L’esecuzione

 

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      Non riesco a dormire. E come potrei? Il pensiero di Pedro mi ossessiona. Pedro, Pedro Vargas, domani Pedro sarà morto. No, non domani, oggi, perché siamo già alle ultime ore della notte. All’alba guiderò il plotone che fucilerà Pedro. Mancano poche ore all’alba. Tra poche ore ucciderò il migliore uomo del mondo, il mio amico, il mio amante.

      Mi alzo di scatto e nuovamente, come ho fatto infinite volte questa notte, percorro freneticamente la mia stanza. Mi sembra una cella, una cella come quella in cui Pedro aspetta la morte, nei sotterranei di questo vecchio forte spagnolo. Sono fradicio di sudore, anche se sono nudo e la finestra è spalancata. La notte non porta frescura, in queste terre basse, e il mare non è abbastanza vicino per regalare un po’ di vento. La stagione delle piogge non è ancora incominciata e la terra sembra ardere.

      Non posso farlo, non devo farlo. Devo far fuggire Pedro, fuggiremo insieme, verso la morte, lo so, ci cattureranno, ma non importa, meglio la morte insieme a Pedro.

      Cerco di calmarmi. Pedro lo vuole, Pedro ha ragione, ma tutto il mio essere si ribella. Ho bisogno di parlare con Pedro, di vederlo ancora. Guardo l’ora. Sono quasi le quattro e mezzo. Un brivido mi corre lungo la schiena. Tra meno di due ore sarà l’alba, tra due ore fucilerò Pedro.

      Mi lavo la faccia nel catino, indosso i pantaloni della divisa e la camicia. Esco. La luce della luna inonda il cortile. Guardo il muro sulla destra, il muro davanti al quale Pedro sarà fucilato. Guardo il cielo a oriente, quasi avessi paura di vederlo impallidire. È ancora buio, è ancora buio.

      Confuso, mi fermo a guardare il cielo stellato. Poi mi riscuoto. Attraverso il cortile e raggiungo la porta che conduce ai sotterranei. La apro e scendo i gradini, appena visibili alla fioca luce della torcia che arde nel corridoio.

      Il soldato di guardia sta dormendo, ha incrociato le braccia sul tavolo e vi ha appoggiato sopra la testa. Potrei mandarlo via con una scusa, potrei ucciderlo, potrei rinchiuderlo in una cella. Potrei liberare Pedro, farmi dare due cavalli e poi fuggire. I soldati non oserebbero opporsi, sono il loro comandante.

      - Svegliati!

      La mia voce è aspra. Il soldato si scuote, mi fissa assonnato, mi riconosce, si alza di scatto.

      - Aprimi la cella del prigioniero, muoviti!

      Il soldato si dirige alla porta, toglie la sbarra che la blocca dall’esterno poi prende dalla cintura l’anello con le chiavi, sceglie quella giusta e fa scattare la serratura. Apre la porta. Dentro è buio. Tanfo di chiuso, di sudore, di piscio. C’è un movimento, Pedro deve essersi alzato, ma non riesco a vederlo.

      - Porta qui la torcia, muoviti!    

      Il soldato esegue rapidamente. Mi porge la torcia.

      - Torna a sederti.

      Il soldato torna al suo posto, nel corridoio che è piombato nel buio. Entro nella cella, chiudendo la porta dietro di me. Fisso la torcia nell’anello alla parete.

      Pedro è in piedi, di fronte al tavolaccio che gli è servito da giaciglio per l’ultima notte della sua vita. Lo guardo, incapace di parlare. Conosco quel corpo benissimo, ma lo guardo ancora una volta.

      Il mio sguardo scorre sul viso dai tratti marcati, sui capelli che il tempo ha ingrigito, sulla barba, ancora nera, sulle labbra spesse, sul naso forte, sugli occhi scuri, che sembrano ardere di un fuoco interno. Il volto, bagnato di sudore, luccica alla luce incerta della torcia.

