Requiem per un boss

 

Due6

 

A Max Thomas,

perché la storia è sua

I

 

Le gambe leggermente divaricate, la schiena diritta a sfidare il mondo, Salvatore è in piedi davanti alla grande vetrata che si affaccia sul Michigan. L’inverno dovrebbe essere alla fine, ormai, ma la superficie del lago è ancora ghiacciata e soffia un vento gelido, che scuote i rami spogli degli alberi. L’ufficio è ben riscaldato, ma a Salvatore pare di rabbrividire sotto quelle raffiche, come faceva quand’era piccolo. Il vento che oggi scende dall’Artico a schiaffeggiare le grandi pianure americane risveglia in lui ricordi che ancora lo perseguitano. La fame, quella che ti stringe le budella e ti fa delirare. La solitudine di giornate intere spese ad aspettare il ritorno della madre. Il freddo, in una stanzetta gelida che nessuna stufa riscalda, mentre l’aria si infiltra attraverso gli infissi. Il dolore per la perdita della madre, morta dopo una breve vita di stenti. E poi la miseria, a mendicare per le strade della città, a lottare giorno per giorno per sopravvivere.

La fame, il freddo e la povertà sono un ricordo lontano, che solo questo fottuto vento del Nord agita ancora: Salvatore Domenici è uno degli uomini più ricchi di Chicago, a capo di un impero costruito sui liquori, grazie al proibizionismo. Il dolore per la morte della madre si è stemperato nel tempo, sono passati tanti di quegli anni, oltre trenta. La solitudine no, quella rimane la sua fedele compagna, l’unica che è sempre davvero al suo fianco, in queste giornate livide in cui il sole sembra essersi dimenticato dell’America, come nel calore soffocante dell’estate.

Sal, come lo chiamano i (pochi) amici, ha le mani in tasca e non riesce a staccare lo sguardo dalla superficie gelata dal lago. Quante volte nei primi anni dopo la morte della madre ha pensato di farla finita lasciandosi inghiottire da quelle acque scure?

 

Qualcuno bussa alla porta. Sal si riscuote. Grugnisce un “Che cazzo c’è?” che certo non invoglierebbe nessuno a entrare. Francesco Lo Piccolo, detto Frank, guardia del corpo e uomo di fiducia del boss, non si spaventa facilmente. Entra e gli comunica che padre O’ Flaherty vorrebbe parlargli.

- Fa’ entrare quel fottuto irlandese.

Non corre buon sangue tra italiani e irlandesi, questo lo sanno tutti. Padre O’ Flaherty ha sentito la risposta di Sal, pronunciata intenzionalmente ad alta voce, ma non ha certo paura dell’uomo che i nemici chiamano lo Scimmione. Eppure lo Scimmione di omicidi ne ha un certo numero sulle spalle: perlopiù gente che pensava di far fuori lui e che si è trovata dalla parte sbagliata di un mitra.

Frank esce. O’ Flaherty guarda Sal e gli basta un’occhiata per capirne l’umore: il boss è in guerra con il mondo e con se stesso. La guerra con il mondo fino a ora l’ha sempre vinta, quella con se stesso sempre persa. Ma la sofferenza che Sal nasconde dietro la rabbia gioca tutto a favore dei poveri di Chicago, questo il padre lo sa benissimo.

- Di nuovo a spillare soldi, sanguisuga?

O’ Flaherty si limita ad accennare con il capo a ciò che si vede oltre la finestra.

- L’inverno non molla la sua presa, c’è molta fame. Non tutti nuotano nell’oro come certa gente che io conosco.

Il copione è consolidato, i due attori conoscono la loro parte e la recitano con poche variazioni. In due occasioni O’ Flaherty, sapendo che Sal lo stima, ha cercato di superare il muro che il boss si è costruito attorno, ma in questo ha fallito. Le difese di Sal sono inespugnabili. E allora la pecorella smarrita continua a vagare e il pastore si limita a mungerla.

- Lei vuole vedermi ridotto a chiedere l’elemosina!

- Per il momento gliela chiedo io…

Sal si finge stizzito. Si siede all’ampia scrivania di mogano, apre un cassetto, ne estrae un libretto degli assegni e scrive una cifra. Poi lo passa a padre O’ Flaherty, con l’immancabile:

- Tenga, sanguisuga.

Padre O’ Flaherty guarda la cifra, che ogni volta è più alta: gli affari del boss prosperano. Se avesse altri due o tre donatori generosi come Sal, non sarebbero in molti a patire la fame e il freddo a Chicago. Ma si guarda bene dal dirlo, non fa parte del copione. Sa che non bisogna ringraziare adesso.

- Se non può proprio fare di più…

- Se mi promette che si impicca giù nel parco, raddoppio la cifra.

Padre O’ Flaherty allarga le mani, come per scusarsi:

- Il suicidio è peccato mortale.

- Posso sempre mandarle uno dei miei uomini…

- Sì, grazie, abbiamo bisogno di qualche uomo robusto per sistemare il salone della mensa…

A Sal sfugge un sorriso e padre O’ Flaherty è contento di essere riuscito a regalarglielo: in queste giornate invernali è molto più facile ottenere da Sal un assegno che un mezzo sorriso.

- Le manderò qualcuno, ma non dei miei uomini. Non sono adatti a questo genere di lavori.

- Lo so, gli italiani sono sempre così maldestri.

La smorfia di Sal è eloquente, ma il boss ci aggiunge una frase:

- È meglio che vada, padre, devo pulire la pistola e non vorrei mai che mi sfuggisse un colpo: sa, noi italiani siamo così maldestri…

Padre O’ Flaherty si alza, sorride e dice:

- Grazie, signor Domenici.

Poi scompare in fretta. Fa ancora in tempo a sentire Sal che urla a Frank:

- Non far più entrare quella zecca.

Sal non torna alla finestra. Rimane alla scrivania. Tira fuori la pistola e la guarda. La accarezza. La impugna. Apre la bocca e infila la canna fino a sentirla contro il palato. È una sensazione strana. Forse uno di questi giorni, se non riusciranno a farlo i tanti che ci provano…

Sal si toglie la pistola dalla bocca con un gesto brusco. Bestemmia, forte, due volte. Posa l’arma nel cassetto. Impreca ancora e torna a guardare fuori dalla finestra.

 

L’arresto di Vito il Gancio è una buona notizia per Sal: un rivale fuori gioco, un’occasione di espandere il suo giro d’affari nei quartieri alti, qualche rischio in meno di finire ammazzato. I proprietari di quei tre o quattro locali su cui Vito allungava la sua ombra protettiva - e la sua mano rapace - saranno ben felici di fare affari con lo Scimmione, che è meno esoso e, per quanto strano possa sembrare, più onesto. Quanto ai bordelli, quelli no, li lascia a Sant’Agata (Salvatore anche lui, Macaluso di cognome, gran devoto della santa, per cui si è beccato questo soprannome), lui non vuole averci a che fare. Sa che sua madre ha fatto anche quello per sfamarlo e non ne vuole proprio sentir parlare.

Su come hanno fatto a mettere le mani sul Gancio, nessuno ha le idee chiare, ma tutti sanno che Vito uscirà di galera con i piedi in avanti, morto di vecchiaia o impiccato: di omicidi sulle spalle ne ha tanti, tra cui quelli di giornalisti e sbirri. Tutti sanno anche che ad arrestare Vito è stato quel figlio di puttana di Patrick Dennehy, che da qualche mese coordina la lotta contro la malavita organizzata a Chicago: da quando è arrivato lui, la polizia ha fatto parecchi passi in avanti e Sal ha fatto ottimi affari, man mano che i suoi rivali finivano in manette. Ma Sal sa che all’ampliamento delle sue attività, corrisponde un aumento delle possibilità di trovarsi faccia a faccia con Dennehy.

