Poil Noir

 

                                  

 

Fucilarono il dottor Bertier insieme agli altri, anche se non aveva mai usato un’arma e aveva soltanto svolto il suo lavoro di medico. Era un uomo in età di combattere e si trovava insieme a un gruppo di rivoltosi: più che sufficiente per la giustizia sommaria degli ultimi giorni della Comune. Presero gli undici uomini e li disposero contro il muro di una casa.

Jules Bertier non oppose nessuna resistenza. Sapeva che sostenere la propria innocenza non sarebbe servito a niente e in ogni caso non intendeva cercare di sottrarsi alla morte: anche se lui non aveva mai preso un’arma, era dalla parte dei rivoltosi, dei Comunardi. Non intendeva rinnegarli di fronte al plotone.

Fu Marc, che avevano messo di fianco a lui, a dire:

- Perché fucilate il dottore? Lui non ha combattuto!

Jules era molto stimato e i combattenti si erano affezionati a lui. Ammiravano la sua dedizione, la sua disponibilità, il calore umano che dimostrava assistendo feriti e moribondi.

- Zitto, stronzo!

Marc fece per replicare, ma fu Jules a bloccarlo.

- Lascia stare. Va bene così.

Il plotone si schierò. Sedici uomini. Jules guardò i fucili puntati su di loro. Almeno due o tre sembravano mirare a lui. Stava per morire. Il cuore gli batteva in fretta. Erano gli ultimi battiti. Aveva quasi trent’anni, ma non li avrebbe mai raggiunti.

Clément gridò:

- Viva la Comune!

Gli altri ripeterono il grido. Anche Jules gridò con loro. Il pensiero corse a Paul, ma in quel momento si sentì l’ordine e gli spari risuonarono, leggermente sfasati.

Il dolore violento al fianco gli tolse al fiato, il colpo alla testa cancellò il mondo. Non sentì neppure il proiettile che gli s’infilava nel braccio. Cadde a terra, tra i corpi dei compagni.

 

I sergenti Mathieu Dinan e Robert Saveur finirono i feriti. Non si presero la briga di verificare quali dei giustiziati fossero ancora in vita: sparavano alla nuca di quelli caduti proni, in bocca a quelli caduti supini.

Mathieu disse:

- A questi bisognerebbe sparare il colpo di grazia in culo. Sarebbe divertente.

Scoppiò a ridere e mimò l’azione, appoggiando la canna della pistola contro i pantaloni di uno dei fucilati. Robert non condivise la risata e lo guardò disgustato: l’idea gli sembrava rivoltante.

Avevano finito otto degli undici fucilati quando Mathieu puntò la pistola alla nuca del dottore, il cui corpo era rimasto sotto quello di Marc. In quel momento si sentì uno sparo. Mathieu non fece in tempo a premere il grilletto: lanciò un grido e si abbatté sul cadavere dell’uomo a cui aveva sparato poco prima. I comunardi erano arrivati alle finestre di un palazzo vicino e di lì sparavano sui governativi. Non erano giunti in tempo per salvare i loro compagni, ma potevano ancora vendicarli.

Robert ebbe appena il tempo di dire:

- Merda!

Un colpo al fianco lo abbatté, senza ucciderlo. Cercò di strisciare verso gli uomini del plotone, sperando che lo aiutassero a mettersi in salvo, ma stavano tutti cercando dove rifugiarsi e nessuno badava a lui. Fece appena in tempo a gridare una richiesta di aiuto, prima che un secondo proiettile gli trapassasse il cranio.

Un altro gruppo di soldati della Comune arrivò in quel momento dalla strada e le truppe governative si ritirarono di corsa: non erano abbastanza consistenti per riuscire a resistere a un doppio attacco.

 

Più tardi Denis raggiunse i soldati alla barricata di via Bardier. Comunicò le ultime notizie:

- Un gruppo di governativi è arrivato all’ospedale di via Rochamp.

La palazzina di via Rochamp in origine non era un ospedale, ma una villa signorile. Era stata requisita e veniva utilizzata per raccogliere e curare i feriti.

Denis proseguì:

- Hanno preso di sorpresa gli uomini di guardia. Ne hanno ammazzati alcuni e poi hanno deciso di fucilare gli altri.

- Merda!

- Hanno fucilato tutti i soldati e anche il dottor Bertier.

Paul ebbe l’impressione che gli avessero dato un colpo in testa. Barcollò e si appoggiò alla barricata. Si accorse di avere le lacrime agli occhi.

Nessuno badava a lui. I compagni commentavano l’accaduto, indignati e addolorati.

- Quei bastardi! Ma perché anche il dottore?

