Il piacere di uccidere - II

 

007N

 

Partita mortale

 

Herman, agente segreto 019 dei servizi segreti di Sua Maestà, sta nuovamente esaminando il dossier sul suo prossimo bersaglio, Henry Sanderson. Figlio di un ufficiale inglese e di una donna araba, sui cinquanta, è vissuto in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, a Beirut, al Cairo, ad Istanbul, a Roma ed in altre città, ma da quando l’aria che tira in Occidente si è fatta alquanto pesante per lui, si è stabilito a Beirut, da cui raggiunge spesso Bangkok ed altre capitali asiatiche ed americane. In Europa e negli USA non mette più piede da almeno un anno.

Tre mesi fa Herman ha ucciso Michail Korzuchin, l’uomo d’affari (chiamiamolo così) russo che stava per vendere del materiale atomico a un’organizzazione terroristica islamica. Gli uomini di Korzuchin non hanno molte possibilità di piazzare direttamente il plutonio: non hanno i contatti giusti, solo il loro capo aveva gli agganci necessari per condurre una trattativa a questo livello. Hanno incaricato coloro che custodiscono il materiale, da qualche parte in Libano, di venderlo. E l’acquirente ideale è Sanderson, che ha le conoscenze per smerciarlo dove serve.

Della trattativa i servizi segreti sanno poco, ma non si concluderà certo in fretta.

Herman ha lo stesso compito che ha avuto tre mesi fa: uccidere per impedire la vendita. Poi bisognerà mettere le mani sul plutonio, ma questo lo farà qualcun altro, se potranno procurarsi le informazioni necessarie: il suo compito è solo quello di fare secco Sanderson. Facile a dirsi, meno a farsi, visto che quel figlio di puttana vive ben protetto in una casa-bunker e ne esce di rado.

Herman non partirà subito, ora è troppo presto. Ma entro qualche settimana dovrà raggiungere Beirut.

 

*

 

Di norma Sanderson non scopa mai con le sue guardie del corpo o, per essere più precisi, non si fa mai inculare da loro. Qualche volta fotte una delle guardie giovani, ma quello non conta: se il tizio di loro fosse tanto stupido da raccontarlo, non sarebbe il capo a farci una figura di merda, ma il chiacchierone che si vanta di esserselo preso in culo. Farsi fottere è un’altra faccenda. Sanderson è uno degli uomini più potenti nella criminalità internazionale e non gli va proprio l’idea che uno dei suoi possa vantarsi di averglielo messo in culo.

Perciò questa mattina, quando scende per vedere la nuova guardia del corpo, Sanderson non pensa certo a scopare, ha tutt’altri pensieri in testa. Il tizio l’hanno preso in sostituzione di quello ammazzato nell’attentato a Damasco, quando Sanderson è andato molto vicino a rimetterci le penne. Non è stata la prima volta, non sarà l’ultima: ci sono molti concorrenti sul mercato e quando si parla dei traffici di cui si occupa Sanderson, la libera concorrenza significa ottime possibilità di finire con molto piombo in corpo. E non sono solo i rivali, naturalmente: i servizi segreti di almeno cinque o sei stati sarebbero ben felici di far fuori Sanderson, soprattutto ora che, dopo la morte di Korzuchin, sta mettendo le mani su quel traffico di armi nucleari. Questa è la faccenda che preme di più a Sanderson, a questo pensa mentre scende a incontrare la nuova guardia.

Il tizio è stato scelto dagli uomini di fiducia di Sanderson: naturalmente il capo non si occupa personalmente della selezione delle guardie, ci mancherebbe altro! È un compito delicato e gli incaricati fanno sempre indagini molto approfondite. Sanderson si limita a fissare i criteri: li preferisce europei e preferibilmente di lingua inglese. E le loro vite devono essere passate al setaccio. C’è sempre il rischio di assumere un agente, inviato per spiarlo o per ammazzarlo: sarebbe il colmo!

Sanderson scende pensando agli affari, a tutto ciò che bolle in pentola e promette di trasformarsi in un ottimo arrosto, ma quando si trova di fronte la nuova guardia, c’è un rapido cambiamento di direzione nella sua testa. Perché il tizio è esattamente il tipo di maschio da cui gli piace un casino farsi spaccare il culo. E a proposito di casini e di farsi spaccare il culo, a mandare i pensieri di Sanderson in quella direzione contribuisce proprio il fatto che è parecchio tempo che nessuno soddisfa il desiderio del capo. Comandare sarà anche meglio di fottere, come dicono e come Sanderson ha sempre pensato, ma quando uno ha cinquant’anni e la voglia non gli manca, quando è abituato a prendersi tutto ciò che gli piace, è una bella rottura di coglioni dover rimanere a stecchetto solo perché non vuoi che i tuoi uomini possano sparlare. Non che Sanderson rimanga davvero a digiuno, non gli mancano né le donne, né gli uomini, ma il suo culo vorrebbe la sua parte, è alquanto invidioso dell’attività regolare del cazzo: si lamenta, dice che lo trattano come il figlio della serva e che i suoi unici incontri sono quelli con la carta igienica.

Sanderson guarda il marcantonio che ha davanti e si dice che il suo culo ha proprio ragione, bisogna dargli qualche soddisfazione.

Il tizio è più vecchio delle altre guardie: ha di certo superato i quaranta. E questo è il primo elemento non previsto. Ha un’aria decisa e un corpo vigoroso, la barba grigia (l’unico dettaglio fuori posto: Sanderson preferisce gli uomini senza barba) ed i capelli corti dello stesso colore. È un maschio dalla punta dei capelli alle dita dei piedi. E Sanderson sente che il cazzo gli si tende.

- Ecco la nuova guardia, capo.

Sanderson l’aveva capito, senza bisogno che Gruffy glielo dicesse. Chi altri poteva essere? Babbo Natale? Siamo a novembre, non è ancora Natale e comunque a Beirut Babbo Natale non passa spesso.

Sanderson squadra ancora il tizio. È un tale piacere guardarlo! Si risistema un po’ la giacca, mentre tira indietro il culo, per nascondere l’erezione, che diventa sempre più ingombrante.

Con un cenno, Sanderson liquida i suoi uomini. È la prassi: l’ultimo controllo dei nuovi assunti spetta al capo, che lo fa da solo, senza testimoni. Di solito si limita a una chiacchierata, per saggiare un po’ l’uomo e farsi una prima idea di lui. Due volte il colloquio si è concluso con il licenziamento del candidato (i selezionatori non avevano fatto un buon lavoro) e una volta con due pallottole nel cuore (il lavoro dei selezionatori era stato decisamente scadente).

- Mi sembri robusto. Ti chiameremo Steel. Ti va bene?

Tutti gli uomini del capo ricevono un soprannome da lui: non è il caso di usare i nomi veri quando si fa parte di un’organizzazione che ha venti nemici per ogni membro.

- Come vuole, signore.

Steel è vestito in modo sobrio, ma elegante: indossa una giacca blu su una camicia di un azzurro tenue ed un paio di pantaloni grigi. L’abito sembra sottolineare la forza dell’uomo.

- Ti avranno già detto che non è un lavoro tranquillo. Quello che ti ha preceduto è saltato in aria su una mina destinata a me.

- Mi hanno informato, signore. Ma il pericolo non mi spaventa, altrimenti avrei scelto un altro lavoro. Se devo dire la verità, il pericolo mi piace.

Sanderson sorride, soddisfatto.

- Bene, di pericolo ne avrai finché ne vuoi. Vuoi fumare?

- Fumo solo sigari, grazie.

Anche Sanderson fuma sigari e questo gli piace. Ne prende due, li taglia e poi ne porge uno a Steel. Si mette l’altro in bocca e l’accende, poi passa l’accendino a Steel. Si gusta il sigaro e guarda lo stallone che ha di fronte. È bello vederlo accendersi il sigaro e tirare una boccata per assaporarne l’aroma. I sigari del capo sono di prima classe e la smorfia di apprezzamento di Steel dimostra che è un esperto. Un altro punto a favore del candidato.

