Un gioco diverso di Federico
Volpe Salvo entra in palestra accompagnato dai
suoi due uomini. Gli altri due rimangono fuori, in auto, di guardia. Saluta appena il proprietario, che quasi
si inchina, deferente come al solito. I due uomini rimangono nell’ingresso:
la palestra non ha altre entrate, c’è solo un’uscita di sicurezza di fianco
all’ingresso principale, i due uomini in auto controllano anche quella. Sotto non c’è nessuno, sono quasi le
undici, la palestra è chiusa da un’ora. Salvo ha fatto telefonare da uno dei
suoi uomini ed il proprietario è rimasto ad aspettarlo, come le altre volte.
Tutte le luci sono accese, sauna e bagno turco sono in funzione, anche se
Salvo userà solo il bagno turco. Tutto è pronto come se la palestra fosse
aperta, ma lo è solo per Salvo. Il proprietario sa che ogni volta Salvo
paga profumatamente. Salvo può essere generoso: la sua banda ha conquistato
il controllo dello spaccio in una vasta area, eliminando la concorrenza.
Salvo ha molto più denaro di quanto possa spendere. Ed in ogni caso nessuno
direbbe di no a Salvo. Salvo non accetta un rifiuto, da parte di nessuno. Salvo scende negli spogliatoi. Posa sulla
panca la borsa e tira fuori l’accappatoio. Nella tasca infila lo shampoo. Poi
si spoglia completamente, si infila le ciabatte e si dirige verso le docce.
Non usa gli armadietti, non c’è nessuno che possa prendergli gli abiti, il
portafogli o la pistola. Nell’area delle docce lascia
l’accappatoio e poi passa nella piscina. Guarda la grande vasca e sorride. Si
tuffa ed incomincia a nuotare. A Salvo piace nuotare. Nuoterebbe per ore
intere. Il suo corpo nudo scivola rapido nell’acqua, le braccia e le gambe si
muovono con un ritmo regolare. Raggiunta la sponda, ogni volta Salvo inverte
la direzione e prosegue, con bracciate forti e costanti. Non esiste altro per lui, ora, che la
sensazione dell’acqua che lo avvolge ed il benessere intensissimo che gli dà
l’attività fisica. Non è la scarica d’adrenalina dell’azione, della lotta. È
piacere puro, su cui s’innesta il senso d’aspettativa che già comincia ad
eccitarlo. Si chiede come sarà questa volta, ma preferisce scacciare il
pensiero dalla mente. La sorpresa è un altro genere di piacere. Finalmente esce dall’acqua. Sa che
succederà adesso, come le altre volte, e resta fermo ad aspettare, rivolto
verso l’acqua. L’attesa lo eccita. Sulla pelle bagnata sente il movimento
dell’aria dietro le sue spalle. Ecco, ci siamo. Qualcuno lo abbranca da dietro, gli lega
le mani, poi gli mette un bavaglio. Salvo non si oppone, è l’inizio del gioco.
Questa volta però c’è una variante, l’energumeno fasciato di pelle nera se lo
carica su una spalla come se fosse un fuscello. Questo qui non l’ha mai
visto. E’ davvero grosso, muscoloso, pieno di tatuaggi. La stanza degli
attrezzi non ha subito mutamenti, da quando c’è stato l’ultima volta. E’ uno
scenario magnifico, la perfetta ricostruzione di una stanza delle torture nei
sotterranei di un castello medievale, con tanto di torce accese, agganciate
ad anelli infissi alle pareti. C’è un braciere con gli strumenti di tortura,
che questa volta è acceso. Appese alle pareti, fruste di ogni tipo, grosse
pinze, ferri per marchiare. Una gabbia nell’angolo più lontano, la ruota, la
culla di Giuda. Dopo averlo scaricato su una panca
attrezzata, il boia gli scioglie le mani, ma solo per immobilizzargliele alle
cinghie che sono parte integrante dei sostegni, mentre lui abbozza un moto di
ribellione che il Master stronca sul nascere, con un leggero pugno allo
stomaco. Poi fa lo stesso con le caviglie. Salvo non riesce a vedergli
nemmeno gli occhi. Il Master indossa un cappuccio con solo pochi forellini