- Non lo so. Lo hanno preso e fucilato con gli altri. Non siamo arrivati in tempo per salvarli, ma abbiamo ucciso i due sergenti e diversi soldati.

André si accorse del pallore di Paul.

- Non stai bene, Poilnoir? Sei pallido come un cencio.

Paul scosse la testa. Non riusciva a parlare.

Denis ghignò e si voltò verso Paul:

- Poilnoir? Non mi dire che ti chiami davvero così.

Di nuovo Paul fece appena un cenno negativo con il capo. André intervenne. Aveva colto che Paul non era in condizione di rispondere.

- È un soprannome. Ma lo chiamiamo tutti così.

Era stato Étienne a inventare quel soprannome, deformando il suo vero nome: Paul Noir era diventato Poilnoir, pelo nero. Il nomignolo era azzeccato: una fitta peluria nera gli copriva il petto, il ventre, il culo, le braccia e le gambe, diradandosi solo sulla schiena. Lui non se la prendeva: erano in tanti ad avere un nomignolo e non c’era malignità in quello che gli avevano affibbiato.

 

Paul si allontanò dagli altri. Si sedette in un angolo e pensò al dottore. Era stato il caso a farli incontrare. Il comandante gli aveva assegnato il compito di accompagnare Bertier a recuperare alcuni feriti caduti oltre la barricata: Paul, alto e massiccio, era forte come un toro ed era in grado di sollevare e trasportare un uomo senza fatica.

Il comandante avrebbe preferito che Bertier non rischiasse la vita, ma il dottore voleva cercare di salvare i feriti.

Nel buio della notte avevano superato la barricata e Bertier aveva esaminato i caduti. Tre erano morti, ma gli altri due erano ancora vivi. Paul si caricò sulle spalle uno dei due e lo portò oltre la barricata, poi ritornò indietro e aiutò Bertier, che stava cercando di mettere in salvo l’altro.

Bertier si era messo subito al lavoro e Paul lo aveva assistito, anche se il suo compito era concluso: era ormai notte e in quel momento le donne che aiutavano il dottore riposavano, dopo una giornata massacrante, e le due che vegliavano erano indaffarate a badare a chi aveva bisogno d’assistenza. Il dottore aveva operato uno dei due feriti, che si agitava molto: Paul lo aveva aiutato tenendolo fermo, fino a che l’uomo non era svenuto. Il dottore gli aveva dato alcune istruzioni e Paul le aveva seguite con scrupolo: era sempre stato molto coscienzioso, nel suo lavoro di falegname come nel suo ruolo di soldato. Quando ebbe finito, Bertier gli aveva detto:

- Hai fatto un ottimo lavoro.

Paul lo aveva guardato, un po’ stupito. Non aveva davvero fatto molto.

Il dottore aveva fatto un giro tra i feriti nella sala, poi gli aveva chiesto:

- Non vai a riposare?

- No. Non sono stanco. Lei piuttosto… è tutto il giorno che lavora. Non smette un minuto.

Era vero: il dottore era così. Era uno dei motivi per cui tutti lo stimavano e gli volevano bene.

- Il da fare è tanto, ma adesso stacco, mi siedo un momento fuori e poi vado a dormire.

Si erano seduti insieme vicino alla porta della palazzina e avevano chiacchierato a lungo: Paul non si era reso conto del passare del tempo. Avevano parlato dei loro lavori e Paul si era stupito che il dottore s’interessasse davvero a quello che lui gli raccontava. Avevano scoperto di avere molte cose in comune, oltre al fatto di essere coetanei. Erano entrambi secondogeniti di una famiglia numerosa di contadini. L’intervento di un parente aveva segnato il loro destino, portandoli su una strada diversa da quella che sembrava segnata per loro: Paul aveva cominciato a lavorare molto presto con uno zio falegname, da cui più tardi aveva ereditato il laboratorio; uno zio di Jules, vedendo che aveva ottimi risultati a scuola, gli aveva pagato gli studi di medicina. Nessuno dei due si era sposato.

Era molto tardi quando erano andati a dormire. Paul si era steso sereno, come non gli capitava da tempo, felice di quell’incontro inatteso.

E ora Jules Bertier era morto. Fucilato. Ucciso in mezzo a una strada. Ucciso perché curava. Ucciso.

Il dolore lo schiantava, un dolore che gli toglieva il fiato e gli faceva desiderare la morte. Sarebbero morti tutti presto, era questione di giorni, ormai, lo sapevano, ma ora Paul era impaziente. Voleva finire, finire con la sua vita, perché era l’unico modo per smettere di soffrire.