- Questo lavoro è pericoloso anche per un altro motivo, Steel. Non c’è spazio per incertezze. Qui si ubbidisce o si crepa. E non parlo di tradire o disobbedire. Parlo proprio solo di esitare. Quello che dico di fare va fatto subito.

- Lei è il capo. Lei ordina ed io obbedisco.

- Qualunque cosa io ordini?

- Qualunque cosa, signore.

Sanderson si dice che quell’uomo davvero eseguirà i suoi ordini senza esitare. Non sembra il tipo da avere dubbi o incertezze. Bene, molto bene.

Sanderson sa già tutto di Steel, gli hanno dato la solita scheda con le informazioni. Il colloquio potrebbe anche finire lì, ma il capo non ha nessuna voglia di lasciar andare questo bel maschio e di rimanere da solo con il cazzo duro come una roccia. Ed allora un’idea gli attraversa la testa. Dice:

- Vediamo di che materiale sei fatto. Spogliati.

È un buon modo per mettere alla prova la sua disponibilità a ubbidire. E per vedere a torso nudo questo magnifico esemplare di maschio.

Steel non ha un attimo di esitazione. Si mette il sigaro in bocca e si toglie la giacca, la camicia, le scarpe, i pantaloni ed i boxer. Sanderson pensava che sarebbe rimasto con i boxer, ma Steel ha obbedito fino in fondo.

Steel fa la sua figura nudo, e come se fa la sua figura! Basterebbe chiedere al cazzo del capo, da cui sta già colando un po’ di liquido. Steel ha un corpo da atleta.

Steel gira su se stesso, in modo da mostrarsi interamente al capo. Mentre lo fa riprende a fumare il sigaro, con un’assoluta naturalezza.

Quando si gira nuovamente verso il capo, questi gli guarda il cazzo. È lungo e voluminoso e, pur essendo a riposo, non è flaccido. Sanderson vorrebbe sentirne la consistenza, vorrebbe prenderlo tra le mani, in bocca, in culo. Ha la gola secca: gli sembra di non avere mai visto un pezzo di carne così. E i coglioni sono magnifici, grossi e ricoperti da una leggera peluria scura. Sanderson vorrebbe accarezzarli.

Fa fatica a parlare.

- Puoi rivestirti, Steel.  

Steel esegue, con la stessa naturalezza con cui si è spogliato. È un peccato veder sparire quel culo formidabile e quel cazzo da toro dentro i boxer.

- Aspetta.

Steel si ferma. Non c’è nessuna espressione particolare sul suo viso, né dubbio, né ammiccamento. Attende tranquillamente, come il capo gli ha detto di fare.

C’è invece una tempesta nel cervello di Sanderson. Si dice che sta per fare una cazzata. Poi pensa che può sempre ammazzarlo dopo aver scopato, se la reazione di Steel non gli garba. È più saggio rimandare. Sarebbe più saggio. Sarebbe…

- Spogliati di nuovo, Steel.

Ci sono solo i boxer e i pantaloni, che non sono neppure stati chiusi. Steel esegue in un attimo.

- Adesso spogliami, Steel.

Steel si avvicina e incomincia a spogliare Sanderson. Gli toglie la giacca e la cravatta. Poi chiede:

- Che faccio della pistola?

- Rimettila al suo posto, dopo che mi hai tolto la camicia. Nel caso dovessi spararti.

- Va bene, signore.

Nessuna esitazione: Steel prende la pistola e toglie la camicia. Poi gli rimette la fondina alla spalla. Si china e gli sfila le scarpe e le calze e infine i pantaloni ed i boxer, da cui emerge un cazzo teso come una lama di coltello.

- Rimani in ginocchio.

Sanderson si ripete che sta facendo una cazzata, ma la sensazione di quelle mani lo stordisce. E poi, che senso ha essere il capo se uno deve rinunciare a ciò che desidera di più?

Prende la pistola e la punta in fronte a Steel.

- Che ne diresti se ti sparassi?

Per la prima volta Steel sorride. Un sorriso appena accennato.

- Ho fatto qualche cosa che non dovevo fare?

Sanderson scuote la testa.

- No, stai facendo tutto benissimo. Hai un preservativo?

- Certo, signore.

- Allora prendilo e vieni qui.

Mentre Steel si alza e sfila dalla tasca interna della giacca il preservativo, Sanderson ha un attimo di esitazione, poi si mette in ginocchio. Mai piegarsi davanti ad un uomo e soprattutto davanti ad un dipendente, è un modo di mettersi nelle sue mani, di dargli un potere che non deve avere. Ma ormai non gli importa più di niente. Adesso vuole solo una cosa: quel cazzo splendido. Vuole accoglierlo in bocca, accarezzarlo con la lingua, sentirlo crescere di volume e durezza.

Steel si avvicina. Non sorride, non c’è nessuna espressione particolare sulla sua faccia, ma il suo cazzo non è più a riposo. Adesso è teso in avanti ed è cresciuto di volume. Così sarebbe già di tutto rispetto, ma è evidente che non ha ancora raggiunto le sue dimensioni ottimali. “Di che slogarsi la mandibola”, pensa il capo.

La lingua si protende in avanti e lambisce la cappella, accarezzando lievemente. Poi la bocca si apre del tutto per accogliere quel visitatore ingombrante e il capo assesta un bel morso. Niente di particolare, l’arnese serve intero, Sanderson non ha nessuna intenzione di tranciare la cappella. Ma un morso è quello che ci vuole. Poi la lingua riprende a lavorare e quando si stanca sono le labbra a darle il cambio. Il capo succhia e lecca, lecca e succhia e nella sua bocca la massa diventa sempre più grande e rigida. Che meraviglia! Questo sì che è un cazzo, dice la sua bocca. E le sue mani, per valutare completamente l’offerta (una guardia del corpo va controllata in ogni dettaglio), afferrano i coglioni. Cazzo! Sono una meraviglia! La mano di Sanderson accarezza la sacca, stringe un po’ per sentire la consistenza di quelle due decorazioni voluminose. Steel non sarà Babbo Natale, ma i suoi coglioni fanno concorrenza a certe palle di Natale, come dimensioni; per quanto riguarda la robustezza, deve servire un martello pneumatico per romperle. Quello che si romperà presto, di sicuro, sarà il culo di Sanderson, lui lo sa benissimo, il palo che sta succhiando non lascia dubbi in proposito. Ma in questo momento il capo non desidera altro, non riuscirebbe a smettere nemmeno se ci andasse di mezzo l’affare del plutonio, forse il più grosso della sua vita, di certo il più rischioso.

Il capo continua un bel pezzo ad assaporare ogni piega della pelle del cazzo e dei coglioni di Steel. La sua lingua percorre tutta l’area, l’esplora con cura, poi la bocca accoglie uno dei coglioni, lo lascia e passa all’altro, ritorna alla cappella, scorre lungo l’asta. Cazzo, che cazzo!

Sanderson è in estasi, ma adesso basta con i giochetti. Non ce la fa più. Il suo uccello è in tiro e gli sembra che stia per scoppiare. Di fronte alla dotazione di Steel fa una magra figura, non perché sia piccolo, ma perché Steel gioca in modo sleale, lui batte gli altri senza neanche bisogno di averlo tutto duro.

Sanderson rimane in ginocchio e dice:

- Bene, adesso me lo metti in culo.

- Certo, signore.

Sanderson si alza e si mette davanti alla scrivania. Esita un attimo, un ultimo guizzo di resistenza. Pensa che forse farebbe meglio a lasciar perdere, a sparargli, se proprio vuole essere sicuro che non racconti nulla. Ma può sempre sparargli dopo che avrà svolto il suo compito e il suo culo in questo momento non è più disposto ad accettare non diciamo una rinuncia, ma neppure un rinvio: non lo si può illudere e poi cambiare idea!

Sanderson appoggia il torace sulla scrivania, divaricando bene le gambe.

Si volta a guardare Steel. È davvero uno spettacolo.

