Il
bacio di Giuda Si lascia cadere in
ginocchio, come schiacciato da un peso che non riesce più a reggere. China la
testa, poi la solleva e grida al cielo la sua angoscia. Non c’è risposta. E
allora, con fatica, si rialza e scende verso il prato su cui dormono i tre
discepoli. Ora. Tocca a me. Devo fare
la mia parte. Svolto l’angolo e percorro la breve salita che mi separa dal
prato. Lui mi guarda. Ci sono tristezza e rassegnazione nei suoi occhi. Mi avvicino.
Lo abbraccio. Penso che è per l’ultima volta ed è un
pensiero lancinante. Per l’ultima volta, poi non potrò più toccarlo. Sono
arrivato a tanto, che rimpiango questo leggero abbraccio come se fosse un
amplesso? E mentre me lo chiedo, mi rendo conto che le mie braccia lo
stringono troppo, ma la sensazione della carne sotto il tessuto mi stordisce. Tremante avvicino le mie
labbra alla sua guancia e lo bacio. È bello poterlo baciare e stringere,
anche solo per un attimo, anche se vorrei che le mie labbra incontrassero le
sue e non si limitassero a sfiorargli la pelle. Mi guarda fisso e non so
capire che cosa esprimono i suoi occhi. È solo la sofferenza per il mio
tradimento, come richiede la parte, o c’è altro? No, non c’è altro. È
perfettamente nella parte, lui, concentrato nel suo ruolo. Io no, la mia
mente gira a vuoto oggi, in un delirio, e mi sembra di aver sbagliato tutto.
Sì, ho davvero sbagliato tutto. Non la mia parte: ho fatto quello che dovevo fare. Ho sbagliato la mia vita. Avevo un’occasione e l’ho
gettata. Ora è troppo tardi. Lo afferrano, brutalmente,
e lo portano via, lasciandomi solo con un coagulo di rimpianto ed angoscia. Rimango lì, a guardare, finché il riflettore
si spegne e ripiombo nel buio. C’è davvero buio, dentro di me. Questa sera
Enrico si cambierà ancora una volta a casa mia e poi scomparirà dalla mia
vita. L’angoscia che mi assale è devastante. Vorrei
gridare. Da lontano seguo le fasi
del processo e intanto penso a lui, a Enrico Rocci.
È il dottore della vallata e impersona Gesù nella Passione che ogni anno
rappresentiamo qui in paese. È un evento che coinvolge un po’ tutti, una
tradizione molto viva, che mi piace perché non si è trasformata in un grande
spettacolo per i forestieri, come in altri posti. La facciamo una volta sola,
la sera del venerdì santo, alla buona, anche se con il tempo i costumi si
sono arricchiti e adesso affittiamo anche i riflettori. Viene gente da fuori
ad assistere, soprattutto dai paesi vicini. La parte di Gesù era stata
assegnata a Luigi Ferrari, come nei tre anni precedenti: ha l’età giusta ed è
un Gesù credibile. Ma a due settimane dalla rappresentazione, Luigi si è
beccato la pleurite ed è stato ricoverato d’urgenza. Per sua fortuna, niente
di particolarmente grave, ma di certo non poteva partecipare alla Passione. Trovare un sostituto per
Gesù in così poco tempo non era precisamente facile: non è una parte
qualunque e il tempo per prepararsi era ridottissimo. Alla riunione in parrocchia
quella sera sembravamo tutti dei cani bastonati. Ci guardavamo mogi, mogi, tirando fuori qualche nome improbabile: Luca, che
non si ricorda neanche come si chiamano i clienti del suo bar, figuriamoci
imparare la parte; Davide, che la parte l’avrebbe imparata, ma un Gesù
alquanto grasso, per non dire obeso, non era proprio credibile; Ernesto, che
però quando deve parlare in pubblico balbetta; Corrado, capace di bestemmiare
se inciampa o se la luce dei riflettori gli va negli occhi; Pino, che porta i
capelli come un marine e, se magari a quello si poteva rimediare con una
parrucca, ha pure i tatuaggi sul torace e sulle braccia (e che tatuaggi!).
