Il sogno di una vita
Il duca Álvaro Lagrado
de Sotomayor y Vélez de
Guevara si sveglia nel suo palazzo di Aranjuez.
Guarda dalla finestra e vede che il cielo si sta appena schiarendo a oriente.
Non è ancora l’alba. Gli capita spesso di svegliarsi presto, anche quando potrebbe
dormire a lungo. È un segno dell’età: Álvaro ha superato
i sessanta. L’ottavo duca di Altacuesta è un uomo
forte e in ottime condizioni fisiche. Gli anni di battaglie e le numerose
ferite, di cui il suo corpo conserva le cicatrici, non l’hanno infiacchito. È
in grado di cavalcare tutto il giorno e di vegliare tutta la notte, se
necessario, e ha conservato il vigore sessuale che aveva vent’anni prima.
L’unico segno dell’invecchiamento, a parte il pelame, ormai più bianco che
grigio, è proprio il sonno irregolare. Álvaro si alza, svuota la vescica e torna
a stendersi, anche se sa che non riprenderà sonno. Guarda il barone di
Villacidro, che dorme accanto a lui. Non si è svegliato e il torace si solleva
e si abbassa in un respiro regolare. Nel sonno si è scoperto completamente e
lo sguardo di Álvaro scorre su questo corpo, appena
visibile nell’oscurità. Il pensiero va a un giorno di quasi trent’anni prima, a una
battaglia, a un’isola assolata, a una cella fetida, all’incontro con l’unico
uomo che abbia mai amato. Ai giorni in cui la sua vita cambiò per sempre. * Nella stanza dove sono stati riuniti i comandanti spagnoli c’è un
odore forte di sudore e di corpi non lavati: sono stati catturati dopo una
lunga battaglia e ammassati in un locale dove il calore è opprimente e si
respira a fatica. Gli uomini riuniti, una dozzina, sono quasi tutti nobili: è ben
difficile che un uomo del popolo raggiunga una posizione di comando nella
marina spagnola. Hanno un atteggiamento altero, come se non fossero stati
sconfitti e non fossero nelle mani dei turchi, che potrebbero infliggere loro
i peggiori supplizi. Sperano di potersi riscattare, perché di certo le loro
famiglie sono disposte a pagare qualsiasi cifra per liberarli. E in ogni caso
non vogliono mostrare nessun segno di debolezza davanti al nemico. Per quanto
siano stati spogliati dell’armatura e i loro indumenti siano spesso sporchi
di sangue, polvere e fango, hanno tutti un portamento fiero, anche quelli che
sono a torso nudo. Sono il fiore dell’aristocrazia spagnola. Álvaro Lagrado de
Sotomayor y Vélez de
Guevara è diventato alla morte del padre, pochi mesi fa, l’ottavo duca di Altacuesta ed è il più importante tra i nobili presenti. Álvaro ha la camicia lacerata, che lascia
vedere il torace possente, ricoperto da una peluria fitta e molto scura, che
intorno ai capezzoli incomincia a ingrigire. Sulla guancia sinistra ha una
piccola ferita, da cui il sangue è colato, perdendosi tra i peli della barba.
È un maschio vigoroso e un valente soldato, che non indietreggia davanti a
nulla: non a caso è considerato uno dei migliori comandanti degli eserciti
spagnoli. I turchi lo chiamano il Leone. Lo temono e lo odiano, perché li ha
sconfitti molte volte. Álvaro sa che potrebbero
decidere di impalarlo o scuoiarlo vivo, come hanno fatto con Marcantonio Bragadin. Álvaro non ha paura: è un uomo coraggioso
e si è abituato da tempo a convivere con il pensiero della morte. Faranno di
lui ciò che vorranno. Potrebbero sfogare su di lui la rabbia per il
fallimento della conquista di San Isidro, di cui i
turchi speravano di impadronirsi sorprendendo la guarnigione. La resistenza
dell’equipaggio di alcune navi ancorate fuori dal porto ha permesso di
salvare la città. I soldati spagnoli sono stati decimati e i comandanti
catturati, ma i turchi non hanno potuto raggiungere il loro obiettivo. Ora
per espugnare San Isidro dovrebbero sottoporla a un
assedio, ma ben difficilmente potrebbero conquistarla prima dell’arrivo dei
rinforzi che gli spagnoli attendono. Tra i presenti, soltanto Santiago Carrasco,
comandante della Luz de los mares, è un uomo del popolo. Gli altri comandanti lo
ignorano, anche se hanno combattuto insieme: Santiago ha dato prova di grande
valore, ma oltre a essere popolano, è un corsaro. Solo Álvaro
Lagrado si è messo vicino a lui. Gli altri nobili
sono stupiti: la famiglia dei Lagrado vanta
un’origine molto antica e il padre di Álvaro,
settimo duca di Altacuesta, era uno dei consiglieri
più fidati del re Felipe II. Perché il duca non si allontana da questo plebeo? La risposta è semplice: Álvaro Lagrado si è trovato a combattere accanto a Santiago Carrasco e ha avuto modo di apprezzarne il valore. Non
volterebbe mai le spalle a un uomo al cui fianco ha combattuto. E la sua
stima delle persone dipende dal loro comportamento, non dal titolo nobiliare.
Abituato a combattere fin da quando era molto giovane, Álvaro
ha sviluppato una mentalità alquanto diversa da quella prevalente nell’aristocrazia
spagnola. I turchi li interrogano, uno per uno. A condurre l’interrogatorio è
un ufficiale che parla molto bene il castigliano. Ogni tanto si consulta con
un funzionario, evidentemente di grado superiore. L’interrogatorio sembra avere un unico scopo: avere conferma che questi
prigionieri siano in grado di pagare un consistente riscatto. Se qualcuno non
potesse riscattarsi, sarebbe venduto come schiavo: una vita di stenti,
destinata spesso a concludersi con una morte prematura, sulle navi, in
miniera o nei campi. Sarà il destino dei soldati, che non possono pagare per
liberarsi. Álvaro chiede a Santiago: - Sei in grado di pagare un riscatto? Santiago scuote la testa. - No, non potrei neanche se fossi un uomo dell’equipaggio e non il
comandante. Quello che avevo l’ho speso per rimettere in sesto la nave, dopo
l’ultimo scontro, e adesso ho solo qualche debito. E la nave l’hanno
catturata questi bastardi. Quando è il turno di Lagrado, l’ufficiale
guarda Álvaro e sorride: un sorriso feroce. - Ecco qui il Leone. Álvaro non mostra nessun segno di paura. L’ufficiale
lo guarda un buon momento, poi dice: - Sappiamo che sei in grado di pagare qualunque riscatto, ma non so
se ti sarà data la possibilità di farlo. Álvaro si rende conto che è inutile
discutere con quest’uomo: le decisioni non spettano a lui. Il Leone è un
personaggio troppo importante e la sua sorte sarà decisa molto più in alto. Dice: - Non parliamo del riscatto per me. Deciderete il da farsi. Ma intendo
pagare il riscatto per i miei uomini e per lui e i suoi uomini. E con un gesto della testa indica Santiago. L’ufficiale guarda Álvaro stupito. Ha
sentito parlare molto del Leone e sa che è generoso, anche nei confronti dei
nemici, ma non si aspettava un simile gesto. Si tratta di pagare per almeno
un’ottantina di persone, i sopravvissuti dell’equipaggio di due navi. - Non so se potrai pagare alcunché, Leone. - Vi conviene che io paghi per loro, qualunque cosa intendiate
farmi. Se mi permettete di mandare uno dei miei a San Isidro,
potete avere il riscatto domani stesso, senza dover portare i prigionieri fino
alle vostre terre. Risparmierete tempo, non dovrete badare ai soldati
catturati, non dovrete nutrirli e avrete il denaro subito. La proposta è quanto mai allettante per i turchi, Álvaro lo sa benissimo. Spera di riuscire a salvare
almeno i suoi uomini e quelli di Santiago. Anche Santiago è rimasto stupito della generosità di Álvaro. Non lo aveva mai visto prima e ora quest’uomo è
disponibile a pagare per liberare lui e i suoi. Sarebbe una gran cosa, anche
perché meno rimane nelle mani dei turchi, meno rischi corre di essere
riconosciuto. Il problema di Santiago è proprio questo: per lui la sconfitta e la
cattura possono significare non solo la schiavitù, ma una morte orribile,
perché è un valente corsaro, odiato dai turchi. Se qualcuno riconoscesse il
Toro Nero, come viene chiamato, non ci sarebbe via di scampo: sicuramente Santiago
verrebbe impalato. Quando arriva il suo turno, Santiago nasconde l’angoscia che prova. - Il tuo nome. - Santiago Gutiérrez. Santiago mente, ma non potrebbe dare il suo vero nome, perché è noto
che Santiago Carrasco è il Toro Nero, fratello di
quel Salvador Carrasco, detto il Toro Andaluso,
catturato a Gerba e impalato. - Chi fu tuo padre? - Álvaro Gutiérrez,
mercante di tessuti. - Non sei nobile? - No, sono un popolano. - Come mai sei uno dei comandanti? - Per il valore dimostrato in diverse occasioni. A Mostaganem venni nominato comandante. - La tua famiglia può pagare un riscatto? - Non ho più famiglia e non sono in grado di pagare molto. Se il
nobile Lagrado vorrà pagare per me, gliene sarò
grato. L’uomo pone ancora alcune domande, poi lo congeda. Santiago cela la sua
esultanza sotto una maschera d’indifferenza. Ce l’ha fatta. Nessuno sospetta che
lui è il Toro Nero. Se i turchi accetteranno la proposta di Álvaro Lagrado, tornerà libero.