Il comandante chiamò i soldati. Cercava qualcuno che accompagnasse Lionel e Martial, detto il Grigio, in un’impresa disperata: far saltare i cannoni che da alcuni giorni continuavano a bombardare le loro postazioni. Queste incursioni oltre le linee nemiche le compivano di solito Lionel, Clément e Martial, ma Clément era stato ucciso quel mattino e occorreva rimpiazzarlo.

Paul non esitò. Prima che qualcuno potesse proporsi, disse:

-Vado io.

Sapeva bene che si trattava di un’azione molto rischiosa. Per lui era un’opportunità di ottenere ciò che ormai desiderava.

Mentre si preparavano, pensò che magari sarebbe riuscito a uccidere qualche governativo. Non amava uccidere: lo faceva malvolentieri. Solo in battaglia non gli pesava, nella foga del combattimento gli sembrava di trasformarsi e pensava solo a lottare. Ora però sentiva una grande rabbia al pensiero che quei bastardi avevano ucciso il dottore, l’uomo migliore che avesse mai conosciuto. Avrebbe voluto ammazzarli tutti. Prima di morire avrebbe vendicato Bertier.

Si mossero dopo mezzanotte, percorrendo le strade deserte, immerse nell’oscurità. Badavano a non fare nessun rumore, perché sapevano che a ogni angolo avrebbero potuto incontrare una pattuglia e questo avrebbe significato la loro morte.

Parigi pareva dormire: nessuna luce alle finestre, nessun passante per strada. A Paul pareva che la città fosse morta, morta come il dottore, morta come lui stesso. Ormai era un corpo che ancora si muoveva, ma dentro era morto.

Camminarono a lungo, fermandosi a ogni angolo e mettendosi in ascolto. Non incontrarono pattuglie e riuscirono a raggiungere la postazione governativa.

C’era un’unica sentinella: gli altri soldati sembravano dormire. L’uomo camminava avanti e indietro, probabilmente per non cedere al sonno. Ogni tanto si fermava, poi si riscuoteva e riprendeva a camminare.

Martial disse:

- Bisogna eliminarlo.

Paul rispose:

- Vado io.

Senza lasciare agli altri il tempo di replicare, si mosse velocemente, rimanendo all’ombra degli alberi, dove la tenue luce lunare non arrivava. Studiò il percorso della sentinella, che era sempre lo stesso.

Paul aspettò che l’uomo gli desse le spalle e raggiunse un albero, a un’estremità del percorso abituale della sentinella. Attese che l’uomo tornasse e poi nuovamente gli desse le spalle per riprendere ancora una volta il suo andirivieni. In un attimo fu dietro di lui, gli mise una mano sulla bocca e con l’altra gli tagliò la gola.

Aveva pensato che non gli sarebbe pesato, che sarebbe stato contento di vendicare il dottore. Non fu così. Uccidere a sangue freddo era orribile.

Lasciò cadere a terra il cadavere. Rabbrividì, poi si riscosse e raggiunse i compagni.

Lionel sapeva maneggiare gli esplosivi e preparò tutto il necessario, mentre Paul e Martial rimanevano di guardia. Se qualcuno dei soldati si fosse svegliato o se un ufficiale avesse chiamato la sentinella, per loro sarebbe stata la fine. A Paul non importava, perché ormai non voleva più vivere, ma l’idea che Martial e Lionel potessero essere uccisi gli pesava.

Lionel completò il lavoro, accese la miccia e tutti e tre si allontanarono rapidamente, lasciando i bastioni e infilandosi nelle vie della città addormentata. Non avevano ancora percorso molta strada quando sentirono le esplosioni: un grande boato, seguito da altri scoppi. Sorrisero: l’impresa era riuscita.

Chi dormiva doveva essere stato svegliato dalla deflagrazione, ma la città sembrava ancora immersa nel sonno. Paul ebbe di nuovo la sensazione che Parigi fosse morta e che nulla ormai potesse destarla, come nulla avrebbe potuto riportare in vita Jules Bertier.

Quando infine raggiunsero la loro postazione, erano le quattro di notte. Pensavano di trovare tutti i compagni addormentati, ma c’era invece una grande agitazione: pochi minuti prima era giunta una richiesta di aiuto da parte di un’altra barricata, che era stata attaccata di sorpresa, nel cuore della notte.

Il comandante chiese chi era disposto a raggiungere l’altra barricata.

Paul si fece avanti:

- Vado io.

Il comandante lo squadrò:

- Tu vai subito a dormire, altrimenti ti prendo a calci in culo.

Paul avrebbe voluto protestare, ma sapeva che sarebbe stato inutile: il comandante non lo avrebbe lasciato partire.