      Poi il mio sguardo scende. Conosco bene quel corpo massiccio, membruto, scuro per il pelame rigoglioso che lo ricopre, quel corpo che tante volte ho stretto, in cui ora i rivoli di sudore accendono piccoli lampi di luce. Conosco quelle spalle larghe, quel torace possente, da lottatore, che ho spesso accarezzato, quelle braccia forti che mi avvolgevano, quelle mani vigorose. Gli anni e la tequila hanno lasciato il segno sull’eroe della battaglia di San Juan de Verano, ormai l’ampio ventre deborda.

     Ho spesso cercato di non vedere il disfacimento di questo corpo, ma è impossibile: per me, che conosco Pedro da dodici anni, che lo ricordo due anni fa ancora in forma eccellente, malgrado avesse raggiunto i quaranta, è doloroso vedere il degrado di quel fisico possente. Lo posso ritrovare anche nel viso, nel naso solcato da venuzze rosse, nella barba poco curata, nei capelli sporchi e lunghi. Ventiquattro mesi di inattività forzata e la coscienza di non avere più un ruolo da svolgere, hanno privato Pedro di ogni volontà di vivere. 

     Solo la vicinanza della morte gli ha restituito uno sguardo fiero e quella forza magnetica che ha sempre soggiogato gli uomini ai suoi ordini.

     E questa attesa ha acceso anche i sensi di Pedro, perché sotto il ventre debordante, più messo in evidenza che nascosto dai pantaloni logori, il grande sesso si protende in avanti. Lo chiamano il Toro e molti pensano che sia solo per il coraggio e la tenacia dimostrata in mille azioni durante la guerra civile, ma quel soprannome ha origini più lontane e, per chi lo ha conosciuto direttamente, ha anche un altro significato.

     L’erezione di Pedro accende il mio desiderio, ma nemmeno il ricordo delle notti di fuoco che abbiamo trascorso insieme riesce a distrarre la mia mente dal pensiero ossessivo che tra meno di due ore dovrò fucilare Pedro. Tutto è pronto, tutto è come Pedro stesso ha chiesto. Io solo non sono pronto, io solo non riesco ad accettare quello che sta per succedere.

      Pedro sorride e mi si avvicina. Mi bacia sulle labbra, un bacio appena accennato. Pedro non mi baciava mai, lui è un maschio, non ama le effusioni. Ma anche ieri sera, quando ci siamo separati, le sue labbra hanno sfiorato le mie. Mi prende le guance tra le grandi mani ed io sento il bisogno di mettermi a piangere, come un bambino. Mormoro:

      - Non ce la faccio, Pedro. Non posso farlo.

      Le labbra di Pedro si posano ancora sul mio viso, sui miei occhi. Chiudo gli occhi, mi abbandono a quel bacio che è appena una carezza.

      - Miguel, sai anche tu che è l’unica cosa da fare.

      Sì, lo so anch’io. So che una volta ucciso Pedro, il tentativo di sollevamento militare sarà dimenticato, solo Pedro fa davvero paura, perché è un eroe e soldati e popolo lo idolatrano. Morto Pedro, il suo progetto svanirà e non saranno necessari bagni di sangue.

      E so anche che Pedro stesso vuole morire, perché la vita che è costretto a fare, la forzata inazione, per lui è un supplizio. È una vita a cui Pedro rinuncia senza fatica, no: una vita di cui si sbarazza volentieri, come di un peso insopportabile.

      Per quanto il legame tra Pedro e me sia fortissimo, non è certo quella volta la settimana in cui io raggiungo il suo forte o lui il mio, a costituire una ragione di vita per un militare, un uomo abituato a lottare, a sfidare la morte ogni giorno, ad essere al centro della battaglia. Il progetto di sollevamento militare forse mirava solo a questo: al plotone, al muro, alla fine di anni oziosi. E chi ha deciso di inviare in queste terre desolate l’eroe di San Juan de Verano, probabilmente sapeva bene che se ne sarebbe sbarazzato davvero, spingendolo a distruggersi.