L’importante è che nessuno lo riconosca: Santiago è molto alto e supera gli
altri di almeno una spanna. Questo colosso, calvo, con le spalle larghe e il
corpo possente, non passa certo inosservato. L’ufficiale che ha condotto gli interrogatori parla a lungo con il
funzionario. Evidentemente stanno discutendo la proposta di Álvaro Lagrado. Infine gli altri comandanti vengono portati via. L’ufficiale si rivolge a Álvaro Lagrado. - Puoi riscattare quest’uomo e l’equipaggio della tua nave e della sua.
Per ogni marinaio pagherai tre scudi d’oro, per il comandante 200. La cifra complessiva è molto alta: circa 450 scudi d’oro, ma Álvaro non batte ciglio. - Va bene. C’è una breve trattativa sulle modalità di consegna del denaro e del
riscatto. Álvaro è diffidente, sapendo che non
sempre i turchi rispettano i patti: ci sono stati episodi terribili, in cui
le condizioni della resa non sono state rispettate e le guarnigioni cristiane
che avrebbero dovuto avere salva la vita sono state massacrate. I turchi
invece si fidano di lui: per quanto odino il Leone, ne conoscono l’assoluta
lealtà. Vengono stabilite modalità che diano a entrambe le parti piena
garanzia. Álvaro si siede e scrive due lettere, che
l’ufficiale legge, per controllare che il duca abbia dato le istruzioni in
base al loro accordo. Il giorno seguente i prigionieri vengono liberati a piccoli gruppi e
il denaro versato, a scaglioni. Lo scambio procede senza intoppi e si avvicina alla conclusione,
quando un soldato turco entra nella stanza dove i prigionieri aspettano la
liberazione per riferire qualche cosa all’ufficiale. Vede il corsaro e si
ferma davanti a lui. Lo fissa, poi si allontana. Sulla porta si volta ancora
a guardarlo, un ghigno sulle labbra. Poco dopo l’uomo ritorna con altri sei soldati, tra cui un altro
ufficiale. Vanno direttamente da Santiago. Uno sorride e dice: - Sì, è lui, il Toro Nero. Le parole dell’uomo sono una condanna senza appello. Per quanto
coraggioso, Santiago ha l’impressione che gli manchi il fiato. Merda! Merda!
Merda! Lo scambio si è concluso, la somma richiesta è stata pagata per
intero, tranne la parte per il riscatto del Toro Nero, che non verrà liberato.
I soldati spagnoli e i corsari sono increduli. Ma per gli uni e per gli altri
e in particolare per gli uomini di Álvaro Lagrado la gioia dell’imprevista liberazione è offuscata
dal sapere il loro comandante in mano ai turchi. Nel primo pomeriggio Santiago e Álvaro
sono condotti a una delle navi turche, una galeotta. - Spogliatevi. I due comandanti obbediscono. Quando sono rimasti in mutande, si
fermano, ma l’ufficiale gli impone di togliersi tutto. Ora sono nudi, due
magnifici maschi, vigorosi, il corpo segnato da cicatrici, una peluria
abbondante sul petto, sul ventre, sugli arti e sul culo. Santiago è più alto
di Álvaro, non ha capelli e neppure la barba. Ha un
cazzo molto lungo e voluminoso, che i turchi guardano stupiti. I due comandanti e alcuni altri prigionieri vengono messi ai remi: i
rematori sulle galeotte sono in maggioranza turchi, ma quelli morti in
battaglia vengono sostituiti dai soldati spagnoli catturati. In questo caso
sono gli uomini delle altre navi, poiché tutti quelli alle dipendenze del
duca e del corsaro sono stati riscattati. I prigionieri sono incatenati ai remi e per tutto il viaggio non
vengono liberati. Mangiano, dormono e fanno i loro bisogni rimanendo al loro
posto. La frusta dell’aguzzino si abbatte su chi non rema con sufficiente
vigore, ma in realtà colpisce più spesso Álvaro e Santiago,
per quanto i due, grazie alla loro forza, siano i migliori rematori della
galeotta. Ma i segni rossi che appaiono sulle loro schiene e poi il sangue
che cola danno soddisfazione al sorvegliante e a tutto l’equipaggio. Il Leone
e il Toro Nero: due terribili nemici che hanno tante volte umiliato le truppe
turche. Il viaggio dura quattro giorni, in cui i prigionieri non vengono mai
liberati. Sotto di loro si accumulano le deiezioni e i resti di cibo. Il primo giorno il cielo è coperto e le nuvole riparano i rematori
dal sole. I due comandanti non si lamentano: sono abituati alle privazioni di
una vita spesa a combattere e non vogliono mostrare nessun segno di debolezza. Non ricevono da mangiare se non a sera, quando infine la nave si
ferma. A ognuno di loro viene consegnata una scodella, ma ormai è buio e non
possono vederne il contenuto. L’odore non è certo appetitoso, neppure per i
prigionieri che non mangiano dalla sera prima, ma la fame li spinge a
ingoiare la brodaglia acida che è il loro rancio. Prima di cercare di dormire, Álvaro e Santiago
hanno un momento in cui parlare. - Grazie per aver cercato di salvarmi. E grazie per aver salvato i
miei uomini. Per fortuna questi figli di puttana hanno scoperto troppo tardi
che eravamo corsari e gli altri se la sono cavata. - Avete combattuto valorosamente. Non meritavate di finire
prigionieri, venduti come schiavi. Ho sempre pagato il riscatto per tutti i
miei uomini che venivano catturati. Salvador scuote la testa. - Non è certo quello che fanno gli altri nobili. Lasciano che i loro
uomini diventino schiavi, senza preoccuparsi se moriranno nelle miniere o ai
remi. E non mi dire che uno come il conte di Almedra
non può riscattare i suoi uomini. Santiago dà del tu al duca, che non se ne preoccupa: a differenza
degli altri nobili, Álvaro bada alle forme solo
quando è a corte o negli incontri ufficiali. Ora sono due prigionieri, nudi,
sporchi, sudati, maleodoranti, destinati probabilmente al supplizio. - Sì, potrebbe pagare. Non gli interessa. - Già. Per lui i soldati sono solo carne da macello. Álvaro non replica: sa che Santiago ha
ragione. Dormono poco e male, ma almeno possono riposare dopo la fatica della
giornata. Nella notte il vento trascina lontano le nuvole e il giorno seguente
il cielo è sereno. Remare sotto il sole cocente, senza nessuna protezione,
rende la fatica ancora più pesante. Santiago, senza capelli, ha l’impressione
che la testa gli arda. Álvaro se ne accorge e grida: - Dategli un fazzoletto per coprirsi. O almeno versategli un po’
d’acqua sulla testa. L’aguzzino ride e dice: - Hai ragione. Si mette sopra di loro, apre i pantaloni e incomincia a pisciare
sulla testa di Santiago. Il piscio scende sulla pelle e scivola sulla faccia. Álvaro freme e grida: - Maledetti! L’aguzzino sposta il getto, mentre dice: - Ne vuoi anche tu? Il piscio si perde tra i capelli di Álvaro
e un po’ cola sulla faccia, tra la barba. Il duca mormora: - Mi spiace, Santiago. Sono stato un coglione. Dovevo stare zitto. Santiago ride: - Chissenefotte! Lascia che si divertano.