 

Ed infatti la convocazione da parte della polizia arriva alcune settimane dopo l’arresto di Vito. Non è propriamente una buona notizia, ma Sal si sente tranquillo. È sempre stato molto attento, paga persino le tasse e le sue attività legali giustificano ampiamente la sua ricchezza. E poi è curioso di vedere questo Dennehy, di cui tutti parlano, ma che pochi hanno visto di persona. Non rilascia interviste, non ci sono sue fotografie sui giornali, oggi almeno Sal vedrà che faccia ha.

L’agente lo fa accomodare nell’ufficio di Dennehy ed esce. Lo sbirro è da solo. È seduto ad una scrivania e lo guarda. Ha occhi scuri, capelli neri e una barba corta. Ed è giovane, maledettamente giovane. O almeno sembra tale. In realtà, a guardarlo meglio, deve aver superato i trentacinque, ma per uno sbirro in quella posizione è poco. E poi, questo Sal l’ha notato subito, è bello, cazzo!, se è bello! Questo Sal proprio non se l’aspettava. Gli sbirri sono tutti brutti e grassi come maiali (Sal ha qualche pregiudizio sulla polizia, ma, considerando la sua posizione, bisogna concedergli un’attenuante). Questo sembra un attore del cinema, non uno sbirro.

- Si accomodi, signor Domenici.

Lo sbirro è cortese, cosa che di rado succede. Ma l’accento è irlandese, si sente subito. C’era da giurarlo: i figli di puttana a Chicago sono tutti irlandesi. D’altronde con quel nome, Patrick! L’unico irlandese che Sal sopporta è padre O’Flaherty, tutti gli altri fottuti mangiatori di patate li rispedirebbe direttamente in Irlanda o, se non vogliono fare il viaggio, nelle acque del lago, che è pure lì a due passi e non occorre pagare il biglietto.

- Grazie.

Quando Sal si siede, l’uomo lo fissa negli occhi. Sal si dice che quell’uomo gli sta guardando dentro e l’idea lo mette a disagio.

- Lei è un uomo molto ricco, signor Domenici.

Sal guarda Dennehy, alquanto diffidente. Che questo sbirro voglia farsi corrompere? Ma così, senza nemmeno un preambolo? E poi no, non sembra proprio il tipo. Che invece gli stia tendendo un tranello, che voglia indurlo a fargli una proposta, per poi arrestarlo con l’accusa di aver cercato di comprarlo?

L’uomo davvero deve leggergli in testa, perché scoppia a ridere e dice:

- Non c’era nessun secondo fine. Non sono in vendita.

“Peccato - pensa Sal - perché uno come te me lo comprerei volentieri”. Ma non dice nulla. Si limita ad annuire.

- Lei ha fatto fortuna partendo dal nulla. Oggi è uno degli uomini più ricchi di Chicago e si è fatto da sé. Senza padre…

Sal si tende. Ci sono cose che non sopporta e una di queste, forse la prima, è che qualcuno cerchi di infangare la memoria di sua madre: quella povera donna ne ha passate abbastanza nella sua vita e Sal non intende permettere a nessuno di sparlare di lei. I suoi parenti lo sanno tutti: chi si permette un mezzo accenno men che rispettoso, può scordarsi di ricevere il benché minimo aiuto da Sal.

Dennehy lo guarda e gli dice, molto serenamente:

- Non ho nessuna intenzione di offenderla, anch’io porto il cognome di mia madre.

L’osservazione dello sbirro non mette Sal a suo agio, ma aumenta il suo nervosismo: quell’uomo davvero gli legge nel pensiero. E poi, che cazzo gli racconta? Non è così che si svolge un interrogatorio. Che cazzo vuole, questo fottuto sbirro?

Sal replica, un po’ secco:

- Non credo che mi abbia fatto venire qui per questo.

Errore, primo errore, lo sa benissimo. Mai tradire il proprio nervosismo. E meno che mai di fronte ad un uomo come questo, capace di capire il pensiero di uno da piccoli indizi e certamente attento a cogliere ogni segnale di debolezza. Un fottuto sbirro molto pericoloso come avversario.

L’uomo sorride, pare divertito.

- Credo che lei sappia benissimo perché l’ho fatta venire qui.

Sal allarga le braccia. Ha recuperato il controllo, ora, e il dialogo sembra avviato a rientrare nei binari consueti.

- Non saprei proprio, non ho mai avuto noie con la legge.

Dennehy annuisce:

- No, di questo le va dato atto, Domenici. Lei è molto in gamba a portare avanti i suoi affari senza farsi beccare.

Domenici assume un’aria offesa, senza metterci troppo impegno: adesso stanno giocando a un gioco vecchio come il mondo.

- Sono un cittadino onesto, pago le tasse, gestisco…

Lo sbirro lo interrompe, protendendosi leggermente in avanti:

- … diversi ristoranti italiani, alcuni di lusso, in cui si mangia in modo meraviglioso: sa scegliersi i cuochi, complimenti; quattro alberghi qui ed altri tre in California; due locali notturni; tre cinema…

- Lei ne sa più di me, ispettore.

Lo sbirro fa finta di non aver sentito e prosegue:

- … sette od otto locali clandestini, dove si vendono liquori; diverse distillerie, probabilmente quattro, forse cinque, solo in Illinois, ma credo che abbia almeno una partecipazione in altre due in Indiana; un’efficiente rete di distribuzione che rifornisce non solo i suoi locali, ma quelli di mezza città e raggiunge diversi altri stati.

Sal non può che riconoscere in cuor suo che lo sbirro è maledettamente ben informato. Ma ovviamente si dichiara del tutto innocente:

- Ma che dice, ispettore? Io non so di che cosa sta parlando.

- Lei non lo sa? Io lo so, Domenici.

E dicendo così lo sbirro si tira indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia. Sorride. Non è un sorriso ostile. Neppure strafottente. Sembrerebbe quasi un sorriso complice.

Domenici alza le spalle, come a dire che lui non sa proprio che farci, se l’ispettore ha queste strane idee. E intanto lo guarda, perché, cazzo!, è un piacere guardarlo.

Dennehy riprende:

- Potrei dirle nomi, date, luoghi. Ed entro pochi giorni vedrà che non sto bluffando.

Sì, l’uomo non sta bluffando e Sal sa che qualcuno dei suoi locali sarà presto chiuso. Ma nessuno è in grado di risalire a lui. E questo Dennehy deve saperlo.

- Non capisco perché ce l’ha con me, ispettore.

Lo sbirro scuote la testa.

- Non ce l’ho con lei, Domenici, per nulla. Anzi, devo dire che dopo i vari figli di puttana con cui ho avuto a che fare in questi mesi, lei mi sembra quasi un galantuomo: non imbroglia negli affari, a parte i concorrenti, naturalmente; mantiene la sua parola, sempre; non è molto esoso; non ricorre facilmente all’omicidio; chi ha a che fare con lei, dimostra molta stima e gratitudine nei suoi confronti. Ma farò tutto quello che posso perché finisca in galera e ci rimanga il più a lungo possibile.

La faccenda del galantuomo ha spiazzato Sal, che tutto si sarebbe aspettato, fuorché questo. Gli viene da sorridere.

- Grazie, ispettore. È bello vedere che qualcuno si preoccupa di assicurarmi un futuro.

Lo sbirro sorride anche lui.

Sal prosegue:

- Mi ha fatto venire per dirmi questo?

- Avevo piacere di vederla. Ho sentito parlare molto di lei. Più in bene che in male, devo dire. Ero curioso.

Sal è alquanto confuso. Anche quel “più in bene che in male” non se l’aspettava. Quest’uomo ha il potere di spiazzarlo.

- Spero che non sia rimasto deluso.

- No, per niente. Non mi ha detto molto, ma sapevo già che è riservato. E ci aspettano diversi altri colloqui, quando avrò raccolto un po’ di elementi in più.

Sal sorride.

- Spero che non si offenda, ma non mi sento proprio di augurarle buona fortuna.

Lo sbirro lo guarda serio.

- Temo che avrà bisogno di buona fortuna più lei di me.

Sal fa un cenno del capo.

- Posso andare, ora?

- Certo, non è mica in arresto…

C’è solo un attimo di pausa, prima che lo sbirro prosegua:

- … almeno per ora.

