Il palo Tra pochi minuti avrebbe
rivisto Pritz. Tra pochi minuti avrebbe ucciso Pritz. Per un attimo il fiato gli mancò ed ebbe la sensazione
di barcollare. Si fermò nel corridoio, ma il carceriere si voltò e Gunther riprese a seguirlo. Aveva la gola secca.
Avrebbe rivisto Pritz. Per l’ultima volta. Era una
settimana che non lo vedeva, da quando era stato catturato. Avevano combattuto
insieme dieci anni, per il re di Francia, prima, per la repubblica di
Venezia, poi. Erano vissuti insieme dieci anni, affrontando ogni giorno la
morte. Avevano dormito uno a fianco dell’altro, mangiato insieme. Avevano
scopato insieme, non l’uno con l’altro, ma con due puttane o magari con la
stessa. E al solo pensiero del grosso cazzo di Pritz
teso come una lama di Toledo, Gunther sentiva che
le gambe gli cedevano. Sapeva benissimo che cosa
stava succedendogli. Per anni avevano fatto finta di niente, come se Pritz fosse stato davvero soltanto il suo secondo, un
soldato di ventura abile ed esperto, il suo migliore amico, il suo compagno
di avventure. E poi la cattura di Pritz a opera dei
turchi aveva squarciato il velo. Aveva finalmente capito ciò che aveva
cercato di non vedere prima. Ora. Ora che era troppo tardi, perché domani
avrebbero impalato Pritz sulla piazza di Pristina,
la fine peggiore per un uomo, quella che ti fa desiderare di non essere mai
nato. Era venuto per quello, per
uccidere Pritz, per evitare di vederlo agonizzare
sotto il sole cocente di agosto per ore e ore. Perché sarebbe venuto a
vederlo, anche se rischiava la pelle, Gunther lo
sapeva benissimo. Sarebbe stato sulla piazza fino all’ultimo, finché in Pritz fosse rimasta una scintilla di vita. No, doveva uccidere Pritz prima, risparmiargli quell’agonia. Non poteva
salvarlo, la prigione della fortezza era perennemente sorvegliata e loro
erano rimasti in quattro, un assalto sarebbe stato impensabile. Corrompere le
guardie era impossibile: se il prigioniero fosse fuggito, il comandante
avrebbe fatto impalare loro. L’unica cosa che aveva ottenuto, ungendo un po’
di mani, era di poterlo vedere ancora una volta. Non poteva salvarlo. Ma poteva ucciderlo. Non aveva armi. Non aveva
portato nulla, sapeva che all’ingresso lo avrebbero costretto a lasciare
tutto quello che portava. Aveva solo il saio che indossava e la corda che lo
legava. La corda che avrebbe usato per strangolare Pritz
e risparmiargli una fine atroce. Gunther aveva ottenuto di entrare nella fortezza
come confessore. Pagando il giusto, aveva ottenuto che il prigioniero
cristiano potesse confessarsi. Pritz era cristiano
quanto Gunther: era stato battezzato, come tutti,
ma nessuno dei due pensava certo a Dio o ai santi. Il carceriere lo
introdusse nella cella, immersa in una penombra densa. L’apertura in alto
lasciava appena filtrare un po’ di luce e Gunther
vedeva a malapena la sagoma di Pritz contro una
parete. C’era un forte odore di piscio e di sudore. L’aria era soffocante,
greve di un calore che stordiva. - Bussa
quando avete finito. Ma non metterci troppo, altrimenti veniamo noi. Gunther annuì al carceriere. In quel momento
sentì la voce profonda di Pritz. - Per me
puoi andartene anche subito, frate dei miei coglioni. Gunther non disse nulla. Aspettò che il
carceriere uscisse, poi si avvicinò a Pritz e si
tolse il cappuccio. La
maschera irosa di Pritz si trasformò in uno sguardo
di incredulità. - Gunther! Qui!? Sei pazzo! Che cazzo sei venuto a fare?