      So che è l’unica cosa da fare, so che Pedro lo vuole, ma trovo ancora parole, prive di senso, argomenti ormai superati:

      - Io dovrei essere al tuo fianco, non dall’altra parte.

      Non riesco a continuare. Ne abbiamo già parlato. Ma Pedro, con pazienza infinita, mi ripete ciò che mi ha già detto molte volte.

      - La ribellione l’ho progettata io, tu hai aderito perché l’avevo proposta io. E denunciandomi, hai salvato tutti.

      “Denunciandomi” è una fitta. Sì, ho denunciato Pedro, ho riferito agli alti comandi i progetti di Pedro. L’ha deciso lui, mi ha forzato a farlo, quando ha capito che qualcun altro stava per farlo. Denunciando il piano, sostenendo che esso non aveva l’appoggio di nessuno, neppure dei soldati di Pedro, perplessi all’idea di una rivolta, ho evitato che altri pagassero. Ed ho avuto l’incarico di occuparmi io della fucilazione di Pedro. Di attirarlo nel forte che dirigo e di fucilarlo immediatamente.

      Pedro, a cui ho subito raccontato tutto, mi ha seguito e ieri sera siamo arrivati qui. Si è tolto l’uniforme, ha indossato i due stracci che abbiamo trovato, una camicia che non potrebbe nemmeno chiudere ed un paio di pantaloni logori e stretti, ed all’alba lo fucilerò.

      Pedro scuote la testa, sorridendo.

      - Mi spiace, Miguel. Mi spiace. Vorrei che tu vivessi quanto sta per accadere come lo vivo io. Miguel, non c’è nulla di più bello che ricevere la morte da un amico, un amante. E dare la morte a un amico che desidera morire, è quasi altrettanto bello.

      Sono io, ora a scuotere la testa.

      Le mani di Pedro mi aprono la camicia, sento il contatto delle sue dita contro la mia pelle, sul ventre.

      - Quattro colpi qui, quattro colpi che danno inizio all’agonia, che chiudono con tutto: l’attesa vana di un’azione, il vuoto di giorni sempre uguali davanti, l’abbandonarsi all’alcol, l’abbrutimento.

      La sua mano sale e un dito traccia un circolo intorno al mio capezzolo destro.

      - Quattro colpi qui, che cancellano ogni ricordo.

      La sua mano sale ancora e l’indice e il medio, tesi, poggiano sui miei denti, poi, quando la mia bocca si apre ad accoglierli, entrano dentro.

      - Ed un colpo qui, per ricordare la cosa più importante, il legame che ci unisce.

      Le dita escono dalla mia bocca, accompagnate dalle mie parole, prive di senso:

      - Vorrei che potessimo scambiarci le parti.

      Pedro ride, una risata forte.

      - Miguel, se dovessi ucciderti, come tu mi ucciderai, io godrei e vorrei che godessi anche tu, che anche tu provassi questa eccitazione che da ieri sera mi perseguita.

      Mi guida la mano al ventre, dove batte, duro e caldo come la canna di una pistola che ha appena sparato, il membro taurino.

      - Questo è l’effetto che mi fa parlare di quanto sta per succedere. Dio, se lo desidero, se desidero che tu lo faccia!

      La sua mano ha lasciato la mia, che stringe la sua preda, e raggiunge il mio sesso. Il contatto accende un piccolo fuoco.

      Per non pensare, gli accarezzo l’asta protesa, ma Pedro blocca la mia mano.

      - No, non più.

      Mi guarda ancora.