Andò a stendersi, ma non riusciva a dormire. Il pensiero tornava ossessivo al dottore. Jules Bertier era morto. Era l’uomo migliore del mondo e l’avevano ucciso. Non aveva fatto nulla di male, curava i feriti e i malati. Perché? Il ricordo tornò ai pochi giorni della loro amicizia, alle loro conversazioni, a quelli che erano stati i momenti più intensi della sua vita.

 

Dopo quella prima sera in cui avevano parlato a lungo, Paul aveva cercato il dottore. Voleva rivederlo, anche solo per un momento. Jules Bertier lo aveva accolto con calore: anche lui era evidentemente contento di ritrovarlo, Avevano chiacchierato a lungo.

Nei giorni seguenti, ogni qual volta la situazione lo permetteva, Paul passava a trovarlo.

Una settimana: tanto era durato il loro rapporto, ma a Paul era stato più che sufficiente per innamorarsi. Tutto era accaduto in fretta, troppo in fretta, ma in quei giorni il tempo correva più veloce: ormai la Comune era stata sconfitta, tutti loro andavano verso la morte e ne erano coscienti.

Paul si era innamorato del sorriso del dottore, della sua disponibilità, dell’attenzione con cui lo ascoltava, della fiducia totale che sembrava avere in lui.

Non aveva mai espresso i suoi sentimenti: non voleva rischiare di rovinare quel rapporto perfetto. A volte si vergognava, perché desiderava Jules, ma erano solo brevi momenti. Una notte era venuto mentre sognava di abbracciare Jules e di rotolarsi con lui nell’erba. Quando si era svegliato, si era sentito sporco. La sera, parlando con il dottore era in imbarazzo, ma il calore con cui Jules lo aveva accolto aveva finito per scacciare i suoi sensi di colpa.

Tra di loro c’era stato un unico contatto fisico: Jules gli aveva poggiato una mano sulla sua, quando Paul gli aveva parlato della morte del padre. E Paul aveva sentito le lacrime agli occhi.

 

Infine, quando ormai il cielo si stava schiarendo a oriente, si addormentò. Sognò che Jules non era morto. Era felice di ritrovarlo, di scoprire che la notizia non era vera. Quando i rumori intorno a lui lo svegliarono, era sereno. La coscienza che era stato solo un sogno fu un colpo atroce. Non riuscì a riprendere sonno, anche se aveva dormito poche ore.

Combatterono e per tutto il giorno Paul cercò la morte, esponendosi, finché il comandante gli fece una lavata di capo: non sopportava che i suoi uomini corressero rischi inutili ed era affezionato a Poilnoir, che era un buon soldato, coscienzioso e coraggioso.

Nella notte dormì nuovamente poco, ma non sognò Jules. La mattinata fu abbastanza tranquilla. Verso le due del pomeriggio arrivò un uomo che Paul aveva visto alcune altre volte. Lo vide parlare un buon momento con il comandante, che lo ascoltava attento. Alla fine il comandante annuì e guardò verso Paul. Gli fece segno di avvicinarsi. Paul lo raggiunse e lo sentì dire:

- Lui è l’uomo adatto. È forte come un toro. E poi lo conosce.

Il comandante si rivolse direttamente a lui, mentre il suo interlocutore lo guardava e annuiva.

- Noir, ti affido un compito importante. Probabilmente ci lascerai le penne, ma se così non fosse, potresti essere uno dei pochi a cavartela.

Paul aggrottò la fronte: non voleva salvarsi, voleva solo morire. Non cercò di sottrarsi all’incarico, perché riteneva che un buon soldato non dovesse discutere gli ordini, ma non gli piaceva. Chiese:

- Che cosa devo fare?

- Te lo spiegherà Legarde.

Mentre lo diceva, il comandante indicò con un cenno del capo l’uomo che era venuto a parlargli. Questi disse:

- Vieni con me, non abbiamo tempo da perdere.

Paul lo seguì, a malincuore: non avrebbe voluto staccarsi dai compagni, avrebbe preferito morire con loro. Perché il comandante lo allontanava? Si era accorto che cercava solo la morte e voleva evitare che si facesse uccidere per niente, pensando che se doveva morire, che almeno lo facesse in una missione?

Probabilmente era solo una sua fantasia. C’era bisogno di un uomo forte e lui era certamente molto robusto. “Lo conosce” si riferiva probabilmente a un quartiere, a meno che non riguardasse in qualche modo il suo lavoro di falegname, ma gli sembrava poco probabile. In ogni caso l’avrebbe scoperto presto. E comunque, ormai, che importanza aveva tutto questo?