Non puoi pensare di liberarmi! - Non
sono venuto a liberarti, Pritz. Non è possibile. Ci
sono troppi soldati ed io non ho potuto portare armi. Pritz si morse leggermente il labbro
inferiore, poi, dopo un momento di silenzio, disse: - Che
cosa conti di fare? - Voglio
evitarti di finire impalato sulla piazza domani, ad agonizzare per ore ed
ore mentre la folla si gode lo spettacolo… - E come
pensi di riuscirci? -
Strangolandoti con questa corda, Pritz. Non ho
altra via. È tutto quello che posso fare per te. Pritz rise. Una risata aspra, che Gunther conosceva bene. - Essere
strangolato da te. Perché no, capitano? Credo che mi piacerà. Le tue mani che
mi stringono la corda intorno al collo. Non è una brutta fine, Gunther, meglio del palo in culo. Seguì un silenzio, mentre i due uomini
si guardavano. Gli occhi di Gunther si erano ora
abituati alla fioca luce ed egli poteva vedere meglio Pritz,
in piedi contro il muro. Le corde, fissate ad un anello in alto sul muro, gli
tenevano le braccia un po’ sollevate, con le mani all’altezza delle spalle. Gunther guardò il viso imperlato di sudore, il groviglio
di peli sotto le ascelle, il torace muscoloso, il ventre, il grande sesso, le
gambe percorse dai segni delle frustate. Cercò di
scuotersi. - Non mi
hanno permesso di portare nulla, tranne la corda che chiude l'abito. Sotto il
saio sono nudo come un verme. Pritz lo fissava e a Gunther
sembrò che nei suoi occhi passasse un lampo. - Togliti
il saio. Voglio vederti. La voce
di Pritz, roca e profonda, gli tolse ogni volontà. Gunther rimase un attimo paralizzato. Poi eseguì, senza
darsi il tempo per riflettere: si slacciò la corda e si sfilò il saio. Rimase
nudo di fronte al compagno, nelle mani la corda che le sue dita
intrecciavano senza che Gunther se ne rendesse
conto. Nuovamente avvertì la sensazione del fiato che gli mancava e un vago
senso di nausea. Gli parve che tutto si confondesse e poi ritornasse nitido.
Senza fissare lo sguardo su nulla, ogni dettaglio del viso che aveva davanti
sembrava acquistare una particolare nettezza: i capelli corti e grigi di Pritz, che il sudore gli appiccicava alla fronte; un po’
di sangue raggrumato su una tempia e la pelle umida; gli occhi di Pritz, quegli occhi grigi come i capelli, che lo
fissavano; i peli corti della barba e i baffi lunghi e spioventi, le labbra
carnose, socchiuse. -
Avvicinati. Il suo
corpo ubbidì, senza che la sua mente intervenisse. Quando fu ad una spanna da
Pritz sentì sotto i piedi nudi il pavimento bagnato
e l'odore acre di piscio divenne più forte. - Sei
bellissimo. Le parole
di Pritz lo sorpresero. Lo guardò, senza trovare
nulla da replicare. La sua mente si rifiutava di ragionare, si limitava ad
accogliere ciò che i suoi occhi e le sue orecchie le trasmettevano, senza
intervenire. Guardò Pritz negli occhi. Per un
attimo formulò un pensiero: era Pritz a essere
bellissimo, non lui. Ma non lo espresse. -
Capitano, sei davvero bellissimo. Te lo avrei detto prima, ma eri il
capitano, non potevo. Voltati. Gunther aprì la bocca, senza emettere un suono.
Sapeva che se si fosse voltato, il mondo sarebbe precipitato. L’ultima sua
difesa, l’ultima possibilità di non perdersi completamente, di non
annichilirsi, era quella di non ubbidire. Ne era perfettamente cosciente, ma
sapeva anche, con altrettanta sicurezza, che si sarebbe voltato, che avrebbe
obbedito a ogni ordine di Pritz. Perché le parole
di Pritz erano ordini che non poteva discutere, non
richieste. Erano una volontà superiore, di fronte alla quale la sua
scompariva. O, piuttosto, esprimevano la sua vera volontà. Pritz gli disse ancora, sottovoce: - Cazzo,
voltati, Gunther, voglio vederti il culo. Gunther guardò Pritz
negli occhi, poi lasciò che il proprio sguardo scendesse fino al grande sesso
che si stava inturgidendo. Deglutì e si voltò, lentamente. - Hai un
culo splendido, capitano. Vorrei incularti una volta. Gunther chiuse gli occhi. Per un attimo pensò
che avrebbe ceduto immediatamente, che sarebbe arretrato fino a sentire il
magnifico cazzo di Pritz contro il suo culo. Poi
qualche cosa si riscosse in lui, sentì la necessità di una resistenza in cui
non credeva, che sapeva superflua. Si girò di scatto. - Cosa
dici, Pritz? Ansimava.