Sal fa una smorfia, sorride e si alza. Quando arriva alla porta, Dennehy gli dice, con un sorriso amichevole:

- Domenici, non si illuda. La fotterò.

Sal guarda lo sbirro e anche se la replica non è canonica, gli verrebbe da dire: “Lei può fottermi quando vuole. Il mio culo è sempre a sua disposizione.”

Ma risponde:

- Grazie per l’avvertimento.

Sal esce dalla stazione di polizia alquanto turbato. L’incontro è stata una dichiarazione di guerra ed è ovvio che nelle prossime settimane Sal si troverà a pagare un conto salato: perquisizioni, interrogatori, retate porteranno senz’altro la polizia a scoprire diversi elementi ed il danno economico sarà consistente. Quanto ad arrivare a lui, è un’altra faccenda, non è così facile. Ma tutto ciò è parte del gioco, azzardi che si mettono in conto e di certo non spaventano un uomo abituato a rischiare grosso.

Quello che turba davvero Sal è altro. Quel fottuto sbirro gli piace. È un gran bel maschio ed al boss i maschi piacciono un casino, anche se nessuno lo sospetta, anche se ha sempre dovuto nascondere questa parte di sé. E poi gli piace persino come persona e questo è davvero il massimo. È un nemico, un fottuto nemico mortale, che mira a fargli passare il resto dei suoi giorni in galera e glielo ha pure detto. Eppure gli sta simpatico. È un uomo intelligente e quindi pericoloso. Ma Sal è stufo degli uomini stolidi ed avidi che sono al suo servizio o al soldo dei suoi nemici, stufo dei familiari interessati che non si sono mai occupati di lui quando ne aveva bisogno ed ora che ha fatto fortuna vengono in massa, da tutti gli States e pure dalla Sicilia, per chiedere.

Merda! Tra tutti gli uomini di questo mondo, l’unico a risvegliargli qualche cosa dentro doveva essere questo fottuto sbirro? Farà bene a scordarselo in fretta.

 

Altre settimane sono passate. I primi colpi sono arrivati: due locali sono stati scoperti ed un camion sequestrato; una distilleria ha dovuto essere abbandonata perché la polizia stava per arrivarci. Non è una gran perdita, nessuno ha parlato, Dennehy non ha in mano niente contro Salvatore. Ma tutto è diventato più difficile.

Intanto Sant’Agata ne sta approfittando per cercare di allargarsi, ma forse questo è un errore: Sant’Agata sta sul culo a tutti, è avido, feroce, infido. Tutti hanno paura di lui, ma proprio per questo preferiscono non dover avere a che fare con quel figlio di puttana. Meglio Salvatore Domenici, che è uno di cui ci si può fidare.

E così qualcuno parla e Dennehy scopre due locali di Sant’Agata e glieli chiude. È l’occasione che alcuni aspettavano per saldare qualche vecchio conto in sospeso nei confronti del boss. L’attenzione di Dennehy sembra spostarsi da Salvatore Domenici a Sant’Agata, un altro bersaglio molto grosso e in questo momento più facilmente raggiungibile. La caduta del boss appare inevitabile, a meno che la santa non lo protegga.

E poi il colpo di scena: un agguato a Dennehy, al porto. Lo sbirro è stato rapito.

Sal è uno dei primi a saperlo. Le notizie importanti gli arrivano sempre in fretta, spesso più rapidamente che alla polizia. Dennehy è stato rapito mezz’ora fa. È quasi mezzogiorno e Sal sa benissimo che prima di notte Patrick Dennehy sarà un uomo morto. Butteranno il suo cadavere nel lago, con un peso ai piedi. Oppure, se Sant’Agata vorrà sfidare la polizia, farà trovare la testa, con i coglioni in bocca, da qualche parte. Lo ammazzerà personalmente, gli piace torturare e uccidere i suoi nemici. E non lo farà in fretta. Patrick Dennehy farà in tempo a pentirsi di aver deciso di fare lo sbirro. Si pentirà anche di essere nato, prima che arrivi la sera. E accoglierà la morte come una liberazione. Merda!

Sal è furioso. Pensa a Patrick Dennehy. Ci pensa con un’intensità che lo spaventa. Che cosa gli è successo? Come è possibile? Come…

Sal ha dato alcuni ordini, non appena ha avuto la notizia. Vuole sapere dove è tenuto prigioniero lo sbirro, chi lo sorveglia. Per lui non sarà difficile ottenere queste informazioni, con la posizione che occupa nel mondo della malavita di Chicago: può rivolgersi a infinite persone ben felici di fargli un piccolo favore. Nessuno può sospettare che idea ha in testa. Neanche Sal sa che idea ha in testa. O, se lo sa, rifiuta di dirsela.

Sal passeggia avanti e indietro, nervoso, incapace di stare un minuto fermo. Si pone mille domande, ma non trova nessuna risposta. Sta andando fuori di testa, questa è l’unica spiegazione plausibile.

Le informazioni arrivano e Sal scopre che mentre gli sembrava di delirare, la sua testa ha già elaborato un piano, pronto in ogni dettaglio.

Dennehy è prigioniero in un vecchio magazzino, alla periferia della città. Ci sono tre uomini di Sant’Agata e il boss. Lo stanno torturando, ovviamente. Sal spera solo di arrivare in tempo.

 

Sal è in auto con quattro dei suoi uomini. Nessuno di loro sa l’obiettivo della spedizione. Sanno soltanto che dovranno uccidere alcuni uomini di Sant’Agata. Al magazzino si accede da una porta, che sarà sicuramente sorvegliata, ma è anche possibile arrivarci dal deposito vicino, raggiungibile dalla riva del lago. Sal e i suoi uomini si infilano nel vecchio deposito, abbandonato da un mese. Salgono al primo piano, poi sul tetto e di lì passano nel magazzino vicino.

Scendono con cautela. Non si sente nessun rumore. Quando giungono al fondo delle scale sentono delle voci che provengono da una stanza vicina, l’ingresso del magazzino. Gli uomini di Sant’Agata sono lì.

Sal fa cenno a uno dei suoi di fermarsi alla porta da cui sono entrati, per guardargli le spalle. Poi si avvia verso la stanza da cui arrivano le voci.

Gli uomini di Sant’Agata chiacchierano e ridono tranquilli. Non si aspettano visite, meno che mai dall’interno del magazzino. Non appena li vedono, i tre uomini fanno per impugnare le armi, ma Sal ed i suoi uomini le hanno già in mano ed in un attimo nella stanza si scatena l’inferno: il risultato sono tre uomini in più all’inferno, senza il tempo di pentirsi dei propri peccati.

 

Una porta si spalanca e Sant’Agata appare sulla soglia, una pistola in mano. Sal spara per primo e una macchia rossa si allarga sulla camicia del suo rivale, subito sotto il cuore. Il boss guarda Sal con un’espressione stupita e rabbiosa, ma ormai la pistola che ha in mano è troppo pesante per lui e cade a terra. Sant’Agata cerca di dire qualche cosa, ma la bocca non riesce a formulare parole e il boss crolla.

Sal si precipita nella stanza da cui è uscito Sant’Agata. Dennehy è lì, con solo le mutande addosso, legato a una sedia, una benda intorno agli occhi. Nella stanza non c’è nessun altro.

Dennehy ha la testa reclinata e Sal non saprebbe dire se è vivo o morto. Esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Frank gli dice che Sant’Agata e i suoi tre scagnozzi sono morti. Sal lo sapeva già, ma Frank è puntiglioso.

- Bene, Frank, adesso voi quattro ve ne andate per la strada da cui siamo venuti e vi dimenticate tutto quello che è successo.

- Va bene, capo. Dobbiamo aspettarla da qualche parte?

- No, tornerò per conto mio.

Frank annuisce e in un attimo i quattro sono scomparsi: gli uomini di Sal sono abituati ad obbedire senza discutere.