      - Ho ucciso un uomo che avevo posseduto, un tempo. L’ho giustiziato io stesso, niente plotone, un colpo alla tempia. Aveva tradito ed io dovevo farlo. Certo, mi dispiaceva ucciderlo, ma mi eccitava anche. E lui era eccitato all’idea di essere ucciso da me. Lo uccisi in una cella. Venne un attimo prima che io sparassi ed io venni mentre premevo il grilletto. Vorrei che fosse così, per te, Miguel, come per me. Credimi, per un militare, un combattente…

      Si interrompe. La vicinanza di Pedro, la vista del suo corpo, il suo odore maschio, tutto allontana il pensiero da ciò che sta per accadere e accende i miei sensi. Vorrei ancora farmi possedere, ma non è più possibile. I nostri corpi si sono detti addio la notte prima che io partissi per denunciarlo.

      Pedro annuisce, sfiorando il mio sesso eretto.

      - Sì, così alla morte, così.

      Non so più che cosa penso. Non voglio che Pedro muoia, ma qualche cosa si è acceso dentro di me, le parole di Pedro mi hanno ubriacato.

      - Farai quello che ti ho chiesto?

      Annuisco. Pedro sorride.

      - Credo che mi sarebbe piaciuto ucciderti, Miguel. Ma mi piace di più pensare che sarai tu ad uccidermi. Non vedo l’ora che arrivi il momento.

      China la testa a guardare la protuberanza dei suoi pantaloni.

      - Come puoi vedere...

      Ride. Mi guarda.

      - Dimmi che anche tu lo desideri.

      Rispondo, meccanicamente:

      - Sì, lo desidero anch’io.

      So che c’è molto di vero in questa risposta, ora, più di quanto sarei disposto ad ammettere.

      - Dimmi che non vedi l’ora di fucilarmi, con il tuo plotone.

      È un gioco, un gioco di parole, a cui abbiamo giocato altre volte, curiosi ed eccitati a sentire che le nostre parole, pronunciate dall’altro, acquistavano nuova forza e nuovo significato, e che le parole dell’altro, nella nostra bocca, diventavano vere.

      - Sì, non vedo l’ora di fucilarti, di vedere il tuo corpo sforacchiato dalle pallottole, di spararti in gola.

      Mi dico che è falso, che sono solo parole, ma non so se davvero sono solo parole. La reazione del mio corpo è una prova inconfutabile che questa morte non è più solo un gesto eroico di Pedro per salvare me e gli altri che avevano aderito alla sollevazione. Non è più solo il suicidio di un uomo per cui la vita è divenuta intollerabile. È anche il gioco di due corpi mai sazi l’uno dell’altro.

      - Bene, così va bene. Sarà davvero come fottere un’ultima volta, solo che questa volta sarai tu a fottere me.

      Annuisco, senza trovare le parole. È vero? È vero. Sì, è vero! Sto per fottere Pedro, il Toro, l’eroe di San Juan de Verano, il maschio più maschio di tutto l’esercito.

        - Sarà bello fotterti, Pedro.

        - Sarà bello farmi fottere da te, Miguel. Ho aspettato una vita questo momento.

    Sì, ora capisco, Pedro ha davvero aspettato una vita il momento in cui l’uomo che lo amava lo avrebbe fottuto per sempre.

        - Anch’io ho aspettato per una vita questo momento.

        Ora che l’ho detto, è vero. Forse. Forse più vero di quello che voglio riconoscere.

         - Sì, lo so. Ed ora è giunto.

     Non so dire altro. C’è un momento di silenzio, tra di noi. Ma ormai non tornerò indietro, Pedro lo sa, perché ora so che cosa c’è dentro di me.

      Lo bacio e mentre lo bacio i nostri corpi si toccano.

      - Addio, Miguel. Grazie per quello che farai.

      Sorride. Sorrido anch’io, ma a fatica, prendo la torcia e mi dirigo verso la porta.

      Mi volto un’ultima volta a guardare Pedro, il Toro, l’eroe di San Juan de Verano, il mio uomo. L’idea che tra un’ora avrà otto buchi mi turba, ma mi eccita.

      Nel cortile è ancora buio, ma ad oriente il blu è meno scuro. Il sole sorgerà presto ed alle sei e mezzo illuminerà in pieno il muro. A quell’ora giustizierò Pedro. Sì, il pensiero è ancora angoscioso, ma nello stesso tempo esaltante. Rimango un buon momento a fissare l’orizzonte.

