credi. E sai un’altra cosa, Sean? È proprio perché non ci credi che li
pagherebbero, perché ragioni in un altro modo, sei su un altro piano. Alzo le spalle. Le parole
di Willie mi lasciano confuso, non so bene che
dire. * Saliamo sull’ascensore. La camera dell’uomo è al decimo piano. Entriamo e chiudo la porta dietro di me. Il tipo è un po’ nervoso, capita spesso ai clienti non abituali. Di
clienti abituali non ne ho molti: 500 dollari all’ora
sono tanti, lo so. Ma non sono un escort qualsiasi. Sono una star del cinema
porno. Come dice la pubblicità? “Il suo corpo da Ercole ed
il suo cazzo da toro fanno sognare milioni di uomini”. Cazzate, ma c’è chi
viene dall’altro capo degli States per una serata
con me, sborsando un migliaio di dollari, più l’albergo e il volo. In dieci
anni che faccio questo lavoro, ho conquistato una posizione invidiabile. L’uomo è sui cinquanta, grassoccio e pelato. Formiamo una coppia
improbabile noi due, come mi ha detto Martin, il barista, ma io non mi faccio
problemi. A me tira comunque. Ed ho voglia di scopare. Da anni scopo solo a
pagamento, quando giro i film che mi hanno reso famoso, in un certo ambiente,
o quando accompagno un cliente. Gli altri attori sono tutti bei maschi, i
clienti di solito no, ma per me non fa molta differenza. L’importante è
scopare e lo faccio, con regolarità. Potrei farlo tutte le sere, se volessi,
ma di solito mi limito a tre o quattro volte a settimana. Non per mancanza di
clienti o di voglia o di energia: quando giriamo i film, posso scopare per
ore e venire più volte. Ma tre-quattro volte la
settimana mi bastano. Sorrido e mi allento la cravatta. Sul lavoro ho sempre la cravatta.
Non sul set, certamente. Sul set di solito non ho molto addosso. Quando
faccio da escort, mi vesto con eleganza, a meno che il cliente non abbia richieste particolari, ad esempio non mi preferisca in
giacca e pantaloni di pelle. L’uomo mi si avvicina, mi poggia una mano sulla camicia. - Mi sembra incredibile di essere qui con te, di poterti toccare. La mano si infila tra due bottoni, ora è sulla mia pelle. È una
sensazione piacevole. Con lentezza, alzo le braccia e gli slaccio la cravatta. Mentre lo
faccio sorrido e lo guardo. Osservo le sue reazioni: voglio che sia
soddisfatto. Lui sorride. È in estasi perché è qui con me. Non sembra nemmeno
avere fretta di scopare. - Lasciati guardare. Io mi fermo. Può guardarmi finché vuole, da davanti e da dietro,
vestito e nudo: ha pagato per questo. Ma lui mi guarda in faccia. - Posso baciarti? Di colpo mi fa tenerezza. A volte ho questa reazione, di fronte a
certi clienti. Quelli convinti che io debba strisciare ai loro piedi solo
perché mi pagano, li mando a stendere: mi è anche capitato di rivestirmi e di
lasciare a bocca asciutta uno che strillava. Ma i tipi come questo, che
sembrano in adorazione… mi verrebbe voglia di
abbracciarli e dirgli di svegliarsi. Sono un uomo come tanti, niente di più,
anche se per lavoro dedico molta cura al mio corpo. Annuisco. Ci baciamo. Lui è in estasi. Ha le lacrime agli occhi.
Questo mi sembra un po’ troppo, anche se non è la prima volta che mi capita.
Spero che non si metta a piangere davvero: mi è successo anche questo e una
volta ho passato le due ore a consolare uno. Gli tolgo la giacca e l’appoggio sulla sedia: quando scopo con altri
attori ad uno dei vari Maximum,
i vestiti finiscono a terra, senza tanti complimenti. Ma so benissimo che
molti clienti non sono soddisfatti di trovarsi la giacca tutta stazzonata.
Dopo gli sbottono la camicia. Lui mi guarda. Sembra incapace di muoversi.