Sal ritorna rapidamente nella stanza. Lo sbirro ha sangue sulla faccia, colato dal naso e dal labbro, e sul torace, da alcuni piccoli tagli. Lividi in diversi punti. Ma respira, grazie a Dio respira e non sembra avere nessuna ferita grave. Quel figlio di puttana di Sant’Agata aveva appena incominciato con il suo lavoro.

Sal si avvicina a Dennehy. A vederlo lì, quasi completamente nudo, il cazzo gli sta rapidamente diventando duro. Ci mancava solo più questa. E poi le mutande sono un po’ bagnate, lo sbirro deve aver perso qualche goccia di piscio per le torture. Il cazzo si vede benissimo, un signor cazzo (anche se quello di Sal ha altre misure, ma lo Scimmione è dotato come un cavallo).

Sal si mette dietro la sedia e passa una mano sulla corda, per vedere dove tagliare. Dennehy si accorge della sua presenza, si riscuote, cerca di muovere le braccia legate e gli grida:

- Fottuto bastardo, spero che crepi presto. 

Sal sorride. Lo sbirro non ha abbassato la cresta, nonostante le torture. Questo gli piace. Risponde:

- Sta fermo, stronzo. Sono venuto a liberarti.

Dennehy si blocca. Ha riconosciuto la voce. Sibila:

- Lo Scimmione! Ci sei tu dietro tutto questo, bastardo!

Il sorriso di Sal scompare. Non si aspettava né il soprannome, che usano i suoi nemici, né il “bastardo”, né soprattutto l’accusa di aver organizzato il tutto. Forse in un altro momento rifletterebbe sul fatto che nelle ultime ore lo sbirro ha attraversato l’inferno e che questo lo rende meno lucido o comunque non molto ben disposto nei confronti del mondo.

- Guarda, stronzo, che non ti ho rapito io. Sono venuto a salvarti e mi ringrazi in questo modo? Facevo meglio a lasciarti nelle mani di Sant’Agata.

Ma lo sbirro ha la luna di traverso: le botte, i tagli e la certezza di morire in malo modo lo hanno reso diffidente e rabbioso. Reagisce ancora malamente.

- Tu a salvarmi? Lo Scimmione che salva un poliziotto? Quando mai?! Che cosa vuoi da me? Perché di sicuro non fai mai nulla senza farti pagare. Hai organizzato il tutto per cercare di sfuggirmi. Non ti illudere, non ti darò tregua, ti fotterò Scimmione.

“Ti fotterò” gliel’ha già detto, ma adesso il tono è un altro e a Sal i coglioni girano vorticosamente. Ma non è solo questo. Il corpo nudo che ha di fronte, il leggero odore di sudore, il calore della pelle che avverte sotto le dita gli stanno facendo perdere il controllo.

- Hai ragione, stronzo. Mi prenderò qualche cosa. Magari questo.

E mentre parla, Sal ha infilato una mano nelle mutande dello sbirro e gli ha afferrato il cazzo. È stato un gesto del tutto istintivo, di cui Sal si è già pentito. Ma ora che ha in mano quel trofeo, che per la prima volta in vita sua stringe un bel cazzo (a parte le volte che ha stretto il proprio, ma non è la stessa cosa), ora non intende più tornare indietro.

Lo sbirro si è teso. Il respiro è diventato più affannoso. Che cosa pensa, questo stronzo? Che lui voglia tagliargli il cazzo? Di sicuro Sant’Agata gliel’aveva promesso e l’avrebbe pure fatto. Ma lui non farebbe mai una cosa del genere. Comunque si divertirà un po’ con questo figlio di puttana.

Sal fa scorre il coltello lungo il fianco dello sbirro, fino a infilare la punta sotto le mutande. Lo sbirro cerca di controllarsi, ma la sua paura è evidente.

Sal allontana la lama dalla pelle e tende la stoffa, poi con un movimento rapido la incide e la taglia. Ripete il gesto dall’altra parte e toglie l’indumento bagnato. Poi fa scorrere la lama sul cazzo dello sbirro.

Dennehy deglutisce. Sal può vedergli il pomo d’Adamo che va su e giù. Ma non dice nulla. Anche se ha paura, si controlla. E un’altra cosa sta succedendo. Nella mano di Sal il cazzo dello sbirro si sta irrigidendo. Anche ora, che Sal sta passando la lama lungo l’asta, l’uccello acquista consistenza e volume. Questo pezzo di merda si sta eccitando. Quanto a Sal, è ormai in calore al punto che ha la vista annebbiata.

Sal si ritrova in ginocchio davanti allo sbirro, che per fortuna ha ancora la benda sugli occhi e non può vederlo.

Il cazzo di Dennehy è a una spanna dalla sua bocca e prima che Sal abbia avuto il tempo di ragionare e di dirsi che sta facendo una follia, il cazzo è dentro la sua bocca. È la prima volta che Sal succhia un cazzo: ha spesso desiderato farlo, ma non si è mai azzardato. Un uomo come lui sarebbe finito se si sapesse. E adesso si saprà, ma a Sal non importa più nulla. In questo momento l’unica cosa che davvero gli importa è il calore di questa cappella che sta leccando e succhiando.

Sal si stacca e guarda lo sbirro. Ha le labbra socchiuse, una smorfia di piacere sulla faccia. Ormai è finita: o lo ammazza, ma Sal questo sa che non lo farà, o è fottuto, è nelle sue mani. Se quest’uomo racconterà che lui glielo ha succhiato… E allora tanto vale andare fino in fondo.

Come? Sal si alza e taglia la corda che lega Dennehy alla sedia, ma non quella che gli blocca le mani. Poi si spoglia, completamente. Ora sono tutti e due nudi, in silenzio, l’uno davanti all’altro, i cazzi duri come canne di pistole, il respiro corto di chi sta bruciando. Afferra Dennehy mettendogli la grossa mano sulla nuca, lo alza quasi di peso e lo stende a terra, sulla schiena. Poi gli accarezza ancora il cazzo, non per tenderlo di più, perché l’arma è già al massimo della sua tensione, ma perché gli piace sentirne il calore e la durezza, gli piace pensare che questo è il primo cazzo che gli entrerà in culo e che prima di morire - perché sa che ormai è fottuto - proverà quello che ha sempre desiderato. Si sputa nel palmo della destra e inumidisce la cappella. Poi si bagna due dita e si lubrifica il buco del culo.

La posizione di Dennehy, steso supino con le mani dietro la schiena, non è delle migliori, ma in fondo rispetto a com’era fino a venti minuti fa dev’essere il paradiso.

Sal si siede sul ventre di Dennehy. Struscia un po’ il culo contro il cazzo dello sbirro ed è una sensazione bellissima. Poi si solleva leggermente, prende l’uccello, lo mette in verticale e abbassa il culo fino a impalarsi su quello spiedo di carne. Nel momento in cui la punta del cazzo gli preme contro il buco del culo, Sal si dice che è pazzo, ma è tutta la vita che lo desidera e questo sbirro gli piace un casino e ormai gliel’ha già succhiato e… e… e… e questo cazzo che affonda nel suo culo, facendogli un male cane, è il piacere più intenso che abbia mai provato in questa vita di merda.

Dennehy non dice una parola. Ha la bocca socchiusa e Sal vede che sta provando un piacere intenso. Ne è contento, non sa perché, ma nella sua mente bacata è contento che anche lo sbirro goda. Sal si muove con cautela, sollevando un po’ il culo, per poi affondarlo di nuovo sulla picca che gli scava le viscere. Sta sudando, anche se in questa primavera ancora incerta il magazzino abbandonato non è certo caldo. Le sue mani scorrono sul torace dello sbirro, accarezzano la pelle umida di sudore, la peluria leggera (lui non è uno scimmione, come Sal, che sul torace ha una foresta), poi una si spinge fino alle labbra e con il polpastrello dell’indice Sal percorre il profilo della bocca, in una carezza lieve. La bocca dello sbirro si apre di più e per un momento Sal pensa che voglia morderlo, mozzargli una falange, ma non succede nulla del genere. Sal continua il suo movimento. Il culo gli fa male, ma dal dolore nasce una vibrazione di puro piacere che percorre tutto il suo corpo, dalle viscere alla testa, dai coglioni al cazzo sulla cui punta appare una goccia di seme. E le sue mani, le sue dita che accarezzano la pelle dello sbirro, incapaci di fermarsi, gli trasmettono altre vibrazioni. Gli sembra che ci sia un vuoto immenso nella sua testa, è solo un corpo, un corpo che vibra per la prima volta di un piacere a lungo desiderato e mai provato.