Un po’ la testa me l’ha raffreddata. La frusta che si abbatte sulla schiena di Santiago, lasciando un
altro segno rosso, interrompe la conversazione. Arriva infine la sera. Mangiano la loro razione, poi parlano un
momento, molto piano. A entrambi fa piacere scambiare qualche parola. Santiago dice: - E dire che magari, quando saremo arrivati, ci troveremo a
rimpiangere il viaggio. - Può essere. - Spero che ti permettano di riscattarti. - Dipenderà se gli interessa di più l’oro o la vendetta. - Nel mio caso il problema non si pone. - Chiederò di poter pagare anche per te. Santiago scuote la testa. - Tu sei l’uomo più generoso che abbia mai conosciuto. Ti ringrazio
di nuovo, ma temo che nel mio caso siano più interessati alla vendetta. Álvaro sa che è vero. E potrebbe valere
anche per lui. Il terzo giorno si alza un vento forte, che agita le acque. La nave
procede, sballottata dalle onde. Parecchi rematori vomitano. Sotto i loro
piedi il vomito si mescola alla merda e al piscio. La sera infine il vento si calma. Quando si fermano per la notte, Santiago dice: - Dicono che domani arriveremo. Meno male. Sono esausto. Mi chiedo
come facciano i rematori quando devono stare in mare per dieci o venti giorni
o magari per un mese o più. - Hanno dei turni. E non vengono frustati per puro divertimento. Se
li trattassero come trattano noi, dopo una settimana non avrebbero più
rematori: sarebbero morti tutti. Il giorno dopo incomincia a piovere. Per tutta la mattinata scrosci
di pioggia si alternano a momenti in cui il sole compare tra le nuvole. Álvaro si dice che almeno la pioggia li lava un po’. Infine, nel pomeriggio, la nave arriva in vista dell’isola di Gerba
e si dirige verso il forte detto Burj-es-Suk, la
Torre del Mercato, sulla costa. La galeotta viene ormeggiata e i prigionieri vengono fatti scendere.
Sono fermi sulla riva, in attesa di essere portati nei luoghi in cui verranno
tenuti per essere venduti o riscattati. Sulla costa, non lontano dal forte, è ben visibile una torre. Santiago
la guarda e sembra rabbrividire, mentre dice: - Burj al-Rus,
la Torre dei Teschi. L’hanno costruita con i crani dei soldati spagnoli
uccisi, dopo il disastro di Los Gelves. Álvaro annuisce. - Ne avevo sentito parlare. Maledetti! - Un monito per chi pensa di poterli sfidare. Poi Santiago aggiunge: - La testa di mio fratello è in cima. Questi fottuti bastardi l’hanno
impalato, poi il secondo giorno l’hanno castrato e infine decapitato. - Tuo fratello? - Il Toro Andaluso. Álvaro abbassa il capo. - Mi spiace non essere riuscito a riscattarti a San Isidro, Santiago. - Morirò come mio fratello. Spero solo di non agonizzare per giorni
e giorni. - Forse ti terrò compagnia. Ci sono anche le teste dei due figli del
duca di Casa Grande, in cima a quella torre. Il maggiore era mio cognato: aveva
sposato mia sorella Isabel. Santiago mormora: - Merda! La carovana si avvia. Passano a fianco della torre di crani, che ora
si erge davanti a loro, a un tiro di sasso. Poi Santiago e Álvaro vengono separati
dagli altri e portati nel forte. Li fanno scendere in una cella, uno spazio angusto, dove c’è solo un
bugliolo per i loro bisogni. È comunque sempre meglio che remare tutto il
giorno e la notte dormire seduti, appoggiati a un remo, con i piedi immersi
in una fanghiglia immonda. Dopo il pasto serale, si addormentano subito. Il giorno dopo quattro soldati scendono nella cella e prelevano Álvaro. Per i due prigionieri l’idea di separarsi è
angosciante: l’essere insieme è l’unica consolazione che hanno. Álvaro viene portato dal comandante del
forte, che si rivolge a lui in spagnolo. - Duca, non so quale sarà la vostra sorte. Non dipende certo da me.
Vi farò assegnare una cella un po’ migliore di quella in cui siete stato
messo con il Toro Nero. Álvaro non si stupisce nel sentire l’uomo
parlare uno spagnolo perfetto: si tratta di certo di uno dei numerosi
rinnegati, uomini che dopo essere stati catturati dai turchi si sono
convertiti e hanno raggiunto posizioni importanti. Álvaro
prova un istintivo disprezzo per questa gente, anche se sa che spesso la
conversione è l’unico modo per sfuggire a una vita miserevole. - Comandante, per quel che mi riguarda, rimango più volentieri con
il Toro Nero. - Lui non verrà riscattato. - Io sono disponibile a pagare anche per lui, la somma che verrà
richiesta. Il comandante annuisce. - Non credo che la vostra offerta verrà accettata, ma come vi ho
detto non sono io a decidere. Trasmetterò la vostra proposta a chi di dovere. “Chi di dovere” è Turghud Alì, noto come Dragut, chiamato la Spada Vendicatrice dell'Islam, viceré
di Algeri e signore di Tripoli e al-Mahdiyya. Dragut assisterebbe molto volentieri all’impalamento del
Leone e del Toro Nero, ma adesso sta preparando una spedizione per Malta e ha
altro cui pensare. Ogni decisione è rinviata, anche perché l’esito della
spedizione potrebbe influire sulle scelte di Dragut. Dopo un attimo di pausa, il comandante chiede: - Allora preferite rimanere nella cella in cui siete stato messo
ieri sera? - Sì. Quando vede tornare Álvaro, Santiago
sorride. - Pensavo che ti avrebbero trasferito. - No, rimango qui. Álvaro non dice che è lui ad aver
rifiutato l’offerta. Non c’è motivo per dirlo. Acqua e cibo vengono portati due volte al giorno. L’acqua però basta
appena per bere, in questa cella dove il calore di maggio li fa sudare
abbondantemente: perciò non possono lavarsi, anche se ne sentono forte il
bisogno. Nei primi giorni parlano molto, più del passato che dell’incerto futuro
che li attende. Imparano a conoscersi e si raccontano le loro vite, spese a
combattere fin da quando non avevano neppure vent’anni. La quarta notte Álvaro sogna Santiago,
come lo vede tutti i giorni, nudo. Ma il corsaro ha il cazzo in tiro e gli si
avvicina sorridendo. Il desiderio cresce e ora gli sembra che la mano di Santiago gli
accarezzi il cazzo. Si sveglia mentre il seme sgorga e vede che la mano del corsaro gli
sta davvero stringendo il cazzo. Álvaro geme, mentre il seme finisce di
uscire, spargendosi sul suo ventre, e guarda stupito, ancora intontito dal
sonno, il corsaro che gli sorride. - Santiago… Santiago ride. - Mi sembrava che tu avessi bisogno di una mano… e te l’ho data. Álvaro è confuso. - Sognavo. - Non so che cosa stessi sognando, ma ce l’avevi duro. Un cazzo duro
e bello grosso. Il tuo cresce molto quando ti viene duro. Álvaro non è abituato a parlare così
liberamente di sesso, ma non gli dispiace. Con Santiago si è stabilita in
fretta una grande intimità, favorita dalle condizioni in cui vivono. Replica: - Il tuo non ha bisogno di crescere molto. Hai un cazzo da toro. È
per quello che ti chiamano il Toro Nero? - Sì. - Ma perché nero? - Non mi vedi? Con tutto ‘sto pelo, quando avevo i capelli e portavo
la barba lunga, da lontano sembravo un negro! Santiago ride. Anche Álvaro ride. Non sa
se la spiegazione è vera, ma non gli importa. Pensa che sta bene con Santiago
e che il corsaro gli piace molto. Santiago lo guarda. Ad Álvaro pare di
scorgere un lampo di malizia nei suoi occhi, mentre gli chiede: - Hai mai scopato con un uomo, Álvaro? Álvaro non risponde subito. - A volte qualche marinaio mi si è offerto o un giovane nobile. - Credo che fossero in molti a offrirsi al Leone di Castiglia. Álvaro lo guarda. - Non molti. Nessuno ci tiene a finire sul rogo come sodomita. - Sì, è vero. Ma di sicuro molti l’hanno desiderato. - Questo vale anche per il Toro Nero, suppongo. - Sì, senza dubbio. E confesso di non essermi tirato indietro, ogni
qual volta potevo farlo in modo ragionevolmente sicuro. C’è di nuovo un momento di silenzio, poi Santiago chiede: - Non te lo sei mai preso in culo, vero, Álvaro? Álvaro guarda Santiago, senza dire nulla.