E non voleva sapere che cosa stava succedendo al suo corpo, in cui avvertiva
una tensione crescente. - Quello
che ho detto, Gunther. Non me ne fotte niente di
finire in un modo o nell’altro. Quello che voglio davvero è metterlo in culo
a te. Gunther deglutì nuovamente. Si sforzò di
resistere, senza sapere perché lo faceva, come un uomo trascinato alla forca,
che sa benissimo di non avere via di scampo, ma lotta perché non può farne a
meno, perché la paura gli impedisce di affrontare la morte con dignità. Gunther aveva guardato la morte negli occhi molte volte,
ma ora sapeva di aver paura ad accettare la sua sconfitta di maschio, una sconfitta
che voleva con tutte le proprie forze. Cercò di impedire che la voce gli
tremasse quando rispose: - Non è
mia abitudine farmelo mettere in culo. E mentre
parlava, Gunther si diede del vigliacco, perché avrebbe
dovuto rispondere che lo desiderava quanto Pritz,
se non di più. Perdeva tempo prezioso in una schermaglia inutile, camuffava
ciò che provava, senza nessuna ragione. - Lo so Gunther, sei un maschio, per questo mi viene duro alla
sola idea di mettertelo in culo. Perché sei un uomo, Gunther.
Gunther, stai per ammazzarmi. Nessuno lo saprà mai.
È l'ultima cosa che posso avere. Sono sempre stato al tuo fianco. Ti
desidero. Puoi vederlo da te. Il cazzo
ormai quasi eretto era altrettanto eloquente delle parole, ma molto più
inquietante. Pritz mormorò ancora il suo nome,
l’ultimo colpo per spalancare una porta che già era aperta: - Gunther. Gunther guardò le labbra di Pritz
ed a fatica si trattenne dal baciarle. Chinò la testa. Il suo sguardo si
avvinghiò al cazzo trionfante, alla cappella che svettava rosseggiante. - Sai
quello che mi chiedi, Pritz? - Sì, Gunther, come tu sai quello che mi aspetta. Gunther si avvicinò fino a sfiorarlo e lo fissò
negli occhi. Poi lasciò cadere la corda e si voltò di scatto, dando la
schiena al compagno: appoggiò il suo corpo su quello di Pritz.
Gli sembrava che le gambe fossero sul punto di cedere. - Grazie,
Gunther. Pritz si abbassò, in modo da poter introdurre
il cazzo tra le cosce di Gunther. - Bagnati
un po’ il buco del culo ed allarga le chiappe, ti farò meno male. Gunther rise, una risata quasi stridula. - Certo,
devo anche prenderti il cazzo e mettermelo da solo in culo? Ma mentre
lo diceva, si sputò sulla mano e si inumidì il buco. Lo sentì cedere sotto le
dita e la sensazione lo stordì. Poi divaricò le gambe e con la destra prese
davvero il cazzo di Pritz. Era magnifico sentirlo
caldo e vibrante nella mano. Avrebbe voluto gustarlo con la bocca, ma questo
lo avrebbe fatto dopo. Sputò
ancora sulla sinistra e con le dita accarezzò la punta dell’arma, poi la
portò fino al buco del culo. Il contatto lo fece sussultare. A malincuore
lasciò il cazzo, ormai pronto ad avanzare, e si pose le mani sulle natiche,
allargandole. Si appoggiò all’arma, facendone penetrare leggermente la punta
in culo. In quel
momento le ultime difese crollarono e Gunther
mormorò: - Ora, Pritz, ora! Allora Pritz spinse con decisione, infilando il cazzo dentro il
culo dell’amico. Gunther sentì che le sue viscere
venivano riempite e dilatate e si morse il labbro per non urlare il dolore ed
il piacere che lo stordivano. Sentì un
gemito di Pritz e poi le sue parole ardenti, mentre
una spinta violenta incendiava il suo corpo: - Erano
anni che lo desideravo. Vale la pena di crepare, per questo. Gunther pensò che era vero, che quel cazzo in
culo valeva davvero la sua vita. Pritz spingeva con forza. Le sue mani
poggiavano sulle spalle di Gunther, che passò le
braccia dietro la schiena del compagno, stringendogli i fianchi. Gunther chiuse gli occhi perché nuovamente gli sembrava
che il mondo oscillasse. Sentiva quel magnifico palo che lo trapassava e
senza pietà si spingeva in avanti, riempiendogli le viscere a dismisura, per
poi ritrarsi, lasciandolo dolorante e smanioso di sentire di nuovo dentro di
sé quella presenza vigorosa. Sentiva
nelle orecchie il respiro affannoso di Pritz ed il
miscuglio di odori di piscio e di sudore, che lo inebriava. Contro la sua