Le sue mani si muovono ancora, accarezzano il viso dello sbirro, gli stuzzicano i capezzoli, scoprono gesti che nessuno ha insegnato loro. Sal lascia che facciano, ormai cercare di controllarsi non ha più senso, è fottuto, fottuto dal cazzo che gli riempie il culo e dal poliziotto che lo tiene in mano. Ma non importa, nulla davvero importa, se non l’indicibile piacere che ha avvolto il dolore, lo ha cancellato e continua a crescere dentro di lui. Sal geme e vorrebbe gridare parole, ma questo la sua mente rifiuta di farlo. E allora sono le sue mani a parlare, ad accarezzare, a mandare un urlo di desiderio e d’amore. E Sal lascia che le sue mani si muovano e gridino.

Questo momento è la perfezione. Sal vorrebbe che la Terra si fermasse, per poter rimanere in eterno così, sollevando il culo fino a che il cazzo dello sbirro quasi esce e poi abbassandolo fino ad impalarsi completamente, mentre le sue mani scrivono sul corpo di Dennehy un osceno poema d’amore.  

Dennehy respira affannosamente. Sal guarda il torace che si solleva e si abbassa, il viso distorto in una smorfia di piacere. Poi lo sbirro emette una specie di grugnito e Sal sente la scarica in culo. E allora la mano di Sal sfiora appena la cappella, incandescente, e quel tocco leggero e sufficiente a scatenare un uragano di piacere, che avvolge Sal e lo fa urlare, mentre lo sborro schizza in alto e ricade sul ventre e sul torace di Dennehy.

Sal chiude gli occhi. È stato il momento più intenso della sua vita. Sa che ormai è fatta, che è fottuto. Ma non gliene importa niente. Prima di morire, ha provato che cosa vuol dire farsi fottere da un maschio, da questo maschio che desidera, che gli piace da impazzire. E c’è sempre la sua pistola che gli garantisce di uscire rapidamente di scena quando incominceranno i fischi degli spettatori. Sal si alza.

Si pulisce il cazzo e poi il culo, da cui gocciola un po’ del seme di Dennehy, con la sciarpa di Sant’Agata, tanto a quello non serve più. Pulisce anche il corpo dello sbirro, che aspetta, in silenzio, disteso a terra. Che cosa pensa, lo sbirro? Che adesso lui lo ammazzerà perché non si sappia in giro? È quello che dovrebbe fare, è la sua unica via di uscita, ma non può farlo, non ci pensa neanche. E non è perché quest’uomo gli piace un casino, ma perché lui non ammazzerebbe mai qualcuno soltanto per pararsi il culo: l’errore è stato suo e tocca a lui pagare, quando lo sbirro gli presenterà il conto.

- Alzati, stronzo.

Sono le prime parole che vengono pronunciate in questa stanza, dal momento in cui Sal ha afferrato il cazzo dello sbirro. Quanto tempo fa? Una vita fa, perché adesso la vita di Sal è cambiata. O, più esattamente, è arrivata alla fine.

Dennehy si alza. Sal prende il coltello, passa dietro di lui e taglia la corda che lega le mani dello sbirro. E intanto si dice che lo sbirro ha un bellissimo culo e che gli farebbe assaggiare volentieri il proprio cazzo. Poi gli toglie la benda, rimanendo alle sue spalle.

Dennehy si volta. Sal cerca di evitare di fissarlo negli occhi, anche se non è facile, sono così vicini. Sibila:

- Puoi andartene, sbirro. Sei libero.

Lo sbirro continua a fissarlo. Mormora:

- Frocio di merda. Dovrei ammazzarti.

Sal prende la pistola dalla fondina e la mette in mano allo sbirro.

- Fallo, stronzo, fallo!

Dennehy getta lontano la pistola, poi sferra un pugno nello stomaco a Sal, con tutte le sue forze. Sal cade in ginocchio, boccheggiando. Lo sbirro prende i suoi abiti, che gli uomini di Sant’Agata avevano gettato in un angolo della stanza. Si riveste in fretta, senza dire una parola, lasciando a terra le mutande tagliate, ormai inservibili. Prima di lasciare la stanza, si volta verso Sal e gli dice:

- Scompari in fretta, Scimmione. Appena trovo un telefono chiamo i miei uomini e torniamo qui. È meglio per te se non ci sei più.

Sal lo guarda uscire. Si rialza, a fatica, ma non è il dolore fisico a rallentare i suoi movimenti. Guarda a terra le mutande di Dennehy. Le raccoglie. Se le mette in tasca. Si riprende la pistola e la infila nella fondina. Guarda ancora un momento la stanza. Poi esce. Ripercorre la strada che ha fatto per entrare e se ne va.

 

DueC

 

Sal è tornato nel suo ufficio. Tiene la pistola sulla scrivania, pronta per l’uso.

Cerca di dare ordine ai suoi pensieri, ma in testa ha una confusione enorme. In mano stringe un paio di mutande tagliate. Ogni tanto le annusa, sente l’odore del sudore e del piscio dello sbirro. E si dice che è pazzo, completamente pazzo. Se arrivano adesso e lui si spara, gli troveranno pure le mutande sporche in tasca. Ma chi se ne fotte, una volta che ha un proiettile nel cervello?

Intanto arrivano le notizie. La versione ufficiale è che qualcuno ha ucciso Sant’Agata e i suoi uomini, così Dennehy ha potuto liberarsi. Si sussurra che sia stato lo Scimmione, che ha eliminato il suo principale rivale, ma Dennehy era bendato e non ha visto nulla.

Quindi Dennehy non l’ha tradito, ma questo non significa niente. Può essersi riservata la freccia avvelenata per il momento in cui gli servirà. Sal è un bersaglio che può colpire quando vuole.

Tre giorni sono passati. La testa di Sal si muove su due binari ben distinti: uno sono gli affari e in quelli Sal non perde un colpo, sta facendo di tutto per allargare il suo impero e la morte di Sant’Agata ovviamente ha semplificato le cose; l’altro è un binario morto o forse circolare, in cui il pensiero ruota intorno a Patrick Dennehy ed ai suoi attributi, dal cazzo, gustato a fondo, ai coglioni - belli, finora non è stato ancora detto, ma sono proprio belli - dal culo, un peccato non averlo assaggiato, alla bocca che a Sal piacerebbe…

Il pensiero viene interrotto da Frank, che bussa alla porta. Sal lo manda a farsi fottere, poi, dopo averlo fatto entrare, gli chiede:

- Che cazzo c’è?

- Capo, c’è un tizio, un certo Patrick. Non ha voluto dire il cognome. Dice che lei lo aspetta. Era pure armato, quello stronzo. Gli abbiamo tolto la pistola.

Sal guarda Frank senza parlare. Sa benissimo chi è quel Patrick tanto pazzo da presentarsi nel suo ufficio con una pistola, convinto che lui lo lascerà entrare armato. È l’unica persona al mondo che può pensare una cosa del genere, l’unica che lo conosce tanto da sapere che lui lo farà davvero entrare armato.

- Rendigli la pistola e fallo passare.

Frank è perplesso, ma non è tanto stupido da contraddire il capo.

Sal guarda Patrick Dennehy entrare nell’ufficio. Lo sbirro lo fissa, con un ghigno, e gli dice:

- Sono venuto ad ammazzarti per quello che mi hai fatto, fottuto Scimmione.

Sal si alza e passa davanti alla scrivania. Ora è di fronte a Dennehy.

- Fallo, sbirro. La pistola ce l’hai.