      In camera guardo l’orologio. Sono passate le cinque. Manca un’ora. Mi stendo sul letto e cerco di immaginarmi tutto quanto sta per accadere, passo per passo. Sì, qualche cosa è scattato. C’è angoscia, ma come avvolta da un bozzolo di eccitazione crescente, che mi impedisce di soffrire.

      Il pensiero vaga, torna al giorno in cui conobbi Pedro, alla prima volta che i nostri corpi si incontrarono, alla cattura del brigante che chiamavano il Lobo, ai sei anni di combattimenti durante la guerra civile, ai due anni di esilio in queste terre calde del Sud. A dodici anni di amore sfrenato, perché io ho amato Pedro. E so che Pedro mi ha amato, anche se non me lo ha mai detto, perché è un maschio.

 

      Il suono della tromba mi scuote. Non è possibile, devo aver dormito, guardo l’ora. Sì, sono le sei, ma mi basterebbe guardare dalla finestra per vedere il cielo già chiaro. Il sole è sorto e tra mezz’ora il muro occidentale del cortile sarà in piena luce. Tra mezz’ora Pedro sarà un cadavere.

      L’erezione è svanita, ma l’eccitazione permane.

      Mi sciacquo nuovamente la faccia, mi vesto con cura. Mi vesto per Pedro, come tante volte mi sono spogliato per lui. Il pensiero dà una forma più concreta alla mia eccitazione, il sesso incomincia ad inturgidirsi. Non c’è problema, la giacca dovrebbe aiutarmi a nasconderlo. E poi, è qualche cosa che capita spesso, anche ai soldati. Uccidere è eccitante. Mi faccio la barba. Mi guardo nel piccolo specchio. Sì, va bene. Guardo l’ora. Le sei e un quarto. Sì, va bene. Scendo in cortile. Il cielo è ormai luminoso, ma il muro del cortile è ancora in ombra: solo il piano superiore del forte è illuminato direttamente dai raggi del sole.

      Gli uomini del plotone sono già in cortile, con i loro fucili. Da quelle canne nere partiranno i colpi che uccideranno Pedro, quelle mani rozze premeranno i grilletti. Angoscia, di nuovo, e una tensione che sale nel ventre. Li guardo in viso. Uno solo è spagnolo, gli altri sono meticci, due indios. Sorridono, contenti. Non si fucila ogni giorno un uomo. Ho già dato istruzioni precise e i miei uomini le eseguiranno.

      Chiamo due soldati e con loro scendiamo nei sotterranei.

      La guardia è sveglia, ora. Non aspetta l’ordine, sa quello che siamo venuti a fare, sa quello che deve fare. Ci guida alla porta della cella, toglie la sbarra, apre con la chiave e si fa da parte per lasciarmi entrare. Prendo la torcia dalla parete.

      - Aspettate qui.

      Entro, chiudo la porta alle mie spalle. Nuovamente l’odore di sudore e di piscio.

      Pedro è in piedi, forte, sicuro, impavido. Sapevo che sarebbe stato così. Guardo il grande torace peloso, il ventre sporgente. Sorrido.

      - Un bersaglio grosso, non sbaglieranno. Otto bei fori. Sei pronto?

      Pedro sorride. Le mie parole hanno fugato un dubbio. Ora sa che farò la mia parte senza timore, con piacere.

      - Io sono pronto. Vedo che anche tu lo sei.

      Annuisco.

      - Sì, Pedro. Ti amo e ti uccido.

      E di colpo l’angoscia mi investe e mi sommerge, cancellando ogni eccitazione. Era solo una bolla destinata a svanire?

      Pedro mi guarda e capisce.

      - Cristo, Miguel! Si direbbe che stiano per fucilarti!

      Ride, ma io non rido.

      Pedro scuote la testa.

         - Mi spiace, Miguel, avrei voluto godere con te. Perché io godo, realmente.