Rimangono un momento in silenzio, poi Álvaro
chiede: - Lo desideri, Santiago? Santiago annuisce. - Va bene. Álvaro si alza. Pensa che per la prima
volta un maschio lo prenderà. Va bene così. Si è affezionato a Santiago e va
bene che sia lui a farlo. Poi, se sarà condannato a morte, lo faranno anche i
soldati turchi: chi sta per essere giustiziato viene fottuto per umiliarlo. - Come mi metto? - A quattro zampe. È il modo migliore. - Mi spiace che non sono pulito. Ti sporcherai. Santiago ride. - Ti pulisco io. Ride ancora, poi aggiunge: - Mettiti lì, vicino al bugliolo. È la parte più sporca della cella: ogni tanto il bugliolo trabocca
quando lo portano via. Álvaro non capisce, ma ubbidisce. Santiago incomincia a pisciare, dirigendo il getto sul culo di Álvaro e in particolare sul solco. Il liquido scorre,
pulendo via i residui di merda. Il corsaro poggia una mano sulla schiena di Álvaro,
poi si ferma. Ora esita. - È la prima volta, vero? Lo sa benissimo, anche se Álvaro non ha
risposto alla domanda quando l’ha formulata. - Sì. Probabilmente non l’ultima. Mi fotteranno anche i soldati turchi,
prima di ammazzarmi. Preferisco che il primo sia tu. - Non voglio farti male. - Non ti preoccupare. Dopo un momento di silenzio, Álvaro
aggiunge: - Lo desidero anch’io. È la verità. Desidera offrirsi a Santiago, a quest’uomo forte a cui
si sente profondamente legato. Santiago si abbassa, appoggia le mani sul culo di Álvaro, divarica un po’ le natiche e guarda l’apertura. Con
la saliva si inumidisce bene la cappella e due dita, con cui prepara
l’ingresso. Poi, con molta lentezza, spinge il cazzo, forzando l’apertura. Álvaro si morde il labbro. Gli fa male, molto. - Vuoi che esca? - No, va bene così. Santiago procede con cautela: non vuole provocare dolore e vorrebbe
invece far durare il piacere. È bellissimo, una sensazione la cui intensità
lo spaventa. Non dipende dal fatto che non scopa da oltre dieci giorni, né
dall’essere il primo a possedere il duca di Altacuesta.
Sa benissimo che a rendere così forte il piacere è l’attrazione che prova per
Álvaro, quest’uomo che stima e che ammira. La mano di Santiago passa sotto il ventre di Álvaro
e gli afferra il cazzo. Lo sente flaccido, ma quando incomincia ad
accarezzarlo e stringerlo, il cazzo si tende. Álvaro non dice nulla. Il dolore al culo è
violento e desidera solo che Santiago finisca. Quando il corsaro imprime alle
sue spinte un ritmo più deciso, Álvaro fa fatica a
non urlare. La mano di Santiago lo fa venire, ma il dolore è più forte del
piacere. Santiago si alza. Álvaro lo imita,
reprimendo un gemito, e si siede, appoggiandosi contro il muro. Il culo gli
fa un male cane. Santiago lo guarda. Lo vede pallido, chiaramente dolorante. - Scusami, Álvaro. Non avrei dovuto
chiedertelo. - Va bene così, Santiago. Lo volevo anch’io. Álvaro guarda Santiago e sorride. - Lo faremo ancora, se ce ne lasciano il tempo. Il venerdì, settimo giorno di prigionia nella cella, vengono portati
due secchi d’acqua e i prigionieri possono infine lavarsi completamente. - Come va il culo, Álvaro? - Il male è passato quasi completamente. - Bene. - Ma preferirei aspettare ancora un po’ prima di rifarlo. - Certamente. Ma dato che oggi ci siamo lavati, potremmo
approfittarne. Adesso tocca a te prendermi. - Santiago, non sei tenuto a farlo. - Se non lo desideri, non lo facciamo. Ma a me piacerebbe che tu lo
facessi. Álvaro lo desidera, fortemente.
Quest’uomo, non bello, non nobile, lo attrae moltissimo, come non gli era mai
successo. E sa che quello che prova non è solo attrazione fisica. È bello accarezzare questo robusto culo peloso, è bello premere il
cazzo contro l’apertura, forzarla ed entrare. È bello sentire il calore di
questo culo che l’accoglie. Santiago è stato penetrato più volte da ragazzo e poi nell’anno in
cui è stato prigioniero dei turchi. Non gli è più successo da un decennio, ma
ora è contento di accogliere il cazzo di Álvaro
dentro di sé, di essere posseduto da quest’uomo che gli si è offerto. Álvaro fotte a lungo, fino a che il
piacere deborda. Poi esce. Santiago si mette a sedere. Álvaro
guarda il grosso cazzo duro dell’amico. Sorride e dice: - Alzati. Santiago obbedisce. Álvaro si mette in
ginocchio davanti a lui e la sua bocca si apre per accogliere il cazzo del
corsaro. Non l’aveva mai fatto ed è una sensazione strana, ma piacevole.