 

Steel e capo2d copia

 

Steel si sta infilando il guanto sul cazzo, che svetta verticale, maestoso e gigantesco. Sanderson si dice che avrà male al culo per una settimana.

- Entra piano, ma poi dacci dentro, Steel.

- Certo, signore.

Steel si avvicina e una mano scivola tra le gambe, fino a raggiungere i coglioni del capo. È una carezza, che diventa un po’ più ruvida. Steel stringe un po’, lascia che le dita giochino con le palle, tendano la pelle dello scroto, solletichino la base del cazzo, avvolgano i coglioni.

- Va bene così, signore?

Certo che va bene, cazzo! Non potrebbe andare meglio, pensa Sanderson. Ma si rimangia subito quello che ha pensato, perché una mano di Steel sta scorrendo lungo il solco tra le natiche e, arrivata al buco, lo stuzzica un po’. Si, può andare meglio, soprattutto quando Steel si bagna la punta delle dita e ne introduce uno, tracciando un cerchio sull’anello di carne, prima in superficie, poi più in profondità. Il gioco viene ripetuto con due dita inumidite e Sanderson geme. Non dovrebbe farlo, ma in questo momento è oltre, non è in grado di controllarsi. Sì, meglio che lo ammazzi subito dopo aver scopato, questo figlio di puttana, ma prima vuole che gli sfondi il culo.

Steel non si fa pregare. Sanderson sente la cappella premere contro il buco del suo culo. Gli sembra che sia un palo. Steel entra piano, come gli ha detto il capo. Fa male, cazzo, se fa male. Male da far fatica a reggere. Ma cazzo, è grandioso. Il suo culo non vuole altro. Visto che gli dà questa soddisfazione, dopo averlo tenuto a stecchetto per tanto tempo, è giusto che gliela dia fino in fondo, no? E Steel sta entrando, fino in fondo, tanto a fondo quanto nessuno è mai andato. Cazzo, che male! E cazzo, che piacere! Sarà dura non zoppicare quando uscirà dalla stanza. Ma adesso è una meraviglia, una vera meraviglia.

Steel è arrivato. Si ferma un attimo:

- Procedo, signore?

Dal male al culo che sente, Sanderson vorrebbe dirgli di no, ma non può fare questo al suo culo, non dopo avergli fatto gustare un cazzo di queste dimensioni e di questa potenza.

- Dacci dentro, Steel.

E Steel ci dà dentro, cazzo, se ci dentro. Ci dà tanto dentro che Sanderson non riesce a trattenere i gemiti. La nuova guardia spinge con decisione - al capo sembra che quell’uccello gli arrivi fino allo stomaco - poi si ritrae, fino a che solo la punta è dentro. Avanza di nuovo, implacabile, facendo strage, e poi si ritira, lasciando morti e feriti sul terreno. Ma è solo una finta, avanza ancora, senza pietà, nessuno può sfuggirgli, e quando è arrivato al fondo torna indietro per lanciarsi un’altra volta in avanti. Il movimento ha un ritmo costante e Sanderson si accorge di aver incominciato a gemere seguendo quel ritmo. Non riesce a frenare i gemiti, cerca solo di mantenere basso il tono di voce, per evitare che i suoi uomini nel corridoio lo sentano. Poi questo figlio di puttana lo ammazza, perché non si può girare con un cazzo così, non è possibile, con uno che ti sfonda il culo in questo modo, finisce che pensi solo a quel cazzo, che aspetti solo il momento in cui te lo prendi in bocca e in culo. Poi lo ammazza, ma adesso, cazzo, che bello adesso!

La mano di Steel gli sta accarezzando il cazzo e Sanderson geme fuori tempo. Steel prosegue, sembra non volere fermarsi mai. Il capo non ce la fa più, il piacere e il dolore sono troppo intensi. Mormora, quasi con sofferenza:

- Concludi.

E Steel aumenta il ritmo, mentre la sua mano lavora, esperta e sicura, la cappella del capo, gli accarezza i coglioni, scorre lungo l’asta. A Sanderson pare di esplodere, come se questa volta una bomba gli scoppiasse davvero sotto il culo, no, dentro il culo. Il piacere che sgorga dal suo cazzo e quello che perfora il suo culo gli dilaniano il corpo. Sanderson quasi grida e si affloscia sulla scrivania. Poco dopo anche Steel si ferma e quel cazzo magnifico si riduce un po’ di volume. È ancora grande, troppo grande e Sanderson fa fatica a tollerarlo, ora che il piacere lo ha riempito.

- Esci.

Steel esegue. Sanderson si alza, con un certo sforzo. Si volta. Steel è in piedi davanti a lui, il cazzo quasi orizzontale, ancora gonfio, sempre splendido.

- Rimani così.

Steel obbedisce. Sanderson lo guarda in faccia. È rilassato, tranquillo. Nessuna tensione, ma neanche nessuna iattanza nello sguardo della sua guardia.

- Togliti il profilattico e gettalo nel cestino, poi rimettiti davanti a me.

Steel esegue.

Sanderson si riveste. Steel rimane nudo davanti a lui, il cazzo magnifico sempre un po’ turgido. È davvero una meraviglia.

È il caso di ammazzarlo? No, Steel non racconterà in giro. Non è il tipo.

- Adesso rivestiti.

- Va bene, signore.

Steel esegue e rapidamente il più bello spettacolo del mondo scompare sotto un paio di boxer e di pantaloni. Quello che rimane, cioè Steel stesso vestito di tutto punto, è comunque una gran bella vista.

- Ora raggiungi gli altri. Gruffy ti dirà che cosa devi fare.

- Subito, signore.

Il tono di Steel non è cambiato. Quello che è successo non ha modificato nulla. È davvero così? Se lo è, allora i selezionatori hanno fatto un lavoro splendido, questa volta. Si meriterebbero un premio.

- Un’altra cosa, Steel?

- Sì, signore?

- Tagliati la barba.

- Va bene, signore.

Più tardi Sanderson parla con Gruffy e con Donald. Prima di congedarli, dice a Donald:

- Se Steel esce, pedinalo. Voglio sapere dove va, chi incontra.

Non sa perché ha detto questo. Non è che non si fidi di Steel, non ha nessun motivo per non fidarsi. Ma vuole sapere che cosa fa quest’uomo che gli piace un casino. Si dice che se uno ti spacca il culo, è meglio sapere che tipo è. Ma forse vuole solo sapere se c’è qualche buon motivo per sparargli,

 

Passano tre giorni, in cui Sanderson si sforza di ignorare Steel. Lo tratta come gli altri, non rimane mai solo con lui. Osserva i suoi uomini con attenzione, li conosce abbastanza per capire se sospettano qualche cosa, se lo vedono in modo diverso, ma nulla è cambiato: Steel non ha aperto bocca.

Steel si comporta con grande naturalezza, come se tra lui e il capo non fosse mai successo niente. Rispetto, non servilismo. Quello che piace a Sanderson. E senza barba è ancora più bello.

Il terzo giorno Steel esce dopo aver finito il suo turno.

Donald lo pedina e la sera riferisce al capo: niente di niente. Passeggiata lungo la Corniche, come un qualunque turista (o i locali), bar, sigaro. Nessuna telefonata. Nessun contatto. Nessun controllo per vedere se qualcuno lo seguiva.

 

Il giorno dopo Sanderson è seduto alla sua scrivania. Dovrebbe pensare all’affare del plutonio, tra pochi giorni avrà il terzo contatto con gli uomini dell’organizzazione, non manca più molto alla conclusione. Ma nella testa c’è un’unica cosa: Steel. E allora Sanderson si dice che è meglio togliersi la voglia e poi tornare al lavoro.

Si rivolge a Donald:

- Chiamami Steel.

Steel arriva subito. Bussa ed entra, chiudendo dietro di sé la porta.

- Mi ha fatto chiamare, signore?

Sanderson lo guarda senza rispondere. Poi annuisce.

- Sì, Steel, ho bisogno di te.

- Mi dica che cosa devo fare, signore.