 

L’uomo procedeva con cautela per le vie, dove si aggiravano pochi passanti, tutti guardinghi. Nei combattimenti frenetici di quegli ultimi giorni, la via che il mattino era sotto il controllo dei Comunardi, nel pomeriggio poteva essere passata in mano ai governativi.  Dietro ogni angolo potevano trovare una pattuglia, ogni svolta poteva portarli alla morte.

Raggiunsero infine una casa e salirono al secondo piano. L’uomo prese dalla tasca una chiave e aprì la porta di un appartamento. Quando furono entrati, gli indicò un salottino e gli disse:

- Siediti e aspetta un momento.

Poi passò subito in un’altra camera.

Paul guardò il salotto: un locale piccolo, ma accogliente, con due poltrone, un tavolo, una libreria che copriva due pareti. C’era una finestra che doveva dare sulla strada, ma Paul preferì non avvicinarsi: poteva essere un’imprudenza. Si sedette su una delle poltrone e attese.

L’uomo ritornò dopo due minuti e si sedette davanti a Paul.

- Mi chiamo Gustave Legarde. So che tu conosci il dottor Bertier. Sai che è stato fucilato dai governativi, vero?

Paul non si aspettava che Legarde nominasse il dottore. Riuscì appena a dire, con fatica:

- Sì.

- Non è morto e non hanno fatto in tempo a finirlo: per fortuna sono arrivati i nostri. Ha tre ferite e se la caverà, se non cade nelle loro mani. Se lo trovano, lo ammazzano subito: per loro se è ferito, di certo è un combattente e non gli fanno mica un processo. Lo ammazzano nel letto.

Paul cercava di seguire il discorso, ma la prima frase lo aveva intontito. Registrava le parole che sentiva, ma gli sembrava di non riuscire a capire.

Annuì. Non riusciva a parlare. Gustave lo guardava, perplesso.

Paul riuscì a dire, con fatica:

- Dov’è?

- È qui, da me. Nell’altra stanza.

Paul si alzò di scatto. Dall’ingresso passò in una camera con due letti. Su uno era disteso Jules Bertier, che lo guardò, sorrise ed esclamò:

- Paul!

- Jules!

Paul incominciò a piangere. Non piangeva mai, erano anni che non gli capitava, ma era la seconda volta che gli succedeva in due giorni.

Gustave, che lo aveva seguito, lo fissava, sempre più stupito.

Fu Jules a parlare:

- Che ti succede, Paul? C’è qualche problema?

Paul scosse la testa e riuscì a frenare le lacrime. Si vergognava, ma l’emozione era stata troppo forte.

- Pensavo… avevano detto che eri morto.

- Credevo anch’io di morire. Quando mi sono risvegliato, mi sembrava impossibile di essere ancora vivo.

Paul fissava il dottore, come se temesse di vederlo scomparire se avesse distolto lo sguardo un attimo.

Fu la voce di Gustave, alle sue spalle, a scuoterlo:

- Bisogna portarlo fuori da Parigi prima che arrivino i governativi. Quando riconquistano una via, passano casa per casa a controllare e non vanno tanto per il sottile: al minimo sospetto, ti mettono al muro.

Jules scosse la testa.

- Gustave, tenendomi qui metti in pericolo la tua vita.

- Anche se non ci fossi tu, sarei comunque in pericolo. Verrei arrestato e processato per la mia attività politica. Per questo è necessario che me ne vada. Ce ne andremo insieme.

Jules non disse nulla e Gustave riprese:

- Paul, lui non è in grado di camminare a lungo ed io da solo non ce la faccio a trasportarlo. Dobbiamo provare questa notte, Dobbiamo fare in fretta.

Paul balbettò:

- Sì… sì.

- Adesso ti spiego che cosa dobbiamo fare. Non è facile uscire da Parigi.

Jules intervenne:

- Come… come pensi di fare?

- C’è una breccia nelle mura, attraverso cui è possibile uscire, ma l’area è sorvegliata. Questa notte raggiungiamo uno dei bastioni, che è stato danneggiato dalle cannonate. Ho controllato la zona. Possiamo nasconderci lì, in modo da poter partire domani, alle primissime luci dell’alba. Non possiamo cercare di passare di notte, perché è difficile muoversi in quello sfasciume, ma di giorno saremmo immediatamente individuati.

Gustave fece una pausa, poi riprese:

- Oltre la breccia, c’è un terreno scoperto, dove sono stati abbattuti gli alberi e gli edifici durante l’assedio. Non sarà facile attraversarlo, sfuggendo alle pattuglie.

Jules non aveva detto niente mentre Gustave spiegava, ma quando l’amico ebbe concluso, disse:

- Paul, Gustave, dovete promettermi una cosa.

- Che cosa?

- Che se ci scoprono mi abbandonerete.

Gustave scosse la testa. Paul rispose, secco:

- Mai.