schiena la carne di Pritz, calda ed umida, dentro
di lui quel cazzo potente che lo sconquassava senza tregua. Ma Gunther non avrebbe voluto una tregua, anche se il dolore
cresceva. Non desiderava requie, voleva che quel tormento splendido
proseguisse per sempre. E Pritz proseguiva, senza
lasciargli scampo, con l’energia ed il vigore che aveva sempre dimostrato
scopando. Gunther non aveva mai provato nulla del genere,
non pensava che potesse esistere, un dolore così splendido e forte, un
piacere così terribile. A tratti gli pareva di non essere più in grado di
reggere, ma per nulla al mondo avrebbe voluto che quella tortura si
interrompesse. Il cazzo si stava riempiendo di sangue e si alzava, vigoroso,
segno inequivocabile del piacere di Gunther. Gunther si rese conto di aver incominciato a
gemere. Reclinò la testa sulla spalla di Pritz. Si
accorse che un po’ di saliva gli stava scivolando dall’angolo della bocca.
Gemeva più forte. “Come un porco” pensò, ma non poteva chiudere la bocca. Il
piacere salì ancora e gli bloccò il respiro. Rimase in silenzio, mentre le
spinte di Pritz diventavano ancora più forti. Si udì
solo l'ansimare di Pritz, fino a che questi venne
con un ringhio sordo. Gunther sentì il fiotto che gli si spargeva
nelle viscere. - Grazie Gunther. Gunther non parlò, le sensazioni che provava
erano troppo forti. Pensò che avrebbe voluto farsi una sega mentre ancora
stringeva il cazzo di Pritz tra le chiappe. Si
appoggiò completamente a quel corpo, sollevò la testa e disse: - È stata
la cosa più bella della mia vita. Sentì la
risata di Pritz, una risata di gioia e di sollievo,
mentre le sue mani gli accarezzavano le spalle. Non potevano scendere oltre,
perché la corda le bloccava. Ma Gunther pensò che
era una sensazione bellissima. Gunther si voltò nuovamente verso Pritz e lo fissò, senza parlare. Il cazzo era sempre
duro: anche questa era una cosa che aveva notato altre volte. A Pritz rimaneva duro un buon momento dopo essere venuto e
se si metteva di nuovo a scopare, era in grado di venire una seconda volta
senza che il cazzo avesse perso volume e consistenza, se non in misura
minima. Pritz sorrideva. Poi, dopo
un lungo momento in cui rimasero immobili a guardarsi, fu Pritz
a rompere il silenzio. - Se vuoi
uccidermi, ti ringrazio. Se no, il palo non mi fa paura. Grazie, Gunther. Sorrideva
ancora, ma il suo sorriso era cambiato, non più gioioso, ma sereno. Pritz accettava la propria morte, ma per Gunther non era così facile: scosse la testa, senza
parlare. Sapeva che non aveva più scelta. Prima di entrare nella cella, prima
che Pritz lo possedesse, ciò che aveva pensato
aveva ancora un senso, ora non più. Tacque un lungo momento, poi, con uno
sforzo, disse quanto aveva da dire. - Ti
ucciderò e mi ucciderò. Moriremo tutti e due. Sul viso
di Pritz sbalordimento e angoscia cancellarono ogni
traccia di sorriso. - No. Tu
no. Perché? -
Anch'io, perché senza di te... Si
interruppe, poi riprese: - Credi
che non lo volessi anch'io? L'ho sempre voluto, ma non ho avuto mai il coraggio
di dirtelo, neppure il coraggio di dirmelo. Ti guardavo, guardavo il tuo
grosso cazzo mentre scopavamo qualche puttana e mi tirava di più, ma facevo
finta di niente. - Ma
perché morire, Gunther? Non servirebbe a nulla. - Che
cosa credi, che voglia vivere continuando a pensare al tuo cazzo, a farmi le
seghe immaginando che me lo stai mettendo in culo? Oppure che mi faccia fottere
da Jacques o da Reinhard, pensando che sei tu a
scoparmi? Non ha senso. Visto che non posso salvarti, crepiamo insieme. Mentre
parlava aveva formato un nodo scorsoio e rapidamente lo passò intorno al
collo di Pritz, dando un leggero colpo. Il cappio
si strinse e Pritz cominciò a sentire la pressione
della corda. - Tu no, Gunther! Cazzo, non voglio… Nella
voce di Pritz vibrava l’angoscia, ma Gunther sapeva di non avere nessun’altra possibilità. Non
poteva immaginare di vivere senza Pritz. Mezz’ora
prima l’idea che Pritz morisse era angosciosa, ma Gunther era pronto ad affrontarla. Ora gli pareva
inaccettabile. - Taci!