No, non c’era in paese un solo candidato decente, a meno di non assegnare la
parte di Gesù a Taddeo, che faceva Ponzio Pilato, e
di lì a scalare, in una serie di spostamenti a catena che avrebbero creato a tutti difficoltà insormontabili. Eppure quella pareva
l’unica soluzione. Fino a che non parlò Pina (Maddalena): - Perché non chiediamo al dottore Rocci? So che una volta
recitava in una compagnia di dilettanti. E come Gesù me lo vedo benissimo. Su quello non si poteva
che essere d’accordo: Enrico è un Gesù perfetto, senza bisogno di trucco. I
capelli un po’ lunghi, la barba corta, bello, perché, cazzo!,
Enrico è bello. Come Gesù è davvero l’ideale. Un Gesù così non ce l’ha nessuno. Don Matteo non era
d’accordo, per niente. Enrico non va in chiesa. Non è uno che sbandieri le
sue idee ai quattro venti, ma don Matteo sospetta
che voti pure a sinistra (questo però don Matteo non lo disse, sapeva
benissimo che nella sala parrocchiale ce n’erano diversi di quelli che votano
a sinistra). Eppure, chi, se non lui? Dopo qualche altra proposta impossibile
(Damiano, quello che prima ha messo incinta una quattordicenne, poi è finito
in carcere per due furti; quello no, al massimo gli si poteva dare la parte
del ladrone cattivo), don Matteo si rassegnò e partimmo in delegazione per la
casa del dottore: Enrico non sta al paese, ma a Castelgrande,
ad una dozzina di chilometri. Andammo in tre: Pina,
che aveva avuto l’idea, Ennio, che è il braccio destro di don Matteo
nell’organizzazione della Passione, ed io, che conoscevo abbastanza bene
Enrico, perché aveva curato a lungo mio padre. Mi piaceva molto e non solo
perché è bello, cazzo!, se è bello (forse l’ho già
detto), ma perché ha un bel carattere, sereno, dolce. È riservato ed anche
questo mi piace di lui. Insomma, ero già un po’ innamorato di Enrico prima di
questa Passione. Andando da lui ci
chiedevamo se avrebbe accettato. Ennio era pessimista: figuriamoci, quello
aveva altro da fare e poi non gliene fregava niente. Probabilmente non era
neanche a casa. Era possibile: noi avevamo solo il numero di telefono dello
studio, per cui non avevamo potuto avvertirlo del nostro arrivo. Per fortuna
Pina sapeva dove abitava. Ripensandoci, Pina sa un po’ troppe cose di Enrico,
mi chiedo come ha fatto a saperle, sarà solo che le donne sono curiose come
scimmie? Enrico era a casa. Ci aprì
la porta un po’ stupito, ma molto cortese, bello, perché, cazzo!, dovete sapere che è bello, è proprio bello. Ennio era
già pronto per il no ed io mi bevevo il dottore con gli occhi, pensando che
se diceva di sì me lo baciavo pure, dato che faccio Giuda (parte che nessuno
voleva e che don Matteo mi ha assegnato con piacere, perché anch’io non vado
in chiesa). Pina formulò la domanda ed Enrico disse subito che avrebbe
impersonato Gesù molto volentieri e che avrebbe cercato di fare del suo
meglio. Così tornammo vittoriosi con il nostro Gesù, che ha finito per
convincere tutti, anche don Matteo. Siamo riusciti a fare le prove: per
fortuna la primavera è arrivata presto, quest’anno, e la stagione delle
influenze è finita, così Enrico non è stato oberato di lavoro e il tempo
clemente ci ha permesso di fare qualche prova extra per recuperare. Enrico ha
studiato la sua parte e l’ha imparata molto in fretta, ha subito dimostrato
notevoli doti nel recitare e poi ha proprio il fisico adatto, perché, non so
se l’ho già detto, ma è bello, cazzo!, se è bello! In questi giorni Enrico è
venuto da me a cambiarsi: disse subito che preferiva non girare in costume e
a me venne spontaneo offrirmi, visto che lo conosco un po’ meglio degli altri
e poi abito a due passi dall’area in cui si svolge la Passione. Va bene, non
posso giurare di non avere avuto qualche secondo fine: Enrico disse che
voleva un posto per potersi cambiare e fare una doccia prima di tornare a
casa e all’idea della doccia aprii bocca prima di darmi il tempo di pensare -
e soprattutto prima che qualcun altro si offrisse. Per fortuna nessun altro
dei presenti si fece avanti: avremmo rischiato di dover sostituire un altro
attore, perché l’avrei ammazzato. Non è corretto, lo so, ma, cazzo!, faccio Giuda, no? Adesso viene la parte
migliore, quando spogliano Gesù. Lo confesso, mi viene duro ogni volta,
perché Enrico mi piace. Normale, no? È bello, cazzo!,
se è bello. Mi viene duro anche a casa, quando Enrico si toglie l’abito da
Gesù e rimane con i boxer, prima di entrare in bagno e farsi la doccia.