Procede un po’ incerto, ma ottiene il risultato desiderato: presto Santiago
geme, travolto dal piacere. Scopano ogni giorno. Progressivamente Álvaro
si abitua a essere posseduto. La sensazione diventa piacevole, anche se la
penetrazione è sempre un po’ dolorosa. Tre settimane dopo il loro arrivo il comandante del forte entra
nella cella. Sul suo viso appare una smorfia: l’aria è fetida. Álvaro e Santiago ci sono abituati e non ci badano più. - Avete fatto bene a rifiutarvi di cambiare cella, duca. Avrei
dovuto riportarvi in questa. Da oggi cambiano le condizioni. Il primo cambiamento avviene il giorno stesso, subito dopo la rapida
visita del comandante: entrano quattro soldati che conducono Álvaro e Santiago in un’altra stanza. Su una parete, in
alto, vi sono sbarre di ferro, da cui pendono corde. Sanno entrambi che cosa
significa: verranno fustigati. Vengono messi davanti alle sbarre e le corde vengono passate intorno
ai loro polsi e poi tirate, costringendoli a sollevare le braccia. Ognuno dei due riceve venti frustate, sulla schiena e sul culo. Al termine della fustigazione, un soldato getta sulla schiena dei
due prigionieri l’acqua di un secchio, lavando le ferite, e vengono
ricondotti in cella. Álvaro commenta: - Venti frustate. Poteva essere peggio. - Non vogliono ammazzarci, né rovinarci. Tu potresti essere
riscattato. - È strano, però. Rimangono in piedi: è meglio evitare che abrasioni e ferite entrino
in contatto con il pavimento sporco della cella. Santiago guarda Álvaro: - Álvaro. Il comandante ha detto che non
hai voluto cambiare cella. Ti aveva offerto una sistemazione migliore. - Diciamo un’altra cella. - Che di sicuro era meglio di questa. Perché non hai accettato? Álvaro sorride. - Tu avresti accettato? - A me non l’avrebbe offerta. - Ma se l’avesse fatto, tu avresti accettato? Santiago ride. - Va bene. Mi arrendo. Tre giorni dopo vengono nuovamente fatti uscire dalla cella. Si
chiedono se li fustigheranno nuovamente, ma vengono condotti uno stanzone,
dove ci sono due tavoli. Non appena entrano, Santiago si tende e Álvaro se ne accorge. - Che cosa c’è, Santiago? - Merda! - Che cosa c’è? - Ci inculano, Álvaro. Ci legano a quei
tavoli e ci inculano. Álvaro non ha nessuna voglia di essere
stuprato, ma sa che non può sottrarsi. - Meglio un cazzo in culo che un palo. Santiago stringe i pugni. - Non voglio che ti inculino. Álvaro lo guarda, perplesso. Santiago
spera forse di non essere violato? - Non possiamo impedirlo. - Che mi stuprino quanto vogliono, ma non voglio che ti tocchino. Álvaro sorride. - Anch’io preferirei che inculassero solo me, ma credo che ci
divideremo equamente gli stupri. Santiago china la testa. Vengono portati ai tavoli e costretti ad appoggiare il petto sul
ripiano. Le caviglie vengono legate a due zampe del tavolo, in modo che le
gambe siano ben divaricate. I polsi vengono legati alle zampe opposte. A stuprarli sono quattro uomini, due per ognuno. Dopo aver pisciato
sulle loro teste, li slegano e li riaccompagnano in cella. Santiago si siede, fa sedere Álvaro tra le
sue gambe e lo abbraccia. Poi lo accarezza, senza dire nulla. Rimangono così
un buon momento, in silenzio. Più tardi Santiago osserva: - So che mio fratello e il suo comandante furono stuprati da tutta
la guarnigione del forte. - Come fai a sapere queste cose? - Volevo sapere di più della fine di mio fratello e per alcuni mesi
incrociai molto in quest’area, scendendo a terra la notte per catturare
uomini e interrogarli. - Alquanto rischioso. - Sì, fu una follia, ma avevo bisogno di sapere. - E infine ci riuscisti? - Sì, riuscii a catturare due soldati di questo forte, che mi
raccontarono i dettagli della fine di Salvador. E ti posso dire che lui e il
comandante della nave furono stuprati dall’intera guarnigione. Álvaro rabbrividisce all’idea. Dopo un momento di silenzio, Santiago dice: - Perché siamo stati fottuti solo da due soldati? Perché non ci
ammazzano o non chiedono il riscatto per te? - Non lo so, ma la mia idea è che non abbiano ancora deciso che cosa
fare di noi. Non dipende dal comandante del forte. Chi può decidere è Dragut, se non lo stesso sultano. Probabilmente Dragut ha altro da fare e ha solo dato ordine di
ricordarci che siamo due prigionieri nelle loro mani e che possiamo essere
impalati in qualsiasi momento. L’ipotesi di Álvaro corrisponde alla
realtà: Dragut vuole assistere all’impalamento di
entrambi, ma non può occuparsene ora e comunque vuole valutare, al ritorno
dalla spedizione a Malta, se non chiedere il riscatto per il duca di Altacuesta. Se l’attacco non dovesse concludersi con un
successo, il denaro che può pagare il duca potrebbe servire. Perciò prima di partire Dragut ha dettato
una lettera, in cui si dice di tenere in vita i due prigionieri, umiliandoli
e fustigandoli, ma senza precludere la possibilità di chiedere un riscatto. Il tempo passa senza che ci siano altri cambiamenti nella condizione
dei due uomini: più o meno un giorno a settimana vengono fustigati e un altro
giorno stuprati, il venerdì ricevono acqua per lavarsi. Si attendono le decisioni di Dragut, che
non arriveranno mai: il viceré di Algeri e signore di Tripoli e al-Mahdiyya muore a Malta, durante l’assedio di forte
Sant’Elmo. Il suo successore, Uluch Alì, un
rinnegato cristiano, si occupa di vendicarlo. Quando i turchi riescono a
impadronirsi di forte Sant'Elmo, ridotto a una rovina, Uluch
Alì fa massacrare i cavalieri catturati, i cui corpi sono crocifissi a tavole
di legno e spinti sulle acque del porto verso le posizioni tenute dai
cavalieri di Malta, piazzati negli altri due forti. A loro volta i cristiani
fanno decapitare tutti i prigionieri turchi e sparare le loro teste dai
cannoni verso il campo nemico. Forte Sant’Elmo era la più piccola delle tre fortificazioni e la sua
conquista è costata moltissime perdite. Rimangono intatte le due piazzeforti
maggiori, forte Sant’Angelo e forte San Michele. I turchi non intendono
rinunciare alla conquista di Malta, ma non ottengono risultati. Degli avvenimenti di Malta, da cui dipende la loro vita, Álvaro e Santiago non sanno nulla. Vivono nella loro fetida
cella, in cui il loro legame diventa ogni giorno più forte. Infine, dopo quattro mesi di prigionia, il comandante comunica loro
che il nuovo viceré è tornato. Non ha ancora inviato i suoi ordini, ma li
attendono presto. Quando il comandante esce, Santiago dice: - Álvaro, sai come avviene un impalamento? Lo ha detto con un tono neutro, leggero, come se non sapesse che
probabilmente morirà così. Álvaro lo guarda, poi risponde: - Ne ho sentito parlare. Non ho mai assistito. Santiago incomincia a narrare. - Il palo te lo fanno portare. Te lo metti in spalla. Magari un
altro schiavo ti aiuta, se non sei abbastanza forte. Tu lo sei. Álvaro alza le spalle. Santiago continua: - Quando sei arrivato a destinazione, ti legano le mani dietro la
schiena e ti sistemano con il petto su una specie di sella, in modo che tu
abbia il culo in alto. Con un forcone ti premono sul collo, costringendoti a
tenere la faccia a terra. Due uomini ti passano le corde alle caviglie e ti
forzano ad allargare le gambe. E poi… Santiago si interrompe. Sembra guardare lontano. - E poi l’aiutante del carnefice ti allarga il buco del culo con un
coltello. Tolgono la sella, ti distendono al suolo e il palo viene messo in
posizione, con la punta contro il buco sanguinante. Il boia incomincia a
picchiare con un martello di legno all’altra estremità del palo, facendotelo
entrare in culo. Ogni tanto controlla che la posizione sia quella giusta. Non
devi crepare in fretta. Álvaro vede benissimo la scena nella sua
mente. - Quando hanno finito,
sollevano il palo e lo ficcano nel buco che hanno preparato nel
terreno o in una piattaforma. E aspettano. Gli insetti ti divorano vivo. C’è un momento di silenzio, poi Santiago conclude: - Ci vogliono anche giorni interi prima di crepare. Mio fratello
morì la sera del secondo giorno, dopo che lo avevano castrato. Di nuovo silenzio, poi, di colpo, Santiago esplode: - Dio bastardo! Álvaro guarda Santiago, che ripete: - Dio bastardo! Dio fottuto bastardo! Crepare così… Álvaro rimane in silenzio. Le bestemmie
non lo turbano: da tempo ha perso la fede. A turbarlo è l’angoscia di
Santiago. Soffre a vederlo così. Da tempo ha un’idea in testa e ora è giunto il momento di esporla: - Non morirai così, Santiago. Santiago lo guarda. - Pensi davvero che ti permetterebbero di riscattarmi? No, non è
possibile, lo so benissimo. Spero che almeno tu possa salvarti. - Se sarà possibile pagare per te, lo farò. Ma non è a questo che
pensavo. - E allora? - Ti ucciderò io. Santiago guarda Álvaro, in silenzio. Poi
scuote la testa: - No. Per vendicarsi impalerebbero te al mio posto. - Se hanno deciso di impalarmi, lo faranno comunque. Se preferiscono
i soldi del riscatto, non mi impaleranno, anche se ti ho ammazzato. Santiago chiude gli occhi. - Álvaro, ascoltami bene, accetto la tua
proposta, ma solo a una condizione. - E quale sarebbe? - Che se saremo entrambi condannati al palo, sarò io a ucciderti.