Non voglio vivere senza di te. Le parole
che aveva pronunciato gli parvero troppo forti. Provò vergogna di quella
confessione troppo diretta, che gli parve quasi indegna di un soldato, ed
aggiunse, sorridendo: - Senza
di questo. Stava
barando, mettendo il suo violento desiderio per il cazzo di Pritz al posto di un sentimento che andava molto oltre
quello che era successo. Non voleva vivere senza Pritz,
questa era la verità. La sua
mano strinse il cazzo di Pritz, che aveva chinato
il capo, e prese ad accarezzarlo, poi Gunther si
chinò e lo prese in bocca, incominciando a leccarlo e succhiarlo, ripulendolo
con cura delle tracce di sborro e di un po’ di sangue. Sentì, per la prima
volta nella sua vita, il gusto del seme di un maschio. L’arma di
Pritz si gonfiò nuovamente. Pritz
chiuse gli occhi, abbandonandosi completamente alle sensazioni tumultuose, troppo
forti per lasciare spazio ad altro, a pensieri e dubbi. Ci sarebbe stato
tempo, dopo. Gunther continuò il suo lavoro, mentre
con la destra si accarezzava. Quando furono entrambi ormai prossimi
all'orgasmo, Gunther si interruppe e parlò: - Ora
sapresti dirmi di smettere? Di rinunciare a te e di vivere? Pritz scosse la testa. Gunther
lo credeva davvero tanto folle da accettare questo ricatto? Da provocare la
morte dell’uomo che amava, per il piacere delirante che la bocca di Gunther gli dava? - Vivi, Gunther. La voce
di Pritz era alterata, ma decisa. La mano
di Gunther scese tra i testicoli di Pritz, poi risalì lungo l'asta tesa. Allora Gunther si voltò ed arretrò fino a che sentì il grosso
cazzo di Pritz contro le sue cosce. Lo prese con la
mano e di nuovo lo introdusse tra i fianchi. L’ingresso rinnovò il dolore e
gli sembrò che fosse un coltello ad entrare dentro di lui. Eppure il
desiderio era molto più forte del dolore e l’unica cosa che davvero
desiderava in quel momento era quel palo devastatore che il suo culo
accoglieva. Spinse
indietro il culo, molto adagio, finché non fu contro il corpo di Pritz ed il palo non fu interamente dentro di lui. Allora
parlò di nuovo. - Devo
fermarmi? Ora? -
Fermati. La voce
di Pritz era quasi una supplica. Gunther mosse due volte il culo avanti e indietro, in
modo che il cazzo di Pritz lo penetrasse fino in
fondo e poi quasi uscisse. - Sicuro? Pritz ansimava, ma la sua voce non si
incrinava. - Cazzo,
capitano, a questo prezzo no. A questo prezzo, preferisco il palo. Lasciami
crepare e vattene. Capitano… La voce
di Pritz si spezzò. Gunther
sorrise. Si mosse nuovamente, avanti e indietro, molto lentamente, mentre si
accarezzava l’arma. - È bello
sentire il tuo cazzo dentro di me. È un palo e voglio essere impalato da te. Accelerò
il movimento del culo. Chiuse nuovamente gli occhi, perdendosi in sensazioni
troppo forti, finché Pritz emise un mugolio e Gunther sentì la scarica in culo. Allora mosse la mano
più rapidamente intorno al proprio cazzo, teso al punto da scoppiare. Quando
sentì che il piacere lo avvolgeva, mormorò, con la voce roca: - È bello
venire con il tuo cazzo in culo. E allora,
in una serie di lampi che lo accecarono, il piacere deflagrò. Il seme schizzò
alto, ricadendo sul pavimento. Gunther rimase appoggiato al corpo di Pritz. Gli sembrava di non essere in grado di reggersi in
piedi. Quando
ebbe ripreso a respirare, si staccò. Fu doloroso sentire il cazzo di Pritz uscirgli dal culo. Si voltò
e fissò Pritz negli occhi. - Grazie.