per vedere e respirare. Salvo si tende, non sa cosa lo aspetta. La curiosità
lo irrigidisce. Ma ci pensa il boia, che già si è armato di frusta. Non
quella solita, corta, con le code di pelle morbida, ma una frusta vera. Il
boia la fa prima schioccare sul pavimento e poi inizia a lavorarselo. Il
dolore, ad ogni colpo è tremendo. Vorrebbe urlare, ma non deve farlo. Stringe
forte il bavaglio tra i denti, mugolando, solleva la testa, e poi la lascia
ricadere. Il boia smette. Ma solo per infilargli al collo un collare, per
bloccarlo alla panca. Salvo non ha dato direttive, questa volta. Tutto può
succedere. Il boia si avvicina con le pinze di metallo. Salvo le guarda. Hanno
un aspetto robusto, sembrano mollette per la biancheria, ma sono tutte
collegate con un filo metallico. Le prime, ai capezzoli. L’energumeno glieli
strizza che sembra voglia strapparglieli, poi applica le pinze, mentre una
fitta gli arriva al cervello. Il suo istinto è quello di alzare la testa, ma
se accenna a farlo, il collare lo soffoca. Ad una ad una le pinze vengono
applicate lungo il torso, per ognuna il dolore si carica e si sposta. Gliene
piazza qualcuna anche sulle braccia e sulle gambe, ma quelle non gli
infliggono troppo dolore. Infine il boia arriva ai coglioni. E’ come un pugno
allo stomaco. Salvo pensa che sta per svenire. Quasi non riesce a respirare.
Alla quarta, vede davanti agli occhi un velo nero, picchiettato di lampi di
luce. Un momento di pausa per riprendersi. Poi Salvo sente che il boia lo sta
bagnando, riapre gli occhi. E’ pioggia dorata. Il Master è su lui, in piedi,
a cavallo della panca, sfoderando un armamentario di tutto rispetto. La
pioggia gli scorre sul petto, in faccia, negli occhi. L’odore lo stordisce.
Il boia gli strizza le palle con violenza. Salvo è sicuro che questa volta
non reggerà. Perderà i sensi e il rispetto di sé. Si è dedicato a questi
giochi per dimostrare a se stesso di essere in grado di superare qualunque dolore.
E’ forte. Nessuno può piegarlo. E poi lo eccita. Non si sente uno schiavo, ma
un prigioniero torturato, che aspetta di liberarsi per passare alla vendetta.
Tiene gli occhi ancora chiusi, quando la prima scarica elettrica lo
attraversa, frantumandogli ogni pensiero. Salvo pensa che sta per morire. I
suoi muscoli continuano a tremare. Sente il boia slacciare le cinghie alle
caviglie. Riapre gli occhi. Adesso le nuove cavigliere hanno lunghe catene.
Il boia gli tira su la gamba destra e aggancia la catena alla cinghia del
polso destro. Poi fa lo stesso con l’altra. Sgancia i fermi della panca e ne
sposta via la metà. Quando torna ha di nuovo in mano la frusta e questa volta
si accanisce sulle natiche. Ad ogni colpo, Salvo pensa che non ce la farà.
Chiude gli occhi. Di nuovo il suo corpo viene investito da una scarica
elettrica. Non riesce a respirare. Riapre gli occhi. E’ questo che vuole il
Master, anche se non ha pronunciato una sola parola. Ogni volta che Salvo li
chiude, il boia gli assesta una scarica. Il Master si allontana per pochi istanti.
Salvo respira. Ma poi lo vede tornare con un marchiatore incandescente. No,
non lo farà. Questo è solo un gioco. Non è previsto che gli faccia del male.
Non paga fior di quattrini per farsi sfigurare. Il boia fingerà di
avvicinarglielo alla pelle, si limiterà a fargliene sentire il calore. Il
boia avvicina il ferro al suo addome, in una zona libera dalle pinze. Lo
avvicina, lo avvicina, adesso Salvo ne sente il calore insopportabile. Il
boia lo appoggia alla pelle. Salvo urla di dolore e di rabbia. Il puzzo di
carne bruciata lo investe dandogli la nausea. Non può davvero accadere una
cosa del genere, non era previsto. Di questo, giura che lo farà pentire.