Quando ha la camicia aperta e la cravatta slacciata, gli appoggio le mani sui
capezzoli e stringo i pettorali. Sussulta. Sorride. - Non… io…
voglio dire… Lo guardo, interrogativo. Cerco di non mettere mai sotto pressione i
clienti e, se possibile, evito le confessioni. Non siamo qui per uno
psicodramma, ma per una scopata. Lui scuote la testa e non conclude la frase. Io gli faccio scivolare
la camicia dalle spalle e appoggio anche quella sulla poltrona. Aspetto una sua mossa: alcuni clienti amano rimanere nudi mentre io
sono ancora in giacca e cravatta, altri preferiscono il contrario. Se dovessi
elencare tutti i diversi gusti che mi è capitato di
incontrare, ne verrebbe fuori un volume più spesso di Guerra e pace. Cerco di capire che cosa vuole, ma lui è troppo
confuso. Allora inizio a spogliarmi, con grande lentezza. Lui mi guarda. Mi
divora con gli occhi, centimetro per centimetro, ed
io lascio che mi ammiri. Ora siamo tutti e due a torso nudo. Lui fa un passo avanti, mi
stringe ed appoggia la sua testa sul mio petto. Poi
scivola in ginocchio e cerca di aprire la fibbia della mia cintura, ma gli
tremano le mani. Gli vengo in aiuto ed allora può
abbassare la lampo e calarmi i pantaloni. Rimane in adorazione davanti ai
miei boxer. Li annusa, ci struscia la guancia sopra, mentre le sue mani
accarezzano il mio culo. È in paradiso, lo vedo bene. Lo lascio rimanere così. Ha più voglia
di stringermi che di scopare, in questo momento. Non gli sembra vero di
poterlo fare. Ma ha pagato, 1000 dollari, in
anticipo, per due ore con me. Ha la guancia contro il
mio cazzo, che intanto si sta irrigidendo: ci vuole poco per farlo diventare
duro, ci è sempre voluto poco. Una buona cosa, per
un lavoro come il mio. La più antica professione del mondo. Per un attimo riaffiora un
vago senso di fastidio. In passato mi capitava spesso, adesso mi succede
molto di rado. Questo è il mio lavoro: distribuisco sogni e piacere e sono
sicuro che quest’uomo sta pensando di aver speso
bene i suoi mille dollari. Non ha senso che io mi chieda che cosa sarebbe
potuto succedere se… Cazzate! Mi guarda, in ginocchio
davanti a me, e io passo due dita sotto l’elastico
dei boxer e ci giocherello un po’. Le sue mani si spostano, accarezzano le
mie e le guidano ad abbassarmi anche i boxer. Adesso sono nudo o, per meglio
dire, ho ai piedi pantaloni, boxer e scarpe: un po’ ridicolo, ma negli occhi
di quest’uomo non c’è traccia di riso, c’è solo un’adorazione sconfinata. Mi
fissa il cazzo, ormai bello teso. Ce l’ha a una
spanna dalla bocca, ma non osa toccarlo. Lo guarda, incantato. Poi, con lentezza, le sue
mani scivolano sul ventre, in una carezza delicata, e convergono verso
l’uccello. Una scende ancora, fino ad avvolgere le palle, l’altra sfiora il
cazzo e poi lo percorre, solo con due dita, fino ad arrivare alla cappella.
Poi, con un movimento brusco, vincendo una resistenza, avvolge la cappella e
incomincia a succhiare. Lo lascio fare. È bravo, è
una cosa che sa fare, anche se non ha l’esperienza di certi miei colleghi. Poi molla il suo boccone e
si alza. Ora è più deciso. Si cala i pantaloni e i boxer. Io mi tolgo i
mocassini e mi libero completamente dei vestiti. Adesso siamo nudi tutti e
due, pronti. Lui annuisce. Si avvicina.
Mi stringe. I nostri corpi aderiscono. Mi bacia, questa volta senza più
chiedere. E poi guarda il letto e si
stende, divaricando le gambe. * Matt sorride mentre si
mette in bocca il primo boccone di aragosta. Adora mangiare e sceglie sempre
locali in cui il cibo è eccellente. Non conoscevo questo ristorante italiano,
ma gli antipasti mi hanno confermato che la cucina è di alta qualità. Dopo aver mangiato i primi
bocconi, assaporandoli, Matt mi dice: - Volevo dirti che ho
aumentato le tue tariffe. Matt è il mio agente, da
parecchi anni. - Di nuovo? Matt, tu mi
vuoi lasciare senza clienti. - Come no, Bruce, certo.
Voglio vederti andare in rovina e rovinarmi con te. Matt mi chiama Bruce, come
tutti nel giro, anche se è uno dei pochi che conosce il mio vero nome. Dopo
una pausa aggiunge: - Bruce, ho prenotazioni
per te fino a ottobre. Ha senso? Un cliente telefona e chiede un
appuntamento. Gli dico che se ne parla tra tre mesi.
No, non esiste. Aumento le tariffe. L’ho già fatto. A meno che tu non voglia
raddoppiare le prestazioni. - No, va bene così. Perché dovrei prendere più
clienti? I miei fratelli si sono laureati e non hanno più bisogno di aiuto.
Il conto in banca è grasso, per non dire obeso. Quando smetterò, potrò
ritirarmi e vivere di rendita. Perché lavorare di più? Poi aggiungo: - Secondo me, con
l’aumento perderò tutti i clienti. - Certo, come no. I primi
sei a cui l’ho detto non hanno fatto una piega. Invece quando gli ho detto che
comunque dovevano aspettare qualche mese, si sono imbufaliti. - Va bene, Matt. Fa’ tu
che sai. - Bruce, quando telefonano
per una serata in un locale e chiedo cinquecento dollari per Bart Be, più
albergo di prima categoria e volo aereo, mi rispondono
che è troppo. Quando gli propongo Bruce Bull per duemila dollari, volo in businnes class e albergo
superlusso, ma solo in certe date, mi chiedono in che
giorno sei libero per poter fissare la serata. Matt mi sorprende questa
sera. È molto in gamba, ma di solito non si spreca in lodi. Matt riprende: - Hai letto il blog di Gaytown? Scuoto la testa. - Lo immaginavo. Leggi
romanzi, fai surf, cammini in montagna, vai a cavallo e dedichi pochissimo
tempo a Internet. Gli altri passano la vita a digitare il proprio nome e
vedere quante volte sono citati nel Web e che cosa dicono di loro, tu manco
sai che Joe McBold ha scritto un blog su di te
dicendo che sei la Marilyn Monroe dell’universo gay. Matt mi cita Marilyn
Monroe, Willie mi paragonava a Greta Garbo. Mi viene
un po’ da ridere. - Non mi vedo come Marilyn
Monroe. Non amo il rossetto e i tacchi a spillo. Non sono certo effeminato,
tutt’altro. - Non è
questo, Bruce. Marilyn Monroe ha fatto sognare milioni di uomini, era un
idolo. Per te è lo stesso, nel mondo gay sei un
idolo. Scrollo le spalle. - Gli idoli si creano e si
distruggono molto in fretta. Matt continua: - Bruce, rappresento una
sessantina di uomini. Per me ci sono sempre stati tre livelli. Il livello 1 è
costituito dagli esordienti, che magari faranno
strada; da quelli poco noti, che non emergeranno mai; da quelli che
interessano solo ad un certo tipo di cliente; da quelli ormai poco richiesti,
che stanno uscendo dal giro. Il livello 2 è formato da quelli che hanno un
nome, che sono ricercati, facce note. Il livello 3 è
quello dei grossi nomi: tariffe molto alte, tante richieste. - E
io sono nel livello 3. Ho capito… - Non hai capito un cazzo.