È ora che ce ne andiamo. Per l’unica via possibile. - Gunther, lasciami al mio destino e vai. Non farmi morire
con il pensiero che crepi per causa mia. Cazzo, Gunther,
cazzo! - Basta.
Per questo non c'è più tempo. Io e te siamo troppo oltre. Si
inginocchiò davanti a Pritz. Guardò l’arma. Questa
volta c’era più sangue. - Me ne
andrò, ce ne andremo insieme. Per la stessa via. Avvicinò
la bocca al grande cazzo dell'amico. - Ancora
una volta. Sei uno splendido toro da monta. - Cazzo!
Non puoi farmi questo, Gunther. Non voglio che tu
crepi per un bastardo come me. Cazzo! Cazzo! - Taci.
Non c'è più tempo per questo. C'è solo il tempo per precipitare insieme. Lo
vogliamo entrambi. Cominciò
a succhiare. Ancora una volta il cazzo di Pritz si
gonfiò. Gunther non se ne stupì, troppe volte aveva
visto scopare l’amico e ne conosceva il vigore. Arretrò guardandolo
affascinato. Sorrise, ma non disse nulla. Anche Pritz
tacque. Gunther riprese a succhiare. Sentiva che anche
il proprio cazzo aveva nuovamente alzato la testa. Quando capì che l'orgasmo
di Pritz era ormai prossimo, si fermò di nuovo. - Sai una
cosa, toro? Mi piace prendermelo in culo. Mi piace succhiare il tuo cazzo.
Credo di essere proprio un porco. Pritz lo fissò negli occhi, con un ghigno
sulle labbra. Poi aprì la bocca: - Direi
di sì. Su, datti da fare, porco, succhia. Gunther riprese a succhiare e Pritz parlò di nuovo. - Sì,
direi che ci sai fare a succhiare cazzi. Gunther sentì il fiotto di sperma in bocca; lo
inghiottì, mentre finiva di accarezzarsi. Prima di venire si alzò, in modo
che il suo getto si diffondesse sul ventre di Pritz. - Vorrei
continuare per sempre, ma prima o poi verranno. Gunther guardò la faccia dell’amico. E il
desiderio di baciarlo divenne più forte di tutto. Gli prese il viso tra le mani
e lo baciò. Pritz ricambiò il bacio e le loro
lingue si incontrarono, frementi, mentre i loro corpi aderivano l’uno
all’altro. Poi le loro teste si
separarono e Pritz mormorò: - Se penso ai soldi che
abbiamo sprecato in puttane… Scosse la testa. Gunther sorrideva. Tra poco sarebbe finito tutto, ma si
sentiva felice. In quel momento sentirono
le voci nel corridoio. - Mettiti il saio, subito. Pritz stava sciogliendo la corda che aveva
intorno al collo. Gunther esitò un attimo, ma era
troppo tardi per strangolare Pritz, che teneva la
corda in mano. Allora si infilò il saio, mentre sentiva la chiave girare
nella serratura. Fece appena in tempo a prendere la corda che Pritz gli porgeva. Due soldati apparvero. Avevano perso tempo, non
avrebbe più potuto uccidere Pritz. Ed ora? Non
poteva lasciarlo così, non poteva permettere che morisse sul palo. Ma non
aveva armi, niente. Uno dei due soldati gli
disse: - È ora che tu vada,
monaco. Il tempo per confessarlo l’hai avuto. L’altro soldato si era avvicinato
al prigioniero e guardava il cazzo di Pritz, che
non era ancora ritornato a riposo e appariva carnoso e pieno di sangue.
Tracce dello sborro di Gunther erano evidenti sul
corpo di Pritz e l’odore era inconfondibile. - Ma guarda qui che roba.