Sanderson tira fuori dal cassetto un preservativo.

- Servono altre spiegazioni?

- Direi di no, signore.

Sanderson sorride e annuisce.

Steel si spoglia e, anche se l’ha già visto nudo, Sanderson lo fissa e si rende conto che ha il fiato corto. Che cazzo gli sta capitando? Lo sa benissimo, che cosa gli sta capitando. Lo sa il suo cazzo che si è messo sull’attenti e che smania per uscire e andare a raggiungere quello splendido fratello maggiore. Quest’uomo gli piace un casino.

Steel è nudo davanti a lui e Sanderson nota con piacere che il cazzo non è più a riposo, ma si sta tendendo.

Sanderson incomincia a spogliarsi, mentre Steel lo guarda, sorridendo. È bello spogliarsi sotto lo sguardo di un bel maschio in calore. È bello vedergli il cazzo che cresce di volume e si irrigidisce, fino a mettersi in verticale, pronto per l’uso. E intanto Sanderson si toglie gli ultimi indumenti, senza distogliere gli occhi da quel corpo possente.

- Voltati, Steel.

Steel esegue, senza esitare. Sanderson gli guarda i muscoli della schiena, la peluria appena accennata, più densa sul culo. Gli guarda il solco tra le natiche. Sanderson fa un passo avanti e si inginocchia. Questa è l’ultima follia, questo non dovrebbe mai farlo, è pericoloso. Ma quel culo è troppo bello e Sanderson ha l’acquolina in bocca e una goccia sull’uccello (anche lui ha l’acquolina). Afferra con le mani le natiche di Steel, stringendo forte, e la sua lingua scorre sul solco. Scorre una, due, dieci volte. Indugia sul buco, assapora il gusto e l’odore. Le sue mani stringono con forza quelle natiche d’acciaio e la lingua prosegue.

Il cazzo di Sanderson è una lama d’acciaio. Potrebbe infilzare la sua guardia, rendergli il favore che gli ha fatto qualche giorno fa, ma non è quello che desidera. E allora passa davanti a Steel e prende in bocca l’arma della guardia, pronta a sparare le sue cartucce. Lavora ancora con le mani, la lingua e la bocca, a lungo, finché non riesce più a tenere a freno il desiderio. Allora si mette a quattro zampe, come un animale, senza dire nulla. Controlla solo che Steel si infili il preservativo.

Il momento in cui Steel entra, per quanto grandioso, è sempre doloroso: colpa di quel cazzo, che è davvero superlativo. Quando l’apertura si è adeguata all’ospite, Sanderson dice:

- Adesso esci e rientra deciso.

Steel esegue e il capo non riesce a trattenere un gemito.

- Ancora!

Fa male, un male fottuto, ma è splendido, è quanto di più bello si possa immaginare. Steel ripete, questa volta senza farselo dire. La sua guardia ha la giusta quantità di spirito di iniziativa.

E poi la cavalcata incomincia. Le spinte di Steel sono tanto vigorose che Sanderson fa fatica a reggere la posizione che si è scelta. Steel lavora a lungo, molto a lungo, e la presenza di quell’arma terrificante gli incendia il culo. Cazzo! Che meraviglia! Uno così vale tant’oro quanto pesa. Steel non rallenta il ritmo. Stringe il culo di Sanderson e lo trapassa con il suo spiedo.

- Ora! 

La mano di Steel afferra il cazzo del capo e lo guida nell’ultimo tratto del percorso, mentre le spinte diventano più intense. Finiscono entrambi a terra, in un parossismo di piacere.

Quando si sono rivestiti e Steel è uscito, Sanderson ritorna alla scrivania. Ora può concentrarsi sugli affari. Sì, farsi spaccare il culo da Steel ogni tre-quattro giorni è perfetto. Spera che Steel non salti in aria come il suo predecessore, sarebbe davvero un peccato perdere un uomo così.

 

Steel non salta in aria e le sue prestazioni sono sempre di alto livello. I giorni passano e tutto procede per il meglio. L’affare con Omega7 (il nome in codice del mediatore per il plutonio) sta progredendo senza intoppi, la conclusione è ormai prossima. Il cazzo di Steel lavora senza cedimenti - e quando mai? Quello deve essere in grado di scopare un intero battaglione fermandosi solo quando deve pisciare. E a proposito di pisciare, perché non provare con un po’ di pioggia dorata? Un’altra follia, ma Steel lo farebbe, senza problemi, di questo Sanderson è sicuro. E quanto ad andarlo a raccontare, Sanderson sa che non lo farà. E comunque, se mai gli passasse per la testa di farlo, Steel ha già argomenti più che sufficienti per sputtanare il suo capo.

La sera Sanderson fa chiamare Steel. Hanno scopato solo ieri, ma i pensieri del pomeriggio hanno avuto il solito effetto sotto i pantaloni, effetto quanto mai visibile, perché provoca una sporgenza.

- Devi pisciare, Steel?

- No, signore. 

- Allora bevi fino a che non hai la vescica che ti scoppia. Ti aspetto su in camera mia tra un’ora.

- Va bene, signore.

Pensare agli affari nell’ora seguente è alquanto difficile, ma rimanere senza far niente non è possibile, perché significherebbe avere in testa Steel ogni secondo.

Il capo sale un momento prima. Aspetta a spogliarsi: vuole che sia Steel a farlo. Steel arriva puntualissimo. Incomincia a spogliarlo ed è bello sentire quelle mani ruvide e forti sfiorargli la pelle. È bello rimanere nudi di fronte ad un maschio vigoroso.

Sanderson passa dalla camera al bagno. La doccia è il luogo perfetto: la cabina, in muratura, con solo una parete di vetro, è molto ampia, ci si può stare distesi.

Sanderson si stende sul piatto della doccia. Guida il piede di Steel verso il suo cazzo. Steel preme con forza, con la scarpa, poi con la punta gioca con i suoi coglioni. Usa un piede, poi l’altro, premendo il tacco della scarpa sulle palle, sul cazzo, sul ventre. Sanderson sa che sta per venire e non vuole. Allora si mette in ginocchio e abbassa la lampo dei pantaloni di Steel. Ne tira fuori l’arma, non più a riposo, ma nemmeno tesa. Libera dai boxer anche i coglioni, troppo belli per lasciarli nascosti.

Avvolge la cappella con la bocca e dice:

- Ora!

Steel incomincia a pisciare. Il capo inghiotte finché gli riesce, poi lascia che il piscio gli scorra sul torace. Abbassa la testa per riceverlo anche lì. Vorrebbe rimanere per sempre così.

 

*

 

Mentre Steel svuota la vescica in bocca al capo, Herman, agente segreto 019, sta atterrando a Beirut, con l’ultimo volo della notte. È giunto il momento di eliminare Sanderson. Non sarà un’impresa facile, ma quel traffico di materiale atomico va bloccato.

Herman arriva in albergo a mezzanotte passata. Si fa una bella doccia e si stende.

Ripensa a Rod, che ha conosciuto quando è partito per andare negli USA a uccidere Korzuchin. Rod è il suo uomo da poco più di tre mesi. Pensare a Rod è come prendere una pastiglia di Viagra (di cui né Herman, né Rod hanno assolutamente bisogno). E quindi, non essendo Rod a portata di mano, Herman deve darsi da fare. Di uscire per Beirut e mettersi in caccia, Herman non ha nessuna voglia, quello lo farà domani. Adesso c’è la sua mano, che ha una buona pratica e sa benissimo come suonare il flauto di Herman, ricavandone le giuste note.

 

*

 

Due giorni dopo Steel esce di nuovo, la sera, e Donald lo segue. È la quarta volta che lo fa. Non sa bene perché il capo vuole che lo pedini. Sanderson sembra avere grande fiducia in Steel, si rivolge sempre a lui. Questo a Donald dà un po’ fastidio, perché il tizio è arrivato da poche settimane, ma non sono affari suoi, lo sa benissimo, per cui si guarda bene dal comunicare a chicchessia i suoi pensieri.