Pentire amaramente. Salvo trema. Il dolore è insopportabile. Il suo cervello
vacilla. Il Master è di nuovo su di lui con la
frusta. Salvo cerca di lanciargli un messaggio con gli occhi, fa no con la
testa. Ma quella dovrebbe essere la sua parte, quella dello schiavo
sottomesso che chiede pietà. Sta solo facendo il suo gioco. Il boia prende la
frusta per il manico borchiato e glielo avvicina all’ano. Lo strofina lungo
il solco tra le natiche, gli dà qualche colpetto, sul cazzo, sui coglioni,
molto più forte sulle natiche, poi torna al buco. Spinge, lo allarga, con delicatezza.
Salvo non si aspetta il colpo. Il boia gliel’ha infilato dentro di un bel
pezzo e poi l’ha tirato fuori con la stessa crudele ferocia. E’ stata come
una coltellata. Salvo ha chiuso gli occhi. Pensa che questa volta non può
farcela. L’immediata scarica elettrica lo fa rattrappire. Vorrebbe morire.
Sente tremare ogni muscolo del corpo. Ma deve subito riaprire gli occhi.
Deve. Il dolore è ormai diffuso in ogni
centimetro del suo corpo, anche là dove non è stato colpito, come se ogni
terminazione nervosa fosse entrata in risonanza con quelle offese. Il Master è davanti a lui con un nuovo
giocattolo. Sembra una pistola con il silenziatore. Salvo pensa di non aver
mai visto un dildo del genere. Gli dà fastidio
anche perché è del tutto anacronistico. Ci si doveva attenere a una scena
medievale. Il boia glielo ficca nel culo, a piccoli colpi decisi e poi lo
estrae, ricominciando subito da capo. Nonostante il tappeto di dolore di
fondo, l’eccitazione cresce di nuovo. Il gioco va avanti a lungo, mentre ogni
tanto il Master gli strizza i coglioni o gli schiaffeggia le natiche con
forza, con il dorso dei guanti ricoperti di borchie. Ad un tratto il dolore
cresce, fino a diventare molto più intenso del piacere. Salvo è stremato. Non
c’è più nemmeno un grammo di eccitazione in lui. Solo il desiderio di
smettere. La prossima volta il gioco lo stabilirà lui. Così non gli piace. Il
boia estrae il dildo e lo sostituisce con un cazzo
mai visto, se non su qualche sito porno che Salvo ha visitato. Fa fatica ad
entrare. Salvo si sente squartato. Forse potrebbe anche goderne, se la bestia
gli lasciasse il tempo di abituarsi. Ma lui lo tambura come un martello
pneumatico. Con la canna del silenziatore il boia gli accarezza il cazzo che
ha da tempo perso la sua consistenza. A poco a poco Salvo riprende ad
eccitarsi, mentre i colpi si fanno più veloci e profondi, la tensione sale,
il dolore si trasforma in piacere. Il boia ci dà dentro come un forsennato.
Il respiro si fa veloce, la tensione sale, sale, sale. Salvo sente che sta
per venire, ma il boia esce da lui e si allontana, mentre una nuova scarica
elettrica gli attraversa il corpo. Questa è stata più lunga e più intensa. Ci
mette di più a riprendersi. Salvo adesso giura che lo ucciderà. Lo ha
investito una rabbia omicida, che gli toglie il fiato. Aspetta solo che il
Master lo liberi, poi andrà a prendere la sua pistola, che non è un
giocattolo come quello che ha avuto nel culo, e gli sparerà. Salvo aspetta solo che lo liberi. Il boia torna con il suo giocattolo del
cazzo. Salvo decide che prima di ammazzarlo glielo metterà nel culo, quel
silenziatore. Lo sguardo omicida di Salvo dev’essere
molto eloquente. Il boia gli toglie il bavaglio. Finalmente gliene può dire
quattro. Ma il Master non gliene lascia il tempo. Ghigna, guardandolo in modo
beffardo, gli infila la canna in bocca e spara. - Questo stronzo pensava davvero di
passarla liscia? - commenta una voce dal fondo della stanza. - Avresti dovuto almeno avvisarlo. Così non
saprà mai perché se n’è andato all’inferno. Secondo me, nemmeno se n’è
accorto. - L’importante è che lo capiscano i suoi
scagnozzi e si tolgano tutti dai coglioni. Questo è il mio territorio. Da
domani tutti dovranno saperlo. - Se permetti, finirei quello che ho
iniziato. - dice il Master, accarezzandosi l’attrezzatura ancora in tiro. - Che gusti macabri del cazzo, che hai. - Ne approfitto finch’è
caldo... |