Quante volte ho dovuto reprimere la tentazione di saltargli addosso! L’avrei fatto, cazzo!, se l’avrei fatto! Ma i miei sogni sono una
cosa, la realtà è un’altra. E allora mi sono controllato. Ho fatto qualche
battuta molto innocente, qualche apprezzamento, ma niente di più: a buon
intenditor, poche parole, ma il dottore non ha dato segno di intendere ed io
non sono andato oltre. Non voglio che in paese si sappia che sono gay e soprattutto non voglio che Enrico mi disprezzi.
Perché se prima che lui accettasse la parte già mi piaceva un casino, in
questi giorni in cui abbiamo avuto tante occasioni di parlare di argomenti
diversi, mi sono reso conto di essermi innamorato come un coglione, come se
avessi vent’anni e non trenta. Dovrei aver imparato un po’ di cose nella
vita, ma non è così, evidentemente. Come quasi dieci anni fa, mi sono
innamorato di uno di cui non conosco i gusti e che magari se gli dicessi che
sono gay, mi insulterebbe. No, non è vero, non
Enrico, non è il tipo. Ma magari sarebbe imbarazzato e sotto sotto schifato. Ed io non me la sento di sopportare il
suo disprezzo. Non è stato facile stargli
accanto in questi giorni, è stato un supplizio continuo, ma un supplizio a cui non avrei rinunciato per tutto l’oro del
mondo. Giorno dopo giorno vederlo a casa mia, mezzo
nudo - non si è mai spogliato completamente - desiderarlo e non potergli dire
niente. Ma non so nulla dei suoi gusti, nessuno ne sa nulla, non abbiamo mai
parlato dell’argomento. Potevo mica dirgli così, a
bruciapelo: - Ti piacciono gli uomini? Questa sera sarà l’ultima
volta e mi rendo conto che il solo pensarlo mi fa stare male. Lo stomaco mi
si contrae ed ho voglia di piangere. Mi do del coglione: l’ho avuto a casa mia per sette-otto
volte in queste due settimane e non sono neanche stato capace di fargli
capire con un cenno che mi piace, mi piace un casino, perché è bello, cazzo!,
se è bello. Abbiamo parlato della
rappresentazione, delle sue esperienze teatrali, della sua scelta di vivere
qui, dei miei studi, del mio lavoro. Una volta o due ho buttato lì una mezza
parola, una domanda indiscreta, ad esempio se tutte queste prove non gli
creavano problemi, se non c’era qualcuna che magari si lamentava perché lui
non si faceva più vivo, ma lui mi ha detto che non c’era nessuno. Ha usato il
maschile e non il femminile, ma non vuole dire niente. Avrei voluto fare
qualche battuta sul fatto che c’era qualcuno che invece era molto contento
che lui fosse lì (e che poteva dimostrarlo in modo inequivocabile, tirandosi
giù i pantaloni), ma capivo benissimo che non potevo permettermelo. E così ho vissuto questi
quindici giorni in continua tensione, nella testa e nell’uccello. Confesso
che più di una volta la mia destra è dovuta intervenire, per risolvere la
situazione, almeno a livello fisico. Perché per quel che riguarda la testa, è
andata peggiorando e ormai non ragiono più, mi ridico in continuazione le
stesse cose, ci giro intorno barcollando come un ubriaco. Prima di questa
storia, Enrico mi piaceva e ci avrei provato volentieri con lui. Ero
decisissimo a farlo. Ma è scattato qualche cos’altro
ed io mi sono ritrovato sempre più innamorato e sempre meno sicuro di me. Che
cosa può trovarci uno come lui, bello, cazzo!, se è
bello!, bello, dicevo, laureato, medico, colto, in uno come me, che fa
l’impiegato in una fabbrica di porte e non ha neanche una laurea. Lo so, non
è questo l’importante, ma mi sento un povero coglione. Anche se fosse gay, che può vederci in me, uno come lui? Lo guardo e mi rendo conto
che sto male. Tra poco ci perderemo, perché non avremo molte occasioni per
vederci. Dovrei sperare di ammalarmi per farmi curare da lui, ma sono sano
come un pesce e se non fosse stato per mio padre, non avrei neanche saputo
che faccia aveva il mio medico (una bella faccia, cazzo, se è bella!). Issano le croci. Il
temporale, annunciato per la sera, arriverà presto: dalle parti di Castelgrande si vedono lampi illuminare il cielo, nero di
tempesta. E io mi sento la gola secca. Il desiderio
sale, di nuovo, nonostante la disperazione. La mia testa continua a girare in
tondo, a ripensare a quello che avrei potuto dire e fare, ma ormai è tardi.