Sta’ zitto e lasciami finire. Taccio e lo guardo,
ghignando. - Il livello 3 sono otto
nomi. Otto su sessanta non è moltissimo, ma non va male: con questi posso
chiedere tariffe decisamente alte, imporre condizioni. Ora ho scoperto che
c’è il livello 4. Il livello 4 è Bruce Bull. Punto. Lo guardo,
un po’ interdetto. Lui aggiunge: - E bada bene, Bruce, che
sono l’unico agente negli States che ha il livello
4, perché tutti gli altri non vanno oltre il 3. Di Bruce Bull ce n’è uno
solo. - Figurati! Gente come
Parker Williams, Bruno Bond, Steve Cruz… Mi interrompe. - Ottimi livelli 3. Ci fai
un sacco di soldi. Mai quanti ne faccio io con te, Bruce. Non te l’ho detto,
tanto è inutile, ma se vuoi dare via il culo, in un anno facciamo un milione
di dollari. Scoppio a ridere. - Matt, questa volta l’hai
sparata troppo grossa. C’è un limite a tutto. Matt mi guarda, serissimo. - Ho già ricevuto offerte
per quasi trecentomila dollari. C’è un tizio che mi ha offerto centomila
dollari per una sola volta. Non sta scherzando, lo so.
Scrollo le spalle e dico: - La gente è pazza. - Forse. Le foto di
Marilyn Monroe, le prime scattate da Jasgur, che
non sono niente di speciale e in cui lei non è certo quella che divenne poi,
sono state vendute a un’asta per 352.000 dollari. Sono foto, Bruce, solo foto. Vestita, oltre tutto, al
massimo in bikini. - Le foto ti restano… - E il ricordo di una
notte con te resta. Bruce, ma lo sai che ci sono uomini che mi ringraziano
per avergli combinato una notte con te?! Ma Bruce,
ti rendi conto? Non mi è mai capitato con nessun
altro, non mi capiterà mai più. Bruce Bull, livello
4. Prima di te non sapevo che esistesse. Se il tuo culo lo mettiamo all’asta,
dicendo che lo darai via una volta sola, altro che 352.000 dollari! - Insisto, la gente è
pazza. - No, Bruce. La gente
vuole sognare. E tu li fai sognare. Vedono Bruno Bond e
dicono: “Cazzo! come mi piacerebbe scopare con lui!” Vedono Bruce Bull e pensano: “Cazzo! come
mi piacerebbe vivere con lui.” Sono del tutto spiazzato.
La butto sul ridere, con una battuta idiota: - Prima o poi troverò il
mio principe azzurro e vivremo felici e contenti. - Per mia fortuna, sei tu
il principe azzurro. - Perché, per tua fortuna? - Perché essendo il
principe azzurro, non cerchi un altro principe
azzurro. Bruce, so benissimo che il giorno in cui trovassi l’uomo giusto, cambieresti lavoro. Cambiare lavoro? Per fare
che cosa? Cercarmi un posto da impiegato in qualche azienda? Posso presentare
il mio curriculum vitae: dodici anni come attore porno ed escort, grandi
performance, quotazioni alle stelle, livello 4, parola di Matt Tatchell, ottimo agente e massimo esperto del settore. Ormai la mia vita è questa
e va bene così, ma le parole di Matt mi turbano. - Un’ultima cosa, Bruce. - Dimmi,
Matt. - Grazie per non aver
accettato la proposta di Heindrich. Lo guardo, basito. Come fa
a sapere che Heindrich, il suo più temibile concorrente,
mi ha proposto di diventare il mio agente, a condizioni molto vantaggiose?
Nessun altro era presente quando gli ho detto di no e non l’ho raccontato in
giro. - Come lo sai? Matt alza le spalle. Non
risponde alla mia domanda, ma dice: - Anche questo conferma
che non sei come gli altri. Ho una gran confusione in
testa, ma adesso ho capito la loquacità di Matt, questa sera: ha saputo
dell’offerta di Heindrich e voleva ringraziarmi. * C’è una splendida vista sulla
baia, da questa camera. E mentre finisco di scopare il cliente, guardo le
luci della città. Il tipo urla. L’ha già
fatto prima, quando è venuto per la prima volta. Adesso di nuovo, ancora più
forte. Spero che nessuno si lamenti dalle altre camere. Qualche volta
succede. Dopo la doccia mi rivesto.