- Non posso pensare di provocare la vostra morte!

Fu Gustave a rispondere:

- La fuga è l’unico modo per salvarci. Ci riusciremo insieme o moriremo insieme.

- Voi potete muovervi liberamente. Io sarei solo d’impaccio.

Gustave fece un cenno di diniego.

- Vado a preparare il necessario.

Quando Gustave fu uscito, Jules parlò:

- Paul, devi promettermi…

Paul lo interruppe.

- No.

- Tu non capisci.

- Che cosa c’è da capire? Non ti mollo.

- Paul, non posso pensare che potresti morire per salvare me.

- Siamo tutti destinati a morire. La Comune sta agonizzando. Ci aspetta la fucilazione.

- Tu e Gustave potete salvarvi.

- Pensi che fuggirei, abbandonando i miei compagni? Se non fosse per salvare te, non me ne andrei mai. Rimarrei a morire con loro, in combattimento o al muro.

- Merda, Paul!

Jules respirò a fondo e riprese, cercando di dominare l’angoscia:

- Paul, non ce la faccio. Non posso pensare che rischi di morire per salvare me.

- Te l’ho detto, Jules. Se non fosse per te, rimarrei qui a morire.

Jules scosse la testa. Si sentiva sprofondare nella disperazione. L’idea di provocare la morte di Paul e Gustave era intollerabile.

 

La sera scese una nebbia fitta, come non si vedeva spesso a fine aprile. Gustave osservò:

- Ottimo. La nebbia ci dà qualche possibilità in più.

Sarebbe stato più esatto dire che la nebbia gli regalava una piccola possibilità, perché uscire dalla città e passare attraverso la zona controllata dai governativi era un’impresa difficile per un uomo solo e senza impedimenti, ma era una follia per due uomini che dovevano sorreggere e probabilmente trasportare un ferito. Certamente Jules non era in grado di camminare a lungo. Eppure Gustave non intendeva rinunciare. Non voleva che Jules Bertier morisse.

Uscirono quando era quasi notte. Il buio e la coltre di nebbia facevano scomparire la città, rendendoli invisibili, ma nascondendo anche le pattuglie che percorrevano le vie. Si muovevano in assoluto silenzio e a ogni angolo Gustave si fermava, in ascolto. Paul sosteneva il dottore e avvertiva che Jules procedeva incerto, ma senza appoggiarsi molto a lui.

Due volte udirono rumori di passi. La prima volta s’infilarono in un vicolo e sentirono passare una pattuglia. La seconda volta si nascosero in un portone. Qualcuno si avvicinava, qualcuno che, come loro, si muoveva con grande cautela. Rimasero in silenzio e quando lo sconosciuto si fermò vicino a loro, trattennero il respiro. Infine i passi si allontanarono e loro poterono tirare il fiato. 

Gustave conosceva bene il quartiere e aveva in mente quello che riteneva l’itinerario meno pericoloso per arrivare al bastione che aveva individuato. Il percorso che aveva studiato prevedeva numerose svolte e cambiamenti di direzione: non era certamente la via più diretta. Paul continuava a sostenere Jules, ma percepiva con angoscia la fatica crescente del dottore, che si appoggiava sempre più a lui.

Arrivarono infine ai piedi del bastione.

- La breccia è poco più in alto. Lì possiamo riposare e aspettare il mattino.

Fu in quel momento che il dottore cedette. Paul fece appena in tempo a sostenerlo prima che cadesse a terra.

Con uno sforzo Jules si rimise in piedi, ma dovettero mettersi in due per fargli salire il breve tratto di sfasciume da cui si accedeva alla breccia.

Giunti a destinazione Jules si accasciò tra le braccia di Paul, che si stese sul fondo della cavità, tenendo il corpo del dottore su di sé: in questo modo Jules poggiava sul corpo dell’amico e non sui detriti. Nonostante le pietre frantumate su cui premeva la sua schiena, Paul stava bene così, come non era mai stato nella sua vita. Le sue braccia cingevano Jules. Non sarebbe stato necessario, ma era così bello stringere quel corpo che gli si abbandonava completamente, come un bambino piccolo tra le braccia della madre.

Jules si addormentò subito: il percorso lo aveva sfinito. Paul si chiese come avrebbero fatto a portarlo fuori città e al pensiero sentiva l’angoscia attanagliarlo. Non voleva che il dottore morisse, l’idea era intollerabile.  Lo strinse più forte tra le braccia.

Gustave guardò il dottore. Era chiaramente preoccupato.

- Speriamo in bene. Era esausto. E la parte più difficile deve ancora venire.

Paul disse, piano:

- Gustave, se vuoi andare, vai. Rimango io con lui.