Non ci sono altre possibilità. Questa sera Enrico si farà la doccia e
scomparirà dalla mia vita. Pensavo che questi quindici giorni mi avrebbero
permesso di conoscerlo un po’ più a fondo (in senso biblico, insomma), ma non
è stato così: sono solo riusciti a farmi innamorare completamente. Fottuto in
pieno e solo, ahimè, in senso figurato. Adesso però non posso
indugiare molto nei miei pensieri, perché tocca di nuovo a me. Corro al
tempio, grido la mia rabbia e la mia disperazione ai sacerdoti, sto
recitando, ma soffro realmente. Poi getto le monete sul tavolo e corro a
impiccarmi. Penso che vorrei morire davvero e mi dico che sono un coglione e
quasi piango sul serio, in questa rappresentazione in cui le emozioni sono
tutte autentiche. Fabio fissa la corda all’imbracatura che ho indossato ed io
salgo sul ramo basso. Il riflettore mi illumina, urlo le mie ultime parole e
salto nel vuoto, rimanendo sospeso. La luce su di me viene
spenta e quelle sulle croci vengono accese. Io ho
finito. Fabio mi cala a terra e mi dice: - Accidenti, Giorgio, sei
stato bravissimo. Sembravi davvero disperato. Mai visto un Giuda così
convincente. Annuisco, bofonchio un
“grazie” senza convinzione: non ho nessun merito, non ho dovuto fingere. Non
sembro disperato, lo sono. Ecco l’ultima scena,
l’agonia di Gesù. In lontananza i lampi sembrano moltiplicarsi, il temporale
cresce di intensità e si avvicina. Ma ormai siamo alla fine. Il cielo in
tempesta fa da sfondo alla scena conclusiva, alla morte, pubblica e finta, di
Gesù e all’angoscia, privata e vera, di Giuda. Le ultime parole gridate al
cielo e infine i riflettori si spengono. Abbiamo concluso, prima del
temporale. Ed è finita. Io sono nell’androne di un
portone, nell’oscurità. La gente passa lungo la strada, tornando alle proprie
case e alle auto. Sento qualche commento, tutti molto favorevoli. Lodi per
Gesù, bravo e bello, cazzo!, se ne sono accorti
anche loro, non è che ci volesse molto. Lodi anche per Giuda, hai sentito
come gridava con i sacerdoti e poi, hai visto anche solo come ha abbracciato
Gesù e come lo guardava alla cena. Bravissimo quello! Un vero attore. Forse è
un professionista, è troppo bravo. Coglioni! In un’altra situazione queste
lodi sincere mi farebbero piacere o almeno mi divertirebbero, ma adesso sento
solo il gusto amaro della separazione imminente. Appena la folla si è
diradata esco dall’androne e mi dirigo verso le croci, che vengono calate rapidamente.
Tutti si affrettano: tra poco scenderà il diluvio universale e nessuno ha
voglia di una doccia fuori programma. Vorrei correre da Enrico, ma mi fermo
per dare una mano a ritirare il materiale elettrico, che costituisce il
problema maggiore. Abbiamo appena finito, quando i primi goccioloni
incominciano a scendere. Domenico chiude il
camioncino ed io raggiungo Enrico, che è ancora mezzo nudo, come è stato
crocifisso. Sta chiacchierando con don Matteo, che secondo me è un po’
imbarazzato dal fatto che lui non si rivesta. Di nuovo sento la gola
secca. E in questo momento
preciso, si aprono le cateratte del cielo. Casa mia non è lontana, ma prima
che riusciamo a coprirci in qualche modo, Enrico ed io siamo completamente
bagnati. Arriviamo a casa gocciolanti. Enrico ride, è allegro, beato lui. Posa
sul tavolo il fagotto dei suoi abiti di scena, che ha tenuto tra le braccia,
tanto era inutile rivestirsi. Li lascerà qui, io porterò i costumi in
parrocchia, il suo e il mio, e Anna si occuperà di lavarli prima di riporli. Io mi tolgo la tunica,
fradicia, ma non i pantaloni, che pure sono
altrettanto bagnati: non voglio spogliarmi davanti a lui. Enrico ride: - Santo
cielo, che lavata! Meno male che non è piovuto prima. Una doccia l’ho fatta,
però adesso ne voglio un’altra, calda. E dicendo questo, si
abbassa la fascia che lo cinge alla vita e rimane nudo davanti a me. È la
prima volta che lo vedo nudo. Rimango paralizzato, anche
i pensieri che mi correvano in testa si bloccano completamente e nel vuoto
assoluto del mio cervello, passa solo un lampo: è bello, cazzo, se è bello!