Dennehy estrae l’arma e si avvicina. La preme contro il ventre di Sal.

Sal pensa che va bene così, è la cosa migliore. L’uomo che ama - e questo Sal può finalmente dirselo, ora che sta per morire - lo ammazza e la faccenda finisce lì. Più facile crepare che vivere con l’odio e il disprezzo di questo fottuto sbirro che è riuscito ad entrargli nella testa e nel cuore.

Si guardano negli occhi, Sal sorride. Prova una strana euforia.

Lo sbirro si avvicina ancora. Gli passa una mano dietro la nuca.

- Stai per crepare, Scimmione.

Sal guarda il viso dello sbirro, così vicino. La sua testa si muove lentamente in avanti, forse è la mano di Dennehy che preme sul suo collo, forse è un movimento spontaneo. Le loro labbra si incontrano, si sfiorano appena, poi si uniscono.

Sal abbraccia Dennehy. Vuole morire così, mentre lo stringe tra le braccia, mentre lo bacia. Perché ora si stanno baciando, appassionatamente. Non sono solo più le loro labbra a unirsi, ma le loro lingue, che si sfiorano, si accarezzano, si inseguono tra le due bocche.

Sal pensa che Dennehy dovrebbe sparargli ora, in questo momento di assoluta perfezione, ora che ha il cazzo duro, la lingua nella bocca dello sbirro e le mani sul suo culo. E mentre lo pensa si rende conto che la pistola non preme più sul suo ventre. E allora lo sbirro è fottuto e Sal pure.

Le mani di Sal stanno facendo scivolare a terra la giacca di Patrick Dennehy - fortuna che l’inverno se ne sta andando, finalmente, c’è un capo in meno da togliere. Poi giocano con la cravatta - non è tanto comodo sciogliere il nodo di una cravatta quando si sta baciando uno - e infine è il turno della camicia. Le mani di Patrick stanno facendo la stessa cosa, in un intrecciarsi che impaccia tutti e due e che per Sal è il gioco più bello a cui abbia mai giocato.

Quando sono entrambi a torso nudo si baciano e si abbracciano di nuovo e l’aderire dei loro corpi quasi fa urlare Sal di piacere. Sente che il cazzo dello sbirro è duro quanto il suo e gli sembra di non essere mai stato così felice. Poi Patrick può anche ammazzarlo, ma Sal sa che non lo farà.

Le sue mani scorrono lungo la schiena di Patrick, si infilano nei pantaloni, sotto le mutande - e Sal sorride al pensiero della faccia che farebbe lo sbirro se gli dicesse che ha le sue mutande tagliate nella tasca della giacca. Sal stringe con forza le chiappe di Patrick, fino a fargli male. Le mani dello sbirro stanno aprendo la fibbia della cintura di Sal e, dopo un caotico movimento di dita, sono tutti e due con i pantaloni e le mutande alle caviglie, un po’ ridicoli, ma nessuno dei due ci bada.

Si staccano un momento e si chinano per liberarsi di quanto ancora hanno addosso. Patrick si rimette in piedi, sorridente, e accarezza la testa di Sal, sussurrandogli:

- Scimmione!

E in effetti non si può negare che visto così, in costume adamitico, con quella pelliccia naturale che gli copre torace e ventre, gambe e braccia, Sal sembra proprio un gorilla.

Sal grugnisce uno “Stronzo!” e non si rialza. Avvicina la bocca al cazzo di Patrick, perché adesso gli è venuta un’idea. Vuole andare fino in fondo, questa volta, vuole sentire il gusto dello sborro di questo fottuto sbirro irlandese. Prima di inghiottire la cappella, accarezza i coglioni con le dita e li strizza un po’, facendo gemere Patrick. Lo sbirro gli tira i capelli, gli carezza la testa, gli infila le dita nelle orecchie, le passa sugli occhi, gliele mette tra i denti - e Sal morde, morde deciso, ed è bello sentire i gemiti di Patrick.

Infine Sal incomincia a lavorare con la lingua. La tira fuori e prende a leccare la cappella, come fosse un cono di gelato. Una mano lavora ancora sui coglioni, con molta decisione e poca delicatezza. L’altra invece è passata dietro, a esplorare il culo di Patrick, a stringere prima una natica, poi l’altra, a pizzicare, per poi proseguire la sua esplorazione lungo il solco, che percorre tre volte, avanti ed indietro, finché la quarta volta si ferma in un punto preciso e Patrick si tende, perché capisce che questa volta, anche se l’inizio ripete il loro incontro nel magazzino, questa volta le parti si scambieranno, quel dito che ora gli stuzzica il buco del culo è solo l’avanguardia, l’esploratore inviato a saggiare il terreno ed a preparare l’assalto finale. E nel gemito di Patrick quando il dito penetra attraverso l’apertura, Sal legge la resa completa dell’avversario.

Intanto alla lingua si sono affiancate le labbra, che avvolgono la cappella in un bacio. Patrick emette un suono inarticolato, che non è più un gemito, è una specie di urlo trattenuto. Sal inghiotte e incomincia a succhiare il cazzo di Patrick, mentre una mano continua a stuzzicare i coglioni, facendo male, questo Sal lo sa, ma a Patrick va bene così, sa anche questo, gli sembra ormai di sapere tutto, sa che Patrick desidera che lui lo prenda, che quel dito, saldamente piantato nel suo culo, ceda il posto al cazzo di Sal, sa che per Patrick è la prima volta, sa che lo sbirro lo vuole come lo vuole lui, sa… forse è solo un delirio, ma come non delirare quando dopo una vita di desiderio inappagato, puoi finalmente stringere tra le braccia un corpo che desideri, sentire il gusto del cazzo dell’uomo che ti piace, possederlo come lui ha posseduto te?

La bocca di Sal lavora, la sua lingua, le sue labbra, i suoi denti, che mordicchiano leggermente, e le sensazioni sono così forti che a tratti Sal vorrebbe fermarsi un attimo, ma non può farlo.

- Scimmione…

È una dichiarazione d’amore, di quell’amore che non si confesseranno mai, Sal lo sa benissimo, perché nessuno dei due è abituato a esprimere i propri sentimenti, forse neppure a confessarli a se stesso.

Poi c’è un nuovo urlo strozzato ed un avvertimento:

- Sto per…

Ma Sal non toglie la bocca. Vuole sentire il gusto dello sborro del suo uomo. Il fiotto gli riempie la bocca e Sal inghiotte. Continua a succhiare, con delicatezza, spremendo ogni goccia di questo nettare che ha infine gustato. La sua bocca lascia il cazzo di Patrick solo quando è questi ad allontanarlo.

Sal si alza. Guarda Patrick, che gli sorride e gli prende la testa tra le mani, lo bacia sulla bocca, spinge la lingua tra i denti, cercando un’ultima traccia del gusto del proprio seme.

Ora sono uno di fronte all’altro.

Sal sorride, poi il sorriso svanisce e dice:

- Voltati e mettiti sulla scrivania a pancia in giù.

Patrick respira a fondo, annuisce, fa per voltarsi, ma poi si ferma, lo bacia ancora ed infine appoggia il torace sulla scrivania, divaricando le gambe.

Sal guarda il culo di Patrick e per un attimo la testa gli gira. Poggia le mani su quel culo, per non crollare a terra. Poi stringe le dita, pizzica la carne. Si inginocchia. Davanti alla sua faccia ha il culo di Patrick. Morde. Con decisione. Patrick geme. Morde ancora e guarda i segni rossi che i suoi denti lasciano nella carne. Poi la sua lingua percorre il solco del culo, indugiando un attimo sull’apertura che tra poco forzerà.

Ripete il movimento e questa volta la lingua preme con forza, poi si ritrae.

Sal si alza. Avvicina il cazzo al buco del culo di Patrick. Sorride. Dice:

- Sto per fotterti, sbirro.

Patrick risponde:

- Scimmione.

È di nuovo una dichiarazione di guerra e d’amore.