Mio fratello fece lo stesso con il comandante della nave, che doveva essere impalato
con lui. - Se saremo entrambi condannati, lotteremo e il vincitore ucciderà
l’altro. - Va bene. Santiago sa di essere più forte: è un vero colosso. Ignora che Álvaro è esperto nella lotta e gli darebbe filo da
torcere. Quando infine, dopo aver rinunciato alla conquista di Malta, il
nuovo viceré Uluch Alì trova il tempo di occuparsi
del Leone e del Toro, la sua decisione dipende in ugual misura dal bisogno di
denaro e dal desiderio di vendetta. Il comandante fa chiamare Álvaro. Al
momento di lasciare la cella, il duca guarda Santiago: sanno entrambi che la
convocazione segna la fine della loro prigionia e che i loro destini stanno
per separarsi. Il comandante è nella stanza dove ha ricevuto Álvaro
la prima volta. - Duca, il viceré ha deciso che potete riscattarvi, pagando
cinquemila scudi d’oro. Álvaro annuisce, senza che l’espressione
del suo volto cambi. La somma è enorme, ma per il duca di Altacuesta
non è un problema pagarla. Altro è ciò che gli preme: - E il Toro? - Verrà impalato qui a Gerba. - Ti offro cinquemila scudi d’oro per la sua vita. Il comandante lo guarda, a bocca aperta. È una cifra che non avrà
mai modo di vedere in tutta la sua vita. Álvaro ha
deciso di giocare su questo: non offre molto denaro, offre una somma con cui
un uomo può cambiare completamente la propria esistenza. Prosegue: - Cinquemila scudi che non dovrai dividere con nessuno. Tutti per
te. Il comandante è disorientato. Non si aspettava la proposta. Scuote
la testa. - No, è troppo pericoloso per me. Se non lo impalo, sarò io a essere
impalato: lo scopriranno, se non ora, più tardi, quando il Toro Nero
riprenderà le sue scorrerie. - Ti garantisco che se recupera la sua libertà non lo farà. - No, no, rischio troppo. - Sono cinquemila scudi. Scudi d’oro, solo per te. Pensi forse di
avere un’altra occasione così in tutta la tua vita? - Con un palo in culo non mi godrò i cinquemila scudi. - Puoi lasciare queste terre. Ci accompagnerai dove avverrà il
pagamento del riscatto e ti allontanerai con cinquemila scudi. - No, è follia. Vattene. Il comandante chiama due soldati, perché riportino il duca nella
cella. Voleva farlo passare in un’altra cella, più confortevole, ma è troppo
turbato per la proposta ricevuta. A Santiago basta guardare in faccia Álvaro
per capire. L’angoscia che gli legge in viso gli dice chiaramente che Álvaro è salvo e lui verrà impalato. Se entrambi fossero
destinati a morire, l’uomo che ama sarebbe più sereno. Álvaro si siede contro la parete. Guarda
Santiago e gli dice: - Vieni qua, tra le mie braccia. Santiago si siede tra le gambe di Álvaro,
appoggiandosi con la schiena a lui. Si siedono spesso così, uno tra le
braccia dell’altro. - Non mi importa di morire. L’importante è che tu sia libero. Álvaro scuote la testa. Rimangono un buon momento in silenzio, poi Santiago dice: - Raccontami di come vivremo, quando saremo liberi. Álvaro si morde un labbro, poi annuisce. - Sì, quando saremo entrambi liberi... Respira a fondo, poi riprende: - Naturalmente, quando la Spagna avrà bisogno di uomini, combatteremo
fianco a fianco. - In battaglia ti proteggerò da chi ti attaccherà. Ti starò sempre
vicino e con la mia spada trapasserò tutti quelli che cercheranno di
colpirti. Non lascerò che nessuno ti ferisca. Hai già troppe cicatrici. - E io farò lo stesso con te. Combatteremo fianco a fianco. - Sarò il tuo vice in guerra, ma parlami della nostra vita in pace. - Vediamo un po’. Tu non hai girato molto l’Europa, per cui una cosa
che dobbiamo fare è viaggiare. Conosci un po’ la Spagna? - Pochissimo. Mi sono imbarcato giovanissimo e non ho mai avuto modo
di girarla. - Allora incominceremo dalla Spagna. Andremo in pellegrinaggio a
Santiago di Compostela, dal santo di cui porti il nome. Percorreremo una
parte del cammino a piedi, come se fossimo due pellegrini qualsiasi. - Mi piace l’idea di camminare con te per giornate intere, fianco a
fianco, parlando e tacendo. - Poi vedremo l’Alhambra, la reggia dei re mori, a Granada, e i
giardini del Generalife. Di certo non hai mai visto
tanti fiori, vasche, fontane. Il Paradiso terrestre. - Dev’essere un posto meraviglioso. - Lo è. E poi andremo a Salamanca, a vedere l’università. - Un’università, per uno ignorante come me, che sa appena leggere e
scrivere… - Potrai vantarti di essere stato nella migliore università di
Spagna. Álvaro ride e prosegue: - Poi ti porterò a Parigi, a Londra e soprattutto in Italia. Vedremo
i resti dell’antica Roma, le arene come quella di Verona e il Colosseo, e io
ti racconterò la storia di quei monumenti. Immagineremo di essere due
gladiatori che combattono per il divertimento degli spettatori. - E io ti chiederò di spiegarmi le cose che non capisco. Tu riderai
di certe mie domande. - Vedremo le chiese, con le loro splendide opere d’arte, le statue,
i quadri, gli affreschi. - Tu mi racconterai di pittori di cui non ho mai sentito il nome e
poi, in una chiesa, nell’ombra di una cappella, mi accarezzerai. - Quando saremo in Spagna, ogni tanto andremo a Madrid, a vedere
qualche spettacolo. Spero che ti piaccia il teatro. - Pensi che abbia avuto molte occasioni di andare a teatro? - Motivo di più per provare. Ti racconterò le storie delle opere che
vedremo, così potrai seguirle meglio. E se qualche attrice ti farà gli occhi
dolci, mi arrabbierò e ti farò una scenata di gelosia. - Saranno molte di più quelle che faranno gli occhi dolci a te, al
bel duca. Ma io sopporterò in silenzio. - Sopporterai perché sai benissimo che non baderò alle attrici.