Lui è rimasto a letto e mi guarda, felice. - Grazie, Bruce, grazie
per la più bella notte della mia vita. È gentile. Mi avvicino a
lui. Ci baciamo. Poi lo saluto e me ne vado. Torno a casa a piedi. Non
mi fermo mai a dormire con i clienti: è un extra e deliberatamente lo faccio
pagare uno sproposito, più della scopata. Non ci tengo a dormire con un
cliente, ma qualcuno paga anche per questo ed allora
va bene. La tariffa prevede due ore, più un’eventuale cena, a spese del
cliente. Non guardo mai l’orologio, mi sembrerebbe di cattivo gusto, e non mi
preoccupo se sto una mezz’ora in più, ma quando abbiamo finito, me ne torno a
casa. Di solito scelgo il Carlton Hotel perché è a venti minuti da casa mia e
faccio una passeggiata. A volte i clienti mi propongono altri alberghi. Per
me va bene, purché siano di buon livello. Ma in genere chi spende
millecinquecento dollari per una serata con me non sceglie alberghi di
terz’ordine. È passata l’una e la
strada è quasi deserta: non è un quartiere animato la sera, questo. Sento le voci concitate. E
poi grida, una donna che chiede aiuto. Mi lancio nel
vicolo da cui è arrivato il grido. In fondo, sulla strada parallela a quella
che percorrevo, c’è una rissa. Tre uomini si stanno azzuffando, un altro ha
afferrato il braccio della donna che ha un cellulare in mano. La donna urla,
chiede di chiamare la polizia. Salto sull’uomo e gli mollo un pugno in
faccia. Non se lo aspettava. Bestemmia e cade a terra, lasciando la donna.
Gli altri si voltano e mi vedono. Due si staccano e si mettono a correre via.
Il tipo che ho mandato a terra si rialza e scappa via anche lui. Tre teppisti
che hanno aggredito una coppia. La donna si rivolge a me: - Grazie, grazie. Poi si volta verso l’altro
uomo, che si sta avvicinando: - E grazie anche a lei. Non erano insieme,
evidentemente. L’uomo perde sangue dal
naso. La donna esclama: - Ma è ferito! L’uomo sorride. È sui
trentacinque, più o meno come me, e ha un bel sorriso. È più alto di me, ma
ha avuto un bel fegato ad affrontarne tre per difendere questa donna. - No, direi di no. Solo un
po’ ammaccato. Tira fuori un fazzoletto e
si tampona il sangue che cola. Ridiamo e parliamo troppo forte, soprattutto la donna e io. Lui sembra più
tranquillo. Lei dice che non vuole chiamare la polizia. Chiede solo se
possiamo aspettare che arrivi un taxi. Noi le rispondiamo di sì. Lei telefona
al taxi, poi ci presentiamo. La donna si chiama Sue Barlington,
l’uomo Manuel Dietrich. Nome spagnolo e cognome tedesco. Sue gli chiede come mai, lui spiega che è peruviano, ma che
appartiene a una famiglia di immigrati tedeschi: gente che si stabilì in
Perù, in un posto di cui non capisco bene il nome (Pozuzo?)
nell’Ottocento. Suo padre si trasferì a Lima e sposò una peruviana. Il suo
nome completo è Manuel Ludwig. Lo guardo, ma non mi sembra di vedere nessuna
traccia di sangue indiano. Io mi presento come Sean,
ovviamente, non come Bruce Bull. Il taxi arriva. Sue ci ringrazia ancora, poi sale e ci saluta con un cenno della
mano. Quando il taxi si allontana, Manuel si appoggia ad
un palo della luce. - Cazzo! Mi sembra di
essere ubriaco. Ne ho presi di pugni. - Forse è meglio che
prenda un taxi anche tu. Scuote la testa. - Non è il caso, sto a due
isolati di qui. Stavo tornando a piedi, quando ho sentito la donna urlare.
Meno male che sei arrivato tu, però, perché mi sa che facevo una brutta fine. - Ti accompagno a casa. - Grazie. Accetto
volentieri. Così parliamo un momento e mi scarico un po’. Non so a te, ma a
me non capita spesso di menarmi. Neanche a me capita di
fare a botte e in effetti la faccenda mi ha un po’
agitato. Lui mi sembrava più tranquillo, ma mi sembra
logico che sia teso anche lui. In
effetti casa sua è a
due passi, arriviamo in un attimo. Quando siamo davanti al portone, Manuel mi
dice: - Sali un momento, se hai
voglia. Perché no? Accetto. L’appartamento non è molto
grande, ma ordinato e piacevole. Alla luce vedo che
Manuel deve aver qualche anno in più di quello che pensavo: dev’essere sui quaranta. È davvero alto: anche da seduto
si vede. Ha i capelli neri, come la barba, e bellissimi occhi di un azzurro
molto intenso. Ci sediamo sul divano, ma Manuel va in bagno a sciacquarsi la faccia. Mi guardo intorno. Sul
tavolino di fianco alla poltrona c’è un libro. Riconosco immediatamente la
copertina e non ho bisogno di leggere il titolo: Le anime morte. Buffo: sta leggendo lo stesso libro che leggo (rileggo, per essere esatti) io. Quando torna mi chiede se
voglio una birra. Bevo volentieri un goccio. - Grazie. - Non ho niente di forte,
non bevo liquori. - Anch’io bevo molto poco. Una birra va benissimo. Manuel prende due birre in
frigo e me ne porge una, poi si siede anche lui. Gli chiedo a bruciapelo: - Ti piace Gogol? - Moltissimo. È la seconda
volta che mi leggo questo. Questa poi! Trovare un
altro amante di Gogol non è proprio così facile.
Rido. - Pensa che anch’io me lo sto rileggendo. Per la terza volta. Ti batto. Le
anime morte è il mio libro preferito. - Mi piace molto la letteratura
russa, ma tre volte, direi che non ho riletto mai niente. - E i film russi? Questa volta mi batte lui.
Non è che ne abbia visti tanti. Chiacchieriamo di
letteratura e di film. Sulla letteratura russa è ferrato, anche se non
conosce Leskov e non ha letto Vasilij
Grossman. Gli consiglio Vita e destino. Torniamo ai film e lui mi dice: - C’è una rassegna di
Tarkovskij al cinema. Mercoledì sera danno Nostalghia. Ti va di venire? Mercoledì ho un altro
cliente. - Mi spiace, sono
occupato. Parliamo ancora un po’.