L’unico movimento è quello dell’uccello: la più fulminea erezione della mia
vita. Prima che me ne renda conto, ho una barra di acciaio che mi batte
contro il ventre. Il casino è che, essendo fradici, i pantaloni aderiscono al
corpo e non nascondono un bel niente. Enrico scoppia a ridere e
dice: - Sapevo che agli
impiccati viene duro, ma è la prima volta che posso constatarlo di persona. Abbasso il capo,
imbarazzato. Enrico si avvicina, adesso è di fronte a me, ma io tengo gli
occhi bassi, sopraffatto dalla vergogna. Non così, non volevo che finisse
così. Lui mi mette le mani sulle guance e mi solleva la testa, costringendomi
a guardarlo. Mi fissa e nel suo sorriso, dolcissimo, c’è ironia,
ma nessuna condanna. - Forse c’è ancora qualche
speranza di salvarti, facendo la respirazione bocca a bocca.
Che ne dici, ci provo? Mi sembra di sognare.
Recupero la mia baldanza e mi lancio: - Sì, credo che valga la
pena di provare. Sei un dottore, sai quello che fai. E poi dovresti anche
essere in grado di resuscitare i morti, no? Fa’ conto che io sia Lazzaro. - Mmmmm…
vediamo come viene. Enrico avvicina la sua
bocca alla mia e mi bacia, con molta dolcezza. Io sono irruente e devo
frenare la voglia di stringerlo tra le mie braccia: non voglio correre, non voglio rovinare la perfezione di questo momento. Non so
fin dove vuole arrivare, per me sono disposto ad andare a piedi fino
all’isola di Pasqua, con lui (sì, lo so, c’è di mezzo il mare,
ma Gesù camminava sulle acque, no?). Enrico si stacca, mi
sorride e dice: - Direi che è venuto bene,
no? Riproviamo? - Sì, sì! Bisogna fare
molte prove, per essere sicuri che tutto venga nel migliore dei modi. Passerei tutta la sera a
fare le prove, sono una persona seria, io. Questa volta socchiudo un po’ la
bocca e la lingua di Enrico mi passa tra le labbra e viene ad
incontrare la mia. Chiudo gli occhi e lo stringo tra le braccia, con foga.
Quando si stacca sussurro: - Enrico, Enrico! Le mie mani sulla sua
schiena, che non osano scendere sotto la vita, perché ho ancora paura, paura
di fare un passo di troppo, perché anche se Enrico mi sta abbracciando, nudo
come mamma sua l’ha fatto (sia lode a lei, che l’ha fatto proprio bene,
bello, cazzo!, se è bello!), mi sembra che sia tutto
troppo bello (come Enrico) per essere vero. - Ci facciamo una doccia
calda, per evitare di prenderci un accidenti, e poi passiamo oltre? E mentre lo dice mi cala i
pantaloni ed una mano scivola sul solco tra le
natiche, mentre l’altra accarezza lieve l’uccello. Mi sembra di impazzire,
tra un po’ mi viene l’infarto, fortuna che Enrico è un medico, mi farà la
respirazione bocca a bocca, che per l’infarto magari
non serve, però fa bene, garantisco che se a farla è Enrico, fa bene, l’ho
appena provato. Sarei anche disposto a farmi venire un infarto perché lui mi
facesse la respirazione bocca a bocca, ma non è
necessario, lui ha molta buona volontà, è disposto a farmela anche senza
infarto. Nella doccia in due stiamo
stretti, ma non è un problema, perché nessuno dei due vuole stare lontano
dall’altro. Le mani di Enrico si danno da fare: mi insaponano la schiena, il
culo, poi passano davanti. Le mie mani imitano le sue, anche se non ho il
sapone: bisogna seguire l’insegnamento di Gesù, no? Ma più di tutto voglio
baciarlo, voglio gustare la sua bocca. E allora lo
bacio sotto l’acqua che scorre. I nostri corpi aderiscono ed
ora il suo uccello non è meno teso e pronto all’uso del mio e questo mi
rassicura. In un modo o nell’altro ci
laviamo, forse non perfettamente, ma chissenefrega?