Andremo a teatro anche in Italia, dove si vedono cose molto più interessanti,
alle corti dei signori. - Non credo che mi inviteranno. - Otterrò dal re un titolo nobiliare per te e insieme a me potrai
accedere ovunque. Ti stupirai degli usi delle corti, ammirerai a bocca aperta
i palazzi affrescati dei nobili italiani, le loro collezioni di quadri.
Assisteremo insieme ai concerti. - E sopporterò gli sguardi indignati delle gran dame, quando farò
qualche cosa che non avrei dovuto fare, a tavola o a un ricevimento, o magari
mi addormenterò a un concerto. Ma tu non mi chiederai di partecipare a un
ballo o addirittura di invitare qualche dama a ballare, spero. - Non c’è rischio. Non ballo mai. E comunque ti terrò d’occhio e ti
guiderò, passo per passo, perché tu non commetta errori. Ma sentendo delle
tue imprese, le dame ti perdoneranno qualche piccola violazione dell’etichetta. - E io ascolterò il racconto delle imprese del Leone, che ripeterai
mille volte, ma non mi verranno mai a noia. - Poi in estate andremo nella mia tenuta delle Alpujarras.
Lì saliremo sui monti della Sierra Nevada, dove la neve rimane tutto l’anno.
Cammineremo per i prati, dormiremo nelle capanne dei pastori. - Il duca di Altacuesta che dorme in una
capanna di pastori? - Il duca di Altacuesta ha passato gran
parte della sua vita navigando e combattendo e in molte occasioni una capanna
di pastori gli sarebbe sembrata una reggia, se avesse potuto averla. - Va bene. Mi coprirò la testa con un bel cappello, perché il sole
non mi bruci. - Però ti terrai la barba. Mi piaci molto con la barba. - Va bene. Cammineremo per ore, fermandoci vicino a un ruscello per
consumare il pasto che ci siamo portati. - Sì. E poi, quando saremo stanchi di passeggiare tra i monti,
scenderemo sulla costa. Conosco un posto vicino ad Adra dove potremo
bagnarci. Credo che tu sappia nuotare. Santiago ride. - Un corsaro che non sa nuotare è un corsaro morto. - Allora potremo bagnarci, soprattutto a settembre, quanto il mare è
caldo. - Ci spingeremo al largo, nuotando, facendo a gara per raggiungere
uno scoglio lontano. E poi, vicino a riva, giocheremo come due bambini, ti
metterò la testa sott’acqua e la terrò mentre tu tenterai di liberarti. Álvaro ride, poi riprende: - Se ti piace la caccia, nella mia tenuta vicino ad Aranjuez c’è molta selvaggina, perché io non caccio quasi
mai. - Non amo la caccia. Passeggeremo tra i boschi, spiando gli animali.
Ci bagneremo nei torrenti. - E quando saremo vecchi, staremo accanto al fuoco del camino e io
ti leggerò qualche libro di avventure, scegliendo quelli che possono
piacerti. - E io ti ascolterò, guardandoti. Magari non seguirò la storia, ma
mi piacerà sentire il suono della tua voce e vedere il tuo viso. Tacciono entrambi un momento. È bella la vita che hanno sognato. Mentre il sogno di una vita insieme lentamente si dissolve, Santiago
cerca di vincere la commozione che lo ha preso in gola. Dice: - L’elenco è bellissimo, ma mi sembra che manchi un elemento essenziale. - Cioè? - Scopare. Álvaro ride. - Quello lo faremo ovunque. Nella camera da letto del mio palazzo di
Madrid o di quello di Aranjuez passeremo l’intera
notte scopando e ci metteremo a dormire solo il mattino: ci alzeremo a
mezzogiorno e i servitori si stupiranno nel vedere il duca, che si alza
sempre presto, scendere dal letto così tardi. - In montagna cercheremo un angolo nascosto tra gli alberi. Ti
spoglierò e tu mi spoglierai. Poi mi metterò a quattro zampe e tu mi
infilzerai. - Al mare ci spingeremo al largo nuotando, fino a qualche scoglio.
Rimanendo in acqua, io attaccato alla roccia, tu dietro di me, mi prenderai,
infilandomi il cazzo in culo, bene a fondo. Io stringerò i denti, perché
sarai entrato in modo troppo deciso, ma nonostante il dolore sarà bello
sentirti dentro di me. - Nella capanna del pastore che ci ospita dovremo essere più cauti.
La notte, sotto la coperta, la mia mano cercherà il tuo cazzo, lo stringerà
forte e lo accarezzerà finché verrai. - A Parigi lo faremo a teatro, in un palco. Tu rimarrai seduto a
guardare lo spettacolo, mentre mi inginocchierò ai tuoi piedi e prenderò in
bocca il tuo cazzo, succhiandolo fino a che il tuo sborro non mi riempirà la
bocca. - Quando saremo nella cattedrale di Santiago di Compostela il
desiderio ci prenderà e io ti spingerò in un confessionale vuoto, anche se tu
mi dirai che è una follia. Ti inculerò lasciandomi trascinare dal desiderio,
sapendo di farti male. - Ma poi mi abbraccerai e mi terrai stretto e il dolore si calmerà. - C’è una cella, in uno dei tuoi castelli? - Certo, in quello delle Alpujarras. - Allora, per ricordarci di questi giorni, una volta scenderemo
nella cella e ci rimarremo due giorni, con solo un bugliolo. Álvaro ride e dice: - Porterò una frusta e ti fustigherò. - E io ti piscerò sulla testa e in faccia. - Quando avrai finito di pisciare, prenderò in bocca il tuo cazzo e
lo succhierò, finché non sarà duro. - E allora ti forzerò a stenderti sul pavimento lurido della cella e
ti inculerò. Ridono tutti e due. Poi c’è un lungo momento di silenzio. - È bella la vita che mi regali. - È bella perché siamo insieme. - È un bel sogno. Dopo un breve silenzio Santiago prende con delicatezza le mani di Álvaro, le porta al suo collo e dice: - Fallo ora, voglio finire con il sogno della vita che non vivremo.
Spero che tu sia felice. E mentre lo dice, Santiago pensa che era davvero un bel sogno. Spera
che Álvaro lo possa realizzare con qualcun altro,
ma il pensiero è dolorosissimo. Era il loro sogno. Le parole di Álvaro gli dicono quello che
già sa: - Non potrò mai essere felice senza di te. Santiago chiude gli occhi, poi dice: - Sono pronto, Álvaro. Ma Álvaro abbassa le mani. - No, la notte porta consiglio. Anche al comandante del forte.
Proverò ancora. La mattina seguente Álvaro chiede di
riparlare con il comandante del forte. Viene ricevuto. Non fa in tempo ad
aprire bocca, che l’uomo lo assale: - Non farmi perdere altro tempo. Non posso farlo. Non se ne parla
neanche. Dentro di sé Alvaro sorride. Il nervosismo dell’uomo e la sua faccia
tirata, che tradisce la mancanza di sonno, gli dicono che l’uomo ha passato
la notte a valutare la proposta. E che vuole essere convinto. - Come vuoi, ma magari, se mi dici quali sono le difficoltà,
possiamo trovare una via d’uscita. - Non ce ne sono. - Proviamo. Che cosa ti costa? - Devo impalare il Toro. Se non lo faccio si saprà e se si sa, il
palo aspetta anche me. - Con un po’ d’oro, che posso mettere io, questa si risolve
facilmente. - E come? - Procurati un prigioniero cristiano che sia stato condannato a
morte: ce ne sono, senza dubbio. Álvaro sa che potrebbe servirsi di
qualsiasi prigioniero e che senza dover cercare un condannato a morte sarebbe
tutto molto più semplice, ma non vuole far morire un uomo per salvare
Santiago: gli sembrerebbe infame. - E poi? - Poi gli radi i capelli e lo fai impalare. Il Toro non l’ha visto
nessuno, per cui tutti crederanno che sia lui. - Gli uomini della guarnigione lo hanno visto. - Questa si risolve facilmente. Dici che il Toro sarà portato da
un’altra parte, ma che non hai voluto togliere alla popolazione dell’isola il
gusto di vederlo impalare. - Prima o poi si saprebbe. - Forse, ma non tanto presto. Avresti tutto il tempo per andartene.