Che cazzo avete fatto, monaco? Gunther alzò le spalle, mentre la sua mente
cercava una via d’uscita. Il primo soldato non badò a quello che diceva il
compagno e si diresse alla porta, mentre il secondo guardava ancora Pritz. Gunther si avviò dietro
il primo soldato. L’uomo aveva un pugnale alla cintura. Gunther
pensò che con un’arma forse sarebbe riuscito ad uccidere Pritz.
Si chinò in avanti, sfilò il pugnale dalla cintura e con un movimento rapido,
tagliò la gola al soldato, prima che questi potesse reagire. L’uomo fece
appena in tempo a emettere un gemito che si trasformò in un gorgoglio. Gunther lasciò che il corpo cadesse a terra e si voltò
contro il secondo soldato. Questi si era girato,
sentendo il compagno gemere, e stava già sguainando la scimitarra, ma
istintivamente fece un passo indietro per fronteggiare meglio Gunther. Non si rese conto di essersi messo ad una spanna
dal corpo di Pritz. Questi gli afferrò il collo tra
le mani e strinse. Il soldato lasciò cadere la spada e si portò le mani al
collo, cercando disperatamente di allentare la stretta, ma la lotta era
impari e ben presto le braccia del soldato ricaddero inerti. Pritz continuò a stringere finché fu sicuro che l’uomo
fosse morto. - Tu sei pazzo, Gunther. Gunther sorrise e tagliò le corde che legavano Pritz. - Ed ora, capitano? Che
cazzo pensi di fare? - Ci proviamo, Pritz. Se va bene, tra poco saremo fuori. Se va male,
moriremo con le armi in mano. Mettiti l’abito di questo, dovrebbe starti. Con la testa indicò il
cadavere del soldato più massiccio, quello che Pritz
aveva strangolato. Pritz si vestì mentre Gunther prendeva all’altro soldato la cintura con la
spada e se la legava sotto il saio. Se avesse dovuto difendersi, l’avrebbe
tirata fuori. Nella destra tenne il pugnale con cui aveva ucciso il soldato,
ma infilò entrambe le mani nelle ampie maniche del saio. - Ecco, ora il soldato
accompagna all’uscita il frate che ha confessato il prigioniero. - E qualcuno riconosce il
prigioniero e i due finiscono impalati. - Rimani dietro di me, Pritz, nessuno ti riconoscerà vedendoti da lontano.
L’unico di cui dobbiamo preoccuparci è il guardiano del corridoio, ma lo
ucciderò. - Forse è meglio che tu lo
chiami, con una scusa. Lo uccidiamo qui dentro. Che ne dici? Gunther ci pensò un attimo. Era più saggio, in
effetti, se l’uomo avesse urlato, avrebbe dato l’allarme. Nella cella
probabilmente non lo avrebbero sentito. - Sì, hai ragione. Tu ti
metti di schiena, chinato su questo, così penserà che sei un soldato. L’altro
lo nascondiamo dietro la porta. Sistemarono i due cadaveri
e Pritz si mise in posizione, chinato sul corpo, la
schiena rivolta alla porta, ma con il pugnale in mano. Gunther uscì nel corridoio e lo percorse fino
all’estremità dove stava la guardia. Lui e Pritz
parlavano abbastanza bene il serbo di quelle parti, erano lì da tre anni
ormai, ma finse di essere agitato ed incespicare nelle parole, per evitare
che l’uomo cogliesse l’accento straniero. - Il prigioniero sta male… il soldato dice di portare l’acqua…
subito. La guardia gli lanciò
un’occhiata di traverso e si alzò. Entrò in un locale alle sue spalle e ne
uscì subito con una brocca d’acqua. Si diresse verso la cella, seguito da Gunther. Dalla soglia l’uomo guardò
dentro. Vide un corpo nudo a terra e un soldato, di schiena, chinato sul
corpo. Entrò senza sospettare di nulla. Gunther gli
mise la mano sulla bocca e gli tagliò la gola con un movimento rapido. Lasciarono i tre cadaveri
ed uscirono, chiudendo dietro di loro la porta a chiave. Nel corridoio non
c’era nessuno. Uscirono nel cortile, dove c’era un gruppetto di soldati
vicino alla porta del locale che serviva da mensa, sul lato opposto. Pritz si diresse all’uscita, seguito da Gunther, che teneva la testa china, ma controllava la