Due volte Manuel si soffia il naso e perde un po’ di sangue. Sto bene qui, in questo
appartamento accogliente, con questo gigante cordiale che ama la letteratura
russa. Solo guardando l’orologio mi accorgo che sono le tre. - Cazzo, se è tardi!
Magari tu domani devi pure lavorare. - Per mia fortuna ho un
orario flessibile. Non gli chiedo che lavoro
fa: mi farebbe la stessa domanda e dovrei mentire. È
uno degli inconvenienti del più antico mestiere del mondo ed è una cosa che
mi ha sempre dato fastidio. Al di fuori del giro devo mentire. Ma sulla porta, al momento
di lasciarci, mi dice: - È stato un piacere
averti conosciuto di persona. Posso proprio dirlo. “Averti conosciuto di
persona” mi fa pensare che mi abbia riconosciuto. Lo guardo negli occhi e
glielo chiedo: - Sai chi sono? Manuel sorride. Ha un bel
sorriso, allegro, caldo. - Certo! Ho diversi dei
tuoi film. Ma di persona sei anche meglio. Salvato dal grande Bruce Bull. Non
lo racconterò a nessuno, non mi crederebbero mai! Ha di nuovo un po’ di
sangue che gli cola dal naso. Vorrei pulirglielo io, ma mi sembra un gesto
troppo intimo, per cui mi limito a dirglielo. Lui cerca un fazzoletto, ma non
lo trova: quello con cui ha tamponato l’emorragia prima deve averlo lasciato
in bagno. Allora tiro io fuori un fazzoletto e lo pulisco. C’è un attimo in cui i
nostri sguardi si incontrano, quando io ho appena pulito la goccia di sangue
e i nostri visi sono ancora vicini. Sorridiamo entrambi. - Il fazzoletto puoi tenerlo. Un fazzoletto del grande Bruce Bull. Ridiamo e ci stringiamo la
mano. - Magari ci incontreremo
ancora, tanto abitiamo vicini. In
effetti gli ho detto
che casa mia non è molto lontana. Scendo le scale. Non so
perché, ma mi sento bene, questa sera. Un po’ euforico. * La comunicazione mi arriva
sul telefono cellulare, quello che uso solo per il lavoro. Matt mi avvisa che
il cliente di questa sera non può venire. Una serata in casa. Mi
finisco Le anime morte. E mentre lo
penso mi viene in mente Manuel e la sua proposta.
Perché no? Non ho il suo numero, ma non ha importanza. È il film che mi
interessa, anche se devo riconoscere che lo rivedo volentieri. È simpatico.
So qual è il cinema, per cui controllo su Internet gli orari e prendo l’auto. All’ingresso vedo Manuel che
sta acquistando il biglietto. Parla con due amici. Avevo pensato che sarebbe
venuto da solo, chissà perché. Non mi avvicino, ma lui mi vede. - Sean! Ce
l’hai fatta a venire! Mi fa piacere che mi
chiami Sean, che si ricordi il mio vero nome, che così poche persone usano,
ormai. Mi presenta ai suoi amici. Mi stringono la mano, ma non danno segno di
avermi riconosciuto. Meglio così. Molto meglio così. Aspettano che io abbia
preso il biglietto: evidentemente danno per scontato che io mi sieda con loro
e davvero non ho motivo per non farlo. Il film è interessante, ma
molto triste. Ognuno per conto suo, in una solitudine da cui nessuno riesce ad uscire, fino alla morte. All’uscita discutiamo del
film. Dei due amici di Manuel, uno spara a zero, l’altro, un bel ragazzo
afro, è invece entusiasta. Io e Manuel ci ritroviamo in un apprezzamento
privo di esaltazione. Al momento di separarci, Manuel mi chiede: - Sei in auto? - Certo. - Se vai a casa, hai
voglia di darmi uno strappo? Poi ha un attimo di
esitazione e aggiunge: - O devi andare da
un’altra parte? Scusa, non volevo essere invadente. Non è stato invadente. Gli
do volentieri un passaggio. Mi dico che al momento in cui me l’ha chiesto io ero Sean e subito dopo si è ricordato che sono Bruce
Bull e allora è in imbarazzo: a Sean chiede un passaggio volentieri, a Bruce
Bull non oserebbe. - Va benissimo, Manuel.
Non ho impegni. E dopo che i suoi amici se
ne sono andati, aggiungo, ridendo: - Bruce Bull non deve
girare un film questa sera. Non aggiungo: “E neanche fare
da escort” perché non mi piace parlargliene, anche se Manuel sa benissimo che
fa parte del mio lavoro. Manuel ride, poi aggiunge: - Mi fa piacere che tu sia
venuto. Il tragitto non è molto
lungo. Passiamo lungo la baia. C’è vento e il mare è mosso. Gli dico che
pratico il surf. Lui nuota, ma non ha un debole per il mare. Preferisce la
montagna. - Anch’io vado a
camminare, spesso. Incomincia uno scambio sui
posti dove andiamo, le nostre escursioni preferite e così via. Quando arrivo
sotto casa sua c’è uno spazio. Parcheggio e continuiamo a chiacchierare.