In tutti i pedinamenti non è mai successo nulla di nulla: passeggiate, pausa al bar, sigaro. Questa volta però le cose si svolgono in un modo diverso.

Steel raggiunge un quartiere in cui non è mai stato. Donald lavora a Beirut da quasi un anno: è uno degli uomini di Sanderson che rimangono fissi in Libano, anche quando il loro capo è altrove. In un posto come Beirut è bene avere gente che conosce la città e sa muoversi con sicurezza.

Steel entra in un locale. Donald ne conosce il nome, ne ha sentito parlare, ma gli ci vuole un momento per mettere a fuoco. Ma certo, è uno di quei locali per finocchi. Possibile che uno come Steel sia finocchio? Comunque il problema non è questo. Che cosa può fare Donald? Rimanere in piedi fuori, sul marciapiede, non è pensabile: troppo esposto, anche se è buio; sicuramente qualcuno lo noterebbe. Non c’è un bar in cui sedersi e guardare dalla vetrina quando esce Steel. Donald si guarda intorno. Deve decidere in fretta, prima che qualcuno noti il suo comportamento e lo giudichi sospetto.

C’è un vicolo di fianco al locale. Quando esce, Steel deve passare davanti al vicolo, nell’altra direzione la strada è bloccata. Donald si infila nella stradina, che è appena uno stretto passaggio, in parte ostruito dai bidoni dell’immondizia. Lì è buio e nessuno lo vedrà. Al massimo, se arriva qualcuno, Donald si metterà a pisciare, come se si fosse messo lì per quello. Ne ha giusto bisogno, è un’ora che segue Steel.

Solo dopo essere entrato nel vicolo, Donald si accorge che al fondo c’è qualcuno. Due uomini che non badano a lui, occupati in tutt’altre faccende. È molto buio e Steel intravede appena i due corpi avvinghiati, ma non ci sono dubbi su quello che stanno facendo. A Donald dà fastidio, ma non è certo il caso di richiamare l’attenzione dicendo a quei due finocchi di andare da un’altra parte a fare le loro porcate.

Dà le spalle ai due e non ci pensa più. Poco dopo un tizio entra nel vicolo e gli sorride. Donald ci mette un momento a capire, ma quando ci arriva, il sangue gli va alla testa. Quel finocchio di merda l’ha preso per uno di loro, in attesa di compagnia. Per un momento pensa di saltare addosso al tizio e di dargli una bella lezione, di quelle che si ricorderà per un pezzo. Ma sa benissimo che non può farlo: poi dovrebbe andarsene e il capo si incazzerebbe a morte se lui confessasse di aver perso di vista Steel. Il capo non accetta che i suoi ordini non vengano eseguiti.

Donald si limita a fare una smorfia di disgusto e a sputare per terra. Il tizio alza le spalle e lascia perdere. Donald arretra un po’, in modo da collocarsi in un angolo più buio. Continua a guardare il pezzo di strada che si vede dal vicolo. Intanto alle sue spalle si sente un gemito più forte, poi un parlottare. I due finocchi gli passano di fianco e se ne vanno. Meglio così. Donald sputa di nuovo per terra.

Passano altri venti minuti. Che starà facendo Steel? Consumerà sul posto, come quei due, nel cesso del locale o magari nel vicolo? In questo caso Donald potrà raccontare al capo tutti i dettagli.

In quel momento un rumore secco e un dolore acuto alla schiena, all’altezza del cuore gli dicono che ha sbagliato i calcoli, ma ormai è troppo tardi per rimediare. I due colpi successivi completano la sottrazione e in una manciata di secondi c’è un uomo di meno (e un cadavere di più) a Beirut.

Steel esce dal locale dieci minuti dopo. Si allontana con il suo passo tranquillo, ma tiene d’occhio la strada. A un certo punto, a parecchi isolati di distanza, in un altro quartiere, un’auto si avvicina lentamente. Quando è quasi alla sua altezza, dal finestrino spunta un mitra. Steel si getta  a terra. La raffica colpisce in alto, ma è fuori tempo massimo, il bersaglio è a livello del marciapiede. L’auto accelera e scompare.

Steel si rialza, senza badare alla gente che si avvicina. Rapidamente si allontana e ferma il primo taxi che passa. Si fa portare al ristorante Abdel Wahab e di lì prende un altro taxi per tornare alla base.

 

Sanderson è nel suo appartamento, quando il telefono interno suona e Gruffy gli comunica:

- Steel è rientrato adesso ed ha detto che gli hanno sparato.

- È ferito?

- No, niente.

- Donald è rientrato?

- No.

- Mandami su Steel.

Sanderson interroga il suo uomo preferito. Steel gli dice di aver fatto un giro, cita alcuni luoghi. Racconta che va a spasso senza una meta, gli piace sgranchirsi un po’ le gambe, la palestra che c’è nei sotterranei non gli basta. Non ha notato niente di particolare, non si è accorto che qualcuno lo seguisse, ma non ci ha mai badato, solo avvicinandosi alla base fa attenzione.

Il capo annuisce e lo congeda.

Che succede? Perché cercare di ammazzare uno dei suoi uomini, per di più un acquisto molto recente? Chi può guadagnarci? Se qualcuno ammazza Steel, lui si prende un altro uomo. È vero che per il capo Steel è insostituibile, ma solo a livello personale e questo nessuno può saperlo, per l’organizzazione non sarebbe una grande perdita.

Sanderson ripensa a Steel e decide che se davvero qualcuno vuole eliminarlo, è meglio che ne approfitti finché è ancora vivo. Lo fa chiamare. È notte fonda, ormai.

Steel arriva subito. Non si è ancora cambiato, non ha fatto in tempo a farsi una doccia. Sanderson sente l’odore di sudore, delizioso. Lascia che Steel lo spogli e lo prenda, con la giusta dose di brutalità.

Quando Steel se ne va, il capo pensa che gli proibirà di uscire. Non vuole che lo ammazzino. Uno con un cazzo così non si può ammazzare.

 

L’indomani mattina Gruffy conferma che Donald è sparito senza lasciare tracce. Facile che sia stato ammazzato, dalle stesse persone che hanno sparato a Steel. Che abbiano ammazzato Donald è sensato, era uno dei suoi uomini migliori qui a Beirut, conosceva la città. Facendolo fuori, hanno indebolito la posizione di Sanderson. Probabilmente gli stessi hanno deciso di far fuori Steel, perché lo hanno collegato a Donald. Come? Si sono accorti che lo seguiva? È possibile. Ma in questa storia c’è puzza di bruciato.

 

*

 

Herman ha avuto il primo contatto con l’informatore. Domani l’uomo conta di fornirgli indicazioni più precise sull’incontro che deve avvenire tra Sanderson e l’intermediario, che viene chiamato Omega7.

Nel pomeriggio Herman va al bagno turco. Gli piace molto immergersi nel vapore e sudare, magari farsi fare anche un massaggio e poi godersi una bella doccia. Per individuare il posto giusto Herman non si è fatto consigliare all’albergo: l’agente prepara le sue missioni con cura, in ogni dettaglio. Sulla guida Spartacus quel bagno turco è indicato come un luogo di incontri gay, con salette in cui è possibile appartarsi (insomma, non si può mica usare sempre la mano!).

Il posto sembra accogliente ed ha le scritte in inglese (meno male, Herman non sa una parola di arabo). Herman si spoglia, si mette un asciugamano intorno ai fianchi e si siede in un’ampia sala, avvolta nella penombra. Incomincia a sudare e si guarda intorno.

C’è un tizio che non è male. Barba e capelli neri, sui quaranta, una peluria scura abbastanza fitta sul torace e sul ventre. Di faccia non è il massimo, ma ha un gran bel corpo ed Herman non è lì per girare un film. L’uomo fissa Herman, che ricambia lo sguardo e sorride.