         Non ne dubito, il rigonfio inquietante dei pantaloni è inequivocabile.

         - Andiamo, Miguel! È ora.

         Sorrido. Il prigioniero che dice al comandante del plotone che è ora di andare!

      - Sono io che do ordini, qui, pezzo di merda.

      L’ho detto con un tono di voce forte, che anche i soldati fuori hanno certamente sentito. Ma non l’ho detto per loro, non solo per loro. L’ho detto per me stesso, per riuscire a spezzare questo cerchio di ferro che mi stringe il petto e mi toglie il respiro.

      Pedro non sorride più con la bocca, ma gli occhi gli ridono.

      - Ai suoi ordini comandante!

      - Così va meglio, stronzo!

      Anche questa volta ho parlato forte.

      Mi avvicino a lui, ora la sua faccia è a una spanna dalla mia, i nostri corpi si toccano. Gli sussurro:

      - Sarà tutto come hai chiesto.

      Lo bacio sulla bocca. Poi mi stacco e chiamo i soldati.

      - Venite dentro. Legategli le mani dietro la schiena.

      Con le braccia dietro la schiena, il vasto torace di Pedro appare ancora più ampio. Un perfetto bersaglio. Il pensiero mi angoscia, ma nuovamente dentro di me sale una tensione. Guardo il viso saldo di Pedro e mi sfugge un sorriso.

      - Andiamo.

      Prendo la torcia ed esco per primo. Sento i loro passi alle mie spalle. Do la torcia alla guardia e salgo le scale. In cima alle scale mi fermo un attimo. Il sole ha raggiunto il muro, che è illuminato per più di metà.

      I soldati del plotone sono già vicino al muro.

      - Mettete questo pezzo di merda al muro.

      I due soldati guidano Pedro in posizione. Usiamo sempre lo stesso tratto di muro per le fucilazioni e ci sono i segni di molte pallottole: durante la guerra civile i fucilati sono stati molti, anche in queste regioni dove si è combattuto di meno. Dal mio arrivo le occasioni di fucilare qualcuno sono state meno numerose, ma i conti in sospeso non mancavano e, soprattutto l’anno scorso, ci siamo tenuti in esercizio.

      Pedro è diritto, ben piantato sulle sue gambe, illuminato dal sole nascente fin quasi alle gambe, e guarda gli uomini del plotone senza la minima traccia di paura. I soldati ridacchiano, indicandosi l’un l’altro la protuberanza sul ventre di Pedro. I pantaloni sono tesi all’inverosimile. Do una rapida occhiata e vedo che almeno due dei soldati sono eccitati. Bene, meglio così. Anch’io sento che il membro si sta irrigidendo.

      Tra poco incomincerò a dare gli ordini. Ad ogni ordine Pedro si avvicinerà alla morte. Per un attimo l’angoscia mi avvolge e guardo Pedro come per cercare conforto. Pedro mi guarda, un ghigno di disprezzo appare sul suo volto. Allora ghigno anch’io.

      - Forza, ragazzi, liberiamo il Messico da questo pezzo di merda. Sapete come fare.

      I soldati annuiscono, impazienti.

      - Plotone, ai vostri posti!

      I soldati si dispongono in una doppia fila, quattro davanti e quattro dietro. Pedro li guarda, tranquillo. Non ha voluto una benda, ha scelto di guardare la morte in faccia, e nei suoi occhi non c’è paura, ma forza e, so di non sbagliarmi, gioia.

      - Plotone, attenti!

      I soldati scattano sull’attenti. Manca poco, ormai, pochissimo, e l’eccitazione cresce, il membro si riempie di sangue. Il sangue di Pedro sta per uscire da otto fori.

      - Plotone, prendete il fucile!

      I soldati afferrano il fucile. Sui pantaloni di Pedro appare una piccola macchia umida. Non è venuto, no, conosco il flusso torrenziale del suo seme, ma è vicino a farlo. La mia eccitazione cresce. Pedro sta per morire.