Parliamo dell’area del lago Cuyamaca, che è vicina e costituisce una buona meta per un’escursione di
una giornata. - Conosci il sentiero per
le Granite Springs? - Quello dove c’è il
campeggio? Sì, l’ho fatto qualche volta. - A me piace molto. Dalle
sorgenti proseguo fino al guado, poi raggiungo Fall
Pond e torno alla base. È un bell’anello, un po’
lungo, ma interessante. E nella parte tra il guado e Fall
Pond non incontro mai nessuno. Qualche volta mi è capitato
di vedere degli animali. - Non sapevo
ci fosse un sentiero dal guado a Fall Pond. - C’è una vecchia traccia
ormai in disuso. In qualche punto si fa un po’ fatica a trovarlo, ma vale la
pena. A volte lo percorro in una direzione, a volte nell’altra. È mezz’ora che parliamo,
seduti in auto, quando Manuel dice: - Vuoi salire da me? Non so che cosa ci sia
dietro questa domanda, ma scuoto la testa. - No, ora devo andare. Non devo andare e rimarrei
volentieri a parlare con Manuel, che mi piace. Ma non voglio che si crei una
situazione poco chiara. Sa che sono Bruce Bull e potrebbe farsi strane idee. - Mi ha fatto piacere
rivederti. Apre la portiera e intanto
mi porge la mano. Mentre la stringo, aggiunge: - Mi farà impressione
riguardare uno dei tuoi film… - Io scopo solo a
pagamento, nei film e nella realtà. La mia replica lo
disorienta. - Certo, non intendevo… scusa… io… Taglio corto. - Adesso devo andare. - Scusa, non volevo
trattenerti. Mi ha fatto piacere rivederti. Ciao. Scende rapidamente. Mi fa
un cenno di saluto e si infila in casa. Perché gli ho detto che
scopo solo a pagamento? Non ce n’era nessun motivo. Mica
mi ha chiesto di scopare. Mi ha chiesto se volevo salire da lui, ma non
significa mica che volesse combinare qualche cosa. Perché gli ho parlato in
modo così brusco? Ho fatto la figura del cafone. Proprio con lui. Perché? A casa sono irritato, mi
muovo senza riuscire a fare un cazzo. Ripenso al dialogo con Manuel e mi
incazzo. Più ci penso, più mi incazzo. Mi spiace averlo offeso, non avevo
motivo di rispondergli così. Mi dico che non ha
importanza. Non ho il suo numero di telefono, lui non ha il mio, abbiamo
orari e stili di vita diversi, probabilmente non ci incontreremo mai più, che
m’importa se ho risposto in modo sgarbato. Chi se ne fotte?! Ho visto Manuel due volte
in vita mia. Perché mi pongo tanti problemi, allora? Non sono tanto stupido da
non intuire la risposta, ma non sono nemmeno tanto idiota da non capire che è
meglio che me lo tolga dalla mente subito, prima che ne nasca qualche guaio.
Qualche grosso guaio. Manuel mi piace,
d’accordo. Mi piace come persona e anche fisicamente, mi piacciono gli uomini
più alti di me, non sono così frequenti. Abbiamo interessi e gusti comuni. Ma
lo conosco appena e la faccenda finisce lì. * Sabato. Domani una bella
passeggiata in montagna. Potrei provare con il sentiero di cui parlava
Manuel. Fare il solito giro e dal guado cercare di raggiungere Fall Pond. E se mi perdo? Se mi
perdo vado a casa sua e gli spacco la faccia! Rido
mentre lo penso. Se avessi il suo numero, potrei telefonargli e chiedergli
qualche indicazione in più. Me le darebbe volentieri. Di sicuro non se l’è
presa per la risposta del cazzo dell’altra sera. Sorrido. Sono bravo a
raccontarmi storie, lo so. Mi piacerebbe rivederlo,
tutto lì. Sentirmi di nuovo chiamare Sean e non Bruce. Qualcuno che conosce
il mio nome e sa che lavoro faccio, ma mi parla
tranquillamente di cose che non c’entrano nulla, di libri e di film, di
montagna e di viaggi, non di cazzi e culi, scopate e seghe e così via. Sono una testa di cazzo,
diciamocelo pure e chiudiamo lì. Domani mattina si parte. * Arrivo al guado seguendo
il sentiero. Esito un attimo prima di attraversare il fiumiciattolo. E se poi
mi perdo? Scrollo le spalle. Non è un’area così selvaggia, questa, e non si
rischia di vagare per giorni e giorni senza
incontrare nessuno. Non mi perderò e al massimo, se non troverò una traccia,
tornerò indietro. Superato il guado, scorgo
subito il sentiero e lo prendo, baldanzoso. Per un’ora almeno avanzo senza
fatica, poi la faccenda diventa assai meno semplice. A tratti mi sembra di
vedere chiaramente una traccia, in altri momenti mi pare di essermi perso. La
direzione è questa. Deve essere questa. Che casino! Mi converrà
tornare indietro? Forse è meglio. Mi giro e faccio per avviarmi verso il
punto di partenza, ma rimango un momento incerto. Sento un rumore alle mie
spalle. Un animale o una persona? Mi volto. C’è qualcun altro che sta
arrivando dalla direzione opposta. Dovrei essere sul sentiero giusto, quindi.