Sal inumidisce bene la cappella e poi preme contro l’apertura. Patrick si tende e Sal gli pizzica il culo, poi le sue mani scivolano dal culo alla schiena, fino alla testa. Sal afferra i capelli con forza e mentre Patrick geme e solleva il capo, Sal spinge in avanti il suo sperone, infilzando lo sbirro. Il piacere è tanto violento, che Sal teme di venire sul momento. Per la prima volta nella sua vita Sal sta fottendo un uomo e quest’uomo è Patrick, lo sbirro di cui si è innamorato. Il cazzo si fa strada nel culo di Patrick, lentamente, ed ondate di piacere avvolgono Sal completamente. Non vede più nulla, non si rende conto di ciò che fa, tutta la sua mente è concentrata nel piacere che gli dà questa lama che affonda nella carne, ciò che ha atteso per tutta la vita.

Spinge con lentezza e solo un gemito più forte di Patrick lo scuote e gli dice che deve fermarsi, perché la sofferenza è diventata più forte del piacere che lo sbirro sta provando. Sal smette di spingere, si ritrae, esce, lascia la posizione che ha appena conquistato, sapendo che ritornerà. Dà a Patrick il tempo di recuperare e poi nuovamente lo infilza. Lo sbirro geme, ma questa volta è piacere puro, quello che lo investe e che si trasmette a Sal. Il palo avanza, dilata la carne, la martoria e regala piacere a entrambi.

A lungo Sal scava nelle viscere di Patrick, a lungo spinge in avanti e poi si ritrae, in un movimento che esaspera il desiderio di entrambi. Si sono detti poche parole, ma ora il piacere inebriante schiude le loro labbra e il desiderio diventa un rosario di insulti ed oscenità che sono un grido d’amore. “Ti sto spaccando il culo, lurido sbirro” significa “Ti desidero e ti amo, Patrick” e “Sei un figlio di puttana, Scimmione” vuole dire “Anch’io ti amo e ti desidero, Sal”.

E infine Sal sente che il desiderio che è andato crescendo dentro di lui, riempiendo ogni fibra della sua carne, è ormai troppo grande per essere contenuto. Morde la spalla di Patrick, gli sussurra un tenero “Bastardo rottinculo” e lascia che il piacere esploda, come un’interminabile raffica di mitra, che lo scuote tutto, lo scaglia contro una parete o a terra, facendolo vibrare a ogni colpo, e continua a farlo sobbalzare, anche quando ormai ogni scintilla di vita si è spenta.

Il grido sordo di Patrick gli dice che ha goduto insieme a lui e questa è davvero la cosa più bella che sia mai capitata a Sal. Gli sussurra, con infinita tenerezza, nell’orecchio:

- Frocio.

E poi si abbandona su di lui, senza più forze.

Viene infine il tempo di staccarsi ed è doloroso per entrambi.

- Aspetta, ti pulisco.

Sal prende le mutande di Patrick. Quando Patrick vede che Sal vuole usarle per pulirlo, gli dice:

- Che cazzo fai, Scimmione? Quelle mi servono.

Sal scuote la testa.

- No queste le tengo io, come ricordo. E voglio che abbiano l’odore del tuo sborro. Te ne do un altro paio.

Incomincia a pulire lo sborro che il poliziotto ha sul ventre, con cura, mentre sente su di sé lo sguardo allibito di Dennehy.

Quando ha finito, prende la propria giacca e tira a Patrick le mutande tagliate.

- Puoi metterti queste, sbirro.

Patrick le afferra con la sinistra (è mancino, quindi) e le guarda.

- Cazzo, Scimmione, ma queste…

- Sì, sbirro. Sono le tue mutande. Ogni tanto le annusavo. Sentivo l’odore del tuo sudore e del tuo piscio. Adesso userò queste e sentirò l’odore del tuo sborro.

Patrick lo guarda. Sal abbassa lo sguardo, d’improvviso conscio di essersi esposto come non gli era mai capitato in vita sua, nudo nel corpo e nell’anima. Allora Patrick lo forza a sollevare la testa e lo bacia, senza dire nulla.

Quando infine sono vestiti (Patrick senza mutande), Sal chiede:

- Eri davvero venuto per ammazzarmi, sbirro?

Patrick scrolla le spalle.

- No, volevo… Non so che cosa volevo. Almeno, credevo di non saperlo. Ma volevo quello che è successo, Scimmione. Adesso lo so. Ma bada…

Sal sorride e guarda lo sbirro, un’espressione interrogativa sul volto.

- Non cambia nulla. Ti sto dando la caccia. E ti fotterò, Scimmione.

- Lo hai già fatto, sbirro.

 

Il Dancing girl è stato chiuso. Il quarto locale di Sal chiuso nell’ultimo mese. La guerra tra lo Scimmione e lo sbirro prosegue senza esclusione di colpi. O, per essere più precisi, lo Scimmione incassa i colpi uno dopo l’altro e intanto estende i suoi affari, acquisendo senza fatica ciò che era di dominio di Sant’Agata. Nel libro dei conti, che ovviamente Sal tiene solo nella sua testa, i guadagni superano largamente le perdite.

È passata una settimana da quando Patrick è venuto nell’ufficio di Sal. Adesso è lo Scimmione a presentarsi nell’ufficio dell’ispettore. Sal entra e sorride vedendo l’espressione incazzata di Patrick. Gli piace vedere lo sbirro quando gli girano i coglioni. L’agente che ha fatto entrare Sal esce. Sal aspetta un attimo, poi gira la chiave nella serratura.

- Che cazzo fai, Scimmione, pensi mica…

Patrick si è interrotto, perché Sal ha incominciato a togliersi la giacca e pure la cravatta. Patrick ha il fiato corto.

- Spogliati, sbirro, non ho mica la giornata da perdere. Non posso continuare tutto il tempo ad annusare mutande sporche.

Sal è a torso nudo e quel torace peloso, che insieme alle braccia lunghe gli ha fatto guadagnare il soprannome, esercita un certo effetto su Patrick, perché questi, anche se bofonchia un “Tu sei fuori di testa, Scimmione”, si è alzato e sta togliendosi la giacca, mentre nei suoi pantaloni c’è un rigonfio inequivocabile.

Si spogliano rapidamente, guardandosi, come se avessero fretta tutti e due. Ed in effetti sono entrambi perfettamente pronti per quanto devono fare.

Sal si appoggia alla scrivania e fissa Patrick.

- È ora che tu mi faccia vedere che cosa sai fare con la bocca, sbirro.

Patrick guarda il cazzo di Sal. Fuori misura, da cavallo. Annuisce.

- Spero almeno che tu ti sia lavato, Scimmione.

Fa per inginocchiarsi davanti a lui, ma Sal lo ferma. È venuto per questo, ma non così, così non vuole. Prima ci deve essere altro. Prima deve baciarlo. E allora le loro labbra si incontrano e le lingue riprendono a giocare, mentre le braccia di Sal stringono Patrick tanto forte che paiono volerlo stritolare.

Sal sa benissimo che la loro è una storia impossibile. Un boss frocio non si è mai visto ed uno che scopa con un poliziotto, poi… Ma in questo momento non gliene fotte niente, adesso l’unica cosa che conta è il corpo di Patrick tra le sue braccia, il cazzo di Patrick, teso e caldo come la canna di un mitra che ha appena sparato, contro il suo ventre e la bocca di Patrick che accoglie la sua lingua.

E mentre una vertigine lo prende, Sal si stacca da Patrick e lo obbliga ad inginocchiarsi, gli avvicina la faccia al cazzo, glielo mette in bocca quasi a forza. Poi lascia che sia Patrick a fare quello che vuole, tutto quello che vuole, qualunque cosa va bene. Lascia che la lingua di Patrick scorra sulla cappella, che le labbra l’avvolgano, mentre le mani di Patrick stuzzicano i coglioni. Gli accarezza la testa, le spalle, gli passa le dita dietro le orecchie, gli tira i capelli. Non parlano, Patrick ha la bocca piena, non si parla con la bocca piena. Sal grugnisce, geme, mugola, versi appena udibili che non sono parole, ma che Patrick comprende molto bene.