         - Plotone, in posizione!

      I quattro soldati della fila davanti si inginocchiano, i quattro della fila dietro rimangono in piedi. Sono a pochi passi da Pedro, non sbaglieranno di certo. E poi ho scelto i migliori tiratori, volevo essere sicuro che colpissero come volevo, come vuole Pedro. Tra poco il corpo di Pedro si coprirà di fori rossi. Pedro sta per crepare ed il mio sesso è tanto teso che mi sembra stia per scoppiare.

      - Plotone, fucili in posizione!

      Come un solo uomo, i soldati alzano i fucili. Otto canne sono puntate verso il corpo di Pedro, otto canne che vomiteranno pallottole e morte. Stai per crepare, Pedro, io ti amo e sto per ucciderti, ma questo pensiero atroce tende solo allo spasimo il mio sesso. Desidero vedere quei buchi sul tuo corpo, sono impaziente di vederli, anche se do con lentezza i miei ordini. Voglio che tu abbia il tempo di goderti questa attesa, so che te la godi, come la godo io. Mi sembra che il cazzo voglia scoppiarmi, tanto è teso.

         - Plotone, pronti!

      I soldati sono già pronti, aspettano solo l’ordine successivo, ma io seguo con lentezza ogni tappa di questo percorso. Tu guardi il plotone, eretto, sicuro, non c’è la minima traccia di cedimento, di paura. Senti il mio sguardo su di te e mi guardi. Ora i nostri sguardi sono incatenati. Tra poco sarai un cadavere, Pedro, ed in tutti e due l’eccitazione sale.

      - Plotone, mirate!

      È l’ultima parola prima dell’ordine, prima della scarica che ti colpirà a morte. Mancano pochi secondi alla tua morte, Pedro, ed hai ragione, è bello, è bello da morire, Pedro, mi sembra di aver atteso per tutta la vita questo momento. Non posso staccare i miei occhi dai tuoi, sei fottuto, Pedro, amore mio.

         - Prima squadra, fuoco!

      Tre colpi risuonano insieme, impossibile distinguerli. Il quarto una frazione di secondo dopo. Quattro fori appaiono sul tuo ventre sporgente, quattro pallottole e il sangue sgorga, da uno dei fori è una vera fontana, da due è un getto continuo, dall’ultimo è solo un rivolo. I colpi ti hanno gettato contro il muro, barcolli, ti pieghi in due, stringendo i denti ti rimetti in piedi, diritto.

      - Seconda squadra, fuoco!

      I quattro colpi risuonano insieme. Uno maciulla il capezzolo destro: un ottimo tiratore. Gli altri tre si distribuiscono poco sotto. Di nuovo i colpi ti sbattono contro il muro, alzi la testa per un respiro che non trovi più e lentamente scivoli a terra, la schiena alla parete, fino a che non ti siedi con il culo sui talloni. Hai la testa reclinata in avanti.

      Estraggo la pistola e mi avvicino. Ti guardo, Pedro, sei ancora vivo, il torace ancora si muove negli ultimi sussulti. Sui pantaloni una grande chiazza continua ad allargarsi. Non è sangue, anche se c’è sangue che cola, in abbondanza.

      Ti premo una mano sulla fronte, alzandoti la testa. Da un angolo della tua bocca cola sangue. Nei tuoi occhi annebbiati leggo il dolore per un’agonia atroce, il piacere violento del tuo seme che si sparge. Mi ringrazi con gli occhi, mentre ti infilo la canna in bocca, fino in fondo.

      - Crepa, pezzo di merda!

      Sparo. La testa ha un violento movimento convulso, ma quando estraggo la pistola, il corpo ricade in avanti. La testa mi finisce sul ventre, dove il mio fiotto sta prorompendo, incontenibile, nell’orgasmo più intenso della mia vita. Mi sembra di venirti in bocca. Faccio un passo indietro e il tuo corpo cade a terra, la faccia contro il suolo.

 

2010/2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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