Il tipo si avvicina. Conosce un po’ d’inglese e si presenta: si chiama Hussein. Si siede vicino a Herman e incominciano a parlare. Non è una grande conversazione, l’inglese di Hussein è alquanto approssimativo, ma tutti e due sono interessati ad altro. Dopo pochi minuti Hussein dice qualche cosa (in arabo) a uno degli inservienti e questi apre la porta di una stanza. Hussein dice che staranno più tranquilli. Herman annuisce.

Entrano. È una stanzetta piccola, con un grande arco su una parete, che forma un’ampia nicchia. Sotto l’arco c’è un ripiano, una specie di ampio sedile, ricoperto da un tessuto a colori vivaci. Non c’è vapore, anche se fa caldo.

Hussein si toglie l’asciugamano e rivela un’attrezzatura degna di un nove (in realtà chiunque altro gli assegnerebbe un dieci, ma da quando ha conosciuto Rod, Herman è diventato più avaro nelle sue valutazioni: il dieci, con lode, spetta solo a Rod).

Herman non perde tempo: si inginocchia davanti al bell’arabo e incomincia a verificare se la sostanza corrisponde all’aspetto. In effetti è così: il materiale è di prim’ordine ed i tempi di reazione sono eccellenti. In pochi secondi Herman sente l’arma irrigidirsi e crescere, fino a che fa fatica a tenerla in bocca. L’agente si dice che in fondo un dieci meno potrebbe darlo. Continua a succhiare ed è una sensazione molto gradevole, come quella che gli trasmettono le sue mani, mentre percorrono il corpo di Hussein. È bello sentire sotto le dita la pelle umida, perdersi nel viluppo di peli, stringere le natiche sode, accarezzare le gambe villose. Davvero, un dieci meno si può dare.

Hussein si stende sul ripiano, tenendo la mano dietro il collo di Herman, perché lo segua. Precauzione superflua: l’agente non ha nessuna intenzione di interrompere la sua opera (un’idea del genere non passerebbe mai per la testa di Herman, che è un lavoratore instancabile).

Dopo un po’ però Hussein toglie la mano e allontana, con delicatezza, la testa di Herman. Si alza e lo bacia, appassionatamente. Le loro lingue si accarezzano un po’, poi Hussein fa segno a Herman di stendersi sul ripiano. Non occorrono parole, il messaggio è chiaro.

Herman non chiede di meglio, ma non intende rinunciare alla prudenza per cui dice:

- Condom.

Hussein alza le spalle. Ne farebbe volentieri a meno, questo è chiaro, e proprio per questo Herman non intende rinunciarci. Hussein si rimette l’asciugamano e per un attimo Herman pensa che la faccenda sia finita lì. Che rottura! Herman era dispostissimo a usare ancora un po’ la bocca.

Ma Hussein va solo alla porta, chiama uno degli inservienti e si fa portare quanto richiesto da Herman. Sono attrezzati in questo bagno turco!

Anche Hussein è bene attrezzato, come si diceva, ed è un piacere guardalo mentre si infila il preservativo. Poi l’arabo volta Herman, che ora può sentire quel bel cazzo premere contro il proprio culo. Sensazione piacevolissima. Il suo uccello ha già alzato, da tempo, la testa ed ora si tende ancora di più. Ma Hussein appoggia una mano sulla nuca di Herman e gli gira la faccia, per baciarlo ancora, mentre con la mano gli sfiora l’uccello. E infine lo fa stendere sul ripiano e mentre Herman si sta mettendo in posizione, forza l’apertura con un attacco a sorpresa.

L’inatteso ingresso dell’arma, che riempie il culo e dilata le viscere, è un po’ doloroso, anche se Herman è abituato con Rod, che ha una taglia XXXL. E allora, nonostante il dolore, è una meraviglia, questo cazzo vale davvero un dieci meno (meno perché insomma, Rod è sempre Rod). Ora è tutto dentro, fino in fondo. Herman rimarrebbe così per un’ora, ma Hussein incomincia a spingere vigorosamente. Ci dà dentro, con gusto (e Herman lo accoglie con altrettanto gusto), avanzando e ritraendosi, in un movimento incessante. Che cosa c’è di più bello che sentire l’arma entrare a fondo, come uno spiedo nella carne, e poi lasciare libero il campo, per ritornare subito dopo trionfante a occupare il territorio? Herman è pienamente soddisfatto dell’andamento dell’incontro e, dai grugniti che emette, si direbbe che anche Hussein lo sia.

Al termine della lunga cavalcata, Hussein prende a galoppare e, con poche spinte vigorose, termina la sua opera. Solleva Herman, senza uscire da lui, e gli volta la testa per baciarlo ancora, mentre la mano dell’agente dà l’ultimo tocco necessario per concludere.

Proprio una bella scopata. Il posto è davvero interessante e Herman conta di tornarci, se la sua missione dovesse prolungarsi.

 

*

 

Sanderson riceve la comunicazione che un agente dei servizi segreti inglesi è a Beirut. L’uomo è stato individuato grazie ad un informatore, che ha avuto un primo contatto con lui e deve incontrarlo nuovamente.

Ed è così che Herman, agente segreto 019, quando va al secondo appuntamento con l’informatore, ha una spiacevole sorpresa: i quattro uomini che lo attendono nella stanza non gli lasciano nessun dubbio sulle loro intenzioni. Herman sa che per lui è la fine. Inutile cercare di prendere la pistola, lo crivellerebbero di colpi prima che riesca ad impugnarla. Ha spesso pensato che gli sarebbe piaciuto morire in una missione ed eccolo accontentato. In realtà avrebbe preferito che questo avvenisse più tardi, molto più tardi, ma non ha molte possibilità di scelta. In modo assurdo, ma non inatteso, sente che il cazzo gli diventa duro. Sì, è così che vuole crepare.

- Alza le mani.

Herman esegue: le sue possibilità di scelta sono nulle. Uno degli uomini si avvicina e lo perquisisce, togliendogli la pistola. Controlla bene che non abbia altre armi, poi gli dice:

- Puoi abbassare le mani.

Herman obbedisce: è molto docile, tanto non ha alternative. Si dice che sarà ora, ma la previsione è sbagliata.

- Muoviti, stronzo.

Due davanti, due dietro, lo fanno scendere dalla stessa scala da cui Herman è salito, ma escono da una porta sul retro, dove sono parcheggiate due auto.

Lo portano alla base di Sanderson. Herman non si stupisce: era ovvio che il mandante dell’operazione era quel figlio di puttana. Si chiede solo perché non lo abbiano ammazzato subito.

 

*

 

Sanderson ha chiamato Steel e stanno parlando dell’incontro che deve avere oggi pomeriggio con Omega7, per prendere gli ultimi accordi per la consegna del materiale: Omega 7 ha appena telefonato, l’appuntamento è per le cinque, fuori Beirut.

La faccenda dell’incontro occupa la testa di Sanderson, per di più c’è anche l’altro affare, quello dell’agente che a quest’ora dovrebbe essere stato catturato, o ammazzato, se ha cercato di opporre resistenza. Ma quando ha Steel davanti, la testa di Sanderson funziona male e, mentre risponde alle domande della sua guardia del corpo sulle modalità dell’incontro, pensa al corpo della sua guardia. Si augura che il cervello di Steel sia più lucido del suo. Le domande che il suo uomo gli pone sono precise e in base alla risposte non gli dovrebbe essere difficile organizzare tutto, in modo da ridurre al minimo i rischi. Di solito se ne occupa Gruffy, ma adesso il suo braccio destro sta dietro all’agente inglese e non sa ancora che l’appuntamento è per oggi. Solo Steel ne è informato, ma è in grado di occuparsi di tutto.

Sanderson si avvicina a Steel.

- Hai finito, adesso? Tutto chiaro?

- Sì, signore, tutto chiaro.

Sanderson passa la sua mano sulla patta dei pantaloni di Steel. In quel momento squilla il telefono: a malincuore il capo va a rispondere. Steel lo segue e gli si appiccica addosso, da dietro, finendo per confondere del tutto le idee al capo. La pressione che sente contro il proprio culo è intollerabile. Steel incomincia a prendere delle iniziative autonome e questo non va bene, non è compatibile con la lucidità mentale necessaria per gli affari: le iniziative di Steel lasciano poco spazio ad altro.