Sal sta impazzendo di piacere. Qualche volta una donna gli ha fatto un bocchino, ma non è stato niente di speciale. Ma ora che a farlo è Patrick, è la fine del mondo, come farsi fottere da lui o fotterlo. Qualunque cosa con Patrick è la fine del mondo, probabilmente anche beccarsi quattro pallottole in pancia, se a sparare è Patrick.

Il piacere che sale è un geyser che lancia il suo getto bollente alto in cielo, ma lo sbirro inghiotte tutto. Sal chiude gli occhi e reclina la testa all’indietro, esausto ed appagato.

- Ci sai fare, sbirro!

Dennehy ride. Si alza (che peccato! Sal sarebbe rimasto così, con il cazzo in bocca a Dennehy, per il resto dei suoi giorni), lo guarda in faccia e gli dice.

- Adesso ti spacco il culo, Scimmione!

Sal vorrebbe baciare Patrick, vorrebbe urlargli cose che premono dentro e che non sa formulare. Ma risponde solo:

- Accomodati, sbirro.

Poi si volta, appoggia il torace alla scrivania e divarica bene le gambe.

Patrick inumidisce con due dita bagnate l’apertura e poi entra senza tanti complimenti. Sal sussulta e Patrick ha una risata roca, che manda in estasi Sal. Patrick spinge e rapidamente arriva in fondo, ora il suo cazzo è tutto dentro il culo di Sal e i suoi coglioni premono contro quelli dell’italiano.

E poi Patrick incomincia il suo lavoro, ritraendo il cazzo e poi spingendolo ben in fondo al culo di Sal, infinite volte.

Non si dicono nulla, come timorosi di ciò che potrebbero dirsi, di parole che non potrebbero più ritirare. Ma c’è un inseguirsi di suoni inarticolati, di gemiti e grugniti, che accompagnano la lunga cavalcata. E man mano che il desiderio sale, il ritmo diviene più intenso, fino che Sal sente in culo la scarica e Patrick spinge tanto forte che i loro corpi scivolano di lato, oltre il bordo della scrivania. Finiscono sul pavimento e il loro abbraccio si scioglie. Allora si guardano. Patrick scoppia a ridere e dice:

- Riusciremo mai a farlo in un letto, Scimmione?

Sal sorride e lo bacia sulla bocca. Poi il sorriso svanisce.

- Non credo, sbirro. Non è per noi. Non c’è un domani.

Tacciono un momento. Sanno tutti e due che non può esserci un futuro per un poliziotto ed un gangster che si amano. Solo la morte.

Sal si chiede se davvero Patrick non ci ha mai pensato. Se è così, quanto gli importa davvero di lui? Patrick guarda il soffitto, come perso dietro i suoi pensieri. Sal lo bacia e fa per alzarsi, ma Patrick lo trattiene. Lo guarda negli occhi e gli dice:

- Qual è la cosa a cui tieni di più, Sal, quella a cui non vorresti rinunciare per nulla al mondo?

L’averlo chiamato Sal è una mossa scorretta, ma la risposta sarebbe comunque stata la stessa:

- Un fottuto sbirro irlandese.

Patrick respira a fondo. Annuisce.

- Allora non mi resta che ammazzarti.

 

Pochi giorni dopo Sal festeggia al tavolo di uno dei suoi locali clandestini, il più lussuoso, la gemma della corona: il New Times. Sta bevendo una coppa di champagne e si guarda intorno. Il pianista suona, le luci della sala sono state abbassate e quelle del palco accese, perché le ragazze stanno per incominciare il loro numero di ballo. Il locale rigurgita di gente, che beve e chiacchiera animatamente.

Due anni fa questo edificio era una fabbrica: la vasta sala in cui si trovano era uno dei locali di produzione ed in alto su due lati corrono ancora le balconate, utilizzate per la manutenzione dei grandi macchinari.

Mentre le due ballerine entrano in pista, salutate dagli applausi entusiasti, tutte le luci si accendono e si sente un clamore dalla parte dell’ingresso. Gli spettatori si voltano verso la porta e vedono entrare una marea di poliziotti armati. Qualche imprecazione, qualche urletto femminile, qualche risata di chi vuole apparire sicuro di sé, qualcuno che cerca una via di fuga: le solite scene che si ripetono tutte le volte che un locale clandestino viene scoperto. Questa volta però c’è una differenza: lo Scimmione è seduto a uno dei tavoli ed è la prima volta che la polizia becca Sal. Non che questo faccia molta differenza: Sal può comunque farsi passare per un cliente come gli altri e quindi contenere il danno.

Ma il boss sembra non avere nessuna intenzione di farsi prendere. Quando compaiono i poliziotti, Sal scappa attraverso una porticina nascosta. L’ispettore Dennehy però lo ha visto e lo insegue. Non che Sal possa fare molta strada: la polizia ha bloccato le strade intorno alla fabbrica, che dal quarto lato si affaccia sul lago. Nessuna via di fuga.

Poco dopo lo Scimmione compare al piano superiore, su una delle balconate che si affacciano sulla sala. Dennehy lo tallona. Allora lo Scimmione si volta, estrae la pistola e gli spara tre colpi, ma Dennehy si getta a terra, mentre la gente nella sala grida. Il poliziotto spara. Lo Scimmione si porta le mani al cuore, barcolla e cade contro la finestra socchiusa, spalancandola. Sal vola fuori e precipita nelle acque scure del lago. La gente urla, poi nella sala scende un silenzio sbigottito, mentre Dennehy si avvicina alla finestra, guarda sotto e scuote la testa.

Salvatore Domenici, il boss, è morto. Nessuno si aspettava una fine così improvvisa di quello che ormai era il padrone assoluto dei locali clandestini di Chicago.

Il corpo di Domenici non viene ritrovato, ma i giornali riportano le infinite testimonianze di chi ha assistito alla sparatoria, ha visto Domenici colpito, il sangue sulla camicia, il volo oltre il parapetto. Quando, mesi dopo, un cadavere decomposto viene trovato nel lago, tutti sono convinti che sia quello di Domenici, anche se non è possibile dimostrarlo, anche se a Chicago i nuovi gangster si ammazzano a più non posso.

 

Patrick Dennehy lascia l’incarico due settimane dopo la morte di Domenici. La versione ufficiale è che ha svolto il suo compito e su questo non si può che essere d’accordo: i vecchi boss sono stati imprigionati o eliminati, uno dopo l’altro. Sui nuovi gangster che stanno lottando per il controllo della città, indagheranno altri.

Ma la gente dice che lo sbirro sta scappando. Dopo che ha ammazzato Salvatore Domenici, la vita di Dennehy non vale più nulla, a Chicago è un morto che cammina. Lo sanno tutti che lo Scimmione comunque gli aveva salvato la vita, facendo secco Sant’Agata, e questo stronzo lo ha ammazzato, un colpo al cuore. Chi vuole raccogliere l’eredità dello Scimmione (quella illegale, perché quella legale è finita, per testamento, a padre O’ Flaherty, lasciando i parenti a bocca asciutta e tutti a bocca aperta), per prima cosa dovrà vendicarlo.

E infatti Dennehy dopo aver dato le dimissioni scompare nel nulla. Si sarà rintanato da qualche parte, magari in California, ma nessuno sa dove. Per scoprirlo forse bisognerebbe rivolgersi a un’agenzia investigativa. Ma dev’essere gestita da gente in gamba, come quella che ha aperto da poco a Vancouver, in Canada. Una coppia improbabile, un irlandese e un italiano, ma bravissimi nelle indagini. Persino la polizia collabora con quei due. L’irlandese deve essere stato un poliziotto, si intuisce subito. L’italiano no, ma sa maneggiare bene le armi. I due vivono insieme, nell’appartamento al piano di sopra dell’agenzia. Qualcuno dice che scopano pure insieme, nel grande letto matrimoniale che c’è in una delle due camere.

Ce n’è di gente pronta a spettegolare in questo mondo!

 

2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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