Abbiamo tutti e due altro per la testa. Usciamo dalla doccia e ci
asciughiamo approssimativamente: lui asciuga me ed
io lui, o piuttosto ci accarezziamo e tocchiamo e sfreghiamo, con o senza
l’asciugamano di mezzo. Ora mi sento abbastanza sicuro da dirgli: - Ci spostiamo in camera da letto? - Certo, prendo solo i
preservativi. Lo guardo, colto di
sorpresa: - Sei venuto con i
preservativi? - Sì, certo. Non mi dire
che non li usi, abitualmente. Enrico ha tirato fuori
dalla tasca della sua giacca due preservativi (soltanto?
Solo due volte? Non è possibile, non dopo che ho aspettato una vita. Comunque
ne ho anch’io) e mi guarda, aggrottando la fronte,
un po’ accusatorio. A Gesù bisogna sempre dire la
verità ed io comunque non ho colpe: - No, volevo dire, sì, li
uso sempre, ma… voglio dire…
come mai li hai… giri sempre armato
o pensavi che… Mi blocco,
un attimo di imbarazzo. Enrico ride. - Che saremmo finiti a
letto? Sì, ero abbastanza convinto che tu ne avessi voglia come me. Questo non è possibile. Di
sicuro ne ho molta più voglia io. Ma non è il caso di sottilizzare su
questioni di priorità. - Non mi hai mai… Insomma, nemmeno un cenno…
Io ho cercato di farti capire… Non pensavo nemmeno
che tu avessi capito, disgraziato! Enrico torna serio - Scusami,
Giorgio. Avevo capito, ma come medico dell’area devo essere un po’ cauto nel
muovermi. Tu hai fatto qualche domanda, ma non hai mai preso l’iniziativa ed
io non volevo scoprirmi troppo. Due sere fa mi sentivo abbastanza sicuro, ma
mi sono detto che era meglio aspettare questa sera, che fosse finita E di colpo viene fuori la
sofferenza di questi giorni, di questa sera. Sbotto: - L’hai fatta fare a me, Enrico mi abbraccia di
nuovo e questo basta a placare il dolore. - Mi spiace, Giorgio, non
volevo farti stare male. Non ero sicuro che tu fossi convinto…
A me piaci moltissimo, ma in queste cose bisogna volerlo davvero tutti e due. Poi mi bacia sulla bocca,
mentre le sue mani scivolano sul mio culo ed allora
tutto il mondo può andare a farsi fottere, perché questo solo conta, ora:
Enrico è tra le mie braccia e mi ha detto che io gli piaccio moltissimo (non
ho capito male, l’udito è perfetto, lui magari sarà un po’ debole di vista o
non mi ha guardato bene, ma chissenefrega, ormai
l’ha detto ed io sono felice per i prossimi dieci anni. Poi, in un modo o
nell’altro, lo costringerò a ridirmelo). Ci stacchiamo a fatica, ma
le nostre mani rimangono allacciate, mentre lo guido verso il letto. - Fatti vedere,
Enrico. Sei bello. Cazzo!, se sei bello! Credo di averlo già
pensato questa sera, ma non gliel’ho mai detto. Ora posso dirglielo e
baciarlo sulla bocca e lasciare che mi spinga sul letto e si stenda sopra di
me e mi abbracci e mi baci e mi accarezzi e mi morda e mi lecchi e… - Enrico… Faccio fatica a dire
altro. Gli prendo la testa tra le mani e lo guardo. È bello, di una bellezza
incredibile. Lo bacio di nuovo. E poi lasciamo che i
nostri corpi imparino a conoscersi e ad amarsi, in questa notte incandescente
di passione (con la maiuscola e senza). Solo più tardi, molto più
tardi, quando ormai la notte sta lasciando posto al mattino, quando i nostri corpi
sono sazi e solo le nostre bocche ancora si cercano,
mi dico che se don Matteo sapesse quello che hanno fatto Gesù e Giuda dopo la
sacra rappresentazione, non sarebbe per niente contento. Ma in fondo, sto
baciando Gesù: ripasso la mia parte per l’anno prossimo, no? |