Al telefono è Gruffy: avvisa che sono arrivati con l’agente inglese. Sanderson lo manderebbe volentieri a cagare, ma dice che scende. Avvisa Steel:

- Abbiamo catturato l’agente inglese.

- L’agente inglese, signore?

Steel non ne sa niente, ma questo è normale: non faceva parte degli uomini incaricati di questa missione e solo chi riceve un incarico ne viene informato. Una banale misura di prudenza.

- Uno stronzo che è arrivato quattro giorni fa, con il compito di farmi fuori, probabilmente, e che abbiamo catturato grazie ad un amico.

- Ottimo, signore.

- L’ho fatto portare qui. Ho degli amici che sarebbero ben contenti di mettere le mani su un agente dei servizi segreti. Conto di venderglielo.

- Certo, signore. Due piccioni con una fava, come si suol dire: lei si libera di un nemico e ci guadagna anche.

- Devo dire che non mi sarebbe spiaciuto ammazzarlo, non è detto che non lo faccia.

Sanderson e Steel scendono a incontrare l’agente. Il tizio sembra tranquillo ed il capo ne apprezza il fegato. Quello sa benissimo che ha le ore contate.

- E tu volevi farmi secco, povero coglione?

L’agente alza le spalle, senza rispondere. Non c’è da rispondere. Sanderson si dice che questo figlio di puttana è un gran bell’uomo. In un altro momento non gli spiacerebbe farselo. Magari domani, tanto non lo cederà subito agli amici che glielo compreranno: li farà aspettare un po’, tirando sul prezzo. Domani magari glielo mette in culo. Adesso no, adesso ci sono altre priorità: Sanderson ha bisogno di stare un po’ da solo con Steel, altrimenti non sarà lucido.

Sanderson e Steel tornano al piano di sopra, mentre Herman viene chiuso in una cella nei sotterranei.

Sono appena entrati in camera, che Steel dice:

- Non è niente male quell’agente, non trova, signore?

Sanderson lo guarda.

- Che cosa intendi dire?

Steel alza le spalle.

- Niente di particolare, mi è parso che non dispiacesse neanche a lei, signore. Pensavo che potremmo divertirci un po’ con lui, se le va a genio, signore. È solo un’idea.

L’idea di una cosa a tre con Steel e quel bell’agente non gli dispiace, per niente. E trattandosi di quel figlio di puttana, possono benissimo venderlo un po’ acciaccato, non occorre che sia come nuovo. Purché sia vivo. Gli piacerebbe vedere Steel che scopa quello stronzo, che magari gli spacca la faccia. O magari Steel che scopa lui, mentre lui scopa l’agente.

È una buona cosa che Steel prenda l’iniziativa. Ha delle belle idee.

- Non abbiamo molto tempo.

- Preferisce che rimandiamo, signore? O facciamo oggi un assaggio e domani il pasto principale?

Perché non un assaggino?

- Tra un’ora dobbiamo partire. Per andare all’appuntamento un’ora ci vuole tutta.

- In un’ora si possono fare molte cose, se crede, signore.

Sanderson sorride.

- Direi di sì.

Steel sorride:

- Dico di preparare l’auto. Così non perdiamo tempo e possiamo divertirci un po’. Tra un’ora, ha detto, signore?

- Sì, partiamo alle quattro.

Steel si avvicina alla porta, la apre e si rivolge a Bruce, l’uomo che sta di guardia al

fondo del corridoio: abbastanza lontano da non sentire che cosa si dice nella stanza del capo, ma abbastanza vicino da intervenire se il capo lo chiama.

- Di’ a Gary di essere pronto con l’auto per le quattro.

Sanderson esce anche lui sulla soglia:

- E fa portare su quel pezzo di merda dell’agente.

Poi rientrano entrambi. Sanderson sorride. Ha il cazzo teso ed anche Steel ce l’ha (quando uno è dotato come Steel non è facile nasconderlo, ma Steel non ci prova neppure).

Bussano. Steel spalanca la porta. C’è Herman, ammanettato, tra due uomini.

- Dentro, stronzo.

Herman entra. Steel si fa dare la chiave delle manette e chiude la porta. I due uomini che hanno accompagnato il prigioniero tornano ai loro posti.

Sanderson passa nella seconda camera e Steel lo segue, spintonando Herman.

- Allora, come ci divertiamo con questo pezzo di merda, Steel?

Steel sorride.

- Lei che preferenze ha, signore?

- Mi piacerebbe vederti ucciderlo. Forse posso anche fare a meno di venderlo, questo stronzo.

Steel tira fuori la pistola e mette il silenziatore. Sanderson non capisce perché Steel intenda usare il silenziatore. Forse per infilarglielo in culo? Mica male, come idea.

- Io sono pronto, signore.

- Ti piace l’idea di uccidere, Steel?

Steel sorride, la pistola nella destra, mentre con la sinistra si accarezza la patta.

- Sì, mi piace. Me lo fa venire duro. È davvero un piacere.

È il cambiamento nel tono di voce di Steel a fargli sospettare. Non c’è più quel rispetto che Steel ha sempre mostrato. È la vera voce di Steel, quella che Sanderson sente per la prima volta. E per l’ultima, perché mentre Steel punta la pistola su di lui, Sanderson sa benissimo di aver perso la partita.

Sanderson non dice nulla, non farebbe nemmeno in tempo a parlare, perché Steel spara subito. Solo quando il colpo lo prende al ventre, poco sotto l’ombelico, mormora:

- Merda!

Il secondo colpo, poco più sotto, gli toglie le forze. Sanderson si ritrova a terra, in ginocchio davanti al suo assassino. Che si sta divertendo a fare quello che fa, questo è evidente, basta guardargli il rigonfio dei pantaloni.

“Che figlio di puttana”, pensa Sanderson, ma vorrebbe ancora succhiare una volta quel cazzo magnifico che i pantaloni mettono in evidenza, più che nascondere. E Steel spara ancora, un terzo colpo al ventre. Si prende il suo tempo, quel bastardo. Sanderson toglie le mani che ha portato alle ferite.

- Muoviti bastardo!

- Non c’è fretta, tanto usciamo alle quattro.

Il quarto colpo prende Sanderson al polmone destro. Il capo scivola di lato. Ora è steso sul pavimento e guarda il suo assassino, sopra di lui. Lo vede tendere ancora il braccio e sparare. Un colpo che raggiunge lo sterno. Poi l’ultimo, che spacca il cuore.

 

L’agente segreto Herman guarda il cadavere di Sanderson, riverso al suolo. Si dice che la missione è compiuta, anche se non uscirà vivo dalla stanza.

È rassegnato a morire: da quando l’hanno catturato, sa di non avere speranza. Ma gli rompe che Rod rischi di crepare anche lui. Come fa a uscire e ad andarsene dalla base di Sanderson senza destare sospetti? E poi si dice che se Rod ha qualche possibilità di andarsene, vuole che sia lui ad ammazzarlo, non quelli.

Chiede:

- Come pensi di cavartela, ora, Rod?

Steel, che ormai ritorna a essere Rod, lo guarda.

- Usciamo dalla porta, no? Vuoi mica saltare dalla finestra?

Il tono è chiaramente ironico. Anche quello di Herman:

- Certo, diciamo: “Abbiamo ammazzato il vostro capo, perciò, ragazzi, è ora che vi troviate un altro lavoro. In cambio del consiglio dateci le chiavi di un’auto”. Semplice, no?

- No, non ho nessuna voglia di guidare nel caos di Beirut. Questa città è un puttanaio. Facciamo guidare l’autista.

Mentre parla, Rod ha già liberato una mano di Herman dalle manette, poi gli mette in tasca la chiave.

- Adesso trasmettiamo le informazioni sull’incontro. Questo stronzo mi ha raccontato tutto. Ci sono quasi due ore, se sono pronti dovrebbero farcela, anche se è fuori Beirut.