E con cinquemila scudi non penserai mica di rimanere qui, in questo buco del
culo di posto? Puoi stabilirti da qualche altra parte e goderti il denaro: a
Costantinopoli, dove nessuno ti riconoscerà, o in qualche regno cristiano.
Con cinquemila scudi puoi vivere dove vuoi, anche a Madrid, dicendo di essere
stato costretto a convertirti per salvare la pelle. Il comandante annuisce, sovrappensiero. Poi guarda Álvaro e dice: - E allora che cosa proponi? - Fai impalare l’uomo condannato, poi saliamo su una nave e mi porti
a Tolone, dove avrai cinquemila scudi per il Toro e ce ne saranno altri
cinquemila per il mio riscatto. Deciderai tu se farli avere al tuo viceré,
che li spartirà con il sultano, o se invece ti terrai anche quelli. Potresti
farlo, se non torni in territorio turco. Il comandante guarda Álvaro. Non aveva
pensato alla possibilità di tenersi anche gli altri cinquemila scudi. Scuote
la testa, incredulo. Diecimila scudi. Di che vivere la vita di un gran
signore… - Se qualche cosa va storto… - Se non commetti errori, nulla può andare storto. Si è riunita una grande folla per assistere all’impalamento del Toro
Nero che avverrà vicino alla torre dei crani, dove già venne giustiziato il
fratello, il famoso Toro Andaluso. L’arrivo del prigioniero è accolto da grida di gioia. Il condannato
passa tra la gente che lo dileggia e lo insulta, chiamandolo Hıristiyan köpek, cane cristiano. Il palo è pesante e l’uomo
suda abbondantemente, nonostante sia ancora molto presto e l’aria sia fresca.
Ben presto lo sfregamento del palo irrita la pelle, che si spacca. Un po’ di
sangue cola dalla spalla. Tutti si aspettavano un colosso, come il fratello, perché così
veniva descritto, ma in realtà quest’uomo non è così alto e robusto come
immaginavano. Non ha importanza: è comunque un uomo forte e offrirà un bello
spettacolo. Il condannato raggiunge infine il luogo dell’esecuzione, dove è
stato portato Álvaro, le mani saldamente legate
dietro la schiena. La gente osserva, incuriosita il duca di Altacuesta. Quest’uomo, sporco e maleodorante, è il
famoso Leone. Le numerose cicatrici sul suo corpo sono una prova del suo
valore, ma a vederlo così, senza vestiti, lurido, sembra più un folle o un
vagabondo. L’impalamento si svolge esattamente come Santiago l’ha descritto ad Álvaro. Il duca assiste senza tradire nessuna emozione. Il palo viene issato, mentre la folla urla la sua gioia. L’uomo però perde i sensi molto presto: meno di un’ora dopo che il
palo è stato issato è già incosciente e non dà segno di vita neppure quando gli
gettano un secchio d’acqua sporca in faccia. La folla è delusa: l’agonia è stata troppo breve; il boia deve aver
sbagliato nell’inserire il palo. Álvaro non è stupito: pagherà, insieme al
suo riscatto, anche il veleno in cui è stata immersa la lama del coltello,
prima che venisse usata per allargare il buco del culo del condannato. Il riscatto viene pagato a Tolone, dove il re di Francia ha concesso
alle navi turche di fermarsi. La somma concordata viene versata fino
all’ultimo scudo. Álvaro e Santiago possono salire su una
nave che li riporterà nella loro patria. Prima di imbarcarsi si lavano con
cura e cambiano i panni che hanno ricevuto dai turchi con altri abiti. In
tarda mattinata la nave salpa e si dirige verso la Spagna. È notte fonda. La nave è ormeggiata al largo e Álvaro
è appoggiato al parapetto, in un punto in cui la luce lunare non arriva. Un’ombra si avvicina alle sue spalle. Álvaro
sente un corpo che aderisce al suo e due braccia che lo stringono. Sorride,
mentre avverte sul collo il solletichio di una
fitta barba. La voce che gli sussurra nell’orecchio gli è ben nota. - Ma ti sembra il caso di lasciarmi da solo in cabina? In questi
mesi mi sono abituato ad averti sempre vicino quando mi svegliavo. Destarmi
nella prima notte di libertà e non trovarti accanto è stato tristissimo. Non
vorrei che prendessi l’abitudine di mollarmi così. Mi avevi promesso ben
altro. Mentre parla, Santiago fa scorrere le mani sul corpo di Álvaro. Una si è infilata nei pantaloni e afferra il
cazzo. L’altra stringe il culo attraverso la stoffa. - E anche tutti questi vestiti in mezzo... Era così comodo, quando
eravamo tutti e due nudi. Non si perdeva tempo. - Dormiremo ancora nudi insieme, magari sotto una bella coperta
calda, quando farà freddo. Rimangono così, Álvaro stretto tra le
braccia di Santiago. - Perché ti sei alzato? - Non riuscivo a dormire, Santiago. La tensione di questi giorni, il
timore che qualche cosa andasse storto, bastava un nonnulla… Se qualcuno
avesse sospettato che quel prigioniero non era il Toro Nero, ma un pirata
cristiano condannato a morte per aver stuprato e ucciso due donne… Un
condannato pagato a peso d’oro per poterlo giustiziare a Gerba. E il viaggio,
se qualcuno avesse detto che anche il Toro si era imbarcato sulla nave… - È andato tutto bene. - Sì, è vero. Ma sono ancora teso… e poi, se vuoi la verità… pensavo
a questi mesi. - Sono finiti, Álvaro. - Santiago… in questi mesi, in quella cella soffocante, tra piscio,
sudore e merda, tra le violenze e le umiliazioni, le frustate e gli stupri,
nella continua attesa della morte… Álvaro si interrompe, non sa come
esprimere ciò che prova. Santiago prosegue per lui: - …in qualche modo sei stato felice. È questo che vuoi dire? - Come hai fatto a capirlo? - Perché sono stato felice anch’io, Álvaro.
E conto di esserlo, anche senza frustate, stupri, umiliazioni… perché la mia
felicità non dipendeva certo da quello, ma da te. Álvaro lascia che Santiago gli cali i
pantaloni e le mutande. Sente due dita inumidite preparare la strada, poi il
grosso cazzo del suo compagno si fa strada dentro di lui. È un po’ doloroso,
anche se ormai è abituato. Si dice che è il giusto inizio della vita che hanno
sognato. * Il sole è sorto e nella stanza ora si vede bene. Álvaro
sente un movimento e si volta verso Santiago, che gli sorride. Ha il cazzo
duro, come quasi ogni mattina. - Vi siete destato, barone? Álvaro ha ottenuto che a Santiago venisse
dato il titolo di barone di Villacidro: questo gli apre le porte dei palazzi
nobiliari, quando viaggiano insieme. Ogni tanto si diverte a dargli del voi,
ironizzando sul titolo. Santiago risponde a tono: - Sì, eccellenza. E il mio cazzo baronale sente il bisogno di un
culo ducale. A meno che il vostro cazzo ducale non desideri prima un culo
baronale. - Avrete entrambi, barone. Sapete bene che sono sempre a vostra
disposizione. 2023 |