L’uomo appare tra due alberi, a una svolta. Non è il riconoscere
Manuel nell’uomo che arriva, a turbarmi. È il tuffo al cuore. Leggero, appena
percettibile, ma indubbio. Questo non ha senso,
nessun senso. L’ho visto due volte in vita mia. Come
è possibile? Che mi stia simpatico, va bene. Che con lui mi trovi bene, va
bene. Che mi piaccia, va bene. Che il solo fatto di vederlo mi faccia questo
effetto, no, non va bene un cazzo! - Sean! Che bello vederti
qui! Vorrei poter dire
altrettanto e sarebbe pure la verità, ma è una verità
che mi piace poco. - Sono contento di vederti, Manuel. Temevo di essermi perso. - No, no, sei sul sentiero
giusto. Più in basso si vede poco, ma non dovresti fare troppa fatica a
trovarlo. - Si vede poco più in
basso? Mi sembrava si vedesse poco già qui! Se mi perdo,
le spese per i soccorsi le faccio addebitare a te! Manuel ride: - Con quel che guadagno,
stai fresco! Ma se vuoi ti accompagno, così evito di pagare le spese per i
soccorritori. Esita un attimo, poi
aggiunge, incerto: - Se ti va. - Se non ti pesa,
volentieri. - Figurati, tanto l’ho
fatto più volte in una direzione e nell’altra. Scendiamo insieme. In effetti a un certo punto il sentiero scompare, ma
Manuel mi fa notare qualche punto di riferimento che potrà servirmi in
futuro. C’è una cosa che voglio
dirgli. Aspetto un momento di silenzio e poi la sputo fuori: - Scusa per l’altra sera.
Sono stato uno stronzo. - Ma no, figurati. È che a
volte non penso che tu sei Bruce Bull. Ti ho
conosciuto come Sean e allora… Sì, questa è la ragione
per cui mi trovo bene con Manuel: per lui sono Sean, anche se sa che sono
Bruce Bull. Poi Manuel aggiunge: - Mi rendo conto che non
deve essere facile, Sean. Lo guardo,
un po’ stupito. Cerca di spiegare: - Insomma, tutti gli
uomini, quelli gay almeno, che ti desiderano, che
vorrebbero portarti a letto. Devi essere sotto pressione, sempre sul chi va
là. Annuisco. Manuel ha
ragione, anche se non ci ho mai pensato molto. Alla fine scansare le proposte
diventa un fastidio. Non dico nulla e Manuel conclude: - Comunque mi dichiaro
innocente:io volevo proprio solo chiacchierare con
te. Mi piace parlare con te, Sean. - È reciproco. Finisce che ci scambiamo i
numeri di telefono. Salgo in macchina e sono di nuovo euforico. Perché uno sa
di andare incontro a un disastro ed è contento? * Aspetto Manuel, che deve
venire a cena. Sono teso, parecchio. Il telefono squilla. Spero
solo che non sia Manuel che ha dovuto rinunciare per qualche problema. Guardo il display. È Matt.
- Ciao, Matt. Tutto bene? - Sì. Tu? - Anch’io grazie. In questo momento, mi
sento sui carboni ardenti, ma non è il caso che parli a Matt di Manuel. - Sei seduto? Rido. - Che cazzo vuoi dire? - Ho da comunicarti una
cosa, ma è meglio se ti siedi. - Ti ritiri a vita
privata? Uno sceicco di Abu Dhabi ha offerto un milione di dollari per il mio
culo? Ti sposi? - Ti sei seduto? - Fatto! Non è vero, sono in piedi alla
finestra che guardo la strada: tra un po’ arriverà Manuel. - Sono stato contattato
dalla Paramount. - Ah, sì? Non capisco. - Bruce, ti rendi conto?
Ti vogliono in un film. - Un film, la Paramount?
Da quando in qua la Paramount gira film porno? - Oggi sei ancora più
stupido del solito, Bruce! Il tono è scherzoso. Poi
riprende, serio: - Vogliono davvero girare
un film, è il regista che ha chiesto di te per una parte importante. E sai
chi è il regista? - E che ne so? Mi dice il nome. Commento
solo: - Cazzo! - È bene che ne parliamo, Bruce. Pensaci un po’ e lunedì andiamo fuori a
cena. Combiniamo, poi Matt riattacca. Non faccio in tempo a
metabolizzare, che Manuel suona il campanello. Due mesi. Ci frequentiamo
da due mesi. In montagna andiamo insieme, è venuto con me a cavalcare (ma è
una frana) e una volta a vedermi fare surf: lui dice che non ci prova, ci
tiene alla pelle. Però è un ottimo nuotatore. Adesso entra, qui, a casa
mia, dove non ricevo mai nessuno. Lo guardo e so benissimo di essere
innamorato dell’uomo che ho davanti. Ma non so come dirglielo. Potrei
proporgli di fare sesso, dirgli che ho cambiato idea sul sesso a pagamento,
ma è altro quello che voglio. Dopo che ci siamo seduti e
abbiamo chiacchierato un momento delle nostre giornate, attacco il tema che
voglio affrontare, ma la prendo alla larga. - Sei mai stato
innamorato, Manuel? Colgo un leggero imbarazzo
in lui. O forse sono io che voglio coglierlo. - Chi non lo è stato? Tre
volte, direi. - Non è molto. - Non è molto?
Considerando quanto ho sofferto alla fine di due storie, è più che
sufficiente. - E la terza? - Non è incominciata. Ora lui è sicuramente in
imbarazzo e il mio cuore accelera i battiti. - Come mai? Si agita un po’ sul
divano, come a cercare una posizione più comoda. - Mi stai facendo un terzo
grado? Ridacchia, nervoso. Poi
passa al contrattacco: - E tu, sei mai stato
innamorato? - Lasciando
perdere le cotte ai tempi della scuola, direi due volte, una delle
quali prima di diventare Bruce Bull. - E l’altra quando eri già
famoso. Non è una domanda. Annuisco. - Sì, anche se credevo che
non potesse capitare. - Perché? Questa volta sono io a non
sapere bene che cosa rispondere. - Perché non c’era posto per l’amore, Manuel. Non c’è posto per l’amore
in una vita come la mia. - Ma alcuni…
vivono in coppia o hanno partner… Non ha detto “alcuni
pornodivi” o qualcosa del genere. Manuel affronta con molte cautele
l’argomento. Quello che sta dicendo è vero, lo so. - Per me non sarebbe
possibile, Manuel. - Perché? - Perché sono fatto così. - E quindi hai rinunciato
ad amare? Lo fisso senza parlare.