- No. Non conosci la strada, non sai come uscire, non sai a chi rivolgerti se arriviamo al paese.

- Puoi darmi tu le indicazioni.

Gustave scosse la testa.

- No, non ce la faresti mai. Adesso dormiamo. Abbiamo bisogno anche noi di riposare un po’.

 

Gustave li svegliò prima dell’alba. Mangiarono quello che avevano portato con sé e bevvero. C’era ancora la nebbia, per fortuna. Gustave si rivolse a Paul:

- Dobbiamo andare. Tra non molto spunterà il sole.

Paul annuì.

Scesero dalla breccia. Jules si era ripreso e sembrava in grado di camminare, appoggiandosi a Paul. Presero a muoversi tra le baracche e gli orti addossati alle mura: un’area dove era più difficile incontrare passanti, ma che sicuramente le pattuglie controllavano.

Arrivarono infine al punto in cui il bastione era stato sventrato. Di lì si poteva uscire dalla città, ma occorreva superare la massa di blocchi di pietra caduti.

Paul rabbrividì. Come avrebbe fatto Jules a salire su quei blocchi? Si reggeva a malapena. E dovevano fare in fretta: ormai era giorno.

Gustave lo prese da una parte, Paul dall’altra e iniziarono a salire. Jules avanzava con fatica crescente, benché Gustave e Paul lo sostenessero e in certi punti lo issassero. Prima che arrivassero in cima, Paul si rese conto che Jules era diventato un peso morto: non era più in grado di camminare. Lo sentì sussurrare:

- Lasciatemi qui. Lasciatemi.

- Zitto.

- Lasciatemi. Non ce la faccio. Salvatevi voi.

- Zitto!

La voce di Paul era solo un sussurro, come quella di Jules, ma era dura, rabbiosa. Paul era angosciato.

- Non voglio che moriate per colpa mia.

Ignorarono le sue parole e fecero ancora alcuni passi, poi Paul disse:

- Così non possiamo andare avanti. Lascialo.

Gustave lo guardò. Temeva che Paul volesse abbandonare il dottore.

- Che cosa vuoi fare?

- Lo porto io. È più semplice.

Paul si caricò il dottore sulle spalle. Jules gli passò le braccia intorno al petto e Paul infilò le sue sotto le ginocchia dell’amico. Aveva un buon equilibrio e si muoveva con sicurezza, nonostante il peso che portava. Gustave lo seguiva, pronto a intervenire se ci fosse stato qualche problema. In questo modo riuscirono a procedere più veloci.

Due volte camminando fecero rotolare un sasso. Si fermarono e rimasero immobili, guardando il movimento della pietra, sperando che si arrestasse presto. Nella foschia che avvolgeva ogni cosa il rumore appariva loro il frastuono di una frana: temevano che i soldati lo sentissero e venissero a vedere che cosa succedeva. In quel momento non dovevano esserci pattuglie nelle vicinanze, perché non arrivò nessuno.

Raggiunsero infine il punto da cui potevano scendere dall’altra parte. Si guardarono intorno, ma la nebbia era ancora fitta e non si vedeva nessuno.

Scendere era più facile, nonostante il rischio di scivolare, e riuscirono ad arrivare al fondo dello sfasciume. Erano usciti da Parigi, ma non erano salvi: ora dovevano attraversare l’area intorno alle mura da cui erano stati allontanati gli abitanti durante l’assedio della città. Anche gli alberi erano stati abbattuti e non c’erano ripari. Ormai era pieno giorno. Solo la nebbia offriva una protezione, ma non era abbastanza fitta.

Cercavano di evitare le strade e s’infilavano in fossati, che, se camminavano curvi, li nascondevano completamente. Ma Paul portava Jules sulle spalle e non poteva strisciare carponi. I fossati erano spesso pieni di fango, in cui loro sprofondavano. Paul, più pesante e con il fardello di Jules sulle spalle, aveva l’impressione che il fango volesse inghiottirlo. Sotto le scarpe il fango si addensava e Paul doveva fermarsi per liberare le suole.

Più volte Jules chiese di essere abbandonato. Poi tacque. Paul capì che aveva perso i sensi. Era angosciato. Non sapeva da quanto tempo camminavano e gli sembrava che non sarebbero mai arrivati a destinazione: avrebbero continuato a vagare fino a che una pattuglia non li avesse avvistati. Proprio mentre lo pensava, si accorsero dell’arrivo dei soldati. Fecero appena in tempo a stendersi in un fossato, pieno d’acqua.

 

Paul aveva perso ogni speranza quando Gustave disse:

- Ecco le case.