Rod prende il cellulare e lo dà a Herman: lui ha solo un numero di riferimento, che non è quello diretto. Se fosse stato scoperto, non avrebbe potuto rivelare molte informazioni. Herman compone il numero che conosce a memoria. Parla due minuti, poi passa il cellulare a Rod, che trasmette tutti i dati in suo possesso. Conclusa la comunicazione, rimangono in attesa. Dopo un po’ il cellulare di Rod vibra. Altro scambio di informazioni. Ora è tutto a posto. Herman telefona ad un secondo numero, perché preparino quello che serve a loro due.

È passata mezz’ora. Rod incomincia a spogliare il capo. Passa due dita sulle ferite e sporca di sangue la faccia di Herman: così sembra che l’abbiano preso a botte e che abbia perso sangue dal naso e dal labbro. Poi prende dalla cabina armadio un lenzuolo ed asciuga il cadavere. Lo solleva e lo sistema nel letto, come se dormisse. Pulisce il pavimento. Se qualcuno entrasse ora, vedrebbe il capo a letto e tutto in ordine nella stanza. La precauzione è probabilmente superflua: è ben difficile che qualcuno entri senza che il capo lo chiami. Ma non si sa mai.

- Direi che siamo a posto. Mancano ancora venti minuti alle quattro. Inutile aspettare.

Rod apre la porta e chiama Bruce:

- Faccio una cosa per il capo. Di’ a Gary che scendiamo subito.

Poi Rod richiude la porta e si rivolge a Herman:

- Mano dietro la schiena, aria di chi sta per fare una brutta fine.

Poi gli dà una pistola e gli mette la giacca sulle spalle, in modo da coprire le manette.

- Zoppica un po’.

Rod esce, la pistola in mano, spingendo avanti Herman. Si dirige verso il fondo del corridoio. Bruce è già tornato al suo posto e gli dice che l’auto è pronta.

- Vado a sistemare ‘sto stronzo. Il capo vuole riposare. Se telefonano, di’ che è uscito per un impegno improvviso, che torna dopo le sei. Lo chiamiamo alle sei in punto, ma per quell’ora sarò di ritorno.

- Va bene, Steel.

Scendono al piano terreno. L’auto è nel cortile.

- Sali, stronzo!

Rod ha aperto la portiera davanti e Herman sale di fianco all’autista. Rod si mette dietro e si infila la pistola in tasca.

- Un posto isolato, dove possiamo sistemare questo pezzo di merda. Ma non all’altro capo del mondo. Il capo vuole che rientriamo prima delle cinque.

Al volante c’è Drive-in (a volte il capo sceglieva nomi buffi per i suoi uomini), che è un ottimo autista e non sospetta di essere giunto al capolinea, come il suo capo. Raggiunge un’area periferica, con diversi edifici distrutti. Non sembra esserci nessuno.

Steel annuisce.

- Sì, qui va bene.

L’autista si ferma in un garage sventrato, al riparo da occhi indiscreti. Rod ha già tirato fuori la pistola e prima che l’autista capisca che il bersaglio non è l’agente, un proiettile gli entra nel cranio.

Herman si apre le manette e le getta dal finestrino. Rod trascina fuori il cadavere e lo nasconde tra le macerie. Poi si mette alla guida, imprecando. Herman fa un’altra telefonata.

Non fanno molta strada, ma Rod bestemmia tre volte: il traffico fa schifo. Quando arrivano in una zona meno periferica, lasciano l’auto in una via laterale e raggiungono un parcheggio di taxi.

 

Nell’agenzia di viaggi che fa da copertura a un agente inglese di stanza a Beirut, una gentile impiegata consegna loro una busta: il passaporto di Rod, quello di Herman (duplicati, entrambi pronti da tempo e tenuti come riserva) e le prenotazioni del volo per Parigi, check-in elettronico incluso. Il volo per Parigi è il primo che possono prendere ed è meglio che loro due spariscano in fretta.

Un altro taxi li porta all’aeroporto e un’ora prima della partenza Rod e Herman hanno già superato l’ultimo controllo. Intanto altri agenti hanno messo le mani su Omega7, che tra non molto verrà convinto, con le buone maniere, a rivelare quello che sa sul nascondiglio del plutonio.

Ora sono vicino alla porta d’imbarco. Rod guarda Herman e dice:

- Andiamo al cesso.

Herman sa benissimo che cosa intende fare Rod. Sa che non è il caso, che tra poche ore saranno a Parigi, che potranno scopare la sera e pure la notte, senza rischiare di farsi notare in un cesso dell’aeroporto da qualcuno, magari il tizio delle pulizie, e di venire fermati. Non è salutare per loro rimanere neanche un’ora di più a Beirut. Possono farlo a Parigi, lo faranno comunque pure a Parigi, anche se lo fanno qui adesso. Passeranno tutta la notte a scopare, loro due, questo è sicuro, e allora, perché rischiare adesso? Ma come far intendere ragione a quelle due teste di cazzo (che sarebbero, per chi non avesse capito, Rod e Herman)? Perché Herman vuole la stessa cosa di Rod o forse, per essere esatti, qualche cosa di complementare.

E così entrano in uno dei cessi dell’aeroporto. Rod fa segno a Herman di infilarsi nell’ultimo gabinetto, quello contro la parete, poi aspetta che l’uomo che si sta lavando le mani sia uscito e lo raggiunge. Chiude la porta dietro di sé.

Herman si slaccia i pantaloni e li cala. Poi si appoggia alla parete, sente il freddo del muro contro il torace e contro il cazzo, teso allo spasimo. Chiude gli occhi e aspetta. È un mese che aspetta, da quando Rod è partito per questa missione, per cui serviva un uomo “pulito”, che non facesse parte dei servizi. Un’idea folle di Herman (e di Rod), ma un’idea che ha funzionato, anche se ha scatenato una crisi di astinenza in Herman (e in Rod, perché non tutti i culi sono uguali: quello di Sanderson non era male, ma quello di Herman si merita le cinque stellette - o i cinque cazzi? Rod si chiede come indicare in una guida turistica il valore di un fondoschiena. Certo quello che ha sotto gli occhi vale il massimo).

Rod entra senza tante cautele: è un mese che gli manca questo culo e lui non è abituato ad aspettare. A Herman va bene, è un mese che gli manca quel cazzo e non è un problema se l’ingresso non è delicato. Sanderson e i suoi uomini non sarebbero stati molto delicati, quelli a cui Sanderson voleva venderlo probabilmente lo sarebbero stati ancora meno.

Rod spinge, come solo lui sa fare, schiacciando Herman contro il muro, e Herman cerca di non gridare di piacere e dolore. Che meraviglia sentire di nuovo il cazzo di Rod trapassargli il culo. Rod ci dà dentro, a Herman sembra che gli aprano le viscere, ma è splendido.

Non dicono una parola, non emettono un suono, ma a Herman sembra che perfino il muro vibri sotto le spinte impetuose di Rod.

Ed infine Rod viene. Herman lo capisce dal sospiro che emette. Rod estrae il cazzo, getta il preservativo nel cesso, volta Herman e lo bacia, con irruenza. Gli afferra il cazzo e lo stringe, mentre la sua lingua si infila nella bocca di Herman.

A Herman sembra che il mondo scompaia in una sequenza di lampi abbaglianti. Rimane a occhi chiusi, mentre Rod si stacca da lui. Pensa che se non fosse appoggiato contro la parete, cadrebbe a terra.

Si tirano su i pantaloni, poi Rod preme il pulsante dello sciacquone ed escono insieme, fregandosene alla grande di chi può vederli. Ci sono due tizi. Uno è un maturo uomo d’affari europeo, basso e con i capelli tinti. A vederli uscire insieme dal cesso fa una smorfia di disgusto. L’altro è un arabo, un bell’uomo un po’ sovrappeso, a cui sfugge un sorriso di complicità.

Rod e Herman raggiungono la sala d’imbarco. Hanno appena iniziato a chiamare. Si mettono in coda, ad aspettare il loro turno.

 

2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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