situazione. Alla porta c’era solo una
sentinella, che guardò Pritz e aggrottò la fronte. - E tu di dove
spunti? - Ho accompagnato il
frate, per il prigioniero, e lo riporto al convento. L’uomo non sembrava
convinto. - Non ti ho mai visto qui. - Non sto qui. Mi ha mandato
il governatore. Muoviti, che questo stronzo mi ha già fatto perdere
abbastanza tempo. Il soldato alzò le spalle
e aprì la porta. Pritz e Gunther
uscirono, senza voltarsi. Gunther passò avanti e
raggiunsero rapidamente la porta della città, che era aperta: pochi minuti
dopo essere usciti dalla cella, erano oltre le mura. Non appena non ci fu più
nessuno in vista, abbandonarono la strada e tagliarono per i campi e poi per
i boschi. Attraversarono un fitto
querceto e si fermarono vicino a una sorgente. Non era prudente proseguire di
giorno: di sicuro avevano scoperto la fuga del prigioniero, la sentinella
aveva detto di aver visto uscire un frate ed un soldato ed ora la guarnigione
di Pristina li stava cercando. Quando fosse diventato
buio, avrebbero raggiunto i loro compagni e poi sarebbero tornati nel
territorio sotto controllo di Venezia. Gunther sorrise: - Come vedi, non sono
pazzo. Pritz scosse la testa. - Lo sei, capitano,
completamente. Se mi uccidevi in cella, ammazzavano te al posto mio. Ma come
ti è venuto in mente… Gunther lo interruppe: - Senti, se non ti va
bene, puoi tornare a Pristina, a beccarti il palo nel culo. Pritz incominciò a spogliarsi. - Prima mi lavo, che dopo
tutti questi giorni nella cella, sono lercio come un maiale, poi il palo in
culo te lo metto io. Gunther sorrise. Guardò Pritz
che si spogliava e sentì il sangue affluire all’uccello. Fissò il compagno
mentre questi si sedeva in riva alla pozza d’acqua, immergeva le gambe e si
lavava. Allora si spogliò. Prese il saio e gli abiti di Pritz
e li nascose tra i cespugli. Poi si avvicinò a Pritz
e gli diede un violento spintone, facendolo cadere in acqua. - Lavati meglio, sozzone.
Puzzi come un maiale. Pritz bestemmiò e cercò di afferrare una gamba
di Gunther per trascinarlo in acqua, ma il capitano
fu più rapido di lui e con un balzo all’indietro gli sfuggì. Pritz si lavò ed emerse, gocciolante. - Mettiamoci là, tra i
cespugli. Non vorrei che qualcuno passasse di qui. - Va bene. Ma quando Gunther si voltò, Pritz lo
afferrò, sollevandolo, e lo portò fino alla pozza. I tentativi di Gunther di liberarsi furono inutili. Quando Pritz stava per buttarlo in acqua, Gunther
si avvinghiò a lui, così caddero entrambi nella sorgente. Pritz rise: - Va bene, mi lavo
anch’io, ma ti lavi anche tu. Io devo essere pulito e tu tutto sporco? E così dicendo gli mise la
testa sott’acqua e la tenne un buon momento. Gunther riemerse, sputò un po’ d’acqua, si
rimise in piedi e scoppiò a ridere. Ma ora erano entrambi
eccitati. Senza dire nulla, raggiunsero i cespugli e Gunther
si stese sull’erba, a pancia in giù, in un punto nascosto. Allargò le gambe. Pritz si inginocchiò e avvicinò la bocca al
culo. Morse con forza e Gunther gemette. - A causa tua oggi ho
saltato il pranzo e non metterò sotto i denti neanche la brodaglia della
prigione! - Se vuoi puoi sempre
tornare indietro. Magari se torni ti danno una razione supplementare, come ricompensa… Pritz morse ancora, più volte. - Hai un gran bel culo,
comandante. Poi sputò sul buco che gli
si offriva, si sputò anche sulla mano e inumidì la cappella. Avvicinò il palo
all’apertura ed entrò lentamente, dando a Gunther
il tempo di abituarsi a quell’ospite. Spinse con delicatezza, si fermò,
spinse ancora e si arrestò nuovamente. Accarezzò i capelli di Gunther, glieli tirò un po’, gli mise le mani sul culo,
pizzicando, e poi con una spinta decisa completò l’opera, facendo sussultare Gunther. - Allora, come si sta con
un palo in culo, comandante? 2011 |