Gustave andò avanti, poi tornò con due contadini che aiutarono Paul a portare Jules. Li fecero salire nel sottotetto di un fienile, dove c’era un ampio spazio. Qui erano stati sistemati alcuni pagliericci.

Portarono acqua perché si potessero lavare.

Gustave e Paul si spogliarono completamente, poi tolsero gli abiti anche al dottore, che non aveva ripreso conoscenza. Gustave controllò le medicazioni.

- Le ferite non sembrano essersi riaperte.

Gustave si lavò, mentre Paul si occupava di Jules. Non c’era nulla di più bello che lavare il dottore, come si lava un bambino piccolo. Paul scelse di ignorare completamente il desiderio che quel corpo accendeva in lui.

Un uomo portò alcuni vecchi abiti asciutti, con cui si rivestirono. Le donne avrebbero lavato i loro vestiti, che erano coperti di fango.

Gustave guardò Paul e disse:

- Ce l’abbiamo fatta. Mi sembra impossibile.

- Anche a me.

Paul guardò il dottore. Vederlo privo di sensi lo angosciava.

- Spero non sia stato troppo per lui.

- No, si riprenderà.

Solo a sera Jules si svegliò. Era stanchissimo, ma lucido, e disse di non provare dolore.

 

Gustave se ne andò dopo due giorni, lasciando una somma di denaro a Paul, in modo che potesse continuare a pagare i contadini che li ospitavano. Adesso che il dottore era al sicuro, poteva pensare a se stesso. Avrebbe raggiunto Rouen, dove poteva rimanere in incognito qualche tempo, aspettando che passasse la bufera.

Paul e Jules rimasero da soli nel fienile. Paul non era mai stato tanto felice nella sua vita, nonostante le tragiche notizie che arrivavano da Parigi: passare tutta la giornata accanto a Jules, parlando con lui, era comunque una gioia infinita.

Jules migliorava di giorno in giorno e presto non ebbe più bisogno di assistenza.

 

Con i contadini stabilirono che si sarebbero fermati ancora due settimane, per dare a Jules il tempo di riprendersi completamente e lasciare che la situazione si calmasse.

Non avevano molto da fare ed era meglio che non si facessero vedere troppo in giro. Paul diede una mano in alcuni lavori nei campi, quando era possibile senza allontanarsi molto dalle case. Jules visitò alcuni contadini che avevano bisogno di un dottore, prescrivendo qualche rimedio e dando consigli: non aveva con sé nessuno degli strumenti e dei farmaci necessari per curare.

Passavano lunghe ore insieme. Per Paul parlare con Jules o anche solo rimanere accanto a lui in silenzio era il paradiso.

Facevano regolarmente il bagno nella tinozza che era stata portata nel sottotetto dove dormivano. Ora che Jules stava bene non aveva più bisogno d’aiuto. Da una parte a Paul spiaceva non poterlo più assistere: lavarlo, asciugarlo, rivestirlo era stato bellissimo. Dall’altra però non doversi più prendere cura di lui riduceva un problema che si era presentato con frequenza crescente negli ultimi giorni: quando vedeva Jules nudo, quando lo lavava, lo asciugava, lo vestiva, il desiderio si accendeva, impetuoso.

 

Una sera Paul aveva appena finito di lavarsi e si stava asciugando. Jules si era lavato prima di lui, ma non si era rivestito. Era seduto sul pagliericcio e lo guardava. Paul era in imbarazzo. Temeva di avere un’erezione, come sempre più spesso gli capitava vedendo Jules nudo. Cercava di guardare da un’altra parte.

La voce di Jules lo sorprese:

- Sei bellissimo, Paul.

Paul lo guardò, senza riuscire a dire nulla. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere. Nessuno lo aveva mai trovato bello. Sapeva di non essere bello, per nulla, e le parole di Jules lo turbavano. Anche lui pensava che Jules fosse bello, perché lo amava e lo desiderava.

- Jules…

- Mi piaci moltissimo.

Paul lasciò cadere l’asciugamano e guardò Jules, che gli tese una mano. Paul gli si avvicinò. Nella sua testa si era creato un grande vuoto. Gli sembrava di essere incapace di ragionare, di muoversi, di respirare.

Jules si alzò, gli prese una mano e lo attirò a sé. Lo strinse tra le braccia. Paul non era in grado di reagire. Solo quando Jules lo baciò sulla bocca, gli sembrò di destarsi, ma ancora non riusciva a parlare.

Jules, vedendolo immobile, si staccò e chiese:

- Non vuoi?

Paul lo afferrò con violenza, lo strinse a sé. Scivolando con lui sul pagliericcio disse:

- È ciò che più desidero al mondo.

 

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2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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