Dopo un momento di silenzio gli dico: - No, rinuncerò al lavoro. Manuel annuisce,
fissandomi. Gli leggo negli occhi mille domande che non osa fare. Credo che
abbia capito. Gli sorrido, ma sono agitato: - Manuel, non so se te ne
rendi conto, ma ti sto facendo una dichiarazione d’amore. Manuel sorride, china la
testa. Ha le lacrime agli occhi. - Scusa…
mi sembrava impossibile… Sean…
Anch’io… Anch’io ti amo, Sean. Quanto siamo goffi tutti e
due! Niente a che vedere con le scene ardenti dei film. Chi vedesse Bruce
Bull ora riderebbe, ma Bruce Bull non esiste più, qui, con Manuel, c’è solo
Sean. Mi alzo. Anche lui si
alza. Finalmente ci baciamo. Finalmente bacio l’uomo che amo e non guadagnerò
soldi per farlo. Il nostro bacio è incerto.
Lui non è ancora sicuro, io non sono più Bruce Bull e Sean non bacia un uomo
da quattordici anni. Ma il desiderio si accende in fretta e ci stringiamo,
baciandoci con passione. Lo trascino nella camera da letto, dove non ho mai scopato: ho trascorso
nove anni in questo appartamento e non ci ho mai scopato. Sono felice di
pensare che non ci saranno altri ricordi, ma solo Manuel. Ci spogliamo a vicenda,
prima in piedi, poi sul letto, baciandoci, abbracciandoci, stringendoci, scherzando. Ma
quando siamo nudi tutti e due, c’è un attimo di consapevolezza. Ci guardiamo
negli occhi, smarriti. Poi sorridiamo. Conosco il corpo di
Manuel. Non l’ho mai visto completamente nudo, ma al mare ho avuto modo di
apprezzarlo. Ha un fisico possente, anche se non scolpito come il mio: in
palestra non va molto, ma ha praticato rugby a lungo e talvolta gioca ancora
con gli amici della squadra. È molto ben dotato, questo l’avevo già
sospettato vedendolo in costume. Siamo una bella coppia, pagherebbero per
vederci, ma nessuno ci vedrà: quello che sta per
succedere è un affare solo nostro. Ci baciamo. Lui mormora il
mio nome, lo ripete infinite volte, ed io ripeto il
suo. La sua bocca scorre lungo il mio corpo, dal collo lungo il torace ed il ventre, fino al cazzo. Lo avvolge con le labbra ed
io sussulto. - Manuel! Ci dà dentro ed io chiudo
gli occhi, gli afferro i capelli, gli accarezzo il capo. - Manuel! Lui si solleva, sorride,
poi mi volta. Mi allarga le gambe, avvicina il capo e incomincia a mordermi
il culo. Piccoli morsi leggeri, morsi voraci. E le
sue mani mi accarezzano, pizzicano, stringono. E poi sento la sua lingua, che
scivola sul solco, che preme, che scorre di nuovo. Gemo senza ritegno. Manuel sussurra: - Non temere. So che Bruce
Bull non se lo prende in culo. - Bruce Bull è morto. Sì, è così, Matt aveva
ragione. So che annullerò gli appuntamenti e non andrò più a serate o ai vari
Maximum. Niente più film porno. So che mi cercherò
un altro lavoro, magari accetterò questa proposta della Paramount di girare
un film. Sono disoccupato, come
tredici anni fa. La principale differenza è lo stato di salute del mio conto
in banca. No, cazzate. La principale differenza è Manuel. Manuel ride e dice: - Meno male che ho tenuto
un suo fazzoletto come ricordo. E poi mi chiede dove sono
i preservativi. - Primo cassetto. Li ho messi a portata di
mano, speravo di usarli oggi. E mentre gli rispondo, penso che sto per prendermelo in culo e sono felice, felice di non
averlo mai dato via a pagamento, neanche per i centomila dollari che avrei
potuto guadagnare. Quello che sto per avere è molto più importante. Manuel è impaziente. Lo
sento premere all’ingresso posteriore, mi sussurra: - Ti amo,
Sean. E, con dolcezza,
baciandomi, inizia a premere ed entra. Lo fa con lentezza, lasciandomi il
tempo di abituarmi, ritraendosi e poi avanzando di nuovo. Mi fa un po’ male,
sono troppi anni che nessuno mi prende, ma sono
felice anche di questo dolore e poi lui è molto delicato. Avanza, piano piano, poi arretra, poi scivola ancora più dentro. A
tratti vorrei dirgli di fermarsi, ma va bene così, mi piace sentire questo
spiedo che mi trapassa, che prende possesso di me. E quando infine è arrivato
in fondo (e so che non reggerei di più), mi ripete ancora che mi ama e
incomincia la sua cavalcata. Lo sperone mi fa vedere le stelle, ma cavalco
anch’io con lui, incitandolo come lui sprona me, con parole oscene e tenere. E quando infine sento il
suono sordo del piacere che lo squassa, lo stesso piacere
mi strappa un grido. Siamo venuti insieme. Lui mi stringe e rimaniamo
così abbracciati, lui ancora dentro di me. Vorrei rimanere così per tutta la
sera, per tutta la vita. Quanto ai centomila
dollari per il mio culo (tariffa di mercato), glieli chiederò dopo. Adesso che
per colpa sua rimarrò senza lavoro potrebbero servirmi. 2011 |